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Infosportpagine
Rivista Mensile N. 7 - Luglio/Agosto 2013
“nel nome di chi non può parlare”
La “Signora del Vento” per la Vita La Ragione contro l’aborto: Pierpaolo Pasolini
Ettore Gotti Tedeschi spiega che bisogna difendere la Vita per fare vera economia
Il Sai no kawara dei mizuko: il Giappone a 65 anni dalla legalizzazione dell’aborto
- Sommario -
Notizie
Editoriale 3 Notizie dall’Italia Notizie dal mondo
4 5
Primo Piano Il Sai no kawara dei mizuko
10
Roberto Dal Bosco
La paternità negata 12 Andrea Torquato Giovanoli
Il dramma del Forteto e l’inferno dell’uomo
13
Shadan Bassiri
RIVISTA MENSILE N. 7 - LUGLIO/AGOSTO 2013 Testata Infosportpagine-ProVita Editore MP cooperativa giornalistica Sede legale Via Marlengo 49/b, 39012 Merano (BZ) Autorizzazione Tribunale BZ N6/03 dell’11/04/2003 Codice ROC MP 12603 Redazione Mario Palmaro, Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Largo della Caffarelletta 7, 00179 Roma. Tel/fax: 06-3233035 Direttore Responsabile Francesca Lazzeri Direttore Editoriale Francesca Romana Poleggi
Attualità Omissione d’atti d’ufficio
6
Alberto Calabrò
Il miracolo della Vita 7 Giulia Tanel
Mamma ho perso l’embrione 8 Antonello Cavallotto
Vicino a chi soffre, contro il suicidio 9 Federico Catani
Scienza e Morale La nipote di Martin Luther King si batte per la Vita
14
Spiegel
Nonostante tutto 15 Marta Buroni
Per una responsabilità professionale dei medici abortisti 16 Virginia Lalli
Lo strano caso dei “risvegli” 17 Giuliano Guzzo
La Ragione contro l’aborto 18
Direttore Amministrativo Beniamino Iannace Segretaria di Redazione Camilla Tincani Progetto grafico Massimo Festini Tipografia Aesse Stampa, Via Pirandello 12, 82100 Benevento Distribuzione MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Rapida Vis, Via Cadlolo 90 - 00136 Roma Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero Shadan Bassiri, Antonio Brandi, Marta Buroni, Alberto Calabrò, Antonello Cavallotto, Federico Catani, Roberto Dal Bosco, Kociss Fava, Andrea Torquato Giovanoli, Giuliano Guzzo, Virginia Lalli, Michele Luscia, Renzo Puccetti, Ettore Gotti Tedeschi, Spiegel, Giulia Tanel.
per un aggiornamento quotidiano:
www.prolifenews.it
Michele Luscia
Sono troppi gli obiettori di coscienza? 19 Renzo Puccetti
Famiglia ed Economia Una specie di solletico
20
Kociss Fava
Difendere la Vita per fare vera economia 21 Ettore Gotti Tedeschi
A lezione da Stalin! 22 Antonio Brandi
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Editoriale
Notizie
3
Editoriale
La “Signora del Vento” per la Vita
Questo numero di Notizie Pro Vita si associa a un’iniziativa altamente meritoria: lascio spazio alla Presidentessa dell’Associazione “Vita - Volontari per Vocazione”, per illustrarla. Antonio Brandi
La Vita è il dono più grande e prezioso del mondo, è il valore assoluto!“Vi invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento”, ha detto Papa Francesco ai quarantamila partecipanti alla Marcia per la Vita del 12 Maggio. Proprio per questo, per difendere il diritto di tutti alla Vita, è nata l’Associazione “Vita-Volontari per Vocazione”. In quest’ottica, inoltre, è entrata come socia nella Onlus “Vivi la Vita”, che dà sostegno alle ragazze madri, dando loro una speranza e una valida alternativa all’aborto. I bambini non vanno difesi solo nel momento del concepimento o subito dopo, ma anche nel loro percorso di Vita, vanno protetti da abusi e violenze, aiutati a crescere secondo le loro vocazioni. Pertanto “Vita-Volontari per Vocazione” si offre per assistere bambini, anche disabili, appartenenti a famiglie poco abbienti, che non possono offrire loro la possibilità di coltivare discipline artistiche e culturali. L’Associazione pone una particolare attenzione alla valorizzazione delle persone, soprattutto attraverso la promozione di una costante attività di formazione, volta all’apprendimento di specifiche competenze e allo sviluppo di un’approfondita professionalità manageriale secondo i settori
di appartenenza. La formazione e la valorizzazione del talento insito in ognuno di noi è infatti importante per la difesa della Vita, anzi ne è l’ideale completamento. Per aiutare i giovani talenti italiani, quindi, la nostra Associazione ha intrapreso una serie di iniziative, come l’evento del 10 maggio scorso sul veliero Signora del Vento, “La Rotta del Talento”: un evento che a breve diventerà un vero e proprio festival annuale. In questa occasione abbiamo voluto unirci alla rivista Notizie Pro Vita, che promuove la cultura della Vita, con la collaborazione di firme prestigiose tra bioeticisti, medici e giornalisti italiani ed esteri. Insieme alla redazione di Notizie Pro Vita organizzeremo altri eventi culturali, come la proiezione del film “October Baby”, spettacoli teatrali come “Il Mondo di Lucy”, tavole rotonde, concerti, allo scopo di sensibilizzare la pubblica opinione, e soprattutto i giovani, in difesa della Vita. La “Signora del Vento”, un meraviglioso veliero d’epoca, è divenuto per tutti noi un simbolo di Vita, un Veliero antico e allo stesso tempo moderno, che ci ha donato un contatto forte ed emotivo con il mare dando l’opportunità ai giovani talenti di scoprire i segreti dell’arte marinara aiutandoli al confronto con temi importanti, come la fiducia in se stessi e il rispetto degli altri. Ringrazio la rivista Notizie Pro Vita, la “Signora del Vento” e tutti coloro che vorranno aiutarci e condividere i nostri progetti, consapevoli che il futuro appartiene ai nati e ai nascituri, che solo sostenendoli nei loro sogni potremo avere un futuro migliore. Vi saluto con un arrivederci a presto e con una meravigliosa frase di Madre Teresa, che mi sta particolarmente a cuore: “La Vita è la Vita, difendila”. Vita Livia Bradascio
Notizie dall’Italia
Notizie
Notizie dall’Italia
4 Per Papa Francesco non si può amare l’Amazzonia ed essere abortisti: questo è il succo di un discorso accorato sull’ambiente, e una riflessione sulla dignità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Il Papa ha impostato la sua meditazione su uno schema approntato anni addietro da Benedetto XVI: i doveri verso l’ambiente derivavano da quelli verso la persona. Papa Francesco, lungi dallo sposare tesi meramente ecologiste ha posto l’uomo al centro della riflessione sulla custodia del Creato. Con la brutale franchezza che gli è congeniale ha detto che in un’ottica ecologica la vita umana è il bene primario da rispettare e tutelare maggiormente, che sia un feto, un disabile o un anziano. Al Centro per le Famiglie di Faenza si è tenuto un ciclo d’incontri rivolto ai genitori di bambini sotto i tre anni, per accompagnare le mamme e i papà nell’esperienza della genitorialità. L’iniziativa, promossa dal Centro per le Famiglie, affronta le varie tematiche legate ai cambiamenti nella coppia con l’arrivo di un bambino. “Tu al centro del nostro mondo. Alla ricerca di nuovi equilibri per mamma, papà, nonni e non solo” è stato il tema dell’incontro di giugno, condotto dalla dottoressa Elisabetta Ciracò, psicologa e psicoterapeuta.
Giorgio Celsi, infermiere alla clinica Zucchi di Carate Brianza, presidente dell’associazione «Ora et labora in difesa della vita» e vicepresidente dell’associazione «No 194», tra le tante attività pro vita che svolge, spesso indossa la sua divisa di lavoro e distribuisce i volantini davanti agli ospedali dove si praticano gli aborti. In questo modo ha salvato molti bambini e molte donne dalla tragedia. Ma non tutti sono felici di questo: tempo fa è stato aggredito davanti alla Mangiagalli di Milano, alla fine di maggio ha ricevuto insulti e spintoni davanti all’ingresso pedonale dell’ospedale San Gerardo di Monza. Questa è la tolleranza dei libertari… La Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la Convenzione di Istanbul del maggio 2011 contro la violenza sulle donne e il femminicidio. Secondo lo spirito di questa normativa, la donna è titolare di diritti non in quanto persona bensì in quanto appartenente al genere femminile, una sorta di categoria protetta che necessita di provvedimenti ad hoc finalizzati a garantirle quella parità che viene negata e contraddetta dai provvedimenti stessi: questo spirito è fortemente maschilista e discriminatorio! Si è tenuto a Treviso, presso l’Auditorium S. Pio X l’ultimo dei 16 convegni pubblici regionali promossi dalla Presidenza nazionale e dalle Delegazioni regionali dell’Azione Cattolica in preparazione della Settimana sociale dei cattolici italiani che si terrà a Torino dal 12 al 15 settembre 2013 e che ha come tema “Famiglia: speranza e futuro per la società italiana”. I convegni, analizzando le diverse realtà locali, hanno mostrato quanto importante sia per la società il patrimonio d’amore che la famiglia reca e produce. Un capitale che nessuna ricchezza materiale può comprare o sostituire, e senza il quale le difficoltà non possono che aggravarsi ulteriormente.
