Anno VI | Aprile 2017 Rivista Mensile N. 51
“POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003
Trento CDM Restituzione
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
Notizie
“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
IN MARCIA
PER LA VITA ALL’INTERNO UN INSERTO SUL MIRACOLO DELLA VITA!
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
SOMMARIO
Notizie
EDITORIALE In Marcia per la Vita
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LO SAPEVI CHE... ARTICOLI
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Uomo, dove sei?
Giulia Tanel
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Redazione Toni Brandi, Federico Catani, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089
Una gioventù sessualmente liberata?
Claudia Cirami
«Facciamo figli, facciamo i conigli!»
Giuliano Guzzo
Direttore responsabile Toni Brandi
Tutti a Roma, il 20 maggio, in Marcia per la Vita
Alfredo De Matteo
Anno VI | Aprile 2017 Rivista Mensile N. 51 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182
Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica
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IL MIRACOLO DELLA VITA
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Aborto post-nascita, eutanasia infantile, DAT
Francesca Romana Poleggi
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La clausola abortiva e l’utero in affitto
Aldo Vitale
francesca Gottardi
Tipografia
Distribuzione
Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Marco Bertogna, Giulia Bovassi, Claudia Cirami, Alfredo De Matteo, Giuliano Guzzo, Alba Mustela, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel, Aldo Vitale La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non Ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it. Grazie per la collaborazione!
Essere uomo, essere padre
Giulia Bovassi
Piano inclinato... verso il nulla
Alba Mustela
FILM
L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.
Nebbie in agosto
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EDITORIALE
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Perciò, anche in questo numero di Notizie ProVita dobbiamo parlare di eutanasia e di aborto: perché il potere del nichilismo e del relativismo mortifero è grande, ma noi sappiamo bene che la gente – se adeguatamente informata – è a favore della vita e crede nella solidarietà vera di una società che accoglie e protegge i più deboli. Abbiamo poi pensato, quale invito a partecipare alla Marcia per la Vita, di descrivere l’evoluzione del bambino nel grembo materno. Il mistero della vita è affascinante: mostrarlo e spiegarlo è il modo più positivo che c’è per suscitare orrore nei confronti dell’aborto. La cultura della vita vincerà. Ne abbiamo avuto prova in occasione dei convegni che abbiamo organizzato con Gianna Jessen, che si sono rivelati in ogni luogo un successo strepitoso. A maggio, Gianna tornerà in Italia e ci farà l’onore di intervenire per un saluto al convegno che ProVita, con Human Life International e l’Istituto del Verbo Incarnato, ha organizzato all’Angelicum la mattina del 20 maggio, prima della Marcia, alla quale la stessa Gianna intende partecipare.
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ra poche settimane, il 20 maggio, siamo tutti invitati a Roma per partecipare alla VII Marcia per la Vita. La manifestazione è un segno di gioia, di rispetto e di amore per la vita, per tutti gli esseri umani, ma soprattutto per quelli deboli e fragili che più facilmente finiscono nel tritacarne della cultura della morte: sono stati presi di mira gli anziani e i malati con la legge sull’eutanasia (che mentre andiamo in stampa ancora si discute alla Camera), e da quarant’anni massacriamo i bambini nel grembo materno con l’aborto.
In queste pagine, poi, in omaggio alla vita, avremo occasione di approfondire questioni antropologiche attuali circa l’identità maschile e la gioia profonda che comporta la paternità; parleremo anche di educazione sessuale e dell’importanza socio-economica della procreazione, con un invito piuttosto provocatorio: «Facciamo figli, facciamo i conigli!». Fare figli secondo natura, fare figli senza “aspettare” di avere il SUV o le altre “cose” che la società consumistica ci impone, serve alla realizzazione delle persone, alla felicità delle famiglie: c’è la crisi? Ebbene, fare figli, far crescere la popolazione – sembra incredibile – serve proprio per uscirne. Quindi “fare i conigli” serve anche alla crescita del PIL.
Toni Brandi
LO SAPEVI CHE... L’ABORTO E IL PADRE
Le leggi che hanno legalizzato l’aborto non tengono in alcuna considerazione il padre: anche se vuole tenere il bambino, che è suo figlio, non può impedire alla madre di ucciderlo. È perciò una sentenza di portata storica, a favore del diritto alla vita e della paternità, quella emessa dal giudice (una donna) Pura Book, della città di Mercedes, in Uruguay. Il padre del piccolo si era offerto di provvedere da solo al figlio, ma la madre insisteva nel proposito di ucciderlo. Il tribunale gli ha dato ragione in vista dell’inalienabile diritto alla vita, superiore a qualsiasi altro diritto. Non solo il giudice riconosce che con la gravidanza siamo di fronte a un nuovo essere umano, portatore di diritti, ma per la prima volta anche il padre è stato considerato soggetto di diritto davanti a un bambino ancora nel ventre materno.
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Qui in Italia la legge ignora totalmente il padre del bambino: ne sanno qualcosa tutti gli uomini che sono stati duramente colpiti dalla sindrome post aborto. Ma a giudicare dal successo delle conferenze di Gianna Jessen, che ProVita ha fatto tornare in Italia lo scorso mese (a Soresina - Cremona, Benevento, Caserta, Poggibonsi, Brescia, La Spezia) e che tornerà a maggio per la Marcia per la Vita, è sempre viva la speranza che – con l’impegno di tutti – la legge possa cambiare.
FINANZIARE L’ABORTO NEL MONDO (CON I NOSTRI SOLDI) L’intellighentzia politicamente corretta europea, cioè i radical chic che incarnano la cultura della morte, si è tremendamente risentita della decisione di Trump
di tagliare i finanziamenti americani all’aborto nel mondo, con il ripristino della Mexico City Policy. Oltre all’affannarsi di alcuni Stati per garantire denari pubblici alle ONG che portano l’aborto in Africa, Asia e Sud America, si è mosso anche il Parlamento Europeo, con una risoluzione che chiede agli Stati membri di aumentare «significativamente i finanziamenti in materia di salute sessuale e riproduttiva». Il Ppe ha votato a larga maggioranza (fra gli altri, il leader dell’Udc Lorenzo Cesa, oltre a buona parte di Forza Italia) contro la proposta, insieme a quasi tutti i conservatori del gruppo Ecr e quasi tutti gli eurodeputati dei gruppi Efdd e Enfm, inclusi i leghisti capitanati dal segretario Matteo Salvini. Contro ha votato anche una parte degli europarlamentari 5 Stelle. Del PD hanno votato contro solo Morgano, Toia e Zoffoli. Sono invece stati favorevoli alla risoluzione pro aborto promossa dai gruppi socialisti e democratici, dalla sinistra del Gue e i Verdi, i liberali di Alde, l’altra parte dei 5 Stelle e 14 su 18 deputati del PD. Costa e Danti si sono astenuti.
AMORE: NOME COMUNE DI COSA, MASCHILE, SINGOLARE Un bel #ciaone a Dante, Manzoni e compagnia: secondo alcuni – Real Time in testa – il termine amore viene ingiustamente considerato di genere maschile ed è dunque «maschilista e sessista».
Ecco quindi l’appello all’Accademia della Crusca affinché amore venga cambiato in un nome dal genere neutro (che in italiano non esiste!). Un amore a-gender, insomma, che possa essere utilizzato al maschile o al femminile a seconda del sentimento del momento. Anche la grammatica, come il lessico, risente dell’ideologia.
UNAR L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, presso la Presidenza del Consiglio, da tempo si rivela lo strumento manovrato dagli ideologi del gender e dell’omosessualismo per farsi propaganda a spese dei contribuenti. Nel 2012 i libretti per l’educazione di genere nelle scuole, che noi di ProVita abbiamo contribuito a far ritirare; poi le linee guida per i giornalisti (affinché non usino certe espressioni tipo «utero in affitto»: il diktat della neolingua, in pratica); poi il servizio de Le Iene che scopre i finanziamenti all’Anddos, nei cui circoli si svolgono attività “culturali” a base di sesso estremo, prostituzione e droga (salvo presentare progetti di educazione di genere nelle scuole). Da ultimo, l’UNAR si rivela patrocinante un film definito «manifesto LGBT» dalle associazioni gay: Né Giulietta, né Romeo. Allo spettacolo sono state invitate le scolaresche di Milano, con carta intestata del MIUR/USR Lombardia.
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OGNI
VALE Max Tresoldi, risvegliatosi dopo dieci anni dallo stato vegetativo causato da un terribile incidente stradale, legge Notizie ProVita e dà la sua testimonianza contro l’eutanasia!
Giulia Tanel
UOMO, DOVE SEI? Un tempo c’erano i cavalieri «senza macchia e senza paura», oggi ci sono i Millennials depilati e profumati...
