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Rivista Mensile - Antologia 1° Volume
“nel nome di chi non può parlare”
Antologia ProVita
1° Volume 2012-2013 “Il meglio di Notizie ProVita”
- Sommario -
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Editoriale
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“nel nome di chi non può parlare”
Antologia di Notizie ProVita 2012-2013 Siamo nati e non moriremo mai più
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Antonio Brandi
ANTOLOGIA - 1° VOLUME
Fantascienza o realtà?
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Francesca Romana Poleggi
I primi otto giorni dell’embrione
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Giuseppe Noia
L’aborto post nascita: manipolare i termini per giustificare il crimine
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Benedetto Rocchi
Alcuni rischi della fecondazione artificale (o PMA)
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Francesco Agnoli
Come lo vuole, fresco o congelato? 11 Renzo Puccetti
Vademecum per il medico obiettore 12 Gianfranco Amato
Il frutto di un amore sovrumano 14 Sabrina Pietrangeli
Vite 15 Francesco Agnoli
La legge 194 è contro la verità scientifica
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Roberto Algranati
Sente dolore il feto nel pancione?
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Carlo Bellieni
Quando la notizia non fa notizia
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Francesca Romana Poleggi
Salvando il figlio si salva anche la madre
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Carluccio Bonesso
Il dramma del Forteto e l’inferno dell’uomo 22 Shadan Bassiri
Difendere la vita per fare vera economia
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Ettore Gotti Tedeschi
Sono troppi gli obiettori di coscienza? 24 Renzo Puccetti
Non pagare per uccidere: come obiettare?
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Andrea Mazzi
Il dibattito sull’utero in affitto in Italia
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Francesco Agnoli e Antonio Brandi
Il prossimo passo: l’utero artificiale
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Silvano Roberti
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Antologia - 1° volume
RIVISTA MENSILE
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Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) redazione@notizieprovita.it - Tel. 329 0349089 Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Direttore ProVita Onlus Andrea Giovanazzi Progetto grafico Massimo Festini Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero Francesco Agnoli, Roberto Algranati, Gianfranco Amato, Carlo Bellieni, Shadan Bassiri, Carluccio Bonesso, Antonio Brandi, Ettore Gotti Tedeschi, Andrea Mazzi, Giuseppe Noia, Sabrina Pietrangeli, Francesca Romana Poleggi, Renzo Puccetti, Silvano Roberti, Benedetto Rocchi.
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Antologia di Notizie ProVita Primo Volume (2012-2013) La Marcia per la Vita del 2012 e la morte della mia cara amica Chiara Corbella Petrillo, a volte, mi sembrano tanto lontane: eppure sono passati solo poco più di due anni. La sensazione che sia trascorso molto più tempo, probabilmente è data dal fatto che la vita mia e degli amici con cui ho fondato Notizie Pro Vita e l’associazione Pro Vita onlus, è molto cambiata: si è riempita di impegni e di preoccupazioni per l’avanzare della “cultura della morte”: essa attacca la Vita direttamente, e indirettamente attraverso i tentativi di distruzione della Famiglia, luogo principe dove natura vuole che nasca, cresca, si custodisca la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale. Ma sono stati anche anni di entusiasmo per le vittorie strappate a questo perverso sistema, di gioia per le tante belle persone incontrate, con cui abbiamo condiviso questo cammino, di incoraggiamento per il sostegno da più parti ricevuto.
Allora, un po’ per tirare le somme, un po’ per ringraziare tutti voi che avete reso possibile questo, con il vostro contributo anche economico, abbiamo deciso di raccogliere anno per anno gli articoli più significativi che abbiamo pubblicato. Non sono i migliori, perché di belli e interessanti - modestamente - ce ne sono molti di più. Per ovvie ragioni di spazio, invece, abbiamo dovuto procedere a una selezione un poco spietata. Non ne abbiano a male gli autori che così sono rimasti fuori: magari troveremo un altro modo per rendere loro omaggio. Per ora - ecco a voi, cari lettori e sostenitori - un’antologia del primo anno di Notizie Pro Vita, che va da Ottobre 2012 a Ottobre 2013. Speriamo sia cosa gradita e utile per recuperare e rispolverare strumenti culturali importanti per proseguire la buona battaglia in difesa della Vita e della Famiglia. Antonio Brandi Antonio Brandi
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Antologia - 1° Volume Chiara Corbello Petrillo
“Siamo nati e non moriremo mai più” La testimonianza straordinaria di una madre dei nostri giorni di Antonio Brandi
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iamo nati e non moriremo mai più” sono parole di Chiara Corbella-Petrillo che rappresentano una forte testimonianza di fede nella risurrezione. Conoscevo Chiara fin da giovanissima. Era una ragazza normale, serena, spesso auto-ironica, che ha sempre condotto una vita semplice. All’età di 5 anni, sull’esempio della madre, Maria Anselma, comincia a frequentare una comunità del Rinnovamento dello Spirito e insieme alla sorella Elisa inizia un percorso di fede che l’accompagna nella crescita e che le insegna a pregare Gesù in maniera spontanea. All’età di 18 anni, in un pellegrinaggio, incontra Enrico con cui si fidanza pochi mesi dopo. Nel 2008 la coppia corona il sogno di sposarsi, ad Assisi. Ricordo ancora la sua gioiosità nel cantare con gli amici, dopo la cerimonia. Chiara ed Enrico con-
Il Signore mette la verità in ognuno di noi; non c’è possibilità di fraintendere.
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ducono una vita normale, amano scherzare, uscire e divertirsi con gli amici. Nel matrimonio il Signore ha voluto donare a Chiara ed Enrico dei figli speciali: Maria Grazia Letizia, Davide Giovanni e Francesco. Chiara ed Enrico sono una coppia che ha sempre posto prima di tutto la vita dei loro figli, davanti ad ogni considerazione di convenienza personale: prima hanno portato a termine le gravidanze di Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, sapendo che i bimbi non sarebbero sopravvissuti al parto; poi, quando Chiara, ancora incinta di Francesco, si sottopone ad un intervento in anestesia locale che conferma un carcinoma e quindi la necessità di un secondo intervento molto più invasivo, decidono di ritardare il più possibile l’operazione per consentire la completa formazione del bambino. L’amico Gianluigi De Palo, assessore alla famiglia del Comune di Roma, scrive: “Hanno affrontato queste prove con il sorriso e con un sereno affidamento alla Provvidenza. Mai si son lasciati sconvolgere, ma hanno accettato la volontà di Colui che non fa nulla per caso”. “Chiara non è morta per suo figlio: ha dato la vita a suo figlio”. Così afferma Padre Vito nell’omelia per il funerale. Durante tutto questo periodo di prova per la famiglia, è stata lei, Chiara, a dare agli altri la forza di andare avanti. Mi racconta il papà Roberto:”Verso le otto del mattino
del 13 giugno - Chiara ci ha lasciato a mezzogiorno - Enrico le chiede: Chiara, amore mio, ma questa Croce è veramente dolce, come dice il Signore? Lei lo guarda, sorride e con un filo di voce dice: sì, Enrico, è molto dolce”. Così, tutta la famiglia l’ha vista spegnersi felice e con il sorriso sulle labbra. Quel sorriso che ha attraversato la sua vita nonostante le ripetute enormi prove a cui è stata sottoposta. Al funerale, il cardinale Vicario di Roma, Agostino Vallini definisce Chiara come una “seconda Gianna Beretta Molla”. Chiara aveva certamente le idee molto chiare circa la gravidanza ed il riconoscimento del feto come persona con piena dignità e non si è mai posta come una martire, ma ha accettato anche quello che non comprendeva perché aveva fiducia nel disegno del Signore. Ed è nel nome di tutte le mamme che hanno dato la vita per i loro figli, come Gianna e Chiara, che è nata questa nostra iniziativa pro life. Notizie ProVita n. 1 - Ottobre 2012
Chiara non è “morta per” suo figlio: “ha dato la vita a” suo figlio
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Antologia - 1° Volume
Lo fanno, perché possono. La società ha consegnato il potere a persone in grado di uccidere le creature più indifese.... c’è odio, dei grandi per i piccoli...
Fantascienza o realtà? Un racconto di fantascienza pubblicato 40 anni fa descrive una società disumana non troppo diversa da quella in cui viviamo oggi. di Francesca Romana Poleggi
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lade Runner, Minority Report e Paycheck sono forse i film più famosi tratti dai romanzi di Philip Dick. Tra le sue opere meno conosciute, c’è anche un racconto del 1974 intitolato “Le pre-persone”. È una storia di fantascienza che si svolge in un contesto sociale agghiacciante. Per non togliere agli interessati il piacere della lettura, riportiamo solamente un paio di citazioni dall’edizione del 2005 (Fanucci). Negli Stati Uniti in profonda crisi economica, la competizione sociale è più spietata che mai. Tutti devono avere l’attestato di normalità della polizia regionale, e la gente ha perso l’umanità. Poiché entro dieci anni non ci sarà più cibo per nessuno, bisogna raggiungere la crescita zero. Il dialogo che segue, tra uno dei protagonisti, Ian Best, e la moglie, una donna comune, perfettamente “normale”, è illuminante.“Voglio un aborto!” ... “È ‘in’ adesso, avere
E un bel giorno era toccata ai neonati: sono come dei vegetali, non capiscono nulla.
un aborto. Cosa abbiamo noi? Un ragazzino.... È imbarazzante.” Poi aggiunge: “E il tipo di aborto che praticano ora, per le donne nei primi mesi, costa solo un centinaio di dollari, come quaranta litri di benzina! E ne puoi parlare per ore praticamente con chiunque incontri”. Ian si girò per guardarla in viso e con voce piatta disse: “E ti lasciano anche tenere l’embrione. Puoi riportartelo a casa in una bottiglia, magari dipinto con una speciale vernice fosforescente affinché brilli nell’oscurità come una specie di lampadina”. In un altro punto della storia, l’altro protagonista, Ed Gantro, spiega come si è evoluta la normativa sull’aborto negli anni. Un embrione non ha diritti per la costituzione americana e quindi può legalmente essere ucciso da un dottore. Eppure il feto era stato considerato, almeno per un certo periodo, una “persona” anche dal punto di vista giuridico; ma poi la folla abortista aveva deciso che neanche a sette mesi si può parlare di “essere umano”.... E, un bel giorno, era toccata ai neonati: sono come dei vegetali, non capiscono nulla, non parlano. Così la lobby abortista aveva perorato la sua causa, vincendo, stabilendo che un neonato è solo un feto espulso dall’utero materno. La Chiesa da tempo andava sostenendo che già lo zigote è una forma di vita sacra come tutte le altre sulla Terra, ma poi di compromes-
so in compromesso, il termine legale fu inesorabilmente spostato sempre più in avanti. E così fino a 12 anni, i figli indesiderati possono diventare “bambini randagi” e possono essere eliminati: non hanno ancora un’anima, sono “pre-persone”. Il camion degli aborti che gira regolarmente per il paese li porta via, in un luogo che i funzionari considerano un centro di protezione per i bambini. Ian Best ad un certo punto si chiede perché quanto più è indifesa una creatura tanto più per alcuni è facile farla fuori. E si dà una risposta: lo fanno, perché possono. La società ha consegnato il potere a persone in grado di uccidere le creature più indifese.... c’è l’odio dei grandi per i piccoli... odio per qualsiasi cosa sia in grado di crescere. È fantascienza? Da tempo esiste l’aborto al momento della nascita (partial birth abortion), e già si parla di aborto post parto... Notizie ProVita n. 1 - Ottobre 2012
Voglio un aborto!... È ‘in’ adesso, avere un aborto. Cosa abbiamo noi? Un ragazzino... È imbarazzante
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“L’embrione non è passivo: è un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro”
I primi otto giorni dell’embrione La scienza ha dimostrato che la vita e l’attività umana cominciano dal momento del concepimento di Giuseppe Noia
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elen Pearson ha scritto su NATURE nel 2002: “Your destiny from day one“ “Il tuo destino dal giorno uno”. Il giorno uno è il giorno dell’embrione unicellulare (lo zigote) che attraverso un protagonismo biologico realmente e scientificamente evidente si presenta con le sue cinque caratteristiche: 1- L’identità umana (46 cromosomi). 2- La sua individualità e unicità (modelli matematici ne hanno dichiarato la fondatezza). 3- La sua autonomia biologica (noi tutti siamo vissuti per circa 8 giorni, dal concepimento fino all’impianto, senza fonti ossigenative dirette ma utilizzando l’energia trasformata dal materiale tubarico che circondava le nostre cellule iniziali) 4- L’assunzione del piano-programma genomico con una “capacità manageriale” eccezionale tra gli esseri viventi con gradualità, continuità e coordinazione. 5- Il cross-talk (colloquio incrociato con la madre) ai fini dell’impianto e della tolleranza immunologica. Giustamente il British Medical Journal, nell’editoriale del novembre 2000, affermava: “l’embrione non è passivo: è un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro”. Questa affermazione, al di là delle sue implicazioni poetiche che vedono l’embrione, e quindi ciascuno di noi,
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dirigere la sinfonia della vita fatta di luce, di sole, di sentimenti, di gioia, di dolore come le varie parti di uno spartito assolutamente unico nel teatro della storia dell’umanità, ha profonde implicazioni scientifico-biologiche che spiegano le osservazioni scientifiche cui sono pervenuti molti studiosi negli ultimi 20 anni. Il protagonismo biologico dell’embrione e la sua relazionalità con la madre fatta di messaggi ormonali, immunologici, biochimici sono le condizioni indispensabili perchè si abbia un “buon impianto” e dal “buon impianto” si avrà una normale “trofoblastizzazione”, vale a dire la formazione di una placenta che permetterà lo scambio ottimale di ossigeno e nutrizionali importanti per la crescita dell’embrione e del feto. Un peso normale alla nascita (3200-3500 gr), quindi dipende dalla placenta e a sua volta la buona placentazione dipende dall’impianto. I dati relativi ad alcune patologie dell’infanzia ci dicono che esiste un fenomeno di catch up growth per cui bambini nati sottopeso alla nascita diventano obesi nella prima infanzia (obesity rebound - Jaquet et Al. 2005). In questi bambini è spesso presente una insulino-resistenza e in un gruppo di adolescenti studiati (nati sottopeso) il rischio di sindrome metabolica (condizione patologica gravata da problemi vascolari di diversa entità) fino a una età di 22 anni è circa 9 volte superiore rispetto ad altri adolescenti di peso normale.
