POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003
Rivista Mensile N. 27 - Febbraio 2015
“nel nome di chi non può parlare”
Padova CMP Restituzione
A SCUOLA DI GENDER Dalla biologia alla ideologia
Negare la diversità è discriminazione
Non esiste il matrimonio “tradizionale”
Contributo € 2,80
Notizie
Editoriale Editoriale
- Sommario - Sommar Sommario S o m m a rio rio -
Notizie Notizie 3 3
Lo sapevi che... che...
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N. 27 T-AFEBBRAIO RIVIST MENSILE 2015
Primo Piano Primo Piano Dalle unioni di fatto etero ai matrimoni gay Negare la diversità è discriminazione Federico F e ederico Catani Cantelmihanno tanti diritti. Solo diritti ITonino conviventi Gianfranco Amato Identità sessuata e teoria del gender: La Babele moderna dalla biologia all’ideologia Emmanuele uele W Wundt undt Massimo Gandolfini
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Sovvertire la realtà naturale vuol dire distruggere l uomo 17 Gender a scuola: a Bolzano è già realtà 17 Giovanni Reginato Giuliano Guzzo Unioni (in)civili, imposte dai giudici Non voglio più PPoleggi essere Francesca F rrancesca rances Romana oleggi gay
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Francesca Romana Poleggi
L’infanzia sotto l’attacco del “gender diktat”
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La strategia degli ideologi del gender Una preghiera inerme, eppure insopportabile
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Insegnanti di religione. F econdazione eterologaQuale futuro? Cirami dei venditori di gameti eClaudia anonimato
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Attualità Rodolfo de Mattei Profeta tra i Leoni Adrea Mazzi
Virginia Lalli Rodolfo de Mattei
Attualità Come smascherare certe bugie
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Giuliano Guzzo
“Ti avevamo assunto perché non saresti rimasta incinta!” 6 Andrea Mazzi
Ci sarai sempre, eppure sempre mi mancherai 7
Barbara Scienza e Morale
La questione della fecondazione artificiale
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Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula
Scienza e Morale Non credenti pro life
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Claudia Cirami
25 La buona notizia:alle Ginevra I rischi connessi pratiche omosessuali 26 Paola P aolaMustela Bonzi Alba
Il genocidio dei bambini Down
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Newlife
Famiglia ed Economia Non esiste il matrimonio “tradizionale”
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Brian Clowes
Gravidanza per divertimento Giulia Tanel
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Editore N. 23 - OTTOBRE 2014 ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 Editore 38068 Rovereto (TN) ProVita Codice Onlus ROC 24182 Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Redazione Codice 24182 AntonioROC Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) Redazione redazione@notizieprovita.it - Tel. 329 0349089 Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Direttore responsabile Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) Antonio Brandi redazione@notizieprovita.it -T Tel. el. l 329 0349089 Direttore responsabile editoriale Direttore Francesca Romana Poleggi Antonio Brandi Direttore editoriale ProVita Onlus Direttore Andrea Giovanazzi Francesca Romana Poleggi Progetto grafico copertina Direttore ProVita Onlus Gloria Ferraro Andrea Giovanazzi Progetto grafico Impaginazione Massimo F estini Festini T ipografia Tipografia Flyeralarm SrL, Viale Druso 265, 39100 Bolzano Editorial and Packaging Solution
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“nel nome di chi non può parlare” nel nome di chi non può parlare RIVISTA MENSILE
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N. 27 - FEBBRAIO 2015 N. 23 - OT OTTOBRE TOBRE 2014
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Distribuzione Distribuzione MOPA AK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Hanno collaborato Hanno collaboratodi questo numero alla realizzazione alla realizzazione questo Gianfranco Amato, Pdi aola Bonzi,numero Barbara, Tonino Cantelmi, Federico Catani, Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula, Federico Catani, Claudia Cirami, Brian Clowes, Rodolfo de Mattei, Claudia Cirami, Rodolfo de Mattei, Giuliano Guzzo, Massimo Gandolfini, Giuliano Guzzo, Andrea Mazzi, Virginia Lalli, Andrea Mazzi, Newlife, Alba Mustela, Francesca Romana Poleggi, Profeta tra i Leoni, F rancesca Giulia TanelRomana Poleggi, Giovanni Reginato, Emmanuele Wundt.
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Editoriale
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A scuola di gender Ancora non tutti conoscono l’ideologia gender. Anzi, sul web girano voci politicamente molto corrette che dicono che è tutta un’invenzione degli omofobi, oscurantisti, retrogradi che vedono il male dappertutto. “Omnia munda mundis” diceva Fra Cristoforo. Ma a guardare i libri che mettono nelle mani dei bambini all’asilo, ci sembra che gli autori e i divulgatori degli stessi siano “puri”… bugiardi: non si può dire a un bambino che due mamme o due papà “lo hanno messo al mondo, sono i suoi genitori”. Non è vero. Uno solo lo ha messo al mondo, forse. L’altro è solo un amico (o un’amica). E’ peggio che cercare di nascondere a una persona il fatto che è stata adottata (una reticenza che potrebbe avere conseguenze psicologiche devastanti). Dicevano gli antichi, non a caso: adoptio naturam imitatur. A proposito di gender e di psicologi, abbiamo l’onore di ospitare in queste pagine due autorevoli psichiatri: Tonino Cantelmi, psicoterapeuta, e Massimo Gandolfini, neurochirurgo. Quando avrete letto i loro contributi, saprete perché questa ideologia gender è assolutamente priva di basi scientifiche, e capirete perché i veri “omofobi” sono proprio coloro che vogliono negare la natura e l’evidenza, a totale detrimento della salute psicofisica degli stessi omosessuali (leggete a pag.25). Ed essendo pura menzogna l’ideologia gender contraddice se stessa: tutti possiamo cambiare “genere” ogni giorno, ma non gli omosessuali! Loro “nascono e muoiono” tali, non hanno diritto di cambiare? Leggete a pag. 19. Voi, cari lettori, però, avete gli occhi aperti e non vi lasciate imbambolare da queste sirene. Voi, che certamente seguite il nostro portale www.notizieprovita.it, siete costantemente aggiornati sui progetti e le insinuazioni subdole di questa ideologia nell’opinione pubblica e soprattutto nelle scuole dei nostri bambini: dietro alla prevenzione del bullismo, del razzismo e delle discriminazioni si infilano molto spesso vere e proprie lezioni di “omosessualismo”. Le lezioni di educazione sessuale e all’affettività sono lezioni di “confusione” dei ruoli assegnati dalla natura, o lezioni di sessualizzazione precoce dei bambini. Voi sapete del progetto di legge Fedeli: intende stanziare 200 milioni per “educare alle differenze, educare alla non discriminazione, educare al superamento degli stereotipi…” in tutte le scuole di ogni ordine e grado; sapete che il MIUR ha già emanato un avviso
che stanzia allo stesso scopo 425 mila euro: bisogna vigilare. Scrivere ai Presidi lettere in cui si pretende il consenso informato su certe iniziative, controllare CHI tiene questi corsi: chissà perché la prerogativa di insegnare l’accoglienza, il rispetto e tutti i valori in cui fermamente crediamo, debba essere di “esperti” militanti in associazioni LGBT. E dei corsi di “educazione sessuale e all’affettività” bisogna controllare i programmi: che non siano adeguati ai famigerati standard dell’OMS recepiti dai libercoli dell’UNAR che a suo tempo siamo riusciti a bloccare. Sapete che la società civile si mobilita contro questa marea di oscenità. Andando in stampa abbiamo avviato una raccolta di firme per una petizione alle più alte cariche dello Stato tesa a promuovere progetti educativi, sani e alternativi a tutto questo: in pochissimi giorni abbiamo raccolto quasi 20.000 firme, nonostante i numerosi e continui attacchi degli hacker che qualche volta (raramente) riescono a oscurare il sito (per poche ore). Non ci fanno paura, perché la Verità vince e chi scherza col fuoco prima o poi si brucia: come scrive Clowes a pag.29: “Dio perdona sempre, gli uomini qualche volta, la natura mai”. Antonio Brandi
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Lo sapevi che... COMBATTI PER LA VITA CON NOI! La Famiglia è il fulcro e il fondamentodella società umana fin dalle origini della civiltà. È “famiglia”, atta a generare, educare e custodire la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale, solo se c’è la complementarietà tra due coniugi, che promettono stabilmente di sostenersi a vicenda. O ggi la Famiglia e la Vita subiscono attacchi continui, volti a distruggere l’umanità. Dai il tuo contributo alla buona battaglia in difesa della Famiglia! Aiutaci a difendere la Vita! Per agire a difesa della vita, della famiglia, dei bambini, aiutaci a diffondere Notizie ProVita: regala abbonamenti ai tuoi amici, sostienici mediante una donazione intestata a “ProVita Onlus”: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina, IBAN IT89X0830535820000000058640 (indica sempre nome cognome indirizzo e CAP). Avanti per la Vita! L’omosessualismo, come tutti gli “-ismi” è un’ideologia perniciosa. Lo sa il Presidente lettone Andris Berzins, che nel suo commento riguardo al prossimo EuroPride afferma che l’omosessualità non deve essere “pubblicizzata e imposta” perché è una “strada verso il nulla”: ogni persona sceglie il proprio percorso di vita, e si assume la responsabilità delle proprie scelte. Ma questa scelta non può essere imposta al resto [della società] e non dovrebbe essere pubblicizzata in alcun modo.
Mentre i volontari dell’associazione Ora et labora in difesa della vita e del comitato No 194 erano a pregare all’ingresso dell’Ospedale di Giussano, come ogni secondo venerdì del mese, per i bambini che in questo ospedale vengono abortiti due volte alla settimana, una coppia di fidanzati che erano entrati per abortire hanno rinunciato a sopprimere la Vita che avevano concepito. Giorgio Celsi ha messo i due giovani in contatto con il Centro Aiuto alla Vita di Giussano che attiverà tutti gli aiuti possibili tra cui il Progetto Gemma e il progetto Nasko. Salvare anche una sola vita, vale tutto l’impegno di una vita!
Il ministro della giustizia greco Haralambos Athanasiou ha dichiarato alla televisione di Stato la propria assoluta contrarietà all’introduzione del matrimonio omosessuale nel suo Paese, dopo che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha redarguito Atene per non aver ancora attuato le riforme care alla lobby LGBT. E mentre il Parlamento di Atene dibatte sul matrimonio omosessuale, il Metropolita Seraphim del Pireo, importante esponente della Chiesa ortodossa greca, ha minacciato di scomunicare tutti quei politici che si renderanno complici dell’approvazione di una legge del genere. In una lettera pastorale, il vescovo ha usato parole di fuoco contro la pratica dell’omosessualità, considerata un’aberrazione contro-natura e ha implorato gli uomini di governo di non allontanarsi da Dio, il cui aiuto e la cui protezione sono indispensabili per la vita personale e nazionale, specie in tempi critici come gli attuali.
Un embrione umano non può mai essere utilizzato a fini industriali o commerciali: ci fa piacere che questo sia stato ribadito dalla Corte di Giustizia europea. La stessa Corte afferma che, se si esclude che un ovocita attivato per partenogenesi sia un embrione, potrà essere brevettato. Ma fino a che punto è
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lecita la manipolazione di parti del corpo umano, specie - ma non solo - se a fini commerciali? Come valutare, ad esempio, una procedura per sintetizzare gameti artificiali, cioè per generare in laboratorio spermatozoi e ovociti a partire da altre cellule? E un futuro “utero artificiale” potrà essere brevettato come un modello particolare di incubatrice? In che modo procurarsi le parti del corpo umano da trattare? È lecito commerciare parti del corpo umano, anche se è il proprio? Brevettare una tecnica come quella in questione significa proporre un’attività commerciale basata sulla produzione e la cessione di ovociti da parte delle donne. Si vorrà mascherare ipocritamente tutto questo con la parola “donazione”?
Un’ennesima sentenza, questa volta in Scozia, calpesta la libertà di coscienza, quindi la libertà religiosa, vietando l’obiezione di coscienza alle ostetriche e a tutto il personale paramedico che quindi è costretto ad assistere i medici che praticano gli aborti. Le ostetriche scozzesi, condannate dal giudice nazionale, hanno detto che faranno ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Rick Brattin, un deputato eletto nel parlamento nazionale del Missouri, ha proposto una legge che richiede il consenso scritto del padre all’aborto. Questa proposta gli ha attirato addosso strali mediatici lanciati dagli abortisti. L’utero è della donna e lo gestisce lei. Ma il bambino è del padre e della madre, o no? La normativa abortista è fortemente “padrofoba”, fortemente discriminatoria nei confronti degli uomini (una discriminazione di genere vera e propria!). Perché questa forma di intolleranza sessista non importa a nessuno?
