ProVita Dicembre 2016

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“POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00

Trento CMP Restituzione

Notizie

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

“Nel nome di chi non può parlare” Anno V | Rivista Mensile N. 47 - Dicembre 2016

Andiamo al

CINEMA?

UNA MAMMA E UN PAPÀ venuti da lontano

L’ADOZIONE E IL BISOGNO delle radici

Buon Natale


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

SOMMARIO

Notizie

EDITORIALE

RIVISTA MENSILE N. 47 - Dicembre 2016

Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Federico Catani, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089

Avere figli... Buon Natale!

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LO SAPEVI CHE... ARTICOLI

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Un difensore appassionato della vita

Giovanni Martinolli

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Da Napoli a Torino: un SOS urgente e impossibile?

Anna Maria Pacchiotti

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PRIMO PIANO

Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica

Il senso giuridico dell’adozione

Aldo Rocco Vitale

L’adozione non è…, l’adozione è…

Federico Catani

Ci sono sempre meno bambini adottabili

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Il bisogno delle radici

Miriam Incurvati

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La “mente della coppia” per donarsi al figlio

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Tipografia

Distribuzione

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Giuliano Guzzo

Maria Cristina Del Poggetto

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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Marco Bertogna, Federico Catani, Maria Cristina Del Poggetto, Giuliano Guzzo, Miriam Incurvati, Giovanni Martinolli, Anna Maria Pacchiotti, Clemente Sparaco, Giulia Tanel, Aldo Rocco Vitale

«Nostra figlia: un’opportunità in più»

Giulia Tanel

Una mamma e un papà venuti da lontano

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La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non Ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it. Grazie per la collaborazione!

Piuma

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Clemente Sparaco

Marco Bertogna

L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

UN ANNO DI NOTIZIE PROVITA

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EDITORIALE

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diamo spesso le persone dire che i figli costano troppo, che siamo già in troppi nel mondo e che ci sono abbastanza problemi per pensare di mettere al mondo una nuova creatura. Altri invece affermano che un’esistenza senza figli è vuota e arida e che i bambini portano gioia nella vita. Credo che l’errore comune e fondamentale sia quello di considerare il figlio da un punto di vista edonistico ed egoistico, come qualcosa “per sé”. Ricordo la mia fisioterapista single che un giorno mi disse: «Quasi, quasi faccio un figlio...». Le risposi: «Guardi che un figlio non è un iPhone». Questa mentalità utilitaristica ha anche portato all’omicidio di Stato legalizzato, l’aborto. Quando ero bambino, dopo la guerra, negli anni Cinquanta, c’erano veramente problemi economici seri e incertezze e complicazioni di ogni genere: tuttavia quella generazione non si sognava di uccidere i bambini nel grembo materno. La visione del mondo non era basata sul tornaconto individuale e sull’egocentrismo. I valori erano radicati nel tessuto sociale: la vita, la famiglia… Il Natale era davvero un “santo” Natale! Oggi, quindi, guardando a quel Figlio, sta a noi riscoprire il valore dei figli come dono, ma anche e soprattutto come responsabilità, che richiedono un sacrificio, sia pur ripagato dalla gioia di amare. I figli li manda la Provvidenza. Quando non arrivano, c’è un motivo, c’è una chiamata a dare la propria vita per altri scopi: non cessa l’essere famiglia. Quando si creano rapporti, si coltivano ideali o si fa in altro modo qualcosa di utile per la società si generano, si crescono, si educano spiritualmente dei “figli”, seppure in una diversa dimensione. E così la Provvidenza, che non mi ha mandato figli, mi ha dato tanti amici veri con cui in Lituania abbiamo fondato l’Algirdas Society (una ONG con scopi sociali) e in Italia la Laogai Research Foundation (che denuncia i crimini del regime comunista cinese). Infine, nel 2012 è nata anche ProVita Onlus che forse, tra i miei “figli”, è quella che svolge il compito più essenziale: la tutela della vita e della famiglia, che è pregiudiziale a quanto rientra negli scopi delle sue “sorelle”. Alcune famiglie, invece, sono chiamate all’adozione. È a loro che dedichiamo questo numero natalizio della nostra Rivista. Potrete leggere dati e testimonianze e riflettere sull’importanza di questa nobile vocazione che si realizza attraverso un istituto giuridico t​ anto antico: adottare dei bambini è un atto d’amore davvero autentico, oblativo, che richiede delle caratteristiche che oserei definire eroiche, per gli adottanti. A loro, come a tutti voi e alle vostre famiglie, cari Lettori, giunga il mio sincero augurio per un Santo Natale e un felice 2017. Toni Brandi

2016 Dicembre - n. 47

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LO SAPEVI CHE... SÌ ALLA VITA

È bello dare la buona notizia di genitori che affrontano con coraggio i problemi di salute diagnosticati al loro bambino in grembo e rifiutano l’aborto “terapeutico”. Più spesso di quanto si pensi avviene il miracolo che il bimbo nasca sano. Ma anche quando il miracolo non avviene, con il “malanno” si può convivere più che dignitosamente. Questo racconta Frances Klimas: a suo figlio Walter era stato diagnosticato un difetto cardiaco congenito. I medici le hanno suggerito di abortire diverse volte, non le hanno dato nessuna prospettiva di adozione, nessun supporto psicologico, nessun contatto con altri genitori che avevano bambini con una malattia

coronarica: nessuna speranza. L’aborto era non solo la prima opzione, ma l’unica. La vita di Walter non era degna di essere vissuta. Oggi invece Walter è un bambino uguale agli altri ed è prezioso come tutti gli altri, nonostante sia cardiopatico.

CONTRACCEZIONE La pillola è rischiosa per la salute delle donne, a livello fisico e psicologico. Un nuovo studio dell’Università di Copenaghen ha infatti decretato che: «la depressione è un potenziale effetto negativo dei contraccettivi ormonali». Lo studio longitudinale ha coinvolto oltre un milione di donne che vivono in Danimarca e ha confrontato i tassi di incidenza della depressione tra coloro che usano contraccettivi e quelle che non li usano. Le donne che prendono la pillola hanno dal 23% al 34% in più di probabilità di dover poi assumere degli antidepressivi, rispetto alle donne che non ne fanno uso.

TRISOMIA 21

Dove andrà la cicogna? #STOPuteroinaffitto

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n. 47 - Dicembre 2016

Noelia Garella ha trentuno anni ed è la prima maestra dell’Argentina con trisomia 21. Da piccola non è stato facile, per lei. Spesso non veniva accettata


VIOLENZA SULLE DONNE E PORNOGRAFIA

o veniva derisa: la sua determinazione ha però avuto la meglio e ora lavora da quattro anni, affiancata da un’altra insegnante. «La cosa che più mi piace del mio lavoro è la purezza del cuore dei bambini, il loro amore», afferma. Oggi, sfatati i pregiudizi iniziali, i genitori dei bambini sono i primi a dirsi contenti dell’opportunità che viene data ai loro figli, di poter avere un’insegnante speciale come Noelia.

PROVITA, IMPEGNO INTERNAZIONALE ProVita ha partecipato in Croazia, a Zagabria, a un convegno che ha riunito esponenti delle più rilevanti associazioni pro life a livello europeo, oltre a importanti personalità delle istituzioni come il Ministro croato per l’educazione, la scienza e lo sport. Il convegno è stato organizzato dall’Associazione croata In nome della famiglia (Udruga U ime obitelji), che ha promosso con successo il noto referendum che ha inserito nella Costituzione croata la definizione di famiglia come unione stabile tra un uomo e una donna. ProVita è stata invitata a dare il suo contributo sul problema della propaganda della teoria gender nelle scuole, visto che esso comincia a manifestarsi anche in Croazia. L’evento s’inquadra nell’azione internazionale di ProVita Onlus, in collaborazione con le più incisive realtà pro life e pro family a livello europeo e mondiale.

Per combattere la violenza contro le donne nella città di Toowoomba, in Australia, amministratori e cittadini stanno lavorando insieme per creare una città “libera dal porno”. Lo sforzo è guidato dall’organizzazione cristiana Women of Toowoomba e dal sindaco Paul Antonio. L’88% della pornografia mostra violenza contro le donne. I partner porno-dipendenti sono i maggiori autori di crimini violenti contro le donne. Intere vite sono state rovinate dalla pornografia. A tutti i cittadini è stato distribuito un volantino intitolato Una città libera dal porno, nel quale si legge: «Riconosco che la pornografia promuove lo sfruttamento delle donne e la violenza contro le donne e che danneggia le famiglie. Mi impegno a non vedere immagini porno, voglio contribuire a creare una città libera dal porno».

EDUCAZIONE SESSUALE Alcuni accademici dell’Università di Nottingham, psicologi forensi e della famiglia, a seguito degli studi fatti hanno presentato al Parlamento inglese la raccomandazione di rivedere l’educazione sessuale che si fa nelle scuole ai ragazzini più piccoli. Infatti risulta che essa spinga i bambini a sviluppare curiosità verso la pornografia, che su internet è sempre troppo facilmente accessibile. L’educazione sessuale non dovrebbe indurre – come la pornografia – al sesso occasionale, senza sentimenti e non dovrebbe incoraggiare le molestie sessuali... L’educazione sessuale, per essere vera educazione, deve essere cucita su misura sull’età, sulla maturità e adattata alla singola persona, soprattutto quando si tratta di soggetti giovani. L’ambiente migliore rimane comunque sempre la famiglia: una sana educazione sessuale previene dalla fruizione della pornografia e quindi previene la violenza, soprattutto sulle donne. Certamente, per alcuni è facile ignorare questi dati della realtà, perché – lo ricordiamo – l’industria del porno fa girare miliardi di dollari in tutto il mondo. 2016 Dicembre - n. 47

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UN DIFENSORE APPASSIONATO DELLA VITA

Giovanni Martinolli

In memoria di Marco Martinolli, vissuto a Trieste e poi a Monfalcone, responsabile del Centro Aiuto alla Vita, direttore della sezione locale del CAI e della Lega Nazionale, sposato con la musicista Simona Zanella