Partiamo da un dato: nella nostra evoluta società stiamo assistendo a un processo di involuzione dell’uomo, sempre più caratterizzato dall’assenza di personalità e costantemente impegnato in una rincorsa edonistica del nulla. La cosa ha del paradossale, no? Forse dipende dal punto di vista... C’è un filone di pensiero che vede la realtà in perenne mutamento ed evoluzione. È il pensiero di Hegel (tesi, antitesi, sintesi...), del marxismo (la lotta di classe...); è un pensiero che è stato chiamato evoluzionismo o progressismo. È un tipo di pensiero non cattolico e ora predominante, ma questo non significa che sia vero. Personalmente, per descrivere la situazione attuale, mi è molto utile un esempio del filosofo spagnolo Ortega Y Gasset, che riassumo. Ci hanno insegnato a scuola
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Ogni obiettivo richiede un sacrificio, e tanto più elevato è quell’obiettivo, tanto maggiore è il sacrificio che richiede
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ella sua ultima – e sempre interessantissima – fatica, lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini parte dalla situazione attuale per offrire all’uomo contemporaneo una mappa per procedere alla riscoperta del proprio valore e della propria vocazione: un vero e proprio, come dice il titolo, Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio (SugarCo Edizioni, 2017). Abbiamo scambiato qualche battuta con l’Autore.
che la civiltà ha fatto un balzo in avanti quando, da raccoglitori, siamo diventati coltivatori. Non so se sia vero, ma mi sembra un’ottima osservazione: a un certo punto l’uomo, anziché depredare le ricchezze che trovava, ha cominciato a osservarle, a studiarle, a coltivarle, a conservarle, a tramandarle. Così si è sviluppata la “cultura” ed è nata la “tradizione”, il tramandare quella cultura. Oggi stiamo percorrendo quel cammino a ritroso. Chi di noi è in grado di capire il funzionamento di uno smartphone? Chi di noi sarebbe in grado di smontarlo, ripararlo e ricostruirlo? Usiamo i frutti della civiltà occidentale come raccoglitori: senza chiederci come funzionano, senza conoscerli, senza conservare e tramandare le conoscenze che ne hanno permesso la nascita. 2017 Aprile - n. 51
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La vita è un compito, un dovere, un sacrificio: tre parole oggigiorno bandite dal vocabolario dell’italiano medio. Tutto questo è da mettere in relazione alla crisi morale in cui siamo immersi, ossia al fatto che non si ha più chiaro il senso del vivere e la meta da raggiungere? Ogni obiettivo richiede un sacrificio, e tanto più elevato è quell’obiettivo, tanto maggiore è il sacrificio che richiede. Il bene sommo, Dio, può richiedere anche il martirio... La nostra società, i nostri leader, non ci pongono più alcun obiettivo da raggiungere. Per quale motivo dovremmo compiere dei sacrifici? Per puro masochismo? Siamo fermi, bloccati in un mondo senza orizzonti. Come rimproverare chi passa le giornate nell’ozio e nel godimento dei piaceri? Cosa gli proponiamo? Cosa gli chiediamo? Sfatiamo un mito: l’uomo coraggioso, che si batte per dare concretezza alla propria vocazione, è un uomo che non ha paura? Questo, più che un mito, è una follia. Non può esistere un uomo che non abbia paura. Un uomo senza passioni (in senso tomista) è patologico. No, l’uomo coraggioso non è quello che non ha paura, ma quello che fa il bene anche se sa che gli costerà (soldi, tempo, fatica, la reputazione, l’integrità fisica e persino la vita). Del resto, non è quello che ha sempre insegnato la Chiesa? La fortezza (in italiano corrente: il coraggio) non è una delle quattro virtù cardinali? Oggi ci sono un’ignoranza e un travisamento completo delle virtù morali... mi chiedo perché, ma soprattutto me ne dispiaccio. Credo che questa sia una delle cause del declino della nostra società occidentale. Scrive in un passaggio del libro: «Il tipo umano che la nostra società sta allevando non vuole pagare le conseguenze delle sue azioni, vuole essere irresponsabile. I bambini sono irresponsabili, ed anche i folli. Siamo una società di bambini o di folli?». Come uscire da questa impasse? Con un codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio! È per questo che ho scritto il libro (spero accessibile a tutti): per indicare, agli uomini stanchi di questa situazione, una via alternativa... quella delle virtù.
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Compilandolo, mi sono reso conto di quanto le virtù che descrivevo siano stonate nel contesto attuale. Poco tempo fa ho tenuto una conferenza sul corteggiamento. Il pubblico, molto giovane, si è messo a sghignazzare di fronte agli esempi che portavo. Eppure – poi è risultato – ognuno di loro sentiva la nostalgia per quel comportamento cortese che in pubblico deridevano. Bene, leggere un libro è un fatto privato, non pubblico. Si potrà sorridere in compagnia dei concetti demodé esposti nel libro, ma spero che, nel chiuso della propria stanza, ognuno possa rifletterci e, magari, trarne ispirazione. Nel concludere è doveroso fare un accenno al gentil sesso che, nel bene e nel male, ha sempre una grande influenza sugli uomini. Sappiamo che le donne hanno giocato un ruolo fondamentale nella nascita della cavalleria: hanno avuto delle responsabilità anche nella sua caduta? Ma, soprattutto, possono averne uno nella sua rinascita? Faccio un esempio concreto. Jason e Cristallina Evert sono una coppia che gira per il mondo parlando della Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II. In Italia sono conosciuti per il video Romance without regrets (Amore senza rimpianti). Jason è arrivato al matrimonio vergine, Cristallina ha avuto una vita sessuale disordinata prima di scoprire la castità. Ecco le sue parole a proposito: «Io non accuso nessuno. Non dico “Voi ragazzi siete il problema”. Sono convinta che voi ragazzi sareste dei signori, se noi donne lo esigessimo». Le donne medievali hanno preteso che i loro corteggiatori si comportassero in un determinato modo. E crearono la cavalleria. Io credo che le donne possano ancora svolgere questo ruolo: indicare agli uomini la strada per essere se stessi. Ogni uomo vuole essere all’altezza delle aspettative della propria donna...
UNA GIOVENTÙ
Claudia Cirami
SESSUALMENTE LIBERATA? Il sesso libero non è quello che ci si attendeva e ha creato nuove ansie, nuove responsabilità, nuove percezioni di fallimento
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enza fede, ma con (tanto) buon senso. Così è Thérèse Hargot, filosofa e sessuologa belga, trapiantata attualmente a Parigi. Il suo ultimo libro è stato da poco pubblicato in Italia con il titolo Una gioventù sessualmente liberata (o quasi) (Sonzogno, p.176, € 16.50), dopo aver conquistato la Francia. Perché l’Hargot, guardando in faccia la realtà e rinunciando a leggerla secondo i soliti filtri ideologici che la deformano, ha spiegato – da una prospettiva non confessionale – che la liberazione sessuale, dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi, ha finito per incatenarci interiormente (ma anche esteriormente) a nuove forme di schiavitù. Thérèse Hargot è la voce che non t’aspetti. Viso hollywoodiano, corpo asciutto, studi laicissimi e lavoro à la page a Parigi, la sessuologa potrebbe essere il simbolo di quella mentalità corrente che piega la ragione al diktat del desiderio. Invece la Hargot (classe 1984), lavorando con i ragazzi nelle scuole o con gli adulti nel proprio studio, incontra ogni giorno l’umanità: non come concetto astratto, ma colta nei tanti singolari da cui è composta e nei quali è anche frammentata. In queste ore lavorative (ma anche nel suo essere
sposa e madre di tre figli), ha compreso che di quella liberazione sessuale che aveva promesso mirabilia, in realtà si scorgono principalmente feriti e macerie rimasti sul campo. Così la Hargot, forte dei suoi studi e degli incontri quotidiani che riguardano il suo lavoro, nel suo ultimo libro ci racconta l’umanità di oggi: disorientata nei ragazzi, disillusa negli adulti, turbata in entrambi perché il sesso libero non è quello che ci si attendeva e ha creato nuove ansie, nuove responsabilità, nuove percezioni di fallimento. La sessuologa tratta, tra gli altri, di temi quali la pornografia (vera piaga della contemporaneità), la contraccezione, l’aborto, la vita di coppia, l’omosessualità. Mette mano, senza cedimenti al morboso, ai dati e alle testimonianze che ha raccolto in questi anni di lavoro. Il suo procedere, però, non è guerresco, come a volte capita a certi saggi confessionali o di segno opposto, né si mette nella posizione di persona che ha qualcosa da insegnare (modalità, quella del professore, che tante volte solletica il nostro ego quando abbiamo qualcosa da comunicare agli alti). Hargot si pone delle domande e, insieme a lei, anche noi lettori siamo portati a interrogarci sugli stessi temi.
Il bambino in grembo non è più un dato naturale, come nel passato, ma un progetto
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il corpo umano «[...] non è più che una cosa esterna alla persona. Spezzettato, esso può essere ormai prestato, comprato, affittato o venduto a pezzi staccati e conformi alla bisogna» (p. 126). Anche questa, in definitiva, si rivela una sconfitta antropologica. Lo stile del saggio è brillante, e questa caratteristica non va perduta nella traduzione di Giovanni Marcotullio, conduttore di Padri nostri su Radio Maria, redattore e blogger, che per primo ha scoperto la Hargot e ha pensato di proporla in Italia. Nel suo testo, la sessuologa riporta inoltre dialoghi, domande, considerazioni delle persone che ha incontrato in questi anni (senza ovviamente rivelarne la vera identità): è un ulteriore elemento che rende scorrevole la lettura. Tornando ai contenuti, Hargot non può approdare a risposte definitive: poiché lei non possiede interiormente la certezza di una Verità superiore con cui relazionarsi e confrontarsi, dal momento che non crede, non possiamo aspettarci – per la sua onestà intellettuale – alcunché di differente. La “liberazione” sessuale ci ha inevitabilmente cambiati. Anche quanti di noi pensano di essere “al riparo” dai contraccolpi ideologici devono fare i conti con l’insinuarsi, lento ma spesso inesorabile, di nuove mentalità. Emblematico, per esempio, quello che la sessuologa sostiene a proposito delle conseguenze dei “diritti” alla contraccezione e all’aborto: questi presunti diritti hanno reso il bambino in grembo non più un fatto naturale, come nel passato, ma un progetto. Questo, però, ha avuto una ricaduta pesante sulla vita delle donne: «Hanno fatto credere loro che potevano essere delle divinità, e quindi adesso si sentono responsabili di tutto» (p.125). Lasciandole in fondo sole proprio nel momento in cui vivono l’esperienza più ambivalente: la maternità, che è desiderata e temuta al tempo stesso. È l’esito paradossale del femminismo, che andando in cerca di tutele e libertà maggiori per la donna, ha finito invece per penalizzarla, come si può vedere anche nel caso dell’utero in affitto: «Senza il femminismo militante per il diritto all’aborto e alla contraccezione, il ragionamento ideologico della “gestazione per altri” non sarebbe stato possibile. […] esso ha dovuto prima opporre, e poi staccare, il corpo dallo spirito» (p. 125). Così, la procreazione è stata ridotta a mero atto animale, perdendo la sua sacralità: il risultato è che 10
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Prendendo a prestito dei termini filosofici, è come se il suo libro desse l’impressione di fermarsi sostanzialmente alla pars destruens, più che concentrarsi sulla pars construens. Non mancano le proposte per risolvere diversi problemi, ma l’intento principale della sessuologa sembra quello di aprire un serio dibattito, che coinvolga più agenti e l’opinione pubblica. Eppure Una gioventù sessualmente liberata (o quasi) è stato un caso in Francia e sta conquistando anche il pubblico italiano, per vari motivi. In primo luogo ha introdotto anche in ambienti non confessionali un’importante riflessione sui guasti di una mentalità improntata unicamente sulla soddisfazione temporanea di un piacere. In secondo luogo ha mostrato quale peso insopportabile stia ricadendo sulle donne e sulle giovani generazioni (alle quali – come persona che lavora con i ragazzi, ma anche come madre – la saggista guarda con particolare attenzione). Infine, testimonia che è possibile approntare un dialogo, quando si tratta di temi di interesse comune, se c’è il buon senso di non fermarsi di fronte a pregiudizi ideologici. Benarrivata Thérèse Hargot!
