“POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00
Trento CDM Restituzione
Notizie
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
“Nel nome di chi non può parlare” Anno VI | Rivista Mensile N. 49 - Febbraio 2017
ABORTO
Il genocidio continua
PEDOFILIA
Meter protegge i nostri figli
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
SOMMARIO
Notizie
EDITORIALE
RIVISTA MENSILE N. 49 - Febbraio 2017
La guerra contro i bambini
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ABORTO
Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182
Redazione Toni Brandi, Federico Catani, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089
Aborto e FIV: la guerra contro i bambini piccoli piccoli Alba Mustela
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Povia: «Una pecora nera, saggiamente smarrita»
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Obiezione di coscienza e obiezione di intelligenza
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Andrea Giovanazzi
Enzo Pennetta
Un nuovo studio sul post-aborto
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L’aborto è una guerra anche contro le donne... e i fratellini
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Roberto Marchesini
Direttore responsabile Toni Brandi
Francesca Romana Poleggi
Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
Emiliano Fumaneri
Délit d’entrave à l’IVG
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«Fuori i pro-life dall’Università»
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Progetto e impaginazione grafica
Chiara Chiessi
francesca Gottardi
Tipografia
PEDOFILIA
Distribuzione
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Associazione Meter
Maria Suma
Il lato oscuro di internet: Cyberpedofilia
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“Infantofilia”: Meter denuncia, ma a pochi interessa
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Bambini orfani con genitori vivi
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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Associazione Meter, Marco Bertogna, Chiara Chiessi, don Fortunato Di Noto, Domenico, Emiliano Fumaneri, Andrea Giovanazzi, Roberto Marchesini, Alba Mustela, Adriana Passarello, Enzo Pennetta, Francesca Romana Poleggi, Maria Suma
Meter veglia sui nostri figli... da 27 anni!
Don Fortunato Di Noto
Adriana Passarello
Domenico
Racconto di un passato sempre presente
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Andiamo al cinema
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Marco Bertogna
UN ANNO DI NOTIZIE PROVITA
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EDITORIALE
L
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o strepitoso successo delle conferenze di Gianna Jessen alla fine dello scorso anno ci ha imposto di invitarla nuovamente in Italia e di dedicare parte di questa Rivista al tema dell’aborto, genocidio silenzioso in atto ormai da quarant’anni. Avrete notato che vi abbiamo fatto un regalino: una spilletta dorata. Si tratta del calco di dimensioni 1:1 dei piedini di un bambino, a dodici settimane di gestazione. Quello che si può abortire, secondo la legge 194, perché è “un grumo di cellule”, secondo molti... Parlando di aborto, poi, vale la pena ricordare che anche la madre viene terribilmente segnata dall’aborto: non solo dal punto di vista psichico, ma anche fisico. Questo viene ignorato dalla “cultura della morte”, che continua a minacciare chi cerca di aiutare le donne in difficoltà e a discriminare l’obiezione di coscienza. Come potete vedere, in questo numero di Notizie ProVita abbiamo voluto inquadrare il triste fenomeno dell’aborto nell’ambito di una vera e propria guerra in atto contro i bambini: se i piccoli si possono fabbricare e distruggere a piacimento dei grandi, è logica conseguenza che possano essere considerati oggetto di piacere, ad uso e abuso dei pedofili e della “filosofia” che sottende al pensiero che «Love is love». Perciò abbiamo voluto lasciare spazio alla denuncia, vigorosa e ferma, di don Fortunato Di Noto e della sua Associazione Meter, che da quasi trent’anni si batte contro la pedopornografia e per aiutare le vittime di quella che resta una forma di violenza considerata ancora (... ma per quanto tempo?) la più esecrabile e odiosa di tutte. Viviamo in un mondo sempre più “adultocentrico”, dove i bambini sono frequentemente considerati oggetti da assemblare, selezionare e comprare, da tenere o da eliminare, secondo il beneficio e il “desiderio” degli adulti. Questa guerra in atto contro i bambini va denunciata ad alta voce: ci sentiamo in dovere di svegliare le coscienze che subiscono sempre più efficacemente l’anestesia operata dai media e dalla moda del pensiero dominante. Le conferenze della Jessen lo dimostrano: nonostante l’arroganza dei metodi spesso totalitari e liberticidi usati dalla propaganda della “cultura della morte”, i suoi fautori sono pochi e destinati a soccombere. La vita si incarna nei nostri figli, e tramite loro continua oltre il limite temporale che a ciascuno di noi è assegnato. La vita vince e il rispetto e l’amore per i bambini sono naturalmente intrinseci alla ragione umana. La guerra contro i bambini è per natura una guerra persa... purché se ne abbia consapevolezza!
Toni Brandi
ABORTO E FIV:
Alba Mustela
LA GUERRA CONTRO I BAMBINI PICCOLI PICCOLI Pochi riflettono sull’ecatombe perpetrata ogni anno dall’aborto legale e dalla fecondazione artificiale
O
ggi davvero l’aborto è «libero, subito e gratuito», come gridavano le femministe negli anni Sessanta. L’aborto si ottiene subito. Le lamentele sugli ostacoli causati dagli obiettori di coscienza sono solo montature propagandistiche: i tempi d’attesa sono di pochissimi giorni. L’ultima Relazione del Ministero della Salute dimostra che, in media, ciascun medico non obiettore esegue circa 1,6 aborti a settimana, per 44 settimane all’anno. Inoltre, l’aborto è gratuito per tutte le donne che lo richiedono (ma costa circa 1.500 euro a intervento e il costo è sostenuto da tutti noi contribuenti). Infine, l’aborto è anche libero perché basta chiederlo, senza dover addurre motivi o certificazioni particolari... salvo poi andare a leggere nelle pieghe della vita reale che la “scelta” della donna non è sostanzialmente libera, perché in buona parte dei casi le donne sono costrette a scegliere l’aborto da persone e circostanze avverse. Il dato più allarmante, però, è che in Italia vengono effettuati circa 100.000 aborti chirurgici ogni anno. Le donne abortiscono con leggerezza per il processo diseducativo operato dalla propaganda, cui ha dato un contributo essenziale la legalizzazione: «Se è consentito, non può essere cosa cattiva…». Che la legge abbia un efficace valore pedagogico lo spiegava già Socrate ventiquattro secoli fa. Alcuni plaudono al “calo” degli aborti: nel 2015 ce ne sono stati 8.939 in meno rispetto al 2014. Ma contemporaneamente è diminuito il numero dei nati vivi e del tasso di fecondità: questo vuol dire che, in termini relativi, è solo la punta dell’iceberg, quella visibile, che va rimpicciolendosi; il grosso del fenomeno, la parte sommersa, va invece ingigantendosi. La stessa Lorenzin nella prima pagina della Relazione afferma che la diminuzione degli aborti chirurgici può 4
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essere legata al fatto che l’Ulipristal acetato (ellaOne o “pillola dei cinque giorni dopo”) si compra ormai senza ricetta medica: gli aborti prodotti dalle 145.101 confezioni di ellaOne vendute nel 2015 sono stati molti di più (almeno 27.424, considerando un tasso di concepimento del 20%) di quelli registrati in meno nello stesso anno (8.939). A questi vanno inoltre aggiunti gli aborti provocati dalla pillola del giorno dopo (Norlevo), dalla spirale (IUD) e dalle pillole estroprogestiniche nelle varie formulazioni. Inoltre, al numero di bambini morti a causa dell’aborto andrebbe sommato quello – imprecisato e imprecisabile – di piccoli uccisi con aborti chimici autoindotti con medicinali equivalenti alla RU486, magari secondo le linee guida offerte dalle cyber mammane (mammane? Sì, mammane!) che su internet spiegano come procurarsi un aborto “fai da te” senza troppe difficoltà. Se a tutti questi “cripto-aborti” aggiungiamo il numero spaventoso di bambini che muoiono nelle pratiche relative alla fecondazione artificiale (tra le 150 e le 200 migliaia l’anno), chi ha cercato di tirare le somme ha calcolato che in Italia vengono sacrificati ogni anno circa un milione di piccoli esseri umani. Sempre dalla relazione della Lorenzin, poi, risulta la continua crescita degli aborti tardivi (dopo la 12a settimana), che sono diventati 4.312 nel 2015 (ossia il 5% di tutti gli aborti, decuplicati rispetto allo 0,5% del 1981), 2.860 dei quali sono stati fatti dopo la 16a settimana e 1.044 oltre la 21a. Questo, fuori dalle cifre, vuol dire che in Italia si procede a una eliminazione eugenetica di tutti i bambini “imperfetti”, malati e non, Down o anche portatori di patologie come il piede torto e il labbro leporino, perfettamente curabili e sanabili. ABORTO
Andrea Giovanazzi
Giuseppe Povia
POVIA:
«UNA PECORA NERA, SAGGIAMENTE SMARRITA» Così si definisce il noto cantautore Povia, che abbiamo incontrato durante il tour di Gianna Jessen in Italia, lo scorso novembre
G
iuseppe Povia è nato a Milano il 19 novembre 1972. Il suo stile originale e i messaggi controcorrente gli hanno assicurato successi durante tutta la sua carriera. Nel 2003 ha vinto la XIV edizione del Premio Città di Recanati (oggi Premio Musicultura) con il brano Mia sorella (canzone che tocca il tema dell’anoressia e della bulimia). Nel 2005 ha partecipato al Festival di Sanremo con la canzone I bambini fanno ooh. Il suo primo album s’intitola Evviva i pazzi… che hanno capito cos’è l’amore, che ottiene il disco d’oro per le oltre sessantamila copie vendute. Nel 2006 vince la 56° edizione del Festival di Sanremo con la canzone
ABORTO
Vorrei avere il becco e pubblica il secondo album: I bambini fanno ooh... la storia continua (altro disco d’oro). Nel 2009 arriva secondo alla 59° edizione del Festival di Sanremo con la canzone Luca era gay, che narra la storia di un ex omosessuale, suscitando ovviamente un vespaio di polemiche. Esce il suo quarto album: Centravanti di mestiere. Nel 2010 partecipa ancora al Festival di Sanremo con la canzone La verità e pubblica Scacco matto, che riceve un altro disco d’oro. Nel 2012 viene pubblicato il suo nuovo lavoro dal titolo I ‘bambini’ fanno rock. È direttore artistico della prima “Scuola per Cantautori” italiana, che si trova a Grosseto. Nel 2013 avvia il progetto “Scuole 2017 Febbraio - n. 49
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in tour con Povia”, che prevede incontri musicali e dibattiti su canzoni a tematica sociale e che è rivolto ai ragazzi degli istituti d’istruzione secondaria. Ad aprile 2016 esce il doppio CD dal titolo Nuovo Contrordine Mondiale: autoprodotto, autodistribuito e a tiratura limitata, totalmente libero da multinazionali, da grandi distribuzioni e da portali digitali. Povia: un cantautore di successo che però scrive testi controcorrente, politicamente davvero scorretti, che danno fastidio a molti: primo fra tutti probabilmente Luca era gay. Ma anche I bambini fanno ooh mette al centro del messaggio una considerazione per i piccoli che in un mondo adultocentrico come il nostro va sempre meno di moda. O no? Il mondo è sempre più “profittocentrico”. Il grande potere, soprattutto culturale, sta portando via i bambini e la loro crescita ai genitori che, non essendo perfetti e dovendo lavorare sempre di più, fanno fatica a crescerli e hanno meno tempo da dedicargli. Uno Stato fatto da politici seri darebbe sussidi alle famiglie, incoraggiando il popolo non solo a stare di più con i figli ma anche a fare figli. Non avendo una moneta sovrana come quando avevamo la lira resta difficile, persino impossibile. Ha ragione l’avvocato Amato: la cosa più importante per una nazione è la sopravvivenza del suo popolo.