La sindrome metabolica, a sua volta, è presente nel 37% di ragazze adolescenti che hanno un disturbo endocrino che viene definito sindrome dell’ovaio policistico. Secondo altri autori (Hergaz et Al. 2005) nelle bambine sottopeso si ha un 10% di sindrome dell’ovaio policistico all’adolescenza e una precoce androgenizzazione nel 5% dei casi. Nella vita più adulta anche i disturbi del comportamento alimentare vengono correlati con bassi pesi alla nascita. Infine una reale prevalenza maggiore di patologie circolatorie, dislipidemie, diabete e diverse alterazioni vascolari è stata riscontrata in adulti che avevano avuto un basso peso alla nascita. La conclusione è facilmente intuibile: il protagonismo biologico dell’embrione non è solo un’evidenza della relazione che si instaura subito dopo il concepimento ma è espressione di un momento importantissimo che validerà la salute e la vita futura dell’essere umano: “your destiny from day one” una frase apparentemente sibillina se letta in maniera puntiforme ma se la collochiamo nella visione della continuità biologica dell’embrione la comprendiamo nella sua reale scientificità e la possiamo unire all’affermazione fatta nell’editoriale del British Medical Journal: “l’embrione non è passivo: è un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro”. Notizie ProVita n. 2 - Novembre 2012
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Alcuni ritengono che gli esseri umani che non hanno coscienza di sé non sono persone e perciò non hanno diritto alla vita
L’aborto post nascita: manipolare i termini per giustificare il crimine La neolingua delle lobbies abortiste cerca di far passare per moralmente lecito l’infanticidio. di Benedetto Rocchi
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a battaglia dei promotori dell’aborto si è sempre basata su un uso ambiguo e distorto delle parole allo scopo di modificare la mentalità corrente sui temi della vita. L’ultimo eclatante esempio di questo modo strumentale di usare la “neolingua” lo hanno dato due bioeticisti italiani, Giubilini e Minerva, che hanno pubblicato sul Journal of Medical Ethics un articolo su quello che hanno definito “aborto post-nascita”. I due autori affermano che il fatto di essere “umani” non attribuisce di per sé il diritto alla vita. Sarebbe piuttosto l’essere “persona” che conferirebbe questo diritto. Sarebbe persona solo l’individuo capace di attribuire un qualche valore alla sua esistenza. Quindi l’essere persona dipende dal possesso di autocoscienza. Un essere umano all’inizio della sua esistenza è persona solo “potenzialmente” ma non ancora a tutti gli effetti. Di conseguenza non può essere danneggiata se le viene negato il diritto alla vita. Gli autori
Se chiamano l’infanticidio “aborto post nascita”, perché non chiamare l’aborto “infanticidio pre nascita”?
affermano che le legislazioni abortiste sono lecite perché la “scelta” delle donne non lede il diritto di nessuno, non “danneggia” nessuna “persona”. E aggiungono, con la loro logica: perchè mai dovremmo limitare questo esercizio di un diritto ad un determinato periodo della gravidanza? L’“autocoscienza” si forma più avanti nella vita delle persone, per cui non ci sarebbe nulla di strano nel consentire “l’aborto post-nascita”, fino al momento in cui gli specialisti come i neurologi dicono che è possibile, perché i neonati non sono ancora in grado di autocoscienza. E poichè si tratta di non-persone non ci dovrebbero essere limitazioni alla possibilità di ucciderli: la decisione dipenderebbe solo da genitori e parenti che, essendo “persone in atto”, potrebbero subire un qualche danno dall’esistenza del “bambino-non-ancora-persona”. Non possiamo stupirci di queste dotte argomentazioni quando tutti i giorni l’aborto viene usato per applicare l’eugenetica su larga scala o come contraccezione “di ultima istanza”! Né c’è bisogno di sottolineare l’immoralità di questa posizione. Può essere però utile far vedere come l’applicazione logica di questa “teoria” potrebbe ritorcersi contro quella stessa mentalità radicale e progressista che la promuove. Ad esempio l’articolo Giubilini e Minerva può servire ad accettare l’eliminazione delle bambine prima e dopo la nascita che avviene in paesi come l’India e la Cina, oppure di neo-
nati appartenenti a gruppi etnici “indesiderati”. Questa teoria, inoltre, giustifica l’egoismo intergenerazionale: perchè quelli che sono persone ora dovrebbero preoccuparsi del bene dei loro discendenti che ancora non sono persone? Perchè dovremmo preoccuparci di non consumare le risorse non rinnovabili o di evitare catastrofi climatiche? Ma è così che le lobbies anti vita avviano le loro battaglie. Si parte con discussioni accademiche e con posizioni estreme per spostare il confine tra il giusto e l’ingiusto più in là; e nello stesso tempo si introducono nuove parole per nascondere vecchie ingiustizie. E così l’infanticidio diventa “aborto post-nascita” e il giudizio del neurologo serve ad addormentare le coscienze. Tuttavia, l’articolo, nella sua immoralità, offre un argomento molto interessante per il movimento pro-life. Trasformando l’infanticidio in un aborto post-nascita svela definitivamente la menzogna stessa dell’aborto: che non è altro che un “infanticidio pre-nascita”. Potranno essere approvate mille leggi per legalizzarlo, magari molto “restrittive”, o che dichiarano l’aborto un male che però è purtroppo inevitabile e quindi va “regolamentato”. L’aborto volontario continuerà ad essere quello che è sempre stato: l’uccisione del più piccolo tra i piccoli, l’uccisione di un bambino non ancora nato. Notizie ProVita n. 2 - Novembre 2012
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In paesi come l’India le donne che affittano il proprio utero godono di pochissimi diritti e mettono spesso a repentaglio la propria vita Nella foto: Premila Vaghela, madre surrogata indiana, morta all’ottavo mese di gestazione, nel 2012
Alcuni rischi della fecondazione artificiale (o Pma) La fecondazione artificiale nuoce gravemente alla salute delle donne. Ad essa è spesso connessa una nuova schiavitù: l’utero in affitto di Francesco Agnoli
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e l’aborto è una tematica poco conosciuta, benché in fondo assai semplice (basterebbe guardare un’ecografia) ancora più ignorato è il grande problema della fecondazione artificiale o procreazione medicalmente assistita (Pma). Proverò ad affrontare uno dei tanti problemi insiti in queste pratiche manipolatorie della vita umana: quello che riguarda più direttamente la salute fisico-psichica delle donne. Ogni ciclo di Pma richiede una procedura preliminare assai invasiva che si chiama iperstimolazione ovarica (praticata direttamente sulla paziente oppure su donne che vendono i loro ovuli ad altre). Ebbene l’iperstimolazione ovarica porta con sé rischi pesantissimi: cancri al seno, all’ovaio e all’endometrio, infertilità futura, emorragie, ictus, infarti, paralisi e morte (“Assessing the medical risks of human oocytedonation. From stem cell research”, L.Giudice, E. Santa and R. Pool eds, Washington, D.C., National Academy of science, 2007; Tempi, 8/9/2011). Negli Usa per denunciare questo fatto, solitamente occultato, è stato girato un documentario, intitolato “Eggsploitation”, visibile anche in rete, in cui alcune donne raccontano il calvario subito. Anche il più famoso esperto italiano di Pma, Carlo Flamigni, ammette che l’iperstimolazione può essere “pericolosa persino per la vita”: infatti “l’ovaio cresce in
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modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente, e soprattutto se l’iperstimolazione è grave, si forma un’ascite e compaiono raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde proteine e la funzionalità renale diminuisce pericolosamente. A causa di grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talché esiste addirittura un rischio di vita nei casi più sfortunati” (“La procreazione assistita”, il Mulino, Bologna, 2002). Accanto ai rischi connessi dell’iperstimolazione, possiamo citare quelli legati alla pratica mercantile, sempre più diffusa, dell’utero in affitto: si tratta di una nuova forma di schiavitù, dal momento che spesso sono donne povere, di colore o di paesi poveri e del Terzo Mondo che portano in grembo “i figli prevalentemente bianchi della procreazione assistita”. Già nel 1995 “i quotidiani polacchi, tacitamente, sollecitavano le donne a fare da surrogate per coppie olandesi, belghe e tedesche. Il compenso era più o meno l’equivalente di due anni di salario in Polonia”. Quanti casi? Si parla di 1210 tentativi di locazione di utero negli Usa soltanto nel 2000, il doppio rispetto a tre anni prima. Poiché la fecondazione artificiale ha reso possibili i cosiddetti “matrimoni gay”, accade anche che in molti paesi dell’Occidente due uomini com-
perino degli ovuli presso le banche degli ovuli e affittino un utero, per produrre un bambino (che non vedrà mai la mamma biologica, verrà separato dalla madre gestazionale né avrà mai una mamma affettiva!). Con l’aumento delle nozze gay, dunque, crescono i bambini nati nell’utero, per lo più, di povere donne, sfruttate cinicamente da cliniche perverse. In paesi come l’India queste donne, talora vedove, disperate, affittano il proprio utero (a gay, singles, ecc ….) anche più volte nella vita; godono di pochissimi diritti (firmano una liberatoria che solleva la clinica da qualsiasi responsabilità in caso di problemi) mettono talora a repentaglio la propria vita; non di rado compromettono anche quella del nascituro, verso il quale, non essendo loro figlio, non hanno sempre le precauzioni necessarie … Nella sola India l’industria degli uteri affittati fattura 2 milioni di euro l’anno. (Il Foglio, 3/7/2012; portale www.BioEdge.org, 26/5/2012). Notizie ProVita n. 2 - Novembre 2012
L’iperstimolazione ovarica può causare cancro, infertilità, emorragie, ictus, infarti, paralisi e morte
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Laura Bruno Direttore Risorse Umane Italia SANOFI “Come Sanofi abbiamo ritenuto importante partecipare a questa interessante iniziativa inserendola nel nostro progetto di Welfare “Attenzione alla persona”, che racchiude iniziative atte a supportare i colleghi anche nella gestione della vita personale, tra cui la formazione dei figli. Gli HRC Talent Days aiutano e accompagnano i ragazzi ad inserirsi nel mercato del lavoro, con una visione oggettiva e propositiva, grazie anche all’incontro con colleghi HR Director che, come me, mettono a disposizione dei partecipanti il proprio bagaglio di competenze ed esperienze”.
Bruno Burigana Direttore Personale Organizzazione & Security SNAM “Dare un sostegno concreto a progetti che migliorano la qualità della vita delle nostre persone è un investimento di grande valore. La grande affluenza dei giovani agli HRC Talent Days e i commenti positivi dei colleghi confermano la bontà di questa iniziativa che mi auguro possa riscuotere nel tempo ancora più entusiasmo”.
Orientamento al lavoro con i Manager delle grandi aziende
Rosario Izzo
Direttore Risorse Umane, Organizzazione e Corporate Social Responsibility INFOCERT “Attraverso HRC Talent Days, InfoCert si è assunta la responsabilità di essere parte attiva nell’orientamento di giovani studenti verso il mondo lavorativo. Abbiamo messo a disposizione risorse economiche e professionali per preparare al meglio i ragazzi nell’affrontare i primi colloqui e le prime esperienze aziendali. Invito vivamente altre aziende a partecipare perché è compito anche delle imprese favorire positivamente la transizione dallo studio al lavoro”.
