AA.VV.
GAY & TRANS LA PAROLA AI PROTAGONISTI
Si sente tanto parlare di gay, lesbiche, trans‌ polemiche, rivendicazioni, dibattiti. Proviamo ad ascoltare alcuni protagonisti, al di là di ogni pregiudizio.
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Gay & Trans: la parola ai protagonisti Supplemento alla rivista mensile Notizie ProVita – Luglio-Agosto 2015
Bruce Raimer: come la natura lo fece
Bruce Raimer è un neonato americano che all’età di otto mesi rimane senza pene a causa di una circoncisione mal eseguita. In seguito a ciò i genitori apprendono, dalla viva voce dello psicologo John Money, protagonista di una trasmissione televisiva, che il divario tra i generi è frutto esclusivamente dei condizionamenti culturali, e non della biologia, per cui ogni bambino può divenire maschio o femmina, a piacimento. Spaventati per quanto accaduto al figlio, desiderosi di aiutarlo, i genitori lo portano dal dottor Money, presso il John Hopkins Hospital di Baltimora. Non sanno di essere davanti a colui che conierà l’espressione “gender identity”; hanno paura, ma vengono rassicurati: il sesso psicologico-spiega Money, non coincide con il sesso genetico, “né con il fatto che le ghiandole sessuali siano maschili o femminili”.
Da dove derivi a Money questa convinzione, in contrasto con i dati comuni della scienza, si può forse capire leggendo la sua biografia. Che ci parla di un bambino segnato da forti contrasti con il padre, dal fallimento di un matrimonio e dalla militanza a favore del matrimonio aperto, del nudismo, della bisessualità e della pedofilia. Nel 1986, ricorda John Colapinto, autore della biografia di Bruce1 , Money pubblicherà un testo, Lovemaps, volto a sdoganare sadomasochismo, coprofilia, feticismo, auto-strangolamento, pedofilia... I genitori di Bruce non sanno nulla di tutto ciò. Presi dalla disperazione, semplicemente si fidano della forza con cui Money li convince di essere certo delle sue convinzioni. Accade così che il bimbo viene affidato alle sue “benevoli” cure. Anzitutto Bruce viene operato: con un bisturi gli vengono recisi i testicoli, poi vengono suturati “il funicolo e i vasi che nell’età adulta avrebbero avuto la funzione di portare lo sperma all’uretra recisa. Nel rinchiudere lo scroto”, il chirurgo agli ordini di Money, modella “una rudimentale vagina esterna”.
J. Colapinto, As Nature Made Him. The Boy Who Was Raised as a Girl - 2000; tradotto in Italia: Bruce Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza - 2014 1
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Adesso non rimane altro, secondo il Money, che cambiare il nome del bambino, che diventerà Brenda, ed educarlo come una femmina: vestendolo da femmina, dandogli giochi da femmina, convincendolo costantemente di essere ciò che non è. Mentre l’esperimento procede, e il piccolo Bruce-Brenda non vuole adeguarsi (cerca di fare la pipì in piedi e vuole i giochi maschili del fratello), cosa fa il dottor Money? A partire dal 1972 cita il suo piccolo paziente come la dimostrazione vivente di ciò che aveva sempre sostenuto: Brenda, spiega ai colleghi, sulle riviste scientifiche, nei consessi medici, è la prova vivente del fatto che “i fattori primari che guidano la differenziazione psicosessuale sono l’apprendimento e la l’ambiente, non la biologia”. Con buona pace dei cromosomi, degli ormoni, dell’organizzazione anatomica, delle differenze di genere che oggi sappiamo esistere persino nel cervello (per cui si parla di “cervello sessuato”). Ma il povero Bruce lotta e soffre. Già a 11 anni ha tentazioni suicide; presto prova attrazione verso le ragazze; odia i suoi seni falsi e la sua falsa vagina, e, appena ne ha la forza, ricorre ad un nuovo cambio di sesso, per prendere un nome nuovo, maschile, David. Inizia a fare iniezioni di testosterone, gli crescono i primi peli sulle guance, a sedici anni si sottopone al primo intervento per la creazione del pene. Ma non riesce più ad essere virile come vorrebbe, e neppure ad avere l’erezione. Tenta di nuovo il suicidio, per due volte. A ventidue anni si sottopone a una nuova falloplastica. Due mesi dopo conosce Jane, una ragazza madre che ha avuto tre figli da tre uomini diversi. Si innamorano e si sposano. Ma purtroppo tante sofferenze non hanno un esito positivo. Così, dopo mille peripezie, Bruce-Brenda-David finisce suicida, nel 2004, sparandosi in testa. Ha 38 anni.