L

e ricerche di Marco, condotte negli ultimi mesi della sua vita sugli eventi verificatisi nella fase finale della Seconda guerra mondiale, il suo coraggioso calarsi nelle profondità infernali delle foibe carsiche, la “scoperta” nel Tarvisiano dell’eccidio di “Malga Bala”, mediante le ricerche e i libri dello scrittore Antonio Russo, documentano un aspetto molto importante della sua spiritualità, delineando un percorso interiore che appare caratterizzato da un’indiscutibile coerenza e continuità nella contemplazione e nella difesa appassionata della vita. Già sul finire degli anni Novanta, Marco aveva concentrato il suo impegno nella difesa della vita nascente, minacciata da scelte individuali disumane e dalla legge 194/78 che aveva trasformato un effettivo delitto in supposto diritto. All’inizio del 2000 aveva accettato la presidenza del Centro Aiuto alla Vita di Monfalcone, allargando il suo orizzonte pro life a una visione culturale, etica e politica, superando una concezione meramente assistenzialistica del grande dramma della soppressione della vita nascente. Ha quindi fondato la sezione di Monfalcone del Movimento per la Vita e ha sovente sollecitato, per iscritto, i candidati alle assemblee regionali e nazionali ad assumere un

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n. 47 - Dicembre 2016

esplicito impegno in difesa dei valori non negoziabili. Interveniva, inoltre, anche personalmente come professionista, in situazioni in cui la vita del nascituro era in pericolo a causa non tanto di carenze economiche, quanto di paure e incertezze psicologiche. Nei momenti drammatici in cui a Udine si stava consumando la prima condanna a morte di una disabile, Eluana Englaro, Marco era tra quelle persone che pregavano implorando quel Dio della vita da lui sempre contemplato e amato. La sua lunga, e mai interrotta, attività alpinistica è una grande opportunità per aprire il suo cuore e la sua mente ai grandi pensieri dell’Eterno e dell’Infinito. Tutte le sue riflessioni, dalle vette che quasi gli sembrano sfiorare il Cielo, nella contemplazione di notturni trapunti di stelle, icone di una luce divina, parlano di Bellezza e di Vita senza tramonto, aprono orizzonti nuovi, alimentano uno slancio verso la


Marco nell’Abisso Bertarelli per contemplare cercando di attingere dalla Fede e dalla Grazia la luce per rispondere al grande interrogativo del male e dell’odio

vita che culmina nel suo Grido alla vita e, infine, nella certezza di non essere una meteora destinata a scomparire nelle voragini tenebrose del cosmo, ma una realtà indistruttibile che gli fa scrivere: «Sono Cielo / un’alba / smisurata / di Infinito». Questi pensieri di Eterno hanno ormai una loro visibilità e consacrazione pubblica nella targa da lui fatta collocare, come Presidente del Club Alpino di Monfalcone, sulla cima dello Jof di Miezegnot, nelle Alpi Giulie Occidentali, il 25 giugno 2006. Nella targa, che riproduce quattro versi di Giovanni Paolo II contenuti nella raccolta Trittico Romano, Marco sembra voglia dirci, in una forma che appare incoraggiamento, profezia e speranza per tutti noi: «Non pensatemi morto, ridotto a un mucchio di polvere, nientificato. Ora sto faccia a faccia con la pienezza dell’Essere». Quando Marco comincia a occuparsi delle foibe sono già passati sessant’anni da quella tragedia che ha insanguinato il Confine Orientale. Le prove inconfutabili di quei crimini atroci commessi dai comunisti di Tito sono ormai acquisite in via definitiva, e a nulla servono inconsistenti e grottesche sortite

di negazionismo, dettate da un’ideologia incapace di misurarsi con la verità. Quando si è impegnato nelle ricerche su quegli atroci abissi del male, non lo ha fatto certo per spirito di avventura, né solo per interesse storico, ma per la passione per la vita, che in quei luoghi è apparsa, con diabolica inventiva, particolarmente vilipesa: i condannati, legati tra di loro con fil di ferro, erano fatti precipitare tutti nell’abisso trascinati da quello, o quelli, tra loro che venivano colpiti da un paio di colpi di pistola.

Marco si è impegnato nelle ricerche sulle foibe non per spirito di avventura, né solo per interesse storico, ma per la sua passione per la vita

personalmente i luoghi della follia ideologica,

L’amore, il sentimento fortissimo della sacralità della vita, la condivisione della sofferenza dell’uomo crocifisso ad opera di criminali deliri ideologici, spiegano le estreme “imprese” di Marco. La discesa nelle foibe non sortisce nel suo cuore impulsi di odio e di disprezzo verso i popoli contermini (specialmente sloveni e croati), spesso vittime, a loro volta, dei medesimi atti disumani, compiuti in odio alla professione cristiana diffusa e profondamente radicata in quelle popolazioni. 2016 Dicembre - n. 47

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Nel marzo 2008, in una cavità (Case Neri) nelle vicinanze del Monte San Michele, ottiene di collocare, con la celebrazione di una Santa Messa officiata da don Romano Valle, una bella statua della Madonna. E questo grazie all’aiuto di alcuni giovani volenterosi, che s’impegnano con entusiasmo a realizzare l’incavatura che accoglie l’immagine di Maria. In altre foibe lancia dall’imboccatura delle immagini della Vergine, quasi a voler far scendere la Madonna, la Sua luce, la Sua misericordia nelle voragini dominate dalle tenebre della disumanità. Questo impegno di Marco ci invita a continuare la sua opera intesa a far riscoprire, a salvare dal rischio dell’oblio una vicenda insuscettibile di essere archiviata negli scaffali delle ragioni ipocrite e ciniche dell’ideologia. Nel contempo ci invita a coltivare il desiderio di una non effimera riconciliazione

nella verità, che ha un necessario riferimento a quel Cielo, cui Marco guardava nelle sue quotidiane battaglie. Ormai gli assassini di allora sono quasi tutti comparsi di fronte a quel Dio che negavano e combattevano. Ora i discendenti di quei tristi agenti del male, in un mondo turbato e minacciato da nuove follie ideologiche, possono trovare le vie per un più autentico incontro, in nome dell’irrinunciabile eredità cristiana, sempre, anche inconsciamente, presente nelle menti e nei cuori. Marco scese nelle tenebre dell’Abisso Bertarelli per contemplare direttamente ciò che l’ipocrisia e le ragioni del potere hanno censurato, e persino negato per decenni. Per lui, nato nel 1970, quanto ha potuto constatare “de visu” ha costituito una grande occasione di crescita nella verità e nella passione per la vita. Nelle profondità dell’Abisso Bertarelli, una delle foibe più orrende di questo confine orientale, è stata collocata da Marco una piccola immagine della Santa Vergine, che ha costituito il suo personale segreto, la forza operante in tanti che lo amano. Si tratta di un’immagine della Madonna, sostenuta dal fango marnoso, che le fa da appoggio e nicchia, graffiato da Marco dal fondo, che reca queste semplici parole: «Se sapeste quanto vi amo piangereste di gioia». Nelle sue generose imprese Marco è stato sempre fedele alla vita e alla verità e, in fondo alle tenebre di una foiba, Marco con Maria è una luce inestinguibile che brillerà sempre.

Il monumento agli esuli giuliano-dalmati, realizzato dal Comune di Fogliano-Redipuglia ai piedi del Colle di Sant’Elia su richiesta, e grazie, all’impegno di Marco. Nella targa il monumento reca cinque versi, che nella lettura verticale delle prime lettere evidenziano il nome dell’ideatore.

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n. 47 - Dicembre 2016


Anna AnnaMaria Maria Pacchiotti Pacchiotti Anna Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”. : www.onoralavita.it

DA NAPOLI A TORINO: UN SOS URGENTE E IMPOSSIBILE?

Giulia Tanel

La presidente di Onora la Vita ci racconta un’altra esperienza sul campo: una richiesta urgente di aiuto che davvero sembrava impossibile soddisfare

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n giorno mi ha telefonato un ottimo sacerdote che conosco tramite Facebook: mi parla di una ragazza di Napoli in stato di gravidanza, che la madre vuol fare abortire l’indomani stesso, in mattinata, altrimenti la caccia di casa. Io sono in Piemonte! Ma non mi perdo d’animo: l’unica soluzione è trovarle rifugio in una Casa di Accoglienza dove possa trascorrere la gravidanza. Consulto immediatamente l’Annuario dei CAV, cerco online e intanto chiamo la ragazza. Il cellulare squilla parecchie volte: alla fine mi risponde.

Le parlo del miracolo della vita sbocciato nel suo corpo. In lei è nata una nuova persona, il cui cuoricino batte accanto al suo

Il dialogo è sereno, cerco di essere affettuosa e comprensiva. Le parlo del miracolo della vita sbocciato nel suo corpo. In lei è nata una nuova persona, il cui cuoricino batte accanto al suo: questo la commuove. Mi dice che lei questa creatura la vuole: le ha già dato un nome, Aurora. Ma non sa cosa fare: il padre lavora all’estero e comunque non la vuole. Nella ragazza, di soli diciotto anni, però, è sorto il senso di responsabilità e l’istinto materno. Il nostro dialogo è di argomento bioetico, ma anche religioso: noi donne abbiamo da Dio un grande dono, quello di procreare, di essere madri. Le spiego anche le tragiche conseguenze dell’aborto: racconto dei casi di sindrome post abortiva che ho dovuto affrontare, delle ferite che talvolta rimangono aperte per

Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. Collabora con libertaepersona.org e con altri siti internet e è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, tutta la vita. A questo punto leiriviste; decide di andare a passare di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella la notte da un’amica. La mattina si(Ed. sarebbe storia Lindau).recata presso

la casa di accoglienza che le avevo trovato al Vomero.