Proponi subito alla tua azienda di aderire all’iniziativa. Dai anche tu questa opportunità ai giovani!
Francesco Luchi
Country HR Head Italy MERCK SERONO “Merck Serono ha aderito con entusiasmo a questa iniziativa, estendendola a tutti i suoi dipendenti, che avranno la possibilità di iscrivere i loro figli ai seminari organizzati da HRC. Oggi i nostri ragazzi percepiscono il mondo del lavoro come qualcosa di distante e difficile da comprendere. Noi intendiamo dare il nostro piccolo contributo alla creazione di un ponte tra le realtà della scuola e quella lavorativa così da valorizzare la risorsa più importante in assoluto: i giovani. Con la nostra partecipazione vogliamo inoltre confermare il nostro impegno nei confronti dei contesti sociali in cui operiamo, in linea con l'attenzione ai temi del Corporate Social Responsibility che è propria di tutte le realtà del mondo Merck”.
HRC INTERNATIONAL MEETING 27 - 28 Novembre 2014 - Roma Gran Melià Villa Agrippina & Pontifical Urbaniana University
Prestigiosi “CSR Awards” per le aziende aderenti
Hanno già aderito: ADP - Allergan - Altroconsumo - Astrazeneca - Axa Assicurazioni - Axa Mps - Bausch & Lomb - BNL Gruppo BNP Paribas - Bombardier Transportation - Cisco Systems Italy - Coca-Cola HBC - Continental - DHL - Edison - Euler Hermes - Europcar - Generali Italia - Groupama Assicurazioni - InfoCert - Lindt & Sprungli - Lundbeck - Merck Serono - Mondelez Italia Novo Nordisk - Pirelli - Quintiles - Sacchi Giuseppe - Sanofi - SDA Express Courier - SEA Aeroporti Milano - SIA - Snam - Takeda Italia - Tirreno Power - UBS - Zeta Service
La partecipazione dei Manager all’HRC International Meeting, è fruibile anche in formazione finanziata. Info e iscrizioni: eventi@hrcommunityacademy.net cell: 342.91.64.968 www.hrcommunityacademy.net
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Antologia - 1° Volume
Ogni essere umano ha il diritto sin dal concepimento a essere custodito come fine, a non essere usato come mezzo
“Come lo vuole, fresco o congelato?” È passata la notizia che “i bimbi nati da embrioni congelati nascono più sani”. La verità è che sì, sono più vitali di quelli che erano embrioni creati in vitro e impiantati “a fresco”, ma resta comunque elevatissima la percentuale dei “figli della provetta” – freschi o scongelati che siano – che non vedranno mai la luce. di Renzo Puccetti
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ome lo vuole, fresco o congelato?”. Pensate di essere al mercato del pesce? No, questa domanda in un futuro prossimo potrebbe essere rivolta alla coppia che si rivolge al mercato della riproduzione artificiale, dove si sa, la prima regola pare sia la soddisfazione del cliente. Ultimamente il dibattito tra gli esperti della materia si è particolarmente concentrato attorno alla discussione alimentata da una pubblicazione comparsa sul numero di agosto della rivista specialistica Fertility and Sterility; gli autori hanno esaminato cumulativamente i risultati derivanti da 16 studi evidenziando un numero minore di complicanze perinatali, una ridotta mortalità neonatale e una migliore salute dei bambini nati da fecondazione artificiale dopo congelamento embrionale rispetto a quelli nati dopo trasferimento intrauterino a fresco. I dati sono stati confermati da un successivo studio pubblicato sulla stessa rivista nel mese di ottobre che ha analizzato retrospettivamente quasi 26000 neonati nati da fecondazione artificiale in Giappone nel 2007/2008. Le teorie avanzate per spiegare il fenomeno sono due: la mancanza dell’esposizione agli ormoni usati per la stimolazione materna sugli embrioni crioconservati, oppure
la più rigida selezione degli embrioni qualitativamente migliori che si realizza nei processi di congelamento e scongelamento. A questo proposito si può fornire qualche numero tratto dall’ultima relazione ministeriale sulla situazione italiana. Volendo considerare che il tasso di successo nelle gravidanze perse al follow-up sia equivalente a quello rilevato nelle gravidanze monitorate, dei 16280 embrioni congelati ne sono giunti alla nascita 1244, appena il 7,6%; analizzando allo stesso modo il destino degli embrioni trasferiti a fresco si può calcolare che dei 123433 embrioni generati ne sono nati 12268, il 9,9%. La fecondazione artificiale comporta quindi una mortalità embrionale del 90,1% per gli embrioni trasferiti a fresco e del 92,4% per quelli trasferiti dopo congelamento, entrambe percentuali notevolmente superiori alla mortalità naturale degli embrioni concepiti naturalmente. Da ultimi si possono citare i dati delle linee guida canadesi stilate congiuntamente da ginecologi e andrologi che indicano per le gravidanze non gemellari da fecondazione artificiale un rischio più elevato del 30% di ipertensione gestazionale, del 640% di placenta previa e dell’80% di distacco placentare, un incremento poi del 70% di rischio di mortalità perinatale e dell’80% dei parti pretermine. Dati che indi-
cano come per adesso la generazione venga meglio quando avviene in modo naturale. Una cosa è importante sia ribadita: la critica morale sul ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale non è affatto lesiva della dignità incondizionata ed inalienabile di cui è portatore ogni essere umano, indipendentemente dalla modalità di concepimento; anzi, è proprio per tutelare questa dignità, per ribadire che ogni essere umano ha il diritto sin dal concepimento ad essere custodito come fine, a non essere usato come mezzo, che la verità morale e scientifica sulla fecondazione artificiale va fatta conoscere. Perché i figli non siano un manufatto, ma siano amati indipendentemente dalla qualità e non scartati come pezzi usciti difettosi dalla fabbrica. Notizie ProVita n. 3 - Dicembre 2012
La fecondazione artificiale comporta una mortalità embrionale del 90,1% per gli embrioni trasferiti a fresco e del 92,4% per quelli trasferiti dopo congelamento
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Vademecum per il medico obiettore Note giuridiche importanti per i medici che si rifiutano di uccidere Gianfranco Amato, Presidente di Giuristi per la vita, spiega perché anche sulla cosiddetta “contraccezione d’emergenza” il medico può invocare il diritto all’obiezione di coscienza. Si tratta, infatti, di pillole abortive (cambiargli il nome non gli cambia la sostanza), e il diritto all’obiezione, che è previsto nella stessa l.194, si può esercitare anche nel caso delle pillole. È protetto - insieme al diritto alla vita - dalla Costituzione, e dal codice di deontologia medica. Infine, se anche un giudice di parte e pretestuoso ritenesse di poter sottoporre il medico obiettore ad azione legale, sarebbe costretto a riconoscere il suo comportamento senza colpa né dolo, quindi non punibile. Piuttosto sono le pressioni contro i medici obiettori che potrebbero essere perseguite penalmente. di Gianfranco Amato
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ei sempre più frequenti casi di minaccia di azione legale contro i medici che si rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo (o dei cinque giorni dopo), le argomentazioni si basano quasi sempre sui seguenti rilievi: a) non esiste per le prescrizioni delle pillole utilizzate nella contraccezione d’emergenza un diritto all’obiezione espressamente previsto per legge; b) nel campo penale non è possibile l’applicazione analogica dell’art.9 della Legge 194/78 (il quale prevede l’obiezione di coscienza in caso d’interruzione volontaria della gravidanza); c) il medico è comunque deontologicamente obbligato a prescrivere la pillola, rischiando, in caso contrario, sanzioni disciplinari e legali. Ecco, in sintesi, i punti che possono essere invocati a sostegno del diritto all’obiezione di coscienza e i rimedi per tutelarlo.
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1. Esistono elementi non eludibili dal punto di vista scientifico, suffragati dalle stesse indicazioni delle case farmaceutiche, che attestano l’attitudine delle pillole utilizzate nella contraccezione d’emergenza ad agire anche nella fase post-concezionale, impedendo l’ulteriore procedere della vita dell’embrione e, in particolare, il suo annidamento nella parete uterina. Appare quindi evidente quantomeno la potenzialità di un simile effetto, e il rilievo causale decisivo rispetto al possibile determinarsi di tale effetto, tra la prescrizione e la somministrazione delle predette pillole. 2. È vero che il diritto all’obiezione di coscienza nei casi in esame non è esplicitamente contemplato da una norma di legge – posto che la previsione di cui all’art. 9 della legge n. 194/1978 attiene al contesto della interruzione di una gravidanza accertata –, ma è altrettanto vera la sussistenza delle condizioni
per invocare l’applicabilità per analogia, ai sensi dell’art. 12, co. 2, disp. prel. cod. civ., del medesimo art. 9. La ratio giustificativa dell’obiezione nel caso dell’interruzione volontaria della gravidanza, infatti, è identica a quella invocabile per la prescrizione delle pillole utilizzate nella contraccezione d’emergenza, ovvero l’indisponibilità ad agire in senso lesivo di una vita umana nella fase prenatale, e segnatamente di una vita umana che va svolgendo la sua sequenza esistenziale all’interno del corpo femminile. A questo proposito occorre precisare che il citato art. 9 restringe l’ambito della potenziale applicabilità di norme penali incriminatrici, e quindi l’utilizzazione analogica della medesima norma non va incontro al divieto di cui all’art. 14 disp. prel. cod. civ., dando luogo per l’appunto, sotto il profilo penale, a un’ipotesi di c.d. analogia in bonam partem. 3. Anche a prescindere dai rilievi
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“Il diritto all’obiezione ha fondamento diretto nell’art.2 della Costituzione
del punto precedente, peraltro, i casi in esame, in quanto riguardano l’indisponibilità alla collaborazione verso un atto lesivo della vita umana, devono ritenersi afferenti all’ambito di un diritto all’obiezione che ha fondamento costituzionale e risulta desumibile direttamente dalla Costituzione. Tale indisponibilità, infatti, non riflette un atteggiamento antigiuridico, ma la fedeltà al rilievo di quel particolare bene – la vita umana – il cui rispetto assume un ruolo del tutto preminente nell’impianto costituzionale, costituendo presidio del mutuo riconoscimento fra gli esseri umani come uguali (vale a dire, del principio di uguaglianza), nonché presupposto necessario dell’esercizio di qualsiasi altro diritto. 4. Resta inoltre applicabile in favore del medico che non intenda prescrivere o somministrare le pillole in oggetto la clausola di coscienza contemplata dall’art. 22 del codice di deontologia medica: clausola che non avrebbe alcuna ragion d’essere se non costituisse un criterio delimitativo degli obblighi giuridicamente ascrivibili al medico, assumendo rilievo, pertanto, anche al di fuori dei casi di obiezione esplicitamente previsti dalla legge. E proprio in riferimento alla clausola di coscienza il Comitato Nazionale per la Bioetica ha riconosciuto in modo unanime, nella Nota sulla contraccezione di emergenza approvata il 28 maggio
2004, la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione di Levonorgestrel (LNG). 5. Da quanto s’è detto deriva che, se da una parte l’ordinamento giuridico intende garantire la possibilità d’interruzione del processo già attivatosi di una vita umana, dall’altra parte esso non può operare con modalità coattive nei confronti di soggetti indisponibili per ragioni di coscienza a tenere quelle medesime prestazioni. 6. Infondata appare, quindi, la minaccia di azioni legali contro i sanitari che intendano avvalersi dell’obiezione di coscienza nei confronti delle pillole in oggetto. E se pure azioni del genere dovessero essere intraprese, esse non sembrano poter reggere a un vaglio giudiziario. Si noti del resto che, perfino nel caso in cui – per ipotesi – si dovesse
giungere in sede giudiziaria a considerare inammissibile l’obiezione di coscienza nei casi in discussione, sarebbe ben difficile non riconoscere nei sanitari interessati – alla luce della situazione attuale e dei pronunciamenti del Comitato Nazionale per la Bioetica – un errore inevitabile (e come tale scusabile) di diritto sull’obbligo penalmente rilevante, come altresì l’assenza del dolo in merito all’antigiuridicità della condotta. 7. Occorre, infine, evidenziare che eventuali pressioni o minacce nei confronti dei medici obiettori intese a far sì che il loro diritto all’obiezione non venga esercitato potrebbero essere suscettibili, sussistendone le condizioni, di rilievo giuridico, anche sul piano penale (per esempio con riguardo ai reati di violenza privata e di minaccia, ex artt. 610 e 612 c.p.). Notizie ProVita n. 1 - Gennaio 2013
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Il Prof. Noia con Sabrina Pietrangeli, foto di Carlo Paluzzi
Il frutto di un amore sovrumano La straordinaria esperienza di Sabrina Pietrangeli e Carlo Paluzzi: dopo una diagnosi pre-natale infausta, non solo è nato Giona, ma ha preso vita l’onlus La Quercia Millenaria (www.laquerciamillenaria.org) di Sabrina Pietrangeli
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ra i motivi che possono indurre una mamma a non gioire per il dono della vita nel suo grembo c’è quello di temere per la salute del proprio piccolo. Successe a me e mio marito ben dieci anni fa. Attendevamo il nostro terzo bambino. Al quinto mese, la diagnosi: “feto terminale”. La prospettiva innaturale di un feto destinato al feretro. Un amore sovrumano ci permise di non cedere alle lusinghe di medici faciloni, per i quali questo bambino era divenuto inutile, un dispendio di tempo (loro), di energie (mie), di risorse economiche (regionali). Ci trovammo abbandonati, stretti l’uno all’altra in lacrime fuori da un ospedale, come due colonne alle quali improvvisamente mancavano le fondamenta. Ci volle un po’ per trovare un medico il cui camice bianco rivelasse un candore personale, riconducibile a una vita di preghiera e d’intimità con Dio. E così la speranza, l’accoglienza, le cure, e poi il miracolo inspiegabile di una “risoluzione spontanea”, come recita la cartella clinica, con la freddezza di chi non riconosce che Scienza e Fede possono coesistere. Nostro figlio ci ha insegnato la pazienza. Sette mesi consecutivi