Antonello Vanni è autore di un libro, “Lui e l’aborto”, che infrange per la prima volta il tabù che ha finora oscurato in Italia il rapporto tra i padri e i loro figli abortiti, in omaggio al principio stabilito ideologicamente secondo il quale “l’aborto riguarda solo le donne”. Decisiva, e rilevante per tutta la società, è la tuttora diffusa sottomissione maschile all’idea che l’aborto non li riguardi. È questa una delle manifestazioni della crescente passività dell’uomo nell’occidentale “società senza padri”. Il tema dell’aborto interseca dunque subito quello dell’implosione del maschile e della sua cultura nella società tardo moderna. Il “cuore” maschile, che Antonello Vanni qui ci presenta, è profondamente ferito, e non per vanità. L’anima, la psiche si ribellano alla soppressione della nuova vita. Secondo un’indagine dell’Istat, rispetto al 1995, le separazioni sono aumentate di oltre il 68% mentre i divorzi sono praticamente raddoppiati. Nel 2011 le separazioni sono state 88.797 e i divorzi 53.806. Un dato in costante aumento dagli anni novanta a oggi. I matrimoni, inoltre, durano sempre di meno: la separazione arriva in media dopo 15 anni di unione, il divorzio, invece, dopo 18 anni. La crisi coniugale colpisce soprattutto i quarantenni: al momento della separazione i mariti hanno in media 46 anni e le mogli 43. Nella maggior parte dei casi le coppie sposate decidono di lasciarsi di comune accordo. Nel 2011, d’altro canto, i matrimoni nel nostro Paese sono stati 204.830: quasi 13 mila in meno rispetto al 2010. Dalla fine di maggio è ricominciato “Mondo Famiglia”, il ciclo di trasmissioni televisive dedicato alle tematiche familiari, promosso dall’Assessorato provinciale alla Famiglia, alla Sanità e alle Politiche Sociali. Le sette puntate di “Mondo Famiglia” andranno in onda sulle emittenti private in lingua italiana su “TCA Alto Adige TV” e “Video33”. Il nuovo ciclo di trasmissioni è costituito da 7 puntate di una durata di circa 8 minuti l’una e viene realizzato dalla cooperativa sociale G.News.
L’Ufficio Diocesano Famiglia di Reggio Calabria ha organizzato il 22° Pellegrinaggio Mariano delle famiglie, sul tema “Alla luce della fede rinnoviamo la speranza”. Le famiglie pellegrine sono partite dal Policlinico “Madonna della Consolazione” e hanno raggiunto a piedi la Basilica dell’Eremo. Le mamme italiane sono le più vecchie d’Europa: il 34,7% - ben più di una su tre - supera i 35 anni al momento del parto. Dopo le italiane vengono le spagnole (29,5%) e le irlandesi (27,9%). Polonia (11,8), Slovacchia (12,6) e Romania (10,9) sono invece i Paesi con la percentuale minore di madri in questa fascia d’età. Noi italiani siamo sul podio anche per i parti cesarei, con un secondo posto (38%), dietro solo a Cipro che “vanta” un 52%. È quanto emerge dal secondo rapporto europeo sulla salute materno-infantile Euro-Peristat.
Notizie dal mondo
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Anche in Francia diversi comuni hanno assegnato una medaglia al merito (un premio istituito nel 1920) ai genitori delle famiglie numerose. Quest’anno, però, alcune famiglie l’hanno pubblicamente rifiutata per protestare contro la «distruzione della famiglia» causata dall’approvazione della legge sul matrimonio gay. Hanno detto pubblicamente: «Come può lo Stato celebrare dei valori che ha appena ridicolizzato con la legge Taubira?»; «Attaccare l’istituzione della famiglia, distruggendola, e poi distribuire delle medaglie non è forse una forma d’ipocrisia e incoerenza?»; «Io non mi riconosco più nell’idea di “famiglia” di questa società, che non protegge i suoi figli».
Vladimir Putin ha assegnato a dieci famiglie russe l’Ordine al Merito dei Genitori. In particolare è stato dato questo importante riconoscimento civile alla famiglia Korochentsev della regione di Rostov, che ha dodici figli. Il Governo russo ha promesso di impegnarsi per garantire che le famiglie numerose in Russia siano sempre di più e trovino le condizioni adatte per formarsi. I medici di Phoenix (Arizona) avevano detto a Nicoletta Soto che la sua vita era in pericolo perché il suo bambino stava crescendo al di fuori dell’utero, in un raro quadro clinico di gravidanza extrauterina, noto come gravidanza corneale. La giovane non ha voluto abortire e ha portato avanti la sua gravidanza fino alla 32esima settimana, lasciando poi che i medici inducessero il parto. È venuta così alla luce la piccola Azelan Cruz, che alla nascita pesava appena un chilo. La mamma e la bimba godono oggi di ottima salute.
Il parlamento lituano ha votato un progetto di legge che rende l’aborto illegale, eccetto che nei casi di stupro, incesto o complicazioni di salute. 46 deputati hanno votato a favore della bozza di legge, con 19 oppositori e 25 astenuti, secondo quanto ha riferito un deputato del partito Llra, che è promotore del progetto di legge. Il deputato Zbignev Jedinskil ha dichiarato che un tale successo di voto mostra l’apertura del legislatore verso ciò che interessa la società civile. Nel suo intervento alla 66a Assemblea Mondiale della Sanità, la Santa Sede ha manifestato la sua contrarietà all’inserimento della pillola del giorno dopo nella lista dei medicinali “salva-vita”. L’elenco di 13 “salva-vita” - che gli Stati del mondo sono invitati a rendere universalmente accessibili e che comprende, oltre alla contraccezione d’emergenza, antibiotici, sali per reidratazione e altri medicinali – è stato comunque adottato dall’Assemblea dell’OMS. Fino a oggi 18 dei 31 Stati del Messico hanno approvato leggi costituzionali pro life, da quando, nel 2007, è stato legalizzato l’aborto. Quello del Distretto Federale è l’unico ordinamento che consente l’interruzione di gravidanza nei primi tre mesi anche fuori dal caso di stupro o pericolo di vita della madre. Ultimamente anche la Suprema Corte di Giustizia di Città del Messico ha rigettato il ricorso di due stati che volevano ampliare le possibilità di praticare l’aborto legalmente.
Il Guatemala è contrario alle unioni gay e all’aborto. Ad annunciarlo, a poche ore dall’inizio della General Assembly of the Organization of American States è stato il presidente del paese sudamericano Otto Pérez Molina. “Il rifiuto da parte del Guatemala dell’aborto e del matrimonio gay sarà chiaro” ha dichiarato Molina al quotidiano La Hora. Rob Waddell ha subìto un trapianto di rene: aveva una malattia genetica, il rene policistico, e per il trapianto normalmente bisogna assumere molte sostanze anti rigetto che hanno seri effetti collaterali, soprattutto a carico dei reni, per cui rischiavano di danneggiare il nuovo organo. Com’è stato superato il problema? Con cellule STAMINALI ADULTE. Senza creare embrioni in vitro, senza distruggere embrioni, ricavate dal midollo del donatore.
La Life Legal Defense Foundation ha fatto ricorso alla Corte Suprema degli USA per la violazione del Primo Emendamento della Costituzione: agli attivisti pro life, infatti, nel Massachusets il tribunale ha vietato di avvicinarsi agli ospedali dove si praticano gli aborti. Il Reverendo Walter Hoye è stato condannato dal tribunale di Oakland, California, a 30 giorni di carcere e a una salatissima multa, anche se nessuno dei pazienti della clinica vicino alla quale lui distribuiva volantini e pregava si è mai lamentato. Ad altri manifestanti, come gli animalisti e gli antimilitaristi, non è fatto alcun divieto del genere e possono liberamente avvicinarsi e dimostrare il loro dissenso nelle vicinanze di qualsiasi istituzione o evento. Il Deputato Frank Trent ha portato davanti al Congresso USA una proposta di legge per bandire a livello nazionale l’aborto dopo le 20 settimane di gestazione, quando cioè, il bambino sente sicuramente dolore. Le cavie da laboratorio hanno diritto a garanzie in caso d’intervento doloroso, è mai possibile che si alzino le spalle davanti alla sofferenza del feto?
Notizie dal mondo
“Pro Life Campaign” e “Youth Defense”, i più grandi movimenti pro life irlandesi, hanno organizzato una veglia di preghiera l’8 giugno a Dublino. La “Veglia per la Vita” si è tenuta nel pomeriggio a Merron Square, e ha visto la partecipazione compatta del popolo irlandese che è contrario a qualsiasi forma di liberalizzazione dell’aborto.
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6
Omissione d’atti d’ufficio Una dottoressa, obiettore di coscienza, è stata condannata per essersi rifiutata di assistere una donna immediatamente dopo un aborto. Come al solito, i media hanno presentato al pubblico solo mezza verità.