La pornografia riduce milioni di uomini alla schiavitù e all’impotenza. Hugh Hefner è il creatore dell’impero Playboy, idolatrato da milioni di uomini per il suo stile di vita, la sua enorme villa, modelle, celebrità, fama e tanto tanto sesso. Eppure è quasi impotente: non riesce ad avere rapporti senza la pornografia. La pornografia riduce la capacità di avere rapporti sessuali veri con “donne vere”. La rivoluzione sessuale ci ha insegnato a vivere per il sesso, chi non fa sesso (sfrenato) è un “perdente”. La realtà è ben diversa e la natura - violentata - si ribella: il sesso senza amore, a lungo andare e a prescindere da valutazioni morali, non paga. E la por-
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Lo sapevi che... nografia è il massimo dell’abuso e dello snaturamento dell’atto sessuale: un veleno che ha impestato persino uno che era “padrone” del porno, come Hefner.
di norme assurde, sovversive, inumane e contrarie alla ragione e al senso delle realtà che maggiormente caratterizzano l’umanità”.
In occasione dell’ultima giornata mondiale contro l’AIDS, molti hanno parlato di “epidemia dimenticata”, ma nessuno ha analizzato i dati rilevati che evidenziano che la diffusione del virus avviene soprattutto tra gli uomini omosessuali. Le cifre parlano di una situazione tutt’altro che di emergenza, per quanto riguarda il numero di sieropositivi in genere: 140.000 in Italia e 35 milioni nel mondo, una percentuale della popolazione di riferimento di circa 0,23% nel primo caso e 0,5% nel secondo, il che per un virus che si è diffuso dal 1981 è il dato di un fenomeno sotto controllo. Anzi, per quel che riguarda l’Italia è ben più che sotto controllo, è in costante diminuzione da anni. Tranne che per la popolazione omosessuale. Questa conclusione dagli organi di informazione non è stata data, colpevolmente, negando alle persone interessate un’informazione corretta: questo comportamento certamente si potrebbe definire “omofobo”, nel senso che danneggia gli omosessuali.
In USA, un eminente portatore delle istanze dell’ omosessualismo, che da decenni si batte per i “diritti” dei gay, co-fondatore del Human Rights Campaign (HRC) in prima linea in questa battaglia, Terry Bean, è stato rinviato a giudizio per violenza sessuale ai danni di un ragazzo di quindici anni. Lo scandalo nello scandalo è che i media, dopo aver incensato per anni Bean e la sua attività in tutti i modi possibili, dimostrano ora una straordinaria riluttanza a trattare la vicenda, nonostante i molti aspetti, fra l’osceno e il ridicolo, che solitamente trovano vasto eco sui mezzi di comunicazione di massa. Bean è una personalità politica di primo piano, che ha raccolto più di mezzo milione di dollari per le campagne elettorali di Obama. La sua organizzazione pro-gay è talmente potente da influire pesantemente sulla legislazione statale e federale. Né esita a usare mezzi intimidatori, come la lista di ‘nemici pubblici’ contenente i gruppi che a suo dire ostacolano l’agenda gay, una lista che in almeno un paio di casi ha portato a minacce perfino di morte nei confronti di sostenitori della famiglia tradizionale.
Il saggio di Marguerite A. Peeters intitolato “Il gender, una questione politica e culturale”, merita di essere acquistato anche solo per la splendida prefazione di un grande principe di Chiesa: il Cardinale guineano Robert Sarah, porporato nominato da Papa Francesco Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Egli denuncia “l’errore che i Paesi occidentali commettono quando passano dal rispetto dovuto alla dignità e ai diritti inalienabili di ciascun individuo, qualunque sia la sua condizione, all’istituzionalizzazione di politiche e costumi antinomici rispetto al matrimonio e alla famiglia. L’omosessualità è un non-senso nei confronti della vita coniugale e familiare. È quanto meno nocivo raccomandarla in nome dei diritti dell’uomo. E imporla è un crimine contro l’umanità. “È inammissibile che Paesi occidentali e agenzie Onu impongano ai Paesi non occidentali l’omosessualità e tutte le sue devianze morali, utilizzando argomenti economici affinché rivedano la loro legislazione in materia e per di più condizionino l’aiuto allo sviluppo con l’applicazione
“Una bambina di otto anni può vestirsi da maschio e da femmina. Può mettersi il rossetto e le scarpe col tacco. O anche la giacca e la cravatta di papà. Ma è fondamentale che tutto questo sia fatto con lo stile del gioco, del “facciamo finta che”. La figlia di Brad Pitt e Angelina Jolie, di cui hanno parlato tutti i media del mondo, sembra invece che voglia fare le cose non per gioco, ma sul serio. Sembra anche che i genitori siano d’accordo e non utilizzino nemmeno un po’ di pensiero critico, oltre che di sano buon senso genitoriale. Non si può usare un bambino per trasformarlo in una bandiera a sostegno di questa o quella ideologia. I bambini sono bambini: come tali vanno cresciuti, protetti e sostenuti. La vera libertà per una bambina di otto anni non è quella di seguire quello che forse è il semplice bisogno narcisistico di apparire differente da tutti gli altri. Qualcosa che i nostri nonni avrebbero chiamato capriccio. Perché - figli di star oppure figli di gente normale come tutti noi - i nostri bambini a otto anni hanno solo il diritto di essere bambini. E hanno anche il diritto di avere al proprio fianco adulti intelligenti”. (Alberto Pellai)
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Attualità
Andrea Mazzi Volontario modenese della Comunità Papa Giovanni XXIII, che opera concretamente e con continuità dal 1973 nel vasto ambiente dell’emarginazione e della povertà.
Camiciaie in sciopero, 1910.
“Ti avevamo assunto perché non saresti rimasta incinta!” L’ennesima testimonianza dei volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII ci ricorda che l’aborto non è sempre una libera scelta. Pressioni, ricatti più o meno espliciti, spingono le donne a un gesto irreversibile che compiono in profonda solitudine, con delle conseguenze che le segneranno per tutta la vita. di Andrea Mazzi
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olte delle storie di donne spinte ad abortire, riguardano le pressioni - a volte ricatti - che le gestanti subiscono sul luogo di lavoro. E’ noto che nella nostra società le donne subiscono forti pressioni sul luogo di lavoro perché ritardino o evitino le gravidanze. Numerose sono le testimonianze di donne che si sono sentite chiedere al primo colloquio se pensavano di mettere al mondo dei figli, o che sono state invitate con minacce più o meno velate a non rimanere incinte. E’ ovvio dunque che quando la gravidanza arriva, possa portare con sé anche inviti più o meno espliciti ad abortire. Oggi in realtà i datori di lavoro non hanno neppure più bisogno di ricorrere a minacce o pressioni: sempre più spesso i contratti sono a tempo determinato, pertanto quando arriva una gravidanza semplicemente alla donna non viene rinnovato il contratto. In questi casi per una donna essere incinta significa automaticamente perdere il lavoro (e poi c’è chi si domanda ancora se è giusto dare aiuti economici alle gestanti…)
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Le pressioni le subisce invece chi ha contratti più stabili. Ascoltiamo a questo proposito il racconto di Anna (nome di fantasia). E’ una storia emblematica di un clima che da molto tempo non è mutato. “Vivo in una città dell’Emilia-Romagna. Mi sono sposata giovane e ho avuto presto 2 figli. Quando ho scoperto di essere nuovamente incinta, lavoravo in una piccola impresa artigiana. Quando ho comunicato loro di essere incinta, mi hanno risposto: “Ti avevamo assunto perché avevi dei figli già grandi, non ci aspettavamo questa gravidanza; ora che sei incinta ti lasciamo a casa!”. Allora mi hanno fatto vedere una lettera di dimissioni dove c’era già la mia firma. Evidentemente quella firma l’avevo fatta io al momento dell’assunzione: infatti mi avevano dato molte carte da firmare, e io non ho fatto caso a cosa c’era scritto su ognuno dei fogli. Sono andata allora alla CGIL a denunciare la cosa. Loro mi hanno detto che per legge non è possibile per una donna incinta dimettersi né essere licenziata senza il consenso dell’Ispettorato del Lavoro; questo per evitare che vengano esercitate pressioni sulla donna.
Siamo andati all’Ispettorato, che ha convocato i datori di lavoro (madre e figlio), che hanno dovuto prendere atto che non potevano lasciarmi a casa. Io però sono rimasta così male che ho deciso di non continuare a lavorare lì. Il sindacato per venirmi incontro ha proposto che io fossi licenziata solo al termine della maternità obbligatoria, per usufruire della mobilità retribuita di un anno. Se i datori non avessero accettato, sarebbero stati denunciati per avermi fatto firmare le dimissioni in bianco. Loro hanno accettato, pertanto a fine maternità obbligatoria sono stata licenziata per ‘riduzione del personale’.” Anna da allora ha continuato arrangiandosi con lavoretti occasionali soprattutto presso conoscenti. Tante altre “Anne” continuano a subire le conseguenze di un mondo del lavoro che ha sempre meno regole e sempre meno tutele, che guarda all’utile dell’azienda e non al benessere dei lavoratori; dove pertanto la gravidanza viene vissuta come un intoppo, una scelta solo personale, quasi egoistica, per cui chi la sceglie se ne deve accollare tutto il peso. Se venite a conoscenza di situazioni come questa, segnalatele al numero verde 800.035.036.
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Attualità
Ci sarai sempre, eppure sempre mi mancherai “Perché certe cose non si possono accettare con la testa, le devi vedere con il cuore, che è più vicino alla pancia. Devi scendere nel profondo, lì c’è l’incontro, la verità”. di Barbara
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el numero dello scorso dicembre, “La grande storia di Gregorio il piccolo” ha commosso tanti cuori. La testimonianza dei genitori che hanno scelto la vita, anche se breve, per il loro bambino ad onta dei consigli di medici - e non solo - che prospettavano la soluzione più facile, l’aborto, è stata poi riproposta sul portale www.notizieprovita.it e sono piovuti centinaia di commenti: soprattutto ringraziamenti, molti di condivisione. Anche un paio distaccati e un po’ critici (non più di due o tre, invero). Fra tutti, però, ci ha colpito una lettera. Ce l’ha inviata una donna che ha voluto condividere con noi - e con voi lettori - la sua esperienza che non ha avuto un lieto fine, come la storia di Gregorio. Infatti, è vero che Gregorio è morto dopo una vita brevissima, ma la sua storia è stata per lui e per i suoi una storia a lieto fine…
Volevo portare la mia esperienza di vita, il mio dramma, in questa piccola testimonianza/riflessione, sperando possa essere di aiuto nella riflessione ad altri. Soprattutto vorrei testimoniare, purtroppo troppo tardi, il valore della Vita, la sua preziosità. Mentre vi scrivo ci stiamo avvicinando al Natale, momento importante, in cui si ricorda la nascita. Per me questo sarà un Natale diverso, un Natale senza la presenza vicino a me di Giovanni, il mio bambino. Giovanni è stato tanto desiderato dai suoi genitori eppure, quando abbiamo avuto davanti la risposta
di un esame, la risposta che non ci aspettavamo, la sua preziosa presenza si è offuscata. L’ingannevole “scelta” alla quale sei chiamato, mi ha fatto ingigantire la paura di ciò che non conoscevo, di ciò che non stava andando come mi aspettavo, mi ha fatto dimenticare che Giovanni era già presente nella nostra vita e lo sarà sempre. Solo che ora vivo nel dolore immenso di non poterlo abbracciare. Sono arrivata impreparata, immatura a questa situazione. Mi sentivo addosso la responsabilità di dover seguire un bambino “speciale” nel suo percorso di vita, ora mi rendo conto che molto spesso sono i bambini che insegnano a vivere a noi. Se posso dire una cosa, adesso, è che ERA POSSIBILE, non ci sono scelte da fare, la VITA va semplicemente accolta, per come è, anche se diversa dai nostri progetti. La FIDUCIA in Colui che ti sta dando quel dono aiuta a non farti bloccare dalle paure, a proseguire anche se non capisci tutto. Mi sono frantumata in tanti pezzi da quel giorno, la vita non è come prima, va letteralmente ricostruita perché quello che ero non voglio esserlo più, soprattutto vorrei avere un cuore nuovo e occhi nuovi per imparare ad essere la mamma che avrei voluto essere per lui. Perdonami, Giovanni. Grazie di essere entrato nella mia vita. Avrai sempre il tuo spazio nel mio cuore. Ci sarai sempre eppure sempre mi mancherai, così tanto. E se qualcuno sta leggendo la mia esperienza in un momento di
“difficile decisione” vorrei dire: non fare il mio errore, pensaci bene, fai silenzio attorno e guardati dentro a fondo, lascia parlare ANCHE IL CUORE, tuo figlio è presente, adesso, c’è. E’ lui. Quando mi sono trovata davanti alla “scelta” ho iniziato a farmi tante domande, rispetto a come avrei gestito i mesi futuri, la gravidanza, soprattutto gli anni futuri. Come sarebbe stata la nostra vita familiare. La paura di non riuscire ad essere all’altezza, di essere la mamma di un bambino disabile, la paura di un mondo sconosciuto. Principalmente volevo accettare la realtà con la testa, pensando che, se avessi accettato consapevolmente, non avrei più sentito le mie paure. Ma il tempo a disposizione è poco per accettare, e soprattutto la paura, comunque, rimane, perché non sei il padrone della situazione e della vita, non sai adesso come andrà a finire poi, resta un grosso margine di incertezza e questo si fa fatica ad accettare. Sembra un salto nel buio. Ma proprio perché non si può conoscere tutto in precedenza, perché certe cose non si possono accettare con la testa, le devi vedere con il cuore, che è più vicino alla pancia. Devi scendere nel profondo, lì c’è l’incontro, la verità. Ecco perché rimpiangerò sempre di non aver ascoltato fino in fondo quello che veniva dal cuore: troppe domande, troppi perché. E la sua vita se ne è andata. E anche una parte di me con lui. Perché poi non si torna indietro.