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in ospedale: interventi, infezioni, trasfusioni… e una lunga terribile notte in cui per ben otto ore i suoi reni sono rimasti bloccati e la sua vita si stava spegnendo. In quel momento contrattai con Dio, così com’ero abituata a fare con i miei genitori: gli chiesi di restituirmi mio figlio. In cambio gli avrei dato tutta la mia vita. Lui è stato di parola, ed io da otto anni in qua, sto facendo del mio meglio! Così è nata La Quercia Millenaria, un’onlus, che unendo scienza e testimonianza dona ai genitori affranti da diagnosi terribili il sollievo di sentirsi compresi e la possibilità di veder curare il proprio piccolo anche in utero, per migliorare la qualità della sua vita e a volte risolvere totalmente la patologia. La nostra collaborazione con il prof. Noia, e soprattutto con il Policlinico Gemelli di Roma, iniziata nel 2006 e formalizzata lo scorso Maggio, prevede la nostra presenza continua in favore delle mamme e dei papà presso il Day Hospital di Ostetricia con un mirato servizio di Caring Perinatale, dopo che il caso ci è stato segnalato per telefono o e- mail. Prendiamo subito un appuntamento e siamo presenti alla consulenza, alle ecografie, alle indagini invasive, tenendo la mano alla mamma spaventata, o
rassicurando il papà in ansia nella sala d’attesa; nella sala parto, e molto spesso nei momenti tristi del lutto familiare, quando il piccolo è realmente terminale e muore poco dopo la nascita. A che scopo un tale impiego di risorse? La risposta è nell’evidenza dei fatti: l’85% delle famiglie che anziché ricorrere all’aborto sceglie di accompagnare il proprio bambino verso un exitus naturale, elaborano molto più in fretta la perdita e si riaprono alla genitorialità in tempi brevi, 12-18 mesi dopo. Nessun episodio depressivo, nessuna conseguenza negativa sulla salute mentale dei vari membri della famiglia, nessun divorzio. È quindi una forma educazionale di accoglienza alla vita, non certo fondamentalismo religioso! E così questa è la storia di Giona, un bambino considerato “inutile” da medici senza cuore, che dopo nove anni dalla sua nascita, ha visto nascere un esercito di bambini che sono stati amati, accolti, e tornati in cielo, e un altro esercito di bambini in terra, le cui mamme non hanno acconsentito all’aborto eugenetico, e oggi invece, felicemente, stringono il proprio bambino sano tra le braccia. Notizie ProVita n. 2 - Febbraio 2013
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La vita è degna di essere vissuta, semplicemente perché è… Vita! E un figlio disabile non “è” un problema, è un figlio che “ha” un problema
Francesca e Elena
Vite La testimonianza di una delle innumerevoli persone che conoscono bene il mondo dei disabili mentali e sono convinte che le loro vite sono più che degne di essere vissute. di Francesco Agnoli
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er fortuna il mondo è pieno di associazioni e movimenti che testimoniano nella concreta realtà quotidiana che la vita dei disabili è “degna di essere vissuta” e che le prospettive di felicità di un essere umano non dipendono né dal quoziente intellettivo, né dalla mappatura dei cromosomi. Basti pensare all’esercito di normodotati depressi, drogati, infelici e “scoppiati”, che popolano questa nostra società opulenta. Intervistiamo, dunque, un membro della nostra redazione che da più di 30 anni fa parte dell’associazione internazionale Fede e Luce (www.fedeeluce.com), nata in Italia 40 anni fa, grazie al carisma di Jean Vanier, che già aveva fondato l’Arche e Foi et Lumiere in Francia. Francesca, la vostra Associazione vuol testimoniare che con i disabili mentali si può creare un rapporto di amicizia. Non sono, insomma, persone da accudire e basta, un peso per la società? So con certezza, perché l’ho sperimentato, che gli esseri umani non comunicano solo con parole, gesti, o comportamenti concludenti e razionali. Esiste un livello di comunicazione di sentimenti, un
“feeling”, direbbero gli Inglesi, impercettibile ai cinque sensi eppure reale e concreto. Conosco persone che non sono in grado di parlare e di esprimersi in alcun modo, assolutamente chiuse in se stesse, del tutto non autosufficienti, che comunicano. Hai in mente qualcuno in particolare, nel dire queste cose? Ho in mente moltissime persone. Elena, per esempio. Serrata dietro il muro dell’autismo da quando è nata, appare men che nulla, ma invece…. Si lascia fare di tutto e ogni tanto graffia o tira i capelli, anche senza motivo, solo perché in certi momenti si sente ostacolata nel suo “Essere”. Rarissimamente guarda negli occhi; anzi non guarda mai niente e nessuno, ma vede tutto. E ti vede dentro. E mette a nudo davanti a tutti e soprattutto davanti a te stesso la tua povera umanità, rimuovendo d’un colpo la fragile apparenza di cui spesso siamo fatti. Elena fisicamente ti può mettere KO in poco tempo: tu non puoi vincere, puoi solo fuggire. Se accetti il confronto non hai tregua finché non ti denudi l’anima e t’inginocchi davanti all’Eterno e al Mistero gemendo: ”Perché?”. E quando la risposta non arriva e tu vorresti finalmente farla finita e andartene via, ti scopri imprigio-
nato in un profondo, reciproco, struggente, legame d’amore. Elena mi ha salvato la vita. Mi ha evitato scelte sbagliate e disperate, mi ha fatto crescere nella direzione giusta, mi ha insegnato la giusta gerarchia dei valori. Se Elena non fosse nata, se non l’avessi incontrata, non oso pensare dove sarei e cosa sarei. Ma queste persone conducono una vita “degna di essere vissuta”? Maria Rosaria era spastica, poliomielitica, ritardata (a 53 anni, era come se ne avesse 6), sorda, e ha avuto il cancro. La mia “grande” fede, allora, si è mostrata più fragile di quanto pensassi. Mi sono ritrovata drammaticamente libera di credere o no e di scegliere così la speranza o la disperazione. Ed è stata lei, proprio lei, Maria Rosaria, che mi ha insegnato la speranza, mi ha detto “Dove sono debole, è allora che sono forte”, con tutti i suoi handicap. È stata più forte e in gamba di me perché ha saputo sopportare tutto. Non era un angelo, in vita. Anzi era una persona determinata e testarda (e anche gelosa!). Se poteva imbrogliava anche, pur di ottenere quello che riteneva giusto. E se non riusciva a imbrogliare, ti chiedeva, per favore, di imbrogliare tu, contro te stessa, per far vincere
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Antologia - 1° Volume cato di ignorarla, allontanandosi il più possibile da lei, dalla famiglia e da Dio. Poi ha incontrato delle persone (amici di Fede e Luce) che incredibilmente erano interessati a quella creatura, la portavano in giro, alle feste, a Messa… Gli è caduto il velo dagli occhi. Si è reso conto che anche Sabina poteva avere “una vita degna di essere vissuta”. Mi ha detto una volta: “Ringrazio Dio di avermi donato Sabina: mi ha dato più gioie e più soddisfazioni di un figlio normale”. Allora dobbiamo “sperare” di avere un figlio disabile?
Jean Vanier
lei… Era più simpatica che dolce. Non esitava a comandare e guai, se il comando non era eseguito a puntino! Del resto le persone che amava erano “sue”. Poi, a conoscerla bene, nell’intimità, si rivelava dolce e indifesa. Come quando si lavava i denti. O si vestiva e diceva che voleva fare da sola. (E faceva da sola. Tutto. Impiegando un tempo infinito.) Da lei ho imparato l’amicizia vera. Ho imparato cosa vuol dire voler bene in modo gratuito. Da lei ho imparato a parlare con poche parole. Più a fatti che a parole. Da lei ho imparato la pazienza. Da lei ho imparato un sense of humor più unico che raro. Da lei ho imparato la fedeltà. Da lei ho imparato a vedere belle le persone (me stessa compresa) a prescindere dall’aspetto fisico. Da lei ho imparato a cantare senza suoni. Con lei mi sono sempre divertita. Di lei mi porterò sempre nel cuore il sorriso. È stata una vita vera, piena di gioie e dolori, di salute e di malattia, come la vita di chiunque. Mi pare di capire che sia morta per un cancro. In un caso del genere molti pensano che sia più umano e più giusto “aiutare a morire” le persone. Fino alla fine è stata aggrappata con le unghie e con i denti alla vita,
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nonostante la sofferenza. Se per un momento mi è passato – con orrore - per la mente che “farla” morire poteva essere una liberazione, ora sono più che mai convinta che lei assolutamente e disperatamente, comunque, voleva vivere. L’eutanasia è decisamente e sicuramente SOLO un atto egoistico interessato a porre fine al dolore (che può essere anche immenso) di chi assiste. Oltretutto le terapie del dolore sono in grado di lenire abbastanza bene il male fisico senza addormentare del tutto il paziente. Del resto un grande poeta scrisse “non sono mai stato tanto attaccato alla vita” quando si trovava faccia a faccia con la morte. E i genitori, i fratelli, i parenti che comunque devono curare per tutta la vita queste persone? Il mio cuore è pieno di volti di genitori e fratelli che testimoniano ogni giorno la gioia – sì, la gioia – di vivere, nonostante i problemi pratici e la responsabilità immensa che comporta un figlio o un fratello con handicap. Tra i primi che ho conosciuto, più di 30 anni fa, Francesco, il papà di Sabina: all’inizio non ha accettato la figlia, cieca, sorda, gravemente cerebrolesa. Anzi, per lunghi anni ha quasi cer-
Nessuno vuol dire questo. Anzi, soprattutto lo Stato e le Istituzioni dovrebbero assistere in modo più efficiente chi si trova obiettivamente in difficoltà, spesso grandi (in ogni ambito). Ma una società di persone “perfette” è assolutamente inconcepibile se non nella follia di menti come quella di Hitler. Dobbiamo riconoscere tutti il diritto alla vita di ogni essere umano, perché la vita è degna di essere vissuta, semplicemente perché è… Vita! E un figlio disabile non “è” un problema, è un figlio che “ha” un problema. E che può essere – come qualsiasi figlio – aiutato a risolverlo. Ecco come si presenta il mio amico Alfredo (21 anni), un ragazzo eccezionale come tanti altri che conosco: “Ho fatto un corso d’informatica e ho preso un diploma della Regione; spero di trovare un posto di lavoro sempre nell’ambito del computer. Grazie all’associazione AIPD (www.aipd.it) ho imparato a essere autonomo. Vado agli Scout. Vado a fare acquisti, al cinema oppure a giocare al bowling. Prendo l’autobus o la metropolitana. Per diventare indipendente nella vita. Essere autonomi significa che noi ragazzi Down possiamo gestirci la vita e anche essere indipendenti. Per me essere Down significa che posso avere le chiavi di casa e questa è una cosa molto importante perché è una responsabilità”. Notizie ProVita n. 2 - Febbraio 2013
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La legge 194 è contro la verità scientifica La legge 194 è una cattiva legge anche perché si fonda su basi anti-scientifiche. Il dottor Algranati ci illustra alcuni di questi aspetti di Roberto Algranati
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ulla “capacità di sopravvivenza autonoma del feto”, anche in ambienti colti, regna una grave disinformazione. Si pensa che, nel seno materno, il feto non abbia una vita propria ma partecipi alla vita stessa della madre e che solo verso le 24 settimane di gravidanza, il nascituro acquisti in qualche modo misterioso una vita propria e “autonoma”, che gli permetterebbe di sopravvivere fuori del corpo della madre e gli conferirebbe un pieno diritto alla vita. Dal punto di vista scientifico questa idea è completamente falsa. Eppure gli articoli 6 e 7 della legge 194/78, sull’aborto legale nel secondo trimestre di gravidanza, si basano proprio su questa idea erronea. In realtà qualunque animale, uomo compreso, per mantenersi in vita deve nutrirsi, respirare ed eliminare i prodotti del metabolismo. Un adulto o un neonato adempiono queste funzioni per mezzo dei polmoni, del tubo digerente, e dei reni. Invece l’embrione o il feto umano, come tutti i mammiferi placentati, compie le stesse funzioni per mezzo di un unico organo, la placenta, che li rende capaci di utilizzare il sangue della madre, che circola nelle pareti dell’utero, come sorgente di ossigeno e di sostanze nutritive e come via di eliminazione dell’anidride carbonica e degli altri prodotti del metabolismo. La nasci-
ta, quindi, non è l’inizio della vita umana, ma solo un brusco cambiamento dell’ambiente di vita di un essere umano che già vive e si sviluppa fin dal concepimento. Il feto ha “capacità di sopravvivenza autonoma” quando i suoi polmoni, i suoi reni e il suo apparato digerente sono abbastanza sviluppati da sostituire le funzioni della placenta. Particolarmente importante è la funzione dei polmoni. Se essi non sono in grado di sostituire la placenta nell’assunzione di ossigeno e nell’eliminazione dell’anidride carbonica, il bambino muore per insufficienza respiratoria. È questa la causa di gran lunga più importante della non sopravvivenza del feto fuori dell’utero materno, e non già una presunta “mancanza di vitalità”, o un tipo di vita “inferiore”. Da questi dati scientifici risulta chiaro che è assurdo attribuire al
Oggi i medici riescono a far funzionare sufficientemente i polmoni di un neonato molto prematuro anche quando questi, da soli, non sono ancora in grado di farlo.
