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“nel nome di chi non può parlare”
POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00
Padova CMP Restituzione
Anno V | Rivista Mensile N. 38 - Febbraio 2016
IL POTERE DELLA
NEOLINGUA “… la schiavitù è libertà, l’ignoranza è forza”
Ripartire dall’essenza dell’uomo e della natura umana intervista a Diego Fusaro La bioetica del senso e il senso della bioetica
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- Sommario Editoriale: Il potere della neolingua
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“nel nome di chi non può parlare” RIVISTA MENSILE
Lo sapevi che...
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Attualità Esperienze di vita, ferite, lacrime e felicità
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Anna Maria Pacchiotti
Educazione sessuale e contraccezione: a cosa servono? 8 Giuliano Guzzo
Redazione
Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi
Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti - Tel. 329 0349089
Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Federico Catani
Verità del linguaggio, verità delle cose 12 Don Mattia Tanel
C’era una volta…
Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182
Direttore responsabile Antonio Brandi
Primo piano La neolingua, in “1984” e nel… 2016
N. 38 - FEBBRAIO 2016
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Rodolfo Granafei
Direttore ProVita Onlus Andrea Giovanazzi Impaginazione grafica Francesca Gottardi Supervisione grafica Festini s.n.c. Tipografia
L’ingegneria verbale: l’uso delle parole per confondere le menti 15 Marcello Riccobaldi e Serenella Verduchi
Dall’antilingua alla neolingua, chi ci rimette è la famiglia 17 Teresa Moro
Ripartire dall’essenza dell’uomo e della natura umana
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Alessandra Benignetti
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Aldo Vitale
Famiglia ed Economia Osservazioni di una mamma qualunque Giulia Tanel
Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Alessandra Benignetti, Federico Catani, Rodolfo Granafei, Giuliano Guzzo, Teresa Moro, Anna Maria Pacchiotti, Marcello Riccobaldi, Don Mattia Tanel, Giulia Tanel, Serenella Verduchi, Aldo Vitale
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Scienza e Morale La bioetica del senso e il senso della bioetica
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Editoriale
Editoriale
“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” è uno degli slogan del Socing più noti. Il partito unico di orwelliana memoria aveva realizzato la sua spietata dittatura - asfissiante, pervasiva, disumanizzante - principalmente grazie a due strumenti. C’era, anzitutto, il mezzo di formazione, informazione e propaganda per eccellenza, la TV: sempre accesa, trasmittente e ricevente, in grado di seguire ciascun suddito ventiquattro ore su ventiquattro, talmente invasiva da riuscire, in pratica, a leggere nel pensiero. Le famiglie che oggi passano il tempo libero davanti alla TV, ciascuno nella propria stanza, o quelle che in ogni momento possibile si lasciano assorbire dal computer o dal telefonino (multimediale, interattivo, cioè trasmettente e ricevente, come la TV di 1984!), arrivando spesso a perdere il contatto con la realtà e con le persone vere che hanno accanto, dovrebbero fermarsi a riflettere... Niente, però, avrebbe potuto il Socing attraverso i media se, contemporaneamente e progressivamente, non avesse realizzato anche lo smantellamento e la ricostruzione del linguaggio: la neolingua, appunto, cui abbiamo dedicato il Primo Piano di questo numero. Abbiamo voluto riflettere e ragionare su come è cambiato il senso delle parole negli ultimi decenni. Non è infatti un caso che la maggior parte della filosofia del secondo dopoguerra sia centrata sul linguaggio, come neopositivismo anglo-americano o come ermeneutica (filosofia dell’interpretazione) europea. Prima, si pensi all’Idealismo, tutto era nel pensiero.
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Il potere della neolingua
Adesso tutto è nel linguaggio: non si può andare oltre il linguaggio. Heidegger diceva: “Il linguaggio è la casa dell’essere”… insomma, attraverso il linguaggio l’uomo esprime i suoi ragionamenti e - viceversa - con il linguaggio è possibile plasmare il modo di ragionare degli uomini. Il linguaggio è un’arma potente nelle mani di chi vuole imporre la dittatura del pensiero unico.Forse la più potente in assoluto. Purtroppo quanto immaginato da Orwell nel 1948 si è andato realizzando puntualmente in questi ultimi decenni.Certe parole sono state “cancellate” dal vocabolario, ad altre è stato cambiato il significato, altre ancora sono state create di sana pianta. E che questa non sia un’affermazione campata per aria lo dimostrano i diversi contributi dati dai nostri Autori, che potrete leggere nelle prossime pagine. Vi sono diversi esempi, in ambiti diversi, ma soprattutto – ed è quello che più ci preme – nel campo della bioetica. In particolare, poi, proprio in merito alla bioetica “laica” e cattolica, vi invito a riflettere su quanto pubblicato a p. 23: il ragionamento è davvero contiguo a quello sulla neolingua. Ci sono poi, nella sezione “Attualità” e nella sezione “Famiglia”, per prendere una boccata d’aria fresca, le testimonianze di vita di un’appassionata volontaria pro-life e di “Una mamma qualunque”: perché la speranza non va spenta, nonostante tutti i disastri che gli esseri umani riescono a concepire e a realizzare. La Vita vince la morte, anche se c’è chi fa di tutto per confonderci e corromperci. Antonio Brandi
PH: Gerd Altmann
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N. 38 - FEBBRAIO 2016
Lo sapevi che... Il video Gender Revolution, prodotto da ProVita, dava molto fastidio. Moltissimi hanno apprezzato e ringraziato: tra YouTube e Facebook è stato visto da più di 100.000 persone. Il filmato spiega cosa è il gender, qual è la rivoluzione antropologica in atto e come l’ideologia nichilista entra nelle scuole ormai da tempo. Avremmo voluto qualche critica costruttiva sulla quale intavolare un dibattito civile, ma quei pochi che ci hanno provato sono risultati fumosi, pretestuosi, incapaci di porsi all’ascolto per comprendere. Sanno solo parlare per slogan, non vogliono ragionare su dati di fatto reali. E chi non è d’accordo, se non ha argomenti, non vuole sentire e si prodiga per mettere a tacere la verità. La Gaystapo quindi entra in azione e YouTube oscura il video per ben due volte. Interessante è la motivazione: “Questo video è stato rimosso per la violazione della norma di YouTube su contenuti commercialmente ingannevoli, spam e frodi” (al momento il video sembra essere di nuovo accessibile: visualizzatelo in fretta prima che venga oscurato ancora!). È la riprova che gli argomenti dei nostri detrattori sono davvero inconsistenti: di commerciale non c’è proprio niente; quanto all’inganno e alla frode, vorremmo, appunto, sapere dove sono... ProVita, però, non si lascia di certo intimidire: continua a parlare in nome di chi non ha voce, a costo di dar fastidio alla Gaystapo e ai suoi dirigenti paludati. L’accordo finale raggiunto nel dicembre scorso, alla Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite, è espressione di un’ideologia ambientalista poco attenta alla vita e alla famiglia. Anche la Laudato Sii di papa Francesco si pronuncia più di una volta contro l’aborto, affermando che esso è incompatibile con le preoccupazioni per la protezione della natura. Invece riferimenti all’aborto e alla contraccezione sono abbondantemente contenuti nell’accordo sul clima raggiunto a Parigi, sotto ormai note coperture come “diritto alla salute sessuale e riproduttiva” e “ diritti delle donne”, e sotto la maschera delle libertà e della parità di “genere”. C’è un sito web che si intitola “Guarda col cuore” (www.guardaconilcuore.org) e che è “[…] nato inizialmente per un’esigenza personale, terapeutica, legata all’accettazione di una figlia nata con sindrome di Down”.
Poi è cambiato, col tempo. Ora è divenuta una comunità virtuale che riporta racconti di genitori che parlano di sindrome di Down, autismo, schizofrenia, ritardo dello sviluppo e altre forme di disabilità, di genitori adottivi che decidono di scegliere di vivere con un bambino con difficoltà, testimonianze di insegnanti di sostegno, consigli di professionisti esperti del settore disabilità. È un luogo dove si impara a “guardare le cose con il cuore”, perché “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Perché a volte, la disabilità è soltanto negli occhi di chi guarda. Il sesso (libero e senza limiti) è un dio. L’individuo non deve incontrare ostacoli nel realizzare i suoi desideri e nella ricerca del piacere: questa è la filosofia imperante. Tra i valori dominanti, per i cultori della morte, c’è quello che la gente dovrebbe essere in grado di fare sempre tutto quello che vuole con il proprio corpo e del proprio corpo. Di fronte al proprio corpo gli altri e i diritti degli altri non contano proprio niente. Questo giustifica l’aborto, ma non solo. Per la Planned Parenthood, per esempio, è perfettamente lecito che le persone sieropositive nascondano il loro stato ai partner sessuali. Cosa fatta, per esempio, da una celebrità di Hollywood come Charlie Sheen, che ha ammesso di essere stato con 5.000 donne da quando gli è stato diagnosticato l’AIDS. L’International Planned Parenthood Federation, in un suo libretto per i giovani sieropositivi, dice che chi vive con l’HIV ha il diritto di decidere se, quando e come rivelare il proprio stato di sieropositività. Alcuni Paesi hanno leggi che impongono ai sieropositivi di dichiararsi, prima di avere rapporti sessuali, anche se usano il preservativo. Queste leggi, secondo la PPF, violano il diritto alla privacy delle persone che vivono con l’HIV. Del resto, prosegue l’opuscolo della PPF, ci sono molte persone alle quali non importa se il loro partner è sieropositivo oppure no. E ognuno ha diritto ad avere le sue esperienze di piacere sessuale. Già nel 2011, un membro dello staff della Planned Parenthood è stato colto dal giornalismo investigativo di Live Action mentre diceva a un uomo con una malattia venerea che poteva andare a donare il sangue. Ecco. Questo spiega perché parliamo di “cultura della morte” quale back ground ideologico dell’ipersessualizzazione della società.
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La vignetta del mese
di Francesca Gottardi
Sara Fernanda Giromin ha rinnegato pubblicamente il suo passato tra le fila delle Femen brasiliane, gruppo che lei stessa aveva fondato. La sua ‘conversione’ a 360 gradi è narrata in un libro dal titolo “Cagna, no! Sono stata tradita sette volte dal femminismo”, ed è iniziata dopo la nascita del suo secondo figlio. Il suo primo bambino l’ha abortito. E se n’è pentita amaramente. Oltre a ciò, la Giromin denuncia al mondo la sua disillusione rispetto al femminismo e all’ideologia gender, rinnega il suo bisessualismo (creato “artificialmente” per essere accettata nel gruppo) e ha pubblicato su YouTube un video dal titolo “Chiedo scusa ai cristiani per la protesta femminista”. Nell’ottobre del 2014, infatti, si era baciata con un’altra ragazza seminuda di fronte alla chiesa di Nostra Signora di Candelária, a Rio de Janeiro. La Giromin aveva lasciato le Femen già nel 2013, denunciando il business collegato a queste forme estreme di protesta. Ora dice apertamente che il mondo femminista è in realtà contro le donne, contro gli uomini, contro le famiglie, contro il cristianesimo; e in favore di aborto, prostituzione, pedofilia, uso di droga, del diffondersi dell’omosessualismo… Ora la Giromin è una persona diversa e dice: “Oggi sono molto più felice e sono in grado di aiutare molto di più le donne”. Parola di ex-Femen.
L’ultima favola gender arriva dalla Gran Bretagna, ed è un remake di Cenerentola, opera di Olly Pike. Con il suo “Cenerentolo” vuole, a suo dire, rompere il muro dei pregiudizi nei confronti dei differenti tipi di orientamento sessuale. Cenerentola si trasforma in Jamie, una bambina orfana e povera che è vittima delle angherie dei suoi fratelli. Ma in più a tormentarla, mentre è impegnata nella classica ricerca del principe azzurro, è la relazione con il proprio corpo. La nostra Cenerentola del 2015, infatti, è soprattutto alla ricerca della sua vera identità sessuale, che ritrova improvvisamente quando si presenta al gran ballo vestita da ragazzo, con i capelli corti e il frac. Ma nessuno ha pensato che anche il novello “Cenerentolo”, prima o poi, dovrà fare i conti con lo scoccare della mezzanotte? E l’ora della verità arriva per tutti, prima o poi…
La rivista Nature ha pubblicato recentemente un articolo che individua numerosi luoghi comuni, che anche nell’ambito scientifico vengono considerate verità indiscutibili. Si tratta di convinzioni dure a morire, leggende metropolitane che riguardano la medicina (dalle cure per il cancro all’omeopatia) e – udite, udite – la crescita della popolazione. Noi l’andiamo ripetendo da tempo. Abbiamo persino intitolato un numero di questo nostro mensile “Più siamo, meglio stiamo”, proprio per sfatare i dogmi mortiferi neo-malthusiani che fanno credere necessario il controllo della popolazione per la scarsità delle risorse e la sopravvivenza del pianeta e della specie. È vero proprio il contrario. La popolazione umana non sta crescendo troppo. La crescita della popolazione non è la nostra condanna. I ricercatori contattati da Nature, una rivista scientifica non certo ‘cattolica, integralista bigotta’ – anzi, tutt’altro – sostengono che la popolazione umana non sta crescendo in modo esponenziale ed è improbabile che ciò accada anche in futuro. Molti sono convinti che la crescita della popolazione porterà all’apocalisse e che mancheranno le risorse per tutti. Secondo l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazioni Unite, invece, il tasso di produzione alimentare globale supera la crescita della popolazione. C’è quindi cibo sufficiente per tutti, nonostante sia mal distribuito, venga utilizzato come mangime o per fare carburanti, o sia addirittura perduto. E sono questi i motivi per cui, secondo gli scienziati di Nature, esiste ancora la fame nel mondo.