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Uno Stato fatto da politici seri darebbe sussidi alle famiglie, incoraggiando il popolo non solo a stare di più con i figli ma anche a fare figli
Quanto costa essere davvero controcorrente oggi nel mondo dello spettacolo? Poco. Praticamente per me basta gettone stile rimborso spese, una camera, un buon pasto (abbondante) e riuscire a vendere qualche disco dopo il concerto. L’ambiente della musica fa caciara silenziosa. Se ti attieni al tema dell’amore sei OK, se tocchi altri temi in modo secco, ti allontanano, facendo credere al pubblico che non fai più canzoni belle. Il pubblico piano piano dimentica, o ti ricorda per qualche canzone. 6
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Che differenza c’è tra i bambini che “fanno ooh” e i bambini che “fanno rock”? Mi piace l’idea che i bambini del 2005, quelli che avevano in media dai cinque ai dieci/dodici anni oggi, nel 2016, siano più grandi ma sempre gli stessi... con la consapevolezza di un mondo che gli sta rubando il tempo e i sogni. Quindi essere rock per me vuol dire essere “roccia” nell’approccio con la vita. Ma i bambini, per poter “fare ooh!” prima devono nascere. Povia, cosa pensa dell’aborto? Sono contro, ma non voglio essere assolutista. Ricordo un’amica (era l’inverno del 1989, credo) che subì una violenza tosta da tre balordi sconosciuti all’uscita della discoteca “Time”, a Milano. Il caso volle che rimase incinta a quindici anni. Rifiutò il bambino: era una brava ragazza, pulita, educata, bellissima. Tutt’oggi comprendo la sua scelta e quella dei genitori (credenti praticanti). [Noi non siamo d’accordo. Di questo terribile argomento riparleremo in un’altra occasione con Povia, se sarà possibile, e con i nostri Lettori: ci siamo mai chiesti cosa pensa dell’aborto il bambino frutto della violenza? E nessuno sa – del resto – che persino in caso di stupro chi ha scelto la vita non se n’è mai pentita. Invece, aggiungendo violenza su violenza, chi abortisce deve poi affrontarne le conseguenze… NdR]. Che cosa l’ha colpita della testimonianza di Gianna Jessen? Il grande coraggio e soprattutto il libero arbitrio finalizzato a messaggi di speranza. A Lei, che se ne intende anche di geopolitica, offro questo spunto di riflessione: l’aborto è libero, a richiesta (senza dover addurre alcun motivo), per tutti i nove mesi della gravidanza, solo in quattro Paesi al mondo: in dittature come la Cina e la Corea del Nord, e in democrazie come gli USA e il Canada. È una coincidenza? La democrazia è una bella idea... che non esiste! Per me è solo un’illusione. ABORTO
OBIEZIONE DI COSCIENZA E OBIEZIONE DI INTELLIGENZA
Enzo Pennetta
Il diritto all’obiezione di coscienza è sotto l’attacco del totalitarismo del pensiero unico. Pensiero del tutto irragionevole
«I
medici non dovrebbero potersi rifiutare di interrompere una gravidanza. Il motivo ce lo spiega la filosofia». Con questo titolo, pubblicato tempo fa sulla rivista Wired, si è cercato di dare una motivazione filosoficamente inattaccabile per negare il diritto all’obiezione di coscienza sull’aborto e sulle questioni che riguardano la fine della vita umana. L’articolo era a firma di Maurizio Mori, docente di bioetica all’Università di Torino, il quale sostiene che non si avrebbe diritto ad obiettare secondo il seguente ragionamento: «Chi sceglie di arruolarsi sa sin dall’inizio quali sono i compiti previsti dalla professione, e non può poi vantare titolo di fare obiezione di coscienza all’uso delle armi e all’uccidere in situazioni di guerra». La professione medica viene paragonata a quella del soldato.
ABORTO
Per contrastare questa affermazione, che vorrebbe sostenersi con le ragioni della filosofia, non è necessario ricorrere alla filosofia stessa, ma è sufficiente appellarsi alle ragioni di un buon dizionario della lingua italiana. Poiché la professione di cui parla il professor Mori è quella di ginecologia e ostetricia, e in senso più ampio la professione medica, che deriva etimologicamente dal verbo latino “mederi” che significa “guarire”, appare in tutta la sua evidenza l’assurdità del paragone proposto con l’obiezione di coscienza di un militare che si rifiutasse di uccidere in situazioni di guerra. Se, infatti, un militare che si arruola per usare le armi (che notoriamente sono fatte per uccidere) non può rifiutarsi di farlo quando richiesto, un medico invece intraprende la sua professione per salvare vite umane, quindi l’uccisione costituisce non solo qualcosa di non previsto, ma l’azione opposta alla propria missione e quindi incompatibile con la stessa. Sorprende quindi che un filosofo possa cadere in errori tanto banali: il ragionamento proposto contro l’obiezione di coscienza dei medici appare viziato da una fallacia logica inammissibile.
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Ma il paragone è doppiamente errato in quanto anche il militare, di fronte all’eventualità di uccidere in modo consapevole delle persone innocenti, ha la possibilità/dovere di ricorrere all’obiezione di coscienza, un’obiezione che avrebbero dovuto ad esempio esercitare i protagonisti di rappresaglie con uccisioni di civili nel corso di tristemente famosi episodi della Seconda guerra mondiale e di altre guerre più recenti. Quindi a maggior ragione un medico deve avere il diritto di esercitare l’obiezione quando la sua coscienza rifiuta di collaborare alla soppressione di una vita. Nella stessa fallacia logica è caduta una seconda bioeticista, Chiara Lalli, in un articolo del 2016 pubblicato su Il Corriere della Sera nella rubrica “La ventisettesima ora”. Nel pezzo la Lalli sostiene: «Agire secondo coscienza è un diritto. Ma esistono anche gli obblighi professionali». Anche per Chiara Lalli, dunque, gli obblighi professionali del medico non consistono nella ricerca di guarigione, ma nella soppressione della vita umana. Il diniego del diritto all’obiezione di coscienza passa dunque attraverso una manipolazione dei termini che vede il ribaltamento della missione medica dalla finalità curativa a quella dell’uccisione. Affinché la fallacia del ragionamento possa passare inosservata questo nuovo significato attribuito alla professione medica deve essere presentato come acquisito e condiviso, questo orienterà il Lettore ad accettare le stesse conclusioni degli Autori, ben consapevoli che una volta fatto passare un nuovo significato per un vecchio termine le conseguenze che ne deriveranno saranno inevitabili. E qui è importante evidenziare un altro passaggio che avviene in modo impercettibile: questo nuovo significato del termine “medico”, per essere accettato, dev’essere implicitamente assimilato al termine “veterinario”, cioè a un tipo di medico specializzato nella cura degli animali e tra le cui mansioni esiste anche quella di sopprimere quell’animale qualora risultasse malato senza più possibilità di guarigione.
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Ma evidentemente l’assimilazione della professione medica con quella veterinaria non è pensabile senza aver prima provveduto all’equiparazione dell’essere umano a un qualsiasi animale. Ecco dunque agire in questo senso tutte le istanze animaliste tendenti a ridurre le differenze tra uomo e animale a qualcosa di non sostanziale.