L’alta percentuale di suicidi tra i trans, secondo un sito LGBT
Claire Breton: ho due mamme Claire Breton (1978) è una giovane donna francese. Giornalista, vive a Parigi ed ha scritto un libro sulla sua vita con due mamme. Giovanissima, all’età di tre anni, assiste alla separazione dei suoi genitori, che stavano vivendo un rapporto purtroppo violento; sua madre inizia da subito una relazione fissa con una donna, presentata alla bambina come “zia”. Per dodici anni Claire vive con la coppia e all’età di quindici anni, per caso, scopre improvvisamente la verità.
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A ventisei anni, ormai adulta e dopo anni di psicoterapia, Claire Breton pubblica un testo - J'ai 2 mamans c'est un secret 2 - esito di un’inchiesta da lei condotta per capire se i figli di genitori omosessuali hanno provato le sue stesse sofferenza ed inquietudine. Nel libro è raccontata la sofferenza di Claire per l’abbandono del padre da parte della madre lesbica – “la mia felicità è durata poco di fronte al dolore di mio padre. Il dolore di un uomo lasciato due volte: dalla sua donna e per una donna. L’amarezza si moltiplica” 3 -, il presentimento della relazione lesbica della madre – “Sentivo […] che pesava un segreto sul presunto legame famigliare che c’era tra le mie due genitrici” – nonché l’ulteriore dolore al momento della scoperta, una sera, del segreto materno: “Quella sera in me si spezza qualcosa, e non posso più tornare indietro […] Mia madre è un’omosessuale, che per di più mi mente ogni santo giorno, da sempre […] Angoscia totale. Non riesco a fare il minimo gesto. Non piango neanche. Sono l’ombra di me stessa. Telefonare. Ma per dire che cosa, e a chi?”. Per sapere di più sulla propria condizione di figlia di una madre omosessuale, Claire Breton decide di fare quello che qualunque giornalista, al posto suo, farebbe: un’inchiesta. Di qui la scelta di incontrare persone come lei, giovani come lei, figli cresciuti senza un padre o senza una madre per via dell’omosessualità dei propri genitori. L’aspetto interessante è che la Breton, specie all’inizio, non riscontra in coloro che intervista lo stesso disagio e le stesse difficoltà che, oltre alla sofferenza, le sono costati un lungo percorso di psicoterapia; non li trova, ma ha la netta impressione che venga a lei nascosto qualcosa: “Iniziavo a pensare di essere un brutto anatroccolo, e questa etichetta mi irritava. Ma ho presto capito che per minimizzare una sofferenza una persona preferisce dire che la morte del gatto del vicino è molto più triste di quella del suo… ero convinta che tacessero alcune 2 3
Leduc. S Editions - 2005 Traduzione italiana Ho due mamme, Sperling&Kupfer - 2006
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cose”. Degli incontri che, nella propria inchiesta sulle “nuove famiglie” effettua la Breton, due risultano particolarmente significativi. Il primo ha per protagonista Emma, una diciannovenne di San Francisco cresciuta da tre mamme, le quali, alle sue ripetitive domande di conoscere la verità sul padre, si sono sempre rifiutate di rispondere. “A diciannove anni, Emma ha potuto finalmente sapere chi era il padre, un uomo che aveva un’altra famiglia e altri figli. Emma parla del suo padre biologico con il suo ragazzo: ‘Sai, oggi ho sentito per telefono il mio sperma…’. Un po’ di sperma, ecco tutto quello che Emma ha ottenuto dell’immagine del padre!”. La seconda esperienza ha per protagonista Katlyn, anche lei allevata a San Francisco, città pioniera in fatto di omoparentalità: “Lei ha due madri, di cui una è la madre biologica e l’altra è la madre biologica di suo fratello. Oggi confessa che le manca qualcosa: “Non so cosa sia un padre”. Fortunatamente aveva alcune risorse. Katlyn si è ribellata prestissimo al modello esclusivamente femminile che le proponevano le sue mamme. Queste ultime raccontano che cercavano di far interpretare ruoli omosessuali alla Barbie e al suo compagno maschile Ken: organizzavamo matrimoni tra due Barbie e travestivano Ken da drag queen. E Katlyn, alta come un soldo di cacio, rifiutava con veemenza queste regole del gioco. Voleva a tutti i costi che Barbie sposasse Ken, semplicemente… Non sono cose che si inventano”. Divenuta adulta, Claire ha almeno una certezza: “Mi sento diversa. Sono consapevole che le mie scelte di adulta sono opposte a quelle che ho vissuto nell'infanzia. Ho sofferto per alcune privazioni, ma adesso tento di rifarmi. Per il mio futuro desidero una esistenza normale, non lo nego. Voglio creare la famiglia che mi è mancata...”.