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N. 38 - FEBBRAIO 2016 Anna Maria Pacchiotti
Anna Maria Pacchiotti
Presidente dell’associazione
“Onora la Vita Onlus”. presidente Anna Maria Pacchiotti, : www.onoralavita.it dell’associazione “Onora la Vita onlus”.
: www.onoralavita.it
Giulia Tanel
www.libreshot.com
Esperienze di vita, ferite, lacrime e felicità
Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. Collabora con libertaepersona.org e con altri siti internet e riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella storia (Ed. Lindau).
La Presidentessa di “Onora la Vita” onlus (www.onoralavita.it) ci ha scritto ancora delle sue esperienze di volontaria: con tante difficoltà, ma - a volte - con un esito gioioso insperato e impagabile. di Anna Maria Pacchiotti Durante lo svolgimento della mostra “Il miracolo della Vita”, lo scorso settembre, presso l’Oratorio San Luigi di Cardano al Campo (Varese), è entrata una signora in età avanzata. Era un momento tranquillo, eravamo sole. La donna ha ascoltato tutte le mie spiegazioni inerenti la crescita fetale e alla fine è scoppiata in lacrime. Mi ha raccontato d’aver fatto tutto il possibile per avere figli, durante l’arco della propria vita matrimoniale, ma di non esserci riuscita a causa di una grave endometriosi mal curata dal ginecologo locale. La sua esistenza di moglie è stata costellata di speranze e brevi gravidanze seguite da aborti spontanei. Pur non essendolo, si sentiva in qualche modo colpevole di non essere stata capace di mettere al mondo questi bimbi che, appena concepiti, ovviamente sentiva suoi e amava. Col passare degli anni la menopausa ha posto fine al periodo fertile di questa donna totalmente aperta alla vita, tuttavia le pene nel suo cuore non hanno avuto fine. Viviamo in una società disgregata dal divorzio, ferita dall’aborto, corrotta da leggi inique che hanno causato un grave crollo morale (come dichiarato con autorevolezza da Giovanni Paolo II, in comunione con gli altri Vescovi della Chiesa Cattolica nella Lettera Enciclica “Evangelium Vitae”, al capitolo 57). La poverina ha iniziato a sentirsi perseguitata da amici e conoscenti con frasi davvero poco delicate quali: “Beata te che non hai avuto figli!”. Queste persone dimostravano di avere scarsa sensibilità nei suoi confronti, oltre a una mentalità di base antinatalista, e hanno causato in lei, a poco a poco, una forte depressione.
Viviamo in una società disgregata dal divorzio, ferita dall’aborto, corrotta da leggi inique che hanno causato un grave crollo morale. Ho capito che stava vivendo una vera e grave sindrome post-abortiva. Come aiutarla? Come faccio con tutte le altre donne che hanno abortito di loro spontanea volontà: mal consigliate dai consultori, talvolta costrette dal marito, altre volte dal fidanzato, di fronte alla scelta “o lui o me”… (e rimarranno madri ferite durante tutto l’arco della loro esistenza. Nella maggior parte dei casi le coppie dopo l’aborto subiscono gravi traumi psicologici e il loro rapporto entra in crisi). Ho iniziato a spiegarle che i suoi bimbi hanno avuto comunque la Vita e l’Anima: vivono accanto a Dio e amano i loro genitori. Le ho amorevolmente consigliato di dare un nome a quei bimbi da lei tanto amati, di parlarne con un buon padre spirituale e, alla fine, di “auto-perdonarsi” per quelle morti delle quali davvero non ha nessuna colpa. L’ho abbracciata e lei ha sfogato il suo dolore in un pianto liberatorio. È ritornata tempo dopo a visitare la Mostra assieme a dei suoi parenti, che avevano dei deliziosi bimbetti, completamente rasserenata. La sua ferita si è rimarginata per il semplice fatto di essere stata messa al corrente di un fatto: che i bimbi “non nati”, che non hanno trovato posto in questo mondo, vivono comunque in Dio un’esistenza di grande Amore. Quante persone ferite trovo durante le mie mostre e bancarelle informative! Quante coppie tradite dal loro stesso ginecologo!
Attualità
A Caravaggio lo scorso settembre un uomo mi ha raccontato il suo malessere: la cicatrice nel suo cuore era ancora sanguinante dopo trent’anni. Era accaduto che la moglie, durante la prima gravidanza, avesse avuto una gestosi. Quando la coppia iniziò l’attesa del secondo figlio, il ginecologo consigliò loro l’aborto. Gli sposi erano giovani e disinformati: accettarono. L’intervento di “interruzione volontaria della gravidanza” - la cosiddetta “IVG”, una gravissima menzogna - fu, oltretutto, male eseguito. La donna ne uscì traumatizzata e sterile. La coppia aveva da tempo fatto un cammino spirituale attraverso gli ottimi sacerdoti del Santuario di Caravaggio, ma dopo l’aborto procurato del loro bimbo la loro vita peggiorò totalmente. Per fortuna, e per grazia di Dio, i due sposi hanno continuato ad amarsi, pur vivendo con dolore la scomparsa del secondogenito. Ma le ferite causate dall’aborto (che non si può mai chiamare “terapeutico”) sono state davvero numerose. In questo mondo male informato nessuno spiega che l’aborto non solo uccide bambini, ma ferisce in modo a volte gravissimo anche le madri e i padri…
L’aborto non solo uccide bambini, ma ferisce in modo a volte gravissimo le madri e sovente anche i padri… Una mattina, come tante altre, stavo effettuando un volantinaggio antiabortista all’esterno di un ospedale in provincia di Monza, in Brianza. Scambiavamo delle idee con i passanti e coloro che entravano e uscivano dal nosocomio. Qualcuno del gruppo, nel frattempo, recitava il Santo Rosario. Erano le 9.30 quando arrivò una donna visibilmente afflitta. La signora (che ovviamente si trovava in un momento di grave crisi morale e psicologica), vedendo le immagini sui tabelloni e sui volantini, raffiguranti feti e frasi che invitano alla riflessione, si è fermata ad ascoltare le nostre parole. Salita al primo piano, dove l’infermiera prenotava data e ora per l’“interruzione volontaria della gravidanza”, ebbe un rapido ripensamento e la ricetta del medico fu stracciata e gettata nel cestino della carta. Aveva deciso di non uccidere il figlio che portava in grembo. Uscendo si è fermata a parlare con me di quanto era accaduto, con le lacrime agli occhi, emozionata. È Dio che ci fa essere presenti nel posto giusto e al momento giusto. Abbiamo parlato e condiviso a lungo i nostri pensieri sui problemi che l’avevano portata a prendere una decisione così drastica. Poi siamo passate al lato pratico della vicenda: l’aiuto spirituale, pratico ed economico che avrebbe potuto ricevere dal locale Centro di Aiuto alla Vita. La Regione Lombardia è l’unica ad erogare le carte
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Foto: Madlen Deutschenbaur
ricaricabili (gestite dai Centri di Aiuto alla Vita) denominate “Nasko” e “Cresko”, che vengono aggiornate a seconda delle vere esigenze dei richiedenti. Ma, per averne diritto, avrebbe dovuto produrre il certificato di aborto inutilizzato. Pertanto siamo ritornate assieme al primo piano, nell’Ufficio dell’infermiera che aveva spezzato il certificato che condannava a morte il concepito. Il ricordo di quei momenti è così emozionante che il solo trascriverlo mi fa venire i brividi. L’infermiera immediatamente si è messa a cercare nel cestino i pezzi della “ricetta” e ha confessato: “Ero talmente felice della decisione presa dalla signora da aver stracciato il foglio in pezzi piccolissimi”.
È Dio che, a noi volontari per la vita, ci fa essere presenti nel posto giusto e al momento giusto: salvare una vita è una gioia indescrivibile, che ripaga qualsiasi sacrificio. Passammo a ricomporre con difficoltà il “prezioso” foglietto, come si trattasse di un “puzzle”, avvicinandone le varie parti e riattaccandole con lo scotch. Dopo una sincera e gradevole chiacchierata con l’infermiera ci siamo allontanate, abbracciate, lodando Dio per lo scampato pericolo. La mamma è stata seguita alla perfezione dal Centro di Aiuto alla Vita locale, con grande gioia di tutto il gruppo di volontariato.
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N. 38 - FEBBRAIO 2016
Educazione sessuale e contraccezione: a cosa servono?
Nei Paesi dove l’educazione sessuale e alla contraccezione è obbligatoria in tutte le scuole il numero di gravidanze indesiderate non è affatto diminuito. Anzi. di Giuliano Guzzo Della possibilità di introdurre come obbligatoria anche nelle scuole italiane l’educazione sessuale si discuteva da tempo, ma se l’argomento è tornato d’attualità lo si deve a lui, Rocco Siffredi, il celebre porno attore che da un paio di mesi ha lanciato in questo senso un appello, in una lunga lettera su Change.org. Nello specifico la richiesta di Siffredi, indirizzata al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, è quella di adeguare gli standard italiani a quanto già adottato nella maggior parte dei Paesi dell’Ue in ambito, appunto, di educazione sessuale nelle scuole: “In Italia contiamo decenni di proposte sull’educazione sessuale e nessuna legge. Non esiste una legge – lamenta il porno attore – nonostante ci sia richiesta di formazione”. Ora, Siffredi ha in effetti ragione quando dice che da noi “non esiste” una legge sull’educazione sessuale “nonostante ci sia richiesta di formazione”. Il punto però è un altro: di quale “formazione” si sta parlando? Verosimilmente richieste come quella del porno attore vertono sull’importanza di una maggiore diffusione,
Non esiste una legge sull’educazione sessuale “nonostante ci sia richiesta di formazione”. Il punto però è: di quale “formazione” si sta parlando? fra i giovani italiani, della contraccezione: in Italia, si sente spesso dire, siamo infatti agli ultimi posti europei sotto questo aspetto. Ritardo che sarebbe da colmare al più presto per arginare diverse problematiche, prima tra tutte quelle delle gravidanze non desiderate. Fin qui, la teoria. Sì, perché poi è opportuno verificare se davvero dove non si sconta il ritardo italiano sul versante contraccettivo la situazione sia più confortante. Ebbene, così non è. La Gran Bretagna, per esempio, è un Paese dove da alcuni anni – allarmati dal fenomeno abortivo tra le adolescenti e dal fatto che il numero complessivo delle interruzioni volontarie di gravidanza, anziché calare, abbia ripreso a salire – si è investito molto nella diffusione di contraccettivi. Una scelta che ha prodotto un esito totalmente inaspettato: le cose sono peggiorate. Il numero degli aborti, anche se di poco, ha infatti continuato a crescere – nel 2011 sono stati 189.931, mentre nel 2010 furono 189.574 – ma soprattutto tra le giovanissime sono aumentati drammaticamente gli aborti multipli. Caso inglese, caso isolato? No, non sembra affatto. Si pensi per esempio alla Spagna dove, nell’arco
Giuliano Guzzo
Giuliano Guzzo
Laureato in Sociologia e Ricerca Sociale,
collabora con diverse riviste e portali web laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, collabora con diverse riviste e portali web Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, È membro dell’Equipe Nazionale Giovani Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. del Movimento per la Vita italiano. È* membro dell’Equipe Nazionale Giovani del giulianoguzzo@email.com Movimento per la Vita italiano : www.giulianoguzzo.com
* giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo investito molto : www.giulianoguzzo.com
Nei Paesi dove si è nella diffusione dell’educazione sessuale e dei contraccettivi, il numero degli aborti ha continuato a crescere; tra le giovanissime sono aumentati drammaticamente gli aborti multipli. Annadei Maria di una decade, all’aumento del 63% dell’uso Pacchiotti contraccettivi è corrisposto una crescita ancora maggiore, pari addirittura al 108%, del tasso di aborto (cfr. Contraception, 2011). Oppure si consideri il caso della Svezia dove, tra il 1995 ed il 2001, durante un Anna Maria Pacchiotti, presidente periodo di facilitazione della diffusione dei contraccettivi, dell’associazione “Onora la Vita onlus”. il tasso di aborto delle adolescenti è lievitato del 32% : www.onoralavita.it (cfr. Sexually Transmitted Infections, 2002). E potremmo continuare a lungo, se non fosse già chiaro che non c’è correlazione tra contraccezione e riduzione delle gravidanze indesiderate (cfr. Journal of Health Economics, 2002). Come mai tutto questo? Molti, davanti ai dati ricordati – coerenti a loro volta con altre evidenze che interessano per esempio il contagio dell’HIV – replicheranno che tutto questo sia dovuto al fatto che si farebbe ancora “troppo poca” Giulia educazione sessuale. Chi però non teme la realtà, deve Tanel invece ammettere che le cose stanno diversamente e che la “formazione” di cui i giovani hanno bisogno – posto che non dev’essere la scuola, con un’invadenza di totalitaria memoria, ad insegnarla altra dall’apologia Laureata– inèFilologia e Critica Letteraria. per passione. Collaboranon con della contraccezione di cui siScrive parla. C’è bisogno libertaepersona.org e con altri siti internet e di educare al sesso, ma all’affetto. E di educare riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, non alla “sicurezza” del rapporto, ma aldelrischio di Miracoli - L’irruzione soprannaturale nella dell’Amore e della fedeltà, la quale ogni storiasenza (Ed. Lindau). relazione non sarà che uno sterile tentativo destinato a ripetersi innumerevoli volte con, per ovvie ragioni, innumerevoli rischi.