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Se passa il pensiero “antispecista”, se l’uomo è un animale, il medico viene assimilato al veterinario che uccide eticamente bestiole sofferenti o cuccioli indesiderati…
Per l’animalismo ciò che ci rende umani non è una nostra caratteristica esclusiva, ma è qualcosa presente anche negli animali, solo che lo è in grado minore: accettando questa ipotesi è possibile equiparare gli aspetti della professione medica a quelli della professione veterinaria. Ma questa equiparazione, però, è possibile solo negando le più recenti conoscenze sulle differenze tra uomini e animali, conoscenze che parlano di una proprietà esclusiva degli esseri umani che è il linguaggio: per via del linguaggio esseri umani e animali sono diversi, e lo sono in modo irriducibile. Non ci sorprende che sia stato un altro filosofo e bioeticista, forse il più influente a livello mondiale, Peter Singer, ad aver tra i primi sostenuto in modo energico la battaglia animalista. Più precisamente Peter Singer è stato un pioniere dell’antispecismo, termine coniato nel 1970 e ripreso nel 1975 nel suo libro intitolato Liberazione animale. Lo specismo, secondo i suoi sostenitori, sarebbe una forma di discriminazione nei confronti delle altre specie paragonabile al razzismo e al sessismo: ecco quindi che considerare diversamente la condizione animale e quella umana diventerebbe un fatto odioso. L’antispecismo, di cui l’animalismo è l’espressione comunemente visibile, è l’unica possibilità per mantenere all’interno della professione medica coloro che dovessero praticare l’interruzione della vita umana, non solo nella forma dell’aborto ma anche in quella dell’eutanasia.
ABORTO
Un militare si arruola per usare le armi, che notoriamente sono fatte per uccidere. Un medico invece intraprende la sua professione per salvare vite umane
Chissà: per porre “professionalmente” fine alla vita umana si potrebbe proporre la creazione di una nuova figura specializzata nell’uccisione, una figura professionale che potrebbe prendere il nome di “necatologo”, dal latino “necare” che significa “uccidere”. Chissà se qualcuno vorrà fregiarsi di questo titolo. Il “necatologo” è un professionista che in fin dei conti è sempre esistito, ma con un nome – “boia” – che certamente alla neolingua non piace molto…
ABORTO
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Roberto Marchesini
UN NUOVO STUDIO SUL POST-ABORTO
Lettura ragionata dei risultati di una ricerca californiana che tenta di negare le gravi conseguenze psichiche dell’aborto
Questo studio ha seguito per cinque anni un gruppo di 956 donne, alle quali era stato negato o autorizzato l’aborto. La maggior parte delle donne che hanno abortito avevano indici di ansia e di bassa autostima superiori a quelli della popolazione generale; secondo gli autori, questo effetto non è dovuto all’aborto in sé, bensì allo stigma sociale cui vengono sottoposte le donne che affrontano una gravidanza indesiderata. Le donne alle quali è stato negato l’aborto avevano indici di salute mentale ancora più bassi; tuttavia, in un periodo di tempo che va da sei a dodici mesi (guarda caso, un tempo coincidente con la nascita del bambino), questi indici si sono livellati al resto del campione. Questa la ricerca. Adesso cerchiamo di imparare come leggere quanto non è scritto nelle conclusioni. 10
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Innanzitutto vediamo come questa ricerca è stata presentata da alcuni importanti media. Forbes (rivista settimanale di economia pubblicata negli Stati Uniti): «L’aborto non causa danni alle donne; ma negarglielo sì, all’inizio». Il titolo (come il resto dell’articolo) apre con un fraintendimento: la ricerca non ha dimostrato che l’aborto non danneggia la salute psichica delle donne, anzi. Solamente i ricercatori attribuiscono (non sappiamo su quali basi) il malessere allo stigma sociale legato alla gravidanza indesiderata, piuttosto che all’aborto in sé. La seconda parte del titolo dà risalto al fatto che («all’inizio») le donne alle quali è stato negato l’aborto avevano indici di ansia e di bassa autostima più bassi rispetto a quelle che avevano abortito.
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Le donne che non hanno potuto abortire avevano indici bassi di salute mentale, ma nel tempo necessario alla nascita del bambino questi indici sono risaliti ampiamente
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S
pesso leggiamo distrattamente i titoli di giornali che ci presentano l’ultima rivoluzionaria ricerca. Basterebbe un po’ di pazienza e di attenzione, tuttavia, per scoprire molte cose interessanti. Prendiamo, ad esempio, una recente ricerca sulla sindrome post-abortiva: M. Antonia Biggs, Ushma D. Upadhyay, Charles E. McCulloch, Women’s Mental Health And Well-Being 5 Years After Receiving Or Being Denied An Abortion: A Prospective, Longitudinal Cohort Study, pubblicata in JAMA Psychiatry.
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The New York Times (quotidiano statunitense di orientamento liberal): «Cosa succede alle donne alle quali viene negato l’aborto?». In questo caso il focus è diretto sull’effetto riscontrato nelle donne alle quali è stato negato l’aborto: esse «hanno dato risultati negativi nei test sulla salute mentale». Si tace però sul fatto che questi risultati negativi sono temporanei e che, nel giro di un anno, ritornano in linea con le altre donne del campione. La prima cosa che possiamo imparare è questa: quando leggiamo sui media la presentazione di una nuova e fondamentale ricerca, andiamo a cercare l’articolo originale scritto dai ricercatori (lo si trova quasi sempre su internet). I resoconti giornalistici potrebbero essere approssimativi o tendenziosi. In seconda battuta, cerchiamo notizie sugli autori e sui finanziatori. Una ricerca costa, e molto, quindi qualcuno l’ha finanziata. Se qualcuno investe tutti quei soldi in una ricerca, difficilmente lo fa disinteressatamente: probabilmente ha un interesse particolare per i possibili risultati. In questo caso scopriamo che due autori su tre (le due donne: la psicologa Biggs e l’esperta di “salute riproduttiva” Upadhyay; il terzo, McCullogh è uno statistico) sono attiviste impegnate nella diffusione dell’aborto. Lavorano infatti per il Bixby Center for Global Reproductive Health, un istituto dell’Università della California che ha i seguenti obiettivi: scoprire nuovi metodi abortivi; espandere la forza lavoro dedicata all’assistenza all’aborto; aumentare il numero di abortisti altamente qualificati; allargare l’accesso all’aborto in tutto il mondo; fornire dati sulla sicurezza dell’aborto; creare nuove idee circa l’impatto dell’aborto sulla vita delle donne.
ex capo di gabinetto della Casa Bianca durante la presidenza Clinton e presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton per le elezioni del 2016. Recentemente Podesta è stato coinvolto tramite il fratello Tony nel cosiddetto «Pizzagate», uno scandalo pedofilo che ha lambito la famiglia Clinton. Cosa possiamo imparare da queste informazioni? Probabilmente né le autrici della ricerca, né i finanziatori hanno il distacco e l’imparzialità necessari per condurre una ricerca su argomenti eticamente sensibili. È sempre utile anche soffermarsi sulla metodologia utilizzata. In questo caso il follow-up è proseguito fino a cinque anni dopo l’arrivo in clinica della donna. Questo tempo non è adeguato alla problematica affrontata; sappiamo infatti che la sindrome post-aborto si manifesta anche dieci anni o più dopo l’aborto. Sempre a proposito della metodologia utilizzata: alle donne è stato somministrato un questionario composto da soli sei item, due dei quali riguardanti la depressione, due l’ansia, uno l’autostima e uno la soddisfazione circa la propria vita.
Da un documento pubblicato da Wikileaks scopriamo che il Bixby Center ha un bilancio annuo di 45 milioni di dollari, che sono una montagna di denaro. La mail intercettata è indirizzata a John Podesta, ABORTO
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Questi item sono costituiti da un’affermazione. I soggetti indicano il loro accordo o disaccordo tramite una scala a cinque punti (1 = assolutamente in disaccordo; 5 = assolutamente d’accordo). Com’è ovvio, non è stato utilizzato nessuno strumento oggettivo: solo un questionario autovalutativo costituito da pochi item, dal quale si evince l’atteggiamento delle donne nei confronti del loro benessere, piuttosto che un’oggettiva misura di quest’ultimo. Un po’ poco per fare affermazioni così capitali; un po’ poco per dichiarare superati tutti i precedenti studi che dimostrano l’esistenza e la gravità della sindrome post-aborto...
Ricordiamo anche che (come nella ricerca in oggetto) i dati ottenuti non hanno un gran significato; quello che importa è l’interpretazione che ne dà il ricercatore, ossia i nessi causali che secondo lui sono implicati. Abbiamo visto come, ad esempio, la dottoressa Biggs sostenga che il malessere legato all’aborto sia una conseguenza dello stigma sociale, e non dell’aborto stesso.
Giunti a questo punto, gli insegnamenti sono molti. Come abbiamo detto, questo studio ne contraddice altri sullo stesso argomento. Come è possibile? Salvo grossolani errori metodologici o manipolazioni dei dati (succede, succede...) la cosa è più frequente di quanto si creda, anche se contraddice la diffusa inferenza per cui «scientifico» sarebbe sinonimo di «assolutamente vero». Innanzitutto, nelle ricerche che hanno come oggetto l’uomo non è possibile controllare tutte le variabili; in fondo a ogni articolo tratto da una ricerca, infatti, c’è sempre un capitolo nel quale si dichiarano i limiti dell’esperimento. Può sembrare strano, ma è semplicemente una prassi. Secondariamente, i risultati scientifici ottenuti hanno una probabilità di essere casuali. Ogni ricerca dovrebbe essere accompagnata da una tabella che mostra la “significatività” (indicata con il valore p). Un valore p di 0,05, ad esempio, significa che c’è una probabilità del 5% che quel valore sia stato ottenuto casualmente, e non come conseguenza delle condizioni sperimentali. Il che fa capire quanto sia ingenuo pensare che i dati scientifici siano una “verità assoluta”.
Infine, la cosa più importante di tutte: la scienza dice come le cose sono, non come dovrebbero essere. Il “come dovrebbero essere” è stabilito dalla metafisica, non dalla fisica. Tentare di convincere gli altri di una tesi morale portando come argomento dei dati scientifici non è solo inutile (perlomeno: io non ci sono mai riuscito), ma è addirittura controproducente. Significa rinunciare a una fondazione metafisica della morale (cioè a un bene e a un male assoluto) per accettare che una cosa è male solo se ha delle conseguenze negative misurabili. Il che non è sempre vero, ma soprattutto contribuisce ad appiattire il nostro mondo sulla materia, dimenticando che la realtà vera, quella più importante, è quella che non cade sotto i nostri sensi. Per questo motivo io preferisco rinforzare la poca metafisica che ancora alberga in qualche angolo dei cervelli occidentali (diffondendo l’insegnamento di Aristotele e di san Tommaso), piuttosto che discutere all’infinito (e senza esito) di controllo delle variabili, di valore p e di metodologie scientifiche. Quante cose si possono imparare da una ricerca!