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Notizie
Primo piano
Tonino Cantelmi
Medico-chirurgo, specializzato in Psichiatria e Psicoterapia ad orientamento CognitivoInterpersonale. Ha fondato il CEDIS, per lo studio delle dipendenze comportamentali (in modo specifico dipendenza da tecnologia e dipendenza sessuale). E’ autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche e di circa 30 libri ed è stato relatore invitato in circa 200 convegni scientifici. Dirigente Psichiatra per il Servizio Sanitario Nazionale dal 1995, professore incaricato di Psicopatologia presso l’Istituto di Psicologia dell’Università Gregoriana.
Negare la diversità è discriminazione Negare la differenza, così come fa l’ideologia del gender, è la più alta forma di intolleranza e di discriminazione. di Tonino Cantelmi
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ducare al femminile e al maschile, partendo dalle differenze scientificamente fondate (in termini neurofisiologici e psicologici) tra maschi e femmine e di come queste differenze potrebbero essere raccolte e valorizzate in ambito educativo è a mio parere un giusto modo per opporsi alla tendenza ad omologare tutto, compreso l’inomologabile, in nome di un “politically correct” che non vuole esporsi e affermare la verità per paura di essere tacciati come discriminatori o reazionari o retrogradi o altro. Il dibattito è aperto a livello internazionale, già a partire dalle cosiddette scuole omogenee, che in molti paesi stanno ritrovando un nuovo interesse da parte delle famiglie e delle istituzioni. Non è forse una esperienza comune sperimentare quanto sia diverso avere a che
La rivoluzione sessuale del ‘68 ha attaccato violentemente la differenza tra i due sessi, perché ritenuta portatrice di discriminazioni e ingiustizie sociali.
fare con un maschietto o con una femminuccia? E da dove vengono queste predisposizioni che sembrano sorgere molto presto, come dimostrano per altro significativi studi della psicologia cognitiva? La suddivisione del ruolo maschile e femminile è sempre stata un importante cardine sul quale si organizzano le società degli uomini. Cosa sia maschile, cosa femminile, di cosa si debba occupare un uomo e di cosa una donna, come educare bambini e bambine, sono tutti determinanti che già da soli dicono molto della società nelle quali esistono. Riconosciamo che è vero che, nel modo di concepire la mascolinità e la femminilità, in questi ultimi cinquanta anni, il mondo occidentale abbia, in parte, guadagnato una maggiore flessibilità e aderenza alla realtà, grazie al progresso dei diritti civili, al contributo della riflessione psicologica e, in questi ultimi tempi anche attraverso l’apporto di numerose ricerche scientifiche. Prima di allora la visione prevalente del maschile e del femminile era molto legata a ruoli rigidi, sociali e familiari, che potevano ingabbiare la realtà all’interno di schemi ideali a volte ingiusti. Successivamente attraverso il processo di emancipazione della donna, le lotte per i diritti civili, il movimento del 1968
e la contestazione verso i ruoli autoritari, si è attaccata violentemente la differenza tra i due sessi, perché ritenuta portatrice delle discriminazioni e delle ingiustizie che si verificavano a livello sociale. Il mio parere è che in questo processo di cambiamento si siano abbattuti talmente tanti muri, da lasciare la casa in rovina, priva di un sopra e un sotto, della distinzione fra le varie camere, rendendola così, alla fine dei conti, meno abitabile. La conseguenza nefasta maggiore è la lacuna educativa. Senza punti di riferimento chiari e distinti il rischio è quello di non riuscire a fornire agli educandi ancora in formazione quella cornice di riferimento, quelle fondamenta che gli permetteranno poi in tutta libertà di sviluppare se stessi a partire da capisaldi fermi e solidi. In linea con molti studi internazionali, sostengo che è possibile stabilire e riconoscere che esi-
Per educare al rispetto del genere di appartenenza degli altri, non si può non considerare e calpestare il sesso di appartenenza dei bambini.
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stono delle differenze e delle peculiarità maschili e femminili, che possono interessare la conformazione fisica, il tono muscolare, gli assetti neuroendocrini, le funzionalità cerebrali, le caratteristiche psicologiche, relazionali e sociali. Ovviamente con questo non intendo affermare che tutti i maschi e tutte le femmine rientrano perfettamente in queste dimensioni, perché queste sono caratteristiche con molte variazioni individuali. E soprattutto, prima c’è sempre la persona con la sua unicità, il suo carattere e la sua storia personale. Inoltre è bene sapere che, soprattutto per quanto riguarda le differenze fisiologiche cerebrali, queste sono riscontrabili soprattutto nella fase dello sviluppo, tra i 7 ed i 18 anni. Anzitutto è essenziale dirimere le sovrapposizioni concettuali tra genere e sesso, educazione di genere ed educazione a partire dal sesso di appartenenza e fare un po’ di chiarezza. Le categorie “sesso” e “genere” sono distinte in quanto la prima denota l’appartenenza ad una delle due categorie biologiche della diade che compone l’umanità (maschio/femmina), mentre per “genere” si intende indicare tutto ciò che è sovrapponibile al “biologicamente dato”, quindi l’esperienza psicologica, relazionale e culturale. Il sesso di una persona
La suddivisione del ruolo maschile e femminile è sempre stata un importante cardine sul quale si organizzano le società degli uomini.
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“Differente” non corrisponde ad “ineguale”, anzi. Cogliere le caratteristiche proprie di qualsiasi realtà permette di relazionarsi con essa a partire dalle sue peculiarità, ed è, quindi, arricchente. Ecco perché negare la differenza, così come fa la teoria del gender, è la più alta forma di intolleranza e di discriminazione
ha delle caratteristiche inequivocabili, esplicite e riconoscibili. Descrivere il genere di una persona, invece, comporta il far riferimento ad un piano non evidente e più interiore della persona, lì dove risiedono la sua personalità, il suo carattere, le sue inclinazioni e passioni, il suo modo di concepirsi ed emozionarsi, il ruolo che si aspetta di avere nelle relazioni. Il concetto di “genere”, oggi molto usato ed in voga è in realtà abbastanza recente ed è interessante notare come si sia sviluppato: “negli anni settanta a partire dalla presa di coscienza, da parte delle donne, del persistere di una situazione di profonda asimmetria e di squilibrio tra i ruoli sessuali. Nasce come critica all’uso di quel binarismo sessuale che, per secoli, si è tradotto in una precisa gerarchia dei ruoli, consegnando alla biologia l’origine dell’inferiorità femminile”, dice la Barbara Gelli (in Psicologia della differenza di genere, 2009). Questo vuol dire che il termine “genere” permette di introdurre un elemento di variabilità
in quel percorso che, a partire dal sesso biologico di appartenenza alla nascita, faceva corrispondere un ruolo preciso e predeterminato. Secondo questa interpretazione, non era il sesso biologico a determinare il ruolo, il comportamento, le aspettative della società e, in definitiva, l’essere uomo e donna adulti, ma il genere. Secondo questo paradigma femminista, era possibile interrompere il determinismo che portava una bambina ad essere una donna trattata in modo ineguale e peggiore rispetto agli uomini, spezzando e destrutturando gli influssi culturali e sociali che determinavano il ruolo femminile, dal momento che tali influssi non erano affatto innati, ma culturalmente costruiti e quindi, modificabili. Se infatti è attraverso l’influenza sociale e culturale che si condiziona il genere di una persona, che si attua la discriminazione maschilista, attraverso lo stesso canale si può operare per modificare le aspettative intorno ai ruoli sessuali e, scrive la Gelli, riferendosi al femminismo liberale americano degli anni settanta, la socializzazione cambierebbe di conseguenza. A riguardo Piccone Stella e Saraceno affermano: “La scelta di ricomprendere i due sessi e i loro rapporti nell’espressione genere
Le caratteristiche della mascolinità e della femminilità, così come ci sono date dalla stessa natura, anche in termini di risorse specifiche e peculiarità.
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Da premesse talvolta giuste e intenti condivisibili, si è arrivati a conseguenze sommarie e in alcuni casi fuorvianti, arrivando ad ignorare la realtà manifesta. risponde all’esigenza di attribuire il massimo peso a quanto vi è di socialmente costruito nella disuguaglianza sessuale, a quanto vi è di non biologicamente dato nella relazione di disparità tra uomini e donne. Questa scelta concettuale ha assegnato un’importanza particolare al lavoro delle scienze sociali e alla responsabilità di chi indaga sia il percorso storico che i meccanismi della disparità nel presente”. Ne consegue che anche l’educazione, influendo sul genere dei bambini in crescita, per non essere essa stessa apportatrice di disuguaglianze e discriminazioni dovrebbe uniformare il più possibile le differenze tra i due sessi in modo da riservare ad entrambi uguale trattamento, uguale possibilità di formazione e uguale accesso al lavoro. “Quello che sosteniamo è che le società abbiano la possibilità di minimizzare, anziché massimizzare, le differenze tra i due sessi, attraverso le loro pratiche di socializzazione”, affermano due studiose americane Maccoby e Jacklin in un importante studio. Un canale nel quale è possibile applicare questa intenzione di minimizzare il più possibile la differenza tra i due sessi è sicuramente l’educazione, ed è mia opinione che sia stato fatto in modo sbagliato: da premesse talvolta giuste e intenti parzialmente condivisibili, si è arrivati a conseguenze sommarie e in alcuni casi fuorvianti, arrivando ad ignorare la realtà manifesta. In questa opera di “progresso” civile e culturale che si proponeva di riconoscere alla donna pari dignità, si è arrivati a non considerare più le caratteristiche della mascolinità e della femminilità, così
come ci sono date dalla stessa natura, anche in termini di risorse specifiche e peculiarità. Al punto che alcuni contributi sul maschile e sul femminile arrivano a sfiorare il ridicolo quando si afferma, come fa la professoressa Anna FaustoSterling della Brown University, che la divisione della razza umana in due sessi, femminile e maschile, è una artificiosa costruzione della nostra cultura. “La natura ci offre più di due sessi e la nostra corrente nozione di mascolinità e femminilità è culturalmente derivata”, e anche: “la decisione di etichettare i bambini come ragazze o ragazzi è una decisione della società. Non c’è un o/o, piuttosto ombre e sfumature di differenze”. Si tratta di eccessi manifestamente risibili, che negano persino la realtà dei fatti. Alcuni si spingono a dire che i bambini non vanno più considerati come maschi o femmine ma in modo neutrale, in modo da non influenzarli e non “inculcargli” degli stereotipi sessuali inutili, antiquati. E questo è il caso di “Egalia”. Siamo a Stoccolma, Svezia. Qui dal 1998 il Governo ha varato una legge per consentire alle scuole di garantire pari opportunità tra maschi e femmine. E così nasce un
La furia egualitarista ha abbattuto talmente tanti muri di discriminazione e di presunta discriminazione da lasciare l’uomo “sbaraccato”, senza muri portanti e senza casa.
asilo nido, Egalia, specializzato nella neutralità di genere. Niente più «bambini» e «bambine», ma soltanto «amici». Niente più fiabe classiche dove i maschi stanno da una parte e le femmine dall’altra - al bando l’affettata Biancaneve e l’ammiccante Cenerentola, così come i nerboruti sette nani e il virile Principe Azzurro. Al loro posto la storia di due giraffi maschi che sono ansiosi di adottare un figlio e ripiegano su un uovo di coccodrillo, con tanto di scontato lieto fine. In questo asilo il reparto mattoncini da costruzione sta accanto alla cucina giocattolo, per invitare i piccoli a un “fertile” e continuo scambio di ruoli. Secondo gli educatori l’esperimento servirà a rendere i bambini più tolleranti. Nien-
Un manifesto che inneggia all’uguaglianza di genere. La scritta dice “E la sua ascella puzza come quella di un uomo”.