Nella foto il piccolo Milo, di cui hanno parlato tutti i giornali, alla nascita nel 2014, e i due papà gay (Bj Nelson e Frankie Barone): la “mamma” (a sinistra) ha affittato l’utero; un’altra donna ha venduto il suo ovulo. Due “mamme” che Milo non vedrà mai.
Walt Heyer: da maschio, a femmina…and back again
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Walt Heyer è uno dei primi transgender al mondo. Uomo, sposato, con moglie e figli, decide di cambiare sesso. Poi la vita riserverà altre sorprese. A lui la parola:“Per strane ragioni mia nonna sin da piccolo mi vestiva da bambina e quando mio padre lo scoprì non fece che peggiorare le cose: basò la mia educazione su una disciplina severissima. Vennero poi ad aggiungersi le molestie di mio zio, un adolescente disturbato, che cominciò a toccarmi quando avevo 10 anni. Inconsciamente pensavo che se fossi stato una bambina non mi avrebbero più trattato in quel modo. E così cominciai segretamente a pensare di cambiare sesso. All’età di 15 anni mi sentivo intrappolato. Volevo fuggire dal mio corpo. Lo reputavo la causa del mio malessere”. Dopo questi fatti, il matrimonio, e con gli anni la decisione clamorosa: “un giorno presi la decisione di cambiare sesso per via chirurgica”, però “è successo che invece della felicità sono caduto in una depressione ancora più forte. In una vita fatta di promiscuità e follie. Solo dopo otto anni mi resi conto che non avevo fatto altro che peggiorare le cose. Non ero diventato una donna. E la depressione mi annientava. Ma sentivo che ormai era troppo tardi per tutto. Mi ricordai che all’università avevo studiato psicologia e che quando le persone hanno una grande pena nella vita diventano depresse o alcolizzate o tossicodipendenti. O tutte e tre le cose insieme. Perciò, dovevo capire da dove veniva la mia pena. Dovevo sapere quale era la verità. E così mi venne in mente che l’unico che poteva conoscere il mio dolore e la mia verità era Colui che mi aveva creato. Perciò feci la cosa più semplice di questo mondo: andai in chiesa a cercarlo. A cercare Dio. E lì trovai uno che mi aiutò per davvero. Un prete. Gli chiesi se avrebbe provato a cambiarmi e lui, sorridendo, mi rispose: ‘Il mio mestiere è volerti bene, a cambiarti ci penserà Dio’”. A questo punto Walt decide di ritornare ciò che è sempre stato: un uomo. Si è convinto che il mondo LGBT sia fondamentalmente infelice: “In realtà è un mondo di frustrazione, rabbia, dolore che riversa le sue contraddizioni contro le persone che vivono una condizione normale e, giustamente, la difendono. Chi soffre pensa (o per razionalizzare il dolore o perché viene convinto di questo) che la colpa del suo disagio sia della società eterosessuale. Quella che viene erroneamente definita “omofoba”. Perciò la maggioranza dei trans e gay desiderano che sparisca qualsiasi sesso. Dall’altra parte c’è la responsabilità di chi sa, ha studiato ma tace per paura di mettere a repentaglio la propria
carriera o per timore di finire in tribunale. Il problema è questo: transessuali, gay e lesbiche nascondono pubblicamente il loro disagio. Quando ero uno di loro ho ascoltato tanto dolore. Ma privatamente non ho mai sentito parlare di amore. Io stesso ero malato, depresso, alcolizzato. Oggi (ritornato uomo, ndr) ho 72 anni e sono sanissimo. Mentre la maggioranza di chi ora si trova nella mia condizione di un tempo, statisticamente non arriva alla mia età, muore prima per abuso di alcol, droga e promiscuità, il miglior viatico ad Aids e malattie letali di ogni genere”4.