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ABORTO
Francesca Romana Poleggi
L’ABORTO È UNA GUERRA
ANCHE CONTRO LE DONNE... E I FRATELLINI Oltre a causare la sindrome post abortiva, anche dal punto di vista fisico l’aborto nuoce gravemente alla salute delle donne
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el mondo anglofono andava di moda lo slogan «rare, safe and legal», per sottolineare che l’aborto legale sarebbe stato «raro» (rare) e «sicuro» (safe). Come per tutti gli slogan, il tempo ne ha reso evidente la valenza puramente ideologica e la mancanza di connessione con la realtà. Circa il fatto che l’aborto legale non sia affatto «raro» si è già scritto nelle pagine precedenti.
La menzogna più vergognosa che la propaganda è però riuscita a far digerire all’opinione pubblica è che l’aborto legale sia «safe», sicuro, e che non pregiudichi la salute fisica delle donne. Anzi, la propaganda continua ad annoverare il diritto all’aborto come necessario alla salvaguardia del diritto alla salute («sessuale e riproduttiva»). La notizia della morte delle due giovani per aborto volontario avvenuta lo scorso anno è “sfuggita” alla Relazione sulla legge 194 presentata dal Ministro Lorenzin, alla fine dello scorso anno. E tanto più si diffonde “l’aborto in pillole”, tanto più aumentano le complicazioni e il pericolo di vita per le donne che ricorrono a quel sistema, palesemente riconosciuto dagli addetti ai lavori – ma non dalla propaganda – come molto più rischioso dell’aborto chirurgico. Insomma, di aborto – chirurgico o in pillole – si muore, oggi, molto più che di parto: basta guardare la lunga lista delle giovani decedute contenuta nel sito www.safeandlegal.com. Per non parlare delle infezioni, perforazioni di organi interni e complicazioni che derivano più spesso di quanto si pensi da quel tipo d’intervento chirurgico. Di tutti questi effetti collaterali, però, non parla mai nessuno. Come del resto nessuno dice che l’aborto moltiplica le possibilità di sviluppare il cancro al seno: la medicina politicamente corretta continua pervicacemente a voler ignorare il “legame ABC”, il “link Abortion Breast Cancer” (Breast significa “seno”). Il dottor Joel Brind è professore di biologia ed endocrinologia al Baruch College della City University di New York ed è co-fondatore del Breast Cancer Prevention Institute. È lui uno dei principali studiosi del link ABC. Dalle sue pubblicazioni traiamo le notizie che seguono.
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Sappiamo bene che, purtroppo, anche chi non ha abortito può ammalarsi, perché le cause del tumore al seno possono essere diverse. Ma nell’ottica della prevenzione, di cui giustamente si parla tanto, non si capisce perché si continui a ignorare che le possibilità di sviluppare il tumore alla mammella si moltiplicano in caso di aborto. La questione è facilmente comprensibile anche per i non addetti ai lavori. Molti non sanno che lo sviluppo del seno non avviene completamente con la pubertà, bensì continua anche dopo. Le strutture cellulari che produrranno latte, che si moltiplicano durante la pubertà, sono chiamate lobuli di tipo 1 e di tipo 2. Da questi lobuli partono quasi tutti i tumori al seno. Prima della gravidanza, quasi il 100% dei lobuli presenti nel seno sono di tipo 1 e 2. Sicché la pubertà apre quella che i ricercatori chiamano la “finestra di suscettibilità”.
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L’aborto moltiplica il rischio che eventuali fratellini successivi nascano prematuri, con tutte le conseguenze connesse
Da questo momento in poi le mammelle sono particolarmente vulnerabili rispetto a eventuali mutazioni potenzialmente cancerose. Tale “finestra di suscettibilità” si chiude solo quando la donna porta a termine la sua prima gravidanza. Infatti, quando una donna rimane incinta gli ormoni estrogeni e il progesterone causano una massiccia crescita dei seni, che raddoppiano le dimensioni del tessuto lobulare entro la metà della gravidanza (20 settimane di gestazione). Normalmente, a circa 32 settimane di gravidanza la maggior parte (l’80%) delle cellule primitive del seno, quelle che ancora crescono e si sviluppano, si differenziano in cellule che effettivamente producono latte: i lobuli di tipo 3 e 4, non facilmente attaccabili dai tumori. Queste cellule “mature” sono più resistenti al cancro, perché la loro capacità di proliferare è sopita. Se la gravidanza viene interrotta, la donna avrà il 100% di lobuli di tipo 1 e 2 che ancora non sono “maturati”, e dai quali può partire un tumore. 14
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È per questo che decine di studi epidemiologici pubblicati in tutto il mondo, a partire dal 1957, continuano a mostrare un aumento del rischio di cancro al seno tra le donne che hanno scelto l’aborto. Perfino gli autori di una ricerca commissionata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1970, hanno notato un aumento del rischio di cancro associato con l’aborto e una riduzione del rischio di cancro alla mammella nel caso di nascite a termine. Un’ulteriore tragica conferma del link ABC si è avuta poi dallo studio dell’incidenza del tumore al seno in India e soprattutto in Cina, dove negli ultimi decenni l’aborto (coatto) è stato diffuso a tappeto. Tutto questo deve far pensare che anche l’usanza ormai inveterata di rimandare la prima gravidanza più in là negli anni aumenta il rischio di cancro al seno, perché la “finestra di suscettibilità” resta aperta più a lungo. E questo dato di fatto è stato assodato in via definitiva fin dallo studio multicentrico internazionale commissionato dall’OMS nel 1970 cui si accennava prima, dal quale risulta l’elevata incidenza del cancro al seno tra le donne del Nord America e dell’Europa, che in genere aspettano a far figli fino almeno a trent’anni, e la bassa incidenza di tumore alla mammella in Asia e in Africa, dove si fanno figli da giovani. E non è finita qui. L’aborto aumenta il rischio di parto prematuro nelle gravidanze successive. Non solo questo ha conseguenze deleterie per la salute del bambino (aumenta l’incidenza di disabilità congenite, di paralisi cerebrale e autismo) ma, come già detto, quando la gravidanza termina prima delle 32 settimane, anche partorendo un bimbo vivo e sano, il rischio di sviluppare il cancro al seno rimane lo stesso. Infine, è anche ben noto che l’allattamento riduce il rischio di sviluppare il cancro al seno nel futuro; ma l’allattamento, naturalmente, non è possibile dopo che il bambino è stato abortito. Non basta, quindi, mettere in guardia le donne dal rischio della sindrome post abortiva e dalle conseguenze psichiche dell’aborto (ricordiamo che porta anche al suicidio e che colpisce non solo le madri, ma tutte le persone coinvolte nell’aborto, anche in modo indiretto, come i fratellini). Allora, veramente l’aborto serve a garantire il «diritto alla salute» delle donne? ABORTO
DÉLIT D’ENTRAVE À L’IVG
Emiliano Fumaneri
Il «reato di ostacolo all’aborto» è l’ultima conquista del totalitarismo che si cela dietro l’apparente democrazia francese
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crive Eric Voegelin che nelle società moderne è venuto alla luce un fenomeno inedito nella storia del pensiero politico: il divieto di fare domande. Non si tratta semplicemente di resistere all’esame critico delle proprie opinioni. Una simile resistenza all’analisi è sempre esistita. Qui ci troviamo di fronte a un rifiuto più profondo. È un autentico rigetto della ragione. Il «divieto di fare domande» nasce dalla consapevolezza che le proprie opinioni sono infondate. Occorre perciò vietare che possano essere analizzate in maniera critica. Niente domande, quindi. Voegelin individuava nel padre del comunismo “scientifico” Karl Marx e in Auguste Comte, fondatore di quella religione della scienza (o pseudo scienza) nota come positivismo, i due capofila di questo atteggiamento che assoggetta il pensiero al potere, legittimando così ogni forma di censura ideologica.
psichiatria a scopi politici. Nell’ex Urss il dissenso dal credo marxista-leninista fu a lungo considerato un disturbo della psiche. Cos’altro se non una mente malata poteva mai rifiutare il Diamat [mat-erialismo dia-lettico, NdR], l’ideologia ufficiale dell’Unione Sovietica? Non è un caso che siano gli eredi di questo passato politico, un passato che non vuol passare (oggi in Cina molti dissidenti vengono rinchiusi nelle carceri psichiatriche, le ankang, a causa di una grave “malattia mentale”: il desiderio di democrazia e di libertà), a imporre per legge nuovi «divieti di fare domande». Ormai archiviato il Diamat, oggi è subentrata una nuova ortodossia intoccabile: quella dettata dall’agenda dei “diritti civili” e dall’ideologia del gender.
«Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi» Leo Longanesi
Tutti i totalitarismi novecenteschi hanno usato lo scettro di ferro per imporre il «divieto di fare domande». Questa attività di deliberata ostruzione del pensiero si è avvalsa proprio di una pseudo-scienza. I fascisti arrivarono a inventarsi un fantomatico «morbo di Lenin» per internare nei manicomi i propri oppositori. Anche i sovietici si servirono della ABORTO
È il caso della legge Scalfarotto, il cosiddetto ddl anti-omofobia, che intende punire i «crimini d’odio» contro le persone omosessuali. In realtà il ddl Scalfarotto configura un autentico reato d’opinione, demandando all’interpretazione del giudice la definizione di concetti quali «odio» e «discriminazione». Approvato alla Camera nel 2013, il ddl contro 2017 Febbraio - n. 49
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l’omofobia è rimasto congelato. Grazie al deciso ostruzionismo delle opposizioni, certamente, ma anche per il cambio di tattica del PD che si apprestava a varare la legge sulle unioni civili. Ma pende ancora come una minaccia sulla testa della libertà d’espressione, pronto a essere rimesso in discussione. A vocazione liberticida è anche il ddl n. 2402 (Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori), depositato nel luglio 2016. Questo disegno di legge, a firma del senatore Sergio Lo Giudice (PD), stabilisce multe e detenzione per chi volesse applicare ai minorenni le terapie riparative volte a correggere e a cambiare l’orientamento sessuale di una persona. A Malta le terapie riparative sono state messe direttamente al bando. La censura ha riscosso il plauso de Il Sole 24Ore, il giornale di Confindustria, che appone, ancora una volta, il marchio della scienza sul liberticidio: «Bene ha fatto dunque Malta a legiferare contro questa retrograda barbarie, tollerata fino ad oggi in tutta Europa nonostante le condanne ufficiali del mondo scientifico internazionale».
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Il reato di ostacolo all’aborto è l’equivalente, in chiave abortista, del ddl Scalfarotto: un vero “liberticidio”
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«È una proposta di legge degna di un Gulag», ha commentato invece Alessandro Meluzzi. Lo psichiatra napoletano sa bene di cosa parla: gli psichiatri sovietici al momento della laurea erano obbligati a recitare non il Giuramento di Ippocrate, ma il giuramento del medico dell’URSS. E dovevano rispondere della propria condotta medica direttamente allo stato sovietico, prima che ai propri pazienti. Anche in Francia impazza il divieto di fare domande. È recente l’estensione al web del cosiddetto délit d’entrave à l’IVG, il «reato di ostacolo all’aborto», che punisce tanto chi intralcia materialmente l’aborto quanto chi lo ostacola psicologicamente. Si tratta, di fatto, dell’equivalente in chiave abortista del ddl Scalfarotto. La riforma, partita da un’iniziativa 16
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del governo a maggioranza socialista di François Hollande, ha esteso questo psicoreato a internet, con una integrazione che aggiunge, agli «ostacoli all’interruzione di gravidanza» puniti a norma di legge, anche quello «digitale». Impressiona leggere le dichiarazioni con cui il ministro Laurence Rossignol ha giustificato l’ulteriore inasprimento di una norma già sufficientemente liberticida: «La libertà d’espressione non include il diritto alla menzogna», ha affermato. «Questa proposta di legge – spiega Rossignol – si propone di fare ordine su ciò che accade in internet in materia di informazione e di IVG». In un’intervista, il ministro (a capo di un dicastero dal nome squisitamente orwelliano: Ministero delle Famiglie, dell’Infanzia e dei Diritti delle donne) ha specificato più nel dettaglio la sua particolare idea di libertà d’espressione: «Essere ostili all’IVG è un’opinione che ognuno può esprimere come gli pare, quanto gli pare. Ma ingannare le donne, fare pressione su di loro non è un’opinione». La riforma, dice, mira a colpire «quatto o cinque siti». La nuova normativa vuol «costringere questi siti a mettere le carte in tavola». È dai primi anni Novanta, illustra il ministro, che «gli anti-IVG s’incatenano alle porte degli ospedali per ostacolare l’accesso delle donne all’IVG. Si vota una legge sul reato di ostacolo che si rivela molto efficace. Successivamente, gli anti-IVG si sono spostati all’interno degli ospedali». È per questo che si è resa necessaria un’estensione del «reato di ostacolo». Con l’esplosione del web, gli antiabortisti – orrore! – «si sono spostati sui siti internet e hanno messo in piedi un sistema alquanto perverso, hanno assunto dei nomi molto neutri creando dei siti che sembrano dare delle informazioni». Ecco il vero scopo del délit d’entrave: silenziare la voce pro-life. È uno dei tanti paradossi del nostro tempo: la gran voglia di liberticidio di chi si proclama paladino della libertà. ABORTO
Chiara Chiessi
«FUORI I PRO-LIFE
DALL’UNIVERSITÀ»
Accade all’Università La Sapienza di Roma
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elle pagine precedenti abbiamo letto delle leggi liberticide e pro-morte francesi (e non solo). Sappiamo bene che anche oltreoceano, in Paesi di secolare tradizione democratica come gli USA e il Canada, le persone che osano pregare o testimoniare per la vita sulla pubblica via, i cosiddetti “sidewalk counselors”, rischiano addirittura la galera. In Scozia sono state varate norme restrittive nei confronti dei club di studenti pro-life. E in Italia? Abbiamo letto del movimento persecutorio che ha per oggetto gli obiettori di coscienza. Ora ascoltiamo la testimonianza degli Universitari Per la Vita. Sulla loro pagina Facebook si legge che sono «un gruppo di giovani universitari che diffondono la cultura pro-life negli Atenei italiani. Promuovono campagne di sensibilizzazione, formazione, eventi, e collaborano con studenti pro-life di diverse nazionalità. Gli Universitari Per la Vita sono a favore del diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, diritto negato ai
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ll 27 ottobre scorso, con gli Universitari Per la Vita, abbiamo organizzato un “aperitivo pro-life” a La Sapienza di Roma, nel piazzale vicino alla Cappellania. Ci tengo a sottolineare che l’evento è stato autorizzato dal Cappellano dell’Università, il quale ci ha dato la possibilità di utilizzare il piazzare e di mettere un banchetto. Ricordo, però, che il gruppo è aconfessionale: ci sono tra noi alcuni ragazzi non credenti, ma strenuamente impegnati nella difesa della vita. Poco dopo aver allestito il banchetto e preparato il tutto, un gruppo di studenti dei collettivi e dell’associazione Non una di meno, organizzati in un corteo con tanto di striscione e megafono, si è messo a urlare e imprecare contro di noi, in maniera incivile. «Fuori i pro-life dall’università!» era il ritornello che andavano gridando, accompagnato da altri termini volgari che non è il caso di ripetere. Scioccati da tale reazione, abbiamo chiesto loro di riporre il megafono e di venire a parlare civilmente, ma continuavano a urlare e aggredirci. Dopo averci insultato e aggredito verbalmente a loro piacere, la maggior parte di loro è andata via. Solo in pochi sono rimasti a parlare con noi, increduli nel constatare che dei loro coetanei possano essere pro-life. Su Facebook hanno scatenato la caccia alle streghe; nei loro post si può leggere: «Fuori i pro-life
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dall’università…, gli Universitari Per la Vita una sedicente associazione…, da chi sono stati autorizzati?... vogliamo un’università libera e laica…». Ora, una riflessione che scaturisce da tutto ciò: non siamo forse in uno Stato democratico? Non abbiamo anche noi il diritto di manifestare le nostre idee civilmente, senza essere aggrediti o offesi? Un’altra riflessione: l’associazione Non una di meno dice di essere contro la violenza sulle donne. Eppure, come potete vedere anche dal video che hanno postato su Facebook, molti ragazzi ci urlavano addosso con toni minacciosi e ci mancava poco che andassero oltre la violenza verbale. Quando si tratta di confrontarsi con altri che la pensano diversamente da loro, l’inciviltà e l’aggressione sono le benvenute per loro. Chi predica bene, razzola male? Ad ogni modo, pensavano di spaventarci e di farci andare via… ma non è stato così! Abbiamo organizzato un altro aperitivo, il 7 dicembre scorso, che è stato un successo: i contestatori arrabbiati non si sono visti e molti ragazzi si sono mostrati interessati e ci hanno lasciato i loro contatti. La verità è questa: gli studenti del collettivo e dell’associazione Non una di meno hanno palesemente paura di noi (hanno paura della verità?), altrimenti non avrebbero organizzato tutta questa protesta. Noi, però, non abbiamo paura di nessuno.
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Associazione Meter
METER
VEGLIA SUI NOSTRI FIGLI... DA 27 ANNI! Storia dell’Associazione fondata da don Di Noto per combattere la pedopornografia e che promuove a tutto tondo la tutela dei diritti dei bambini
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’Associazione Meter nacque ad Avola (Siracusa) per volontà del suo fondatore, don Fortunato Di Noto, che tra il 1989 e il 1991 iniziò ad appassionarsi alle nuove tecnologie: da un lato strumenti di comunicazione funzionale e positiva, dall’altro mezzi di diffusione di orrori e violenze. Ciò che don Fortunato trovò in rete fu un vero e proprio “olocausto” perpetrato attraverso la produzione e la divulgazione di materiali a carattere pedofilo, o a danno di minori. Il ritrovamento di immagini pedopornografiche e di proclami della “pedofilia culturale” spinsero don Di Noto e i soci fondatori, che tuttora lo seguono, verso ciò che sarebbe stata la loro missione: la lotta contro la pedofilia e gli abusi sull’infanzia e la salvaguardia dei bambini e della loro innocenza. È don Di Noto il pioniere mondiale nella lotta alla pedofilia e alla pedopornografia, favorendo già nel 1997 una mozione del Parlamento italiano,
primo al mondo a occuparsi di pedofilia. Padre anche dell’istituzione dell’Osservatorio Nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia in Italia e di importantissime iniziative al Parlamento Europeo e di decisioni legislative anche in Giappone, è riconosciuto in tutto il mondo per l’operatività nella lotta a questo terribile crimine, anche a rischio della sua incolumità personale. Di qui la scelta del nome dell’Associazione: la parola meter è greca e significa “madre”, “accoglienza, grembo” e, in senso lato, “protezione e accompagnamento”. Questo nome prende vita dall’esigenza di radicare e promuovere la cultura dei diritti dell’infanzia nelle realtà ecclesiali e non ecclesiali. Oggi l’esperienza associativa di Meter e la figura di don Di Noto – nell’ambito di tutela dei minori e di lotta alla pedofilia e alla pedopornografia online – rappresentano un significativo punto di riferimento in Italia e sono riconosciuti nel mondo come massime autorità (dalla Cina al Giappone, agli USA e in Europa) nella prevenzione del disagio infantile e nella progettazione di interventi mirati a un aiuto concreto alle vittime di abusi sessuali. Negli ultimi vent’anni l’Associazione Meter ha attraversato un percorso di crescita e di sviluppo delle proprie potenzialità e risorse. Viene alla luce come associazione volta al contrasto della pedofilia, e nei primi anni si muove soprattutto perseguendo obiettivi volti a questo scopo. Nel tempo le richieste di aiuto che arrivano
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all’Associazione permettono un ampliamento degli obiettivi prefissati, per cui Meter si pone a tutela dei diritti dell’infanzia promuovendo il sano sviluppo del bambino e intervenendo in tutte le situazioni “critiche” (disagi familiari, maltrattamenti, bullismo, disagi psicologici, etc.). Con il crescere dell’Associazione, nei gruppi di volontari si sviluppa il bisogno di creare sedi anche in altre città, ed è così che, negli anni, grazie a un impegno costante da parte di tante persone sono state aperte sedi in varie città del territorio nazionale, e sono stati creati gruppi e referenti territoriali. Con il diffondersi delle nuove tecnologie e l’entrata di internet nelle case e nelle tasche di adulti e ragazzi, Meter è stata sempre più coinvolta in interventi di prevenzione e sensibilizzazione sui pericoli della rete e il rischio di adescamento online (grooming).