E
nnesima occasione per cui la nobile causa della difesa della vita può facilmente essere mistificata dal fan club della legge 194, magistrati inclusi. La Cassazione, con Sentenza n. 14979/2013 ha rigettato il ricorso di una dottoressa condannata a un anno di reclusione (pena sospesa), con relativa sospensione per un anno dall’esercizio della professione medica e pagamento di 8000 euro a titolo di risarcimento, più spese processuali, per rifiuto od omissione di atti d’ufficio perché, essendo in servizio di guardia medica presso un ospedale, in quanto obiettrice di coscienza, si è rifiutata di assistere una paziente poco prima sottoposta ad aborto, nonostante le richieste d’intervento dell’ostetrica e i successivi ordini di servizio, costringendo il primario a recarsi in ospedale per intervenire d’urgenza. Era attuale una situazione di cosiddetto aborto incompleto: il feto era stato espulso, ma non anche la placenta; a ciò era stato richiesto l’intervento della dottoressa. Non è specificato, elemento fondamentale, se in quel momento il feto fosse ancora vivo o se la morte fosse già sopraggiunta. Legalmente, l’obiezione di coscienza può essere opposta per il “compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”. L’assistenza delle donne nelle fasi precedenti e successive all’operazione costituisce invece preciso dovere del sanitario, benché obiettore.
Nel caso di specie, l’aborto è stato indotto mediante pillola RU486: potrebbe accadere che in questo caso la gravidanza sia di fatto interrotta, ma il bimbo sia espulso ancora vivo; può un obiettore essere obbligato, in un caso del genere, a procedere distaccando la placenta e quindi divenendo lui stesso la causa ultima della morte del bimbo? Stando al tenore letterale della legge, si direbbe di sì. Ma non si può non comprendere che il diritto all’obiezione di coscienza è volto a garantire al medico non tanto la facoltà di non provocare un’interruzione di gravidanza, quanto il diritto a non divenire causa della morte del concepito. L’art. 12 delle preleggi dispone che la legge vada interpretata secondo il significato proprio delle parole che la compongono, ma dispone anche che questa sia interpretata guardando alle intenzioni del legislatore; questi ha voluto preservare la coscienza morale del medico che non voglia privare alcuno della vita, non certo consentirgli di non partecipare a un atto di per sé moralmente neutro come un’interruzione di gravidanza (posto che, sottilmente, si
L’assistenza alle donne nelle fasi precedenti e successive all’aborto è preciso dovere del sanitario, benché obiettore. Ma se l’aborto fallisce, il medico non può essere costretto a distaccare la placenta provocando lui stesso la morte del bimbo. potrebbe dire che anche un parto prematuro o un parto fisiologico costituiscono “interruzione di gravidanza”, ma senza l’accezione negativa che deriva dalla morte del concepito). La Cassazione avrebbe dovuto essere più precisa; dirimenti sono le condizioni del feto nel momento in cui la dottoressa è stata chiamata al dovere: se fosse stato morto, allora la dottoressa avrebbe dovuto procedere senz’altro all’assistenza della paziente poiché questo non avrebbe infranto la personalissima legge morale che l’obiezione di coscienza tutela. Se il feto fosse stato ancora vivo, obbligare l’obiettore a distaccare la placenta (e condannarlo penalmente, qualora si rifiuti di procedere) provocando il decesso del piccolo costituirebbe una vergognosa violazione del diritto all’obiezione, cozzando con le più elementari disposizioni in tema d’interpretazione giuridica. Ma credo che questo, il fan club della 194, non lo specificherà mai. Alberto Calabrò
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Attualità
7
Il miracolo della vita La storia straordinaria di Ivana Grasso, che, in coma, ha partorito e dopo quindici giorni si è risvegliata.
L
a vita è un miracolo che si ripete giorno dopo giorno. Purtroppo nella società odierna si sta finendo con il darla per scontata, nell’ottica superba di potere, in fondo, decidere in maniera autonoma della nascita e della morte. Se in parte questo processo di autodeterminazione circa il vivere sta facendo sempre più breccia – si pensi, a titolo d’esempio, all’aborto o alla fecondazione artificiale –, vi sono tuttavia ancora molti eventi che ci richiamano a guardare alla vita nella giusta prospettiva, di affidamento al Mistero. Una storia esemplare in tal senso è quella di Ivana Grasso. La giovane donna, incinta della seconda figlia, al settimo mese di gravidanza è caduta in coma a causa di un aneurisma. Ricoverata presso il reparto di Ri-
La vita è un mistero, di fronte al quale occorre porsi con atteggiamento umile, in quanto tutto è un dono.
animazione dell’ospedale Garibaldi di Catania, il 16 marzo Ivana ha dato alla luce la piccola Rebecca Maria. La bambina, nata alla trentaduesima settimana grazie ad un taglio cesareo, si è mostrata fin da subito in ottima salute ed è stata posta nell’incubatrice esclusivamente a causa della sua prematurità. Il far nascere un bambino mentre la madre è in coma è un evento che ha del sensazionale: sono noti altri casi simili occorsi negli ultimi anni, ma ogni storia ha un suo significato unico ed irripetibile. Nella vicenda di Ivana Grasso, tuttavia, le sorprese non finiscono qui. Dopo due settimane di coma profondo, infatti, la giovane donna – che i medici davano per persa – si è risvegliata perfettamente guarita. Si è di fronte ad un miracolo? Non sta a noi giudicare. Ivana ha raccontato che, mentre era in coma, parlava incessantemente con Giovanni Paolo II: “Appena mi sono addormentata lui si è seduto accanto a me e mi ha chiesto di pregare la Madonna. Ogni giorno mi abbracciava… poi mi ha detto che dovevo andare e di non smettere mai di pregare”. E ancora: “Abbiamo pregato per ore e ore, giorni e giorni, tutti i giorni… pregavamo insieme – racconta la donna – lui si sedeva accanto a me, sul letto, io sentivo la sua mano sulla mia fronte… è stato lui, papa Wojtyla, a salvarmi; lui ha salvato prima la mia bambina e poi me”.
Dopo circa un mese di ospedale Ivana è stata dimessa, e alla domanda dei giornalisti che le chiedevano come l’esperienza appena vissuta l’avesse cambiata ha risposto: “Mi ha cambiato la vita. Io non sono stata fortunata, ma graziata. L’equipe ha lavorato su di me ma sono convinta che il Signore ha lavorato su di loro affinché tutto andasse per il verso giusto. Quella che ho vissuto la considero l’esperienza più brutta della mia vita, ma nello stesso tempo la più bella perché ho sentito tanto la presenza di Dio, l’affetto della mia famiglia e dei miei fratelli con cui condivido il cammino verso il rinnovamento dello spirito. Il prossimo 24 giugno difatti andrò a Medjugorje”.
La scienza e la medicina possano essere concepite come strumenti a servizio della vita. Dalla storia di Ivana si possono trarre diversi insegnamenti. In primo luogo riguardo al mistero della vita, di fronte alla quale occorre porsi con atteggiamento umile, in quanto tutto è un dono. In seconda battuta, questa vicenda pone in chiara luce come la scienza e la medicina possano essere concepite come strumenti a servizio della vita. Da ultimo, per i credenti, questa storia comprova il valore della preghiera: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7, 7). Giulia Tanel
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Mamma, ho perso l’embrione A un anno dalla distruzione all’Ospedale San Filippo Neri di Roma di 94 vite “azotate”, il giudice chiede 10 condanne.
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0 aspiranti mamme: si chiamano così, sono la parte femminile delle 40 coppie che avevano superato liste di attesa, analisi, cure invasive, effetti collaterali. Ma esse non potranno più essere mamme. A un anno - ricordate? - dal guasto tecnico all’impianto di criocongelazione del Centro di procreazione medicalmente assistita dell’ospedale romano San Filippo Neri, dove andarono distrutti (come fossero cose) 94 embrioni, 130 ovociti e 5 o 6 campioni di liquido seminale – il meglio del fai-da-te-lavita. Intanto l’orologio biologico di circa quaranta potenziali neo mamme e famiglie corre e correndo affievolisce le loro speranze di rimanere incinte. L’hanno riportato alcuni quotidiani nazionali che hanno denunciato il trauma: la chiusura del Centro del suddetto Ospedale San Filippo Neri, inciderebbe sul tempo utile che le fiv-mamme perdono per ricominciare, rifare tutto da capo. Ossia bombardarsi di estrogeni e provare, provare in quel cocktail di embrioni a farne uno, uno che duri, uno che viva e che dia finalmente la felicità a queste mamme. Ma è dura. La lotteria dell’inseminazione è dura e non risparmia questo egoismo velato
La vita di 40 donne sconvolta da una serratura difettosa. E quella degli embrioni sacrificata per un desiderio infame chiamato diritto alla procreazione!
di desiderio. È dura, signore mie. L’orologio biologico corre, il tempo passa e le (vostre) ovaie non funzionano più. Ma più dura ancora è per quegli esseri umani che la scienza moderna chiama materiale biologico, gli embrioni. Più dura per loro. Il “ricominciare” vuol dire possibilità di essere espulsi con parti prematuri, di morire come embrioni, con tanti altri fratellini, spesso gemellini, per un calcolo eugenetico. Loro sono “il materiale” che serve per fabbricare un figlio. Possibilmente sano. E invece loro vorrebbero vivere e nascere come tutti gli altri bambini e soprattutto denunciare l’atrocità a cui hanno dovuto assistere. Intanto l’orologio biologico delle loro assatanate madri passa, il tempo passa e le ovaie non funzionano più. E adesso, a distanza di un anno dall’incidente che ha provocato il deterioramento – ma che bella parola – di 94 embrioni, 130 ovociti e 5 o 6 campioni di liquido seminale, il procuratore della Repubblica chiude l’inchiesta e dichiara responsabili della perdita del materiale biologico tre impiegati della AIR Liquide Service, tre dipendenti della società che aveva in appalto la gestione della struttura e sette sanitari fra i quali l’allora ex direttore sanitario e direttore generale dell’ospedale, per non aver controllato le corrette procedure per l’accesso all’impianto di crioconservazione. I
dipendenti dell’Air invece sono stati condannati per danneggiamento e per aver omesso di controllare il corretto funzionamento del macchinario del reparto di fecondazione e, dulcis in fundo, per non aver apportato misure di prevenzione sul serbatoio accessibile a tutti perché la serratura era difettosa e legata da un semplice fil di ferro. Tragica rievocazione dei fili spinati dei campi di sterminio. A un anno dall’incidente, la temperatura all’interno del lager azotato arrivò a toccare i 20 gradi e sconvolgere la vita di quaranta coppie. Il giudice dell’inchiesta ha dimenticato l’atto più importante: inquisire e condannare le 40 mamme che avevano affidato a un impianto di procreazione artificiale la speranza di avere un figlio. Antonello Cavallotto
Embrioni umani sono considerati solo materiale biologico.