Giuliano Giuliano Guzzo Guzzo
«FACCIAMO FIGLI, FACCIAMO I CONIGLI!» Il problema demografico si sta trasformando in un’urgenza demografica. Ce ne renderemo conto prima che sia troppo tardi?
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l mondo, ma soprattutto l’Italia e l’Europa, hanno un problema enorme: la denatalità. Ci hanno riempito la testa per anni con l’incubo del sovrappopolamento, con l’idea che il pianeta ci sarebbe a breve stato stretto, ma la realtà è che non nascono più bambini.
E quelli che ancora nascono risultano largamente insufficienti rispetto a un ricambio generazionale degno di questo nome. Al punto che, secondo alcune stime, l’Europa sarebbe destinata non solamente a invecchiare, ma addirittura – nel giro di non molto – a spopolarsi. Questo, almeno, dicono delle proiezioni del Pew Research Center, che spiegano come il Vecchio Continente sia «l’unica regione» del pianeta destinata ad assistere alla riduzione «della propria popolazione totale fra il 2010 e il 2050» (The Future of World Religions: Population Growth Projections, 2010-2050, “Pew–Templeton”, p.147).
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Tra il 2010 e il 2050 ci saranno 46 milioni di Europei in meno. Staremo più larghi?
Per la precisione, saranno seppelliti – senza, questo è il punto, essere più rimpiazzati da nuovi nati – circa 46 milioni di europei, suppergiù gli stessi morti durante la Seconda guerra mondiale. Almeno si starà tutti più comodi e larghi, commenterà lo stolto. Senza sapere che meno europei significa in primo luogo più europei anziani, e quindi più pensioni o aumento dei casi di eutanasia. Ma non divaghiamo e rimaniamo all’inverno demografico, la cui drammatica intensità, oltre che
laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabora con diverse riviste e portali web fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com
dalle citate stime americane, è suffragata anche da dati spagnoli. È infatti una nota dell’Istituto nazionale di statistica iberico – non quindi la trovata di qualche cupo profeta di sventura – a indicare come, salvo sorprese, in Spagna, tra il 2014 e il 2028, si registrerà Anna Maria Pacchiotti una riduzione delle nascite pari a -24,8% rispetto ai 15 anni precedenti. Complessivamente, in Spagna, questo fenomeno si tradurrà – se le stime sono corrette – nella Anna Maria perdita di un milione di abitanti nei Pacchiotti, prossimipresidente 15 anni e dell’associazione “Onora la Vita onlus”. di 5,6 milioni nei prossimi 50, lasciando, nel 2064, un : www.onoralavita.it Paese ridimensionato a 40 milioni di abitanti, oltretutto neppure molto giovani (Cfr. Proyección de la Población de España 2014–2064 (2014), «Instituto Nacional de Estadística», 1-15). Dal fenomeno denatalità è fortemente interessata anche la Germania, nonostante ospiti – il che Giulia dovrebbe far riflettere – un ragguardevole numero Tanel di stranieri e immigrati. E l’Italia? Purtroppo il nostro Paese pare avviato, Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive perdella passione. Collabora con anch’esso, a processi di estinzione propria libertaepersona.org e con altri siti internet e popolazione. Anche in questo caso, responsabile riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli L’irruzione del soprannaturale nella dell’affermazione non è qualche oscura associazione storia (Ed. Lindau). cattolica, bensì l’ente statistico più ufficiale che ci sia: l’Istat, Istituto nazionale di statistica. Istat che, in una nota di sedici pagine diffusa nel giugno dello scorso anno, è stato molto chiaro nello specificare che «nel corso del 2015 il numero dei residenti ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novanta anni: il saldo complessivo è negativo per 130.061 unità. Il calo – viene precisato – riguarda esclusivamente la popolazione di cittadinanza italiana – 141.777 residenti in meno –, mentre la popolazione straniera aumenta di 11.716 unità». In parole povere, gli italiani stanno iniziando a estinguersi: dopo aver smesso di fare figli, dopo aver visto aumentare vertiginosamente l’età media della popolazione, ora iniziano – iniziamo, quindi – a ridursi di numero. 2017 Aprile - n. 51
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Aspettate, perché le cattive notizie non sono ancora finite. Infatti, se gli italiani sono messi maluccio – sempre secondo l’Istat – è anche perché il contributo positivo alla natalità delle donne straniere, per la prima volta, inizia a mostrare i segnali di un’inversione di tendenza: così, mentre l’incremento delle nascite registrato fino al 2008 era dovuto principalmente alle donne straniere, negli ultimi tre anni anche il numero di stranieri nati in Italia, pari a 72.096 nel 2015 (il 14,4% del totale dei nati), ha iniziato progressivamente a ridursi (-7.798 nati stranieri dal 2012). Sarebbe pertanto opportuno che, specie su quest’ultimo aspetto, riflettessero i tanti ingenui del «meno male che ci sono gli immigrati», del «gli stranieri ci salveranno» e dell’«evviva i nuovi italiani». La curva demografica è infatti una cosa seria, complessa, non raddrizzabile in poco tempo né, tanto meno, con ricette facili e immigrazioniste. Proprio per questo pare opportuno che le Istituzioni s’impegnino in un serio, organico e duraturo piano – altro che Fertility Day! – a favore della natalità. In che modo? Intanto sostenendo le coppie che si sposano. 12
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Per due ragioni. Anzitutto perché la condizione coniugale, piaccia o meno, risulta associata a un più elevato tasso di fecondità. E questo non perché stare assieme senza sposarsi significhi accusare problemi di sterilità – lo si precisa per scongiurare sciocche obiezioni –, bensì perché, mediamente, la condizione coniugale, per la stabilità che assicura e per il progetto su cui si basa, pone marito e moglie in una condizione di più convinta e duratura apertura della vita. In secondo luogo, va considerato come una coppia di genitori sposati sia la miglior garanzia possibile per un figlio, per una crescita sana ed equilibrata. Per sostenere la natalità, inoltre, essa andrebbe valorizzata sul piano sociale: da un lato scoraggiando, anzi proibendo, l’aborto volontario; dall’altro sostenendola con incentivi specifici e crescenti in relazione al numero dei figli. Così che le famiglie numerose, a differenza di quanto accade oggi, cessino di essere guardate con sospetto, ma vengano realmente aiutate e sostenute, non già per una logica assistenzialistica – sia ben chiaro – bensì come forma di equo riconoscimento per il contributo, in termini di natalità – e quindi di creatività giovanile, di forza lavoro nonché di contribuzione fiscale... insomma, in due parole: di futuro – che esse assicurano a un sistema sociale che probabilmente, le famiglie numerose, manco le merita. Riusciranno politica e istituzioni a rendersi conto di tutto ciò, smettendola di affidarsi al decrescente contributo alla natalità assicurato dagli stranieri? Non è, a oggi, purtroppo chiaro. Quel che è certo è che prima lo faranno, meglio sarà per tutti.
TUTTI A ROMA, IL 20 MAGGIO
IN MARCIA PER LA VITA
Alfredo De Matteo
Dalla “madre” di tutte le marce, la March for Life di Washington, alla VII Marcia per la Vita in Italia… Manca poco alla VII edizione della Marcia per la Vita, una manifestazione su scala nazionale, e ormai anche internazionale, che intende affermare la sacralità della vita umana innocente e la sua indisponibilità, dal concepimento fino alla morte naturale. La Marcia per la Vita è un piccolo grande miracolo che si ripete ogni anno, raccogliendo nella pubblica piazza un numero tendenzialmente crescente di persone, per dire no all’aborto di Stato e sì alla vita, senza compromessi o eccezioni di sorta.
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n Italia la legge 194/1978 ha sancito la legalizzazione dell’aborto. L’obiettivo della Marcia è di esprimere una protesta pubblica contro questo crimine, proclamare a gran voce i diritti dei bambini non nati, ridestare le coscienze obnubilate dell’opinione pubblica, non più capace di discernere il bene dal male, il lecito dall’illecito.
«Stand up for Life», alzatevi e reagite in difesa della vita, è stato l’accorato appello che ha lanciato la responsabile della campagna elettorale del presidente Trump, cattolica praticante e madre di quattro figli, prima di passare la parola al vice presidente degli Stati Uniti, il quale ha affermato, tra le altre cose, che «la cultura della vita vince in questo paese grazie a voi».
D’altronde, fin dagli anni ‘70 in tutto il mondo occidentale si è andata sviluppando, di pari passo con le leggi e le campagne abortiste, una nuova sensibilità di carattere attivo in difesa della vita umana innocente. I cittadini di diversi paesi del mondo, di varia estrazione sociale e di culture differenti, hanno cominciato a organizzarsi per riaffermare pubblicamente il diritto alla vita dei bimbi nel grembo materno. Nelle principali città occidentali (dagli Stati Uniti all’Europa, passando per l’America Latina e recentemente anche per l’Africa) centinaia di migliaia di persone sono scese nelle strade sfidando frontalmente, ed esplicitamente, le leggi abortiste dei propri paesi e le politiche antinataliste. È nato così il fenomeno che in tutto il mondo è conosciuto come Marcia per la Vita, la cui prima edizione in assoluto è la March For Life di Washington, la “madre” di tutte le marce.