L’impegno attivo ed efficace nel contrasto alla pedofilia online e alla pedopornografia ha portato, nel 2008, alla siglatura di una Convenzione con la Polizia Postale e delle Comunicazioni (Meter è l’unica Associazione in Italia ad avere una convenzione simile) e alla creazione dell’OS.MO.CO.P. (Osservatorio Mondiale Contro la Pedofilia).
Nel 2013 nasce Casa Meter, struttura polifunzionale che accoglie tutti i servizi rivolti ai bambini e alle loro famiglie. Oggi Casa Meter ospita anche tutti gli uffici della Sede Nazionale. Nel 2016 Meter ha avuto un ulteriore sviluppo di servizi e attività, con la nascita del Centro Polifunzionale per l’Infanzia, l’Adolescenza e l’Autismo, struttura che si contraddistingue per l’intervento precoce, innovativo e tecnologico sulle problematiche legate all’infanzia e al disturbo dello spettro autistico. In questi anni l’Associazione ha dunque visto un aumento di servizi e d’iniziative, ma soprattutto ha creato una rete capillare di collaborazioni con enti pubblici e privati, che hanno creduto nella professionalità di Meter e nell’impegno costante e competente a tutela dell’infanzia.
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PEDOFILIA PEDOFILIA
Maria Suma
IL LATO OSCURO DI INTERNET: LA CYBERPEDOFILA Indagine conoscitiva: quanto è diffuso il fenomeno? Dove? Vi sono motivazioni comuni alla base?
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nternet rappresenta uno strumento meraviglioso, che permette a chiunque di raggiungere il mondo intero semplicemente stando seduti davanti a una tastiera. Internet è un mezzo di comunicazione semplice, libero, accessibile e affascinante ma allo stesso tempo complesso e ricco d’insidie, soprattutto per i minori.
Internet accoglie e amplifica ogni forma di devianza del vivere comune, come la pedofilia
Se esso da un lato offre l’opportunità di realizzare l’immaginario e molti desideri, dall’altro – con la sua immaterialità, che ha mutato la percezione delle relazioni umane – accoglie e amplifica ogni forma di devianza dell’essere umano. PEDOFILIA
Tra le forme di perversione che hanno trovato terreno fertile online è sicuramente inclusa la pedofilia. I pericoli relativi alla pedofilia e alla pedopornografia su internet costituiscono, infatti, sempre più una realtà da tenere nella dovuta considerazione e da non ignorare. Come già detto, internet è uno strumento al quale tutti possono accedere, adulti e bambini, in maniera incontrollata. Pertanto spesso accade che durante la navigazione online sia gli adulti, sia i bambini si imbattono involontariamente in immagini inappropriate. Spesso, cioè, cliccando sul link di un gioco o di un cartone animato, si aprono delle finestre con immagini, frasi e filmati aventi per oggetto bambini in pose equivoche o costretti ad assumere particolari atteggiamenti con adulti. La rete internet presenta numerosi vantaggi per i pedofili: • l’illusione dell’anonimato; • l’indebolimento delle remore etiche; • la possibilità di costruire siti web ad hoc, 2017 Febbraio - n. 49
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grazie ai quali scambiare oltre alle informazioni su esperienze personali, fotografie e altro materiale pedo-pornografico; • la possibilità di trovare società commerciali che scambiano non solo materiale pornografico riguardante minori ma anche bambini in carne e ossa (turismo sessuale); • la possibilità di unirsi tra loro, creando delle associazioni o delle community di scambio, informazione e relazione; • la possibilità di prendere contatti con minorenni, e quindi di adescarli. Da un’attenta analisi dei siti pedofili è possibile rilevare degli elementi comuni: • la divulgazione di ideologie sul concetto di “amore” verso i bambini, inteso come attenzione apparentemente sincera e onesta verso l’infanzia; • la diffusione di messaggi espliciti o subliminali che tendono a giustificare la relazione sessuale con i bambini, e quindi il comportamento dei pedofili; • l’utilizzo di colori e di immagini molto delicati che attirano l’attenzione dei bambini; la presenza di immagini di minorenni di ogni fascia di età (dai bambini di pochi mesi agli adolescenti) e di ogni nazionalità; di immagini con particolari di parti del corpo, erogene e non, che vengono enfatizzati ossessivamente; di immagini che ritraggono l’atto sessuale; • la presenza dei cosiddetti “snuff-movies”, filmati in cui i bambini vengono violentati, torturati e uccisi. 22
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Il pedofilo che naviga nella rete viene definito cyberpedofilo. Il cyberpedofilo è un individuo che trova nella rete la possibilità di soddisfare le sue fantasie sessuali senza apparentemente contravvenire alle regole morali imposte dalla società in cui vive; sa inoltre utilizzare al meglio la tecnologia per raggiungere i propri scopi. Tale soddisfacimento virtuale degli impulsi accentua nel cyberpedofilo la devianza e l’allontanamento dalla vita reale. Esistono diverse tipologie di pedofili che utilizzano la rete: • closet collector (collezionista armadio): conserva gelosamente la sua collezione pedo-pornografica e non è mai coinvolto, in prima persona, negli abusi sui bambini; • isolated collector (collezionista isolato): colleziona pedo-pornografia, scegliendo una particolare categoria di minori; è coinvolto direttamente nell’abuso; • cottage collector: condivide la sua collezione e le sue esperienze di attività sessuali con altri, ma non ne trae profitto; • commercial collector (collezionista commerciale): è coinvolto personalmente nello sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali, producendo, copiando e vendendo materiale pedo-pornografico. PEDOFILIA
La pedofilia online persegue due finalità: il soddisfacimento virtuale dei desideri sessuali dei pedofili attraverso la fruizione dei siti pedopornografici e l’induzione a mettere in atto i comportamenti pedofili su quanti ancora sono rimasti inerti. I rischi di molestia e di adescamento per i soggetti minorenni nelle chat rooms sono numerosi; sebbene vi sia una distanza fisica tra i due interlocutori, è possibile, in rete, eliminare le differenze di età o di cultura che normalmente pongono dei limiti nelle relazioni tra minori e adulti. Il web rappresenta uno strumento utile per i pedofili nella fase di contatto iniziale con i minori, in quanto permette loro, senza esporsi troppo, di attuare sia forme “soft” di molestia verbale, sia i primi approcci, finalizzati all’incontro reale con il bambino. I pericoli che la Rete riserva ai piccoli cybarnauti necessitano di un’attenzione particolare da parte dei genitori. È necessario che questi stiano vicini ai loro figli, che li guidino nel percorso all’interno del web e che imparino a parlare il loro linguaggio, per comprenderne meglio i loro interessi e le loro aspirazioni, pulsioni, emozioni. Non bisogna lasciare soli i bambini davanti al pc: occorre navigare insieme, trasmettendo loro le regole fondamentali per una corretta navigazione come, ad esempio, non dare informazioni personali, abbandonare i siti dai contenuti non adatti all’età, non incontrare mai persone conosciute in rete, informare i genitori di eventuali tentativi di adescamento o di eventuali molestie subite online, e così via. Tutto questo aiuta i bambini ad avvalersi di internet come di un meraviglioso strumento di conoscenza e di crescita intellettuale, senza cadere nelle trappole loro tese da adulti con intenzioni tutt’altro che benevole.
