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Padova CMP Restituzione
“nel nome di chi non può parlare” Anno V | Rivista Mensile N. 43 - Luglio 2016
“PUDORE
IL COMUNE SENSO DEL
L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi?
(o quel che ne resta)
Notizie
- Sommario -
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“nel nome di chi non può parlare”
Editoriale “Il comune senso del pudore” (o quel che ne resta) Lo sapevi che... Attualità
Francesco, un segno per chi ancora non comprende
RIVISTA MENSILE
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Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione
Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi
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Emanuela, mamma di quattro figli
Il cinema, arma di indottrinamento di massa
N. 43 - LUGLIO 2016
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Rodolfo De Mattei
Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ)
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Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Impaginazione grafica Francesca Gottardi
Primo piano
L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi? 13
Tipografia
Roberto Marchesini
‘Educazione sessuale globale’: la guerra dell’ONU contro i bambini 15 Francesca Romana Poleggi
Liberalizzare la prostituzione: perché sarebbe un grave errore
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Giuliano Guzzo
Pudore e sessualità, in famiglia e a scuola 21 Teresa Moro
Distribuzione MOPAK SRL, via Prima Strada 66 - 35129 Padova Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero:
Francesco Agnoli, Claudia Cirami, Rodolfo De Mattei, Emanuela, Andrea Giovanazzi, Giuliano Guzzo, Roberto Marchesini, Teresa Moro, Francesca Romana Poleggi
Il lato occulto della musica 24 Andrea Giovanazzi
Scienza e Morale
RU486: c’è un antidoto al veleno
Sostieni le nostre attività di solidarietà sociale, al fine di difendere il diritto alla vita e
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Claudia Cirami
Famiglia ed Economia Bambini spezzati Francesco Agnoli
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Editoriale
Editoriale Dalla rivoluzione sessuale in poi la neolingua ha trasformato delle parole ‘belle’, che rimandano a valori sani, profondi e sacri, in parole quasi impronunciabili. Una di queste è ‘pudore’. È ormai inteso nella migliore delle ipotesi come ‘vergogna’, che di per sé ha un’accezione piuttosto negativa, oppure come ‘bigotteria’. Se invece ci fermiamo a ragionare con la nostra testa, possiamo riscoprire il giusto valore del pudore. Basti considerare – ad esempio – che il pudore non lo hanno gli animali, non lo hanno le persone (come i bambini molto piccoli) che non sono consce della loro identità relazionale e sociale. Inoltre, mentre la vergogna ha per oggetto cose cattive o indecenti, il pudore è una sana riservatezza, il ritegno a sbandierare a tutti le cose davvero preziose che si vuole custodire gelosamente per persone e occasioni speciali (proprio perché preziose). Quindi il pudore può essere sentimento o virtù (altra parola bandita dalla neolingua), in base al quale ciascuno manifesta una parte di se stesso solo alle persone e nelle circostanze opportune, ‘degne’, in grado di accogliere, di capire il valore del dono. Il pudore, perciò, è certamente connesso alla sfera sessuale, ma non solo. Riguarda il sesso e il corpo, in quanto sesso e corpo sono essenziali all’identità della persona, tutt’uno con lo spirito; ma riguarda anche gli affetti e i sentimenti. La mancanza di pudore dimostra che la propria intimità – e quindi il proprio essere – è considerata poco rilevante, sicché niente merita di essere riservato ad alcune persone ed escluso per altre.
Notizie
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“Il comune senso del pudore” (o quel che ne resta) L’eleganza e il buon gusto, la pulizia e la cura della propria persona sono manifestazioni del pudore. Dal ’68 in poi il ‘comune senso del pudore’ è stato praticamente, a poco a poco, distrutto. Innanzitutto con la progressiva ipersessualizzazione della società. Ma lo scopo dell’opera distruttiva non è solo né tanto la ‘spudoratezza’ sessuale in sé, quanto la progressiva erosione e distruzione dell’essere umano nella sua totalità. Il ‘sesso libero’ è il primo passo che serve a rendere l’uomo schiavo. Cosa ha portato la rivoluzione sessuale, se non la donna come oggetto sessuale e il sesso come prodotto commerciale? Chissà se sono in grado di comprenderlo oggi le persone che mettono costantemente in vetrina, su Facebook per esempio, alla mercé di tutti, non solo e non tanto i propri corpi, ma i propri sentimenti, fanno spettacolo della propria vita intima, con le gioie e i dolori che andrebbero condivisi solo con le persone giuste. Capita sovente che qualcuno venga profondamente ferito e perda l’autostima: diventa debole, solo, svalutato, privo di dignità e di amor proprio.… Essere pudici, invece, vuol dire avere considerazione per l’intimità propria e altrui e farsi conoscere nella giusta misura nei diversi contesti di donazione e di rispetto in cui ci muoviamo. In tal modo si rende più attraente la propria personalità e si conosce il vero significato dell’amicizia e del vero amore: la philia e l’agape di greca memoria. Antonio Brandi
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Lo sapevi che... In Spagna il Ministero degli Interni ha deciso di non finanziare più la Federación de Planificación Familiar Estatal, associata alla grande multinazionale dell’aborto International Planned Parenthood. Il Governo spagnolo evidentemente non la considera più un ente di ‘pubblica utilità’, visto il male che l’aborto arreca ai bambini, alle madri e a tutta la società che versa in un inverno demografico assai preoccupante. Con questo atto il Governo dimostra inoltre rispetto per l’articolo 15 della Costituzione spagnola: “Tutti hanno diritto alla vita e all’integrità fisica e morale…”.