Anche in Europa la Marcia per la Vita è divenuta in breve tempo il simbolo della testimonianza di chi si sente in dovere di agire per il diritto di chi non può difendersi da solo. In Francia, a Parigi, si è svolta il 22 gennaio scorso l’undicesima edizione della Marche pour la Vie, che quest’anno ha avuto un significato particolare in quanto si è svolta alla vigilia della votazione in Parlamento di una legge liberticida, che proibirà qualsiasi espressione sui media contro l’aborto, definendola «delitto d’intralcio».
La March For Life, iniziata il 22 gennaio 1974 come reazione alla sentenza della Suprema Corte americana Roe v. Wade dell’anno precedente, è giunta nel 2017 alla sua 44esima edizione. Quest’anno, per la prima volta nella storia, un vice presidente americano ha partecipato alla manifestazione e ha parlato dal palco. Lo stesso presidente ha inviato il suo sostegno con un tweet: «You have my full support», che vuol dire: «Avete il mio pieno appoggio». Le ingenti misure di sicurezza non hanno impedito una presenza traboccante del mondo pro life americano, stimata in centinaia di migliaia di persone.
o 20 na di sabat ti at m la , ita All’Angelicum 13:30, ProV le al 0 :0 0 1 maggio, dalle l’Istituto ternational e In e if L n a m u izzato Onlus, H hanno organ to a rn ca In ciperà del Verbo ita, cui parte v la er p o e un convegn ve saluto anch re b n u er p te eccezionalmen . to del Gianna Jessen mo l’interven ia al n g se i tr del Tra gli al Toni Brandi, , a it V ro P i di presidente d re Bouquet, ad P I, L H la direttore di dell’IVE, del es it re F iz u R i e del Padre Arturo a Dina Nerozz ss f. ro p a, tr ia o. neuropsich anilo Castellan D f. ro p , to it ir filosofo del d 2017 Aprile - n. 51
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La tradizionale Marcia per la Vita, più affollata e vibrante degli anni precedenti con i suoi oltre 50.000 partecipanti, ha fatto dunque sentire la sua voce alla Francia.
riproduttiva e i programmi di vaccinazione, che spesso servono più al controllo della popolazione che alla prevenzione delle malattie.
In Spagna si svolge dal 2010, a Madrid, la Marcha Por la Vida, giunta quest’anno alla settima edizione. Da sottolineare come la Marcia in Spagna sia un evento diffuso che si svolge in numerose città, non solo nella capitale. Grande partecipazione raccoglie, ad esempio, anche Barcellona.
Anche la Marcia per la Vita si propone di determinare di un’inversione di rotta sul tema della vita, come la Marcia americana ci insegna. Siamo sulla strada giusta, anche perché la Marcia italiana non si fonda solo sullo sforzo e sull’impegno degli organizzatori e di chi vi partecipa, ma confida e si affida alla Divina Provvidenza. L’adorazione eucaristica che si svolge ogni anno la sera prima della Marcia, può infatti essere definita come il cuore spirituale della manifestazione, senza il quale non si potrebbe
Tra le marce che si svolgono ogni anno in Europa, vanno ricordate quelle di Praga, Dublino, Berlino e Bruxelles, sebbene ve ne siano anche in molte altre città. La Marcia per la Vita non è un fenomeno solo americano o europeo. Anche nell’altro emisfero, in Australia, a Brisbane, migliaia di persone danno vita ogni anno al Rally For Life. Nel 2015, inoltre, la Marcia ha fatto il suo esordio anche in Africa: in Kenya e in Nigeria. A Nairobi circa 400 persone hanno dato vita alla Walk for Life, organizzata per contrastare la crescente promozione dei disvalori contrari alla vita, veicolati dai media occidentali: l’aborto, gli effetti dei contraccettivi, l’alcolismo e l’abuso di droga, il traffico di esseri umani – soprattutto dei bambini –, la cosiddetta salute 14
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Tutti a Roma, sabato 20 maggio!
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Anche in Polonia dal 2009 si svolge ogni anno una Marcia per la Vita: la particolarità di questa nazione è che la marcia viene organizzata contemporaneamente in 120 città del Paese. L’epicentro dell’iniziativa è Varsavia dove nell’ultima edizione si sono radunate diverse migliaia di persone nonostante in Polonia la legge sull’aborto sia tra le più restrittive esistenti in Europa.
ripetere ogni anno il miracolo del grande successo di partecipazione e di consenso.
Quello dell’adorazione eucaristica è forse il momento più toccante e significativo che precede la Marcia per la Vita, quando molte centinaia di persone – spesso stanche e provate da un lungo e faticoso viaggio – si riuniscono in preghiera per adorare e implorare Colui che è l’Autore della vita, Colui che può tutto e a cui nulla è precluso. Il prossimo appuntamento con la VII edizione della Marcia sarà il 20 maggio, stavolta di sabato, alle 15:00 a piazza della Repubblica: insieme per dimostrare che, con l’aiuto di Dio, gli uomini possono cambiare la storia.
Il miracolo della Vita Offriamo ai nostri Lettori questo inserto da staccare, conservare e mostrare in opportuni contesti educativi e didattici, per descrivere l’affascinante miracolo della vita. Grazie ai prodigi della tecnica siamo in grado di vedere immagini sempre più chiare e reali di ciò che avviene nel grembo di una mamma. Dal momento della fusione tra lo spermatozoo e l’ovulo, lo zigote umano agisce come un direttore d’orchestra che dirige la formazione, l’evoluzione e la maturazione delle sue parti. Si impegna per impedire ulteriori contatti con altri spermatozoi e per promuovere la conservazione e lo sviluppo di se stesso. Comincia subito a creare degli organi adatti allo scopo. Se tale attività non è interrotta da una malattia, o da un fattore esterno, lo zigotemorula-blastula-gastrula-embrione-feto-bambino-adolescente-adultoanziano a suo tempo morirà. Ed è lui, sempre lui, con quel codice genetico irripetibile, che caratterizza la persona, e solo quella, dal momento della fecondazione fino alla morte. La differenza cruciale che c’è tra un bambino allo stato embrionale e le altre cellule del corpo umano è che lo zigote è un organismo. È una struttura complessa di elementi interdipendenti, con specifiche funzioni, che hanno tutti uno scopo comune e “superiore”: la vita dell’organismo stesso, dell’individuo. Le raccolte di cellule umane sono sì, vive, ma vivono per se stesse, non funzionano più come un’unità integrata, non mostrano un’organizzazione globale: una cellula di pelle umana coltivata in laboratorio continuerà a vivere e si riprodurrà e creerà un “pezzo di pelle”, ma non ricostruirà l’organismo dal quale è stata rimossa. Invece in un solo zigote, in un ovulo fecondato, all’inizio, quando è ancora una sola cellula, non solo c’è una mappa cromosomica irripetibile, ma già c’è tutto l’organismo umano, “dalla testa ai piedi”, seppure a uno stadio immaturo. Questi sono dati di fatto reali e oggettivi, rilevabili con il metodo scientifico universalmente accettato da tutti, del tutto indipendenti da qualsiasi punto di vista etico, morale, politico o religioso, e persino sentimentale.
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rma a l’ovulo e fo ilioni) fecond m e tr o a ic rc op ci sc icro (uno su di sale. Il «m spermatozoo di un granello iluppo» (R. G. Edwards) a GIORNO 1. Lo ol cc pi ù pi o sv cellula e fasi del su in sé tutta la lo zigote, una le primissim ri e contiene el n to ni o ge an i m de u cuno caratteristiche essere osomi da cias gani, sesso e om or cr à er 23 o pp es ilu ha pr ano sv o alla morte. a, che pian pi persona uman anno tali, invecchiando, fin ster fisiche che re
4 SETTIMANE. L’embrione è gi à 10.000 volte cominciano a fo più grande dello rmarsi gli occh zigote: i e la bocca, la interamente il pelle già ricopre corpicino del ba mbino. Si sono già form ati il tubo neur ale e i lobi del cervello.
12 SE
TTIMANE. Il viso del bam e aggrotta la bino ha un pr fronte. L’ipofi ofilo definito si comincia cominciano : sorride a produrre or a vedere i ge moni e si nitali esterni. ed è capace L’apparato di di assimilare gerente funz gli zuccheri. iona
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rali sono de cereb n o le , e batt . Ora il ne il cuore parse le orecchie a im tt e s da due sono ap piedi. ANE. Già ita. gramma, puntare i 8 SETTIM on l’elettroencefalo la mandibola e a so e succhiarsi le d c i na ere misurabil ia anche a muov toccarsi il nghe per iniz lu o a in z b n m ta a s b a sono abb Le braccia
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ANE. Il bambino non si chiama più embr Si succhia il pollice, ione, ma feto. le impronte digitali sono già evidenti. Co le gemme dei denti mpaiono anche , emergono le ungh ie di mani e piedi, si vocali e le ossa s’ind formano le corde uriscono.
... CI SIAM
O QUASI... ... ECCOMI!
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Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane, la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Indossare questa spilletta, oppure attaccarla a uno zaino o a una borsa, può servire a sensibilizzare le coscienze anestetizzate dalla cultura della morte.