feto un maggiore o minor grado di dignità umana, e quindi condizionare il suo pieno diritto alla vita, sulla base della sua capacità di sopravvivere fuori dell’utero, come stabilisce la legge 194 agli articoli 6 e 7. È, infatti, irragionevole far dipendere il diritto alla vita sia dal modo con cui un essere umano si nutre e respira, sia dalla capacità di sopravvivenza al di fuori dell’utero perché questa dipende dal grado di assistenza medica disponibile. Cento anni fa nessun neonato sopravviveva se nasceva prima delle 30 settimane di gravidanza; oggi, sopravvive il 70% dei nati fra la 25ª e la 28ª settimana, il 10% dei nati fra la 25ª e la 23ª settimana, il 3% dei nati alla 22ª settimana. Ciò è possibile perché oggi i medici riescono a far funzionare sufficientemente i polmoni di un neonato molto prematuro anche quando questi, da soli, non sono ancora in grado di farlo. Perciò, alla luce della scienza, è evidente la natura ideologica e antiscientifica degli articoli 6 e 7 della legge 194/78, come del resto lo sono anche molti altri articoli. Ciò ha creato un insanabile conflitto fra la legge positiva e la realtà di fatto, da cui non si potrà mai uscire fin quando la legge continuerà a basarsi su pregiudizi ideologici senza tener conto dei dati oggettivi certi delle scienze biologiche. Notizie ProVita n. 4 - Aprile 2013
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Oggi sopravvive il 10% dei nati fra la 25ª e la 23ª settimana, il 3% dei nati alla 22ª settimana
Sente dolore il feto nel pancione? La capacità di percepire dolore si sviluppa a metà della gravidanza: diversi centri per le IVG hanno sviluppato un protocollo che prevede l’anestesia del bambino prima di procedere all’aborto. di Carlo Bellieni
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erché sentiamo dolore? Perché abbiamo nervi e cervello in ordine per sentirlo. Da quando i nostri nervi e il nostro cervello sono in grado di sentire il dolore? Da quando si sviluppano le connessioni tra i nostri organi e quella parte del cervello che si chiama “talamo” che è proprio lì per percepire il dolore, attività utilissima perché se non sentissimo il dolore non ci andremmo nemmeno a far curare. E le connessioni nervose tra i nostri organi e il talamo sono presenti dopo 20 settimane di gravidanza. Questa è ormai un’evidenza scientifica chiara, che non è messa in discussione proprio da nessuno. Si potrà discutere sul grado di coscienza che il feto a 20 settimane ha del dolore, ma che il dolore arrivi per quella via non lo dubita nessuno. Un gruppo di studiosi inglesi negli anni ‘90 fece anche di più: misurò come aumentano nel sangue di un gruppo di feti di 19-25 settimane di gestazione gli ormoni dello stress dopo uno stimolo doloroso, e videro che questi ormoni – segno di stress e dolore appunto – aumentano come nell’adulto. Il fatto che ancora a 20 settimane di gravidanza non sia presente completamente la “corteccia cerebrale” (la cosiddetta “materia grigia” del cervello) non significa che il dolore non si senta, sia perché da quell’epoca inizia a
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essere presente un suo abbozzo già funzionante, detto “sottoplacca”, sia perché, come dicevamo, bastano le connessioni col talamo per provare il dolore. Ora il problema del dolore non è un problema che riguarda solo l’aborto, cioè un tema prolife, ma interessa ormai anche la medicina, dato che oggi è finalmente possibile operare in utero i feti, cioè eseguire interventi chirurgici sul bambino ancora nel pancione, e la scienza s’interroga su come non fargli provare dolore. Sul Journal of Fetal Maternal and Neonatal Medicine del gennaio 2013 ho pubblicato una rassegna sui tipi di farmaci analgesici che si usano sul feto nei centri che eseguono operazioni chirurgiche in utero, e sulla rivista dell’American Association of Pharmaceutical Scientists del settembre 2012 ho pubblicato quelle che sono le evidenze scientifiche in questo campo. Ma già altri scienziati come Sunny Anand o Vivette Glover avevano pubblicato trattati sul dolore fetale, che riportavamo anche nel recente libro “Sento dunque sono” (Cantagalli, 2012) in cui i maggiori studiosi mondiali di sensibilità umana rispondevano – ognuno per la propria specialità – a questa domanda: “Quali sensazioni avverte un feto nel pancione?”. Avevamo poi già pubblicato nel 2009 il libro “Suffering, pain, and risk of brain damage in the fetus and new-
born” in cui si spiegava il dolore del feto dentro il pancione o del bambino prematuro. Ma basta fare un giro su internet per avere tutti i dati della questione, senza farsi scoraggiare da affermazioni del tipo “il feto non sente dolore perché dorme sempre” che sono facilmente contestabili, oppure “tanto i bambini sentono il dolore meno dei grandi”, pregiudizio ancor duro a cadere. Ovviamente in caso di aborto questo problema deve essere preso in considerazione ed esistono linee-guida in diversi centri che impongono (sembra un paradosso) di anestetizzare il feto se al tempo dell’aborto è così sviluppato da poter provare dolore; certi Stati USA proibiscono proprio l’aborto prendendo come limite il tempo (le 20 settimane di gestazione appunto) da quando il feto sente dolore, per evitare che lo provi. Quel che è certo è che si deve imparare ad attenersi ai dati della scienza senza voler trascinare la scienza dove vogliamo noi e senza ignorarla. La capacità di percepire dolore si sviluppa dalla metà della gravidanza, ma non è che quando il feto non può percepirlo “valga di meno”; tuttavia il dolore del feto è un ulteriore tassello che ce ne mostra le caratteristiche umane e un indizio in più per capire quanto rispetto meriti chi ancora non è nato. Notizie ProVita n. 5 - Maggio 2013
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Karnamaya Mongar, una delle vittime di Gosnell
Quando la notizia non fa notizia… Tanti episodi di cronaca nera finiscono sulla stampa e in TV con particolari agghiaccianti, a volte sbandierati davanti agli occhi di grandi e piccini, senza pudore. Invece del processo a Gosnell, in USA e nel resto del mondo, non parla nessuno. di Francesca Romana Poleggi
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al 18 marzo scorso, a Philadelphia, si sta celebrando il processo a Kermit Gosnell, un medico abortista che è stato accusato di otto omicidi di primo grado e di un omicidio di terzo grado: avrebbe ucciso bambini che erano sopravvissuti all’aborto e almeno due donne, immigrate e povere, sono morte per l’uso di strumenti infetti e perforazione dell’utero e della vescica. Gosnell pare fosse razzista e si vantasse con i suoi assistenti di usare maggior crudeltà sulle donne bianche “perché così va il mondo”, diceva. E pare che questa sia solo la punta di un iceberg degli orrori: migliaia di aborti praticati in una zona povera di una grande città americana, fuori da ogni regola legale, anche a gravidanza talmente avanzata che, dopo il travaglio indotto, ai piccoli che nascevano vivi veniva reciso il midollo spinale con le forbici. I corpicini erano spesso fatti a pezzi, quasi per gioco. L’apparecchio per le ecografie era stato manomesso in modo da mostrare immagini meno realistiche del feto e indurre le donne ad abortire più a cuor leggero. La pietà per il dolore e per i morti ci impedisce di adempiere al dovere di cronaca con ulteriori particola-
ri. I siti pro life su internet e anche alcune testate in italiano, riportano le raccapriccianti dichiarazioni dei testimoni al processo, a volte vittime, a volte carnefici complici essi stessi, più o meno pentiti. “Non sono in grado di descrivere a parole le barbarie commesse da Gosnell, né il modo macabro con cui ha addestrato, senza licenza, le persone non qualificate che lavoravano con lui” (svolgendo funzioni di medico e paramedico), ha detto il procuratore distrettuale di Philadelphia quando ha esaminato il caso. Comunque, le notizie sul processo e le testimonianze che sono state prodotte sono tali e tante da fornire materiale per diversi film dell’orrore. E sono di quelle che di solito fanno gola alla grande stampa e alla TV, perché le storie di sangue, e di sangue innocente, fanno sempre audience. Invece del processo Gosnell, fuori di Philadelphia, non ha parlato nessuno per più di un mese. Solo recentemente, dopo le reiterate denunce dei gruppi pro life, alcuni grandi media hanno cominciato a far cenno della cosa. Non si sono mossi gli strenui difensori della legalità, o dei diritti del malato. Nessuno ha posto interrogativi sul perché una tale macelleria abbia continuato ad operare per anni, indisturbata, in barba a controlli, licenze
e a tutto l’apparato burocratico e amministrativo deputato a tutelare la salute dei cittadini e delle donne (pare che in Pennsylvania la legge preveda controlli igienici e sanitari più severi sui centri estetici e sui podologi, che sulle cliniche che praticano gli aborti). Anzi, su Twitter è comparso qualche commento, come quello di Amanda Malcote, della rivista Slate, che dà la colpa di tutto ai gruppi pro life: è colpa della loro – nostra – intransigenza se le donne disperate ricorrono alle “cure” di gente come Gosnell. Dimenticano però, questi signori, che Gosnell non operava in Irlanda o in Polonia, dove l’aborto è fortemente limitato, ma nella liberal America di Obama, il quale ritiene diritto inalienabile delle donne l’aborto senza alcun limite; in particolare, ricordiamo che nello Stato della Pennsylvania l’aborto è legale fino alla 24a settimana. Il nostro Corriere della Sera, d’altro canto, sostiene che si tratti di un caso di malasanità che non c’entra molto col problema dell’aborto. E, anzi, il turpe comportamento di Gosnell non ha niente a che vedere con la pietà e la solidarietà che dimostrano verso le donne i medici che praticano gli aborti al difuori e aldilà dei limiti stabiliti dalle leggi. (sic!) Notizie ProVita n. 5 - Maggio 2013
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L’aborto non è un ritornare a prima della gravidanza: il tempo non torna mai indietro. La donna che abortisce è comunque madre. Madre di un bambino morto
Salvando il figlio, si salva anche la madre Il contributo di un professionista che spiega con chiarezza le dinamiche psico-affettive legate alla gravidanza e all’aborto. di Carluccio Bonesso
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a legge 194 ha legalizzato l’aborto quando la gravidanza comporta “un serio pericolo per la sua (della donna) salute fisica o psichica”. Se il pericolo fisico può medicalmente in qualche modo esser prevedibile, non lo è per l’ambito psichico, perché la donna si trova di fronte ad un problema e a una soluzione che sono un bivio tragico. Chi ha contatto frequente con donne incinte può notare che la donna incinta parla sempre di “attesa di un bambino”. Il fatto, pur nella sua semplicità disarmante, non va trascurato, perché essa non usa termini come embrione o feto, ma “bambino”. Il suo parlare cela un evento potente, ovvio per le donne, ma nascosto al pensiero maschile. Accade che in essa passi in secondo piano il suo “esser donna” per far posto al nuovo “esser madre”. C’è un cambiamento d’identità: da donna a madre! E una volta madri, lo si è per sempre. Il fatto non è solo fisico, ma anche profondamente psicologico, perché nella donna si schiude uno spazio fisico e interiore per il figlio, che prelude alla relazione amorosa di accudimento. L’aborto s’inserisce in questo scenario emotivo e intimo. Perdere un figlio nelle prime settimane di
gravidanza per aborto spontaneo ha l’effetto di uno choc caratterizzato da un senso di svuotamento, soprattutto se il figlio era desiderato. Non è solo delusa l’attesa di maternità, ma si prova anche un sentimento di fallimento. Quando invece l’aborto è procurato, l’identità materna subisce un colpo devastante. Successivamente la donna tende a cambiare la percezione di se stessa, a volte anche in là col tempo. Le testimonianze evidenziano una caduta dell’autostima, un sorriso che svanisce sotto l’azione del senso di colpa. Il dramma cresce nella solitudine e nel tentativo di rimuovere l’evento, tacendo il proprio malessere a se stessa, al partner e agli altri. All’inizio comincia col trascurarsi, non sentendosi degna di meritare d’esser ancora felice, perché ciò che di sé la donna pensava prima dell’aborto non corrisponde più a quello che dopo prova per se stessa. La verità è che l’aborto non è mai un ritornare a prima della gravidanza: il tempo non torna mai indietro. Testimonia una ragazza: “L’aborto non ti riporta a prima della gravidanza. L’aborto non evita che tu diventi madre. Dal momento del concepimento sei già madre, ti piaccia o no. La verità è che l’aborto ti rende madre di un bambino morto”. E qui scatta la coscienza devastante post aborto, che ren-