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te barriere mentali. Tutto è fatto, pensato e detto per eliminare le differenze fra i sessi e contemplare, per contro, tutta la gamma possibile di appartenenze e ibridazioni. Secondo alcuni, Egalia dà ai bimbi la fantastica opportunità di essere quello che vogliono. L’obiettivo è quello di affrancare i bambini dalle discriminazioni di genere perché le differenze di genere sarebbero alla base dell’ineguaglianza. Eppure ancora una volta, credo che la furia egualitarista abbia abbattuto talmente tanti muri di discriminazione e di presunta discriminazione da lasciare l’uomo “sbaraccato”, senza
muri portanti e senza casa. Seppur si può condividere l’intento di aiutare i ragazzi a non essere discriminanti verso le altre persone e ad essere più accoglienti e sensibili, decisamente è sbagliato il metodo con il quale si cerca di arrivare a tale fine. Per educare al rispetto del genere di appartenenza degli altri, non si può non considerare e calpestare il sesso di appartenenza dei bambini. In tal modo si perde molto della ricchezza e possibilità dell’educazione a favore di ideologie troppo sganciate dalla realtà. Non è proficuo ed utile per i ragazzi non considerare ciò che è biologicamente dato e ritengo che nel processo educativo sia necessario rimanere all’interno di una cornice di riferimento non teoricamente costruita, o idealmente imposta, ma biologicamente data, come per altro affermano nel già citato studio le due psicologhe americane, Maccoby e Jacklin: “Dal nostro punto di vista, le istituzioni sociali e le pratiche sociali non sono il mero riflesso di ciò che è biologicamente inevitabile. Nella cornice fissata dalla biologia si può realizzare tutta una gamma di possibili istituzioni sociali. Sta agli esseri umani selezionare quelle Vorremmo che fosse Carnevale. Ma sta diventando una moda, per le nuove generazioni, quella del "gender bender", del "genere fluido", malleabile. E' più che mai urgente l'azione educativa e culturale, capillare, di ogni persona responsabile contro il dilagare di queste mascherate. Non è facile, perché "contro" abbiamo la TV e i media che purtroppo - sono gli educatori principali dei giovani e dei ragazzini, oggi. A maggior ragione ciascuno ha il dovere di impegnarsi, vigilare e contrastare questa deriva.
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istituzioni che favoriscono gli stili di vita che preferiscono”. Se si vuole ristrutturare una casa per adattarla a nuove esigenze, a nuovi stili, i muri portanti vanno lasciati intatti. Anzi è proprio a partire dai muri portanti che si può pensare ad una ristrutturazione e abbellimento. In altri termini non tener conto della differenza è a mio avviso la nuova forma di discriminazione, determinata da una furia egalitaria violenta e controproducente. La letteratura scientifica è ricchissima di studi sul cervello e sulle sue modalità di funzionamento correlate al biologismo dei sessi ed alle conseguenti differenze psicologiche. Viceversa la teoria del gender è una ideologia, che, seppur agganciata a visoni teoriche relative al costruttivismo sociale estremo, non ha supporti scientifici. Ecco dunque, come diceva Chesterton, che siamo giunti al punto di dover sguainare le spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Steven Pinker, celebre psicologo e divulgatore scientifico, nel libro per il quale ha vinto il premio Pulitzer, Tabula Rasa, si chiede come mai alcune frange del femminismo lottino strenuamente contro l’idea che uomini e donne siano differenti, che abbiano abilità differenti e quindi inclinazioni e propensioni specifiche. Certo, dietro questo accanimento contro la differenza tra maschi e femmine si nasconde il timore che “differente” corrisponda ad “ineguale” e quindi “ingiusto”. Molti studiosi sostengono che il femminismo di genere, nella sua lotta contro l’ineguaglianza, si sia messo in rotta di collisione con la scienza, perdendo di vista i criteri di una rigorosa e serena ricerca scientifica a favore di una fervente e ideologica battaglia. Eppure differente non corrisponde ad ineguale, anzi. Cogliere le caratteristiche proprie di qualsiasi realtà permette di relazionarsi con essa a partire dalle sue peculiarità, ed è, quindi, arricchente. Ecco perché ritengo che oggi negare la differenza, così come fa la teoria del gender, sia la più alta forma di intolleranza e di discriminazione.
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Massimo Gandolfini
Neurochirurgo e psichiatra, padre di sette figli e nonno di due nipotini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione Poliambulanza dell’Istituto Ospedaliero di Brescia. Membro della Commissione etica dell’Ordine dei Medici della Provincia di Brescia, è anche Consultore neurochirurgo della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi presso la Santa Sede. Membro del Consiglio esecutivo di Scienza & Vita, è presidente di Vita è.
Identità sessuata e teoria di gender: dalla biologia all’ideologia Le tecnologie più avanzate ci hanno consentito di documentare differenze anatomiche e funzionali fra il cervello del maschio e quello della femmina: la critica scientifica all’ideologia gender è rigorosa e inattaccabile. di Massimo Gandolfini
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a premessa necessaria per affrontare il tema in oggetto è precisare che lo strumento di lavoro adatto è la ragione. Si racconta che S.Tommaso fosse solito iniziare le sue conferenze mostrando all’auditorio una mela, accompagnando quest’atto con le parole: “Questa è una mela. Chi non è d’accordo può andar via”. Lo stesso K.Popper, uno fra i più autorevoli rappresentanti della filosofia relativista, affermò che la “corrispondenza al reale” è principio ineludibile per analizzare ogni tematica in termini di rigore oggettivo. La domanda di fondo da cui dobbiamo partire è la seguente: maschio o femmina è una realtà oggettiva o una libera scelta soggettiva? Maschio o femmina si nasce o si sceglie di diventarlo?
Il nostro specifico sesso è un apriori che ci siamo trovati addosso oppure è il frutto di una opzione personale? In termini ancora più generali, l’essere umano si presenta sulla scena della storia con un dimorfismo sessuale ben preciso che conosciamo dai primordi dell’umanità oppure è un essere asessuato o pansessuale che si autodetermina secondo un genere arbitrario? La biologia ci insegna che esistono due sessi, maschio e femmina, ciascuno por-
tatore di caratteristiche differenti e complementari, secondo un progetto ben definito: il patrimonio cromosomico - genetico. In tutte le cellule del nostro organismo, fra i 46 cromosomi che caratterizzano la specie umana, ve ne sono due, chiamati X e Y, cromosomi sessuali, che condizionano la strutturazione e lo sviluppo dell’organismo secondo le due linee del maschio o della femmina, con i correlati caratteri sessuali, primari e secondari. Que-
La “corrispondenza al reale” è principio ineludibile per analizzare ogni tematica in termini di rigore oggettivo.
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Perfino la pedofilia è entrata nel dibattito dei possibili generi a disposizione.
sta sessuazione dimorfica coinvolge l’intero corpo umano, cervello compreso, tanto che oggi si parla di cervello maschile e cervello femminile. Le tecnologie più avanzate di neuroimaging - quali la RMN funzionale e la SPECT - ci hanno consentito di documentare differenze anatomiche e funzionali fra il cervello del maschio e quello della femmina. Senza entrare in dettagli troppo tecnici, possiamo dire che il primo è caratterizzato da una rigida lateralizzazione delle funzioni simboliche, quali il linguaggio, con aree funzionali specifiche nell’emisfero dominante (solitamente il sinistro). Al contrario, nella donna vi sono aree deputate al linguaggio anche nell’emisfero destro, e il sistema di interconnesione fra i due emisferi (soprattutto il corpo calloso) è maggiormente rappresentato - anatomicamente e funzionalmente - rispetto al maschio. Tutto ciò ci dà ragione di quanto la psicologia del comportamento ci dice da molti anni: il funzionamento della mente è differente fra maschio e femmina. Il maschio è caratterizzato, in linea di massima, da un pensiero che definiamo
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“lineare”, cioè in grado di gestire appieno un compito per volta, mentre il cervello femminile appare idoneo a gestire adeguatamente - con ottimi risultati - più compiti contemporaneamente. Per questa ragione lo denominiamo pensiero “circolare”, cioè non sequenziale. Non senza una certa dose d’ironia, si dice che le donne sono “multitasking” e gli uomini no! Ma da dove origina questa differenza che coinvolge la totalità del nostro corpo? Deriva dal patrimonio genetico, dai cromosomi, che abbiamo ereditato dai nostri genitori. La mamma ci ha trasmesso 22 autosomi ed un cromosoma sessuale, il cromosoma X, tramite il gamete femminile, l’ovocita o cellula uovo, mentre il papà, insieme ai suoi 22 autosomi, ci ha dato un cromosoma sessuale che può essere X o Y, tramite il gamete maschile, lo spermatozoo. Risultato: 46XX o 46XY, femmina o maschio. Fino alla settima settimana di vita gestazionale (intrauterina) la sessuazione gonadica (ovaie o testicoli) è bipotenziale. A quella scadenza entra in gioco il cromosoma Y, indirizzando la differenziazione gonadica verso la formazione dei testicoli; in sua assenza, lo sviluppo si indirizza verso la formazione delle ovaie. Il cromosoma Y è il vero “determinante biologico” della ma-
scolinizzazione: caratteri sessuali primari e secondari, ormoni, sessuazione cerebrale. La femminilizzazione non avviene per processo attivo, ma si compie in assenza di ormoni maschili (androgeni), regolati dal cromosoma Y. Il cromosoma Y, benchè morfologicamente e strutturalmente molto più piccolo della X (è lungo 1/3 della X, contiene circa 100 geni contro i circa 1500 della X, e “solo” 65 milioni di basi) è dotato di una grande efficienza e penetranza biologica, condizionata da una complessa rete di interazioni geniche (gene SRY, chiamato “interruttore maschile”, gene SOX3, gene SOX9, geni della spermatogenesi, ecc.). E’ abbastanza facile intuire che - data la complessità dei processi in gioco - è possibile, ad ogni livello, che questo affascinante meccanismo s’intoppi, passando dalla biologia fisiologica descritta alle forme patologiche dello sviluppo sessuale. La medicina moderna descrive patologie riguardanti il sesso genetico, il sesso gonadico, il sesso fenotipico: tutte situazioni condizionate e provocate da specifiche alterazioni dell’assetto normale dei meccanismi di differenziazione sessuale. Allo scopo di evitare confusioni o interpretazioni erronee, va chiarito che l’omosessualità non è riferibile alle situazioni patologiche sopra elencate. Si tratta di una condizione molto più complessa, in parte ancora molto poco conosciuta nei suoi determinanti più strutturali, che esula dalla finalità del presente lavoro. Può, invece, essere utile - nel contesto del tema della sessuazione cerebrale - affrontare il tema del “transessualismo”.
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La biologia ci insegna che esistono due sessi, maschio e femmina, ciascuno portatore di caratteristiche differenti e complementari, secondo un progetto ben definito: il patrimonio cromosomico - genetico. La “disforia di genere” (GID: Gender Identity Disorder) o transessualismo è la condizione vissuta da un soggetto di un dato sesso che si sente “imprigionato in un corpo sbagliato”. Si parla di due varianti: da maschio a femmina (M/F), e da femmina a maschio (F/M). Circa la causa, peraltro ancora non ben definita, si propende per una genesi multifattoriale, in cui prevalgono le componenti ambientali-relazionali (famiglia, ambiente sociale e culturale), rispetto al dato biologico-genetico (sessualizzazione atipica legata al testosterone). Circa l’aspetto “cerebrale” è interessante quanto indagini di neuroimaging ci hanno documentato: soggetti transessuali M/F hanno una normale lateralizzazione del linguaggio con caratteristiche maschili, e soggetti transessuali F/M con caratteristiche femminili. Ebbene, in ambito di cure per riassegnazione del sesso finalizzate al superamento della condizione disforica, queste caratteristiche di sessuazione cerebrale risultano non essere modificabili con terapia ormonale postnatale. L’imprinting ormonale intrauterino ha condizionato la sessuazione cerebrale in modo non più modificabile. Ciò può costituire una chiave interpretativa del fatto che, in una grande maggioranza di casi, soggetti che hanno compiuto tutto il lungo percorso di riassegnazione sessuale, giungendo fino al traguardo tanto desiderato ed atteso, appaiono profondamente insoddisfatti, inappagati, ancora sofferenti.
Concludendo, la biologia ci consegna una umanità caratterizzata da un chiaro dimorfismo sessuale, maschio e femmina, oggettivamente intellegibile e descrivibile. Forme “grigie” esistono e le abbiamo elencate, precisando che si tratta non già di condizioni fisiologiche, bensì di patologie, altrettanto ben studiate ed oggettivabili. L’identità sessuata di ogni essere umano, sul piano biologico, non lascia spazio ad interpretazioni personali o a scelte individuali. Avendo, dunque, ben chiaro tutto quanto sopra argomentato, passiamo ad analizzare la cultura della cosiddetta “teoria del gender”. Per “gender” (genere) si intende una libera scelta soggettiva ed individuale, variabile nel tempo, che il soggetto compie sulla base della percezione che egli ha di se
stesso, in un dato tempo, e che è, quindi, slegata dalla propria appartenenza di sesso: si può biologicamente appartenere ad un determinato sesso, ma scegliere per sé un diverso genere, modificabile nel tempo. Stante questa condizione, si è passati nel giro di pochi anni, dalla possibilità di scelta fra cinque generi (LGBTQ) alle recenti proposte di 53 o 56 generi diversi. Effettivamente, considerato che il principio che regola la scelta è - come abbiamo detto - la percezione di sé (che, oltretutto, non è fissa, ma continuamente mutevole e variabile) è conseguenziale che i “generi” devono essere numerosi, teoricamente, senza limiti di numero, dovendo rendere disponibile ogni opzione, comprese le più naif. Non a caso perfino la pedofilia è entrata nel dibattito dei possibili generi a
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Si può biologicamente appartenere ad un determinato sesso, ma scegliere per sé un diverso genere, modificabile nel tempo?
disposizione (con l’unica clausola che il minore sia “consapevole e consenziente”!). E’ in quest’ottica che proprio Judith Butler, nel 2004 (“Undoing Gender”, Routledge, New York) ha sostenuto la liberazione dal gender rigido e fisso, proponendo un “sesso fluido”, piegando il concetto stesso di gender (il termine utilizzato è “to bend gender”, piegare il genere), a favore di un “queer” che contempla scelte sempre rivedibili, modificabili, modellabili, ristrutturabili nel tempo, figlie di “identità fluide”. Sul piano filosofico, il genere “queer” affonda le sue radici nel principio del “nomadismo”: l’uomo è un essere privo di identità, sconosciuto all’altro e nomade a se stesso, dotato della libertà più assoluta di costruire e decostruire, fare e disfare la propria identità, fondando la totale “performatività dell’agire e del fare” (opera citata).