Rocco Siffredi (autore: Rick Hall, Hollywood, CA)
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10 N. 38 - FEBBRAIO 2016
Federico Catani
Laureato in scienze politiche ed insegnante di religione, è attualmente laureando in scienze religiose. È giornalista pubblicista.
Una scena da “Orwell 1984”, un film britannico del 1984 diretto da Michael Radford, basato con fedeltà ‘totale’ sul noto romanzo, tanto che molte scene sono state girate nel giorno in cui sono ambientate nel libro.
La neolingua: dal “1984” al… 2016
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”, scriveva Orwell. Ma per “dire” la verità è necessario riappropriarsi del linguaggio. di Federico Catani “1984” di George Orwell è un romanzo angosciante e tristemente profetico. La storia si svolge in un futuro prossimo: l’autore scriveva nel 1948 e l’ha intitolato “1984”, appunto. Londra è la capitale dell’Oceania, un macro-stato retto da un regime totalitario al cui vertice c’è il Grande Fratello, che nessuno ha mai visto, se non nei grandi manifesti affissi ovunque. La società è governata secondo i principi del Socing, il socialismo inglese, che è il Partito unico. Tutti sono costantemente sorvegliati da onnipresenti teleschermi, anche in casa. I teleschermi trasmettono propaganda e vedono e ascoltano ogni movimento e ogni parola, anche durante il sonno: in questo modo il governo può controllare e reprimere facilmente ogni minimo atteggiamento, sebbene inconsapevole, che riveli pensieri contrari all’ortodossia del Partito.
“La neolingua è diventata realtà, e chi controlla i mass media la utilizza per attuare un vero e proprio lavaggio del cervello a tutti, bambini compresi”. Per plasmare un’umanità nuova, fedele alle sue direttive, il Grande Fratello introduce una nuova forma di linguaggio, la neolingua. Attraverso un lessico creato ex novo, infatti, è possibile instillare in ogni membro del Partito (cioè in ogni suddito) l’unica verità, quella che il Partito stesso decide di volta in volta. Nella neolingua sono ammessi solo termini che abbiano un significato preciso, privo di potenziali sfumature eterodosse: l’obiettivo è quello di rendere impossibile un pensiero critico individuale. Ing-Soc, o Soc-Ing, è l’unico Partito dell’Oceania
Tutte le parole sgradite vengono censurate e catalogate come “psicoreato”: in tal modo diventa impossibile anche solo pensare a un argomento “proibito”. Infatti, se si sono eliminate le parole, non esistono più i concetti atti a mettere in discussione l’operato del Partito. La neolingua è particolarmente espressiva nei nomi dei vari dicasteri governativi. Il Ministero dell’Amore è preposto a imprigionare, torturare, rieducare e uccidere chiunque mostri il minimo segno di eterodossia; il Ministero della Pace si occupa di guerra; il Ministero dell’Abbondanza stabilisce i razionamenti di cibo; il Ministero della Verità fa propaganda e cancella e riscrive la storia, nell’eventualità in cui non si conformi agli interessi del Partito. I contenuti di libri, giornali, film e documenti, per esempio, vengono riscritti continuamente: tutti i fatti scomodi al Partito sono periodicamente e sistematicamente cancellati e sostituiti.
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Ovunque sono presenti i cosiddetti “buchi della memoria”, nei quali i membri del Partito gettano i documenti da distruggere. Anche la famiglia stessa viene ridotta a uno strumento di controllo: i bambini vengono incoraggiati a osservare i genitori e a riferire al governo ogni loro possibile comportamento ostile al Partito. “1984” è dunque un romanzo distopico, ovvero immagina una società fantastica mostruosa, nella quale nessuno vorrebbe vivere. Eppure quanto Orwell scrive non è poi così distante dalla società in cui viviamo.
“Viviamo davvero in un mondo che ha dimenticato il principio di identità e di non contraddizione”. La neolingua è diventata realtà, e chi controlla i mass media la utilizza per attuare un vero e proprio lavaggio del cervello a tutti, bambini compresi. La parola “sesso” è sempre più interscambiata con i termini “genere”, “orientamento sessuale”, “identità di genere”, in omaggio ai diktat della teoria gender. Di aborto si parla poco, preferendo usare l’espressione “interruzione volontaria della gravidanza” o, meglio ancora, la sua asettica sigla IVG, per indurre a pensare che non si tratta di uccidere qualcuno, ma di un diritto volto a tutelare la libertà delle donne. E infatti sono ben note anche le diciture “diritti sessuali e riproduttivi” o “aborto terapeutico”. Lo stesso vale per la fecondazione artificiale: non va chiamata così, ma “procreazione medicalmente assistita”, o PMA. Il termine “utero in affitto” non si può utilizzare e in certi Paesi, come ad esempio il Canada, chi vi ricorre è passibile di ammenda: si deve dire “gestazione di sostegno”. Così come si parla di “donatori” di gameti per nascondere che in verità si tratta di un rapporto di compravendita. Il termine “eutanasia” serve a mascherare l’omicidio di un malato. Per non parlare poi del cosiddetto “matrimonio egualitario”, ovvero il “matrimonio” omosessuale. Il matrimonio, per definizione, è tra un uomo e una donna. In questo caso invece se ne estende indebitamente il significato, applicandolo a situazioni del tutto diverse. Tanto che poi, quale logica conseguenza, si arriva a parlare di adozioni gay (e la stessa parola “gay” non dovrebbe aver nulla a che vedere con l’omosessualità). Chi si oppone si macchia del grave reato di omofobia, concetto totalmente inventato per scopi ideologici. Cosa significa infatti omofobia? Quando si è omofobi? Con la legge Scalfarotto, per ora ferma al Senato, ci si avvicina molto al sistema di piscopolizia dell’Oceania orwelliana. Non c’è forse anche oggi un Ministero della Verità che impone con la forza le sue menzogne? Un ministero che modifica il linguaggio adattandolo, per rimanere in tema, all’ortodossia omosessualista?
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E chi non si piega non viene forse perseguito duramente e rieducato (si veda l’esemplare caso di Guido Barilla) dal Ministero dell’Amore che, in nome del dialogo e della tolleranza, non accetta la benché minima forma di pensiero eterodosso? La neolingua imposta dal Grande Fratello serve a impedire ogni deviazione. I membri del Partito (tutti i sudditi) devono essere in grado di emettere giudizi eticamente o politicamente corretti con lo stesso automatismo con cui le mitragliatrici sparano i proiettili. Obiettivo finale, come detto, è impedire che si arrivi anche solo a ipotizzare pensieri o concetti eterodossi. Oggi accade grosso modo lo stesso. E alla fine tutti ci ritroviamo, inconsapevolmente, a ritenere normale tutto quanto ci vogliono far credere lo sia: che due uomini si sposino e abbiano dei figli; che una donna tenga in grembo un bimbo per nove mesi per poi darlo ad altri ricevendo in cambio denaro; che ogni sentimento d’affetto è amore; che esistano tanti tipi di famiglie; che per un bambino l’importante sia essere amato, e non importa se a farlo sono due omosessuali; che vietare l’aborto è una barbarie; che pretendere un figlio, con ogni mezzo, è giusto; che embrioni o feti malati debbano essere eliminati “per il loro bene”; che non sempre la vita sia degna di essere vissuta e che dunque sia preferibile togliersela, e così via.
“Tutti ci ritroviamo, inconsapevolmente, a ritenere normale tutto quanto ci vogliono far credere lo sia”. Tutto, anche nella nostra società, è programmato per manipolare le menti. Nella neolingua esiste il termine “nerobianco”. Come altre parole, si riferisce a due significati che si negano a vicenda: il nero, ad esempio, è bianco quando il Partito ordina che sia così. Ma, attraverso il bipensiero, indica anche la capacità di credere davvero che il nero sia bianco, e di sapere che così effettivamente è. A dispetto della realtà. Se i fatti smentiscono l’ideologia, tanto peggio per i fatti. Viviamo davvero in un mondo che ha dimenticato il principio di identità e di non contraddizione. In Oceania, se il Partito dice che 2+2=5 bisogna credere e sapere che così è. Quanti ricorrono a termini normali, classici, con un loro specifico significato, legati al mondo reale, vengono considerati pazzi, antiquati ed eretici, e vanno quindi messi a tacere, minacciati e riformati. Se però qualcuno continuerà ancora a dire “pane al pane e vino al vino” – sostenendo che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma; che la famiglia è fatta da uomo, donna e figli; che l’aborto è un omicidio; che i figli non si comprano… – potrà orgogliosamente ritenersi un anticonformista. Un vero ribelle al nuovo Grande Fratello di oggi: “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”, diceva Orwell. E ne vale la pena.
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Don Mattia Tanel
Classe 1986, è nato e vissuto a Trento. Dopo gli studi filosofici è entrato in Seminario a Ferrara nel 2009. Attualmente è diacono e membro della Fraternità Sacerdotale della Familia Christi, eretta in Diocesi di Ferrara-Comacchio da S.E. Mons. Luigi Negri.
Aldous Huxley
Verità del linguaggio, verità delle cose Un Dizionario dell’Antilingua, il lessico della menzogna di Don Mattia Tanel Secondo Pascal “un medesimo significato cambia secondo le parole che lo esprimono” (Pensieri, 51 Cheval). La parola è un medium tutt’altro che neutro o indifferente: servirsene in modo corretto, specie da parte di chi ha il potere di influenzare con esso grandi masse di persone, è un atto imprescindibile di onestà intellettuale e di responsabilità. Aldous Huxley afferma che “l’educazione alla libertà (e all’amore e all’intelligenza, che sono al tempo stesso condizioni e conseguenze della libertà) dev’essere, tra l’altro, educazione al retto uso del linguaggio”. E questo perché, “nella loro propaganda antirazionale”, “i nemici della libertà inquinano sistematicamente le fonti del linguaggio, per forzare le loro vittime a pensare, a sentire, ad agire nel modo in cui vogliono farli pensare, sentire e agire essi, i manipolatori dei cervelli” (Ritorno al Mondo Nuovo, in A. Huxley, Il Mondo Nuovo. Ritorno al Mondo Nuovo, Milano 1991, p. 328). Ogni ideologia, cioè ogni tentativo di adeguare la complessità dell’esistente a uno schema interpretativo parziale o errato, patisce inevitabilmente una certa mancanza di contatto con la realtà, una scollatura più o meno accentuata rispetto ai dati dell’evidenza empirica e all’autenticità della condizione e delle aspirazioni umane. Uno dei mezzi più efficaci per occultare questa scollatura, come ha denunciato George Orwell, è appunto il linguaggio. In “1984”, il “Partito” si avvale della neolingua, un lessico artificiale e ingannevole elaborato per ottundere la coscienza e l’intelligenza della popolazione. Come spiega Orwell nell’appendice al romanzo (G. Orwell, “1984”, Milano 1984, p. 331), la neolingua serve precisamente a rendere impossibile ogni forma di pensiero diverso da quello dominante. L’intuizione letteraria di Orwell trova oggi una perfetta applicazione in numerosi ambiti, come nel campo della bioetica e delle politiche sociali (di fatto trasformate in ingegneria sociale).