Nel 2011 Matt Davis, a soli 26 anni, entrò in coma a seguito di un incidente in macchina. La moglie Danielle, nonostante le pressioni dei medici che le dicevano di ‘staccare la spina’ e di ‘lasciare andare’ il marito, non si rassegnò e continuò a sperare nella buona notizia del risveglio. Cominciò a occuparsi di lui a casa, 24 ore su 24: “Girandolo nel letto per evitare le piaghe da decubito, pulendolo, somministrandogli una ventina di farmaci al giorno e cambiandogli il tubo dell’alimentazione”. Qualche settimana dopo, Matt si risvegliò: prima qualche parola, poi alcuni movimenti… La ripresa di coscienza portò tuttavia con sé una sorpresa inaspettata, ossia il fatto che l’uomo non ricordava più nulla, nemmeno di essere sposato. Ma vedendo Danielle, conoscendola ‘di nuovo’, Matt le ha chiesto nuovamente di sposarlo! Dove non è arrivata la memoria, è arrivato il cuore. Il recupero è continuato, e circa un anno fa Matt ha ripreso a camminare.
Un disegno di legge presentato lo scorso 17 maggio dal senatore Pd Sergio Lo Giudice propone di mettere al bando in Italia le ‘teorie riparative’, cioè le terapie – non necessariamente psicologiche – a servizio di chi si sente a disagio con il proprio orientamento omosessuale e vuole liberamente cercare di cambiarlo. Ovviamente sotto attacco non sono solo quelle scuole psicologiche, come
quella di Joseph Nicolosi secondo cui le persone con tendenze omosessuali possono recuperare l’eterosessualità latente in loro, ma anche quelle associazioni cattoliche, come Courage o il Gruppo Lot, che meritoriamente propongono, a quanti lo desiderano, un cammino di conversione, un percorso di spiritualità volto a riscoprire la verità su se stessi, a prescindere dall’orientamento sessuale. Impedire a qualcuno per legge di curarsi o di cambiare stile di vita è una vergogna. E oltretutto è una grave violazione della libertà di esercizio della professione di psicologi e psicoterapeuti. Insomma, se un paziente chiede di essere aiutato a riscoprire, ad esempio, la propria mascolinità, lo specialista disposto a prendersi cura di lui rischierebbe multe e carcere. Questo ddl è davvero infarcito di ‘omofobia’. Perché non sono le terapie riparative a indurre al suicidio: tutti i dati, non ideologicamente manipolati, dimostrano che anche nei Paesi gay-friendly e gender-free, il tasso di suicidi dei gay è sempre molto più alto della media generale. Se questo Parlamento, con questo Governo, acquistano lo strapotere che gli sarà concesso dalla riforma istituzionale di Renzi, anche questo ddl sarà presto legge, senza colpo ferire. Bisogna fermare questa macchina mortifera e folle: diciamo quindi NO al Referendum costituzionale di ottobre.
A Perugia l’associazione Omphalos cura i corsi denominati “Educare alle diversità”, contro il bullismo omofobico e per una ‘sana’ educazione sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado, dalle elementari alle superiori. Contemporaneamente, Omphalos organizza serate “Be Queer” come per esempio quella col tema “Breath Control & Bondage Night”, tradotto: “La notte dell’asfissia erotica e della pratica sessuale sadomasochistica in cui uno dei partner viene legato, anche appeso, gli viene impedito di parlare, vedere e sentire, per farsi dominare dall’altro”. Come è possibile che un’associazione che si propone di formare i giovani – e addirittura gli educatori e gli insegnanti – per combattere la violenza in ogni sua forma, organizzi e promuova eventi a base di tecniche sadomasochistiche ritenute estremamente rischiose
Lo sapevi che...
e potenzialmente mortali sia dalla comunità medica, sia dalla stessa comunità BDSM? (BDSM – Bondage, Domination, Sadism, Masochism: una vasta gamma di pratiche relazionali e/o erotiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, il disequilibrio di potere e/o l’umiliazione tra due o più partner adulti che traggono da queste soddisfazione e piacere).