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Avviso a paga
DIFENDI LA
FAMIGLIA
E I TUOI FIGLI
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Alessandro Fiore, portavoce di ProVita, e Mario Agnelli, Il bene comune può essere realizzato solo attraverso la promozione senza compromessi della Vita portavoce dei Sindaci che hanno sollevato obiezione di coscienza alle unioni civili. e della Famiglia naturale fondata sul matrimonio. Notizie ProVita ha pubblicato un “Patto per la famiglia naturale” con il quale i candidati Sindaci nei capoluoghi di Provincia e i candidati Sindaci e Consiglieri nei capoluoghi di Regione si impegnano
a difendere la Famiglia, la Vita e Saudita, i bambini e a lavorare nell’interesse e per il maggior bene di tutto offrire servizi in Mauritania, Arabia Yemen, il popolo della realtà territoriale in cui sono candidati. Somalia, in altri paesi dove l’omosessualità può essere Vai sul sito www.notizieprovita.it per leggere il “Patto per la famiglia naturale” e conoscere i nomi dei candidati “nel nomeche di lo chihanno nonsottoscritto! può parlare” punita con la pena di morte, e in Nigeria, dove il WWW.NOTIZIEPROVITA.IT comportamento omosessuale può essere punito con la fustigazione, la prigione, o la morte per lapidazione. 12. Salesforce, una società di software, ha minacciato che avrebbe ridotto gli investimenti in Georgia. Ma Salesforce opera serenamente in India dove Human Rights Watch spiega che il codice penale ha rafforzato l’idea che la discriminazione e i maltrattamenti delle persone LGBT sono accettabili. 13. Apple Inc.: protesta negli USA, ma produce in Cina e vende nei Paesi Arabi. 14. National Basketball Association (NBA): è preoccupata per l’omofobia in USA, ma organizza manifestazioni sportive in Sud Africa, dove il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha scritto in una relazione della sua preoccupazione per il razzismo e la xenofobia. 15. Netflix, leader mondiale della TV via Internet, ‘è una società inclusiva’, dice. Ma offre i suoi servizi per esempio in Libia, la patria delle violazioni del dirittoUTERO internazionale. SPECIALE IN AFFITTO di donne e bambini tollerato dalla “società civile” 16. Sony: ha un ufficio inIl mercato Kazakhstan, dove Amnesty International segnala che si pratica la tortura e dove le libertà di espressione, associazione e riunione pacifica sono limitate. POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00
Padova CMP Restituzione
Anno IV | Rivista Mensile N. 37 - Gennaio 2016
PROVITA
Chi salva i bambini,
salva le madri Una testimone davvero eccezionale: Margherita Borsalino Garrone
Proposta di legalizzare l’eutanasia alla Camera
Molte grandi imprese si indignano per ‘l’omofobia’ dei governi federati (che riconoscono il diritto all’obiezione di coscienza), ma che fanno affari d’oro fuori dagli USA, in Paesi dove l’omosessualità è addirittura reato, passibile di condanna a morte
9. General Electric Co., si dà da fare in Arabia Saudita, un Paese che criminalizza il comportamento omosessuale (nel 2014, un uomo saudita è stato condannato a tre anni di carcere e 450 frustate: aveva usato Twitter per organizzare incontri con uomini). 10. The Coca-Cola Co.: nel 2006, gli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola sono stati accusati di interferire con i problemi di irrigazione nelle regioni dell’India e America Latina che soffrono per scarsità d’acqua. Più di recente, la Coca-Cola è stata accusata di rifornirsi di zucchero beneficiando di espropri non etici. Il sito della Coca-Cola, però, elenca la bio-diversità, la tutela dei diritti delle popolazioni locali, la sostenibilità come valori fondamentali (oltre che ‘l’inclusività’). Anche essa ha levato vibrata protesta contro le leggi omofobe della Georgia ecc. 11. PayPal addirittura è intervenuta nella polemica sulla legge per i bagni unisex. Ma PayPal continua a
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Gli attivisti LGBTQIA(...) pretendono che ognuno sia libero di andare nello spogliatoio o nel bagno ‘che si sente’: un uomo che apparentemente ha gli attributi da uomo, ma che ‘si sente donna’ dovrebbe poter andare nello spogliatoio (o nel bagno) delle donne
Insomma, sappiamo bene quanto sia faticoso, per tutte queste grandi imprese, barcamenarsi tra gli ideali e il portafoglio. Ma, alla fine, tutto sommato pare che conti di più il dio quattrino, non è vero?
www.notizieprovita.it “nel nome di chi non può parlare”
cuore
Anno V | Rivista Mensile N. 41 - Maggio 2016
Padova CMP Restituzione
Anno V | Rivista Mensile N. 39 - Marzo 2016
POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00
“nel nome di chi non può parlare”
5. La Weinstein Co., un grande studio cinematografico, ha minacciato che non avrebbe mai più girato un film in Georgia, ma gira e produce Shanghai, in Cina; No Escape in Tailandia. 6. AMC Networks Inc., produttrice della fortunata serie The Walking Dead, lavora in Russia, Paese ‘omofobo’ per eccellenza. 7. Time Warner: non avrebbe lavorato mai più in Georgia, ma a Singapore sì (un altro Paese che vieta penalmente l’attività omosessuale, secondo l’ International LGBTI). 8. La Walt Disney Co.: e la sua controllata Marvel Entertainment sono ‘aziende inclusive’, ma continuano ad espandersi in Cina, dove tra l’altro investono 5.5 miliardi di dollari per un parco a tema a Shanghai.
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IN UNA GOCCIA CURA E CONFORTO PERINATALE
Non vuoi finanziare gli aborti? OSA: OBIEZIONE ALLE SPESE ABORTIVE
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Francesca Romana Poleggi
ABORTO POST-NASCITA,
EUTANASIA INFANTILE, DAT Secondo la legge sulle DAT, il tutore può costringere il medico a uccidere – sospendendo i trattamenti sanitari – le persone incapaci…
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li attentati alla vita nascente e alla vita morente colpiscono gli esseri umani nel momento in cui sono più vulnerabili. L’aborto e l’eutanasia sono oltretutto delitti profondamente vili, da codardi perché – in modo indiretto, attraverso la propaganda della cultura della morte e la legalizzazione delle pratiche delittuose – inducono la madre a uccidere lei stessa il proprio figlio e il malato stesso a chiedere il veleno per “togliere il disturbo”. Un connubio tra i due orrori succitati è l’eutanasia dei neonati. Notava tempo fa un Comunicato Stampa dell’AIGOC – Associazione Italiana, Ginecologi e 20
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Ostetrici Cattolici –, che coloro che scampano alla selezione eugenetica che si opera attraverso le eventuali diagnosi prenatali e l’aborto “terapeutico” (espressione coniata dalla neolingua: l’aborto uccide, non “cura” come invece fa una “terapia”), saranno eliminati dopo la nascita, se passa la proposta di legge sulle DAT. Di fatto, per l’art. 5, comma 2, del ddl in questione, sarà legale l’uccisione dei minori e degli incapaci per decisione dei loro genitori e dei loro tutori (decisione alla quale il medico deve sottostare senza poter neanche sollevare obiezione di coscienza). I neonati, quindi, si possono eliminare come avviene da
tempo in Olanda, dove il “Protocollo di Groningen” calpesta anche le più elementari norme di deontologia medica. Esso prevede l’eliminazione dei bambini che non hanno possibilità di sopravvivere e muoiono dopo poco tempo dalla nascita, malgrado le migliori cure cui sono sottoposti: è necessario abbreviare ancor più il loro così breve affacciarsi alla vita, anticipandone la morte? Poi prevede l’eliminazione dei bambini che hanno una prognosi sfavorevole e sono dipendenti da terapie intensive, con aspettative circa le loro condizioni future molto tristi, per via di danni cerebrali e di organo; e infine, prevede l’eliminazione dei piccoli pazienti che si ritiene soffrano in misura intollerabile, e si prendono ad esempio i portatori di spina bifida, costretti spesso a subire molti interventi chirurgici. Tutti questi bambini vengono di fatto immediatamente eliminati, se non corrispondono al “modello” utile alla società, perché le loro sono “vite non degne d’essere vissute”, come per esempio quelle dei bambini Down. Il cosiddetto “aborto post-natale” teorizzato da Giubilini e Minerva, che alcuni pensavano fosse un’ipotesi di scuola, prende corpo e consistenza reale. I due bioeticisti affermavano che il fatto di essere “umani” non attribuisce di per sé il diritto alla vita. Sarebbe piuttosto l’essere “persona” che conferirebbe questo diritto. Sarebbe persona solo l’individuo capace di attribuire un qualche valore alla sua esistenza. Quindi l’essere persona dipende dal possesso di
La compromissione della cosiddetta “qualità della vita” non è motivazione accettabile per giustificare un infanticidio, tanto più oggi che la medicina moderna dispone di molte efficaci possibilità di trattamento di varie forme di handicap. L’aborto post nascita è comunque già una tragica realtà: quando l’aborto si pratica a gravidanza avanzata, può capitare che i bambini sopravvivano e vengano uccisi o lasciati morire tra i rifiuti... e molto più frequentemente di quanto si possa pensare. La cronaca giudiziaria, poi, ci mostra un altro dato molto inquietante: di fatto è sempre più comune l‘assoluzione delle madri che commettono un infanticidio. Ne abbiamo avuto esempi recenti in Canada: una donna che ha annegato il suo bambino appena nato a Kamloops, in British Columbia, è stata condannata – se così si può dire – a solo due anni di libertà vigilata. Qualche tempo fa c’era stato un caso analogo, sempre in
autocoscienza. Il momento in cui ciò avviene deve essere deciso da psichiatri e psicologi. Ma fino a quel momento la madre (e anche il padre) può disporre a suo piacere della vita e della morte del figlio, sia nel grembo, sia dopo che è nato. Del resto la coerenza nella perversione c’è: se la legge da quarant’anni autorizza la donna ad abortire, uccidendo il bambino prima della nascita, è logico poterlo eliminare anche dopo, se esso crea problemi per la sua famiglia e per la società. Giubilini e Minerva non spiegavano come i neonati debbano essere uccisi entro pochi giorni dalla nascita: eppure tutti possono facilmente immaginare come tutti i neonati (e soprattutto quelli affetti da malattie o disabilità), nei primi giorni di vita, necessitino di trattamenti sanitari: negare il consenso alla somministrazione di questi “trattamenti sanitari” significa lasciare morire subito questi bambini. Senza contare che, tecnicamente, anche l’allattamento artificiale di un bambino potrebbe essere considerato un “trattamento sanitario”… «Il dovere per il legale rappresentante di prendere decisioni sempre e solo per tutelare la vita del minore e dell’incapace» non garantisce affatto la vita dei neonati prematuri, dei disabili e/o dei neonati affetti da patologia genetica o da malformazioni, se «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato» e se «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente».