Ogni ideologia, cioè ogni tentativo di adeguare la complessità dell’esistente a uno schema interpretativo parziale o errato, patisce inevitabilmente una certa mancanza di contatto con la realtà. Il destino di un essere umano è segnato, nel momento in cui si abbandona la parola “figlio” per le espressioni “prodotto del concepimento”, “massa di protoplasma”, “pre-embrione”, o la parola “aborto” per locuzioni come “interruzione della gravidanza”, “contraccezione d’emergenza” (o “retroattiva”) o “embrioriduzione”. E che dire dell’ormai dilagante aggettivo “omofobo”, attribuito a mo’ di ricatto morale a chiunque esprima opinioni improntate alla più lampante normalità dei rapporti sessuali, generativi ed educativi? Pier Giorgio Liverani ha raccolto e commentato molti di questi termini-frottola in un prezioso “Dizionario dell’Antilingua. Le parole dette per non dire quello che si ha paura di dire”, edito nel 1993 dalle Edizioni Ares. Il dizionario è poi riapparso, aggiornato e ampliato, in appendice al libro di Liverani “La società multicaotica”, Ares 2005. Scorrendone le voci è possibile riconoscere alcune strategie comunicative ricorrenti adottate dalla cultura radicale-individualista che oggi ispira la stragrande maggioranza dei mezzi di informazione occidentali. Elenchiamo le più comuni: - eliminazione delle parole che evocano legami di cura e dipendenza reciproca (come “madre”, “figlio”, “bambino”, “padre”, “famiglia”), sostituite da altre più atte a designare l’individuo-monade, sciolto dalle relazioni e dalle responsabilità (come “donna”, “autore del concepimento”, “famiglia debole”, “coppia di fatto”, “famiglia monoparentale”): nella stessa legge 194/78 che legalizza l’aborto in Italia, la parola madre è contenuta 1 sola volta!
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evocazione di parole-feticcio, dal contenuto suadente e apparentemente positivo, nel cui nome legittimare i più disparati attacchi alla vita e alla dignità umana (“diritti civili”, “conquista civile”, “Scienza”, “emancipazione femminile”, “autodeterminazione”, “libertà individuali”, “libertà di scelta”, “qualità della vita”, “tolleranza”, “diritto alla salute”, “rispetto delle differenze” e molte altre). Queste espressioni hanno l’effetto non trascurabile di gratificare il destinatario della propaganda con un sentimento di superiorità ideale e di appartenenza a un’élite di “laici, moderni, illuminati, tolleranti”, baluardo contro le pulsioni irrazionali e retrive delle masse popolari e cattoliche; - evocazione reiterata e aggressiva di termini minacciosi e negativi, allo scopo di delegittimare culturalmente e moralmente, censurare e -
Blaise Pascal
- uso di sigle e di locuzioni vaghe e astruse, o anche semplicemente imprecise, al posto di definizioni chiare (ad esempio, “interruzione di gravidanza” o IVG in luogo di “aborto procurato” o “omicidio”; “complesso di cellule evolutive” o “pre-embrione” in luogo di “embrione”; “procreazione medicalmente assistita” o PMA in luogo di “fecondazione artificiale”; GPA (gestazione per altri) al posto di utero in affitto; “sedazione terminale” in luogo di omicidio diretto di persone che vivono “una vita non degna d’essere vissuta”; “sospensione dell’ANH (artificial nutrition and hydration)” in luogo di morte per fame e sete inflitta a malati non più in grado di nutrirsi autonomamente. Tale tecnica (al pari della successiva) è molto efficace nell’annientare la consapevolezza del valore fondamentale della vita umana e della portata etica degli atti che si compiono; - uso (e conio) di termini tecnici, cioè asettici e freddi, meglio se dall’apparenza scientifica, per celare la vera essenza di ciò di cui si parla e non “destare alla contemplazione” il lettore o l’uditore (“unità feto-placentare”, “ootide”);
L’educazione alla libertà, all’amore, all’intelligenza deve essere, tra l’altro, educazione al retto uso del linguaggio. - diffusione di dati e statistiche manipolati, fino alla vera e propria invenzione di cifre fasulle a puro scopo di propaganda (la menzogna ripetuta alla nausea diventa una “verità”, come insegnavano Voltaire e Goebbels). Ad esempio, nei primi anni Settanta si cominciò ad affermare che gli aborti clandestini in Italia ammontavano a circa 800.000 l’anno (una cifra pari a quella delle nascite!), e poi un milione, due milioni o addirittura quattro milioni l’anno: cifre propalate con assoluta serietà da giornali e mass media, incuranti di attribuire così a ogni donna italiana fino a una media di undici aborti volontari in vita. Ancora più inverosimile il numero di donne che sarebbero morte ogni anno per aborto clandestino: maggiore del numero di tutte le donne morte in età fertile registrate annualmente (cfr. “Dizionario”, cit., p. 27). Oggi accade lo stesso per quanto riguarda il numero di “famiglie” omosessuali, dei figli di “due mamme” o “due papà”, dei casi di “aggressione omofoba”…
La verità del linguaggio serve a distinguere il bene dal male. Senza la distinzione del vero e del falso, del bene e del male non si edifica alcuna autentica civiltà: i valori di libertà, rispetto, tolleranza sono svuotati, significano solo soddisfazione immediata di bisogni e di impulsi, fine a se stessi, senza futuro. sottoporre a giudizio preventivo le idee di coloro – cattolici e non – che si oppongono alla cultura radicale - individualista (“oscurantisti”, “clerico-fascisti”, “Medioevo”, “crociate”, “caccia alle streghe”, “Galileo”, “cultura maschilista e patriarcale”, “integralisti”, “familisti”, “omofobi”, “sessismo” e molte altre). La rivoluzione sessuale e culturale del ‘68 ha sovvertito il linguaggio con il quale si poteva distinguere il bene dal male. Le parole sono state svuotate. Senza la verità del linguaggio non si edifica alcuna autentica civiltà: venuta meno la distinzione del vero e del falso, del bene e del male i valori di libertà, rispetto, tolleranza significano solo soddisfazione immediata di bisogni e di impulsi, fine a se stessi, senza futuro. Ristabilire la verità del linguaggio: è questo il compito che urge per chiunque voglia contribuire a riaffermare la verità delle cose.
George Orwell
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Rodolfo Granafei
Ha insegnato storia e filosofia nei licei per una vita, ma preferisce di gran lunga la conversazione alla lezione. .
Foto: Nadine Doerlé
C’era una volta…
… la libertà di parola: l’esperienza di un professore, in un liceo, che la dice lunga sulla presa che ha fatto una certa propaganda sulle nuove generazioni. di Rodolfo Granafei Il mio ultimo anno d’insegnamento è stato per me l’anno di una rivelazione che in sé non aveva niente di nuovo, solo che trovarsela davanti in carne e ossa è stata un’esperienza terrificante, senza girarci molto intorno. Non ho la minima tendenza alla drammatizzazione – caso mai il contrario – ma per uno della mia età la scoperta di cui parlerò non può essere che terrificante.
A che punto è la notte della nostra libertà per quel che riguarda specificamente il linguaggio? Dopo la strage di Charlie Hebdo, vale a dire la distruzione della redazione di una rivista satirica – che infatti se la passa male – ovviamente ne ho parlato nelle “mie” classi (insegnavo storia e filosofia), vale a dire in 3°, 4° e 5° di un liceo scientifico romano, il Righi. In una classe non è stata neanche presa in considerazione l’idea che chi si sente insultato da uno scritto pubblico si può rivalere legalmente. Cioè: il fatto che la manifestazione del pensiero non possa/debba essere limitata con l’uso delle armi, perché chi è interessato da testi che ritiene insultanti si può rivolgere al giudice. Quindi non si può giustificare in alcun modo la violenza. No, gli alunni di cui parlo non erano minimamente interessati alla tutela legale di chi si sentisse insultato, calunniato etc. La richiesta di alcuni alunni riguardava il rispetto (che io “per rispetto” scrivo con una sola “r”, basterebbe aggiungerne per alludere alla mafia) dovuto agli altri, che non devono essere messi alla berlina etc. In sostanza, in questa classe si chiedeva una limitazione della libertà di espressione, e l’idea-base era che i giornalisti “se l’erano cercata”. Altri studenti non avevano una posizione decisa ma una certa indifferenza alla limitazione col mitra della libertà di espressione.
Partendo da questo esempio un po’ duro, ci possiamo chiedere a che punto è la notte della nostra libertà per quel che riguarda specificamente il linguaggio. Sappiamo che il linguaggio “politicamente corretto” ci perseguita da tempo – precisamente dagli anni Trenta quando fu inventato (da sinistra) negli U.S.A. – e che ha fatto notevoli progressi. A chi si ostinasse a non sapere di cosa si tratta, potremmo fare qualche semplice esempio: si dice “nero” e non “negro”, “colf” e non cameriera o, peggio, serva, si dice “verticalmente svantaggiato” e non “nano”, non si dice “ragazza facile” ma “orizzontalmente accessibile” e, per concludere, non si dice “handicappato” ma “divers(amente)abile” contraibile in “diversabile” che, la prima volta che l’ho incontrato, mi ha lasciato interdetto. Se si trattasse solo di questo delirio eufemistico conosciuto limitatamente anche nell’antichità, pace: chi si adegua faccia e chi no si faccia due risate. Quando arriviamo però a IVG – Interruzione Volontaria di Gravidanza – per “aborto” le cose cominciano a cambiare. Quando apprendiamo da qualsiasi giornale che gli studenti di università europee e americane sempre più spesso rifiutano di ascoltare politici, scrittori, docenti o comunque personalità che considerano politicamente scorrette, allora ci troviamo di fronte a una vera e propria censura da parte delle… giovani generazioni. Il che è, appunto, per me terrificante.
Le giovani generazioni mettono in discussione la libertà in nome del politicamente corretto. Ma concludiamo in bellezza: nel 1993 esce “Word that wound. Critical race theory, assaultive speach and the first Amendament”, scritto da quattro illustri docenti di legge. Il testo conclude con la messa in discussione del primo Emendamento della Costituzione degli U.S.A., quello che riguarda libertà di culto, parola e associazione. Per chi volesse controllare, M. Arcangeli, Italianistica online, “La libertà imbrigliata”. Ma non è che un inizio…
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L’ingegneria verbale: uso delle parole per confondere le menti
La manipolazione del linguaggio consiste in una pratica finalizzata a modificare la percezione della realtà modificando le parole che la descrivono, per far cambiare il modo di agire delle persone. di Marcello Riccobaldi e Serenella Verduchi Il matrimonio e la famiglia, realtà tra le più elementari della nostra vita, sono oggi oggetto di dibattito, soprattutto a causa della confusione contemporanea, anche tra coloro che si professano cristiani. Partendo da alcune riflessioni di Denis Q. McInerny (D.Q. McInerny, A Philosophical Reflection on Marriage and the Family su “The Two shall become One. Atti del Simposio Internazionale”, Human Life International e Kolbe Center, 26 settembre 2015), professore di Filosofia, prenderemo in esame i concetti di matrimonio e di famiglia per cercare di comprendere la realtà odierna, poiché nella mente di molti ciò che dovrebbe essere stabile, vacilla e ciò che non dovrebbe essere opinabile, è divenuto discutibile. La confusione che ha investito il concetto di matrimonio ha finito per travolgere anche quello di famiglia: cosa prevedibile, in quanto esse sono due entità inseparabili, come un edificio è inseparabile dalle proprie fondamenta. Tuttavia è opportuno iniziare l’analisi ponendo una distinzione fondamentale: prendendo spunto dall’analisi di McInerny si deve innanzitutto distinguere tra confusione volontaria e involontaria. La confusione involontaria è quella vissuta dal “cattolico medio”, il quale non ha mai riflettuto seriamente sulla natura del matrimonio e della famiglia ma che ora, a causa del precipitare della situazione e del martellamento mediatico, non può più fare a meno di pensare a tali tematiche. Dai media riceve un flusso continuo di opinioni sull’argomento, ma si sente disorientato perché esse contraddicono quanto ha sempre pensato fosse la tradizionale concezione cattolica del matrimonio e della famiglia.