de consapevole la donna del fatto che precedentemente il figlio era vivo. La gravidanza è l’inizio dell’interazione fra un Io materno e un Tu filiale, il via a una relazione che è per sempre, poiché è assiomatico che dalla relazione non si esce. Non è che l’aborto concluda la relazione, come si va affermando. E non vi è negazione, rimozione o razionalizzazione di sorta che possa cancellare l’evento. Dopo l’aborto, la donna dovrà affrontare la propria impotenza a modificare ciò che è definitivamente accaduto. Non si è liberata del problema, ma l’ha trasformato in un lutto! E il lutto non è mai per definizione una soluzione, ma una tragedia, qualcosa di traumatico che ricorre nell’immaginazione, nei pensieri, nei ricordi e nei sogni della madre mancata. Nei primi tempi può accadere che la donna provi anche del sollievo per essersi tolta “il problema” che non sapeva come sciogliere. E la negazione può funzionare anche per anni. Ma prima o poi dal fondo della sua identità qualcosa busserà al suo corpo. Alcuni esperti l’hanno configurato come disturbo post traumatico da stress. Tutto questo porta a concludere che la donna, la madre si salva o si perde con il figlio. Notizie ProVita n. 6 - Giugno 2013
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Antologia - 1° Volume Il Forteto: un vero inferno nella natura paradisiaca della Toscana
Il dramma del Forteto e l’inferno dell’uomo Un’amara riflessione su una vicenda che ha avuto nelle cronache mediatiche una risonanza non adeguata alla gravità dei fatti accaduti. di Shadan Bassiri
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l sesso permeava l’esistenza della comunità, i minori divenivano prede con il consenso dei genitori affidatari presenti in comunità» e «l’omosessualità era non solo permessa, ma addirittura incentivata». Abusi sessuali, stupri psicologici, lavaggi del cervello, punizioni corporali: tutto questo avveniva nella struttura del Forteto, una cooperativa agricola di Vicchio nel Mugello, nata nel 1977 per opera di Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi. Le righe sopracitate sono alcuni dei passi della relazione finale della commissione d’inchiesta del Consiglio regionale della Toscana, presentata il 16 gennaio a Firenze dal presidente Stefano Mugnai (Pdl) e dal vice Paolo Bambagioni (Pd). Il Profeta, come si faceva chiamare Rodolfo Fiesoli, 71 anni, e altre 22 persone sono state rinviate a giudizio nell’inchiesta sulle violenze sessuali e maltrattamenti subiti dai minori in affidamento con il beneplacito dei tribunali e di molti enti pubblici. Infatti, fino al dicembre del 2011, data dell’arresto di Fiesoli, ora ai domiciliari, il Forteto rappresentava un modello d’eccellenza nell’ambito dell’accoglienza dei
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minori in difficoltà e vittime di abusi, trasformandosi addirittura negli anni in un’importante realtà imprenditoriale, con allevamento, coltivazioni, maneggio, caseificio, agriturismo, un centinaio di dipendenti e un fatturato da 15 milioni di euro. Insomma, un’isola felice, divenuta luogo di passerella per molti politici, dove comunismo di beni e un pugno di valori pseudo-cristiani sembravano creare un connubio perfettamente armonioso. Le prime avvisaglie, rimaste inascoltate, ci furono già nel 1985, quando Fiesoli e il cofondatore Goffredi furono arrestati e condannati per maltrattamenti e atti di libidine. Ma non se ne fece nulla. Questa drammatica vicenda lascia degli strascichi penosi nella vita di molti minorenni abusati e oltraggiati per anni. La vicenda del Forteto non è relegabile a un caso limite e isolato ma è l’immagine spaventosa di un uomo sempre più in balia del demonio. L’aumento vertiginoso di suicidi, silenziato dai media, degli omicidi, della violenza su donne e minori, gli aborti, la distruzione della famiglia, il dilagare della pornografia e della pedofilia sono l’esito scontato di un mondo che sta apostatando, conseguenza diretta di società annichilite dal relativismo.
Ovunque nel mondo è in atto un processo coatto che vorrebbe negare e distruggere la Rivelazione salvifica, relegando Dio a un obsoleto e irrilevante fenomeno culturale, incompatibile con le aspirazioni dell’uomo moderno. Ma spezzando ogni legame di figliolanza con Dio, l’uomo non sa più chi è e perché vive e si perde in uno spaventoso smarrimento esistenziale. La paura di morire che attanaglia ogni uomo, lo soggioga e lo rende capace di bestiali efferatezze. Nel lager del Forteto come ovunque, il vero carnefice è il demonio. Lì, come in altri innumerevoli luoghi, si vive l’inferno. L’inferno della solitudine che spinge uomini a uccidere, abusare, distruggere e annientare altri uomini, spesso bambini. Nell’omelia della Messa celebrata lo scorso 4 giugno a Casa Santa Marta, Papa Francesco ci esorta affinché “il nostro parlare sia evangelico” perché “l’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola” ma “va sempre con l’amore”. E la Verità e l’Amore sono una Persona, viva. Che non smette di proporre fino alla fine, con un amore totale, il riscatto per carnefici e vittime. Anche, e soprattutto, al Forteto. Notizie ProVita n. 7 - Luglio 2013
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Tra morale, leggi naturali e leggi economiche c’è un legame trettissimo, e se s’ignora la morale, crolla tutto…
Difendere la vita per fare vera economia L’illustre economista, professor Ettore Gotti Tedeschi, ci ha inviato uno spunto di riflessione sulla necessità imprescindibile di non separare la scienza economica dalla morale, per il bene dell’economia stessa e dell’uomo. di Ettore Gotti Tedeschi
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i pretende che la vita umana sia frutto dell’evoluzione di un bacillo o del caos e abbia perciò la dignità di un animale, da soddisfare materialmente, corporalmente, facendolo consumare il più possibile per spingere il PIL (che invece non cresce più se i bambini non nascono). Si dimentica, infatti, che l’essere umano deve essere nutrito, come dice il Magistero della Chiesa, nel corpo, nell’intelletto e nello spirito. Si vuole anche che l’uomo, creatura del caos, confidi solo in mamma scienza, anziché nel Creatore e nella Sua saggezza. Nell’evoluzione, anziché nella creazione. Allora si vuol ridurre il numero dei cittadini del mondo per far stare tutti meglio, riducendo la natalità, i concepimenti, il numero dei concepiti, e magari riducendo anche il numero di anziani inutili e costosi. Difendere la vita, perciò, non è impresa facile. Ci provò Paolo VI con l’Humanae Vitae, e per poco nacque persino uno scisma nella Chiesa. Ci ha riprovato Benedetto XVI con la Caritas in Veritate, che è stata quasi ignorata. In questo contesto, se un economista prova a spiegare tecnicamente che, causa il discono-
scimento della dignità umana si è generata la crisi economica in corso, che non si riesce a risolvere, anzi si aggrava, si fa molti nemici. Se dimostra che tra morale, leggi naturali e leggi economiche c’è un legame strettissimo, e che, se s’ignora la morale, crolla tutto, accade lo stesso. I primi ad inveire sono quei filosofi e intellettuali che s’ispirano al pensiero malthusiano, inclusi i para malthusiani che manco sanno chi è Malthus, ma sanno che per far carriera devono essere anti natalisti. Poi i politici che rifiutano i cosiddetti principi non negoziabili e pensano che la politica sia scelta del male minore: che sorpresa quando scopriranno che i mali maggiori sono conseguenti proprio al voler ignorare i principi non negoziabili! Infine è la volta della levata di scudi dei tanti colleghi che pensano che quando le leggi economiche non funzionano bisogna cambiare gli strumenti utilizzati, anziché riformare gli uomini che non sanno usarli. Il povero Colin Clark, per esempio, alla fine degli anni ’70, fu tacciato di moralismo, perché la morale - essendo superstizione - nella scienza economica non deve entrare! Si continua a non vedere la realtà: non si rispetta, non si tutela, non si protegge la vita umana in tutte le sue forme,
non si sostengono la famiglia, le nascite, l’educazione dei figli; si modificano le leggi naturali che impattano quelle economiche. E si rifiuta il confronto “tecnico” su questi temi. Se la popolazione non cresce, non può crescere il PIL. L’uomo non è solo un animale (intelligente) da nutrire materialmente per farlo consumare di più. Da tutto questo scaturiscono i più bestiali errori di politica economica (non solo morali) mai visti. E così in trenta anni il peso delle tasse sul PIL è raddoppiato, la percentuale dei risparmi sul reddito delle famiglie è passata dal 25% al 5% facendo mancare la base monetaria al sistema bancario, i giovani non trovano lavoro, investimenti e produzione sono stati delocalizzati in Asia. Scienziati, filosofi, politici ed economisti non hanno capito tutto ciò perché non è stato insegnato loro il senso della vita. Non è stata insegnata la Dottrina sociale della Chiesa. Mia moglie dice: “Abbiamo pregato troppo poco per i nostri pastori”. Ora, per penitenza, tutti noi peccatori studiamo e divulghiamo Caritas in Veritate, Deus Caritas Est, Sollicitudo Rei Socialis, Populorum Progressio; e l’Humanae Vitae a memoria! Notizie ProVita n. 7 - Luglio 2013
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La sede del Consiglio d’Europa
Sono troppi gli obiettori di coscienza? I giornali politicamente corretti gridano allo scandalo quando rilevano l’aumento dei medici obiettori di coscienza. Ripropongono allora le solite bugie che ci propinano da 30 anni e di tanto in tanto ne inventano di nuove. di Carluccio Bonesso
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orpresina: l’attacco alla 194 arriva dai pro choice! Che ti fa la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, il potente sindacato, più conosciuto con la sigla CGIL? Presenta un ricorso al Comitato Europeo dei Diritti Sociali contro l’obiezione di coscienza all’aborto. Secondo gli estensori del ricorso, l’articolo 9 della legge, che riconosce e regolamenta il diritto del personale sanitario a dichiarare obiezione di coscienza all’aborto, viola la carta sociale europea. Il motivo risiederebbe nella mancanza di medici abortisti in tutti gli ospedali italiani. Da qui, sempre secondo i sindacalisti italici, deriverebbe un ingiusto carico di lavoro per i ginecologi non obiettori e un ostacolo per le donne al libero accesso all’aborto. Si sarebbe tentati di affermare che tanto zelo avrebbe meritato miglior causa, ma voglio qui limitarmi a svolgere qualche riflessione. Partiamo dai dati. Il numero e la percentuale dei ginecologi obiettori di coscienza all’aborto sono effettivamente aumentati, ma questo non significa che siano diminuiti di molto i ginecologi che praticano gli aborti. Erano 1831 nel 1982 e sono 1668 nel 2010, una diminuzione pari appena all’8,9%. Questo però non significa assolutamente che debbano compiere un surplus di lavoro. In prima
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istanza, infatti, gli aborti non vengono eseguiti come “lavoro straordinario”, ma durante il normale orario. Quindi quando il ginecologo abortista fa gli aborti, il collega obiettore effettua le mansioni che vengono lasciate scoperte in quel momento dal non obiettore. È quindi illogico identificare un presunto danno per il ginecologo abortista causato dall’obiezione di coscienza dei colleghi. Inoltre i numeri ufficiali riferiti al parlamento italiano dal ministro della salute indicano che negli anni il carico di aborti è diminuito sensibilmente. Gli aborti legali erano, infatti, 234.801 nel 1982, ma nel 2010 sono stati 115.981. Ne consegue che per i ginecologi non obiettori il carico di aborti, che era pari a 128 nel 1982 è sceso a 69 nel 2010, una diminuzione di poco meno del 50%. Evidentemente questo calo del carico di aborti non è ritenuto soddisfacente. Poiché la procedura per isterosuzione impegna il ginecologo per circa 10-15 minuti, si può valutare che un ginecologo non obiettore abbia un carico di aborti corrispondente a 14
I dati ufficiali dimostrano che la maggioranza delle donne che vuole abortire attende solo 7 giorni.