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“INFANTOFILIA”:
Don Fortunato Di Noto
METER DENUNCIA, MA A POCHI INTERESSA Lettera aperta a genitori e giornalisti di buona volontà
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ono bambini italiani?», «Dicono qualche parola in dialetto?», «Può confermare che queste violenze e abusi avvengono in Italia?». È inutile che io ribadisca: «Sono neonati! Non parlano lingue, farfugliano!». E poi: «Mi prendete per un prete scemo? Ignorante? Sono neonati!». E invece mi rispondono: «Allora, dato che non sono italiani, non scriveremo nulla nei quotidiani, anzi è un problema che in fondo non ci riguarda. Le diciamo che forse un po’ si esagera». Tutto questo accade davanti alle urla dei neonati. Queste espressioni che vi riferisco sono un collage di diversi commenti (da parte di genitori e giornalisti, o così si sono presentati sui social) che in questi giorni mi è toccato leggere. E gli effetti si sono visti: nessuno ne ha parlato e pochi ne hanno scritto sui quotidiani. Non è – credetemi – per avere una news, per uno spazio in pagina; non ne ho bisogno e non ne vorrei. Ma mi occupo di bambini violentati, e ancora una volta devo constatare come nessuno si sollevi per il fatto che dei neonati vengano violati, abusati, torturati sessualmente. Questo non dovrebbe solo indignarci. Aggiungo che i video e le foto sono veri, autentici frutti abominevoli di ciò che – nel nascondimento e nel barbaro atto di potere – adulti (e, direi, genitori o tutori) compiono su queste creature innocenti. E, invece, da parte di questi “addetti ai lavori”, piccati di essere anche genitori... nessuna reazione. Potrebbe accadere di individuare chi ha diffuso questo materiale, e già sarebbe qualcosa: i pedofili online si nutrono di questo eccellente materiale, sempre di più. Potremmo rielaborare un sistema più efficace per l’individuazione delle vittime, ma questo 24
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«Se non dai voce a chi soffre, sappi che sei complice anche tu» stenta a partire per la lentezza della collaborazione internazionale. La pedofilia (anche online) è un crimine, ma in fondo non tutti la pensano così: sottovalutano il problema e non considerano questo tragico fenomeno come emergenza. Anzi, direi di più: non lo considerano una cancrena della società ipersessualizzata, nella quale il mercato del sesso pretende di rendere tutto normale, nella strisciante e subdola ‘naturalizzazione’ dell’orientamento pedofilo (da accettare “senza se e senza ma”). Se non capisci questo, se non urli questo, se non dai voce a chi soffre, però, sappi che sei complice anche tu. Già… dovevo capire se erano neonati italiani. Che stupido che sono. Gli chiederò se hanno voglia di telefonare alle numerose linee telefoniche di aiuto per bambini. Già… lo chiederò ai neonati… Tanto per intenderci, in riferimento ai neonati: Meter ha denunciato formalmente, dal 2014 al 2015, ben 8.745 foto e 4.199 video di bambini da 0 (zero) a 3 anni. È vero, a volte sono video e foto che si ripetono, ma molti sono di nuova produzione. Ditemi se questa non è un’emergenza criminale. Meter fu la prima a denunciare l’“infantofilia”. Mi dispiace solo che non parlino italiano, ‘sti bambini. PEDOFILIA
Adriana Passarello
BAMBINI ORFANI CON GENITORI VIVI
Parla una psicologa, responsabile del Centro di Ascolto e Accoglienza per le vittime di abuso e disagio infantile dell’Associazione Meter
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gni giorno si sente parlare di abuso e si attribuiscono a questa parola vari significati. Si tratta sempre e comunque di una grave mancanza di rispetto che gli adulti hanno verso lo sviluppo psicofisico del bambino. L’abuso sessuale è quello considerato più grave in quanto distrugge la fiducia che il bambino ha verso gli adulti e verso se stesso. Nel caso in cui siano coinvolti dei minori, l’abuso sessuale viene identificato con il termine “pedofilia”.
Le vittime dei pedofili sono i bambini più soli, che magari hanno tante cose, ma ai quali mancano rapporti umani sani
La pedofilia è una patologia psichiatrica annoverata nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), che la definisce come un comportamento parafiliaco che comporta «[...] attività sessuale con bambini prepuberi. Il soggetto affetto da pedofilia deve avere almeno sedici anni e deve essere di almeno cinque anni maggiore del bambino». Nell’immaginario collettivo si pensa che il pedofilo sia un mostro, un individuo che si può distinguere tra tanti; in realtà il pedofilo è una figura assolutamente comune, insospettabile e solitamente molto vicina al bambino, che intrattiene con lui un rapporto di fiducia. Il pedofilo prova una forte attrazione sessuale verso bambini prepuberi, che in alcuni casi rimane latente per molto tempo e può essere scatenata da eventi o situazioni casuali come entrare in stretto contatto con il bambino, sentire l’odore della pelle, vedere fotografie ambigue, sfiorare il bambino in modo particolare o conoscere persone che hanno avuto esperienze sessuali con minori e ne parlano in maniera molto positiva. Una domanda ricorrente, quando si parla di pedofilia, riguarda le cause che portano un adulto a essere attratto da un bambino.
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Le numerose teorie eziologiche che prendono in considerazione il comportamento pedofilo possono essere schematizzate a seconda del fattore che tendono a spiegare e al quale danno la maggiore importanza: LA TEORIA DELL’ANOMALIA BIOLOGICA considera la produzione anomala di alcuni ormoni sessuali quali causa del comportamento abusante. In particolare, in alcuni soggetti si riscontrano alterazioni psiconeuroendocrinologiche a causa delle quali l’attività del testosterone appare fortemente aumentata, anche fino a dieci volte la norma (Bruno, 1999).
LE TEORIE PSICODINAMICHE considerano il pedofilo come un individuo che non ha completato il suo processo di sviluppo verso l’adattamento eterosessuale. La mancata risoluzione della crisi edipica mediante l’identificazione con il genitore aggressore, provoca una scelta impropria dell’oggetto da un punto di vista libidico (Gabbard, 1994).
LA TEORIA DELL’ABUSATO-ABUSATORE ritiene che spesso la pedofilia possa avere origine dalla rimozione di traumi sessuali subìti. Numerose sono le ricerche e gli autori che sostengono che l’abusante è stato a sua volta vittima, durante l’infanzia, di abusi (Stoller, 1978; Groth, 1981; de Young, 1982; Dobash et al., 1993). Le modalità dell’abuso «sembrano ripetere gli aspetti della vittimizzazione da loro subita» (Roccia, Foti, 1994); la vittima di allora cerca, identificandosi con il suo aggressore e agendo da carnefice, di vendicarsi per il dolore e l’impotenza sofferti.
LA TEORIA DELLA DISTORSIONE COGNITIVA considera i pedofili come degli abili manipolatori e la loro capacità di minimizzare le trasgressioni e di attribuire agli altri la colpa del loro comportamento hanno l’effetto di liberare le inibizioni riguardo alle proprie preferenze sessuali (Wyre, 1990). I pedofili, a causa di questi processi di pensiero distorti, sono portati a interpretare come sessuali i comportamenti delle loro vittime e questo permette di giustificare il loro comportamento, agli occhi di se stessi e degli altri (Howitt, 1995).
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In linea generale, la pedofilia è un tratto multifattoriale in cui entrano in gioco aspetti mentali, istituzionali, di attività, di educazione sessuale, di violenza e di controllo delle pulsioni. Indipendentemente dalla causa che porta un individuo a essere attratto da un bambino, qualsiasi sia la terapia utilizzata vi è una scarsa probabilità di successo, se non esiste una consapevolezza del danno arrecato alle vittime e una solida motivazione al cambiamento. Il pedofilo preferisce bambini affettivamente soli, trascurati e senza amici, quei bambini che possono scambiare più facilmente le sue attenzioni per gesti d’affetto. La modalità di “conquista” è molto semplice e di solito è sempre la stessa: il pedofilo cerca di ottenere la fiducia e la stima del bambino, diventando ai suoi occhi una persona importante. Comincia quindi a passare molto tempo con il bambino, diventa il suo migliore amico, lo ascolta e gli dà consigli, diventa la sua spalla e colui che lo copre quando si comporta male. Il rapporto continua a crescere fino a quando si sviluppa una sorta di dipendenza del bambino verso questa persona che si finge amica. Quando il pedofilo capisce che il bambino è abbastanza dipendente per ricevere le sue attenzioni sessuali, comincia a proporgli giochi ambigui. Quando il bambino capisce che non si tratta di giochi ma di violenze, è già entrato nella trappola dei condizionamenti che il pedofilo gli ha teso. Ai primi «No» del bambino il pedofilo dapprima cerca di circuirlo in maniera molto pacata, senza farlo spaventare, ma se i «No» continuano lo manipola, facendolo sentire in colpa, o lo minaccia. Da questa trappola il bambino non potrà mai uscire, se non
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troverà un adulto in grado di ascoltarlo e capirlo. I bambini vittima di pedofilia hanno una caratteristica che li accomuna: la solitudine. Non a caso don Fortunato Di Noto li definisce «Bambini orfani con genitori vivi», bambini con genitori che si preoccupano del loro benessere materiale, ma che sottovalutano il benessere emotivo. Il pedofilo, o chiunque voglia fare del male al bambino, si serve proprio della solitudine presente nella vita per far cadere il piccolo nella sua trappola emotiva. Erroneamente si pensa che un bambino vittima di abuso sessuale, crescendo, dimentichi il trauma cha ha subito, o che la sua fiducia è stata tradita, o che la persona cui lui voleva bene si sia approfittata della sua ingenuità. Piacerebbe anche a noi credere la stessa cosa, ma con l’esperienza fatta in questo campo, e come si può leggere in tutti i manuali sull’argomento, le conseguenze future su un bambino vittima di abuso spesso interessano la vita sociale, sessuale, lavorativa e di coppia dell’adulto che diventerà. Dalle casistiche è emerso che più un bambino è piccolo e meno probabilità ha di ricordare e quindi di sviluppare conseguenze nella vita adulta. Questo è vero solo in parte: chiunque subisca un grosso trauma può sviluppare il meccanismo di difesa della rimozione. I bambini abusati non ricordano di aver subito l’abuso, ma non per questo non svilupperanno conseguenze. Qualsiasi psicoterapeuta può testimoniare come dietro i casi di disturbi alimentari, sessuali, ossessivi compulsivi vi possa essere una realtà di abuso sessuale rimosso. Si può concludere affermando che un abuso – a qualsiasi età venga subito – crea un danno, più o meno grave, all’equilibrio psichico della vittima.