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Vicino a chi soffre, contro il suicidio “Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita”. Così recita il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2281). Prima ancora che un peccato grave, quindi, il suicidio è per la Chiesa una violazione del diritto naturale.
D
a tempo si sta conducendo una vasta campagna a favore del suicidio assistito. Recentemente è stato diffuso dai radicali un filmato che racconta la storia di Piera Franchini, andata a morire in una clinica svizzera nel novembre 2012, perché malata di cancro. Nel video la signora dichiara di non voler più soffrire, perché il suo sarebbe dolore fine a se stesso, che non giova a nessuno. Pertanto, poiché ognuno è padrone della propria vita, Piera decide di ricorrere al suicidio assistito. Quello di questa signora di Venezia è soltanto uno dei
scorso 25 aprile. Come si nota, non si tratta di casi limite, bensì di situazioni gravi, certamente, ma diffusissime. Ferma restando la discrezione dovuta, tenuto conto del fatto che è facile parlare non trovandosi in date condizioni e ricordando pure che “non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte” (CCC 2283), non è possibile esimersi da un giudizio oggettivo su scelte prese in piena coscienza e talvolta persino rivendicate per scopi politici. Vogliamo davvero andare verso una società che esalta il suicidio come espressione di somma libertà individuale? E che mondo mai sarebbe quello in cui il medico, contravvenendo al Giuramento di Ippocrate, dà la morte anziché le cure per guarire? Vogliamo una società in cui i malati vengono soppressi perché inutili? una “Gli amanti” di Magritte hanno il volto coperto, come la Approvando legge sul cosiddetmadre del pittore quando fu ritrovata suicida. to suicidio assistito, tanti casi in cui qualcuno decide infatti, anche chi non lo vorrà sudi togliersi o farsi togliere la vita birà pressioni più o meno espliper non soffrire o per porre fine a cite per ricorrervi. Ecco cosa situazioni di disagio esistenziale. accade quando si rinnegano il Pensiamo ad esempio all’ex as- Cristianesimo e il buon senso. sessore comunale di Jesi (An), La malattia e la sofferenza non Daniela Cesarini, malata di po- sono lesive della dignità umaliomielite sin dalla nascita, che, na, ma fanno parte della vita e dopo la morte del marito e del dovrebbero essere combattute figlio, è andata in Svizzera senza e, al contempo, accettate con dir nulla a nessuno e non è più santa rassegnazione. ritornata, scegliendo di morire lo Per questo dovremmo costrui-
re un mondo in cui ci si prende cura e ci si fa carico di chi versa nel bisogno, stando vicino a chi soffre e sostenendo chi si sente abbandonato. L’individualismo odierno ci trasforma in isole e porta molti ad una solitudine tale da togliere la voglia di vivere. Non sarebbe meglio riscoprire la bellezza dello stare insieme e di sentirsi parte di una comunità di fratelli che si assistono l’un l’altro? Non sarebbe giusto che chi versa nel dolore sia ritenuto membro utile per la società intera? A questo lo Stato dovrebbe provvedere e non certo a dare la morte. Non si può quindi additare a modello chi sceglie il suicidio. Questo, infatti, “è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente” (CCC 2281). Federico Catani
La malattia e la sofferenza non sono lesive della dignità umana, ma fanno parte della vita e dovrebbero essere combattute e, al contempo, accettate con santa rassegnazione.
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Il Sai no kawara dei mizuko Un altro paese “progredito” che da svariati decenni ha consentito il silenzioso e sanguinoso genocidio dell’aborto legale: presentiamo ai lettori il fatto di cronaca nera che ha portato alla legalizzazione dell’aborto in Giappone e, a seguire, l’immagine di quella società che, in fondo, ne sente la colpa e ne sta soppesando le gravissime conseguenze economiche e sociali.
Oni Sanba, la demonessa infanticida
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a Yusei Hogoho, la riforma che permise l’aborto libero in Giappone, passò sotto lo scioccante effetto mediatico del caso di Oni Sanba, l’Ostetrica-Demone. I fatti, davvero pregni d’indicibile orrore, sconvolsero l’opinione pubblica nipponica, togliendo ulteriori impedimenti al varo della legge omicida nel 1948. Miyuki Ishikawa, una nativa della prefettura meridionale di Miyazaki, lavorava a Tokyo come direttrice della clinica ostetrica Kotobuki. Trovatasi negli anni ‘40 ad affrontare il dilemma delle poche
Oni Sanba, alias Miyuki Ishikawa, ostetrica serial killer di bambini.
risorse ospedaliere per i tanti neonati che affollavano i reparti della sua clinica. Non vedendo possibili soluzioni, decise di privilegiare alcuni bambini a discapito di altri, che lasciava deperire senza acqua e senza cibo. Con questa tecnica, la Ishikawa, detta anche Oni Sanba, ostetrica-oni (gli oni sono caratteristici demoni cornuti del folclore nipponico) uccise la cifra accertata di almeno 85 bambini, mentre la polizia - che aveva notato una strana anomalia statistica nelle morti infantili nella zona - la sospettò di 103 morti (almeno quaranta piccoli corpi erano sepolti sotto la casa di un becchino, altri trenta vicino a un tempio), ma sono ancora poche considerando che le morti sospette in tutto sarebbero 169. L’aritmetica finale del massacro perpetrato da Oni Sanba è, insomma, non ancora conosciuta. La Ishikawa coinvolse nel suo piano stragista il marito, che divenne poi aiutante anche nel riscuotere il pagamento del proprio operato: era arrivata a chiedere ai poveri che facevano nascere i figli nel suo ospedale una sorta di “pizzo” (dai 4.000 ai 5.000 yen) per uccidere i loro figli, garantendo loro che le spese per crescerli, in quel paese devastato, sarebbero comunque state maggiori. All’abbietto traffico si aggiunse anche un medico, che falsificava i certificati di morte. Nel gennaio 1948 la polizia rinvenne accidentalmente i cada-
veri di cinque bambini. Pochi giorni dopo, i coniugi Ishikawa vennero arrestati. Al processo - che fu un evento mediatico - Oni Sanba si difese dicendo che i veri responsabili delle morti erano i genitori dei bambini, che li avevano abbandonati. La cosa, forse per tramite d’imperscrutabili meccaniche spirituali orientali, parve convincere una grande parte dell’opinione pubblica nipponica. Nonostante le proteste della scrittrice femminista Yuriko Miyamoto, l’abominio di Kotobuki non costò ai suoi perpetratori la pena di morte, norma che è tuttora in vigore in Giappone. La Corte Distrettuale di Tokyo condannò a 8 anni la Ishikawa, e a 4 anni il marito Takeshi e il dottore complice. I tre fecero appello all’Alta corte di Tokyo, che dimezzò le sentenze. Poiché di Oni Sanba si conosce solo la data di nascita (1897) e sapendo quanto possa essere longeva la vita in Giappone, non stupirebbe pensare che questo mostro sia ancora in circolazione, in perfetta libertà e con i conti con la giustizia perfettamente saldati. Tuttora, la Ishikawa è considerabile come il più grande assassino seriale della storia del Giappone. A seguito di questo racconto d’orrore, il popolo giapponese, che nel 1948 aveva visto un inatteso boom di nascite, accettò la legge di protezione eugenica Yusei Hogoho, e
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11 il 2 giugno 1949 fu possibile richiedere di interrompere la gravidanza per motivi socio economici, così come richiesto dalla sinistra fabiana di Abe Isou.