Ma dalla suddetta Casa di Accoglienza non mi arrivava la risposta che stavo aspettando, nonostante avessi fatto presente la massima urgenza del caso. Quando la mattina dopo la ragazza è già per strada, la direttrice mi comunica che non la può ospitare, se la pratica non passa prima attraverso i servizi sociali. Mi affanno per cercare un’altra soluzione. C’è una Casa a Pompei. La responsabile, una bravissima persona, un vero e proprio “angelo”, al momento si trovava per caso proprio a Napoli! È disposta a incontrare la ragazza e portarla nella sua Casa, senza ingarbugliate e tortuose pratiche burocratiche, ma prima ha da fare al tribunale dei minori. Alla fine sono riuscita a metterle in contatto: il buon Dio ci ha aiutate nella lotta contro colui che predilige i sacrifici umani dei più deboli, dei più poveri, degli esseri più indifesi al mondo, i bambini nel ventre materno. Aurora e la sua mamma sono salve: lei ha una bella camera con bagno, che affaccia sul Santuario della Madonna di Pompei (eravamo ai primi di ottobre: anche Lei non poteva non aiutarci!). In un primo momento era un po’ spaventata e mi ha chiesto aiuto tramite WhatsApp: l’ho rassicurata, le ho spiegato che tutti la aspettavano nel salone, che dopo una bella notte di riposo avrebbe visto il mondo attorno a lei con occhi diversi. Ora si trova bene: è amica di tutti e si occupa anche dei bimbi che sono nella casa. 2016 Dicembre - n. 47

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30 N. 42 - GIUGNO 2016

Avviso a paga

DIFENDI LA

FAMIGLIA

E I TUOI FIGLI

SOSTIENI

Alessandro Fiore, portavoce di ProVita, e Mario Agnelli, Il bene comune può essere realizzato solo attraverso la promozione senza compromessi della Vita portavoce dei Sindaci che hanno sollevato obiezione di coscienza alle unioni civili. e della Famiglia naturale fondata sul matrimonio. Notizie ProVita ha pubblicato un “Patto per la famiglia naturale” con il quale i candidati Sindaci nei capoluoghi di Provincia e i candidati Sindaci e Consiglieri nei capoluoghi di Regione si impegnano

a difendere la Famiglia, la Vita e Saudita, i bambini e a lavorare nell’interesse e per il maggior bene di tutto offrire servizi in Mauritania, Arabia Yemen, il popolo della realtà territoriale in cui sono candidati. Somalia, in altri paesi dove l’omosessualità può essere Vai sul sito www.notizieprovita.it per leggere il “Patto per la famiglia naturale” e conoscere i nomi dei candidati “nel nomeche di lo chihanno nonsottoscritto! può parlare” punita con la pena di morte, e in Nigeria, dove il WWW.NOTIZIEPROVITA.IT comportamento omosessuale può essere punito con la fustigazione, la prigione, o la morte per lapidazione. 12. Salesforce, una società di software, ha minacciato che avrebbe ridotto gli investimenti in Georgia. Ma Salesforce opera serenamente in India dove Human Rights Watch spiega che il codice penale ha rafforzato l’idea che la discriminazione e i maltrattamenti delle persone LGBT sono accettabili. 13. Apple Inc.: protesta negli USA, ma produce in Cina e vende nei Paesi Arabi. 14. National Basketball Association (NBA): è preoccupata per l’omofobia in USA, ma organizza manifestazioni sportive in Sud Africa, dove il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha scritto in una relazione della sua preoccupazione per il razzismo e la xenofobia. 15. Netflix, leader mondiale della TV via Internet, ‘è una società inclusiva’, dice. Ma offre i suoi servizi per esempio in Libia, la patria delle violazioni del dirittoUTERO internazionale. SPECIALE IN AFFITTO di donne e bambini tollerato dalla “società civile” 16. Sony: ha un ufficio inIl mercato Kazakhstan, dove Amnesty International segnala che si pratica la tortura e dove le libertà di espressione, associazione e riunione pacifica sono limitate. POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00

Padova CMP Restituzione

Anno IV | Rivista Mensile N. 37 - Gennaio 2016

PROVITA

Chi salva i bambini,

salva le madri Una testimone davvero eccezionale: Margherita Borsalino Garrone

Proposta di legalizzare l’eutanasia alla Camera

Molte grandi imprese si indignano per ‘l’omofobia’ dei governi federati (che riconoscono il diritto all’obiezione di coscienza), ma che fanno affari d’oro fuori dagli USA, in Paesi dove l’omosessualità è addirittura reato, passibile di condanna a morte

9. General Electric Co., si dà da fare in Arabia Saudita, un Paese che criminalizza il comportamento omosessuale (nel 2014, un uomo saudita è stato condannato a tre anni di carcere e 450 frustate: aveva usato Twitter per organizzare incontri con uomini). 10. The Coca-Cola Co.: nel 2006, gli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola sono stati accusati di interferire con i problemi di irrigazione nelle regioni dell’India e America Latina che soffrono per scarsità d’acqua. Più di recente, la Coca-Cola è stata accusata di rifornirsi di zucchero beneficiando di espropri non etici. Il sito della Coca-Cola, però, elenca la bio-diversità, la tutela dei diritti delle popolazioni locali, la sostenibilità come valori fondamentali (oltre che ‘l’inclusività’). Anche essa ha levato vibrata protesta contro le leggi omofobe della Georgia ecc. 11. PayPal addirittura è intervenuta nella polemica sulla legge per i bagni unisex. Ma PayPal continua a

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Gli attivisti LGBTQIA(...) pretendono che ognuno sia libero di andare nello spogliatoio o nel bagno ‘che si sente’: un uomo che apparentemente ha gli attributi da uomo, ma che ‘si sente donna’ dovrebbe poter andare nello spogliatoio (o nel bagno) delle donne

Insomma, sappiamo bene quanto sia faticoso, per tutte queste grandi imprese, barcamenarsi tra gli ideali e il portafoglio. Ma, alla fine, tutto sommato pare che conti di più il dio quattrino, non è vero?

www.notizieprovita.it “nel nome di chi non può parlare”

cuore

Anno V | Rivista Mensile N. 41 - Maggio 2016

Padova CMP Restituzione

Anno V | Rivista Mensile N. 39 - Marzo 2016

POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00

“nel nome di chi non può parlare”

5. La Weinstein Co., un grande studio cinematografico, ha minacciato che non avrebbe mai più girato un film in Georgia, ma gira e produce Shanghai, in Cina; No Escape in Tailandia. 6. AMC Networks Inc., produttrice della fortunata serie The Walking Dead, lavora in Russia, Paese ‘omofobo’ per eccellenza. 7. Time Warner: non avrebbe lavorato mai più in Georgia, ma a Singapore sì (un altro Paese che vieta penalmente l’attività omosessuale, secondo l’ International LGBTI). 8. La Walt Disney Co.: e la sua controllata Marvel Entertainment sono ‘aziende inclusive’, ma continuano ad espandersi in Cina, dove tra l’altro investono 5.5 miliardi di dollari per un parco a tema a Shanghai.

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#STOP UTEROINAFFITTO

ProVita lancia #STOPuteroinaffitto: una grande campagna di sensibilizzazione per fermare la compravendita dei bambini e lo sfruttamento delle donne. Aiutaci anche Tu con una donazione per realizzare questa campagna e agire legalmente contro le agenzie di surrogazione che promuovono l’utero in affitto, non solo in Italia.

VUOI AIUTARCI? DONA ORA PER LE DONNE E I BAMBINI! IBAN: I T89X 08305 35820 00000 0058640 Conto Corrente Postale n. 1018409464 intestati a ProVita Onlus

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PRIMO PIANO


IL SENSO GIURIDICO DELL’ADOZIONE

Aldo Rocco Vitale

Solo se si torna al senso fondativo del diritto, si può recuperare il senso degli istitutiti giuridici

«È

questa la forma estrema del nichilismo: il nulla (il nonsenso) eterno»: così ha scritto Friedrich Nietzsche in La volontà di potenza, quasi cristallizzando tutto il cuore del pensiero moderno e contemporaneo, ovvero l’idea per cui l’unico senso rinvenibile nelle cose e nel mondo è che in definitiva tutto è privo di senso. Un’analoga visione si travasa quasi automaticamente, com’è inevitabile, dall’ambito dei principi filosofici a quello del diritto, facendo ben presto ritenere che anche e soprattutto nel mondo giuridico tutto (cioè i principi, le leggi, le norme, gli istituti) sia in definitiva privo di senso. In una simile prospettiva, infatti, il diritto viene inteso come del tutto privo di senso in quanto privo della sua verità costitutiva, cioè la giustizia, intesa in questo modo soltanto come orpello metafisico di cui è necessario liberarsi per accedere a una dimensione del diritto che si presume più pura e giuridicamente genuina.

Il valore giuridico del mondo dipende dal nostro punto di vista e varia con il variare di esso?

Il diritto così, però, viene a coincidere o con la mera legge, espressione del potere del sovrano, o con la mera ratificazione formale della volontà generale, come storicamente avvenuto allorquando il diritto è stato reputato espressione della volontà della razza, della classe o, infine, del popolo. Oggi, infatti, il diritto è considerato la formalizzazione della mera volontà individuale, cioè lo strumento con cui il singolo individuo trasforma i propri desideri in pretese giuridiche che l’ordinamento non può non riconoscere e tutelare. Del resto, secondo quanto ha scritto Judith Butler, l’uomo contemporaneo è soltanto un “soggetto di desideri”, così che ogni sua volontà è di per se stessa considerata legittima e quindi meritevole di trovare una tutela giuridica in ossequio alla libertà individuale. Come ha scritto Natalino Irti, infatti, «ciascuno di noi 12

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non si trova in un diritto, ma sceglie il proprio diritto […]», a dimostrazione specifica del fatto che privando il diritto della sua verità costitutiva, come tale universale e indisponibile, non può che accettarsi l’idea per cui il senso del diritto corrisponde esclusivamente con il senso che ciascuno gli attribuisce di volta in volta, in dipendenza delle proprie condizioni, delle proprie aspirazioni, dei propri gusti. Il diritto così perde tutta la sua effettiva sostanza e diventa un mero guscio vuoto da riempire a piacimento e indistintamente, sia con qualcosa di giusto, sia con qualcosa d’ingiusto. Tuttavia così non è, in quanto la profonda e antica saggezza giuridica occidentale ha da sempre insegnato che il diritto non è soltanto forma del potere del sovrano, del più forte, o del singolo, come ricorda l’opposizione di Antigone nei confronti di Creonte. Il diritto possiede un suo senso intrinseco, che è ciò che consente di distinguere il giusto dall’ingiusto come violazione delle leggi naturali costitutive dell’essere umano. In questo senso il diritto è tale soltanto se non viola le leggi di natura e la giustizia, altrimenti non è autentico diritto, come insegna il pensiero scolastico secondo il quale «lex esse non videtur quae iusta non fuerit», cioè non può essere considerata legge quella che non fosse anche giusta. Questo è il senso fondativo e ultimo del diritto. Il ritrovamento del PRIMO PIANO


Anche nel diritto romano, tuttavia, la funzione dell’adozione, emerse ben presto come solidaristica nel caso in cui a essere adottato fosse un minore, garantendo così a quest’ultimo l’assistenza secondo lo schema della famiglia naturale. L’adozione dei minori, infatti, ancora oggi, non serve per esercitare il presunto diritto al figlio degli adulti da alcuni oggi ipotizzato, ma semmai il diritto ai genitori da parte del minore. Non a caso si descrive lo spirito di questo secondo tipo di adozione con il brocardo latino «adoptio naturam imitatur», cioè «l’adozione imita la natura», nel senso che con l’adozione s’instaura un rapporto di filiazione che ricalca quello che si sarebbe instaurato con la procreazione. Ecco quindi come spiegarsi alcuni requisiti essenziali dell’istituto dell’adozione: il consenso; la differenza PRIMO PIANO

di età tra adottante e adottato; che la coppia adottante sia sposata e, soprattutto, formata da soggetti di sesso diverso. Questi due ultimi elementi sono la traduzione a livello normativo del suddetto principio, in quanto in natura non si può avere filiazione senza procreazione, e quest’ultima è possibile solo tra soggetti di sesso diverso. Il requisito del matrimonio si spiega in quanto solo con il matrimonio si crea quella stabilità socio-giuridica che rappresenta un presupposto per la adeguata assistenza del minore.