Per lui le cose peggiorano ulteriormente quando gli capita di sentire affermazioni disorientanti da alcuni membri del clero. Al confuso “involontario”, sviato da una conoscenza imperfetta della propria fede perché sin dalla sua giovinezza è stato privato di una catechesi adeguata, mancano i mezzi per dare una risposta argomentata ai concetti erronei dai quali è circondato. Chi, invece, si trova in uno stato di confusione volontaria circa il significato del matrimonio e della famiglia, non è affatto una vittima passiva della propria confusione, ma ne è, piuttosto, l’autore. La sua è una confusione autoindotta e che egli stesso incrementa. Concretamente egli è realmente confuso, ma nella sua mente si sente saldo nelle proprie idee, cui si aggrappa tenacemente nella sua mentalità chiusa.
L’obiettivo di ridefinire il concetto di matrimonio e di famiglia serve a venire incontro alle esigenze di chi ha adottato uno stile di vita aberrante e contro natura. La confusione volontaria si spiega per mezzo di un’alienazione dalla realtà oggettiva. Il soggetto in questione può credere fermamente che, ad esempio, ciò che egli chiama matrimonio possa essere contratto tra due uomini o tra due donne, oppure può definire come famiglia un nucleo formato da due padri o due madri. Questo costituisce una sorta di pazzia, se con pazzia s’intende la condizione di chi rifiuta quanto è stato costituito dalla natura.
Human Life International
Questo articolo è un contributo a ProVita dell’ufficio italiano di Human Life International (www.hli.org). : www.vitaumanainternazionale.org
Foto: Gerd Altmann
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Foto: Kai Stachowiak
Il fatto che concetti così elementari e fondamentali, come quelli di matrimonio e famiglia, vengano così grossolanamente distorti, indica chiaramente che ci troviamo di fronte a un attacco aperto alla stessa nozione di realtà oggettiva. Questa guerra contro la realtà oggettiva rifiuta esplicitamente l’idea che ci sia un ordine morale che trova espressione in una legge universale, che è possibile definire “legge naturale”. Alcune persone, scegliendo volontariamente la confusione, rifiutano, magari in modo implicito, di riconoscere l’esistenza di un ordine naturale oggettivo, vale a dire un universo inderogabilmente governato da leggi fisse. Tali persone sono invece pronte a credere che l’ideologia o il capriccio dell’uomo possano alterare tale ordine universale.
L’opinione pubblica ritiene vero ciò che è detto, ripetuto e creduto tale, indipendentemente dall’assurdità di quanto viene sostenuto e, purtroppo, indipendentemente dalle tragiche conseguenze che questa credenza può avere su chi ne è soggetto o vittima. Nell’attuale scenario troviamo tali personaggi ai posti di comando – nel mondo della politica, della cosiddetta cultura, dello spettacolo e della “disinformazione organizzata” – il cui obiettivo è quello di ridefinire il concetto di matrimonio e di famiglia, per venire incontro alle esigenze di chi ha adottato uno stile di vita aberrante e contro natura. Tra le armi preferite da chi ha dichiarato guerra alla realtà, una delle più potenti è indubbiamente la manipolazione del linguaggio: “La manipolazione del linguaggio consiste in un tentativo consapevole finalizzato a modificare la percezione della realtà attraverso il modo in cui viene dipinta, e di conseguenza cambia il modo di agire delle persone”, scrive Mons. Ignacio Barreiro (I. Barreiro, Ingegneria Verbale in “Lexicon: Termini ambigui e discussi su Famiglia e vita e questioni etiche”, Edizioni Dehoniane, Bologna 2003, p. 494). Già George Orwell nel suo capolavoro “1984” aveva profeticamente intuito come quella che egli aveva
definito neolingua sarebbe stata utilizzata dalle strutture di potere per ri-definire la realtà oggettiva, adattandola così agli scopi dei dominanti, vale a dire per poter meglio comandare i dominati. Purtroppo oggi abbiamo sempre di più la tragica conferma di come “l’opinione pubblica ritiene vero ciò che è detto, ripetuto, creduto tale, indipendentemente dall’assurdità di ciò che è sostenuto e, purtroppo, indipendentemente dalle tragiche conseguenze che questa credenza può avere su chi ne è soggetto e vittima” (M. Bettetini, Breve storia della bugia. Da Ulisse a Pinocchio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, p. 111). Il metodo usato nell’ingegneria verbale è quello di operare una sottile alterazione delle parole, attribuendo al tradizionale significato di una parola altre sfumature. L’opinione pubblica che si abituerà al nuovo significato accetterà il nuovo termine, il più delle volte non rendendosi conto di come esso sia un cavallo di Troia per introdurre un nuovo messaggio, di solito deleterio. Tale procedimento è stato adottato, in molti Paesi, perché fosse, inizialmente, reso accettabile dall’opinione pubblica il concetto di eutanasia, per poi renderla legale. Etimologicamente parlando, nell’antichità l’eutanasia significava una morte facile senza gravi sofferenze, mentre oggi viene chiamata eutanasia la somministrazione di farmaci letali a persone più o meno consenzienti... Un’altra strategia impiegata dagli ingegneri verbali è l’eufemismo, usato frequentemente per cambiare i comportamenti sociali e alterare la realtà. Ciò è evidente nel caso dell’aborto, dal momento che parole come “uccidere” e “distruggere” non vengono mai usate; viene invece chiamato “interruzione volontaria di gravidanza” e la clinica dove esso si pratica viene definita “centro di salute riproduttiva”. Rivolgendo l’attenzione alle tematiche inerenti la famiglia e il matrimonio, è a tutti noto come sia stato recentemente coniato il termine “omofobia”, con cui gli attivisti omosessualisti tacciano qualunque presa di posizione che si oppone alle loro folli pretese. È un termine messo a punto per indicare che chi si oppone a tali richieste soffre di una qualche patologia.
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Dall’antilingua alla neolingua, chi ci rimette è la famiglia.
Ancora sulla potenza del linguaggio, con particolare attenzione a quello coniato da coloro che operano per la distruzione della famiglia.
ma naturalmente richiede un impegno maggiore al nostro sguardo contemplativo: il termine “embrione” di Teresa Moro o “feto”, ad esempio, definiscono in modo impeccabile, ma non evocano o rivelano quanto il più generico “figlio”. Il termine antilingua fu introdotto da Italo Usare una parola piuttosto che un’altra non è indifferente. Calvino nel 1965 a designare l’italiano “legnoso”, Attraverso il linguaggio, infatti, si trasmette una impreciso, privo di vita, adoperato in particolare nei precisa visione della realtà. In tale ambito, tuttavia, documenti ufficiali e burocratici. “Caratteristica assistiamo oggi al dilagare di diversi fenomeni, in parte principale dell’antilingua è quella che definirei il anche tra loro contrapposti: da un lato, vediamo una sorta ‘terrore semantico’, cioè la fuga di fronte a ogni di depotenziamento dell’uso del linguaggio, con una vocabolo che abbia per se stesso un significato diminuzione del bagaglio lessicale proprio di ogni […]”, scriveva Calvino su “Il Giorno” del 3 febbraio di persona; di contro, assistiamo alla continua creazione di quell’anno; “nell’antilingua i significati sono costantenuovi termini, atti a indicare realtà che fino a qualche mente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva decennio fa non esistevano: nel campo informatico, di vocaboli che per se stessi non vogliono dire niente per esempio, si pensi banalmente a “twittare”, piuttosto o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente”. che “hashtag”, “taggare” o “linkare”, se non addirittura Se Calvino utilizza il termine nell’ambito socio“googlare”… e l’elenco potrebbe continuare. Accanto linguistico di cui si è accennato (cfr. I. Calvino, a questi due fenomeni ve n’è tuttavia un terzo, non Una pietra sopra, Mondadori, Milano 2002, pp. meno importante: il dilagare di un uso inappropriato 149-154), la definizione data si presta molto bene di determinate parole. Come? Essenzialmente anche a denunciare la natura mistificante del lessico estendendone indebitamente il significato, con caratteristico della cultura della morte, e in specie della l’obiettivo – nascosto, ma neanche troppo – di propaganda abortista, da cui svariate espressioni sono modificare il concetto di cui esse sono portatrici. ormai filtrate nel linguaggio comune, giornalistico o Vediamone tre esempi, tanto attuali quanto eclatanti, addirittura ufficiale. che dimostrano come la neolingua si muova in maniera subdola e pervasiva.
La parola è un semplice accostamento di suoni che ha il compito di trasmettere significati che in ogni caso la trascendono enormemente. La parola, che in fondo è un semplice accostamento di suoni, ha l’arduo compito di trasmettere significati arbitrari, a volte ambigui, che in ogni caso la trascendono enormemente. Di fronte alla parola – e in particolare alla parola scritta, che non può valersi dell’apporto di altri codici comunicativi – siamo chiamati a un’esegesi, spesso impegnativa, che ne metta in luce il significato nascosto: il termine “madre”, ad esempio, cela una pienezza di senso inesauribile, che può essere colta appieno solo mettendo in gioco la nostra interiorità e il nostro vissuto personale. Il linguaggio poetico è quello che più di tutti facilita questo compito: “Ride la madre e slanciasi tutta amore” (Carducci); registri più tecnici, improntati all’esattezza e alla classificazione, possono invece scoraggiarci: “Figura genitoriale di sesso femminile”. La terminologia delle scienze biologiche consente un’estrema accuratezza descrittiva, Italo Calvino (1923 - 1985)
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Un esempio di antilingua burocratese per dire “non potabile”
L’uso della locuzione “famiglia tradizionale”. No! La famiglia non è “tradizionale”, è “naturale”. Questo perché quando si parla di tradizione si fa riferimento a un dato tempo e a un dato spazio, passibile quindi di cambiamenti e sviluppi. Invece la “natura” è un dato oggettivo, valido sempre e ovunque. Ecco perché è importante parlare di “famiglia naturale”, e non di “famiglia tradizionale”, cosa che dà molto fastidio ai propugnatori del “genderismo” e dell’omosessualismo: perché la famiglia è una, ed è così fin dai tempi antichi. Non è questione di “tradizione”: tutti – ma proprio tutti! – siamo nati da un uomo e una donna.
La famiglia non è “tradizionale”, è “naturale”; “discriminare” (discernere) è un atto giusto, necessario laddove si voglia riconoscere la specificità, anzi l’“unicità”, degli individui, in quanto segno di una dignità somma. Di conseguenza, altrettanto sbagliato è utilizzare la definizione “famiglia eterosessuale”. L’unica famiglia possibile è quella fondata sull’unione tra due persone di sesso diverso, secundum non datur. Un secondo esempio riguarda il binomio “matrimonio gay”. Esso è, in se stesso, contraddittorio. La parola matrimonio deriva, etimologicamente, dall’unione di due parole latine: mater (matris, nella forma del genitivo) = della madre e munus = compito, dovere. L’importanza della finalità procreativa è evidente. Finalità questa, tuttavia, che non è propria del cosiddetto “matrimonio gay”, che si presenta come costitutivamente sterile. Allo stesso modo, il binomio “genitori gay” (al plurale. E così “famiglia omoparentale”, “omogenitoriale”, “due mamme”, “due papà”…). Anche qui siamo di fronte a un’evidente contraddizione. “Genitore” deriva dal participio passivo latino gignĕre, che significa “generare”. Bene: in una coppia omosessuale, anche se uno dei due può vantare una paternità (o maternità) biologica, l’altro componente della coppia non potrà mai essere assunto a ruolo di genitore. Solamente quando si realizza l’unione feconda tra un uomo e una donna si è, infatti, davanti a due persone che possono, a
pieno titolo, essere definite “genitori”: insieme hanno generato una nuova vita. E che questo assunto sia valido è dimostrato anche dal fatto che le persone che adottano un figlio sono definiti “genitori adottivi”, e non solamente “genitori”, dei quali fanno solamente le veci. In aggiunta a quanto detto finora, è interessante allargare la riflessione anche ad alcune espressioni attualmente abusate nel dibattito attorno ai temi della famiglia e della vita. Tra queste spicca il neologismo “omofobia”, del quale nessuno ha mai fornito una definizione, ma che rischia di essere introdotto anche a livello giurisprudenziale, con tutte le variabili interpretative che questo comporta. Vi sono tuttavia altri due termini che meritano una sottolineatura: le parole “diritto” e “discriminare”. In merito al “diritto” è doveroso ricordare che uno dei precetti fondamentali del diritto è contenuto nella locuzione latina “suum cuique tribuere”, traducibile con “dare a ciascuno il suo”. Invece oggi, con il grande dibattito sui cosiddetti “diritti civili” si pretende di dare a tutti quello che chiedono, senza guardare a chi spetta cosa e senza analizzare le questioni nella loro complessità, bensì obbedendo (quasi) unicamente alla logica del desiderio. Così facendo, si favorisce l’affermarsi di un soggettivismo dei diritti che prescinde dalle nozioni di giustizia e di bene comune. Il tutto, quindi, a discapito delle persone più deboli, di coloro che non trovano spazio in posizioni strategicamente rilevanti e, in conclusione, della società nel suo complesso, che viene fagocitata dal volere narcisistico di pochi. Infine, la parola “discriminare”. Oggi questo termine ha assunto un’interpretazione quasi esclusivamente negativa. Se si guarda l’etimologia, però, si scopre che esso è un termine originariamente neutro, in quanto derivato dalla parola discernere (dis-cernere: “scegliere separando”). E quella di discernere altro non è che una delle facoltà precipue dell’intelligenza, che è in grado di scomporre la complessità per valutare i singoli aspetti di cui si compone. In quanto tale, quindi, il discernimento è alla base della giustizia e dell’uguaglianza sostanziale. Discriminare, di conseguenza, è un atto giusto, imprescindibile in un contesto che vede la simultanea presenza di una compagine di individui diversi, ciascuno dotato di una specificità, anzi “unicità” che va rispettata in quanto segno di una dignità altissima.