Canada: se la legge permette l’aborto, disse il giudice, perché punire l’infanticidio? Tanto che, quando lo Stato dell’Alberta ha chiesto alla Corte Suprema canadese di ridefinire più severamente l’uccisione dei neonati, le femministe e i soliti noti sono insorti con i soliti argomenti che i Lettori possono ben immaginare: i diritti delle donne, «La punizione è già nell’aver compiuto il gesto estremo, costrette dalla necessità», etc., etc.: le stesse scuse usate quarant’anni fa per giustificare l’aborto quando non era legale, vengono ora addotte per giustificare l’assassinio di bambini piccoli. Qui in Italia la legge sulle DAT contribuisce sostanzialmente alla causa della cultura della morte: ci incamminiamo verso la depenalizzazione dell’omicidio dei bambini, la cui vita non ci sembra “degna di essere vissuta”? 2017 Aprile - n. 51
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Aldo Rocco Vitale
LA CLAUSOLA ABORTIVA
E L’UTERO IN AFFITTO Tecnicamente è più corretto dire “contratti di maternità surrogata” per ricomprendere anche quelle rarissime ipotesi in cui l’utero è dato gratis, in comodato. Ma i Lettori non ce ne vorranno: l’espressione “utero in affitto” è molto più efficace (e infatti è aborrita dalla neolingua!)
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acta sunt servanda», cioè «I patti sono da osservare», recita un antico brocardo risalente all’alba dei tempi della civiltà giuridica occidentale e cristallizzato nell’articolo 1372 del Codice Civile, ai sensi del quale il contratto ha forza di legge tra le parti, cioè le obbliga a un determinato comportamento e le vincola a tale assunto obbligo. Un tale principio ovviamente coinvolge tutti i contratti e quindi non ne sarebbero esclusi quelli stipulati di utero in affitto, per la compravendita di bambini. Il predetto principio deve essere riconnesso alla eseguibilità di tutti i contratti, poiché la eseguibilità è un diretto effetto del suddetto vincolo obbligante nascente dal contratto a carico delle parti.
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Riducendo la problematica ai suoi termini essenziali, si possono ipotizzare due casi: quello in cui, dopo la stipula del contratto e successivamente all’inizio della gravidanza della donna surrogante, sia proprio quest’ultima a non voler più continuare la gestazione volendo porvi fine (per i motivi più diversi, come quelli legati alla tutela della propria integrità psico-fisica), oppure il caso in cui sia la stessa coppia committente a non voler più procedere oltre, per esempio o in caso di divorzio intervenuto nel frattempo, o per le eventuali malformazioni scoperte nel feto. E in tal caso, il bambino di chi sarà figlio? Dei committenti che non lo vogliono, o dei soggetti che hanno fornito i gameti? Della madre che l’ha partorito? Sarà il caso che la legge si adegui alla ragione naturale, questa volta? La gravidanza, anche quella innescata in esecuzione di contratti di maternità surrogata, può essere dunque interrotta, ma è proprio in questo frangente che nascono dubbi e perplessità: trattandosi di contratti, l’eventuale aborto scelto dalla donna gestante sarebbe qualificabile come un ordinario inadempimento contrattuale? Trattandosi d’interventi che riguardano il corpo della donna, l’aborto potrebbe essere eseguito anche e perfino su richiesta della coppia committente? E qualora la donna gestante non volesse abortire nonostante la richiesta della coppia committente, un tale suo rifiuto si potrebbe ancora una volta intendere come suo inadempimento? E l’eventuale nascita conseguente al mancato aborto, potrebbe essere invocata dalla coppia committente come
un caso risarcibile (da parte della gestante che si è rifiutata di abortire) di wrongful birth, cioè di nascita indesiderata? Ovviamente in così breve spazio ci limitiamo a rintracciare i perimetri della questione nei suoi termini generali. Tradizionalmente, almeno secondo l’origine della sua legittimazione giuridica nella forma della “legalizzazione” giudiziaria negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’70 del XX secolo, l’aborto è stato ritenuto legittimo in quanto espressione dell’esercizio del diritto alla privacy della donna come hanno ribadito più sentenze della Corte Suprema statunitense nei casi Roe v. Wade del 1973, Planned Parenthood v. Danforth del 1976 e Bellotti v. Baird del 1979. Secondo una tale ricostruzione, dunque, la decisione di interrompere la gravidanza – anche nel caso essa sia l’esecuzione dell’obbligo assunto dalla donna surrogante nell’ambito di un contratto di surrogazione di maternità – spetta sempre e comunque alla donna gravida, senza che nessuno (il padre, il marito, lo Stato o altri) possa interferire in tale “scelta”. La nota giurista anglosassone Carmel Shalev, invece, ritiene diversamente proprio nel caso di maternità surrogata, cioè che la decisione di interrompere la gravidanza spetti sempre e comunque alla coppia committente: «Io ritengo che il potere giuridico di decidere debba essere riconosciuto alle persone committenti, in quanto sono costoro che saranno responsabili per la cura del bambino dopo il parto. Più in particolare, suggerisco che il contenuto del diritto alla privacy – vale a dire l’allocazione del potere decisionale – venga determinato tenendo conto dei rapporti sociali in gioco».
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Può il contratto di utero in affitto obbligare la gestante ad abortire, o lei può rifiutarsi?
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Le criticità dell’applicazione della eseguibilità dei contratti di utero in affitto sono molte. Vediamo ora quella connessa da un lato al principio di cui si è più sopra detto e dall’altro all’eseguibilità, appunto, dei contratti di maternità surrogata, cioè le eventuali clausole disciplinanti l’aborto.
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Non si può fare a meno di rilevare, tuttavia, come in entrambi i casi affiorino in tutta la loro drammaticità le problematiche etiche e giuridiche del caso. Nel primo caso, infatti, l’ordinamento potrebbe comunque intromettersi nonostante l’asserito diritto alla privacy della gestante, ordinando o vietando l’esecuzione dell’aborto, poiché, come ha ben precisato Romano Guardini: «L’affermazione che il figlio nel grembo della madre sia semplicemente una parte del corpo di lei, equivale a quella che l’uomo sia nello Stato una semplice parte del tutto. L’opinione che permette alla madre di disporre del bambino che vive in lei, deve egualmente concedere allo Stato il diritto di disporre degli uomini che ne fanno parte». Nel secondo caso, ovvero il potere di decidere se procedere ad aborto o meno fosse riconosciuto esclusivamente alla coppia committente, invece, si tratta di una vera e propria rinuncia, cioè di un vero e proprio atto abdicativo rispetto al diritto di libertà, al diritto circa la propria integrità fisica, al diritto di scegliere per la propria persona in modo kantianamente autonomo; ci si troverebbe dinnanzi, insomma, a una vera e propria forma di sottomissione contrattuale, di «servitù volontaria» per utilizzare la felice formula di Etienne de La Boétie. Appare fin troppo chiaro, dunque, quanto le eventuali clausole di aborto contrattualizzato all’interno dei contratti di maternità surrogata non facciano altro che
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elevare le difficoltà etiche e giuridiche non solo dell’utero in affitto in sé considerato, ma anche inevitabilmente quelle già fin troppo tipiche che contraddistinguono l’interruzione volontaria di gravidanza. Se il potere di interrompere la gravidanza surrogata viene riconosciuto alla donna, infatti, si pongono tutti gli interrogativi classici di carattere sia etico, sia giuridico intorno all’aborto, che rende la donna padrona di un diritto altrui, cioè quello alla vita del nascituro, del quale – per natura – non può avere la disponibilità; se, invece, il potere di interrompere la gravidanza viene riconosciuto alla coppia committente, oltre che il diritto alla vita del nascituro verrà ad essere negato anche il diritto di autodeterminazione della gestante, specialmente qualora fosse condannata a un risarcimento del danno (biologico, morale o esistenziale?), nel caso in cui il suo rifiuto di abortire venisse qualificato come inadempimento contrattuale. In conclusione, insomma, l’introduzione delle cosiddette “clausole abortive” all’interno dei contratti di maternità surrogata dimostrerebbe, ancora una volta, l’abuso che del diritto viene compiuto sia sotto il versante della pratica dell’utero in affitto, sia soprattutto sotto il versante dell’aborto, rivelandosi precisissime le osservazioni in merito di Sergio Cotta: «Il diritto non può violare il principio della inviolabilità dell’innocente senza negare la propria essenza di regola giusta per trasformarsi in violenza».
ESSERE UOMO,
Giulia Bovassi
ESSERE PADRE
Un giovane s’innamora, si sposa, scopre la vocazione alla paternità e si realizza in essa
«S
e mi chiedessero che cosa fai nella vita, io direi il padre, poi il marito, poi il figlio e infine l’uomo». Tendenzialmente la figura paterna è ideologizzata come disinteressata e inetta, ma il secolare eroe per eccellenza serba dentro sé molte voci, senza le quali non si vedrebbe la bellezza complessiva della donna e della famiglia. Moreno, un giovane neo-papà e devoto marito, espone la sua esperienza personale per dirci quanto può essere valorizzante vedere con occhi diversi, precisamente quelli maschili. Moreno, prima di conoscere la tua sposa, quante visioni puoi dire di aver avuto della donna nella tua vita?