Il diritto possiede un suo senso intrinseco, che è ciò che consente di distinguere il giusto dall’ingiusto come violazione delle leggi naturali costitutive dell’essere umano

senso giuridico, consente, quindi, di recuperare anche il senso degli istituti giuridici, come, per esempio, l’adozione. L’adozione è un istituto nobile e antico, già conosciuto dal diritto romano e tramandato lungo i secoli fino ai giorni nostri, rispondendo a ben precisi motivi che ne delimitano la ragione giuridica e la portata che, invece, oggi qualcuno vuole negare o perfino stravolgere. Senza dubbio la legislazione, compresa quella in materia di adozione, e soprattutto quella italiana, non è mai perfetta e può sempre essere migliorata, ma un legislatore che non scambiasse il proprio potere di legiferare con un delirio di onnipotenza quasi divina, dovrebbe apportare modifiche in grado di non stravolgere il senso dell’istituto giuridico, come per esempio l’adozione, che si vuole acconciare. Nel diritto romano, soprattutto dopo l’intervento di Giustiniano, l’adoptio trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire una continuità all’asse patrimoniale nel caso di assenza di discendenti o di perdita prematura degli stessi. Proprio per questo si richiedeva anche il consenso del genitore naturale che, infatti, non interrompeva l’esercizio della patria potestà nei confronti del figlio ormai adottato dal terzo adottante.

Ecco perché tutti quei tentativi esperiti, di volta in volta, per allargare la portata dell’adozione, per esempio alle coppie del medesimo sesso, risultano geneticamente contrari alla ratio giuridica dell’istituto.

In conclusione, neppure può essere invocato il principio della pattuizione consensualistica maggioritaria della modifica dell’istituto, in quanto il diritto, soprattutto quello che si esprime negli istituti a tutela della famiglia, non è il frutto di una contrattazione tra le parti (sociali, politiche, private) o di una volontà maggioritaria, ma espressione della normatività della natura, come ha insegnato Cicerone: «Non su una convenzione, ma sulla natura è fondato il diritto». Ogni stravolgimento di questi elementi dell’adozione, dunque, comporta non solo la negazione del suo proprio senso giuridico, ma la più radicale elisione del senso giuridico tout court: un inconveniente che non solo ogni accorto legislatore dovrebbe evitare, ma anche e soprattutto ogni prudente giurista che non voglia essere scambiato per ideologo. 2016 Dicembre - n. 47

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Federico Catani

L’ADOZIONE NON È.., L’ADOZIONE È…

Alcune riflessioni introduttive su cos’è l’adozione (un’alternativa all’aborto), e su cosa non è adozione (l’adozione gay e l’utero in affitto) L’ADOZIONE NON È UTERO IN AFFITTO

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’è chi pensa di sopperire all’impossibilità di avere figli naturalmente attraverso la pratica dell’utero in affitto. La maternità surrogata – si pensa – sarebbe una valida alternativa all’adozione, in quanto, oltre alla maggior rapidità, consente di ottenere un figlio che porti almeno in parte il patrimonio genetico di almeno uno dei compratori. Tuttavia non c’è niente di più contrario agli interessi e alla dignità del bambino.

Con l’utero in affitto non c’è alcuna selezione dei committenti: basta pagare. In tal modo, anche gli squilibrati (come purtroppo è accaduto) possono comprarsi un bambino

Il perché è ovvio e lo sanno bene i Lettori di questa Rivista: innanzitutto si tratta di una compravendita, di un vero e proprio mercimonio. Inoltre, il bambino è scientemente privato dei genitori, e dunque delle sue radici. Pertanto, la surrogazione è l’anti-adozione per eccellenza. Sappiamo che le tecniche dell’utero in affitto prevedono l’uso di gameti generalmente venduti da soggetti che mantengono l’anonimato. 14

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Per risparmiare, il concepimento avviene nel grembo di una donna di solito residente in Paesi poveri, dove si fa pagare per sbarcare il lunario e dare da mangiare agli eventuali altri figli. Dopo il parto il piccolo viene letteralmente strappato dalla madre che l’ha custodito in sé e protetto per i nove mesi di gravidanza, e consegnato ai nuovi genitori. I danni procurati alle donne sfruttate e ai bambini così ottenuti sono evidentemente enormi e incancellabili. Non solo. L’utero in affitto è una pratica che si sta sempre più diffondendo proprio a scapito dell’adozione. In India, ad esempio, stando ai dati raccolti dal Consiglio Indiano di Ricerca Medica (ICMR), le adozioni dal 2010 al 2015 sono diminuite da quasi 6.000 l’anno a meno di 4.000. Contemporaneamente, l’utero in affitto e la fecondazione artificiale sono aumentate in modo esponenziale. Il dottor Soumya Swaminathan, direttore generale dell’ICMR e segretario del Dipartimento della ricerca e della sanità del Ministero della Salute, ha detto che per la società civile questo è un danno notevole: nonostante l’India sia un Paese in crescita, resta ancora molto grave il problema dei bambini poveri e/o abbandonati. Certo, l’iter dell’adozione è molto più complicato rispetto a trovare un utero da affittare e i gameti PRIMO PIANO


Con l’utero in affitto, invece, tutte queste difficoltà non si pongono. Basta pagare. In tal modo anche gli squilibrati (come purtroppo è accaduto) possono comprarsi un bambino, che non saprà chi sono i suoi genitori biologici. LE ADOZIONI GAY NON SONO VERE ADOZIONI Quante volte abbiamo sentito ripetere che per gli orfani residenti nelle case famiglia e negli istituti è molto meglio essere adottati da una coppia omosessuale, anziché restare in quei luoghi tristi e deprimenti? L’importante, dicono, è l’amore che si riceve e che si dona, non il sesso dei “genitori”. Se il bambino è amato, starebbe bene con chiunque. Questi però sono (s)ragionamenti senza senso e privi di argomentazioni serie (si vedano le pp. 17-18, ndR). Innanzitutto perché è una vera menzogna sostenere che le cosiddette adozioni gay servono per venire incontro a schiere infinite di bambini orfani. Inoltre, chi parla così si è mai chiesto perché le pratiche di adozione sono così complesse (a volte, a dire il vero, eccessivamente)? In linea generale, tali lungaggini sono dettate dall’zgarantire al bambino una famiglia stabile, motivata, in grado di gestire non tanto e non solo il figlio in sé, quanto gli inevitabili problemi anche psicologici che verranno fuori prima o poi, soprattutto nell’adolescenza, ovvero quando l’adottato s’interrogherà rispetto alle sue origini, quando vorrà sapere dei suoi genitori biologici e ricostruire – se possibile e per quanto possibile – la sua storia. Senza contare che lo stesso adottato avrà PRIMO PIANO

comunque subito un trauma per l’abbandono, e anche con questo la coppia adottante dovrà essere in grado di rapportarsi. Ebbene, un bambino già provato in tal modo non ha forse il diritto di avere un padre e una madre? Non ha l’urgente bisogno di crescere in una famiglia? Ovvio che sì. Le coppie omosessuali non sono una famiglia e, pur con tutte le buone intenzioni e i distinguo del caso, non garantiscono quella stabilità e quella complementarietà dei sessi necessaria per uno sviluppo e un’educazione il più possibile sani e armonici.

Le coppie omosessuali non sono una famiglia vera: non garantiscono quella stabilità e quella complementarietà necessarie per uno sviluppo e un’educazione il più possibile sani e armonici

necessari per assemblare un bambino in provetta. Ma questo, al netto d’inutili ed estenuanti pratiche meramente burocratiche, serve perché per adottare è necessario passare un esame di idoneità, nel supremo interesse del minore.

Gli studi condotti fin qui (e stiamo parlando di ricerche scientifiche e non degli studi manipolati e faziosi delle associazioni LGBTQIA…) confermano che avere due papà o due mamme non equivale affatto a vivere con un padre e una madre: chi cresce in “famiglie” omogenitoriali va incontro a molti più problemi a livello psico-fisico rispetto agli altri. Perché allora decidere scientemente di far partire “svantaggiati” i figli che si sostiene di amare? Il fine dell’adozione peraltro è dare dei genitori agli orfani e non appagare il desiderio (pur legittimo) di genitorialità o soddisfare i capricci di una coppia gay. Che, oltretutto, in genere risolve il problema acquistando il figlio attraverso l’utero in affitto. LE ADOZIONI SALVANO DALL’ABORTO

L’adozione è senza dubbio una possibilità preferibile all’aborto. Anziché uccidere un figlio indesiderato, privandolo del primo, basilare e più elementare dei diritti, ovvero quello alla vita, perché non pensare di 2016 Dicembre - n. 47

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risolvere la situazione difficile con l’adozione? Si tratta ovviamente di un dramma e di una scelta dettata da disperazione, siamo d’accordo. Ma è ben più tragico impedire al piccolo innocente di esistere e di venire al mondo. E dunque, in quest’ottica, benché l’abbandono sia contrario ai gravi doveri dei genitori verso i figli, è più umano affidare il bambino a chi ha la possibilità e la voglia di prendersene cura. Ci sono tante coppie che, colpite da sterilità, non riescono a soddisfare il loro legittimo desiderio di genitorialità. Il loro amore, per così dire, resta in attesa di qualcuno su cui riversarsi. Diventa allora assai meritorio accogliere nella propria casa un bambino che avrebbe potuto essere abortito. Il rifiuto che, per i più svariati motivi, il figlio ha ricevuto all’origine del suo essere al mondo, può essere abbondantemente compensato dall’amore di una coppia desiderosa di un bambino. Prima che arrivasse il secolarismo distruttore, nelle nostre città i conventi avevano sempre le “ruote degli esposti” dove le donne, anziché abortire, ponevano i frutti di amori proibiti o di violenze