L’era dell’aborto libero in Giappone era iniziata. Come un serial killer possa influenzare il pubblico ad accettare una legge che consente sotto
l’egida dello stato la strage degli innocenti, è un mistero che pertiene alla psiche giapponese e a quella umana più in generale.
ha subito una rapida crescita negli ultimi 40 anni. Con tale funzione religiosa si esprime così il lutto per il bambino scomparso, ci si preoccupa per l’anima del feto nell’aldilà, e - non bisogna dimenticarlo - si cerca di placare la possibile vendetta dell’anima del morto, un tema ricorrente nel foclore e nei film horror locali. Al di là di questo, il moltiplicarsi dei mizuko kuyo è forse il primo segno di consapevolezza della tragedia nazionale dell’aborto libero. Essa ha dei costi, economici, oltre che morali, che oramai minacciano da vicino la stessa esistenza dello stato Giapponese. La vendetta degli innocenti morti, può incarnarsi nel collasso statistico di un sistema economico che presto avrà più pensionati che lavoratori. Non è un discorso nuovo. È il destino che molti temono anche per l’Italia. Ma, come noto, il Giappone sta avanti. Il sacrificio al nulla d’intere generazioni di Giapponesi rappresenta certo un orribile peccato
sociale che fa piovere sulla terra i castighi più tremendi. Siccome non vogliamo irritare nessuno e perciò non vogliamo ipotizzare che terremoti, tsunami e incidenti nucleari siano punizioni divine (?), ci limitiamo a ricordare come da un punto di vista meramente economico l’apparato previdenziale di un paese con un così basso tasso di fertilità (1.4, inferiore perfino alla Cina del figlio unico, una nemesi che dovrebbe essere intollerabile per l’orgoglio nipponico) non può che collassare, trascinando con sé in un meltdown disperato quello che resta dell’economia del paese. La qual cosa è per forza di cose nota anche ai politici, che paiono però impotenti davanti al liquefarsi della loro società. Del resto, si tratta di un naturale trapasso. Hanno “liquefatto” i bambini, a milioni. Ora a liquefarsi è tutto il resto della civiltà, di cui la vita di quei poveri bambini altro non era che la struttura primaria.
Oltre il Limbo, il castigo divino
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Giapponesi lo chiamano Sai no kawara. È la riva del fiume di Sai, un luogo mitologico, una sorta di limbo dove finiscono i bambini morti prematuramente. È il luogo dove stanno le anime dei mizuko, i “bambini liquidi”: gli abortiti. In varie parti del paese vi sono cimiteri dove i genitori dei non nati rendono omaggio al mizuko apponendo magari una statuetta di Jizo, la divinità buddista che in sanscrito si chiama Ksitigarbha (“terra-ventre”), l’essere che nel culto buddista è preposto all’istruzione delle anime dei morti, e che i giapponesi, specie dagli anni ‘80, hanno adottato come nume tutelare dei prematuri. Per esempio, quello che si trova nella deserta punta più a nord dell’isola di Sado, nel Mar del Giappone. Molti vi giungono silenziosamente per commemorare il proprio figlio morto, disseminando la spiaggia di piccoli Jizo attorniati da una familiare, toccante teoria di orsetti di peluche e ninnoli. La mitica riva del fiume di Sai è quindi il limbo dove opera Jizo: le spiagge deserte di Sado, così come altri poco conosciuti luoghi del Giappone, è un panorama fatto di vuoto che forse assomiglia davvero alla riva del fiume dei non nati, i mizuko, i bambini d’acqua. Il mizuko kuyo, una cerimonia per l’anima dei bambini nati prematuri o abortiti - in pratica, una sorta di “funerale del feto” -
Roberto Dal Bosco
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La paternità negata Un episodio di vita e di dolore per riflettere su come e quanto sia necessario contrastare “la cultura della morte” che aleggia intorno alla legge 194 et similia.
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e fossi costretto a scegliere uno tra i quarti d’ora più brutti della mia vita, pur avendo una vasta scelta di attimi funesti, non avrei nessun dubbio, poiché tra tutti ce n’è uno che di gran lunga supera tutti gli altri per essere il peggiore. Si tratta di un episodio particolarissimo, mimetizzato in un periodo già di per sé particolarmente buio: una di quelle mezze stagioni dell’esistenza in cui le circostanze mordaci del vivere ti stringono d’assedio, mettendoti a dura prova, ma forse proprio per questo lasciando d’altro canto che la pellicola che separa l’immanente dal trascendente si assottigli e facendoti sbirciare in trasparenza quella Luce che illumina la Creazione e ti raggiunge, se vocata nella preghiera. Il mio secondo figlio si trovava nella fase finale della malattia che gli ha poi aperto in via anticipata le porte del Cielo, mentre mia moglie custodiva nel grembo quello che sarebbe diventato il nostro terzogenito, e ci trovavamo in ospedale, al capezzale del nostro bimbo, nel reparto di terapia intensiva, quando ci raggiunse il giro di controllo dei medici di turno. Dopo che i dottori ci ebbero aggiornati sullo stato fisico di nostro figlio, ci chiesero delucidazioni sulla sua malattia, e quando comunicammo loro che anche per il bambino in arrivo ci sarebbe stata la possibilità che fosse affetto dalla medesima malattia che stava consumando il fratello maggiore, fummo testimoni di quella che, secondo gli standard mondani, viene considerata una valida proposta per la “soluzione” di casi di questo tipo. Con il tatto e la sensibilità di un pachiderma in carica, prese la parola la guida della combriccola in camice bianco, la quale, rivolgen-
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dosi esclusivamente a mia moglie, come se io fossi invisibile al suo fianco, le comunicò: “Signora guardi che lei è ancora in tempo per terminare questa gravidanza…”, e lo dichiarò con la naturalezza di chi, dall’alto della sua illuminata sapienza, propone la soluzione più ovvia a coloro i quali, evidentemente, ritiene essere d’intelligenza inferiore. Il nugolo di medici e specializzandi che l’attorniavano si accodarono assenzienti alla brillante uscita, mentre io guardavo la mia sposa ammutolita e subito cercai di abortire l’argomento dichiarando a mia volta che all’interno della nostra coppia non era contemplata nessuna soluzione diversa dall’accoglienza di quel bimbo così come Dio ce lo avrebbe dato. La reazione mi disarmò: fu come se fossi stato totalmente decontestualizzato, le mie parole caddero aliene nel vuoto assoluto, nemmeno uno sguardo si voltò verso di me, che pure ero lì accanto a mia moglie, ma imperterriti i medici iniziarono a declamare alla mia consorte quelli che secondo loro sarebbero stati i “vantaggi” di quella scelta. In pratica le stavano proponendo di uccidere subito quel bambino che portava in grembo per evitare che potesse nascere anche lui malato e quindi morire dopo pochi mesi: come se quel quarto di probabilità nefasta giustificasse la soppressione di una vita prima ancora che venga al mondo, così, tanto per risparmiarsi inutili perdite di tempo. Capii in quel momento, davanti all’impassibilità dei medici e al silenzio indecifrabile di mia moglie, che io in quell’eventuale scelta non avevo alcuna voce in capitolo; mi ritrovai così del tutto impotente verso quella che sarebbe stata la sorte di quel figlio che, seppur nascosto
Raffaello, Madonna della Seggiola
nel ventre di sua madre, era e restava comunque anche mio. Fu questa consapevolezza che mi gettò nel panico profondo, lasciandomi preda indifesa di sconfortante frustrazione e angoscia disperata insieme, poiché ogni fibra del mio cuore si opponeva anche solo al pensiero di sopprimere la vita di quel bimbo, eppure per la sua salvezza non potevo far nulla, poiché per un’iniqua legge, solo la madre può decidere sul destino del figlio che porta in grembo, mentre il padre, che pur ne rimane il genitore, nulla può per salvare la sua vita. Una volta che riuscii a rimanere solo con la mia consorte, ella mi rassicurò sulla sua ferma volontà d’impedire a chiunque di far del male a nostro figlio, tant’è che quel bambino è oggi qui con noi. Nondimeno ogni volta che ripenso a quell’episodio, un brivido gelido mi percorre la spina dorsale, ma subito dopo ringrazio Dio: perché in quel momento ebbi l’occasione di sperimentare un attimo di profonda comunione con quel Padre, il quale si ritrova anch’Egli col cuore straziato davanti ad ogni figlio ucciso nel grembo materno e che, per quell’Amore che si autolimita nel rispetto della libertà della creatura amata, pur potendo Egli ogni cosa, si rende impotente e solo spera, fino all’ultimo istante, che una mamma non uccida il suo bambino”. Andrea Torquato Giovanoli
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Il dramma del Forteto e l’inferno dell’uomo
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Un’amara riflessione su una vicenda che ha avuto nelle cronache mediatiche una risonanza non adeguata alla gravità dei fatti accaduti.