ore l’anno, corrispondente a un “impressionante” 0,9% dell’intero orario di lavoro. E l’efficienza nell’eseguire l’aborto? L’indicatore di “qualità” (uso il termine in quest’ambito con un certo disgusto) dei servizi abortivi è individuato nella percentuale di donne che ottengono la procedura entro 14 giorni dal rilascio del documento per abortire (in pratica entro una settimana poiché la legge prevede una settimana di riflessione). I dati consentono il confronto solo per 11 regioni su 20. Se nel 1989 il 79% delle donne abortivano entro 2 settimane, nel 2010 la percentuale è scesa solo al 62%. Che poi tutti gli ospedali debbano offrire l’aborto non si capisce dove la CGIL l’abbia trovato scritto. A ben vedere si tratta della solita nenia degli abortisti. In America, patria mondiale dell’aborto libertario, secondo una ricerca del centro studi abortista Guttmacher Institute, sui 5801 ospedali censiti nel 2001 soltanto 603 offrivano l’aborto. Sono ammirato: in certe zone d’Italia per una mammografia si aspetta magari un anno, ma la CGIL volge l’attenzione a superare gli standards americani dell’aborto. Ricapitolando, i ginecologi che fanno gli aborti hanno un carico di lavoro quasi dimezzato, ma impiegano più tempo a fare gli aborti: la colpa di chi è? Notizie ProVita n. 7 - Luglio 2013
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Attualità
Non pagare per uccidere: come obiettare? Il coordinatore della campagna O.S.A., della Comunità Papa Giovanni XXIII, nel numero uscito nel giugno scorso ci ha spiegato i motivi per cui Obiettare alle Spese Abortive. Ora ci spiega come si può fare. di Andrea Mazzi 1. Il modo più diretto per obiettare è quello di non pagare una parte delle tasse destinate alla Regione (ricordo che l’aborto è finanziato con i soldi della sanità, che sono gestiti dalle Regioni). Se dalla dichiarazione dei redditi risulta che sono a debito verso la Regione (addizionale Irpef regionale), potrò obiettare a una parte di quella imposta. Se ho un’auto intestata, potrò obiettare a una parte del bollo auto. Come calcolo la cifra da obiettare? E’ difficile stabilire esattamente quanti soldi le Regioni erogano per l’uccisione della vita prenatale. Oltre ai circa 130 milioni di Euro con cui pagano l’esecuzione degli aborti, ci sono le spese per gli esami e le visite pre intervento; anche la fecondazione artificiale è in parte a nostro carico, infatti la legge 40 ha previsto un finanziamento annuale, inoltre diverse Regioni rimborsano le Asl per parte delle spese sostenute… Alla fine conviene obiettare una cifra di importo modesto, sia perché la percentuale di soldi usati contro la vita prenatale sul totale delle uscite è comunque bassa, sia per non rischiare
sanzioni eccessive. Suggeriamo non oltre 30 Euro (ricordiamo che se il debito cumulato dal contribuente è inferiore a 25 Euro, le istituzioni per legge non intervengono). Allora se io devo ad es. pagare un bollo di 200 Euro, e ne obietto 30, farò un versamento alla Regione di 200-30 = 170 Euro (occorre fare il versamento in posta perché né in tabaccheria né all’ACI accettano versamenti parziali). I restanti 30 li verserò a un’associazione pro life, che aiuta le mamme incinte. Per rendere pubblica la scelta (non sono un evasore!) compilerò una “Dichiarazione di obiezione alle spese abortive”, che invierò ai Presidenti della Regione e della Repubblica e alla mia Agenzia delle Entrate. Nel caso di obiezione sulle imposte dirette, questo percorso si può fare solo se si compila il Modello Unico (e dunque non il 730). 2. Se io non debbo fare alcun versamento o non me la sento di scegliere la strada 1, posso comunque aderire alla campagna OSA attraverso il versamento di una cifra qualsiasi a un’associazione pro life e l’invio di una dichiarazione ai Presidenti della
Repubblica e della Regione, con cui dichiaro di condividere gli scopi della campagna. 3. Se io sono a credito, cioè non debbo pagare nulla e inoltre debbo ricevere indietro dei soldi dalle Istituzioni, non posso fare come nel caso 1 perché non ho versamenti da fare. In questo caso, oltre a fare quanto indicato al caso 2, posso fare in aggiunta un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate con cui le richiedo di restituirmi i soldi che ho versato all’associazione pro life. 4. Anche un’impresa può aderire all’OSA. Essa infatti deve versare dei soldi alla Regione, sia l’Irpef dei suoi dipendenti (come sostituto d’imposta), sia l’IVA (una percentuale dell’IVA va alla Regione), in questi casi essa può obiettare seguendo quanto già detto al punto 1. In tutti i 4 casi occorre inviare copia della dichiarazione OSA al coordinatore della campagna, per avere la situazione aggiornata del numero di obiettori. Prossimamente esamineremo le conseguenze per chi obietta, distinte caso per caso. Notizie ProVita n. 8 - Settembre 2013
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Antologia - 1° Volume Disegno di Lorenza Perfori
Il dibattito sull’utero in affitto in Italia La legge 40 vieta la maternità surrogata, ma di fatto viene aggirata. In queste pagine ci viene presentata una rassegna delle opinioni più autorevoli espresse in Italia. di Francesco Agnoli
…i media
C
asi di utero in affitto legali sul suolo italiano sono oggi impossibili, in seguito alla legge 40 del 2004. Precedentemente a tale legge qua e là qualcosa è avvenuto. Si può ricordare il caso di Giorgio Valassina, un pasticcere di Saronno che alla fine degli anni ‘80, non riuscendo ad avere figli dalla moglie, decise di affittare l’utero di un’extracomunitaria. La vicenda si concluse con vari ricatti da parte della madre surrogata, e con una tragedia: la moglie del pasticcere, umiliata dalla scelta del marito, si sparò in testa. Non morì, ma rimase cieca. Vi sono invece con sicurezza casi di italiani single, gay o coppie che si recano all’estero, per aggirare la legge 40. E non mancano i difensori “autorevoli” della maternità surrogata che lavorano affinché sia accettata culturalmente e, un giorno, anche permessa. Tra costoro va senza dubbio citato l‘ex ministro della Sanità e senatore del Pd, Umberto Veronesi, i cui articoli sono spesso accolti sui due più grandi quotidiani italiani, Corriere e Repubblica.
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Così argomenta Veronesi, sul suo blog: “L’utero in affitto è quindi una delle tante conseguenze che la rivoluzione scientifica di questi anni ha prodotto... Così diventa sempre più normale (perché la scienza con le sue conquiste lo permette) avere un figlio a cinquant’anni, soddisfare il proprio desiderio di paternità o di maternità senza il sostegno di un legame istituzionale come la famiglia, e anche tra sessi omologhi. Nella “donazione” dell’utero non vedo alcunché di scorretto, né di immorale.... L’America ha da tempo saltato tutte le obiezioni, e ci sono vari suoi Stati in cui la legge permette di “affittare l’utero”. Tra la coppia che fornisce l’embrione e la donna che ne accetta la gestazione si stabilisce un vero e proprio contratto, che obbliga la madre surrogata (che percepisce un compenso e ha diritto a tutte le cure mediche)
I bambini non si possono comprare... Oggi stiamo assistendo a una vera e propria cancellazione della madre.
a consegnare il bambino subito dopo la nascita. Per molti, si tratta di cosa inaccettabile, che non si può nemmeno discutere. Invece è bene discutere, anche se il discorso è complesso e molto vasto. ..”. A sostegno dell’utero in affitto anche varie associazioni radicali o di sinistra ed altre legate al mondo LGTB (benché non manchino gli omosessuali contrari sia alla maternità surrogata che al cosiddetto “matrimonio gay”). Si segnala in particolare l’associazione gay “Famiglie arcobaleno”, la cui presidente, Giuseppina La Delfa, così argomenta a favore della maternità surrogata sull’Huffington Post, quotidiano on line legato al gruppo Repubblica-Espresso: “...I bambini figli di due padri sono diverse decine in famiglie arcobaleno, vivono ovunque in Italia, in mezzo agli altri da Palermo a Roma, da Milano a Napoli...Sono nati perché i loro padri, per farli nascere, si sono battuti contro la propria paura e contro i pregiudizi, sono nati grazie alla loro volontà e anche ai soldi che hanno messo da parte per decenni a volte, per pagare le spese di viaggio in Canada o negli Usa, per pagare le ingenti spese sanitarie, le spese legali per i documenti necessari al rientro in patria, e per sostenere le spese cor-
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Tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche “normale”, “morale”, giusto?
renti delle donne straordinarie che hanno permesso e dato la vita per altri... Perciò i nostri bimbi e i nostri ragazzi arcobaleno sanno da sempre come sono stati concepiti e sanno il nome di chi li ha portati in grembo. Spesso in famiglie arcobaleno, nascono storie bellissime di famiglie allargate, dove le donne che hanno dato vita ai figli di altri fanno, in qualche modo, parte della famiglia. E si tessono legami mantenuti vivi grazie a skype, facebook, e i voli low cost...”. Contro l’utero in affitto, invece, da molto tempo il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, il Foglio. Recentemente, il 28/7/2013 la giornalista de Il Foglio, Nicoletta Tiliacos, cominciava così un lungo servizio sull’India: “Due giorni fa, le agenzie di stampa hanno parlato di una coppia di cinquantenni, originaria del Cremasco, che dopo aver pagato trentamila euro per una maternità surrogata in Ucraina ha scoperto che il bambino così ottenuto non poteva essere iscritto come loro figlio allo stato civile italiano. Il bambino è stato nel frattempo tolto alla coppia e affidato a un istituto, mentre i due “committenti”, accusati di alterazione di stato civile, a ottobre saranno processati. Una storia spaventosa, comunque vada a finire. Così come è terribile quella della coppia tedesca che, qualche anno fa, ha vissuto una vicenda analoga in India: il bambino nato con maternità surrogata non ha potuto lasciare il paese, perché in Germania, come in Italia, la gravidanza “per conto terzi” è proibita...”.
Qualche giorno prima, il 7 luglio, sempre su Il Foglio, usciva a cura della redazione un articolo intitolato “Matrimoni gay in occidente e uteri in affitto in India. E’ il mercato, bellezza”, che iniziava così: “Esiste un legame stretto tra l’introduzione di leggi sul matrimonio omosessuale e la crescita di domanda di maternità surrogata (cioè di utero in affitto), soprattutto nei paesi in via di sviluppo: è la tesi del giornale online BioEdge, un osservatorio internazionale molto attento alle dinamiche nord-sud del mondo in campo bioetico. L’annuncio che anche la Francia di Hollande si sta impegnando a varare entro un anno il matrimonio gay, ha convinto BioEdge a chiedere per iscritto a una serie di cliniche della fertilità, in India e negli Stati Uniti, di fare qualche previsione sulle conseguenze possibili per il mercato della maternità surrogata. Tenendo conto del fatto che sono soprattutto le coppie di uomini ad aver bisogno, per ottenere un figlio, sia di donatrici di ovociti sia di donne disposte alla gravidanza e al parto di un figlio da consegnare subito dopo la nascita...”. Grande attenzione al tema è stata dedicata anche dal quotidiano on line La nuova Bussola, diretto da Riccardo Cascioli e dal settimanale Tempi, diretto da Luigi Amicone. Così Tommaso Scandroglio su La Nuova Bussola del 4/3/2013: “Cresce nel mondo la domanda di uteri in affitto... A fronte della domanda che sale, in parallelo aumenta l’offerta e il lavoro dei centri specializzati che mettono in contatto le coppie con le donne che si offrono come incubatrici di carne. Uno dei
più attivi è lo statunitense Center of Surrogate Parenting (CSP): 1.700 bambini nati da uteri affittati in 30 anni di attività. Il 40% delle richieste arriva da stranieri. La metà dei clienti è omosessuale. Tra questi ricordiamo la popstar Elton John che nel 2010, all’età di 63 anni, si rivolse a questa clinica insieme al suo compagno David Furnish per avere un bambino “in conto terzi”....”. Anche il quotidiano Avvenire, diretto da Marco Tarquinio, ha dedicato ampio spazio al tema, con un dossier abbondante e puntiglioso, rintracciabile sul sito. Da sottolineare almeno una recente intervista (13/8/2013) alla scrittrice femminista Paola Tavella, che argomenta così: “Per prima cosa vorrei che si ripartisse da un principio che dovrebbe essere un punto fermo e invece, evidentemente, non lo è: i bambini non si possono comprare... Oggi stiamo assistendo a una vera e propria cancellazione della madre. Mi è successo di essere ospite in una trasmissione televisiva in cui una coppia stava presentando il figlio ottenuto da una madre surrogata che continuavano a definire “la portatrice” e io, ogni volta, intervenivo e ribattevo “volete dire: la madre”. Non possiamo farci spogliare di questo termine, perché altrimenti la madre è niente più di una cosa che viene inseminata e deve solo portare a termine una gravidanza… L’utero in affitto è una pratica disumana in cui la tecnoscienza si permette di fare cose mostruose senza alcuna remora...”.