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Oggi Walt ritiene di avere un compito: aiutare tutti coloro che si sentono a disagio con il loro corpo5. Per lui, a contribuire alla infelicità, alla depressione, all’alcolismo e all’alto tasso di suicidi dei transgender non sono coloro che li spingono a riconoscere un loro reale disagio psichico, e a tentare di riconciliare la loro anima con il loro corpo, ma al contrario quanti, di fronte ad una mascolinità innata e naturale, ma immatura e incompiuta, inducono un soggetto sofferente non a riconoscerla e a coltivarla, ma a ripudiarla e a contrastarla con pesanti e prolungate terapie ormonali e operazioni chirurgiche volte a violentare il corpo, così come esso, per natura, è. Inducendo un contrasto ancora più forte e dilacerante tra psiche e corpo. Per aiutare altri che soffrono, come ha sofferto lui, a riconciliarsi con il proprio corpo e con se stessi, Heyer ha scritto un libro, Paper genders, e gestisce alcuni siti, cui si rivolgono migliaia di persone per richiesta di aiuto6.
Intervista concessa alla giornalista Benedetta Frigerio, del settimanale Tempi, 29 aprile 2013 W. Heyer, Paper genders, il mito del cambiamento di sesso, SugarCo, Milano - 2013 6 www.waltheyer.com; www.sexchangeregret.com 4
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Luca era gay… adesso sta con lei
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Quarantenne, milanese, Luca Di Tolve - assai famoso perché si disse che a lui si era ispirato Povia per la celebre canzone “Luca era gay”- è stato omosessuale dai 13 ai 31 anni collezionando esperienze e, soprattutto partner: poco meno di 1.900 secondo una stima del giornalista Stefano Lorenzetto, che lo ha intervistato. Successivamente, provato da tanti eventi - dalla morte di tanti amici per Aids alla malattia - ha vissuto un intenso percorso di maturazione interiore che lo ha portato a vivere, parallelamente ad una revisione delle proprie tendenze sessuali, un riavvicinamento alla Chiesa culminato con un pellegrinaggio a Medjugorje, dove nel 2004 ha conosciuto Teresa, la ragazza che tre anni più tardi è diventata sua moglie e che lo ha reso padre. Eletto fra i primi -era il 1990 - Mister Gay ed entrato presto nel mondo, apparentemente dorato, della moda e degli stilisti, ricorda quel periodo come agiato e disordinato: “Mi facevo mantenere. È una consuetudine piuttosto diffusa nell’ambiente gay. Conobbi Riccardo, un trentenne milanese figlio di un miliardario. Lavorava per l’industria orafa e per la moda. Agli stilisti mi presentava come il suo fidanzato. Mi versava tre milioni e mezzo di lire al mese solo per stare con lui. Più la carta di credito. Mi pagava il personal trainer perché diventassi sempre più bello e palestrato. Nel frattempo ognuno di noi aveva storie parallele. Abitavo in via Monte Napoleone, giravo con l’autista e il Rolex d’oro al polso” 7 . Segue lavoro altrettanto economicamente soddisfacente: “Accompagnavo gay danarosi di tutto il mondo, soprattutto americani, nelle boutique di lusso. Il mio nome era su Spartacus, la guida internazionale per gay […] Ero arrivato a guadagnare 30 milioni al mese in questo modo” (Ibidem). Una svolta alla sua vita inizia quando gli diagnosticano il virus dell’Hiv. Si sente ad un passo dalla morte quando inizia il suo percorso di cambiamento: “Mi resi conto che dovevo morire. Tornai ad abitare con mia madre. Alla festa che diedi per il trentesimo compleanno un ragazzo gay dimenticò a casa mia un opuscolo sulla terapia riparativa del professor Nicolosi. Lo lessi con avidità” (Ibidem). Da lì Luca inizia a rivedere criticamente il proprio orientamento sessuale e il proprio stile di vita: “Per anni hai bevuto, hai sniffato coca, hai fatto sesso con più partner contemporaneamente e in trenta pose diverse, ma sei infelice. Non riuscendo a diventare uomo, tenti con gli amplessi di appropriarti degli attributi esteriori della mascolinità, una sorta di cannibalismo collegato al godimento. Di giorno 7