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Ripartire dall’essenza dell’uomo e della natura umana
Intervista al filosofo e saggista Diego Fusaro a proposito della neolingua e del suo potere di “restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero”. di Alessandra Benignetti “Gestazione per altri”, “interruzione di gravidanza”, “eutanasia”, “omofobia”: sono tutti concetti che possono racchiudere significati diversi da quelli che vogliono esprimere. “Gestazione per altri”, per esempio, è un’espressione che cela, dietro una sfumatura di altruismo, un business che rende schiave milioni di donne nel mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e che offende la loro dignità. Allo stesso modo, la parola “eutanasia”, vorrebbe far credere che la morte sia “bella” ma, in fondo, quanto può essere bello decidere di mettere fine all’esistenza di se stessi o di un’altra persona? Oggi, sempre più, si preferisce evitare di chiamare le cose col proprio nome e, per contro, si ricorrere a perifrasi che spesso edulcorano l’essenza e il significato delle cose, semplificando e riducendo sempre più le modalità di espressione. Ma in quale misura questo restringimento delle parole corrisponde a una riduzione del senso critico? Insomma la “distruzione delle parole” di cui parlava George Orwell nel suo celebre romanzo 1984 è finalmente diventata realtà? Ci troviamo oggi dinanzi alla volontà di “restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero”, alla volontà di azzerare lo spirito critico decostruendo man mano i concetti stessi?
Oggi coesistono da un lato un relativismo generalizzato e dall’altro un assolutismo della forma, merce del mercato, che va a rioccupare il posto vacante della divinità. Ci risponde Diego Fusaro, filosofo e saggista, che si definisce allievo di Marx, Hegel, Gentile e Gramsci, che detesta il pensiero unico e il politicamente corretto, e che di neolingua ha parlato in diversi articoli e anche in uno dei suoi libri, “Il Futuro è nostro” (Bompiani, 2014). Che cos’è la neolingua? È un’espressione al centro del romanzo di Orwell, “1984”. Paradossalmente, nel romanzo di Orwell, era presentata come una sorta di distopia futuristica, mentre oggi è diventata invece piena realtà. Nel nostro tempo, infatti, ci troviamo al cospetto di una serie di categorie neo linguistiche che hanno come obiettivo esattamente quello di restringere le capacità del pensiero critico, imponendo tramite la neolingua delle categorie preconfezionate, che non possono essere concettualmente discusse. Dall’altra parte la neolingua ha l’obiettivo di restringere il lessico, ostacolando il maturare di prospettive alternative al pensiero unico.
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La neolingua, come dice Orwell, è l’unica lingua che va sempre più restringendo la gamma dei suoi termini, anziché ampliarla. Ed effettivamente è quello che sta avvenendo anche oggi. Ci faccia qualche esempio…
Diego Fusaro
La neolingua, come dice Orwell, è l’unica lingua che va sempre più restringendo la gamma dei suoi termini anziché ampliarla, ed effettivamente è quello che sta avvenendo anche oggi. Nel mio libro “Il Futuro è nostro” ho individuato tutta una serie di categorie neolinguistiche, come quella di “omofobia” o di “pensiero unico”, le quali sono utili a imporre un modo di pensare rispetto al quale non è lecito dissentire, poiché appunto impongono una visione univoca che dev’essere obbligatoriamente accettata. Ma quali sono in pratica gli effetti della neolingua sulla società? Ormai c’è una pressione totale. Prima del 1989 c’erano più sistemi vigenti, e parallelamente c’erano più possibilità di pensiero. Oggi invece siamo davvero nel tempo del pensiero unico, poiché esiste un modello unico che si impone come l’unico legittimo e che pretende anche che le sue categorie non siano disponibili ad alcuna negoziazione concettuale e non siano sottoponibili a critiche. Questo si può notare molto bene nel contesto mediatico-giornalistico, che sempre più produce un restringimento della coscienza critica, favorendo per contro quella che io chiamo la “cattività simbolica”, ossia il fatto che ormai ci troviamo a essere tutti prigionieri di queste grammatiche preordinate dal potere, che hanno come fine la glorificazione dei rapporti di forza quali realmente sono.
Certo. Quello più inquietante è quello della categoria di “omofobia”. Partendo dalla condanna degli atteggiamenti discriminatori verso i gusti sessuali di ognuno, infatti, con la categoria di omofobia viene legittimata, per estensione, la condanna di chiunque dissenta da quella visione imposta dal pensiero unico, per la quale non è possibile dire che ci sono per natura uomini e donne e che il sesso non si sceglie, ma che è un corredo biologico. Diventa, in questo modo, una categoria della persecuzione intellettuale. Paradossalmente, quindi, il trattamento discriminatorio ingiusto che in passato veniva riservato agli omosessuali, viene oggi destinato a chi non accetta i dogmi del pensiero unico dominante. Per cui, addirittura, una frase ovvia e quasi tautologica, come il riconoscimento che per natura esistono uomini e donne e che il genere umano esiste proprio perché esiste questa differenza sessuale, oggi viene considerata come una frase omofobica, non si capisce bene perché. Questo, dal mio punto di vista, finisce per configurarsi come una vera e propria dittatura.
ll pensiero unico rimuove l’idea di natura umana, presentata come autoritaria e prescrittiva, e rimuove, in questo modo, la possibilità stessa di una ribellione contro quello che sta avvenendo. Praticamente viviamo in un mondo dominato dal relativismo… È superficiale dire che viviamo in un’epoca dominata dal relativismo. Al contrario, possiamo osservare come oggi coesistano da un lato un relativismo generalizzato, ma dall’altro un assolutismo della forma, merce del mercato che va a rioccupare il posto vacante della divinità, oggi assente. Per cui oggi l’assolutismo del mercato corrisponde a un relativismo nichilistico generalizzato, che neutralizza tutti gli altri valori producendo una palude di valori che, posti tutti sullo stesso piano, risultano annullati de facto. Direi, quindi, che coesistono nichilismo relativistico e assolutismo mercatistico. Questa è la struttura in cui ci troviamo. Certo, non bastano le parole per cambiare la realtà, però la lotta contro il sistema del
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Occorre ripartire da un’antropologia filosofica che consideri l’essenza dell’uomo e della natura umana. monoteismo del mercato deve passare anche attraverso una riappropriazione dei concetti e delle parole. Tornare a chiamare le cose con il proprio nome e poter tornare a dire, per dirla ancora con “1984”, che due più due fa quattro e non cinque, magari non basterà a cambiare le cose, ma rappresenta un primo passo fondamentale in questo senso. Il campo della bioetica, ad esempio, è ricco di espressioni ambigue. Secondo lei, quali sono i casi, per così dire, più sintomatici? Tra gli esempi evidenti c’è quello dell’utero in affitto, che rivela l’impadronimento della nuda vita da parte delle logiche del mercato, e che quindi non ha nulla di emancipativo, ma anzi è il culmine dell’alienazione e della mortificazione della dignità umana. Citerei poi anche l’eutanasia, come pratica apparentemente emancipativa, ma che in realtà ci porterà a una società nella quale tutti i corpi non immediatamente utili e produttivi dal punto di vista economico verranno fatti fuori tramite la “buona morte”, che di buono, in realtà, non ha proprio nulla. Esistono delle correnti filosofiche alternative a questa tendenza? Per ora non ci sono correnti alternative. Giudico, anzi, il panorama filosofico totalmente succube di questa grande ideologia postmoderna. Il dibattito è totalmente in mano al circo mediatico e al clero giornalistico, salvo rarissime eccezioni di pensatori che non si piegano. E proprio per questo è difficile uscirne. Anche nel recente Sinodo dei vescovi la definizione di un nuovo linguaggio ha avuto un ruolo importante… Anche all’interno della Chiesa ci sono figure, come il celeberrimo Charamsa, che sono pronte a figurare come
Il Futuro è nostro - Diego Fusaro ‘utili idioti’ al servizio del pensiero unico dominante. A resistere sono singole isole felici, le quali, però, sono sempre più esigue e sempre più sotto ricatto. Io spero che la Chiesa resista, ma non escluderei che presto o tardi anche l’istituzione ecclesiastica arrivi a un compromesso con il pensiero unico dominante. Da dove possiamo ripartire dunque, per recuperare lo spirito critico e riconquistare l’essenza delle cose? Secondo me occorre ripartire da un’antropologia filosofica che consideri l’essenza dell’uomo e della natura umana. Senza il concetto di natura umana, infatti, non è possibile nemmeno immaginare, pensare, o programmare una rivolta. Una rivolta nasce, infatti, sempre da un’idea di natura umana offesa. Se si toglie la natura umana, quindi, si toglie anche la possibilità di rivoltarsi nel nome della natura umana offesa. Questo è esattamente l’obiettivo che persegue il pensiero unico: rimuovendo l’idea di natura umana, presentata come autoritaria e prescrittiva, e rimuovendo, in questo modo, la possibilità stessa di una ribellione contro quello che sta avvenendo.
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La bioetica del senso e il senso della bioetica
Esiste una dicotomia insanabile tra bioetica “laica” e bioetica “cattolica”? Ed è possibile parlare in senso proprio di bioetica “laica”? di Aldo Vitale “Lasciare la fede fuori dalla porta per poter interloquire alla pari con gli altri e con loro discutere di questioni di interesse comune”: così Roberta Sala descrive il processo di secolarizzazione che negli ultimi decenni ha, mano a mano, marginalizzato il ruolo e la funzione della prospettiva religiosa in genere, e teologica in particolare, dall’ambito delle riflessioni bioetiche. Su questo assunto si è andata tracciando quella nettissima linea di demarcazione tra la bioetica definita come “laica” e la bioetica definita come “cattolica”. La bioetica laica, infatti, viene sempre contrapposta alla bioetica cattolica. E le due vengono dipinte come i due poli estremi di una dicotomia insanabile, poiché se opera l’una, l’altra deve necessariamente retrocedere, e viceversa.
In Italia si usa il termine laico per indicare chi è fuori della Chiesa, ma il concetto di laico ha senso solo nella Chiesa. Ma è proprio così? Davvero la bioetica laica è contrapposta a quella cattolica? Davvero l’impalcatura assiologica cattolica è inconciliabile con le esigenze del pensiero laico? In primo luogo occorre fugare un equivoco concettuale che si ripercuote inevitabilmente nell’imprecisione lessicale. Occorre cioè chiarire fin da principio che la visione “cattolica” del mondo non è in contrasto con la visione “laica” del mondo, in quanto la laicità è un concetto non solo generalmente cristiano, ma precipuamente cattolico. La distinzione tra sfera temporale e spirituale, infatti, è stata posta storicamente dal Cristianesimo allorquando, tra i molteplici citabili esempi, le prime comunità cristiane furono trucidate a seguito del loro rifiuto di incensare l’imperatore romano come divinità, cioè di riconoscere nella suprema figura del potere terreno anche la suprema figura del potere ultraterreno.