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RACCONTO DI UN PASSATO SEMPRE PRESENTE
Domenico
Una testimonianza diretta, il ricordo doloroso di un male indelebile
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on è mai facile descrivere le emozioni di un passato che si è cercato tutta la vita di dimenticare, superare. Un passato lastricato di ricordi, a volte quasi volutamente confusi, che parlano di te, soggetto e protagonista di un film che non avresti mai voluto girare e interpretare. Attenzioni, tenerezze, fiducia... quando sei un bambino, sono parole che descrivono la famiglia, la tua famiglia, e il gioco rappresenta il comune denominatore del tuo essere un innocente fanciullo. Ma a volte ciò che deve essere per natura gioioso diventa marcio e aberrante; così uno zio, lo zio compagno di giochi, tradisce la tua fiducia incondizionata e ti trascina, pian piano, in un lungo tunnel dove riesci appena a respirare. Così il gioco assume prospettive ogni giorno diverse, la scoperta della tua sessualità, quel limpido processo che accompagna la vita di ogni ragazzo, diventa complicato, sporco, difficile da comprendere, tra innocenza e malizia, tra ingenuità e brutale realtà. In principio pensi che non c’è niente di male, sei con lo zio, non può esserci male, e ti lasci andare. Ad un certo punto però intuisci che qualcosa è cambiato: l’innocenza ha lasciato il posto alla più inconcepibile delle pratiche, ma c’è qualcosa che ti blocca, che ti fa andare avanti e che ti rende complice di un reato che stai solo subendo. L’ambiguo non è più ambiguo, quello che poteva sembrare un gioco un po’ spinto si palesa per quello che è: sesso. E la scoperta fa più male di una pugnalata, ma decidi di chiuderti a riccio nel silenzio: nessuno deve sapere, nessuno deve capire, nessuno deve poter giudicare, nessuno può capirti e aiutare. Gli anni passano, gli incontri continuano e ti senti sempre più sporco, come macchiato di un delitto, non capendo che l’unico delitto è il furto della tua innocenza. Tuttavia preferisci indossare ogni giorno una maschera: ti senti solo in mezzo agli altri, ma devi e vuoi andare avanti, seppellendo le tue emozioni e i tuoi gridi disperati d’aiuto. Sei caduto nel baratro e quella maschera è fondamentale: ogni giorno va in scena la vita di figlio, amico, studente e fratello normale, magari anche allegro e spensierato, ma a sera – quando i riflettori si spengono e ti togli quella fottuta maschera dalla faccia – avresti solo voglia di piangere; a volte lo fai per davvero, e implodi quel grido straziante dal cuore che si chiede: perché proprio a me? È l’inizio della fine: non sei più lo stesso, i piccoli problemi diventano montagne insormontabili e ti lasci travolgere e trasportare dall’inerzia del quotidiano. 28
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PEDOFILIA PEDOFILIA
Gli amici diventano conoscenti con cui passi la maggior parte del tuo tempo e la scuola un passatempo per impiegare le mattinate, con risultati ovvi che prendono a pugni il tuo orgoglio di sempre ottimo studente. Così cambi scuola per non perdere un anno, consapevole di aver perso solo te stesso. Ti rendi conto di aver toccato il fondo, soffri, ma non lo dai a vedere, ti ostini a non cercare aiuto; incominci a convincerti che l’anormale sia diventato normale,
o per lo meno lo è per te. Così ti imponi che quegli incontri non sono così riprovevoli, ma ti piacciono, incentivati da uno zio che ti lusinga e comincia a pagarti come una vile prostituta. Dentro di te pensi che tutto sia perduto: t’infogni ed entri ancora di più nella parte che lo sceneggiatore di questo film horror ha scritto per te; arrivi persino a cercarlo e chiamarlo tu, come a tentare un suicidio morale (per la cronaca, perfettamente riuscito).
Poi a un tratto vedi la luce in fondo al tunnel, quanto mai insperata e desiderata: si tratta di una ragazza di cui t’innamori alla follia. In lei trovi ascolto e comprensione e ti dà coraggio, il coraggio di mettere la parola fine allo scempio della tua adolescenza. Avevi il disperato bisogno di una scintilla e a lei ti aggrappi con tutta la forza che puoi, dando però troppe responsabilità a una persona allora diciottenne. Intuisci la strada giusta da percorrere, ma hai ancora bisogno di tempo per razionalizzarla e per aprirti e – con la parola, l’affetto e la comprensione di chi ti circonda – riuscire a lavare le profonde, e quasi indelebili, macchie di anni di abusi. Lavare quell’ossessivo quanto paradossale senso di colpa che ti stringeva l’animo, quell’inconcepibile sensazione che offusca la verità e che ti vuole complice alla pari di chi
ti ha semplicemente rovinato la vita. Decidi di non denunciarlo per il bene tuo e della tua amata famiglia. Non vuoi scandali, non vuoi terremoti, vuoi solo giustizia e la tanto agognata serenità. Allora decidi che sarà lui a pagarti la psicoterapia e non ammetterai «Se» o «Ma», che comunque non ci sono stati. Giusta o sbagliata, la scelta ha portato i suoi frutti. Oggi posso dire di essere cambiato perché ho avuto la forza, la fortuna e il coraggio di affrontare ciò che è stato con la luce della ragione e del confronto. Non è stato facile e non lo è tutt’ora, certe cose non si cancellano ma si guardano con gli occhi di chi non vuole arrendersi, per quanto la strada sia in salita, facendo tesoro e cercando di trarre il meglio da un passato sempre presente.
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LA VITA È MERAVIGLIOSA Cosa accade nella nostra vita quando rinunciamo a un sogno o a un progetto? Cosa succede quando viviamo una sconfitta, una porta chiusa, una difficoltà Marco Bertogna inaspettata? Che senso ha la nostra vita se non otteniamo i risultati sperati? La risposta a queste domande la troviamo in un film, per l’esattezza nel capolavoro del 1946 di Frank Capra La vita è meravigliosa, con James Stewart e Donna Reed. Dio, accogliendo le preghiere di molte persone di una piccola cittadina americana, assegna a un angelo di seconda classe (non ha ancora le ali e deve quindi guadagnarsele) il caso di un uomo che, pur avendo seminato del bene nella sua vita, a causa di un grave problema economico decide di farla finita. L’angelo, prima di intervenire, rivede le fasi salienti della vita dell’uomo per capire cosa fosse successo e, una volta sceso in terra per aiutare il nostro protagonista, fa vedere allo stesso cosa sarebbe accaduto alle persone a lui vicine se non fosse mai esistito; questa esperienza fa riaccendere il fuoco della vita nell’uomo, facendogli apprezzare il dono che è stato per gli altri e quanto la sua presenza sia stata influente per la vita dei suoi cari. Un accento particolare viene dato alla contrapposizione che George (James Stewart) ostenta nei confronti di Mr Potter (Lionel Barrymore), il potente e cattivo della cittadina; è a causa di questo conflitto che George da giovane rinuncia ai suoi progetti, ovvero i viaggi all’estero e la costruzione di grattaceli. È per mandare avanti l’attività del padre e dello zio che rimane a vivere nella piccola cittadina e rinuncia alla grande città; è per andare incontro alle esigenze dei suoi concittadini che rinuncia a facili guadagni e vive con moglie e figli in una vecchia casa da ristrutturare. È una vita di rinunce, è una vita di sacrifici e di lotte, è una vita di sogni continuamente infranti... ma è una vita in cui la semina è stata sempre nel campo della positività, della scelta del bene, dell’altruismo, dell’apertura alla vita, della lotta contro il male, della solidarietà, della socialità, della fratellanza e, perché no, della preghiera (più volte citata nel film). La caratteristica del linguaggio che è stata utilizzata è quella del flashback (dopo i primi minuti ripercorriamo le fasi salienti della vita di George); l’impasto fotografico è il classico bianco e nero americano degli anni Quaranta-Cinquanta e, nonostante qualche piccolo strattone nel montaggio (alcuni tagli subiscono dei passaggi bruschi forse dovuti alla lavorazione e al restauro della pellicola), il film è sempre godibilissimo e da conservare tra i classici delle nostre videoteche. La vita è meravigliosa è un’affermazione che Frank Capra ha voluto scrivere in una pellicola fatta di “semina”, in cui il “raccolto” non coincide con i nostri sogni e i nostri progetti, ma ci fa scoprire il senso della vita proprio attraverso la semina stessa. È un film ProVita.
LETTURE CONSIGLIATE «Nessun uomo è un’isola, ogni libro è un mondo» (Gabrielle Zevin)
Rodolfo de Mattei
DALLA SODOMIA ALL’OMOSESSUALITÀ Storia di una “normalizzazione” Solfanelli
Le rivoluzioni si fanno innanzitutto con il linguaggio, e così anche quella “arcobaleno”. Il termine “omosessualità” è stato utilizzato, a partire dalla fine del XIX secolo, per “normalizzare” quelli che fino ad allora erano identificati come “atti contro natura” o, secondo la terminologia biblica, “sodomitici”. L’Autore coglie così la scelta ideologica e strategica attuata grazie all’impegno di intellettuali, militanti, e movimenti organizzati, al fine di “normalizzare” ciò che è sempre stata considerata una delle più gravi violazioni della legge naturale. Con il ricorso agli studi scientifici più recenti, poi, confuta i più ricorrenti tra i luoghi comuni sulla “normalità” dei rapporti omosessuali.
Agostino Tommaselli
L’AMORE NON È UN SENTIMENTO. Piccolo manuale dell’amore vero Sugarco
L’Autore ci offre utili spunti per ritrovare il fondamento e l’essenza dell’amore, in un’epoca storica che sembra averlo liquidato a una categoria fluida, cangiante, fruibile ad hoc. Il libro è offerto alla riflessione di tutti, credenti e non: perché l’amore è un atto della volontà e il matrimonio è l’istituto in cui può trovare piena dimensione. L’amore va ben oltre il semplice e mutevole sentimento, in quanto necessita di una stabilità e di una scelta duratura. In amore l’unica cosa che conta davvero è il “bene” dell’altro, un bene che si “vuole”. La legge naturale, poi, è riferimento primario per l’amore, per la famiglia e per il matrimonio: solo in ossequio a essa, l’amore può essere vero, libero e felice.
vo in ITALIA In primavera di nuo vita.it ro p ie z ti o .n w w w Tutte le date su:
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