La proposta culturalmente oggi più avanzata: abolire anche il termine “gender” sostituendolo con “nuovi modi di essere”, collegati al cosiddetto “queer not labeling” (non classificabile).
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Per la verità, già Donna Haraway, nel suo lavoro “Manifesto Cyborg”, nel 1991, e Rosi Braidotti in “Nomadics Subjects”, 1994, avevano affrontato il tema della “liquefazione dell’umano”, preconizzando il nomadismo antropologico come tappa intermedia di un percorso di evoluzione dell’umano che - partendo dall’eguaglianza, identitaria e sessuale, e dalla decostruzione di ogni stereotipo rigido (sessista e addirittura “genderista”) - traghetta l’uomo all’indifferentismo e - grazie allo sviluppo tecnologico (clonazione, riproduzione agamica extracorporea, utero artificiale) - al “transumanesimo”. L’uomo supera se stesso modificando la biologia, rifonda l’umano stesso, elimina ogni categoria antropologica, e si automodella (autopoiesi) arbitrariamente. Nasce così la proposta culturalmente oggi più avanzata sul fronte dell’ideologia di rifondazione dell’umano: abolire il termine stesso “gender” sostituendolo con “nuovi modi di essere”, collegati al cosiddetto “queer not labeling” (non classificabile). Il nuovo acronimo proposto (2008), per soppiantare l’ormai datato LGBT, è FABGLITTER (Fetish - cioè “feticista”, Allies - cioè eterosessuali gay friendly, Bisexual, Gay, Lesbian, Intersexual, Transgender, Transexual, Transexual Engendering Revolution). A questo punto, penso si possa concludere evidenziando l’enorme diversità fra il concetto di identità sessuata e la “teoria” del gender.
La prima ha radici precise, chiare, rigorose, non opinabili, scientificamente comprovate ed argomentate; la seconda è un classico esempio di “ideologia”, moderna edizione della filosofia gnostica, autoreferenziale che non solo non ha alcun legame con il dato biologico strutturale, ma nega perfino il popperiano principio della “corrispondenza con il reale”. Ci troviamo di fronte ad un arbitrio autoperformante che - a mio parere - tanto ricorda “l’abominio della desolazione stare nel luogo santo”(Mt. 24, 15-20). Ove “santo” è molto semplicemente la vita, la vita naturale.
Quella del gender non è una “teoria” ma una “ideologia”: moderna edizione della filosofia gnostica, autoreferenziale che non solo non ha alcun legame con il dato biologico strutturale, ma nega perfino il popperiano principio della “corrispondenza con il reale”.
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Giuliano Guzzo
Laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collaboracon diverse riviste e portali web fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com
Uno scorcio suggestivo di Bolzano
Gender a scuola: a Bolzano è già realtà Con i denari pubblici si vuole introdurre nelle scuole l’indottrinamento all’ideologia gender. Il disegno di legge Fedeli stanzia in proposito più di 200 milioni di euro. Ma Bolzano precorre i tempi. di Giuliano Guzzo
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l disegno di legge finalizzato ad introdurre nelle scuole l’educazione di genere, a firma di Valeria Fedeli (Pd), Vicepresidente del Senato, al momento di andare in stampa, non è fortunatamente ancora stato approvato eppure nel Paese vi sono già moltissimi esempi di come, in nome della lotta alle disuguaglianze, la teoria gender stia penetrando in ambito scolastico. Un caso clamoroso è indubbiamente quello di Bolzano, dove i promotori di questa teoria - che si sostanzia nella negazione di una differenza fra maschile e femminile che non sia meramente genitale - hanno trovato significative alleanze istituzionali. Fortunatamente, come nel resto d’Italia, a Bolzano non c’è alcun “allarme omofobia”. Ciò nonostante nel dicembre 2012 il Comune ha pensato di sottoscrivere un protocollo d’intesa con l’Associazione “Centaurus”, circolo affiliato Arcigay, per «la promozione di una maggiore consapevolezza sui temi dei diritti civili e del superamento del pregiudizio legato all’orientamento sessuale e all’identità di genere sul territorio della città». Quale sarebbe precisamente il pregiudizio legato «all’identità di genere»? Non è dato saperlo. Quel che è chiaro è che dall’attuazione del citato protocollo è guarda caso scaturito un progetto “peer education”, da attuarsi guarda caso nelle scuole.
Per realizzarlo - come la stessa associazione “Centaurus” spiega sul proprio portale web - si cercano «volontar* dell’età compresa tra i 16 e i 20 anni, che abbiano voglia di informare e sensibilizzare giovani e adolescenti sui temi dell’omosessualità e della transessualità». Unico vero requisito richiesto ai «volontar*» è la voglia di «abbattere pregiudizi e discriminazioni legati all’orientamento e all’identità sessuale». La competenza sembra difatti essere un problema secondario, del tutto superabile «in 2 weekend» grazie al supporto di non meglio precisati «esperti» sulle tematiche LGBTQI. Così, mentre a Bolzano questo progetto “peer education”, come precisa Centaurus, «per la maggior parte finanziato dalla mano pubblica» sta pian piano diffondendosi - si ha notizia di un primo incontro tenutosi
Il Comune ha sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Associazione “Centaurus”, affiliata all’ Arcigay, per il «superamento del pregiudizio legato all’orientamento sessuale e all’identità di genere sul territorio della città».
al Ginnasio di Scienze Sociali - pare legittimo porsi qualche domanda. Per esempio, quali e quante sarebbero le «discriminazioni di adolescenti LGBTIQ sotto forma di aggressioni verbali ed esclusione» cui fa riferimento l’associazione con la quale l’Amministrazione bolzanina collabora? Non è dato saperlo. Così come non è dato sapere esattamente - dicevamo prima - in che cosa consista il pregiudizio legato «all’identità di genere» da contrastare. Perché se s’intendesse davvero promuovere il rispetto reciproco «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» forse vi sarebbero personalità più titolate degli «esperti» di qualche associazione e dei suoi «volontar*», forti di una preparazione messa a punto «in 2 week-end» appena. Il fatto che invece da un lato si alluda senza specificare a pregiudizi e discriminazioni senza però mai scendere nel concreto, e dall’altro si affidi la rimozione di essi a «volontar*» formati in pochissime ore, qualche dubbio dovrebbe porlo. Se poi si pensa che anche il disegno di legge con cui si vorrebbe introdurre ufficialmente nelle scuole la teoria gender allude, senza mai definirle né quantificarle, «al problema delle discriminazioni contro ogni diversità, in particolare quella di genere», non si può fare a meno di pensare che dietro a ciascuna di queste iniziative vi sia un solo, e purtroppo distruttivo, disegno antropologico.
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Tutti i lettori di Notizie Pro Vita, ma in particolare i docenti, gli educatori e i genitori, sono invitati
SABATO 7 E DOMENICA 8 MARZO presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum via degli Aldobrandeschi, 190 - Roma al seminario di formazione organizzato dalle Associazioni
“Comitato Articolo 26” e “Non si tocca la famiglia” dal titolo
SAPERE PER EDUCARE: AFFETTIVITÀ, SESSUALITÀ, BELLEZZA.
Da una ricognizione scientifica sulle teorie "gender", alla progettazione educativa in tema di affettività e sessualità.
In collaborazione:
Con il sostegno:
Con il patrocinio:
Associazione ONLUS
La Facoltà di Bioetica e l’ISSR dell’Ateneo Regina Apostolorum di Roma
La Manif pour Tous Italia
ProVita onlus
Forum delle Associazioni Familiari del Lazio e della Puglia
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Primo piano
Francesca Romana Poleggi adre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte M del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, è direttore editoriale di questa Rivista. Finché la Provvidenza le darà forza, “griderà dai tetti” la verità, perché solo la Verità rende liberi.
Non voglio più essere gay Tutti proclamano la “fluidità dell’orientamento sessuale”: tutti possiamo cambiare “genere”, ma allora un omosessuale può ridiventare etero! E perché, allora, gli psicologi alla moda dicono che dall’omosessualità non si può guarire? di Francesca Romana Poleggi
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l portale internet “gay.tv” non sarà certo un sito omofobo. Quindi, se hanno pubblicato la testimonianza di Luis, un omosessuale che critica ferocemente l’ambiente LGBT, vuol dire che un fondo di verità deve esserci. Luis ci offre diversi spunti di riflessione: per prima cosa sa benissimo che verrà accusato di “omofobia interiorizzata”. Questo è l’escamotage ideologico che l’omosessualismo usa per mettere alla gogna, a volte anche in modo violento, gli omosessuali che si trovano a disagio nella loro condizione. L’ideologia perversa, che vuole piegare a sé la realtà della natura, infatti, pretende che un comportamento oggettivamente disordinato e che prevede rapporti sessuali oggettivamente innaturali, sia soddisfacente e appagante. Insomma se il sesso per il sesso, con la completa cosificazione del partner e del proprio corpo (cosa che accade anche tra eterosessuali, ovviamente) lascia alla fine con l’amaro in bocca - o peggio, il male è nel cervello della persona che soffre il disagio e non nella schifezza oggettivamente commessa. Poi dicono che è la Chiesa che crea i sensi di colpa…
Il nostro Luis, però, non si ferma all’ambito soggettivo, ma critica oggettivamente e spietatamente la comunità LGBT dove è entrato cercando “amore, intimità e fratellanza” e invece ha trovato “sospetto, infedeltà, solitudine e mancanza di unione: in questa comunità, c’è talmente tanto disgusto di se stessi che si incontrano continuamente uomini a pezzi, autodistruttivi, che sanno solo ferire, che sono crudeli e vendicativi gli uni contro gli altri”. Il povero Luis, per integrarsi, racconta di essersi sforzato di calpestare tutti i suoi convincimenti e i valori in cui credeva. L’uomo gay “fa sesso con chiunque ed è ossessionato dal sesso; superficiale, incapace di avere una relazione stabile, spaventato dall’intimità, privo di amor proprio; affetto dalla
Luis è entrato nella comunità LGBT cercando “amore, intimità e fratellanza” e invece ha trovato “sospetto, infedeltà, solitudine e mancanza di unione”.
sindrome di Peter Pan, con un odio per chi è più anziano”. E quindi è quasi indispensabile l’uso di alcol e droga. Anzi molti hanno uno spirito autodistruttivo: non si curano smaccatamente delle possibilità di contagio di malattie sessualmente trasmissibili (ricordiamo che le statistiche danno il contagio di AIDS in Italia, generalmente in diminuzione, tranne che per gli uomini che fanno sesso con uomini), hanno una “specie di ossessione per il rischio, e tanti gay scherzano col fuoco”. Quando lui ha fatto “outing”, ha incontrato tutta una serie di difficoltà tra amici e parenti che non volevano accettare la sua condizione. Nel “ribellarsi agli stereotipi” si è sentito vivo, rivoluzionario, realizzato. Ma nella comunità LGBT ha dovuto constatare amaramente: “Ma la verità è che noi non ci amiamo”. E poi dice: “Questa vita inizia a sembrarmi una specie di morte che ribolle piano piano a fuoco basso, e non la trovo più attraente come una volta. E’ una vita che ha davvero bisogno di qualche restauro… Pur riconoscendo di essere attratto dagli uomini, ho scelto di dissociarmi da uno stile di vita al di fuori della morale e della bontà. Vivere la vita gay è come infatuarsi di un cattivo ragazzo, di cui all’inizio
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L’uomo gay “fa sesso con chiunque ed è ossessionato dal sesso; superficiale, incapace di avere una relazione stabile, spaventato dall’intimità, privo di amor proprio; affetto dalla sindrome di Peter Pan. desiderate spasmodicamente l’attenzione e l’amore, ma che alla fine vi fa ribrezzo. Io non ci sto più”. Credo che ci sia poco da aggiungere a queste parole che tagliano più dei coltelli. Tuttavia mi pare necessario ribadire che è l’uso disordinato del sesso, come puro piacere fine a se stesso, che porta tutto questo (anche tra eterosessuali). Riguardo ai gay, però, questa testimonianza deve servire a promuovere l’accoglienza e il rispetto verso persone che in fondo soffrono e sono profondamente infelici. A livello umano e personale si può comprendere - se non addirittura perdonare - l’arroganza di molti. Ma a livello sociale questa testimonianza dimostra che è indispensabile ribadire che l’ideologia omosessualista - che è contigua all’ideologia gender - non deve poter proporre metodi, temi e percorsi educativi, soprattutto ai nostri bambini. E’ vero che non si può mai generalizzare, ma è vero che le esperienze come quella di Luis sono la norma. Se il nostro Luis allora cercasse aiuto da uno psicologo potrebbe sentirsi dire (dal presidente dell’Ordine, per esempio) che gli psicologi, secondo il Codice Deontologico, non possono prestarsi ad alcuna “terapia riparativa” dell’orientamento sessuale di una persona e dire che l’omosessualità può essere curata è un abominio scientifico.