La questione richiederebbe una trattazione a sé stante, ma in questa sede appare sufficiente richiamare alla mente le riflessioni della filosofa Sofia Vanni Rovighi: “Non dimentichiamo che il laico è laico nella Chiesa. Oggi in Italia si usa il termine laico per indicare chi è fuori della Chiesa, ma il concetto di laico ha senso solo nella Chiesa”. L’idea di laicità, dunque, non può essere contrapposta a quella di cattolicità di cui, semmai, è diretta espressione. Sarebbe più opportuno allora parlare non già di bioetica laica, poiché laica è anche quella cattolica nella misura in cui si richiama all’ordinamento del diritto naturale e alla recta ratio, bensì di bioetica “secolare”, o meglio, secolarizzata, cioè sottoposta a un forzato processo di espulsione della dimensione trascendente dai suoi strumentari ermeneutici (come si ricordava, appunto, nell’incipit delle presenti riflessioni). Posta questa correzione concettuale e semantica, occorre comprendere allora la differenza tra la bioetica secolarizzata e quella cattolica poiché, sistemata la “forma”, pare vi siano problemi anche circa la “sostanza”. Si può davvero parlare di bioetica nel caso della bioetica secolarizzata? La bioetica secolarizzata, infatti, si fonda sulla impossibilità di cogliere la verità costitutiva della realtà. La bioetica secolarizzata tradisce una sfiducia sostanziale nei confronti della ragione, stante l’incomprensione della dimensione aletica del mondo.
Aldo Vitale Aldo Vitale è avvocato. Dottore di ricerca in Storia e Teoria generale del Diritto Europeo presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tor Vergata e cultore della materia in Biogiuridica e in Filosofia del diritto.
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Non potendo esistere una verità universale, secondo la bioetica secolarizzata, è anche impossibile identificare una gerarchia di valori, un’impalcatura assiologica che consenta di definire con certezza la distinzione tra ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, tra il bene e il male.
La bioetica cattolica, cioè quella autenticamente laica, è la bioetica del senso, cioè la bioetica che cerca di distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, attraverso l’esercizio della facoltà razionale dell’uomo. La bioetica secolarizzata ritiene infatti che non si possa scrutare nell’abisso della realtà alla ricerca di ciò che è permesso e di ciò che non lo è, cioè alla ricerca del senso del mondo. La prova diretta, tra i tantissimi esempi citabili, proviene proprio dalle riflessioni di uno dei maggiori esponenti e sostenitori della bioetica secolarizzata, Tristram Engelhardt. Il quale scrive: “Il Cristianesimo è crollato su se stesso. Non è solo in rovina. Di esso non rimane pietra su pietra. Volendo chiamare le cose con il loro nome, potremmo dire che oggi siamo entrati in un’epoca che ha rotto risolutamente i ponti con Dio. La cultura dominante dell’Occidente contemporaneo ha scelto di vivere come se Dio non esistesse […]. Il fatto più significativo è lo sganciamento della morale e dell’autorità dello Stato da qualsiasi allusione ad un significato ultimo […]. Tutto è in definitiva assolutamente privo di senso”. In questa ottica la bioetica secolarizzata è senza dubbio contrapposta e inconciliabile con la bioetica cattolica. Tuttavia, a ben guardare, è in contrasto perfino con se stessa poiché, dal punto di vista strettamente logico, se tutto è assolutamente privo di senso, per utilizzare la formula esatta di Engelhardt, lo è anche il fatto che tutto sia assolutamente privo
di senso, cioè che sia priva di senso anche la stessa bioetica secolarizzata. Senza dubbio una tale contraddizione non spaventa chi, come Friedrich Nietzsche, ritiene che “il nichilista non crede di dover essere per forza logico”; ma, ciò nonostante, la bioetica secolarizzata per essere ritenuta credibile e, soprattutto, per essere un modello autenticamente razionale e davvero alternativo alla bioetica cattolica, deve rendere ragione di questa sua strutturale e congenita debolezza. Diversamente dalla bioetica secolarizzata, da intendere come bioetica del non-senso, la bioetica cattolica, cioè quella autenticamente laica, è la bioetica del senso, cioè la bioetica che cerca di distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, attraverso l’esercizio della facoltà razionale dell’uomo. La bioetica cattolica, in questo, riprende la tradizione dell’etica greca, quella per cui Antigone è divenuta la paladina del diritto naturale contro l’ingiustizia del volontarismo assoluto – cioè letteralmente sciolto da ogni vincolo – del sovrano. Nell’intellegibilità del mondo la bioetica cattolica si appella non già alla volontà di Dio, ma alla ragione umana, riflesso della ragione di Dio. In questa prospettiva la bioetica non può che essere l’ambito in cui le azioni e le implementazioni della scienza bio-medica e del progresso tecno-scientifico non sono subite a scapito della dignità umana, ma vengono vagliate di volta in volta dal giudizio critico della razionalità umana. Non è più il non-senso a fondare il metro di giudizio, e nemmeno una teocratica e insondabile volontà divina, ma la ragione umana, la stessa, per intendersi, che si ritrova nell’Eutifrone allorquando Platone chiede: “Il santo, perché santo lo amano gli dei o perché lo amano gli dei è santo?”.
La bioetica cattolica si appella alla ragione umana, riflesso della ragione di Dio. Anche alla luce di questo aspetto, dunque, la bioetica cattolica si propone e s’impone non solo come l’unica bioetica davvero pensabile, ma anche e soprattutto come autentica bioetica laica, in quanto unica bioetica pensante. La bioetica cattolica, dunque, significa non solo il recupero della bioetica del senso, ma anche e soprattutto il ripristino del senso della bioetica. In questa prospettiva non si possono non considerare le parole di Joseph Ratzinger allorquando, nel 2004, ha avuto modo di scrivere a Marcello Pera che “la razionalità degli argomenti dovrebbe cancellare il fossato fra etica laica ed etica religiosa e fondare un’etica della ragione che vada oltre tali distinzioni”.
Sébastien Norblin, Antigone e Polinice, 1825.
www.fenl.eu
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Fondazione per un’Europa delle Nazioni e della Libertà
Fondazione per un’Europa delle Nazioni e della Libertà è una fondazione a livello europeo composta da partiti nazionali e membri individuali, ed è rappresentata in numerosi Stati come Francia, Belgio, Austria, Italia, Polonia, Romania e Regno Unito. I nostri membri sono convinti della sovranità degli Stati e dei popoli, basandosi sulla cooperazione tra nazioni e quindi rifiutando qualsiasi politica volta a creare modelli sovra statali o sovra nazionali. L’opposizione a qualsiasi trasferimento della sovranità nazionale ad organismi sovranazionali e/o alle istituzioni Europee è uno dei principi fondamentali che uniscono i membri della Fondazione.
www.fenl.eu FENL è parzialmente finanziato dal Parlamento europeo ed è l’unico responsabile per i contenuti di questa campagna
26 N. 38 - FEBBRAIO 2016 Copertina del libro “Osservazioni di una mamma qualunque” di Paola Belletti
Giulia Tanel Giulia Tanel
Laureata in Filologia e Critica Letteraria.
Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. Collabora con Scrive per passione. eCollabora libertaepersona.org con altri con siti internet e riviste; è inoltre autrice, con altri Francesco Agnoli, libertaepersona.org e con siti internet e di “Miracoli - L’irruzione riviste; è inoltre autrice, del consoprannaturale Francesco Agnoli, storia”- (Ed. Lindau). dinella Miracoli L’irruzione del soprannaturale nella storia (Ed. Lindau).
Osservazioni di una mamma qualunque
Paola Belletti è una figlia-moglie-mamma con la passione per la scrittura, nella quale confluisce la sua personalità energica e determinata, venata da un prezioso umorismo. di Giulia Tanel Scrive bene, Paola, molto bene. Con uno stile sferzante riesce a portare il lettore a ridere di cuore e, due parole dopo, sull’orlo delle lacrime... il tutto senza mai scadere nel banale. Forse perché non è banale la vita, ossia quello di cui Paola scrive. Fino a qualche tempo fa i suoi scritti andavano ad arricchire solamente il suo blog, mentre oggi ha all’attivo una collaborazione periodica – sempre lì, a pagina quattro! – con “La Croce Quotidiano” di Mario Adinolfi e un libro pubblicato sul finire del 2015. S’intitola Osservazioni di una mamma qualunque (Berica Editrice, Trissino (VI), 2015, pp. 154, 14 euro), in onore di Chesterton e Guareschi, due figure che con l’umorismo ci sapevano fare sul serio ma che, proprio come Paola, non tralasciavano di trasmettere contenuti molto profondi, in grado di segnare la vita delle persone. Paola, nel tuo libro scrivi: “Sono figlia da 40 anni, moglie da 11 e mamma da 10. Tutti e tre gli stati sono a tempo indeterminato. Ho quattro figli. Tre femmine e un maschio. 10, 9, 5 e 1 anno”. Come riesci a tenere assieme, con serenità, tutti questi “ruoli”? A essere pignoli attualmente si dovrebbe aggiungere un anno a ognuno degli stati citati nel libro e all’età di tutti, esclusa me. Scherzo, non m’importa molto la faccenda dell’età…“Con serenità” è una pura illazione. No, dai ti rispondo: li tengo insieme perché sono già insieme. Anzi sono in ordine gerarchico. Se non fossi figlia dei miei e non fossi diventata più o meno adulta e se non fossi figlia di Dio, non potrei essere liberamente sposa, moglie. Se non fossi davvero moglie non potrei essere mamma sul serio.
Sono mamma perché figlia e moglie. Sono “stati” e non “ruoli” perché non interpretiamo ma siamo. Poi si può aderire all’ideale che questi stati indicano e portano in sé, oppure calpestarlo con gli scarponi ma, soprattutto nell’essere genitori, viene prima di tutto l’essere, non l’essere bravi. Come dicevi, l’essere moglie viene prima dell’essere madre. Scrivi nel tuo libro: “Il matrimonio deve essere sopra a tutto nella famiglia. Sopra i figli. Prima e dopo e durante i figli”. Come vivi il rapporto con tuo marito e in quale accezione – positiva, negativa, a corrente alterna in relazione alla situazione ormonale… – concepisci la vostra differenza di sesso, prima ancora che caratteriale? Devo tantissimo al servizio che Costanza Miriano ha fatto a innumerevoli famiglie e a tante donne, ridicendo in modo affascinante e vicino quello che avevamo ricevuto da una lunga storia di consegne, di generazione in generazione, attraverso l’educazione cattolica: la ricchezza del femminile e del maschile e la bellezza, in gran parte inesplorata, della nostra diversità. Grazie ai suoi libri mi sono accorta che trascuravo un fatto importantissimo e che avevo una visione distorta dell’essere maschio e dell’essere femmina. Quella che ci trasmette il mondo. E questo genera tanta sofferenza. Io per anni ho pensato che doveva assolutamente funzionare quello che è, nell’ordine oggettivo di cose, impossibile: fare carriera, crescere come persona, eccellere nel lavoro così come lo avevo vissuto fino ad allora, e contemporaneamente essere presente con i figli, la casa e il marito.
Famiglia ed Economia
Leggendo Giovanni Paolo II e il Cardinale Carlo Caffarra ho cominciato a riflettere sulla natura umana. Cosa significa che siamo a Sua immagine nell’essere maschio e femmina? Ricordando sempre che la nostra natura ha subito un vulnus, mi accorgo anche di quanto uomini e donne abbiano dentro di sé, oltre alla reciprocità, anche una spinta alla solitudine e all’ostilità, alla sopraffazione dell’uno sull’altra e viceversa, secondo modalità proprie per ogni sesso. Scendendo dai concetti alla vita di tutti i giorni, posso dire che siamo diversi e pieni di difetti (sempre quelli, tra l’altro). L’evidenza del nostro essere bruttini e cattivelli in modo quasi banale non mi spaventa. Siamo uomini e peccatori. Endiadi inestirpabile. Di mio marito mi irritano alcune sue cose o atteggiamenti (e so che vale altrettanto per lui, ma lui è più paziente), ma mi sforzo di amare proprio questi aspetti qui e, se una cosa mi irrita, magari è perché urta proprio uno spigolo particolarmente prominente del mio orgoglio. Mi sforzo. E credo sia giusto sforzarsi, lavorare su se stessi con una severità addolcita dalla consapevolezza che siamo uomini e peccatori, appunto. Sono molto grata della nostra storia. So che talvolta occorre guardarla nell’insieme, in prospettiva. Ogni tanto alzando gli occhi, altrimenti finisce che ci si fissa sulle chiavi che io non trovo mai, o sulle scarpe che lui dimentica di mettere a posto. E ogni tanto anche abbassandoli per notare le tante, tantissime prove di servizio che ognuno di noi rende all’altro. “Il papà ti fa sempre ridere, vero mamma?” Sì, mi fa ridere moltissimo. Ha questa grande fortuna. Sdrammatizza, solleva, semplifica, mette ordine. Quando ho bisogno, lui è quello che mi capisce nel profondo. Mi capisce e s’impegna a farlo. Spesso chiarisce me a me stessa. Rimanda sempre all’ideale. Mi riprende. M’incoraggia. E poi ha un carattere molto stabile ed è campione di resilienza, oltre che di bradicardia. E poi c’è tanto altro: stima, attrazione, complicità, conoscenza che si approfondisce.