Nell’ultimo numero della rivista Nature si ammette apertamente che la produzione in laboratorio di embrioni con tre genitori non può raggiungere gli obiettivi sperati e non può adempiere quelle promesse che il primo ministro britannico Gordon Brown nel 2008 aveva fatto per ottenere la legalizzazione della ricerca e degli esperimenti in tal senso: sostituire i mitocondri malati di un embrione con quelli di una donna sana, serviva a salvare milioni di vite. E così in UK si è cominciato legalmente a creare embrioni ibridi, figli di tre genitori, appunto: nei mitocondri, infatti, c’è il DNA di una persona, nel nucleo quello del padre e della madre biologici. Buona parte della comunità scientifica aveva messo in guardia, a suo tempo, dicendo che gli esperimenti sugli embrioni di tre genitori sono pericolosi, non necessari e non etici (si producono in vitro e poi si ammazzano dei bambini). Ora la New York Stem Cell Foundation (NYSCF) ha scoperto che il trasferimento dei mitocondri sani può causare le malattie che s’intendevano curare.Inoltre tale pratica modifica la linea germinale, con un impatto imprevedibile sulle generazioni future.
Sul sito dell’associazione Parks, fondata dall’On. Ivan Scalfarotto, per il ‘diversity management’, si legge che essa è volta a “costruire un posto dove il successo di ciascuno si fonda esclusivamente sul proprio talento, la capacità e la qualità delle prestazioni lavorative e non ha nulla a che fare con caratteristiche personali quali il genere, le abilità, l’età, l’origine etnica, l’orientamento sessuale o l’identità di genere”. Ma poi, a vedere bene, in realtà non si preoccupa affinché queste persone non siano discriminate (che sarebbe una giustissima preoccupazione), ma si adopera
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perché siano discriminati e stigmatizzati tutti gli altri, durante i colloqui per la selezione del personale e la scelta dei fornitori. Il Diversity Index, l’indice della diversità, è un indice che impone di mettere al centro delle politiche aziendali e del reclutamento del personale l’orientamento sessuale come fatto sociale rilevante, quando invece è fatto privato e intimo: davvero dovrebbe essere ininfluente rispetto al lavoro e alla carriera. E le brillanti carriere lavorative, in ogni ambito, di personaggi dichiaratamente LGBT – a cominciare dalla carriera dell’On. Scalfarotto in persona – stanno lì a dimostrare che non è vero che la nostra è una società ‘omofoba’. Gli ‘eterofobi’ sono loro, quelli che sono tanto accecati dall’omosessualismo, che non vedono che si verificano ben altre discriminazioni. Oggi, nella realtà, a una giovane che va a sostenere colloqui di lavoro viene caldamente raccomandato di togliersi la fede nuziale...
La vignetta del mese di Francesca Gottardi
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Francesco, un segno per chi ancora non comprende
Quando arrivano in Redazione testimonianze di questa portata, ci sentiamo onorati di poterle pubblicare e condividere con i nostri Lettori di Emanuela, mamma di quattro figli Sei arrivato così, in punta di piedi, a demolire le nostre certezze per costruirne di nuove. Ci hai fatto sapere di te mentre, in vacanza, percorrevamo l’Italia da nord a sud, aggrappandoti alla vita con tenacia. Sei cresciuto piano piano, laddove mi aspettassi una pancia ingombrante come quella dei tuoi fratelli, tu stavi lì, raggomitolato come un gattino, occupando il tuo piccolo spazio con discrezione, senza nessuno di quei fastidi notturni che avevo imparato a conoscere così bene... Tu, che a ogni ecografia ci davi un piccolo segno, mi facevi stare col fiato sospeso per poi tranquillizzarmi: “Non preoccuparti mamma, quella cisti non c’è più... il flusso ora va bene”. Tu che durante la gravidanza, nelle mie letture via web, puntualmente mi facevi soffermare su esperienze di famiglie con figli speciali e confermavi nel mio cuore quella scelta, la scelta di non fare diagnosi prenatali invasive, perché se non potevano servire a un’eventuale cura in utero, ma solo a decidere per la morte, beh, non facevano per me. Per noi. Intanto io consolidavo la mia idea di accoglierti comunque fossi, perché in ogni caso saresti stato il mio bimbo. Una scelta intima, di testa e di cuore, di getto, senza impegno, senza cognizione di causa, senza consapevolezza. Sentivo che saresti arrivato in anticipo: la tua mamma fa una vita un po’ movimentata... così, con tre settimane di vantaggio sulla tabella di marcia, mi hai fatto correre in ospedale. Il momento era il meno opportuno: io febbri-
Francesco, in braccio al Parroco, nel giorno del suo Battesimo
citante, a casa tutti con la tosse, il tuo fratellino più piccolo (che adesso è a pieno titolo anche lui “fratello maggiore”) con la febbre alta e a rischio convulsioni... Nonni e zii precettati, lasciati tra nipoti e flaconi di medicine, fermenti, integratori, soluzioni fisiologiche, compiti e responsabilità. Un ottimo team, tutti. Grazie. In questi giorni, quando ti abbandoni un po’ agli eventi e non sei mai in tutti i luoghi dove vorresti, una mamma impara che per quanto sia importante, neanche lei è indispensabile.