Posso dire di averne avuta solo una di esatta: quella alla quale mi ha condotto mia moglie. Tutti attraversiamo periodi nei quali cerchiamo di ammortizzare la solitudine con presenze immediate, e questo – la maggior parte delle volte – corrisponde a deboli storielle occasionali, imbevute dell’aroma di una relazione stabile e duratura, che per assurdo rimane sempre sullo sfondo e poco nitida. Questa sensazione sbiadita di volere qualcuno senza termine mi portava molto spesso a dire di no a ipotesi affettive.
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Il pudore e la tenerezza, appresi con mia moglie, hanno conferito dignità a lei e a tutte le donne
So che è inusuale da sentire, ma oggi le cose sono diverse: l’immagine stereotipata che al maschio piaccia l’avventura banale senza responsabilità, insieme a una sessualità femminile sdoganata da ogni stigma, hanno tolto freni inibitori alla donna e li hanno passati all’uomo. È dura da decifrare, ma il pensiero bugiardo, tendenzioso che a noi piacciano le “svendite”, ci porta a declinare gli inviti proprio perché commercializzati.
I rapporti che hanno preceduto mia moglie mi facevano sentire vuoto, non arricchito ma privato di qualcosa: ci usavamo a vicenda, tutto era insipido e il fatto che per entrambi vi fosse un contatto privatizzato a noi come due persone separate, dava a me maschio un concetto di donna estraneo alla dignità. Invece, il pudore e la tenerezza appresi con mia moglie, hanno conferito dignità a lei e a tutte le donne. E ciò partendo dall’indisponibilità di sfruttarci-usarci a vicenda per il piacere e coscienti del fatto che la corporeità è espressione dell’interiorità della persona. La donna non è il suo corpo e l’uomo non è il suo corpo, entrambi sono anche i loro corpi! Da cosa era data l’attrattiva? Un generico “star bene” senza complicazioni e senza una sessualità egoistica, fatta per me stesso. Quella che con mia moglie è divenuta pura intimità sponsale reciproca, prima era un aggregato di attimi assemblati da sensazioni a pelle, che scottano le passioni, ma diffidano da periodi di convivenza troppo lunghi. Cercavo di compiacere e compiacermi, per rendere quelle esperienze corrispondenti al mio ideale di donna e di coppia. O almeno a quello che credevo lo fosse! Il passaggio radicale è stato sentire nei confronti di mia moglie un sentimento di timore, non nel senso di rischio per la mia incolumità, piuttosto il timore di danneggiarla o di farla soffrire. Con lei la grandezza della donna si dispiegò nella visione della mia fragilità: non ci volle molto tempo per capirlo e questo diede come frutto una profonda comunione, che mise al bando la solitudine mai abbandonata. Vedere l’altro o l’altra come un passatempo (anche al di là della tua intenzionalità, ma in seguito alle modalità con le quali viene impostata la relazione) a lungo andare nausea per la sterilità di quel rapporto infecondo. Hai detto di essere prima di tutto un padre… croce o delizia per un uomo? Prima che ti accada, così come la cultura moderna vuole, sei portato verso la croce, associandola rapidamente a tutte le privazioni che comporta. 2017 Aprile - n. 51
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Per me non è stato così, ho sempre sentito un forte richiamo alla paternità: sottovalutavo l’idea, probabilmente perché come uomo giovane e dinamico vedevo altro nella mia realizzazione personale, ma il desiderio latente di essere padre è quello che mi ha fatto cercare mia moglie. L’immagine che mi vedeva disteso sul divano a stringere mio figlio che dorme su di me è stato il faro per abbandonare una visione distorta degli affetti, quindi senza esitazione sostengo che un uomo non capisce la sua natura e quella della donna finché non abbraccia l’identità del padre senza riserve, come un ruolo non opzionale e imprescindibile. La gravidanza come ha inciso in questo? A mio avviso tutto ciò che capita con la gestazione lo si può riassumere in una parola sola: istinto! Quando vivi la sessualità senza il terrore di un accidente (figlio), cambia completamente il fine e capisci perché tu uomo sei fatto così come sei e la donna è fatta così com’è; il piacere è secondario, non determina l’istinto che invece è dato da un richiamo naturale. La donna incinta, la madre, vive doppiamente: ha un potere straordinario, che non è un qualcosa né tuo né suo, ma un’altra persona palesemente lì. Le donne hanno questo potere unico di avere una doppia anima negli occhi! Non c’è rotondità amplificata o menomazione alcuna del loro corpo in grado di renderle meno femminili agli occhi di un uomo: io trovo quei nove mesi la spiegazione migliore della bellezza. Sbagliamo a credere che il bello sia un artefatto per il quale la donna deve lottare costantemente o soffrire, ed è il messaggio che una donna in gravidanza manda a noi uomini: il fascino nasce di riflesso dalla conformità al programma naturale, a ciò che il loro corpo è in grado di compiere. Il momento in cui appare la pancetta dei primi mesi, in te uomo vive solo l’idea, non vedi nulla, 26
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non senti nulla, ma percepisci che hai qualcuno da proteggere. Qui è l’istinto di difesa, di protezione, di salvaguardia. È il primo momento in cui l’idea di padre diviene chiara e precisa: nessuno infatti te l’ha mai detto, il primo che si chiama così sei tu e senti di dover agire. L’attesa della nascita fa maturare l’istinto di responsabilizzarti, poiché da quel momento ogni azione è rigettata all’esterno, tutto è decentrato da me al piccolo. Per un uomo la crescita del pancione è un secondo step dall’idea astratta-intangibile del padre, alla rotondità che si interpone tra te e lei: non si è più solo coppia, un semplice abbraccio diventa a tre. Durante la gravidanza la donna è 2/3 di te... è l'unico caso in cui uno più uno fa tre!
Oggi, ahimè, sovente si parla dell’utero e del parto come di “giogo biologico” o di “schiavitù”. Sei d’accordo? La prima cosa che ho detto ai familiari dopo il parto è stata: “Ho rivalutato totalmente la donna!”. Un uomo, davanti alla grandezza della nascita, trova frammentata e spiazzata la sua virilità all’interno di un paradosso: egli è lì, inerme... sta bene, eppure non può essere di alcun aiuto, al di fuori di qualche massaggio alla schiena; costretto a lasciare che la donna sia padrona del momento, in modo particolare nella fase finale dove non esiste niente di più forte e intenso di una madre che lotta perché suo figlio venga al mondo. La cosa sbalorditiva è che nessuno le ha insegnato davvero cosa fare, non lo ha mai sperimentato e non si è allenata all’imprevedibile, lei segue l’istinto e fa quello che sente di dover fare perché è predisposta a farlo.
di riflesso “Il fascino nasce al programma dalla conformità idanza è la naturale: la grav ore spiegazione migli della bellezza” La forza di una partoriente lascerà qualsiasi maschio attonito perché noi non saremmo mai capaci di tutto questo, siamo diversi e biologicamente inferiori (se così si può dire!). Come esperienza, il parto è la fonte di un rispetto collaterale che si dirama dall’uomo alla sua dimensione di figlio, oltre che di padre:
la sua salute accettando di farsi carico della sofferenza fisica e psicologica per il bene di suo figlio e io padre ero con lei; è stato oggetto di prova, che mi ha permesso di dimostrare a me stesso e a loro due, alla mia famiglia, il mio essere uomo nei fatti. Ecco perché il figlio non è un affare privato della donna: noi maschi siamo messi a nudo dinanzi alla portata di questo evento. Potresti dire che tuo figlio, a seguito della nascita, è diventato ontologicamente qualcuno che prima non era?
ritorni inevitabilmente al pensiero di tua madre, donna che per te ha accettato la sfida della nascita, e provi gratitudine e ammirazione. Chi decide di non vedere questa bellezza, rinnega la natura della donna, per la quale la gravidanza è un concetto primitivo, senza escluderne le difficoltà: mia moglie per poter allattare ha rinunciato a terapie farmacologiche, ha messo da parte
Quando guardo mio figlio vedo che non è né me, né mia moglie bensì una persona diversa, unica, che non abbiamo mai posseduto, ma accolto. Il nostro primo incontro fuori dalla pancia materna è avvenuto quando l’ho chiamato per nome cercando di tranquillizzarlo e lui, sommerso dalle lacrime, si è calmato, mi ha riconosciuto come suo padre girandosi laddove aveva sentito il suono della voce che per nove mesi aveva comunicato con lui. Mi ha insegnato che l’aborto è illogico per chiunque sappia cosa s’intenda per “gravidanza”. Non esiste un diritto a discapito di questa meraviglia, e tutto quello che posso dire è che per me la data di nascita è sicuramente il parto, ma il compleanno dovrebbe essere al concepimento, non alla nascita, perché tu sei nato lì! 2017 Aprile - n. 51
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Alba Mustela
PIANO INCLINATO... VERSO IL NULLA
La legalizzazione dell’eutanasia – in qualsiasi forma, anche fosse solo in casi molto ristretti – porta inevitabilmente al dilagare della morte, anche per chi non la vorrebbe
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sostenitori della legalizzazione del testamento biologico, delle DAT, e quindi della possibilità di decidere se smettere di vivere, rifiutano di ascoltare le ragioni del cosiddetto “piano inclinato”. Sostengono anzi che certe leggi servano per evitare gli abusi, e che la morte anticipata sarà concessa solo ed esclusivamente in casi particolari, a persone moribonde e sofferenti, in omaggio al loro “bene” e al loro diritto all’autodeterminazione. L’esperienza dei Paesi Bassi e del Belgio dimostra il contrario. L’atto di legalizzazione di un certo comportamento (uccidere) “solo in certi casi” ha come conseguenza che un comportamento illecito diviene lecito, anche se – appunto – “solo in certi casi”. Ma il salto logico è stato fatto, lo sdoganamento è compiuto. Nel nostro caso l’uccidere non è più un atto illecito. La legge italiana prevedrebbe una doppia “legalizzazione”: la legittimazione della richiesta di morire e la possibilità di obbligare un medico a 28
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compiere un’uccisione (sospendere un trattamento sanitario salvavita, oppure non somministrarlo). Quindi, se passa la proposta di legge sulle DAT, apriamo la porta, in un colpo solo, all’eutanasia attiva e passiva e al suicidio assistito. In nome dell’autodeterminazione del paziente? Beh, anche questo è tutto da vedere. Non è prevista alcuna garanzia per verificare che il malato non sia indotto da circostanze o persone a fare una simile richiesta, ed è possibile uccidere una persona che aveva rilasciato le DAT anche molto tempo prima e che potrebbe aver cambiato idea senza averlo potuto comunicare. Il dottor Theo Boer, medico olandese un tempo sostenitore dell’eutanasia in nome del diritto all’autodeterminazione, vista la deriva di morte inarrestabile che si è verificata nel suo Paese, ora si batte per la indisponibilità della vita umana. È noto per aver detto: «Quando il genio esce dalla bottiglia è impossibile rimetterlo dentro», per spiegare, appunto, la teoria del piano inclinato.