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E grazie alla grancassa dei media, questa è l’opinione più diffusa. Ma non è vero. La comunità scientifica internazionale non ha rigettato le terapie “riparative”. L’APA (“American Psychiatric Association”) riconosce la “fluidità dell’orientamento sessuale”: tutti possiamo cambiare “genere”, ma un omosessuale non può ridiventare etero? La possibilità del cambiamento nell’orientamento sessuale è inoltre sostenuta da moltissime testimonianze. Alcune sono ormai note come quella di Luca Di Tolve, fondatore con la moglie dell’Associazione Gruppo Lot Regina della Pace Onlus; Andy Comiskey, fondatore di “Living Waters”; Michael Glatze, e tante altre meno famose, reperibili in diversi siti, tra cui www.narth.com e www.peoplecanchange.com. Ma la maggior parte, sono quelle silenziose delle centinaia di persone che con la loro vita di tutti i giorni, testimoniano la verità: “cambiare si può”. Il manuale diagnostico ICD-10 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riportando il disturbo F66.1 “Orientamento Sessuale Egodistonico”, specifica che «l’identità di genere o la preferenza sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o prepuberale) non è in dubbio, ma l’individuo desidererebbe che fosse diversa a causa di disordini psicologici e del comportamento associati, e può cercare un trattamento per cambiarla». Le terapie “riparative”, infine, che sono presentate come strumenti manipolatori, ascientifici o violenti, non sono affatto basate sulla coercizione: anzi sono praticabili solo su chi sia palesemente insoddisfatto del suo orientamento sessuale e quindi intenzionato a modificarlo. E’ proprio il Codice Deontologico degli psicologi che, nell’articolo 4, afferma: “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed
Luca di Tolve, vittima dell’abbandono da parte del padre quando è ancora un bambino, e del conseguente rapporto sbilanciato con la madre, mette in discussione la sua identità e intraprende il cammino omosessuale. Eletto Mister Gay negli anni Novanta, scala le vette del successo nel mondo gay: sesso, lussuria, potere, finché arriva l’Hiv. A quel punto qualcosa si rompe nell’equilibrio artificiosamente costruito in tutti quegli anni, e Luca rientra in se stesso. Intraprende così un percorso di conversione, su base psicologica e religiosa, che lo aiuta a scoprire e a sanare le ferite di tanti anni prima, fino a riappropriarsi della sua identità sessuale. Un cammino faticoso, fatto di tanti dubbi e cadute. Ritrovato se stesso, Luca incontra anche l’amore a lungo cercato e con Terry inizia una nuova vita, pervasa da una gioia e una pace mai sperimentate prima. all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori”. Quando il paziente esprime di voler modificare il proprio orientamento sessuale, non vale? La verità è che le persone come Luis, che hanno bisogno di ascolto e sostegno, non vengono ascoltate. L’ideologia impone di mettere all’indice le terapie riparative, di mettere alla berlina le associazioni e i gruppi che accolgono e sostengono chi sperimenta questo dolorosissimo disagio, e si dimenticano le persone: non ci si prende cura degli esseri umani.
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Rodolfo de Mattei
Laureato in Scienze Politiche, è Amministratore di RdMedia Srl, società attiva nel settore della comunicazione e di Internet. E’ autore di Gender Diktat (Solfanelli)
L’infanzia sotto l’attacco del “gender diktat” L’ideologia del gender per poter attuare il proprio piano rivoluzionario sferra il suo attacco ideologico su più fronti: cominciando dalla scuola ma non solo. La parola d’ordine è: “lotta agli stereotipi”. di Rodolfo de Mattei
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n materia di politiche per la “parità di genere” il paese all’avanguardia è la Svezia. La rivoluzione passa per il linguaggio e, a tale proposito, dal 2012, al maschile «han» (lui) e al femminile «hon» (lei) l’Enciclopedia nazionale svedese ha affiancato il pronome neutro «hen». Diverse agenzie governative utilizzano ordinariamente tale termine e studi specifici hanno riscontrato che, in un giorno medio, la parola «hen» si trova pubblicata sulle pagine di almeno 15 giornali. Introdotto in alcuni asili “gender neutral” di Stoccolma, il “terzo pronome” oggi sta iniziando a dare i frutti sperati. Sofia Bergman, una madre svedese di due bambini, ha raccontato entusiasta al noto settimanale americano “Newsweek”: «Non abbiamo ancora iniziato ad utilizzarlo in casa, ma è solo una questione di abitudine. (…) è una buona cosa se gli asili e scuole lo utilizzano». Non tutti sono, tuttavia, d’accordo con la promozione di tali politiche di genere. Tra questi, il dottor David Eberhard, uno dei più autorevoli psichiatri svedesi, mette in evidenza l’importanza dell’incontestabile dato biologico, sottolineando come l’introduzione di un nuovo pronome non cambierà il fatto che la stragrande maggioranza delle persone si identifica come uomini o donne: «Qualunque sia il modo con
cui si sceglie di chiamare le persone, le differenze biologiche tra uomini e donne restano. (…) ignorare le differenze di genere biologiche è da pazzi. Renderci identici non creerà più uguaglianza. (…) chiamare i bambini con il termine neutro “hen”, invece di lui o di lei? Questa è crudeltà infantile». L’impegno degli asili e delle scuole primarie svedesi nella promozione della parità dei sessi non si limita al
pronome neutro: «Stanno facendo di tutto anche per evitare parole come “pojkar e flickor” (bambini e bambine), utilizzando invece il vocabolo neutro “barn”». La Svezia è anche il paese dove per legge sono stati approvati 170 nomi unisex a disposizione di tutti quei genitori che, in linea con la filosofia gender, non vogliono “ingabbiare” i propri figli affibbiandoli nomi maschili o femminili troppo stereotipizzanti.
Se pensate che tutto ciò che dice questo articolo accada solo all’estero, in paesi lontani, guardate i giochi della “Cuntala”, che su www.cuntala.com si presenta così: “Progettiamo giochi divertenti e creativi che superano le divisioni tra nazionalità, mettono in discussione gli stereotipi di genere, danno spazio alle diverse tipologie familiari e preferenze sessuali che popolano il nostro mondo. Tra i nostri personaggi non trovate principi e principesse, ma bambine e bambini differenti per aspetto e colori, donne e uomini che svolgono i più disparati mestieri, sindache e sindaci, esploratrici ed esploratori, ruspisti e ruspiste, coppie omosessuali, famiglie multiculturali, e tanto di più. Ma, insieme a loro, frigoriferi, frullini, giraffe, elefanti … un universo di oggetti e personaggi per guardare fuori da cornici stereotipate, per imparare a riconoscere e a costruire un mondo di pari opportunità”.
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L’indottrinamento di genere delle giovani generazioni viene attuato a tutti i livelli, da quello scolastico a quello ludico. Tricia Lowther, membro di Let Toys Be Toys, una iniziativa inglese lanciata nel novembre 2012 per combattere gli stereotipi di genere all’interno degli spazi commerciali riservati ai giocattoli per bambini, nota soddisfatta come: «Ben quattordici tra i principali rivenditori hanno apportato modifiche da quando abbiamo iniziato la nostra campagna quasi due anni fa. (…) Hanno rimosso le insegne dedicate ai ragazzi e alle ragazze. I reparti blu e rosa ancora resistono, ma le cose stanno cambiando». Tra le imprese “gender-friendly” vi sono marchi importanti come: Tesco, Sainsbury, Morrisons, Boots ed altri. Sempre in Svezia, a Stoccolma, ha sede “Toca Boca” una piccola società specializzata nello sviluppo di applicazioni digitali, rigorosamente “gender neutral”, per bambini. Con 70 milioni di download in 169 paesi diversi Toca Boca si posiziona al secondo posto, dietro alla Disney, nella classifica di “Apple’s App Store” dedicata alle applicazioni per i più piccoli. Nel campo dei giocattoli per bambini, a dicembre 2014 è stata la volta della campagna “No Gender December”, un’altra iniziativa, questa volta australiana, volta a promuovere l’indifferenza sessuale e a rimuovere le obsolete categorie di maschio e femmina. Anche qui la parola d’ordine è “no agli stereotipi”
e, in questo senso, lo slogan della campagna parlava chiaro: “stereotypes have no place under my Christmas tree”. Il progetto è stato promosso dall’organizzazione “Play Unlimited” impegnata a combattere il cosiddetto “gender marketing”, rimuovendo le “segregazioni di genere” create dall’industria dei giocattoli e dai reparti commerciali dedicati a maschi e femmine. Quindi, premi e riconoscimenti a tutte le catene commerciali che hanno allestito reparti “neutri” e, al contrario, boicottaggio e schedature di tutti gli esercizi commerciali che ancora non si sono allineati all’imperativo “gender neutral”. Al bando dunque colori come l’azzurro e il rosa, sia all’interno dei reparti che sulle confezioni e tutto ciò che in qualche modo possa ricondurre a uno dei due sessi. I bambini dovranno sentirsi liberi di giocare con bambole e cucine e le bambine, allo stesso modo, potranno impugnare fucili e pistole senza per questo essere considerate dei “maschiacci”. Tony Abbott, primo ministro australiano ha dichiarato di non essere d’accordo con tale iniziativa, ed ha espresso il proprio disappunto facendo il verso allo slogan della campagna: “lasciate che i ragazzi siano ragazzi e le ragazze siano ragazze“. Una madre, intervistata riguardo la bontà di tale progetto, ha sottolineato il ruolo determinante giocato dalla natura, affermando: “io non incoraggio mia figlia a giocare con le Barbie e a vestirle con costu-
mi da fata, ma semplicemente lei è attratta naturalmente da tutto ciò“. Sulla scia della campagna nei confronti dei giochi “Let Toys be Toys”, nel marzo 2014, è sorto un movimento analogo dedicato ai libri per l’infanzia denominato “Let Books Be Books”. Scopo dell’iniziativa è persuadere gli editori a smetterla di catalogare e promuovere i propri libri suddividendoli in categorie maschili e femminili. Nella sua dichiarazione fondativa si legge: “i bambini ascoltano e prendono molto seriamente i messaggi che ricevono dai libri, dai giocattoli, dal marketing e dagli adulti che li circondano. Veramente noi vogliamo che loro credano che alcune cose siano “off-limits” per loro a causa del loro genere?[…] E’ tempo che gli editori lascino che i “libri siano libri” e lascino i bambini liberi di scegliere i propri interessi in autonomia”. Alcune importanti catene editoriali hanno già risposto all’appello. Nel novembre 2014, “Ladybird Books”, storica società editrice inglese, specializzata in pubblicazioni per bambini ha aderito infatti alla campagna, annunciando di impegnarsi a eliminare “titoli di genere” e rimuovere qualsiasi etichetta maschile o femminile in tutte le sue prossime ristampe. Anche la sua società madre, la divisione per bambini della multinazionale dei libri “Penguin Random House”, seguirà il suo esempio, cosi come altre importanti società editoriali del Regno Unito come “Dorling Kindersley”, “Chad Valley” e “Miles Kelly Publishing”. Dalla scuola, ai giocattoli, fino ai libri per l’infanzia il processo di corruzione dei minori indottrinati fin da piccolissimi al “gender diktat” fa parte di un ideologico e ben orchestrato piano di azione globale che si propone di avvolgere e stravolgere le loro vite nella fase più delicata e decisiva della loro crescita e formazione.
“La casa editrice italiana Lo stampatello nasce per colmare un vuoto nell’editoria infantile, quello rappresentato dalle famiglie in cui i genitori sono due donne o due uomini che si amano. Sono sempre di più i figli di coppie omosessuali in Italia ed è fondamentale per ogni bambino specchiarsi nei racconti e nei libri illustrati.” (http://www.lostampatello.com/chi.html) E questi libri illustrati - coerentemente - insegnano ai nostri figli ad essere di “genere fluido”…
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Profeta tra i Leoni
Il Profeta, fedele a Dio, non si scoraggiò e affrontò questa grande prova tra i leoni, e il Signore non lo abbandonò.