Per quanto tragico, l’abbandono di un bambino è un male minore rispetto all’aborto. E nessuno può sapere cosa riserverà la vita al piccolo stesso, a quelli che lo conosceranno e all’umanità

subite, o semplicemente i figli che ritenevano di non poter mantenere economicamente. Oggi si può partorire in ospedale conservando l’anonimato. Inoltre, in una quarantina di città italiane sono state introdotte le “culle per la vita”. L’idea originaria fu dell’indimenticato e indimenticabile Giuseppe Garrone. Data la frequenza con cui venivano ritrovati neonati abbandonati nei cassonetti delle immondizie, Garrone rilanciò le ruote degli esposti in chiave moderna: un luogo attrezzato e riscaldato dove lasciare il bambino, con la certezza che persone qualificate ne avranno cura. In tempi in cui i bimbi non graditi vengono eliminati cruentemente addirittura con il permesso della legge statale, queste culle ci fanno gioire perché nonostante l’abbandono, i bambini sono allo stesso tempo amati e rispettati tanto da lasciarli vivere. E nessuno può sapere cosa riserverà la vita al piccolo stesso, a quelli che lo conosceranno e all’umanità. Inoltre possono sempre trovare dei genitori adottivi che li ameranno. L’aborto quindi non è mai la soluzione né, ovviamente, per il figlio ucciso, né tanto meno per la madre.

Notizie ProVita ha dedicato due numeri speciali all’utero in affitto, uno nell’ottobre 2013 e l’altro nel gennaio 2016. Abbiamo la possibilità di farvi avere - contro offerta - un documentario in DVD in cui parlano le madri surrogate e i figli comprati, dal titolo Breeders: donne di seconda categoria?. Abbiamo inoltre lanciato una petizione affinché le autorità facciano rispettare la legge che vieta l’utero in affitto in Italia: per firmare basta collegarsi al sito www.notizieprovita.it

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Giuliano Giuliano Guzzo Guzzo

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabora con diverse riviste e portali web fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com

CI SONO SEMPRE MENO BAMBINI ADOTTABILI

Anna Maria Pacchiotti

Numeri, chiarimenti e realtà del fenomeno dell’adozione Anna Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”.

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e c’è un argomento che da qualche anno ormai caratterizza i temi eticamente sensibili e del quale si parla molto spesso – verrebbe da dire quasi sempre – con grande imprecisione, è senza dubbio quello delle adozioni. Un tema indubbiamente centrale, eppure purtroppo contrassegnato, a livello di dibattito pubblico, da una non conoscenza tale da meritare, sia pure in sintesi, alcuni chiarimenti sia quantitativi, sia di sostanza relativi al fenomeno.

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Il calo delle adozioni internazionali è dovuto alle restrizioni poste dai Governi stranieri e al disinteresse delle autorità italiane

adozioni, sul piano internazionale, risultano in decrescita. Questo, almeno, riferiscono i dati che evidenziano come globalmente, tra il 2004 e il 2013, le adozioni internazionali siano crollate di due terzi, passando da quota 42.194 a 15.188 minori adottati. Tale calo risulta diversificato a seconda dei singoli Paesi, e risulta essere stato dell’80% in Norvegia, del 79% in Spagna, del 67% in Francia, fino al 36% in Canada e al 17% in Italia (Population & Sociétés, 2015; n. 519, pp. 1-4). Alla base di questo calo generalizzato, e in molte situazioni davvero consistente, vi sono cause distinte PRIMO PIANO

e non alternative tra loro. Cause che non riguardano, : www.onoralavita.it almeno non in modo rilevante, un calo di domanda da parte degli aspiranti genitori adottivi, bensì una carenza di offerta internazionale; carenza a sua volta contrassegnata sia da alcune scelte da parte dei Paesi di origine dei bambini adottati – come la decisione per esempio di non volere più, da questo punto di vista, relazioni con nazioni che prevedono Giulia adozioni anche per coppie dello stesso sesso –,Tanel sia dal miglioramento del tenore di vita nei Paesi a basso reddito e la riduzione del numero di orfani adottabili. in Filologia e Critica Il calo dei bambini adottabiliLaureata è dovuto anche ai Letteraria. più Scrive per passione. Collabora con severi requisiti imposti per esempio dalla Cina agli libertaepersona.org e con altri siti internet e riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, aspiranti candidati e dalla moratoria sulle adozioni di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella internazionali decisa da Paesistoria quali Bulgaria, (Ed.Romania, Lindau). Guatemala e Vietnam per monitorare e sradicare il traffico di minori a scopi illeciti. Un calo, questo, al quale non è estraneo neppure il nostro Paese, come si diceva poc’anzi. Infatti nel primo semestre del 2015 – come messo in luce da una recente e specifica relazione da parte del Ministero della Giustizia – i procedimenti di adozione internazionale in Italia sono stati 3.189, dunque in forte contrazione rispetto agli 8.540 nel 2012, ai 7.421 del 2013 e ai 6.739 del 2014. Una contrazione, quella italiana, non isolata. Il Brasile, ad esempio, è passato da 543 minori concessi in adozione all’estero nel 2006, a 238 nel 2013; la Cina, da 14.434 a 2.931 nel 2013; l’India da 1.076 nel 2003 a 363 nel 2012; la Federazione Russa da 9.472 minori nel 2016 Dicembre - n. 47

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2004 a 2.483 nel 2012, gli Stati Uniti dai 22.508 del 2005 ai 6.408 del 2015, con un crollo di oltre il 70%. Come si evidenziava – e per quanto si possa dunque solidarizzare umanamente con le famiglie che vorrebbero, ma faticano ad adottare – c’è da dire che non sempre le difficoltà emergenti sul piano internazionale sono da considerarsi in modo negativo, se ci si pone dal punto di vista della tutela dei minori.

In Italia, nel 2012, a fronte di 31.000 coppie disposte ad adottare c’erano circa 2.000 bambini adottabili

Ad ogni modo, alla base del calo delle adozioni internazionali vi è anche, talvolta, un disinteresse della politica al riguardo. Quando alla guida della Commissione per le adozioni internazionali (Cai) – ha fatto in tal proposito presente Marco Griffini, presidente dell’Ai.bi, Associazione Amici dei bambini – c’era Carlo Giovanardi, questa Commissione funzionava e c’erano quattromila adozioni all’anno; si facevano incontri con le delegazioni straniere, si apriva a nuovi Paesi e si andava all’estero. Poi alla presidenza arrivò Andrea Riccardi e in due anni ci fu un solo incontro con una delegazione straniera. Insomma, se le adozioni internazionali oggi non sono così semplici, almeno in Italia, delle responsabilità sembrano esserci.

che sono stati chiusi a fine 2006, in base alla legge 149 del 2000, la quale prevede che un minore privato della famiglia d’origine possa essere collocato solo temporaneamente in comunità educative e al più presto in un’altra famiglia, in affido o in adozione. In seconda battuta, va ricordato come, in Italia, a fine 2012 vi fossero oltre 31.000 coppie disponibili ad adottare ma, se si esclude il capitolo delle adozioni internazionali e se si considera che di minori senza famiglia – che, purtroppo, sono qualche decina di migliaia, a causa di problemi legali, problemi di età, disabilità e motivazioni di altro genere – quelli adottabili risultavano appena 2.000 circa. L’associazione tra il contrasto alle adozioni omosessuali e la volontà di tenere i bambini in orfanotrofio, insomma, esiste sono nella mente di chi è disinformato. Una ragione in più per sottolineare quindi l’urgenza, a fronte di un tema delicato com’è quello in questione, di un’informazione libera dai pregiudizi e che, soprattutto, sappia essere davvero interprete di quello che è il supremo interesse di un minore. Interesse che non può mai essere – come evidenziato dagli studi scientifici più seri e accurati – diverso da quello di crescere in un contesto familiare dove vi siano una figura paterna e una materna.

Detto questo, pare opportuno approfittare di questo sintetico approfondimento sul tema in questione, per sfatare un luogo comune molto diffuso ma infondato, vale a dire quello secondo cui opporsi alle adozioni omosessuali significherebbe volere che i bambini restino soli e in orfanotrofio. Perché si tratta di un luogo comune infondato? Per due ragioni. In primo luogo, c’è da dire che in Italia gli orfanotrofi non ci sono più, dato

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Miriam Incurvati

IL BISOGNO DELLE RADICI

La psicologia ci spiega quanto sia fondamentale parlare al bambino adottato della sua storia e aiutarlo a ricostituire le sue origini

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l sostantivo adoptio è usato comunemente in botanica per indicare l’innesto delle piante: innestare significa introdurre una parte viva in un’altra, in modo tale che esse si congiungano armonicamente e portino un frutto terzo.

Strappare le radici: a qualunque organismo vivente danneggia la crescita. Nell’essere umano si aggiungono sofferenza e disagio

Questa metafora illumina nel vedere il bambino come portatore di una propria ricchezza personale, indipendente dalla famiglia adottiva. In passato l’opinione prevalente era quella che vedeva l’adozione come un evento che azzerava la storia precedente, una sorta di “seconda nascita”. In questi anni l’approccio alle origini è invece – fortunatamente – molto cambiato, anzi si è pressoché rovesciato: il passato del bambino è oggi al centro dell’universo adottivo. Importanti contributi a questa riflessione sono PRIMO PIANO

venuti sia da autori italiani, sia stranieri (Guidi, 1997; Chistolini, 2003; Brodzinsky, 2005), che hanno fatto crescere la consapevolezza dell’importanza di informare correttamente il bambino sulla sua storia e sul valore che questa ha nella sua esistenza. Gli studi e le ricerche in questo campo sono ormai numerosi (Fonagy e Target, 2001; Wallin, 2009) e vi è un ampio consenso nella comunità scientifica nel ritenere necessario che ciascun individuo sia messo in condizione di conoscere e comprendere il proprio percorso di vita: «Radici strappate, spezzate, dimenticate, rimosse, rifiutate, sconosciute… in qualunque organismo vivente, quando questo succede, la crescita viene danneggiata, a volte addirittura bloccata e, nell’essere umano, a tutto questo si aggiungono sofferenza e disagio». (Ed. Associazione Famiglia Aperta, 2007). Qualunque sia il modo in cui si realizza la separazione dai genitori biologici (e non vi è dubbio che si tratti di differenze importanti), di fatto il bambino viene privato di quelle cure che sappiamo essere un nutrimento relazionale fondamentale per la sua crescita psichica (Attili, 2007). 2016 Dicembre - n. 47

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Bowlby (1989) era un medico psicanalista britannico che aveva avuto l’incarico dal Ministero della Sanità di misurare gli effetti dell’abbandono sui bambini e, a partire da questa importante ricerca, formulò la teoria dell’attaccamento, individuando come nell’uomo ci sia un’area del cervello deputata all’attaccamento. L’infante ricerca una figura di riferimento non solo perché essa gli fornisce il cibo ma in quanto l’attaccamento, nella dimensione di accudimento-protezione-sicurezza, è un bisogno primario. Tutto questo spiega bene quale possa essere la sofferenza di un bambino che non ha ricevuto soddisfacimento a questa necessità.