l sesso permeava l’esistenza della comunità, i minori divenivano prede con il consenso dei genitori affidatari presenti in comunità» e «l’omosessualità era non solo permessa, ma addirittura incentivata». Abusi sessuali, stupri psicologici, lavaggi del cervello, punizioni corporali: tutto questo avveniva nella struttura del Forteto, una cooperativa agricola di Vicchio nel Mugello, nata nel 1977 per opera di Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi. Le righe sopracitate sono alcuni dei passi della relazione finale della commissione d’inchiesta del Consiglio regionale della Toscana, presentata il 16 gennaio a Firenze dal presidente Stefano Mugnai (Pdl) e dal vice Paolo Bambagioni (Pd). Il Profeta, come si faceva chiamare Rodolfo Fiesoli, 71 anni, e altre 22 persone sono state rinviate a giudizio nell’inchiesta sulle violenze sessuali e maltrattamenti subiti dai minori in affidamento con il beneplacito dei tribunali e di molti enti pubblici. Infatti, fino al dicembre del 2011,
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data dell’arresto di Fiesoli, ora ai domiciliari, il Forteto rappresentava un modello d’eccellenza nell’ambito dell’accoglienza dei minori in difficoltà e vittime di abusi, trasformandosi addirittura negli anni in un’importante realtà imprenditoriale, con allevamento, coltivazioni, maneggio, caseificio, agriturismo, un centinaio di dipendenti e un fatturato da 15 milioni di euro. Insomma, un’isola felice, divenuta luogo di passerella per molti politici, dove comunismo di beni e un pugno di valori pseudo-cristiani sembravano creare un connubio perfettamente armonioso. Le prime avvisaglie, rimaste inascoltate, ci furono già nel 1985, quando Fiesoli e il cofondatore Goffredi furono arrestati e condannati per maltrattamenti e atti di libidine. Ma non se ne fece nulla. Questa drammatica vicenda lascia degli strascichi penosi nella vita di molti minorenni abusati e oltraggiati per anni. La vicenda del Forteto non è relegabile a un caso limite e isolato ma è l’im-
Il Forteto: un vero inferno nella natura paradisiaca della Toscana
magine spaventosa di un uomo sempre più in balia del demonio. L’aumento vertiginoso di suicidi, silenziato dai media, degli omicidi, della violenza su donne e minori, gli aborti, la distruzione della famiglia, il dilagare della pornografia e della pedofilia sono l’esito scontato di un mondo che sta apostatando, conseguenza diretta di società annichilite dal relativismo. Ovunque nel mondo è in atto un processo coatto che vorrebbe negare e distruggere la Rivelazione salvifica, relegando Dio a un obsoleto e irrilevante fenomeno culturale, incompatibile con le aspirazioni dell’uomo moderno. Ma spezzando ogni legame di figliolanza con Dio, l’uomo non sa più chi è e perché vive e si perde in uno spaventoso smarrimento esistenziale. La paura di morire che attanaglia ogni uomo, lo soggioga e lo rende capace di bestiali efferatezze. Nel lager del Forteto come ovunque, il vero carnefice è il demonio. Lì, come in altri innumerevoli luoghi, si vive l’inferno. L’inferno della solitudine che spinge uomini a uccidere, abusare, distruggere e annientare altri uomini, spesso bambini. Nell’omelia della Messa celebrata lo scorso 4 giugno a Casa Santa Marta, Papa Francesco ci esorta affinché “il nostro parlare sia evangelico” perché “l’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola” ma “va sempre con l’amore”. E la Verità e l’Amore sono una Persona, viva. Che non smette di proporre fino alla fine, con un amore totale, il riscatto per carnefici e vittime. Anche, e soprattutto, al Forteto. Shadan Bassiri
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La nipote di Martin Luther King si batte per la Vita “L’aborto ha ammazzato più neri di quanti il Ku Klux Klan avesse mai osato sperare”: questo uno degli slogan di Alveda King, indomito spirito pro life tra gli afroamericani.
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hi si oppone all’aborto criminalizza le donne. Opprime le minoranze, specie se povere. Una donna che non difende “la libertà di scelta” è una che “non ci è mai passata”. Il movimento pro-life impone il potere maschile alla maternità. È un movimento conservatore e bigotto, violento e antidealista: i pro life fanatici colpevolizzano i medici perché non sanno muovere coscienze». Queste e infinite altre falsità sono confutate una volta e per tutte dalla sola esistenza di Alveda King, nipote del più famoso Martin Luther. Il padre di Alveda era al suo fianco, nella lotta per il riconoscimento dei diritti dei neri, lotta che negli anni sessanta portò finalmente alla totale emancipazione politica degli afroamericani. Una lotta che molti giudicavano settaria, inutile, non condivisa dalla popolazione. Una lotta che si scontrava con la resistenza di strutture di governo locale e fe-
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Alveda King
derale incentrate di diritto o di fatto sulla segregazione dei neri dai bianchi, e sul dominio di questi su quelli. Una lotta i cui protagonisti erano dipinti come fanatici religiosi senza contatto con la realtà. La casa del reverendo Alfred Daniels Williams King a BirA sin.: Il posto più pericoloso per un afro americano mingham fu fatta è il grembo di sua madre. esplodere da una bomba. La chiesa dove predicava a Loui- della quale era diventata cliensville fu fatta saltare per aria. Ma il te, cioè vittima. papà di Alveda continuò le predi- Alveda ora è a capo di un’assoche e i discorsi appassionati che ciazione pro-life e combatte con guadagnarono a lui e al fratello lo stile del padre e dello zio l’enil nomignolo di “figli del tuono”. nesima ingiustizia sociale verso Dopo il primo attentato, il reve- i più oppressi fra i deboli: i non rendo A.D. King saltò sul tettuccio nati. E lo fa grazie a una drammadi una macchina e si rivolse così tica, personale consapevolezza ai suoi compagni pronti alla rivol- di cosa significhi. Una consapeta, già intenti a scagliare sassi: volezza pagata col sangue. “Amici, abbiamo avuto abbastan- Se si legge con attenzione la sua za problemi stanotte. Se volete autopresentazione sul sito dell’asuccidere qualcuno, uccidete me. sociazione che ha fondato, King Lottate per i vostri diritti, ma in for America, una differenza rispetto alla sua pagina di Wikipedia maniera non violenta”. Sua figlia Alveda ha avuto una salta subito all’occhio. Miss King vita difficile, e non solo per i specifica di essere madre di otto problemi politici di suo padre e figli, mentre l’enciclopedia gliene l’assassinio dello zio. Divorzia- attribuisce sei. E questo perché ta tre volte, ha volontariamen- lei, a differenza, purtroppo, della te abortito due bambini ed ha società che la circonda, ha capidovuto“arrendersi” al terzo solo to che anche quei due “aborti” perché non poteva permettersi sono altrettanti suoi bambini. un’altra operazione. Ma nel tem- E qualunque cosa sia successa, po, grazie alla sua esperienza di- qualunque sia la colpa di cui si è retta, ha capovolto il suo giudizio macchiata nei loro confronti, lei ed è da poco l’autrice di un ter- si dice orgogliosa di essere la ribile documentario, Bloodmo- loro mamma. ney, contro Planned ParenthoSpiegel od e quell’industria dell’aborto
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Nonostante tutto Ancora un esempio e una luce di speranza: la testimonianza di una mamma che accoglie la bimba che porta in grembo nonostante l’ostilità dei medici, nonostante la trisomia 18. Condannato prima di vedere la ta di lì a breve: era necessario di tutti, dopo 41 settimane e 3 luce del mondo. Lo è chi dagli abortire. Ma nel momento in cui giorni di attesa. Anche dei mediesami prenatali non sfugge alla il medico ne illustrava la proce- ci che avevano negato qualsiasi diagnosi di trisomia 18 o sin- dura, quella che sarebbe stata, intervento se fosse nata senza drome di Edwards, così chia- o meglio che già era, la piccola battito. Una nascita miracolosa mata perché nel cariotipo sono Mylah ha sferrato i suoi calci e si anche nel peso della piccola: presenti tre cromosomi 18. E in è fatta sentire. E da lì è iniziata più di due chili (cosa rara per chi questo caso tre non è il numero la sfida tra una mamma corag- è affetto da trisomia 18), ma con perfetto, perché l’esito di que- giosa e una comunità medica un buco nel cuore sul quale l’osta malattia genetica è incom- scettica che non le ha offerto spedale aveva rifiutato di intervepatibile con la vita. E se ce la speranza, ma piuttosto la pro- nire. Spesso accade: la mancanfai a lasciare la pancia materna spettiva di dover affrontare una za di sostegno della comunità e venire nel mondo - i dati par- perdita. Una sfida combattuta da medica, nei casi di trisomia 18, lano di uno su 6mila - hai una sola, a dispetto di tutti, senza so- è molto comune. Ma sul cammisorte segnata da malformazio- stegno e vicinanza, con la fede no di Mylah c’è stato l’incontro ni in quasi tutti gli organi e in in Dio a lungo pregato per avere con il pediatra cardiochirurparticolare al cuore, ma anche un figlio e del quale si sarebbe go Richard Ohye, disposto a orecchie con attacco basso, dita rispettata la volontà sul destino ignorare tristi statistiche e a delle mani accavallate, a volte i della piccola. E Mina non ha più intervenire chirurgicamente. E piedini deformati, mento o testa pensato alla conformazione del- oggi la piccola ha un anno. Le piccola. E Mina Perkins si aspet- le mani o ai problemi cerebrali, difficoltà non sono poche sia per tava tutt’altro dall’ecografia pro- è andata avanti finché Mylah ha respirare che per mangiare, ha grammata proprio nel giorno del emesso il suo primo vagito, se bisogno di assistenza continua, suo compleanno: lei e i suoi cari pur con iniziali problemi di re- e alcuni potrebbero sostenere attendevano ansiosi di sapere spirazione, a dispetto di tutto e che la sua è una vita non degna se in grembo c’era un di essere vissuta. Ma Mybimbo o una bimba. Ma lah sorride e ride ed è l’attenzione del tecnico una bimba felice, dice la era stata attirata da altro sua mamma, che ammonel corso dell’esame e nisce tutti i medici a una non dal sesso del nasciriflessione: «Non si può turo: qualcosa non andacurare il disturbo, il prova nella conformazione blema. Si deve curare il del cervello e poi quelle bambino». Perché come manine strette. Diagnoricorda Bradley Mattes, si, confermata a breve, direttore esecutivo del di trisomia 18. «Il destino Life Issues Institute che del bambino è segnaha fatto conoscere queto» le avrebbe poi detto sta storia, «chi siamo noi quel medico “monotono” per giudicare la ‘qualità - come l’ha definito Mina della vita’ di questa o di in un’intervista a Ebony. qualsiasi persona?». E com. Inutile secondo lui anche i medici si interroproseguire in altre indaghino: non esistono conIl Dott. Richard G. Ohye è il capo della Divisione di Chigini ecografiche, perché fini di fronte a una vita. rurgia Cardiovascolare al C.S. Mott Children’s Hospital, quella creatura se non della University of Michigan: l’unico che ha accettato Marta Buroni lo era già, sarebbe mordi operare una bambina “segnata”, “senza speranza”…
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Per una responsabilità professionale dei medici abortisti Le statistiche parlano chiaro: dove l’aborto è più libero, le madri muoiono di più. E spesso le normative non prevedono la responsabilità professionale degli operatori sanitari coinvolti.