Il Giornale, 24 luglio 2011
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provi a difenderti da quanto vorresti fare di notte, perché ti rendi conto che ogni senso di pienezza svanisce insieme con l’eiaculazione”. Dopo, anche grazie alla psicoterapia, viene il definitivo cambiamento: “Cominciai a lavorare sulla mia virilità [….] Sentii d’avercela fatta il giorno in cui m’invitarono con loro al bar a bere una birra. Ero tornato nel gruppo dei pari. Pensai: tu puoi essere eterosessuale, tu puoi formarti una famiglia. Era un’idea che mi faceva sentire bene […] Ora sto benissimo […] Non esiste alcuna prova scientifica che un individuo nasca omosessuale. Inoltre penso che le persone possano considerarsi un gradino più su delle pecore, o no? Gli animali seguono l’istinto, gli uomini la ragione. Le femmine dei criceti al primo parto spesso divorano i propri piccoli. Dovremmo tollerarlo anche nelle puerpere? Qualora l’omosessualità non fosse altro che un prodotto della natura, basterebbe a renderla desiderabile? La terapia affermativa gay propugna che la fonte del disagio risieda nella società che odia gli omosessuali. Così non è e io posso testimoniarlo. Il disagio lacerante era dentro di me, non fuori di me. Ero un gay convintissimo, effeminato, e oggi sono un’altra persona”8.
Premila Vaghela: una donna ridotta al suo utero
Siamo nel maggio 2012. Premila Vaghela è una donna trentenne, indiana, che fa riferimento al Pulse Women’s Hospital, struttura privata presentata come sicura ed efficiente e che segue le madri surrogate ad Ahmedabad, nel Gujarat, stato dell’India occidentale. Da otto mesi porta in grembo un bimbo “commissionato” da americani quando, dopo aver accusato dei forti dolori, viene immediatamente ricoverata nella locale unità di terapia intensiva prenatale. I tempi e la qualità del soccorso non sono dei migliori dato che, purtroppo, i medici non sanno cosa fare contro il grave collasso cardiaco che la attanaglia. Il figlio, di appena 1,740 kg, viene fatto nascere con parto cesareo e messo subito in incubazione. Ci si fa in quattro per salvare il bambino, che vale migliaia di dollari. E’ già stato comperato9.
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Una testimonianza video di Luca si può vedere qui: https://vimeo.com/12393086 http://www.notizieprovita.it/notizie-dal-mondo/premila-vaghela-morta-per-un-figlio-non-suo
Tantissime sono le donne come Premila che subiscono uno sfruttamento che ha fatto dell’India l’Eldorado mondiale della maternità surrogata. All’utero in affitto ricorrono i ricchi, per lo più bianchi; coppie naturali e coppie gay. Per le ultime, il ricorso all’utero in affitto, è necessario, imprescindibile. Per questo, nei paesi dove viene riconosciuto il matrimonio gay, diventa inevitabile legalizzare anche l’utero in affitto, detto anche “maternità surrogata” o “gpa” (gestazione per altri). Ma, qualunque sia il nome, rimane un fatto: donne contenitori, donne schiave, per partorire bimbi che rimarranno senza madre.