L’esperienza adottiva è un’occasione straordinaria per risanare e trasformare le ferite presenti nella storia del bambino

Si può affermare con certezza, purtroppo, che l’abbandono – pur con molteplici e sostanziali differenze – costituisce sempre un evento critico e doloroso, che colpisce l’immagine che il bambino ha di sé, la sua percezione di essere un soggetto degno di attenzione e amore. «Non presenti fisicamente sullo scenario del post-adozione, i genitori biologici sono comunque assai importanti nell’influenzare la vita futura del bambino. In genere la loro rilevanza viene attribuita a due fattori: il primo è che hanno avuto un ruolo unico e indubbiamente rilevante nella storia del

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bambino, il quale dovrà comprendere perché non ha potuto crescere con chi lo ha messo al mondo; il secondo è riferibile al significato che hanno le origini biologiche e le prime relazioni, a partire da quelle intrauterine, nello sviluppo psicologico e nella costruzione dell’identità di una persona» (Chistolini, 2010). È vero che, proprio grazie all’adozione, la necessità di accudimento potrà essere successivamente garantita da altri, ma l’evento di abbandono rimarrà indelebile. I vissuti coinvolti nel percorso adottivo sono molto intensi e complessi: l’attaccamento, l’abbandono, la perdita, la separazione, la provenienza culturale ed etnica. Il bambino da solo non esiste, è figlio non solo di una donna che lo ha generato, ma anche di una famiglia più estesa, con delle situazioni, e di una precisa cultura. L’abbandono in Cina è completamente diverso rispetto a quanto avviene in Brasile; l’abbandono in un paese musulmano è completamente diverso da quello che succede in Sud America. L’abbandono può inoltre essere conseguenza di gravissime inadeguatezze: maltrattamenti, abusi, trascuratezze molto importanti, ma anche di condizioni economiche gravemente disagiate. Ancora: un figlio abbandonato alla nascita ha un vissuto diverso rispetto a un bambino lasciato in età scolare.

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Sicuramente, tuttavia, ognuno di loro porterà questa storia iscritta nella sua identità, perché è la sua radice. Un aspetto molto importante è quello di avviare sin dall’inizio un processo di elaborazione: per i genitori questo ha inizio sin dalla fase di avvio della richiesta di adozione, mentre per il bambino si tratta di un percorso lento e graduale. I bambini hanno bisogno di ricostruire la loro storia.

Anche se non presenti fisicamente sullo scenario del post-adozione, i genitori biologici sono assai importanti nell’influenzare la vita futura del bambino

Conoscere il proprio passato implica l’integrazione di due diversi livelli: quello della conoscenza degli avvenimenti salienti della propria vita e quello dell’attribuzione di senso. Bisogna fornire al bambino informazioni narrabili, rassicuranti, attraverso una comunicazione chiara e condivisa: ti racconto di chi sei figlio, qual è la tua storia, da dove provieni. Il genitore ha una funzione protettiva verso i figli e, in tal senso, si può fare una scelta, decidere a che età parlare PRIMO PIANO

dell’adozione e cosa dire: «tutelare un minore significa indubbiamente anche proteggerlo da stimoli eccessivi, che potrebbero essere disturbanti per la sua organizzazione psicologia» (Chistolini, 2008). Attraverso i racconti sul passato i bambini cercano un senso di appartenenza e dei punti fermi per la costruzione della loro identità. L’obiettivo è essere certi di essere stati desiderati, e sentire raccontare la loro storia li aiuta a consolidare e a confermare questo bisogno. Attraverso la conoscenza delle proprie origini, i piccoli individuano un’identità che li rassicura e li rende capaci di affrontare le difficoltà della vita. Pertanto, possiamo concludere che l’esperienza adottiva è un’occasione straordinaria per risanare e trasformare le ferite presenti nella storia di vita dell’adottato. Si tratta di un percorso lungo e delicato, che deve necessariamente tenere conto delle peculiarità del bambino, del suo passato e dei suoi bisogni più profondi, ma che ha notevoli possibilità di successo. L’adozione coinvolge quindi l’intero mondo adulto. Il villaggio e la comunità pedagogica circostante sono chiamati a sostenere e a vigilare sull’elaborazione e l’avvio di un positivo processo di crescita del bambino adottato. Accogliamo dunque questa sfida, consapevoli e determinati. 2016 Dicembre - n. 47

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LA “MENTE DELLA COPPIA” PER DONARSI AL FIGLIO

Maria Cristina Del Poggetto

Una specialista in psichiatria e psicoterapia sistemico-relazionale illustra perché non tutti gli aspiranti genitori sono idonei ad adottare

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a genitorialità non è per tutti, così come non tutti la desiderano. E il desiderio non costituisce un criterio sufficiente per fondare un diritto. Se ciò è vero in molti ambiti, lo è ancora di più quando si ha a che fare con esseri umani, per di più fragili e spesso già feriti nella loro breve vita, aventi il diritto a tutto il bene possibile. Dunque non si tratta di dare un bambino ad adulti che lo desiderano, né di dare un adulto, chiunque egli sia, a un bambino, ma di inserire un bambino abbandonato nel migliore contesto di accoglienza familiare possibile. È certo che l’amore che spinge ad aiutare un bambino nella crescita, in una relazione significativa, può assumere forme diverse: una zia con i nipotini, una madrina con i figliocci, una catechista con i suoi ragazzi, ma essere padre e madre raggiunge una profondità e una qualità non assimilabile al resto.

Non si tratta di dare un bambino ad adulti che lo desiderano, né di dare a un bambino un adulto, chiunque egli sia

È il concetto di dono quello che meglio esprime la grandezza della vita umana che sgorga da due vite non più grandi di lui. Come persona, il figlio non è strumento per la realizzazione, né per il diletto dei genitori. Se è pur vero che senza figli ci si sente un po’ incompleti, perché è nella continuazione della vita che cogliamo il senso stesso della vita, tuttavia la completezza è bene accessorio, in sovrabbondanza, non fine del figlio. Spesso chi vive l’infertilità si ritrova in una fase della vita congelata: quella che per altri è una fase di passaggio, per essi rimane una condizione statica. Interessi personali, amicizie, lavoro, genitori sempre più anziani riempiono la vita, ma non la completano giacché costituiscono spesso un insieme di frammenti, magari anche colorati e allegri, ma non inseriti in un orizzonte di senso. Talora ciò conduce a isolarsi dalle amicizie che invece fanno l’esperienza di diventare genitori per privilegiare quelle che vivono la stessa condizione. Se accettiamo il figlio come dono della sua persona, diventa più evidente che nel ruolo di allenatori al compimento della sua pienezza non possiamo prescindere dalla nostra stessa realtà corporea. Dal momento che i figli per crescere hanno bisogno di genitori, ovvero persone come loro, ecco che nel percorso

Quello che la società si attende da un padre e da una madre nei confronti del figlio è un amore incondizionato, ovvero non legato alla performance del figlio in termini di compimento delle attese e dei desideri dei genitori; è un amore che antepone il bene del bambino a tutto, è un amore fatto di sacrificio, che dunque fa-il-sacro, finendo per rivelare come esso – nel momento in cui si compie – perde il suo peso. Il figlio non è un prodotto, il termine “prodotto del concepimento” testimonia la riduzione dell’uomo a manufatto così ben evidente allor quando la tecnoscienza riproduttiva invade l’atto coniugale. Genitori e figlio, Statua in via Hrobakova, a Bratislava

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I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane. Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo. Kahlil Gibran

Talvolta l’impossibilità adottiva, al di là delle buone disposizioni degli adulti, deriva da limiti non superabili. Padri e madri veicolano il loro lavoro educativo attraverso la presenza delle loro persone, che in quanto tali non hanno un corpo ma piuttosto sono anche un corpo, e un corpo sessuato. Il registro educativo maschile e femminile, qualunque sia la genesi della differenza, non sarà identico, ma piuttosto complementare. Pensiamo al linguaggio del corpo, non è forse anch’esso un canale di comunicazione prezioso? E tuttavia vediamo come anche questa modalità di relazionarsi passi anche attraverso la sessuazione del corpo. La genitorialità non deriva dal singolo soggetto, piuttosto è una funzione complessa appartenente alla coppia, è una struttura relazionale particolare che si modificherà nel tempo e alla quale contribuirà anche il figlio; pertanto certi modelli genitoriali adeguati per bambini piccoli possono non esserlo nell’adolescenza. La genitorialità potrebbe essere vista come uno spazio mentale PRIMO PIANO

per il nuovo membro, il figlio, come parte ineludibile della famiglia come sistema. Questa apertura mentale troverebbe origine nelle esperienze relazionali con i propri genitori. Ma il divenire “coppia genitoriale” sarebbe legato anche alla presenza di una “mente della coppia”, con una sua capacità affettiva basata sull’armonizzazione di valori femminili e maschili (C. Bogliolo, Il Bambino Adottato - Nuove Appartenenze, Soffia So n.5, 2003). È a essa che viene attribuito il compito di mantenere il vincolo della “coniugalità” nelle sue dinamiche affettive e sessuali ed essere testimoni del ruolo materno e paterno che si fondono nel concetto di genitorialità.

La genitorialità non deriva dal singolo soggetto, piuttosto è una funzione complessa appartenente alla coppia, è una struttura relazionale particolare che si modificherà nel tempo e alla quale contribuirà anche il figlio

adottivo si richiede la presenza di un uomo e una donna sani fisicamente e psichicamente. Che senso avrebbe infatti dare a quel bambino un genitore che di lì a poco magari dovesse decedere e sottoporlo a un ulteriore dramma, dopo quello già provocato dall’esperienza di perdita dei genitori biologici? Talora si tratta di ostacoli superabili, quali una difficoltà economica o abitativa.