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Ogni giorno bisogna alzare gli occhi, altrimenti finisce che ci si fissa sulle chiavi che io non trovo mai o sulle scarpe che lui si dimentica di mettere a posto. E ogni tanto anche abbassarli per notare le tante, tantissime prove di servizio che ognuno di noi rende all’altro. Tu e tuo marito avete quattro figli. Per questo rientrate nella (sempre più ridotta) categoria delle cosiddette “famiglie numerose”, anche se rispetto al numero dei tuoi figli affermi con realismo: “Quattro sono quattro, non un sacco”. Come mai avete intrapreso questa strada, oggi veramente coraggiosa? Controllare le nascite è diventato così facile, in fondo… Non siamo noi a essere numerosi, è il mondo che ci dipinge così. No, dai, a parte tutto quattro figli sono un buon numero. Però qualche decennio fa erano più abituati. A volte a metà giornata visualizzo me che dormo nel letto. Sembra una meta inarrivabile ma so che in qualche modo ci arriverò, e allora procedo più spedita. È molto impegnativo. Sono quattro e tutti hanno bisogno della mia presenza, non solo Ludovico. Devo dire che grazie a Dio abbiamo incontrato, ai tempi dell’università, una realtà ecclesiale meravigliosa che ci ha trascinato con entusiasmo nella vita della Chiesa e nei tesori che la fede offre. Per questo, tornando al cuore della persona fino alla sua corporeità così bella e potente, ho capito che lo sguardo da avere su se stessi e sugli altri è di devozione, rispetto ed entusiasmo. Siamo fatti magnificamente e tutte le cose veramente belle e importanti e umane sono gratis. Compresa la sessualità.
Foto: Ольга Гаврилова
28 N. 38 - FEBBRAIO 2016
Ma anche questa consapevolezza e questa maggiore calma rispetto alle incertezze economiche ce la siamo guadagnata. Eravamo più spaventati, più rigidi. Abbiamo anche avuto momenti molto critici. Perdita del lavoro di uno o dell’altra e spese mediche importanti. Ci sono problemi oggettivi che mortificano davvero tanti giovani, tante coppie. È una vera e grave ingiustizia sociale, oltre che un suicidio civile. Se consideriamo solo i fattori sociali, di welfare e del mercato del lavoro, c’è di che piangere e terrorizzarsi. Ma mica c’è solo quello, no?
Paola Belletti
Esistono i metodi di regolazione naturale della fertilità. Quello è potere. Sapere, conoscere, disporre di sé. La sessualità vissuta così è più potente e libera. Per esempio, in questo mondo così assuefatto alla pornografia, non vedo nessuna libertà rispetto alla sessualità, solo impaccio camuffato da spavalderia e volgarità. Non sa cosa fare il mondo con il sesso, se non usarlo, estenuarlo, drogarlo. Per poi uscirne disgustati e magari schiavi. Perché se la persona diventa un mezzo, allora, per come siamo fatti, la bellezza se ne va. Siamo persone e l’unico “trattamento” adeguato alla persona è l’amore. Anche la leggenda del controllo delle nascite, mah… siamo sicuri? È facile impedire concepimenti, è facile uccidere figli. Ma il prezzo è troppo alto. La sessualità umana del tutto svincolata dalla procreazione parte per vie strane e alienanti. Esistenzialmente è una cosa facile da verificare. Però così tocco troppi argomenti che meriterebbero molta meno approssimazione. Almeno vi ho distratti dal fatto che, in effetti, ogni figlio è stato anche una botta. Diciamo che con i metodi naturali sono diventata brava strada facendo e che abbiamo sperimentato diverse volte l’effetto sorpresa. Sfatiamo qualche luogo comune: la questione economica come la risolvete? In molti si nascondono dietro questa scusa per giustificare il fatto di avere solamente uno o due figli… Abbiamo sempre lavorato tutti e due. Fatichiamo assai. Ora che Ludovico necessita di tante cure è da un po’ che non sono nel mercato del lavoro in senso stretto. Abbiamo le nostre famiglie che non ci abbandonano ed esiste la Provvidenza. Non ci manca proprio niente.
Noi siamo stati lasciati nascere. Noi non ci autodetermineremo mai del tutto. Possiamo solo infierire sui nascituri. O smontarli e giocare a Lego con i loro pezzi. Figli da sette Dna diversi: che idiozia. Prima che terribile è una cosa stupida e vacua. Non sappiamo farci da noi stessi. L’uomo non sa fare l’uomo. Il tuo ultimo bimbo, Ludovico, è malato seriamente. Lo avete scoperto alla 23esima settimana di gravidanza, anche se il suo quadro clinico non è stato chiaro fin da subito. Avete mai pensato all’aborto? Ti confesso che questa domanda, formulata così, per me equivale a una pugnalata. No. Non ci abbiamo mai pensato. Non siamo mai stati felici al sapere che ci fossero problemi di salute, ma è solo l’assuefazione a un orrore ripetuto e burocratizzato che può impedirci di vedere che uccidere un bambino perché (forse) è malato, è ingiusto. È stupido. Che caspita potevamo saperne noi di quello che da nostro figlio sarebbe potuto venire fuori? Io non riesco nemmeno a calcolare il bene che sta facendo, a non so quante persone. E poi, una persona si misura in base alle performance visibili, macroscopiche, che tutti si aspettano? Una persona è una persona. Deve tornare evidente. Una persona è quella lì e nessun altro. Se uccido un figlio non avrò mai più quel figlio. Avrò, forse, altri figli, ma mai lui, o lei. Mai più tutti quelli che da lui o lei potevano nascere. Mai più le amicizie che avrebbe coltivato. Mai più le idee, mai più gli sguardi, mai più i gorgheggi, mai più anche i semplici respiri… e poi i guru della consulenza e del miglioramento personale e professionale si riempiono la bocca del butterfly effect: un battito d’ali di una farfalla in Giappone scatena un uragano in Argentina. E tutti i figli dei quali ci siamo privati?
Famiglia ed Economia
Detto questo, sono profondamente certa che si possa ripartire anche dopo un aborto. Che le donne che abortiscono per miseria, solitudine, violenza, indifferenza altrui sono da amare e perdonare.. Che avranno, in molti casi, chissà quali attenuanti. Che io, magari con una coscienza maggiore, ho fatto cose più gravi agli occhi di Dio. Però uccidere è uccidere. Non giriamoci intorno. Se uccido, tolgo una persona dalla scena del mondo e dalla ricchezza delle relazioni. Ma se abbiamo già ucciso il concetto di persona allora è un disastro. Ho scritto una cosa lunghissima per “La Croce” sull’aborto, nella quale le mie argomentazioni non toccavano mai Ludovico o le altre mie figlie, ma solo noi già nati e la nostra esperienza. Noi siamo stati fatti. Noi siamo nati. Noi siamo stati lasciati nascere. Noi non ci autodetermineremo mai del tutto. Possiamo pure incavolarci per questo, ma è così. Possiamo solo infierire sui nascituri. O smontarli e giocare a Lego con i loro pezzi. Figli da sette Dna diversi: che idiozia. Prima che terribile è una cosa stupida e vacua. Non sappiamo farci da noi stessi. L’uomo non sa fare l’uomo.
Tutte le cose veramente belle e importanti e umane sono gratis.
Ora che vivi quotidianamente con un bimbo malato, cosa che a tratti è di certo faticosa e dolorosa, ti sei mai pentita della scelta di averlo tenuto?
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Cosa vorresti dire a tutte le mamme che sono incerte se tenere o meno il loro bambino, a prescindere dal suo stato di salute? Niente. Vorrei fare festa con loro. E prepararle alle spade che ogni mamma sentirà in un modo o nell’altro nel cuore. Inutile girarci intorno. La vita è una cosa magnifica e potente. Anche terribile. Il dolore esiste. Poi chi ha già conosciuto Gesù Cristo sa che la morte ha perso il veleno ma non il pungiglione. Sa che Lui è Risorto, e questa informazione cambia tutto. Ma anche dire loro che non sono sole e che un figlio potenzia la vita, rende più forti. Che un figlio già c’è, soprattutto. Che è nella nostra natura innanzitutto biologica. Vorrei aiutarle a riconsegnarsi a se stesse e alla loro, nostra, vera vocazione e identità di madri. L’umanità deve approfondire molto cosa voglia dire essere donna. E uomo. Che bello, abbiamo un grande compito! E cosa vorresti invece dire a tutte le giovani donne, spose, che sono alle soglie o all’inizio della vita matrimoniale e che devono ancora sperimentare (nella gioia e nel dolore) l’avventura della maternità? Che dovranno fare un sacco di cose, quasi tutte male; che saranno spesso stanche; che gli uomini non diventano mai come vorremmo noi (sia lodato il Cielo); che siamo decisive per la felicità di molti. E poi, che essere marito e moglie è una cosa da pazzi, umanamente esaltante, anche se a tratti potremmo quasi giurare che sia stata una pessima idea sposarci. Infine che, se si sposano cristianamente, allora il Sacramento agisce.
Dopo la consueta stretta allo stomaco, ti dico “No!”. Ho pianto, sudato, penato come mai avrei pensato. L’intensità del dolore è tuttora altissima e continua. Mai provato niente di simile. Solo da mamma si capisce. Nostro figlio non è sfuggito a nessuna morte che avremmo mai potuto infliggergli noi. Mi spiace se questa sicurezza potrà ferire qualcuno, ma non viene da me. È verità riconosciuta. Poi magari avrei potuto farlo in un tragico momento di solitudine, di oppressione, o sotto istigazione, oppure per salvare la mia vita. Resta il fatto che lui era già lui. In tanti non abbiamo nemmeno idea, temo, di cosa possa essere la pratica dell’aborto terapeutico. È un modo di uccidere che non voglio raccontare perché poi vedo le immagini nella mia mente e sto male. Ma bisogna sapere. Chi ha coraggio e onestà intellettuale, vada a vedere, si documenti.
Foto: Gerd Altmann
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Letture consigliate Pier Giorgio Liverani La società multicaotica (con il Dizionario dell’Antilingua) Edizioni Ares Un libro che documenta con stile giornalistico il caos verso cui sembra tendere la società postmoderna e il rischio della perdita di ogni orizzonte di fine. Non pochi oggi pensano che l’idea di un uomo-fai-da-te possa sostituire quella dell’immagine e somiglianza di Dio. Lo provano la legittimazione dell’aborto, dell’eutanasia, della fecondazione artificiale, della clonazione terapeutica o riproduttiva, l’enfasi data a una scienza prometeica sganciata da qualsiasi limite morale. Ma anche la dichiarata ideologizzazione del pluralismo etico come valore in sé. È evidente il tentativo di sfruttare la nuova composizione multietnica, multiculturale e multireligiosa della società per ridurla anche a multietica (relativista) e, come conseguenza, “multicaotica”.
A cura di Gianpaolo Barra, Mario A. Iannaccone, Marco Respinti Dizionario elementare di apologetica I.D.A. - Istituto di Apologetica de “Il Timone” Oltre 140 voci compilate da 36 esperti per rispondere a tante domande con senso critico e amore per la Verità, contro il logorio del laicismo moderno. Davvero i medioevali hanno creduto che le donne non avessero l’anima e che la Terra fosse piatta? È vero quel che racconta la televisione sulle crociate, l’Inquisizione e la conquista delle Americhe? È vero che l’Illuminismo e le rivoluzioni hanno finalmente liberato l’uomo dal giogo ecclesiastico? E che l’uomo e la scimmia discendono dal medesimo antenato? Che la scienza e la fede sono incompatibili? Che Ipazia, Giordano Bruno, Galileo Galilei e Cagliostro sono martiri caduti in nome della libertà di pensiero? Che Martin Lutero avesse ragione a scagliarsi contro la vendita delle indulgenze? Che i Papi siano sempre stati dei campioni di corruzione? Per sapere le risposte: tel. 02.69.01.50.59 (dalle ore 9 alle 12 e dalle 14 alle 17) oppure info@iltimone.org.
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