Dawn Stefanowicz: fuori dal buio 11
E’ stata bambina negli anni Sessanta. Oggi è una donna adulta che non esita a parlare, nonostante susciti ogni volta aspre polemiche. Il suo nome è Dawn Stefanowicz e il libro in cui narra la sua storia è uscito negli Usa, nel 2007, con il titolo Out from Under. In Italia è stato pubblicato sette anni dopo, nel 2014, con titolo: Fuori dal buio. La mia vita con un padre gay. Dawn racconta la sua vita con un padre perennemente a caccia di avventure sessuali e di giovani fidanzati, con una moglie, fragile e passiva, e con tre figli costretti a vivere in queste condizioni. Il padre, racconta Dawn nel suo libro, spesso portava a casa gli amici e si intratteneva con loro in salotto, incurante dei figli che sentivano tutto - e talvolta vedevano - dal piano di sopra, pieni di vergogna. O si faceva accompagnare da lei, ragazzina confusa e disprezzata, nelle sue missioni di conquista nei locali notturni più equivoci della Florida e della California. Dopo anni di questa vita, la moglie lo lasciò, lui si ammalò di Aids e nel 1991 morì. Racconta Dawn: “Sono cresciuta in una famiglia omosessuale durante gli anni ’60 e ’70 a Toronto, in contatto con molte persone appartenenti alla sottocultura GLBT (Gay, Lesbiche, Bisessuali, Transessuali), ed esposta a pratiche sessuali esplicite. Sono stata ad alto rischio di esposizione a malattie sessualmente trasmissibili a seguito di molestie sessuali, di comportamenti sessuali ad alto rischio di mio padre e dei suoi numerosi compagni. Anche quando mio padre si ritrovava in quella che viene definita una relazione monogama, continuava ad andare in giro in cerca di sesso anonimo. Purtroppo quando mio padre era bambino è stato abusato sessualmente e fisicamente da uomini più grandi. A causa di ciò ha vissuto con la depressione, problemi di controllo, esplosioni di rabbia, tendenze suicide e compulsioni sessuali. Ha cercato di soddisfare i suoi legittimi bisogni di affetto e attenzioni paterne con relazioni transitorie e promiscue. Lui e i suoi compagni sono stati esposti a varie malattie sessualmente trasmissibili, in occasione dei loro viaggi in tutto il Nord America. Alcuni ex partners di mio padre hanno abbreviato la loro vita a causa di suicidi, infezioni da HIV o Aids. Anche mio padre, purtroppo, è morto di Aids nel 1991. Le molteplici esperienze personali, professionali e sociali con mio padre non mi hanno insegnato il rispetto per la moralità, l’autorità, il
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matrimonio e l’amore paterno […] Sì, ho amato mio padre. Tuttavia mi sono sentita abbandonata, trascurata, e non rispettata nei miei bisogni quando mio padre, spesso, se ne andava all’improvviso, per diversi giorni, per stare con i suoi partners. I suoi compagni non sono mai stati veramente interessati a me. Ero indignata per l’incidenza, tra persone dello stesso sesso, di abusi domestici, avance sessuali verso minori e la perdita di partner sessuali, come se le persone fossero solo prodotti da usare. Dall’età di 12 anni, per sopperire alla mancanza d’amore di mio padre, ho iniziato a cercare conforto dai ragazzi. Sin da giovane età sono stata esposta a linguaggio sessualmente esplicito, stili di vita edonistici, varie sottoculture GLBT e luoghi di vacanza gay. Sono stata esposta all’intera gamma di manifestazioni sessuali esistenti, incluso il sesso negli stabilimenti balneari, travestitismo, sodomia, pornografia, nudismo gay, lesbismo, bisessualità, reclutamento di minorenni, voyeurismo, esibizionismo e sadomasochismo. Alcool e droga hanno spesso contribuito ad abbassare le inibizioni nelle relazioni di mio padre. Quando avevo otto anni a mio padre piaceva vestirmi unisex, darmi un aspetto di genere neutro e di una famosa icona del travestitismo. Non ho mai visto il valore delle differenze biologiche complementari del maschile e femminile, né ho mai pensato al matrimonio. Oltre due decenni di esposizione diretta a queste stressanti esperienze mi hanno provocato insicurezza, depressione, pensieri suicidi, paura, ansia, bassa autostima, insonnia e confusione sessuale. La mia coscienza e innocenza sono state gravemente danneggiate. Sono dovuta arrivare fino ai 20 e 30 anni, dopo aver fatto scelte di vita importanti, per riuscire a capire quanto crescere in quest’ambiente mi abbia segnata. La mia guarigione ha incluso l’affrontare la realtà, l’accettare le conseguenze a lungo termine, e offrire il perdono. Riuscite ad immaginare cosa voglia dire essere costretti a tollerare relazioni instabili e diverse pratiche sessuali sin da tenera età e come questo possa aver influenzato il mio sviluppo? La mia identità di genere, il benessere psicologico e le relazioni con i coetanei sono state compromesse”. Solo da adulta, a sua volta sposata e madre, aiutata da psichiatri competenti, Dawn è riuscita ad accettare il suo passato fatto di inganni, umiliazioni, privazioni affettive e spesso vera e propria violenza. Oggi ha trasformato la sua infanzia da incubo in una battaglia “per un obiettivo più alto”, come scrive nella premessa al libro: “Quello di mostrare a tutti quanto le strutture parentali e familiari possano incidere negativamente sullo sviluppo dei bambini”. Il vissuto di Dawn, scrive lo psichiatra Gerard van den Aardweg nella Prefazione, è purtroppo sempre più diffuso: “io stesso ho, purtroppo, avuto modo di riscontrarlo in tanti anni di attività professionale e questo mi porta a mettere in guardia da una nuova, inaudita forma di abuso sui minori, legalizzata e promossa dagli Stati che hanno abbracciato un’ideologia del tutto falsa, per la quale ogni tipo di vissuto e ogni forma di convivenza vengono considerati leciti ed equivalenti”.