Solo in questi termini l’adozione può rappresentare l’incontro di due bisogni: quello del bambino di avere una famiglia e quello della coppia di avere un figlio. Solo in questi termini l’incontro di due realtà totalmente diverse può portare al superamento dei nodi emotivi che l’hanno preceduto, permettendo una relazione interpersonale sana, svincolata dalla filiazione biologica. Privare il figlio di questa ricchezza significa privarlo del meglio e accontentarsi del meno, pur in presenza della possibilità del di più. 2016 Dicembre - n. 47

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Giulia Tanel

«NOSTRA FIGLIA: UN’OPPORTUNITÀ IN PIÙ»

ProVita ha raccolto la testimonianza di due genitori adottivi di una ragazza con sindrome di Down che attualmente ha sedici anni

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ntraprendere un percorso di adozione non è né scontato, né facile. A maggior ragione se il bambino che si sceglie di accogliere nella propria famiglia non rispetta i canoni di perfezione che oggigiorno sembrano essere diventati un must, secondo un’ottica che si potrebbe definire “eugenetica”. Tuttavia c’è chi ha il coraggio di farlo: ecco la testimonianza di due genitori.

Partiamo dal principio: com’è maturata nella vostra coppia la decisione di aprirvi all’accoglienza? A guidarci sono state le esperienze e gli incontri che abbiamo fatto. Avevamo già un figlio nostro di cinque anni e ci sembrava un bene per noi aprire la nostra famiglia all’accoglienza di un’altra persona. Avevamo già fatto esperienze di accoglienza verso nipoti che stavano attraversando dei momenti difficili e che avevano richiesto il nostro aiuto, ma erano stati degli episodi limitati nel tempo, che tuttavia avevano lasciato il segno e ci avevano fatto incontrare e confrontare con famiglie che vivevano esperienza di accoglienza come una fonte di grande ricchezza. 24

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Di qui, la decisione di presentare al Tribunale dei Minori le carte per un’adozione nazionale. Fin da subito vi era stato prospettato un tempo d’attesa di circa dieci anni. Invece, cos’è successo? Io e mia moglie già da tempo stavamo facendo il percorso per avere un figlio in adozione e/o affido. Poi, nel 2000, Laura [nome di fantasia, ndR] è nata con la sindrome di Down e non è stata accettata dai suoi genitori naturali. Noi siamo venuti a conoscenza del fatto per il passa parola tra persone dell’Associazione “Famiglie per l’Accoglienza”, della quale facciamo parte. La proposta di prenderla con noi all’inizio ci ha un po’ spiazzati perché un conto sono le intenzioni – benché sviluppate attraverso un cammino di maturazione di una scelta –, diverso è l’impatto con il reale, che ti costringe a mettere a nudo che cosa veramente desideri e cosa il tuo cuore è disposto ad accogliere. Essendo una scelta non scontata, ci siamo confrontati con gli amici dell’Associazione, con un sacerdote nostro amico e con una psicologa. Tutti costoro, pur non nascondendoci la fatica legata a una scelta di questo tipo, hanno evidenziato come la presenza di questa bambina avrebbe potuto essere un bene, innanzitutto per la nostra famiglia. PRIMO PIANO


Cosa vi ha spinti ad accettare, oltre alla sfida dell’adozione, anche il fatto che la neonata che avreste integrato nella vostra famiglia è affetta dalla sindrome di Down? Certo esistono molti ambiti in cui la diversità è vissuta come un problema sociale ed economicamente svantaggioso e ogni giorno dobbiamo lottare per sfatare questi presupposti e pregiudizi. Ma non lo facciamo per proteggere nostra figlia, ma perché abbiamo sperimentato che anche con un handicap, queste persone sono veramente sorgente di un bene forse anche più grande ed evidente di quello che deriva dal rapporto con una persona “normale”. Come avete vissuto il cambiamento che Laura ha portato nella vostra vita e come hanno reagito alla notizia le persone attorno a voi e quelle che in seguito sono entrate in relazione con vostra figlia? Che Laura sia un bene per la nostra famiglia è stato chiaro fin dall’inizio: da come ci ha stupito la sua bellezza appena l’abbiamo potuta vedere; da come è PRIMO PIANO

stata accolta da nostro figlio; da come è stata amata e coccolata anche dai nonni, che in un primo momento erano rimasti perplessi di fronte alla nostra scelta (sì, perché fin da subito volevamo fosse chiaro che la scelta era un passo nostro, comunicato a nostro figlio e ai parenti, ma non per forza condiviso). Ogni progresso di Laura per noi è sempre stato un fatto straordinario, perché la sua condizione ci ha in qualche modo costretti a guardarla senza pretese, e questa modalità di sguardo è diventata desiderabile anche nel rapporto con l’altro figlio. Siamo anche convinti che il fatto dell’adozione possa aver reso più semplice e naturale per noi l’accettazione del suo handicap.

Tutto ci è dato per riscoprire sempre più ciò che siamo e ciò a cui siamo chiamati: il bene, appunto, anche se non immediatamente evidente

Il nostro cammino di fede ci educa a vedere nella realtà una Presenza che non fa accadere nulla contro di noi, ma tutto ci è dato per riscoprire sempre più ciò che siamo e ciò a cui siamo chiamati: un bene, appunto, anche se non immediatamente evidente.

Laura inoltre ha dimostrato da subito una capacità di leggere le emozioni di chi incontrava che non poteva non lasciare meravigliati e grati di poter entrare in rapporto con lei. Gli educatori che ha trovato sulla sua strada, gli insegnanti, l’équipe del Paese di Oz prima e del 2016 Dicembre - n. 47

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Centravanti dopo sono stati quasi tutti caratterizzati – non so se siamo stati particolarmente graziati noi – da una positività di fondo e da una grande simpatia nei suoi confronti. Ovviamente ci sono stati momenti di difficoltà e di fatica, vuoi per la fragilità fisica di Laura in alcune situazioni, vuoi per il carattere e l’approccio di alcuni insegnanti, per i quali raggiungere gli obiettivi formativi diventava predominante rispetto alla crescita della sua persona. Comunque, anche per i compagni di classe, sia coscientemente che inconsciamente, il fatto di avere una persona come lei con cui fare i conti è sempre stato un’opportunità in più, un motivo per considerare la diversità non come qualcosa da eliminare o di cui aver paura. Molto spesso ci è capitato di incontrare genitori di altri ragazzi che si sono detti grati per la presenza di Laura nella classe dei loro figli. Oggi Laura è nel pieno dell’adolescenza. S’interroga sulle sue origini? In questa fase della sua vita Laura sta cercando di capire chi è: sicuramente per lei non è semplice stare di fronte al fatto di essere nata da un’altra mamma e di avere la sindrome di Down. Noi non abbiamo risposte al perché della sua storia, possiamo solo accompagnarla nel suo cammino, farle sentire la nostra presenza e farci aiutare a stare di fronte al suo dolore con speranza. Per questo ci sono, oltre agli amici, anche persone esperte che la stanno aiutando a diventare sempre più cosciente della sua identità e del mondo che la circonda... un mondo dove anche lei ha il suo posto.

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A vostro avviso sono necessarie delle accortezze particolari prima di intraprendere il cammino di adozione, soprattutto in favore di un bambino che presenta delle disabilità? Una cosa che abbiamo capito è che è possibile affrontare la paura della diversità, che può anche essere la disabilità di un figlio non nato da noi, e nel contempo guardare con speranza al futuro dei nostri figli. Tuttavia per fare questo è indispensabile vivere degli ambiti di rapporti e di compagnia: per noi sono rappresentati dalla compagnia di Comunione e Liberazione, dall’Associazione “Famiglie per l’accoglienza”, da alcuni amici in particolare e dall’ambito educativo di ANFFAS, con le famiglie che lo costituiscono. Nel concludere, un’ultima domanda. Oggigiorno le persone con sindrome di Down sono sempre di meno: purtroppo molto spesso i genitori decidono di procedere a un aborto selettivo, se scoprono che il loro bambino è portatore di trisomia 21. Invece, quanto può essere bella e gioiosa la vita con una persona assolutamente perfetta nella sua magica imperfezione? La nostra esperienza con Laura è stata, ed è, un’avventura non solo positiva, ma addirittura ineliminabile: non riusciamo neanche a immaginare, o a desiderare, una vita diversa da quella che stiamo vivendo. Come dice lei quando vive esperienze interessanti: «È proprio bella la nostra vita!».

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UNA MAMMA E UN PAPÀ VENUTI DA LONTANO

Clemente Sparaco

La testimonianza di due genitori adottivi su “l’incontro di due dolorose solitudini”

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otto il profilo psicologico, l’adozione internazionale è la scelta libera e responsabile di una coppia di rendersi disponibile a diventare padre e madre di un bambino straniero, che ha bisogno di una famiglia in cui crescere e di sentirsi accolto e amato. Per quanto riguarda il vissuto profondo, invece, è l’incontro tra due dolorose solitudini. Da una parte ci sono, infatti, i coniugi adottanti che maturano la loro decisione nella speranza di vedere realizzato il loro desiderio di genitorialità, che desiderano riempire un vuoto che è come un lutto. Intraprendono, quindi, un percorso che si rivela, al di là e oltre il viaggio che li condurrà spesso dall’altro capo del mondo, una peregrinazione interiore. Dall’altra parte c’è il vuoto del bambino, che ha sofferto e introiettato la dolorosa separazione dai genitori biologici e, a volte, anche dai fratelli. Potrebbe essere stato sottoposto a violenze. Potrebbe aver subito abusi. In ogni caso, sarà un bambino che non ha conosciuto abbracci e coccole, un bambino in balia di grandi che o non l’hanno amato, oppure non l’hanno potuto amare.