La strategia degli ideologi del gender Un genitore ha partecipato a un corso di formazione per “decostruire gli stereotipi di genere” e ha imparato molto, non tanto sull’ideologia perversa che i nostri lettori ben conoscono, ma sul modo subdolo con cui si insinua nelle teste degli adulti, e dei bambini soprattutto attraverso le favole. di Profeta tra i Leoni
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ecentemente ho partecipato ad un percorso (suddiviso in tre serate) organizzato da un’associazione familiare della mia zona e rivolto ai genitori, il cui tema riguardava l’utilizzo degli stereotipi nelle fiabe per bambini. Appena l’ho visto pubblicizzato, ho avvertito l’esigenza di parteciparvi, non solo perché la tematica mi suonasse interessante, ma anche nella speranza di riuscire ad incontrare coloro che si prodigano per diffondere la ideologia del gender. Direi che sono stato accontentato… Il percorso era gestito dall’Università Studi Interdisciplinari di Genere, centro che si propone di diffondere la cultura del gender attraverso scambi culturali e dibattiti scientifici, collaborazioni nazionali ed internazionali, nonché di mettere a disposizione di soggetti e istituzioni le competenze acquisite. Personalmente è stata la prima volta che ho potuto vedere in azione l’ideologia del gender, argomento che fino ad allora avevo studiato solo sui libri. I presenti non erano molti (eravamo un decina) e bene o male tutti avevano deciso di partecipare perché incuriositi dall’argomento. Ho avuto la sensa-
zione che la maggior parte di loro non sapesse niente della gender theory, né tantomeno fosse consapevole della portata delle affermazioni fatte durante la presentazione e verso dove realmente conduca la prospettiva del gender. Il percorso era suddiviso in una parte teorica in cui si è parlato di cosa sia il genere ed una parte più concreta, dove si sono analizzate alcune fiabe tradizionali (ed i relativi stereotipi) ed, infine, proposte delle alternative a-stereotipate. La relatrice delle prime due serate (bolognese e sui trent’anni), con stile informale e pacato, tra varie affermazioni assolutamente condivisibili, ha inserito anche concetti per nulla scontati. Anzi tutto per la gender theory il maschile ed il femminile sono
Le cose non vengono dette in modo netto (ossia con una frase chiara e monolitica), ma ‘tra le righe’, senza far cogliere la portata travolgente (e discutibile) delle affermazioni.
frutto della cultura. Fin dall’inizio ciò che mi ha colpito è la sottovalutazione delle differenze importanti insite nella dimensione biologica. Questo emerge dal fatto che le diversità fisiologiche sono state citate molto velocemente all’inizio e messe subito da parte. La relatrice ha evidenziato che le differenze sono un costrutto culturale. Questo però non è stato detto in modo netto (ossia con una frase chiara e monolitica), ma ‘tra le righe’, senza far cogliere la portata travolgente (e discutibile) dell’affermazione. Questa strategia collima con quello che scrive Dale O’Leary, Maschi o femmine? La guerra del genere, dove afferma che l’ideologia del gender viaggia come un sottomarino. Siccome mi è sembrato di capire che molti genitori non avevano colto sufficientemente questo concetto, in più occasioni sono intervenuto sottolineando come l’affermazione che ‘tutto è riducibile alla cultura’ sia un’ipotesi e non un dato dimostrato (né dimostrabile) e come non tutto sia riconducibile alla cultura, ma che molte differenze - e l’ho fatto citando le neuroscienze - siano ascrivibili a meccanismi biologici. La relatrice alle mie ‘provocazioni’, seguendo lo schema del “all’attacco-nonreagire”, mi ha dato ragione, ma
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contemporaneamente le ha ignorate, continuando sulla stessa linea (si è divincolata rapidamente). Poi, riguardo agli stereotipi, il percorso è stato quello di evidenziare come nella nostra società ci siano dei ruoli ‘maschili’ e ‘femminili’ che sostanzialmente generano disparità di trattamento (ai danni del femminile). È necessario, pertanto, cercare il più possibile di contrastarli, iniziando dall’educazione dei bambini. Anche in questo caso sono intervenuto affermando come i ruoli attribuiti nella società al maschile ed al femminile abbiano anche l’importante scopo di aiutare il bambino (maschio o femmina) a costruirsi un’identità sessuale il più possibile chiara, armonica. La relatrice dell’ultima serata (anch’essa bolognese e sui trent’anni), ossia quella dedicata alla fase più concreta del percorso, ha esordito, per parlare dell’importanza della narrazione, con una citazione dell’esistenzialista J. P. Sarte (quello de “L’inferno sono gli altri!”). Non nego che mi sono chiesto se non ci potevano essere altri autori, forse più vicini al mondo dell’infanzia, che potevano aver detto qualcosa di altrettanto intelligente. In merito alla narrazione, una delle chiavi di lettura che più mi ha colpito è quella dove si afferma che «lo storytelling è una pratica di controllo sociale e che le narrazioni possono legittimare il potere e le relazioni gerarchiche. Agiscono come forme di disciplinamento e controllo indiretto e creano una cultura di obbedienza». Le slide successive hanno diviso la serata in una pars destruens e una pars construens.
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Nella pars destruens si sono evidenziati gli stereotipi di genere (maschile e femminile) nelle fiabe più famose (Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Biancaneve, ecc.). L’obiettivo è stato quello di mostrare come da queste favole il femminile venga rappresentato sostanzialmente come negativo (passivo, ingenuo, malvagio, inetto), mentre il maschile sia sostanzialmente positivo (caratterizzato da forza, orgoglio, coraggio, tenacia, intelligenza, ecc). Nella pars construens sono state date alternative a queste fiabe. La relatrice ha presentato una serie di libri per l’infanzia che invitano a decostruire questi stereotipi, prendendo a riferimento case editrici quali “Lo stampatello” (libro citato: Il bell’anatroccolo), “Fatatrac” (libro citato: Ma Zaff, tu sei maschio!), “Settenove” (libro citato: C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa?, Papà aspetta un bimbo) tutte orientate a contrastare la violenza di genere. Inutile sottolineare come (invito i lettori a prendersi un po’ di tempo per visitare il sito di questi editori) queste nuove realtà editoriali siano molto vicine alle logiche del mondo LGBTQ.
La relatrice alle mie ‘provocazioni’, seguendo lo schema “all’attacconon-reagire”, mi ha dato ragione, ma contemporaneamente le ha ignorate, continuando sulla stessa linea.
Chiaramente tutti prendevamo appunti, perché, quando un esperto parla, gli ignoranti devono imparare… Voglio concludere questo mio intervento segnalando che in tutte e tre le serate, accanto alla riflessione sugli stereotipi maschili e femminili, le relatrici, velocemente e con arte, hanno buttato lì un concetto vicino al mondo LGBTQ. Un esempio fra tutti: nell’ultima serata, presentando un libro della casa editrice “lo stampatello”, la relatrice ha presentato anche la favola del ‘Piccolo uovo’, il cui obiettivo è di infondere fin da bambini l’idea che ci sono molte tipologie di famiglie e che, parole testuali della relatrice, tutte sono buone dal momento in cui ci si vuole bene. Questa breve parentesi, che sembrava essere solo informativa (ma che era del tutto fuori tema), è passata indisturbata. La gender theory passa attraverso momenti come questi: getti il sasso e vedi cosa succede. Se non c’è reazione, allora vuole dire che il terreno probabilmente è pronto anche per altro. Provando a fare una sintesi somma di quest’esperienza, devo ammettere che questa gente ci sa fare. È gente che, con grande scaltrezza e convinzione, in un unico calderone mescola concetti assolutamente condivisibili con altri del tutto discutibili e rivoluzionari. Questi ultimi però, sembrano buttati a caso e fra parentesi, in modo tale da dire le cose senza attirare troppo l’attenzione. Stanno infondendo la prospettiva di genere a piccole dosi, senza dare nell’occhio. Per smascherare la prospettiva di genere ci vuole conoscenza, attenzione e capacità di leggere ‘tra le righe’.
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Claudia Cirami
Siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica. * sorrialba@gmail.com
La lezione di catechismo, dipinto di Jules-Alexis Muenier, 1890
Insegnanti di religione: quale futuro? Non è ancora stata approvata la legge Scalfarotto (almeno fino al momento di mandare in stampa questo numero di Notizie ProVita) e già le accuse di omofobia fioccano e fanno scattare la gogna mediatica. I primi ad andarci di mezzo sono gli insegnanti e soprattutto quelli di religione. di Claudia Cirami
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estieri pericolosi: l’insegnante di religione”, titolava la Nuova Bussola qualche tempo fa. Anche insegnare religione cattolica sembra essere diventato un mestiere a rischio. Una vicenda è esemplare in tal senso. Pochi mesi fa, ad una docente di Moncalieri (To) è stata affibbiata l’etichetta di omofoba (con pressione mass-mediatica e interrogazione parlamentare) per aver discusso di omosessualità in classe con alcuni alunni - di fatto provocata dalla domanda di uno di loro. La docente si è limitatia ad esporre i diversi punti di vista sull’argomento, compresa la possibilità, per gli omosessuali che vivono con disagio la loro condizione, di un percorso psicologico e spirituale che li porti verso l’eterosessualità. Non c’era volontà di indottrinamento, né discriminazione: doveva essere un dialogo in classe, è diventato un caso nazionale. Si può discutere se sia opportuno che gli insegnanti approfondiscano argomenti di cui, per vari motivi, gli alunni non sono in grado di cogliere tutti i passaggi. Tuttavia, il caso montato su questa vicenda mostra che è in corso un attacco ideologico più che una discussio-
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ne serena che miri al vero bene degli alunni. L’attacco non riguarda certo i soli insegnanti di religione. La posta in gioco è alta: vita, famiglia, educazione sono i veri obiettivi dei “carri armati” intellettual-mediatici del pensiero unico. E’ chiaro, però, che, in una scuola sempre più laicista anziché laica, i primi a fare le spese delle intolleranze della nuova “tolleranza” sono proprio gli insegnanti di religione. Prima ancora dell’avanzata del gender, contro di loro, a più riprese, si erano levate voci. La loro viene avvertita come una presenza confessionale all’interno delle mura scolastiche. Nonostante i chiarimenti sulla natura dell’insegnamento della religione cattolica (IRC), che non è un’ora di catechismo, ma una disciplina facoltativa che si configura come “un servizio educativo e culturale” rivolto “a tutti quanti sono disposti a considerare i grandi problemi dell’uomo e della cultura, a riconoscere il ruolo insopprimibile e costruttivo che, in questi problemi, ha la realtà religiosa e a confrontarsi con il messaggio e con i valori della religione cattolica espressi nella storia e nel vissuto del nostro popolo” (Nota CEI 1991), la diffidenza e l’ostilità permangono. Tuttavia, con il diffondersi capillare dell’ideologia gender, i pericoli
per gli insegnanti di religione sono aumentati. Che sia provocatoria o sincera, la domanda sull’omosessualità può arrivare in qualsiasi momento durante una lezione di IRC. Sarà ancora possibile dire che esiste un’altra visione rispetto a matrimoni e adozioni gay in un clima culturale sempre più “gay-friendly”, che confonde volutamente i termini del discorso e che predica i diritti per tutti, meno che per i bambini? Questa vicenda mostra che sarà sempre più complicato: il rischio è quello di essere fraintesi, più o meno volontariamente, e accusati di omofobia. Negli anni futuri, servirà una maggiore prudenza da parte degli insegnanti di religione. Bisognerà evitare trappole che scattano rapide, con il concorso di media furbi, politici infidi e curie non sempre pronte a “fare quadrato” attorno agli insegnanti di religione. Occorrerà essere sempre più preparati nella propria disciplina e scegliere con attenzione i modi con cui proporre i contenuti. Nello stesso tempo, però, gli insegnanti di religione non dovranno rinunciare alla parresia, perché non succeda che, per quieto vivere, la loro diventi una presenza di facciata nel mondo scolastico. Sapienti sì, ridotti al silenzio mai.
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Scienza e morale
I rischi connessi alle pratiche omosessuali Abbiamo buoni motivi per ritenere che buona parte di coloro che predicano l’accettazione delle istanze LGBT lo facciano per moda o per motivi ideologici e non abbiano affatto a cuore la salute, il benessere e i diritti dei soggetti interessati. di Alba Mustela
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media e la moda politicamente corretta tace sistematicamente sui rischi fisici, emotivi e spirituali che corrono le coppie omosessuali e che invece sono segnalati da diversi studi scientifici, di alcuni dei quali vorremmo dar conto qui di seguito. Le relazioni omosessuali sono instabili. Molto più instabili di quelle eterosessuali1. Le coppie omosessuali che durano di più (a differenza di quelle etero) sono quelle “aperte” alla promiscuità, dove non si soffre di gelosia. I rischi dell’attività sessuale promiscua sono legati alla trasmissione dell’AIDS e delle altre malattie sessuali (anche se Xiridou2 dimostra che l’86% delle infezioni considerate avvengono nell’ambito di un rapporto tra partner stabili). Ma l’instabilità dei rapporti ha conseguenze negative anche dal punto di vista psicologico: una condizione permanente di tensione che può causare forme anche gravi di stress emotivo. La stessa conclusione è stata tratta a proposito delle relazioni lesbiche3 anche quando abbiano concepito un figlio con l’inseminazione artificiale4. Non sorprende quindi la conclusione di Mathy5, che ha analizzato
Grazie a LifeSiteNews siamo in grado di elencare almeno dieci studi scientifici che segnalano i rischi psico-fisici che corrono le coppie omosessuali. l’incidenza impressionante dell’orientamento sessuale sulla mortalità per suicidio in Danimarca, nei primi 12 anni dalla legalizzazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, utilizzando i dati provenienti da certificati di morte emessi tra il 1990-2001 e i risultati del censimento della popolazione danese. Questo studio ha rilevato che il rischio di suicidio tra uomini uniti con partner dello stesso sesso è otto volte maggiore del rischio di suicidio per gli uomini sposati in un matrimonio eterosessuale. Gli omosessuali, infatti, soffrono più facilmente di problemi mentali rispetto agli eterosessuali. E quando diventano più casti o - meglio - seguono un percorso spirituale, le condizioni mentali progressivamente migliorano6. Greenwood7 ha rivelato che il 7 per cento dei maschi eteroses-
suali ha dichiarato di aver subito abusi sessuali. Sono invece il 39 per cento dei maschi omosessuali che hanno riferito di aver subito violenza da altri maschi. Finneran8 conferma che l’incidenza della violenza, fisica, psichica e sessuale nei rapporti maschio - maschio raggiunge livelli allarmanti, molto più elevati che nei rapporti maschio - femmina. Houston9, infatti, conclude che più del 32% degli intervistati ha subito un abuso dal partner dello stesso sesso. Violenze quasi sempre connesse all’abuso di droga, alcol o alla depressione. Infine, pare che gli omosessuali tendano ad ammalarsi più facilmente di cancro10. Anche un articolo del 12 novembre 2014 del “Wall St. Journal” pone in risalto l’incidenza del cancro alla bocca e alla gola in chi intrattiene rapporti omosessuali. Incidenza che aumenta all’aumentare della promiscuità dei rapporti. L’infezione che precorre il tumore è molto difficile da individuare, alla base della lingua e tra le tonsille: quando si può diagnosticare il cancro è già allo stadio 3 o 4. Tacere tutto questo al pubblico non è un beneficio per le persone con tendenze omosessuali, è una vera forma di “omofobia”.