Robert Lopez: bisessuale, cresciuto da lesbiche Robert Oscar Lopez è docente universitario di lingua inglese alla California State University di Northridge. Nel 2012, in occasione del dibattito, nel suo stato, sui matrimoni gay, ha reso pubblica la testimonianza circa la sua travagliata vita di bambino cresciuto da due mamme lesbiche, e le conseguenze che ancora oggi, da adulto, si porta addosso: “Crescere con genitori omosessuali è stato molto difficile -racconta-
e non a causa dei pregiudizi dei vicini. Le persone della nostra comunità non sapevano bene cosa succedeva in casa”. Il fatto è che “i miei coetanei hanno imparato tutte le regole non scritte di comportamento e di linguaggio del corpo all’interno delle loro case, hanno capito quello che era il caso di dire e non dire in certi contesti, hanno imparato i meccanismi sociali tradizionali maschili e femminili. Anche se i genitori dei miei coetanei erano divorziati, costoro sono comunque cresciuti osservando modelli sociali maschili e femminili”. Invece io “ho avuto pochi spunti sociali da offrire a potenziali amici di sesso maschile o femminile, dal momento che non ero né sicuro né sensibile verso gli altri. Raramente ho fatto amicizia, e facilmente mi sono alienato dagli altri. […] Non avevo idea di come rendermi attraente per le ragazze. Quando ho messo piede fuori casa sono stato subito bollato come un disadattato a causa dei miei modi di fare da ragazzina, buffi vestiti, blesità e stravaganza. Molti gay non si rendono conto di quale benedizione sia essere allevato in una famiglia tradizionale”. Ancora oggi, continua Lopez, “ho pochissimi amici e spesso non capisco la gente a causa dei segnali di genere non detti che sono tutt’intorno a me, che vengono dati per scontati anche dai gay allevati in famiglie tradizionali. Ho difficoltà nell’ambiente professionale, perché i colleghi mi trovano bizzarro”. Problematici sono stati anche gli anni del college dove, all’inizio Lopez è stato spinto a dichiararsi omosessuale, ma “quando ho detto di essere bisessuale non mi hanno creduto, rispondendo che non ero pronto ad uscire allo scoperto come gay”. Segue, nel 1990, l’abbandono del college e il suo ingresso “in quello che può essere chiamato solo gay underworld” dove “mi sono accadute cose terribili lì”. Lopez che oggi ha 41 anni, è sposato ed è padre, conclude: “Ho messo da parte il mio passato omosessuale e giurato di non divorziare da mia moglie o di andare con un’altra persona, uomo o donna. Ho scelto questo impegno al fine di proteggere i miei figli da comportamenti drammatici nocivi, che permangono anche quando si cresce e diventa adulti. Quando sei un genitore, le questioni etiche ruotano intorno ai figli e si deve mettere via il proprio interesse personale… per sempre”. Su Public Discourse, il giornale online del centro di ricerca The Witherspoon Institute dell’Università di Princeton, Lopez ha dichiarato: “I bambini sentono potentemente la mancanza di un padre o di una madre” e “provano una grande frustrazione, perché non sono in grado di fermare chi decide di privarli del padre o della madre […] Nel corso dell’ultimo anno sono stato di frequente in contatto con adulti cresciuti da genitori dello stesso sesso. Sono terrorizzati dall’idea di parlare pubblicamente dei loro sentimenti, così molti mi hanno chiesto (dato che io sono già uscito allo scoperto, per così dire) di dare voce alle loro preoccupazioni […] io sono qui per dire di no: avere una mamma e un papà è un valore prezioso in sé, non qualcosa che può essere ignorato, anche se una coppia gay ha un sacco di soldi, anche se può iscrivere un ragazzino alle migliori scuole”. Sarebbe poi “inquietante e classista la posizione dei gay che pensano di poter amare senza riserve i loro figli dopo aver trattato la madre surrogata come una incubatrice, o delle lesbiche che credono di amare i propri figli incondizionatamente dopo aver trattato il loro padre-donatore di sperma come un tubetto di dentifricio”10.