A ogni ecografia ci davi un piccolo segno, mi facevi stare col fiato sospeso per poi tranquillizzarmi: “Non preoccuparti mamma, quella cisti non c’è più... il flusso ora va bene” La sera del Giovedì Santo, alle 21, è cominciato il travaglio. Il travaglio per una donna è dolore e sangue, ma a ogni contrazione immaginavo il mio corpo modificarsi per darti al mondo. Così il dolore acquistava senso e diventava quasi piacevole. Tra una contrazione e l’altra dormivo. Il dolore mi svegliava e segnavo l’ora con un messaggio a Marco. Lui era andato a riposare e si chiedeva cosa fossero quei numeretti (uomini…!). Verso le due di mattina mi sono alzata dal letto per andare sulle mie gambe in sala parto, prima di non riuscire a farlo più. Avevo i brividi addosso, sentivo tanto freddo. In effetti, avevo 36.5 di alterazione, che per una maestra con gli anticorpi come i miei è già febbre! In sala travaglio un’ostetrica minuta, con la voce dolcissima, mi ha accompagnato con discrezione in quelle ore. Ho telefonato a Marco perché venisse. Nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo la mia veglia nell’orto degli ulivi è stata questa. A ogni contrazione recitavo un Padre Nostro e un’Ave Maria. Con quelle preghiere attraversavo il mio dolore, stringendo forte la mano a Marco. Poi c’era la pace, addirittura il sonno ristoratore. L’ostetrica mi guardava ammirata, diceva che sembravo non soffrire, mi consigliava di alzarmi, scegliere come stare, di vocalizzare per sentirmi meglio... ma come fai, mi ha chiesto? Sto pregando. Se avete visto film su una nascita o assistito a parti, o se avete partorito, saprete che le contrazioni si fanno sempre più forti e ravvicinate. Per me no. Ma mai come stavolta. Questa volta tanto tempo tra una e l’altra. Quando sentivo di spingere, poi una lunga pausa riportava tutto alla pace. Ogni tanto sentivo i piedini di Francesco puntarsi sotto le mie costole.
Attualità Piccolino, si stava dando da fare... Domandavo all’ostetrica, Monica, se fosse colpa mia, se non mi impegnassi abbastanza. Lei mi rassicurava: è tutto fisiologico. Infatti, non mi ha toccato, ci ha lasciato i nostri tempi. Ogni tanto un’altra ostetrica si affacciava socchiudendo la porta scorrevole. Sembrava venire a respirare una strana pace in quella stanza, mi guardava chiedendosi come mai una partoriente, nel pieno delle doglie, sembrasse non soffrire. Invece soffrivo eccome. Monica, delicatamente, disegnava piccoli cerchi sulla mia schiena, all’altezza dei reni... che sollievo. Ho chiesto a Marco di farlo, massaggiandomi anche lui lì. Ha cominciato a massaggiarmi le spalle. “Amore scusa (non sono di quelle che prendono i mariti a parolacce, almeno non quando partorisco), ti ho chiesto sui reni”. E lui: “Perché, dove sono?”. Ok, lui è un grafico: la radiologa è sua sorella, per fortuna. Le ore passavano, stava albeggiando. Sentivo gli uccellini cinguettare (nessuna droga, neppure l’anestesia). Alle sette Monica mi ha salutato: “C’è il cambio turno, devo passare le consegne. Stai tranquilla, se hai bisogno chiama, siamo nella stanza a fianco”. Mi sono sentita impaurita, anche se Marco era lì. Sentivo arrivare la contrazione, gli ho chiesto di chiamare, perché saresti nato in quel momento. Francesca, l’ostetrica del nuovo turno, ha fatto appena in tempo ad affacciarsi sulla soglia e prendere la tua testolina tra le mani, perché con tre spinte tu sei venuto alla luce, avvolto come in fasce nel tuo sacco integro. Nato con la camicia, bimbo fortunato. Venerdì Santo, 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione di Nostro Signore. Ti hanno appoggiato sul mio petto, un po’ piangevi, poi no. Mi sono preoccupata che ti coprissero, che ti pulissero. Ti hanno portato via e in un attimo intorno a te si sono affollate quattro persone, parlando del tuo cordone.