1 McWhirter, D. and Mattison, A, 1985, “The Male Couple: How Relationships Develop.” Upper Saddle River, NJ: Prentice Hall 2 Xiridou, M. et al., 2003, “The contribution of steady and casual partnerships to the incidence of HIV infection among homosexual men in Amsterdam,” AIDS 17:1029-38 3 Schumm, W. 2010. “Comparative Relationship Stability of Lesbian Mother and Heterosexual Mother Families: A Review of Evidence,” Marriage and Family Review 46: 499-509 4 Gartrell, N. & Bos, H. 2010. “U.S. National Longitudinal Lesbian Family Study: Psychological Adjustment of 17-year-old Adolescents,” Pediatrics, 126 (1): 28-36 5 Mathy, R. et al., 2011, “The Association between Relationship Markers of Sexual Orientation and Suicide: Denmark, 1990-2001,” Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology, 46: 111-117. 6 Harris, S. 2009, “Mental health, chastity and religious participation in a population of same-sex attracted men.” Doctoral dissertation 7 Greenwood, G. et al., 2002, “Battering victimization among a probability-based sample of men who have sex with men,” American Journal of Public Health, 92:1964-69, 8 Finneran, C., Stephenson, R., 2012, “Intimate Partner Violence Among Men Who Have Sex With Men: A Systematic Review,” Trauma, Violence and Abuse, 14: 168-185, e Buller, A. et al. 2014, “Associations between Intimate Partner Violence and Health among Men Who Have Sex with Men: A Systematic Review and Meta-Analysis.” PLOS Medicine, 11(3): e1001609. doi:10.1371/journal.pmed.1001609, 9 Houston, E. & McKiman, D.J., 2007, “Intimate Partner Abuse Among Gay and Bisexual Men: Risk Correlates and Health Outcomes,” Journal of Urban Health 84: 681-690, 10 Boehmer, U. et al. 2011, “Cancer Survivorship and Sexual Orientation,” Cancer, 117:3796-3804
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Antonio Brandi
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Famiglia ed economia
Jacopo da Empoli, Matrimonio di Eleonora de Medici e Vincenzo Gonzaga, XVI sec.
Non esiste il “matrimonio tradizionale” Per gentile concessione di Human Life International pubblichiamo in esclusiva in Italiano un articolo apparso sul giornale cattolico on line “The Wanderer”, che spiega in modo critico e razionale le ragioni del no al “matrimonio” omosessuale e a ogni suo surrogato. - Seconda parte di Brian Clowes
O
ggi assistiamo a un conflitto tra due concezioni rivali di matrimonio. C’è il matrimonio “naturale”, che è definito da due qualità. Anzitutto la sua qualità unitiva, il che significa che il marito e la moglie promettono di essere “una cosa sola”, fedeli l’uno all’altro, fino alla morte. La seconda è la natura procreativa, il che significa che l’unione del marito e della moglie è aperta alla possibilità di una nuova vita. Poi c’è la concezione “moderna”, che definisce il matrimonio come un legame emotivo tra i partner che si amano, finché l’amore dura. Secondo questa concezione la definizione di matrimonio è elastica: il matrimonio eterosessuale non è migliore né peggiore di quello tra omosessuali; il matrimonio tra due adulti consenzienti non è di per sé né più né meno ‘corretto’ del matrimonio tra tre (o quattro, o sei) adulti consenzienti. I sostenitori di queste tesi vedono il matrimonio come un mero mezzo che gli adulti possono usare per raggiungere un certo grado di felicità, soddisfazione e piacere. Quindi, il divorzio diventa inevitabile quando la felicità o l’amore finiscono. Il “finché morte non vi separi” è diventato “finché ci piace a tutti e due”.
Pertanto, al matrimonio “moderno” manca sia l’aspetto unitivo che quello procreativo (per avere un figlio due persone dello stesso sesso devono comprarlo): così il matrimonio perde totalmente il suo significato. Non è matrimonio affatto. Mentre il matrimonio è un’istituzione naturale proiettata verso l’esterno e oggettiva, il “nuovo” matrimonio è ripiegato su se stesso e soggettivo. Mentre il matrimonio naturale si basa su un voto permanente ed è orientato soprattutto verso la fondazione di una famiglia per il bene della società, quello “nuovo” è un contratto a tempo determinato orientato all’esclusivo piacere della coppia, senza alcun riguardo per il benessere della società o dei bambini. Il matrimonio naturale è fondato su alcuni fatti concreti e oggettivi: la complementarietà biologica e psicologica dei due sessi; l’impegno pubblico, solenne, per la vita, fatto di fronte a Dio; l’unione sessuale normalmente atta a generare, il dato oggettivo che i bambini crescono meglio con una madre e un padre e che famiglie sane e stabili sono la base necessaria per una società sana e in progresso. Alla luce di quanto sopra possiamo concludere che non esiste il matrimonio “tradizionale”. Per
utilizzare questo termine, infatti, bisognerebbe accettare la possibilità che ci potrebbero essere altri tipi, “non tradizionali” di matrimonio: se c’è un’architettura “tradizionale”, deve esserci architettura non tradizionale. Se vi è uno stile “tradizionale” di arte, quindi ci devono essere stili artistici “non tradizionali”. E a riprova di quanto sopra è scientificamente dimostrato da studi statistici inoppugnabili (si veda il numero di Gennaio di questa rivista) che le persone che contraggono matrimonio naturale sono molto più felici di quelli che celebrano le nuove forme di “matrimonio”. E infatti, se vogliamo essere felici, sappiamo bene che dobbiamo regolare il nostro comportamento adattandolo alle leggi immutabili e inflessibili della natura. Gli omosessualisti e gli ideologi del gender commettono il tragico errore di pensare di poter modificare le leggi della natura per soddisfare i loro desideri. Il risultato è inevitabile: una collisione frontale contro il muro della realtà, che si traduce solo in angoscia e infelicità. Questo è difficile da mandar giù, ma la regola è che Dio perdona sempre, l’uomo perdona qualche volta, ma la natura non perdona mai. (traduzione a cura della Redazione)
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Famiglia ed economia
Giulia Tanel
Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. Collabora con libertaepersona.org e con altri siti internet e riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella storia (Ed. Lindau).
Gravidanza per divertimento “17 ragazze”: un film che dice no all’aborto, ma che lascia l’amaro in bocca. di Giulia Tanel
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iciassette ragazze dello stesso liceo francese con diciassette pancioni. È questa la situazione paradossale narrata nel film diretto nel 2011 dalle sorelle Delphine e Muriel Coulin dal titolo “17 ragazze”, che porta in scena un fatto realmente accaduto tre anni prima nel Massachusetts. In un piccolo centro della Bretagna, la liceale Camille Fourier scopre di essere incinta a causa della rottura del preservativo durante un rapporto avuto con un ragazzo in occasione di una delle tante serate di ‘sballo’. Parlando della cosa con le sue compagne, la ragazza afferma: “Di sicuro qualcosa è cambiato. Non capite quanto mi sento strana. Comunque non ho ancora deciso... E poi se non lo tengo cosa cambia? È stata solo una sera”. Eppure, dopo qualche giorno la posizione di Camille nei confronti di suo figlio è già diversa, come emerge da un bel dialogo pro life che intrattiene con alcune compagne durante la pausa pranzo: - “Allora hai già deciso? Lo tieni?”, le domanda un’amica. Camille annuisce felice. - “Ma continui la scuola?” - Camille: “La gravidanza non m’impedirà certo di studiare. Anzi, al contrario, penso che sia una cosa positiva”.
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Le amiche la guardano perplesse. - Camille: “Può aiutarmi a dare una svolta alla mia vita” - “Al quarto mese le narici si aprono e le palpebre si formano”, afferma una ragazza. - “Grande! Le narici si aprono?”, ribatte un’altra. - “Cavolo, dev’essere bello!”, commenta un’altra. - Camille: “Sarà come se avessi due vite. Una a scuola e una con il bambino. Una vita al 200%. E poi avrò qualcuno che mi amerà per sempre, incondizionatamente”. Ben presto nel liceo si sparge la voce che Camille ha deciso di tenere il bambino, nonostante l’opposizione di sua madre, con la quale la ragazza non ha un rapporto positivo e che le rinfaccia senza remore: “Sono stata l’ultima a saperlo! [...] Abbiamo già abbastanza problemi. Volevi una vita di merda e adesso l’avrai!”. Ad ogni modo, da questo momento in poi nel liceo comincia a diffondersi l’idea che fare un figlio sia una maniera interessante per uscire dalla noia e per svicolare dal controllo possessivo dei genitori, che per legge non possono imporre alle figlie di abortire, anche se sono minorenni. “Pensate - afferma la carismatica Camille rivolta alle compagne - tutte incinte assieme. Saremo libere, felici e autonome. Tutte ci rispetterebbero. Scuola, bambini, tutto il resto...
insieme!”. Ed è così che diverse ragazze si fanno mettere incinta da ragazzi conosciuti in maniera occasionale, dando vita a una ‘moda’ che movimenta la vita della piccola cittadina Bretone. I mesi passano veloci e le pance delle ragazze crescono. Nonostante questo le ragazze non modificano di molto i loro comportamenti da adolescenti: continuano ad andare a scuola, a divertirsi, a fumare e a bere... senza preoccuparsi delle conseguenze di questi atti sulla formazione del bambino che portano nel grembo. Alla fine nasceranno quindici bambini e quasi tutte le ragazzemadri continueranno il liceo. Tuttavia allo spettatore rimane l’amaro in bocca. Infatti, nonostante sia positivo che nessuna adolescente decida di abortire, è altresì vero che nell’intero film la maternità viene banalizzata ed è concepita in maniera egoistica, quale mezzo per dare una svolta alla propria vita. Naturalmente senza con questo tenere in alcuna considerazione la figura del padre e soprattutto la preminenza del bambino, che è il vero soggetto cui bisognerebbe guardare quando si è di fronte a una nuova vita e che non può mai essere concepito come un oggetto atto a soddisfare i propri bisogni, ma solo ed esclusivamente come un dono di cui avere cura.
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Letture consigliate Tonino Cantelmi, Marco Scicchitano Educare al femminile e al maschile Edizioni Paoline 2013 Cosa è maschile, cosa è femminile? Che cosa è dato o che cosa è innato nell’essere maschio o femmina? L’essere diversi vuole dire essere anche diseguali? Che tipo di approccio è richiesto alle cosiddette agenzie educative, famiglia, scuola, istituzioni? Che valenza hanno le “scuole omogenee”, così diffuse nel mondo anglosassone? Gli Autori affrontano l’argomento esaminando l’importanza di un atteggiamento idoneo da parte di tutti gli educatori nell’incanalare le potenzialità dell’essere femmina o maschio dei propri figli o allievi. Il volume ospita un’intervista a Costanza Miriano ed una di Andrea Monda.
Gandolfini Massimo, Atzori Chiara Adozioni ai gay. Cosa dice la scienza Fede & Cultura Il fatto che le coppie eterosessuali possano adottare e quelle omosessuali no viene presentato come una discriminazione. Si dice che esistono evidenze scientifiche sul fatto che le coppie omosessuali sono parimenti idonee a quelle eterossesuali ai fini dello sviluppo psicofisico e del benessere generale dei bambini. Questo libro dimostra invece che queste teorie stanno destrutturando nel suo profondo il connettivo antropologico dell’uomo e che, proprio dal punto di vista scientifico, è fondamentale per un bambino crescere con un papà e con una mamma.
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