Seguimmo – prima con distacco, poi con maggiore coinvolgimento – una lunga trafila burocratica, tra attestati e documentazione da presentare al Tribunale dei Minori, colloqui con l’assistente sociale, con la psicologa, incluso un corso di più sedute all’ASL. Aspettammo più di un anno il decreto d’idoneità che ci avrebbe permesso di rivolgerci a uno degli Enti accreditati per l’adozione internazionale. All’Ente seguimmo per mesi incontri periodici che interessavano i vari risvolti dell’adozione internazionale. Terminato a marzo il corso, passarono tutta la primavera e poi l’estate. A ottobre fummo convocati per una bambina in Russia. Iniziò allora una nuova corsa per la documentazione. Mia moglie preparò un elenco con tante voci che via via spulciava. Bisognava produrre un attestato di lavoro, mio e suo, con indicazione del reddito lordo dell’anno pregresso, la visura catastale della casa di proprietà, un certificato generale del Casellario Giudiziale indicante eventuali carichi pendenti e un certificato di sana e robusta costituzione includente ben nove visite specialistiche e quattro diversi accertamenti. C’erano poi altri moduli da riempire e produrre debitamente firmati.

Sposati da cinque anni, eravamo mortificati da analisi, visite e trattamenti che non avevano dato l’esito sperato. Ci avevano suggerito la fecondazione artificiale, ma eravamo perplessi. L’eventualità che degli embrioni, frutto delle nostre viscere, fossero soppressi per quel desiderio che si stava trasformando, quasi nostro malgrado, in ostinazione, ci risultò intollerabile. Pensammo allora che la domanda di adozione sarebbe servita almeno a stemperare ansie e frustrazioni. E poi, nell’eventualità di una gravidanza, avremmo potuto lasciare perdere.

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Un bambino abbandonato presenta ritardi nello sviluppo psico-fisico e non è quasi mai un bambino facile

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I documenti andavano infine apostillati in Prefettura, e ciò era possibile solo in determinati giorni (l’apostille è la certificazione che convalida sul piano internazionale l’autenticità di un atto pubblico). Quando decollammo per la Russia sapevamo solo che la bambina aveva cinque anni e a Mosca ci fu detto che si trovava in un piccolo istituto del sud, a circa 1.000 km da dove eravamo.

Gli adottanti hanno da riempire un vuoto che è come un lutto: intraprendono un percorso lungo e complesso che è anche una peregrinazione interiore.

Partimmo la sera stessa in treno, con l’interprete. Arrivammo il pomeriggio del giorno dopo. Quando ci fu portata, la bambina era immobile, quasi impietrita. Si capiva che era impaurita. Quell’incontro fu per noi un rivolgimento, che ci dischiuse a un’infinita responsabilità: avevamo rincorso per anni il desiderio di un figlio, avevamo atteso quel momento ossessivamente, avevamo fatto migliaia di chilometri, ma ora ci sentivamo estranei e come fuori luogo. Ci sembrava di violare quel mondo infantile, di entrarvi non richiesti, e che tutto quanto ci eravamo detti, avevamo pensato e sognato equivalesse a una ragione di parte. La bambina tacque quasi tutto il tempo, ma tacevamo anche noi, forse perché l’amore per cui si tace è condivisione. Ritornammo il 12 dicembre per la sentenza definitiva del Tribunale russo, che riconosceva la nostra potestà genitoriale. Tornati a casa, affrontammo il percorso post adottivo. 28

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Ci avevano preparati alle difficoltà. Un bambino abbandonato presenta ritardi nello sviluppo psico-fisico e non è quasi mai un bambino facile, ci avevano detto. Lunghi periodi passati in istituto ed esperienze di maltrattamento fisico e psicologico necessariamente lo segnano nell’incapacità di controllare ed esprimere le emozioni e nella difficoltà di tollerare le frustrazioni. È un senso d’insicurezza profondo «rispetto al proprio valore e di vulnerabilità nel rapporto con gli altri» (Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati, MIUR, Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, dicembre 2014), il segnale di un disagio interiore. Un bambino giunto attraverso l’adozione internazionale deve inoltre confrontarsi con cambiamenti linguistici, climatici e alimentari. Deve forzare un muro di diversità e spesso d’indifferenza. Per di più, ha consolidato «una rappresentazione di sé come soggetto indesiderabile», la sindrome del brutto anatroccolo, potremmo dire. In effetti, la bambina sembrava quasi volesse sfidare la nostra pretesa genitoriale, metterci alla prova, saggiare la nostra affidabilità. Era dispettosa, a tratti scorbutica. A scuola l’inserimento fu penoso. La diversità linguistica si rivelò un muro quasi insormontabile. Stentava ad apprendere (due anni dopo scoprimmo che aveva un’ipoacusia medio-grave). Come reazione, finiva per chiudersi ulteriormente in sé, per non comunicare. Gli insuccessi scolastici si sommavano. I richiami e le sollecitazioni dall’esterno pure. Ma non dovevamo avere fretta. Avevamo capito che quei comportamenti aggressivi, quelle ribellioni e provocazioni convivevano con un incontenibile bisogno di attenzione, con un rabbioso desiderio di essere amata, malgrado tutto. Era quello il nostro compito. Dovevamo tenere duro. PRIMO PIANO


Gianna ha parlato: 25 novembre a Como 27 novembre a Torino 29 novembre a Verona 2 dicembre Trento 3 dicembre a Modena 5 dicembre a Loreto

ON TOUR

Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, Gianna Jessen ha portato la sua toccante testimonianza in sei città del nord Italia, grazie al prezioso lavoro di tante associazioni che hanno collaborato con ProVita nell’ottima riuscita e partecipazione degli eventi. Gianna Jessen è una testimone eccezionale della voglia di vivere e di lottare contro le avversità: sopravvissuta a un aborto salino alla trentesima settimana di gravidanza, in una clinica di Planned Parenthood, ha riportato una paralisi cerebrale e muscolare. Allevata in un orfanotrofio, a quattro anni è stata adottata da chi ha saputo volerle bene e, contro ogni speranza e grazie alla fisioterapia, ha recuperato buona parte dei suoi handicap. Oggi Gianna gira il mondo e combatte valorosamente, con la sua testimonianza, per quei milioni di bambini che non hanno la sua stessa forza e vengono regolarmente sterminati nel grembo materno.

N SI È MAI ARRESA, NO E CH , NA AN GI E M CO REMO A PARLARE, UE IN NT CO I NO E CH COSÌ AN NON PUÒ PARLARE” “...NEL NOME DI CHI


PIUMA

Piuma è un film uscito nelle sale il 20 ottobre 2016, scritto e diretto da Roan Johnson. È Marco Bertogna la storia di due ragazzi – Ferro e Cate – che scoprono di aspettare un figlio: hanno entrambi circa diciotto anni (devono fare gli esami di maturità) e, dopo l’esperienza di un precedente aborto, decidono di portare avanti la gravidanza. I ragazzi hanno alle spalle due famiglie particolari: Ferro ha un papà toscano che sogna di tornare nella sua terra di origine e una mamma che sembra inizialmente voler assecondare questo desiderio del marito; Cate vive con il papà (la madre li ha lasciati), che ha una nuova compagna. Il padre di Cate lavora come addetto alle pulizie in un’agenzia di scommesse, la stessa dove lavora Cate come operatrice di cassa, e ha il vizio delle scommesse. Alla notizia della gravidanza i genitori di Ferro reagiscono male, cercando di convincere i due ragazzi ad abortire; il papà di Cate reagisce invece bene, ma con un atteggiamento superficiale e “distratto” dai problemi del vizio del gioco e dai relativi debiti economici. Le due famiglie hanno dunque una visione diversa e vanno tra di loro in rottura. Anche Ferro e Cate hanno caratteri e atteggiamenti molto differenti: Ferro è scomposto, istintivo, sognatore, poeta con la passione per le registrazioni vocali; Cate è ferma, docile, razionale, lavoratrice. Piuma racconta i nove mesi della gravidanza, durante i quali i due ragazzi s’imbatteranno in molti problemi: economici, con gli amici, con i genitori, con il lavoro... affronteranno questioni delicate come la convivenza e la fedeltà; arriveranno a un punto, proprio per la quantità di problemi oggettivi delle rispettive situazioni familiari, nel quale decideranno di affidare (in adozione) il loro bambino, una volta nato. Ferro e Cate sono dunque due ragazzi dei nostri giorni, ai quali manca il “coraggio consapevole” ma che applicano un “coraggio di reazione”: reazione dalle precedenti esperienze, reazione per le situazioni familiari, reazione per la situazione economica. Anche all’Autore del film è forse mancato un pizzico di coraggio, poiché ha annacquato una tematica importante (quella della maternità e della paternità) con alcune scivolate dialettiche (associando spesso la gravidanza a termini volgari e negativi) e non mettendo in sufficiente risalto la bellezza e l’importanza del bimbo che cresce nel grembo di Cate. Ad ogni modo, la costruzione narrativa è interessante e caracolla tra la commedia e il dramma, tra la dolcezza dei due ragazzi e la durezza delle situazioni familiari, tra una quotidianità spietata e la capacità di sognare sempre e comunque. Il film, che è stato fischiato dalla critica abortista al festival di Venezia, si rivolge a un pubblico intergenerazionale poiché coinvolge ragazzi e adulti nei rispettivi ruoli di genitori e figli. E, nonostante non ci sia una posizione netta da parte dell’Autore in favore della scelta della vita ad ogni costo e da accogliere come un dono, Piuma interroga su temi delicati come le gravidanze inattese, le adozioni, le convivenze e i rapporti familiari.

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”,che trasmettano – almeno in parte – messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita.


LETTURE CONSIGLIATE «Leggere è la capacità di una maggioranza e l’arte di una minoranza» (Julian Barnes)

Aldo Rocco Vitale

GENDER, QUESTO SCONOSCIUTO

Fede&Cultura

Cosa si nasconde dietro la nuova ideologia del nostro tempo: un fine giurista e bioeticista, nostro collaboratore, ha scritto un agile saggio sull’ideologia gender. Ne descrive le origini, ne spiega i legami con il femminismo e con l’attivismo gay, ne evidenzia i problemi antropologici e biogiuridici e ne svela lo scopo ultimo: dare vita a un’utopia nichilista, a un mondo nuovo di soggetti indifferenziati, la cui identità personale risulta inevitabilmente distrutta.

Giorgio Ponte

IO STO CON MARTA

Mondadori

Marta, palermitana, quasi trentenne e disoccupata, da aspirante editor a correttrice di bozze, da cameriera in un pub gay a gelataia in una azienda di schiavisti del cono perfetto, si ritrova, dopo sei mesi di bugie e situazioni paradossali, a precipitare in una serie di eventi tanto catastrofici quanto esilaranti, dai quali sembra impossibile uscire. Eppure decide di non arrendersi e di conquistarsi il suo posto al sole in una Milano che – attraverso i suoi occhi – diventa, come per magia, colorata e divertente…


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