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ell’articolo Abortionists are not held accountable for mistake, Lenora W. Berning prende in esame l’impunità dei medici per i danni fisici causati dagli aborti. L’aborto è una delle procedure chirurgiche più frequentemente eseguite negli Stati Uniti, ma è la meno regolamentata. Le cliniche abortiste, che offrono normalmente solo quel servizio, cioè non sono ospedali polifunzionali, mantengono i medici abortisti liberi da responsabilità per eventuali complicazioni. Coloro che sono favorevoli all’aborto su richiesta sostengono che il tasso di complicanze riportato a seguito di aborti è basso. Ma ciò accade non perché ci siano poche complicazioni, ma perché le complicazioni sono sottostimate. E sono sottostimate, perché non c’è un sistema organizzato oggi atto a quantificare le ripercussioni dannose dell’aborto. L’industria dell’aborto ha mantenuto gli abortisti liberi da ogni tipo di supervisione, regola-
Un gruppo pro life in preghiera davanti a una clinica per aborti, in Florida
mentazione, e da responsabilità che sono invece normali per tutto il resto dei professionisti sanitari. Secondo il Chicago Tribune del 16 giugno 2011, nell’articolo “State abortion records full of gaps”, ci sono migliaia di procedure di aborto non riportate, e sono inestimabili i casi di complicazioni post aborto non riportati come richiesto dalla legge. Quando nella diagnosi di un medico si legge “dolore” o “sanguinamento vaginale”, dietro molto spesso c’è stato un aborto. Quando una nota operativa dice “rottura di gravidanza ectopica ed emorragia interna” - la vera causa è l’aborto. L’autopsia afferma come causa di morte “sepsi” - la vera causa è l’aborto. Non c’è altra pratica della medicina nella quale le persone possono soffrire e morire per le complicazioni dell’intervento senza che ci siano, in qualche modo, professionisti responsabili, coinvolti nella loro cura, o che per lo meno siano a conoscenza del caso, salvo che nell’ipotesi dell’aborto. Molti fautori dell’ aborto sostengono che l’aborto è necessario per proteggere la salute e la sicurezza delle donne: ma secondo un’analisi fatta da The Catholic Family and Human Rights Institute (C-Fam), dai dati del rapporto Global Gender
Gap Report pubblicato da World Economic Forum (WEF) nel 2009, risulta che i paesi che permettono l’aborto non hanno per niente una più bassa mortalità materna. Gli aborti legali non salvano la vita della donna. Secondo detto rapporto, sono i paesi con più restrizioni normative riguardo all’aborto che hanno più basso il tasso di mortalità materna. In Europa, l’Irlanda ha la più bassa mortalità materna (1 morte per 100.000 parti). In Africa il paese con la più bassa mortalità materna è Mauritius (15 su 100.000) che ha la legislazione più restrittiva; mentre l’Etiopia, che recentemente ha depenalizzato l’aborto, presenta un numero di 48 volte superiore, 720 su 100.000. Nel Sud Africa, dove la legislazione sull’aborto è molto liberale, si sono registrate 400 morti per 100.000 parti. In Asia, il Nepal che non ha nessuna restrizione per l’aborto è uno dei paesi che ha il più alto tasso di mortalità materna (830 per 100.000) mentre lo Sri Lanka, che ha la più bassa percentuale di mortalità materna (39 per 100.000), è uno dei paesi con leggi restrittive. In Sud America, in Cile, che ha una protezione costituzionale per i concepiti, muoiono 16 madri su 100.000 parti, mentre la più alta mortalità materna è in Guyana (430 su 100.000) dove l’aborto è quasi senza restrizioni. Stessi risultati in numeri per gli stessi paesi nel rapporto World Abortion Policies del 2011, delle Nazioni Unite. Virginia Lalli
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Lo strano caso dei “risvegli” Il romanzo “Awakenings” di Oliver Sacks, e il bellissimo film omonimo con Robin Williams e Robert De Niro, sono ormai datati di più di 20 anni. Ma la scienza e la cronaca continuano a riportare innumerevoli casi di persone che escono dal cd. “stato vegetativo”, troppo spesso ignorati dai media.
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mass media, non di rado, divengono purtroppo megafono della cultura della morte. Un esempio è quando, occupandosi del cosiddetto “fine vita”, lasciano intendere che le persone in stato vegetativo siano praticamente già morte. Una clamorosa menzogna sconfessata dalla realtà. Infatti, anche fra coloro che versano nella pur difficilissima condizione di stato vegetativo, si verificano eventi inattesi che possono condurre, a volte dopo anni, a dei “risvegli”. Per capire come questo possa accadere è importante fare un passo indietro ricordando che una persona in stato vegetativo è un soggetto pienamente vivo, che si trova in una condizione con nette differenze cliniche rispetto a quella, per esempio, del coma (Cfr. «Clinical Medicine», 2003;3(3):249-54), e verso la quale non si possono mai escludere dei miglioramenti, dal momento che ormai da anni la letteratura scientifica non la considera più irreversibile. Suffragano questo punto di vista le vicende di Amy Pickard, Christa Lily Smith, Patricia White Bull,
Williams e De Niro nel film “Risvegli”
Donald Herbert, Jan Grzebsky, Jesse Ramirez, Sarah Scantlin. Sette nomi che non dicono nulla, che non abbiamo sentito prima d’ora e che magari alcuni, terminato questo articolo, non sentiranno mai più. Eppure si tratta di sette nomi importanti, perché sono quelli di persone che, per anni - qualcuno addirittura per quasi due decenni - sono vissute ferme, inchiodate ad un letto o ad una carrozzella; fino a che, come per miracolo, si son “risvegliate”, offrendo inaspettati segnali di reazione. Particolarmente apprezzato - in aggiunta a quelli sin qui ricordati - è stato il caso del straordinario “risveglio” di Terry Wallis, avvenuto addirittura dopo 19 anni (Cfr. «Mayo Clinic Proceedings», 2006; 81(9): 1155-1158). Ora per tentare di capire come mai simili eventi si verifichino, gli studiosi stanno da tempo prendendo in esame l’ipotesi, fattasi sempre più concreta, che esistano diversi possibili gradi di “consapevolezza” delle persone in stato vegetativo (Cfr. «PLoSONE», 2012; 11), che quindi non possono in alcun
modo, neppure sotto il profilo meramente clinico, essere considerati alla alla stregua di vegetali, tutt’altro. Suggerisce maggiore cautela, a questo riguardo, anche la commovente storia dell’italiano Salvatore Crisafulli, recentemente scomparso, il quale, uscito dal coma profondo e poi dallo stato vegetativo dopo 2 anni, fece una rivelazione sconvolgente, destinata ad echeggiare a lungo: «Mentre ero in coma sentivo e vedevo tutto». Allo stesso modo impressiona la storia di Rom Houben, per 23 anni ritenuto incosciente ma poi rivelatosi, grazie ad un particolare computer, capace non solo di sentire e reagire agli stimoli esterni, ma del tutto partecipe: «Mai dimenticherò il giorno in cui hanno scoperto che non ero incosciente: è stata la mia seconda nascita». Alla luce di simili vicende, fra l’altro meno rare di quanto si potrebbe credere, d’ora in poi sarà meglio andarci piano col ritenere quanti si trovano in una condizione di stato vegetativo – che altro non è che una gravissima forma di disabilità – quali soggetti privi di dignità. Semmai è infatti vero il contrario: alla persona estremamente debole e bisognosa di assistenza continua, la dignità è tutto ciò che resta e la sua debolezza, a ben vedere, costituisce prima ancora che un limite fisico la grande occasione, per ciascuno di noi, per esprimere con i fatti quella solidarietà e quella vicinanza concreta che, diversamente, sono destinate a rimanere pure dichiarazioni d’intenti. Giuliano Guzzo
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Scienza e morale
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La Ragione contro l’aborto Un intellettuale marxista, non certo clericale, come Pierpaolo Pasolini, si era schierato apertamente contro la legalizzazione dell’aborto: perché le ragioni della vita sono ragioni universali, razionali.