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http://www.tempi.it/bisessuale-cresciuto-con-due-lesbiche-40-anni-nel-mondo-lgbt-no-al-matrimonio-omosessuale
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Voci di omosessuali fuori dal coro
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Dolce & Gabbana sono due notissimi stilisti italiani, dichiaratamente omosessuali. Recentemente, come molti altri omosessuali in opposizione al mondo gay, hanno rilasciato alcune dichiarazioni contrarie al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Subendo per questo violenti attacchi. […] Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Ma lei accetterebbe di essere figlia della chimica? Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni… Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia.11
Alfonso Signorini, giornalista, direttore del settimanale Chi: “Sono contrario alle adozioni riservate alle persone dello stesso sesso. Io parlo da omosessuale ma penso che il bambino abbia bisogno di una figura materna e una paterna”12
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Domenico Dolce, a Panorama, 16 marzo 2015 http://www.gay.tv/articolo/alfonso-signorini-io-gay-dico-si-al-matrimonio-e-no-alladozione-per-le-coppie-omosessuali/33583
Jean-Pier Delaume-Myard è un omosessuale francese impegnato nel movimento Manif Pour tous e nel corrispettivo francese delle Sentinelle in piedi. E’ venuto in Italia, dove ha tenuto un lungo discorso, dicendo, tra le altre cose: “A seguito di questo abbiamo fondato un collettivo chiamato HomoVox, che riunisce centinaia e centinaia di omosessuali contro la legge sui matrimoni gay. Ho avuto la possibilità di dare una testimonianza video, e ho accettato ben volentieri. Dopo tanti articoli e testimonianze, mi sono ritrovato il 25 gennaio 2012 di fronte al Presidente della Repubblica francese. Quando gli ho detto che la legge sui matrimoni gay era in realtà l’albero dietro al quale si nascondeva la foresta della maternità surrogata e della procreazione medicalmente assistita, lui mi ha risposto: “Non sono assolutamente favorevole a questo e mi esprimerò contro”. In Francia abbiamo seri dubbi su questa questione. Sappiamo che in occasione della presentazione della prossima legge sulla famiglia, a marzo, dei deputati dell’attuale maggioranza depositeranno emendamenti a favore della procreazione medicalmente assistita e della maternità surrogata. Come omosessuale e sin dall’inizio del mio impegno, non lavoro a favore di un partito politico e nemmeno a favore di una comunità: a me non piace il comunitarismo. Combatto in coscienza e con tutte le mie forze affinché ogni bambino abbia un padre e una madre..”13
Tutto bene? Cosa fare? Una manifestazione della Sentinelle in piedi, che si riuniscono silenziosamente, in modo pacifico, per ricordare che ogni bambino ha diritto all’amore di un padre e una madre; che non è bene introdurre l’educazione al gender nelle scuole, sin dall’asilo; che è ingiusto voler perseguire per legge chi ritiene che la famiglia sia solo quella naturale; che non è progresso promuovere il mercato dell’utero in affitto e dei figli… Queste proteste silenziose e composte, come tante iniziative in tutto il nostro paese vogliono anche ricordare che solo il rinnovamento dell’alleanza uomo-donna-bambino, può ridare freschezza, forza e gioia di vivere alla nostra società occidentale.
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Il Foglio, 14 gennaio 2014
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