Nei Paesi del nord Europa, inizialmente l’eutanasia era possibile solo se il malato era terminale “e” soffriva dolori insopportabili. Il primo passo è stato cambiare la “e” con una “o”: si è cominciato a praticare l’eutanasia o quando il malato era terminale, anche se non soffriva, o quando soffriva, anche se non era terminale. La giustificazione è stata quella di fare il “bene” del malato, dandogli la morte. Del resto se uccidere è legale, è un bene! Questo è un passaggio logico decisivo: la morte – che ogni uomo, da sempre e ovunque, considera un male al quale non c’è rimedio – diviene un bene, una facile soluzione per tutti i problemi. Dopodiché, su questa china, è cominciata l’applicazione perversa del principio di uguaglianza: si è cominciato a dire che è “ingiusto” negare detto “bene” a chi non poteva esprimere il suo consenso, ma che si poteva desumere non potesse desiderare continuare a vivere: e così l’eutanasia è stata estesa ai disabili, ai bambini, ai malati psichiatrici… a tutti coloro che, volenti o nolenti, conducevano una “vita non degna di essere vissuta”. Ma chi può giudicare la vita di qualcuno indegna? In base a quali parametri? È evidente che è stata spalancata la porta dell’arbitrio: arbitrio da parte degli ospedali – che hanno bisogno di posti letto, dei parenti – che hanno bisogno dell’eredità, dello Stato – che deve risanare i conti della previdenza… Del resto, il risvolto economico che si cela dietro all’eutanasia non è da sottovalutare (e sappiamo bene che per il dio denaro si trova modo di giustificare anche i sacrifici umani): le compagnie farmaceutiche dovranno studiare e produrre veleni sempre più efficienti e indolori. Le cliniche e gli ospedali che fungono da ammazzatoi si fanno ben pagare per il “servizio”. Il mercato degli organi, poi, prospera: già in Olanda, mentre il boia pratica l’anestesia letale, è pronta fuori dalla porta l’équipe per il prelievo (prima che sia troppo tardi).
Le compagnie assicurative, che offrono previdenza privata, hanno maggior convenienza a pagare l’eutanasia che le cure. Chiedetelo a Stephanie Packer, sposata e madre di quattro figli, con una forma terminale di sclerodermia: accade già oggi, in California e in Oregon. E del resto l’assurda politica neomalthusiana che è stata attuata da quarant’anni a questa parte – attraverso la contraccezione e l’aborto, con il falso mito della liberazione sessuale e della liberazione della donna – ha provocato il disastro demografico di cui soffre l’Occidente (con l’Italia ai primi posti). Le nostre società viziate e opulente sono diventate vecchie: i giovani che producono PIL e versano contributi non nascono più da un pezzo; gli anziani costano alle casse degli enti previdenziali (si veda l’INPS)... l’eliminazione dei vecchi e dei malati è un consistente risparmio: hanno calcolato che, con l’eutanasia, in Canada si possono risparmiare fino a 138 milioni di dollari all’anno (nel grande Paese nordamericano, nei primi sei mesi dalla legalizzazione, hanno tolto di mezzo 750 persone...). Un’altra cosa è certa: in quei Paesi, che i
mortiferi portano a modello perché “rispettano la autodeterminazione del paziente”, in realtà della volontà del malato si tiene conto poco o niente: effetto del piano inclinato. La gente viene eliminata non solo quando non ha dato il consenso, ma persino contro la propria volontà. In una clinica per anziani olandese il testamento biologico prevale sulla volontà attuale del paziente: i vecchietti non vogliono più morire? Non conta, perché sono rimbambiti: li ammazzano lo stesso, in forza di quanto avevano detto quando stavano bene. Del resto, la dottoressa Antonella Vian, uno dei medici che assisteva Eluana Englaro, ha pubblicamente testimoniato che anche la povera ragazza non voleva morire… Nel frattempo, sempre in omaggio al principio di uguaglianza perverso di cui sopra, si comincia a consentire l’eutanasia a tutti coloro che sono stanchi di vivere (anche se in perfetta salute). Insomma, la familiarità con l’uccidere i malati e gli anziani a poco a poco rende l’atto banale. Una questione di routine, così come è accaduto per il divorzio e l’aborto. 2017 Aprile - n. 51
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FIGLI DEGLI
UOMINI
Siamo a Londra, nel 2027. La città è molto sporca, degradata in mano a gruppi di ribelli che creano continui disordini causati da politiche sull’immigrazione, molto Marco Bertogna violente e repressive. Theo (Clive Owen), il protagonista del film, è un ex attivista politico che, dopo anni di lotte e di grandi ideali, si ritrova solo (si è separato dalla moglie) e rassegnato, senza più stimoli e speranze sul futuro. Il mondo si commuove alla morte di Baby Diego, che è la persona più giovane del mondo: Baby Diego ha 18 anni... quindi sono ben 18 anni che nel mondo non c’è più una nascita. Theo viene contattato bruscamente dalla sua ex moglie (Julianne Moore), ancora attivista del gruppo chiamato “I Pesci”, per chiedergli di procurarle un permesso di transito per una ragazza, e Theo lo otterrà attraverso suo cugino che ricopre un ruolo politico. Il permesso di transito è vincolato e applicabile solo alla presenza di Theo, che quindi è costretto ad accompagnare la ragazza. Poco dopo aver iniziato il viaggio, in un agguato fuori città, viene uccisa la ex moglie di Theo. La ragazza a quel punto si affida completamente a lui e gli rivela che è incinta. Theo capisce l’importanza e la delicatezza della situazione e fa sua la preziosità di questa maternità. Decide quindi di portare a destinazione la ragazza da solo, non potendosi più fidare di nessuno altro (l’ex moglie è morta per mano della sua stessa organizzazione). L’obiettivo del viaggio è raggiungere una nave che si chiama “Domani”, per poi arrivare su un’isola dove vive una comunità che si chiama “Progetto Umano”. Alfonso Cuaron, regista di questo film (2006), ci presenta uno scenario apocalittico a nascita zero, dove la maternità di questa ragazza diventa la cosa più importante del mondo. Emblematica la scena in cui Theo e la ragazza camminano all’interno di uno stabile diroccato e tutti i presenti, ribelli e soldati, si fermano di fronte all’unicità che questa giovane donna rappresenta. È un film profetico? La sterilità potrebbe diventare il male dei prossimi anni? Il valore della vita è – e sarà – messo sempre più in discussione? Queste sono alcune domande che possiamo porci mentre vediamo il film. Interessante anche come viene accostato il tema dell’eutanasia: vediamo in diverse scene l’utilizzo di confezioni che hanno all’interno dei kit chimici per morire, e che il nostro protagonista commenta come «schifezze». Il film è girato e montato benissimo, con una chicca tecnico/artistica rappresentata dalla scena in cui viene uccisa l’ex moglie di Theo: è un piano sequenza in cui la macchina sulla quale viaggiano i nostri protagonisti viene attaccata da alcuni ribelli in motocicletta; la macchina da presa entra ed esce dalla vettura e si muove a 360 gradi con un esercizio di stile degno di nota. Il film ha ricevuto in quell’anno tre candidature agli Oscar, che testimoniano la bontà della pellicola. È un film da vedere. È un film “pro-vita”.
LETTURE CONSIGLIATE «La lettura è per la mente quel che l’esercizio fisico è per il corpo» (Joseph Addison)
Cristina Caricato
DUE MADRI Romanzo con un saggio di Giuseppe Noia Città Nuova
Due donne riallacciano i fili di un’esistenza svuotata e si ritrovano nella capacità di generare nonostante le difficoltà vissute. Non hanno nulla in comune, se non il dolore della perdita. Alice, barbona per scelta e per amore, ha dissipato la propria bellezza e gioventù per correre dietro alla libertà, rinunciando all’unico bene certo della sua vita: una figlia nata per caso, non amata anche se voluta. Ilaria ha il ventre vuoto, dopo un aborto spontaneo che le ha portato via la forza per affrontare l’esistenza. Alice aspetta ora una nuova creatura. Ilaria l’aiuta a vivere una gravidanza complessa tra centri di ascolto, ospedali, assistenza sociale. La loro amicizia sarà il cemento di un cammino comune che le porterà a scoprire un modo nuovo di essere madri, a recuperare i rapporti perduti e una serenità possibile. Si ritroveranno insieme nella capacità di generare, nonostante le difficoltà affrontate.
Rino Cammilleri
ANTIDOTI Contro i veleni della cultura contemporanea Lindau
Tratti dalla corrispondenza epistolare tra l’Autore e coloro che frequentano il suo sito web, gli Antidoti interessano gli argomenti più vari, ma sono sempre improntati alla lotta senza quartiere contro il pensiero unico politicamente corretto, cioè il conformismo dei nostri tempi. Si chiamano Antidoti perché impediscono al cervello di friggere e di trasformare il suo proprietario in automa. L’Autore li dedica a coloro che polemizzano con chi spara opinioni senza avere alcuna nozione in materia (categoria umana in crescita esponenziale). L’ironia e il sarcasmo sono le armi migliori che Cammilleri usa sapientemente per farci sorridere, oltre che riflettere.
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