La scelta di non fare diagnosi prenatali invasive è stata perché se non potevano servire a un’eventuale cura in utero, ma solo a decidere per la morte, beh, non facevano per me. Per noi Dopo poco la pediatra si è avvicinata. Ho avuto l’impressione che volesse darci una notizia difficile, così, quando ha cominciato a fare l’elenco delle cose positive che aveva riscontrato, non ero attenta e sinceramente non ne ricordo neanche una, talmente ero concentrata a capire dove si concludesse il suo discorso, ma in realtà già sapevo cosa stava per dire. Lo avevo avvertito. Marco era sgomento. Tu lo sapevi? Perché non me l’hai detto? Lì si sono scontrati i nostri due mondi. Il mio, femminile, di chi accoglie la vita, prende le cose di pancia e di cuore, senza pensare troppo alle conseguenze. Il suo, maschile, più razionale, pronto ad analizzare la situazione e magari vederne i lati più impegnativi e pesanti. Francesco non ha foto di quel momento. Io presa dal conoscerlo, cercando di attaccarlo al seno, tra il tubicino della flebo e la posizione scomoda della barella, Marco con le dita freneticamente impegnate a scrivere alle mamme quella notizia, a trovare le parole.
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Francesco con la mamma, Emanuela
Francesco è nato, un bimbo speciale. Perché tu sei venuto a noi con quel cromosoma in più, che in tante famiglie ti avrebbe reso un indesiderabile. Ma sei nato nella famiglia perfetta per te. Fin dalla prima gravidanza non ho mai voluto fare indagini genetiche. Non ho mai accettato quell’1% di rischio di aborto dell’amniocentesi, a fronte di una scelta già fatta. Aspettando Matteo, mentre ero a letto con il distacco del sacco, mi ero imbattuta in un servizio su bambini con sindrome di down e già allora avevo capito che, comunque fosse, sarebbe stato mio figlio. Tuttavia mi hanno stupito la serenità e la gioia. Sì, la gioia vera proprio per il tuo cromosoma in più, quella davvero non me l’aspettavo... Le tue nonne che hanno pianto, lì per lì, posso capirle (anche se nonna Nana dopo cinque minuti era in macchina per conoscere il suo nuovo nipotino preferito, aggiunto alla lista dei quattro preferiti, cioè tutti!), le mie zie, che cercavano parole di conforto e sembravano non saper cosa dire perché quelle, a me, davvero non servivano. Forse non capirò soltanto le persone che si preoccuperanno per noi... come può preoccupare tanta benedizione? Io mi sento scelta, privilegiata, particolarmente amata, come mamma. Da te, Francesco, che devi avermi puntata dall’alto e forse, nella tua innocenza mi hai un po’ sopravvalutata, ma soprattutto da Gesù, che invece mi conosce bene e non può essersi sbagliato. Se mi ha dato fiducia lui, posso ogni cosa che mi chiederà. Tra l’altro non da sola. Con un marito che si scoprirà certo più forte di quanto crede, due famiglie alle nostre spalle che sono rocce per noi e i primi miracoli intorno, come le parole di una tua zia: “Magari Francesco è arrivato perché cambiassimo idea”... e l’idea del mondo lo sappiamo qual è, che ciò che non rientra nei canoni va eliminato, alla radice. Invece tu ci sei e sei cosa buona, perché il Signore non fa mai nulla di sbagliato, né niente per renderci infelici. In una famiglia normalmente felice, mancavi tu a farci straordinariamente felici. Così eccoti qui, in punta di piedi, mentre con tenacia e dolcezza stringi le mie dita e dici: io ci sono. Un inno alla vita e un segno per chi ancora non comprende. Grazie Francesco, amore mio, cercheremo di meritare la tua fiducia.
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