L’utero in affitto è una moderna forma di schiavitù per le donne ed è commercio di bambini
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…la politica
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n Italia, sui temi eticamente sensibili, i politici, di solito, non si pronunciano. Vuoi per timore di esporsi, vuoi perché convinti che i principi siano meno importanti dell’economia o delle tasse. Fanno eccezione i radicali, sempre lancia in resta per diffondere il nichilismo morale, alcune personalità di sinistra (oggi, in particolare, in Pd, Sel e M5S), e, dalla parte opposta, alcuni cattolici e laici convinti che l’uomo non sia solo un essere che mangia e che consuma. Riguardo all’utero in affitto, fu la maggioranza di centro-destra, nel 2004, a vietarlo. All’epoca, si schierarono anche personalità di sinistra, come Livia Turco, che definì l’usanza di ricorrere alla maternità surrogata come “un postalmarket abominevole, degrado della maternità”. Oggi a difendere l’utero in affitto sono di solito voci della cultura e del giornalismo, ma con l’appoggio, più o meno esplicito, di politici importanti. Ivan Scalfarotto, vice presidente del PD, e relatore della legge liberticida sulla cosiddetta “omofobia”, è uno di questi fiancheggiatori. Sua infatti la post-fazione ardente e plaudente al libro di Chiara Lalli, “Buoni genitori. Storie di mamme e di papà gay”. In questo libro la Lalli dedica un intero capitolo, “Metto il bimbo in un cesto e ve lo mando”, a difendere la maternità surrogata. Elogia poi, quasi fossero l’ideale, le coppie di italiani maschi gay che ricorrono all’utero in affitto, generando figli destinati coscientemente ad essere “orfani di madre”. Chi è contrario è “omofobo”. Non mancano, però, i politici che hanno veramente a cuore vita e famiglia. Secondo il senatore Carlo Giovanardi l’utero in affitto è “una forma di schiavitù che riscopre proprio uno degli aspetti più odiosi del dominio di una persona su un’altra persona. Di fronte a queste pratiche non sono possibili
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compromessi tipo “io non lo farò mai, ma chi lo vuol fare è libero di farlo”, perché siamo di fronte a valori assoluti come quello del ripudio della schiavitù, la cui condanna non ammette eccezione alcuna”; analogo il giudizio di Eugenia Roccella, da tempo impegnata nella difesa della dignità femminile e della famiglia come “società naturale” (art. 29Cost.), e del senatore Maurizio Sacconi, per il quale “credenti e non credenti possono riconoscere agevolmente le aberrazioni cui conduce la pretesa di far prevalere i desideri degli adulti sui diritti dei minori e in particolare quanto odiose e innaturali siano tutte le forme di commercio dell’umano che si consumano sfruttando i più deboli”. Analogo, immaginiamo conoscendo il loro operato, anche il giudizio di Paola Binetti e Mario Sberna (Scelta Civica); quello degli onorevoli Roberto Formigoni, Alessandro Pagano e Maurizio Gasparri (Pdl), di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), di eurodeputati come Lorenzo Fontana (Lega nord) e di tanti altri. Tra questi, vanno ricordati, per coraggio e dedizione, Pino Morandini, consigliere regionale e vice presidente del MpV e Luca Volontè (Presidente Onorario Gruppo PPECD al Consiglio di Europa e Direttore della Fondazione Novae Terrae), che sin dallo scorso 26 aprile ha contribuito a sostenere in Europa una campagna di denuncia dello sfruttamento di moltissime madri in affitto. Il primo, intervistato da Notizie Pro Vita, dichiara: “Quella dell’u-
Di fronte a queste pratiche non sono possibili compromessi, perché si tratta di valori assoluti come quello del ripudio della schiavitù, la cui condanna non ammette eccezione alcuna.
tero in affitto è una pratica non soltanto profondamente immorale, in quanto possibile solo previo ricorso alla fecondazione extracorporea, ma anche espressione di uno sfruttamento del corpo femminile ampiamente violativo della dignità della donna. Sfruttamento che, salvo eccezioni, continua a non essere avvertito come tale nonostante il mercato della maternità surrogata sia in continuo aumento, specie nei paesi poveri, dove centinaia di donne, vengono sottoposte a questa pratica umiliante, non priva di pericoli per la salute e che riduce la donna a mero strumento di mercato”. Quanto a Volontè, afferma: “La compravendita di gameti maschili e femminili, la discriminatoria e incivile “borsa” del seme, secondo specifiche di colore della pelle, quoziente intellettivo, forma fisica del donatore ecc. sono una inaccettabile violazione dei diritti umani”. Notizie ProVita n. 11 - Ottobre 2013
Disegno di Lorenza Perfori
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Presso i ginecologi la propaganda è già iniziata, con ricerche sulla tossicità dell’utero materno, che è un organo fallibile, incontrollabile: non è più sano far crescere un feto in modo scientificamente governabile?
Il prossimo passo: l’utero artificiale Forse tra 10 anni avremo la possibilità di far nascere bambini da uteri di animali, o addirittura da uteri completamente artificiali. di Silvano Roberti
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e credete che l’utero in affitto sia l’ultimo stadio della rivoluzione biotecnologica e morale che potrebbe sconvolgere per sempre la società umana - figli con due padri, due madri, due madri e due padri, quattro madri, etc. - distaccando definitivamente la sessualità dalla riproduzione, beh, cari lettori, vi sbagliate di grosso. La battaglia prossima, in questo diabolico atto di disumanizzazione, è quella di separare per sempre i bambini dal grembo materno, cioè dalle viscere femminili. Nel 1997, in un articolo per la rivista LGBT The Advocate, il neuroscienziato gay Simon LeVay ha scritto parole molto precise sulla gestazione interspecifica o xenogravidanza: «Certo, vedo la clonazione come un beneficio per i gay (...) e anche la xenogravidanza (far partorire un feto umano da una specie differente) potrebbe essere di enorme beneficio, specialmente per le coppie di maschi gay, che attualmente devono pagare $40.000 o più per avere un bambino da una surrogata umana. L’idea ti rivolta, ma perché? Sceglierei senza problemi l’utero di un sobrio, non-drogato, non-fumatore maiale invece di un normale ambiente naturale». Avete letto bene: far partorire bambini dai maiali che non fumano, non bevono, non si drogano quindi sono più “sani”
delle gestanti - dopo aver impiantato in essi embrioni di uomo. Ebbene, nemmeno questo è il fondo, perché si tratta di un vero abisso. Il quale ci porta fra le tenebre dell’artificial womb, o utero artificiale. Bologna fu il primo centro di questo tipo di ricerca. Nel 1987 il dottor Carlo Flamigni, con il suo collaboratore riminese Carlo Bulletti (che è ancora oggi particolarmente attivo nella promozione della ricerca sugli uteri artificiali), impiantò un embrione umano - cioè, una persona - in un utero asportato e tenuto vivo artificialmente. Era l’alba della riproduzione ectogenetica, la «produzione» di bambini al di fuori del corpo umano. L’embrione, a quanto si racconta, «attecchì»; Flamigni, preoccupato dei contraccolpi politici, interruppe l’esperimento, anche se ora se ne pente: «Mi è mancato il coraggio e oggi me ne pento (...) Anche perché avevamo ottenuto qualcosa di straordinario. (...) A Bologna, a quell’epoca stavamo facendo davvero ricerca d’avanguardia; quando si mette le mani sopra questa merce rara, non si deve abbandonare» (Corriere della Sera, 20 settembre 2010). Quindici anni dopo, è una ricercatrice sino-americana della Cornell University (New York) la dottoressa Hung Ching-Liu, a compiere il grande passo: lavorando sulle cellule dell’endometrio (il tessuto inter-
no all’utero), ottiene la nascita al di fuori del corpo materno di un topo da laboratorio, il quale però viene al mondo con non pochi difetti. Parallelamente, a Tokyo, il dottor Yoshinori Kuwabara della Juntendo University lavora ad un utero completamente artificiale - senza cioè uso di tessuti biologici - ottenendo notevoli risultati: nel suo embrioincubatore, riesce a preservare lo sviluppo di un cucciolo di capra per tre settimane. Si dice che questa tecnologia potrebbe essere disponibile per gli umani tra 10 anni. La cosa, insomma, è decisamente destinata a divenire concreta. La realtà è che la campagna presso i ginecologi è già iniziata, con ricerche sulla tossicità dell’utero materno, che è un organo fallibile, incontrollabile: non è più sano far crescere un feto in modo scientificamente governabile? È una pulsione genitoriale oramai ben nota, teorizzata nel 1998 dallo scienziato Lee Silver nel libro Il Paradiso clonato, dove si ipotizza una società di individui ottenuti attraverso la «riprogenetica» (termine coniato da Silver per indicare l’insieme delle manipolazioni possibili per le nascite biotecnoidi), che egli chiama GenRich («geneticamente arricchiti»), che andranno a comporre la classe sociale più alta, mentre i cosiddetti naturals (persone nate da grembo umano e senza IVF) saranno quella classe inferiore, buone per i lavo-
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Antologia - 1° Volume ri domestici o poco più: l’evoluzione dei GenRich sarà tale che ad un certo punto anche qualora uno di questi volesse accoppiarsi con un individuo natural non potrebbe avere figli, in quanto le specie saranno oramai così distinte da non essere biologicamente compatibili. Tutto questo è raccontato come un fatto positivo, un entusiasmante futuro che ci aspetta - almeno per chi potrà permetterselo (il cosiddetto Genetic Divide, il distacco sociale tra i nati per via naturale e i super-bambini ottenuti biotecnicamente, era ben illustrato nel film Gattacca). Fare figli naturalmente sarà ritenuto un atto sconsiderato ed egoista, esporli alla roulette della genetica naturale verrà percepito come qualcosa di crudele e retrogrado: perché non dare ai propri figli tutte le possibilità disponibili per avere una vita “perfetta”? Ora, con l’utero artificiale, si apre una nuova frontiera di questa corsa alla perfezione, ci si illude di rendere scientificamente controllabili i fattori che intervengono durante la gestazione. Non solo: alcuni illustri medici come Flamigni sanno quanto l’utero artificiale possa turbare ancora gli animi di qualcuno, e per questo
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hanno già pronta anche la trappola per i cattolici e gli anti-abortisti: se una donna volesse abortire, suggeriscono, sarà semplicemente “dis-fetata”, e il piccolo trasferito in un utero artificiale. Se ci lasciate fare l’utero artificiale, paiono dire, non ci saranno più aborti - quindi la battaglia pro-life diverrà inutile e obsoleta. E’ ovvio che in verità l’ultima delle loro preoccupazioni è la bioetica, e che l’introduzione dell’utero artificiale sconvolgerà tutto, in primis da un punto di vista antropologico. La femminista nordamericana Shulemith Firestone già nel 1970 teorizzava che la fine dell’inferiorità della donna e la vera uguaglianza fra i sessi sarebbe arrivata quando la donna si sarebbe finalmente liberata del fardello della maternità. Nel suo libro Dialetics of Sex la Firestone influenzata da Freud, da Wilhelm Reich e dalle teorie di Paul Ehrlich sulla bomba demografica - arrivava ad affermare che si andrà verso «il ritorno ad una incontrastata pansessualità, il ‘polimorfo perverso’ di Freud, [che] probabilmente sostituirà l’etero/omo/bisessualità». La Shulemith promuoveva conseguentemente l’abolizione della
famiglia e l’istituzione di una vera società socialista, per la quale serve una «conquista del controllo della riproduzione (...) una conquista del controllo sulla fertilità umana (...): la tirannia della famiglia biologica sarà distrutta». Inizia qui a scorgersi l’effetto finale di questa rivoluzione scientifica: la riproduzione non sarà più lasciata ai singoli, ma - essendo le tecnologie complesse e costose - controllata da grandi enti statali oppure privati (che si chiamano, magari, proprio Planned Parenthood: «genitorialità pianificata»). Chi li controllerà, in breve avrà la mano su un unico «rubinetto» che versa sul pianeta la vita umana. Chi avrà il potere, farà nascere quanti bambini vuole, come li vuole, quando li vuole, o non li farà nascere affatto, chiudendo il rubinetto del tutto. L’umanità che si disumanizza, si sterilizza, si perverte, si estingue per sua stessa volontà. Per i credenti è il vero grande capolavoro strategico del Serpente. Che, come insegna la Genesi, odia la progenie della donna dall’alba dei tempi. Notizie ProVita n. 9 - Ottobre 2013
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