Q
uando Pier Paolo Pasolini, nel 1975, pubblica sulla rubrica del Corriere della Sera “Scritti corsari” un articolo durissimo contro la legalizzazione dell’aborto, in tantissimi corrono a condannare la presa di posizione del poeta bolognese: i compagni comunisti, i movimenti femministi e, soprattutto, i radicali non comprendevano come un marxista omosessuale potesse difendere istanze che, allora, erano ritenute peculiari di una classe bollata come conservatrice e confessionale. L’articolo esordisce con una frase che, considerata l’epoca, suonava quasi reazionaria: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio”. Il poeta qui attinge a una sensibilità prenatale che egli sente viva nel quotidiano e nei sogni; egli ricorda la propria “felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente”. Il messaggio di Pasolini a difesa della vita umana è racchiuso in queste parole, che danno la cifra dell’uomo e dell’intellettuale capace di difendere le ragioni della vita usando le ragioni della ragione. La vita è sacra, in assoluto, anche perché è presupposto irrinuncia-
“Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio”.
bile del pensiero umano; anche delle sue derive illuministe, nonché d’innumerevoli barbari ragionamenti positivisti. La legge sull’aborto, sopprimendo l’esistenza di creature inermi, è senz’altro l’espressione più spietata del razionalismo positivista. Da ragazzo frequentavo le manifestazioni del Movimento per la Vita, ero un cristiano praticante e riponevo la mia fede in Dio, ma quando combattevo il relativismo etico e la cultura abortista usavo le armi della ragione. Oltre la stessa Fede ho sempre ritenuto la vita un valore laico e poi non mi andava di tirare per la giacca Dio per contrastare il pensiero di un uomo, mi appariva quasi blasfemo. Dicevo: “Se tutti gli uomini sono stati embrioni, perché non tutti gli embrioni possono diventare uomini?” e ancora “Come si può stabilire per legge un termine entro il quale la vita non è tutelata?” e nessuno sapeva mai rispondere a queste banali domande. Ricordo quando una mia cara amica rimase incinta per un rapporto occasionale, era giovanissima, non conosceva nemmeno il proprio partner e decise di abortire. Recatasi all’ospedale, in attesa del suo turno, vide una madre uscire con un bimbo tra le braccia e scappò via. Lo scorso anno si è sposata e ad accompagnarla
Pasolini
all’altare c’era quel bambino ormai undicenne che, microfono alla mano, le ha dedicato una preghiera per la felicità della sua famiglia, commuovendo l’intera assemblea nuziale. L’aborto è una sconfitta della ragione e dei sentimenti, un crimine legalizzato, utile soltanto a rafforzare il relativismo etico tanto caro al potere consumistico. Per questo penso che nessuno possa dirsi abortista, per questo ritengo che la guerra all’aborto sia l’unica guerra in cui lo sconfitto è chi non combatte. “Il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci”, diceva Pierpaolo Pasolini. Michele Luscia
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Scienza e morale
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Sono troppi gli obiettori di coscienza? I giornali politicamente corretti gridano allo scandalo quando rilevano l’aumento dei medici obiettori di coscienza. Ripropongono allora le solite bugie che ci propinano da 30 anni e di tanto in tanto ne inventano di nuove.
S
orpresina: l’attacco alla 194 arriva dai pro choice! Che ti fa la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, il potente sindacato, più conosciuto con la sigla CGIL? Presenta un ricorso al Comitato Europeo dei Diritti Sociali contro l’obiezione di coscienza all’aborto. Secondo gli estensori del ricorso, l’articolo 9 della legge, che riconosce e regolamenta il diritto del personale sanitario a dichiarare obiezione di coscienza all’aborto, viola la carta sociale europea. Il motivo risiederebbe nella mancanza di medici abortisti in tutti gli ospedali italiani. Da qui, sempre secondo i sindacalisti italici, deriverebbe un ingiusto carico di lavoro per i ginecologi non obiettori e un ostacolo per le donne al libero accesso all’aborto. Si sarebbe tentati di affermare che tanto zelo avrebbe meritato miglior causa, ma voglio qui limitarmi a svolgere qualche riflessione. Partiamo dai dati. Il numero e la percentuale dei ginecologi obiettori di coscienza all’aborto sono effettivamente aumentati, ma questo non significa che siano diminuiti di molto i ginecologi che praticano gli aborti. Erano 1831 nel 1982 e sono 1668 nel 2010, una diminuzione pari appena all’8,9%. Que-
I dati ufficiali dimostrano che la maggioranza delle donne che vuole abortire attende solo 7 giorni.
sto però non significa assolutamente che debbano compiere un surplus di lavoro. In prima istanza, infatti, gli aborti non vengono eseguiti come “lavoro straordinario”, ma durante il normale orario. Quindi quando il ginecologo abortista fa gli aborti, il collega obiettore effettua le mansioni che vengono lasciate scoperte in quel momento dal non obiettore. È quindi illogico identificare un presunto danno per il ginecologo abortista causato dall’obiezione di coscienza dei colleghi. Inoltre i numeri ufficiali riferiti al parlamento italiano dal ministro della salute indicano che negli anni il carico di aborti è diminuito sensibilmente. Gli aborti legali erano, infatti, 234.801 nel 1982, ma nel 2010 sono stati 115.981. Ne consegue che per i ginecologi non obiettori il carico di aborti, che era pari a 128 nel 1982 è sceso a 69 nel 2010, una diminuzione di poco meno del 50%. Evidentemente questo calo del carico di aborti non è ritenuto soddisfacente. Poiché la procedura per isterosuzione impegna il ginecologo per circa 10-15 minuti, si può valutare che un ginecologo non obiettore abbia un carico di aborti corrispondente a 14 ore l’anno, corrispondente a un “impressionante” 0,9% dell’intero orario di lavoro. E l’efficienza nell’eseguire l’aborto? L’indicatore di “qualità” (uso il termine in quest’ambito con un certo disgusto) dei servizi aborti-
La sede del Consiglio d’Europa
vi è individuato nella percentuale di donne che ottengono la procedura entro 14 giorni dal rilascio del documento per abortire (in pratica entro una settimana poiché la legge prevede una settimana di riflessione). I dati consentono il confronto solo per 11 regioni su 20. Se nel 1989 il 79% delle donne abortivano entro 2 settimane, nel 2010 la percentuale è scesa solo al 62%. Che poi tutti gli ospedali debbano offrire l’aborto non si capisce dove la CGIL l’abbia trovato scritto. A ben vedere si tratta della solita nenia degli abortisti. In America, patria mondiale dell’aborto libertario, secondo una ricerca del centro studi abortista Guttmacher Institute, sui 5801 ospedali censiti nel 2001 soltanto 603 offrivano l’aborto. Sono ammirato: in certe zone d’Italia per una mammografia si aspetta magari un anno, ma la CGIL volge l’attenzione a superare gli standards americani dell’aborto. Ricapitolando, i ginecologi che fanno gli aborti hanno un carico di lavoro quasi dimezzato, ma impiegano più tempo a fare gli aborti: la colpa di chi è? Renzo Puccetti
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Famiglia ed Economia
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Una specie di solletico Segnaliamo ai nostri lettori l’uscita in un e-book dal titolo “Una specie di solletico” (ed. EEE Book), una storia commovente, poetica e delicata, seguita dalla cronaca “vera” della nascita della sua bimba, scritta con amore da un giovane papà. Pubblichiamo volentieri un saggio del suo scritto.
L
’attesa di una nascita non appartiene soltanto ai genitori, ma anche al bambino che il loro amore ha chiamato al mondo. Molly – non si sa ancora se sia maschio o femmina – vive contemporaneamente in un “cerchio” con tanti altri bambini non ancora nati e nel grembo della sua mamma. Il cerchio è un luogo d’incanto dove il cuore di Molly comincia a pulsare, è come “un vaso da riempire con un po’ di roba buona” e intanto, mentre si forma, il piccolo prepara una collana di fiori per i suoi genitori, sotto la guida della colomba Macchiolina. Impara tante cose, il cuore di Molly, ma dovrà dimenticare tutto, per arrivare sgombro e pulito al mondo, quando “una specie di solletico”, le contrazioni della mamma, gli faranno capire che è ora di nascere. E il bimbo sarà come un vaso da modellare, richiederà tante rielaborazioni e tante cotture. In una pagina del libro, Molly “scrive” alla mamma. “Cara mamy, approfitto di questa finestra aperta sul tuo cuore per sbirciarvi dentro e preparare un fiore tutto per te. Scopro un desiderio di maternità sbocciato in età giovane e portato presto a compimento.
L’attesa di una nascita non appartiene soltanto ai genitori, ma anche al bambino che il loro amore ha chiamato al mondo.
L’e- book costa solo 0,99 centesimi, su Amazon (http://www. amazon.it/Una-speciedi-solletico-ebook/ dp/B00C7CU92I), ma può essere scaricato anche da altri siti: basta digitare il titolo nella barra del motore di ricerca.
Della qual cosa non posso che esserti grato! E pazienza se hai dovuto abbandonare il lavoro. Hai messo da parte l’aspirazione di fare la maestra a tanti bambini per dedicarti completamente alla crescita del tuo. Ti piace condurre i laboratori, cose pratiche, dove si usa accoppiare le mani all’immaginazione. Ripensi a quando modellavi la creta e mostravi ad una classe di occhi sbalorditi come trarne un vaso, un cavallo, una statua di ballerina. Ora il tuo ventre custodisce l’impasto che darà corpo alla tua opera più importante. Saranno necessarie tante cure e lunghe correzioni. Dureranno anni le rielaborazioni e le cotture. A volte il compito di mamma ti spaventa. Capita soprattutto di notte, quando c’è tanto spazio e i pensieri si allargano. Papà dorme accanto, russa e tu, sveglia ti senti sola e schiacciata dalla responsabilità. Allora poni una mano sulla pancia e cerchi il pugno di argilla. Quando mi hai trovato provi a catturare con la punta del-
le dita il battito del mio cuore. Su quello ti concentri per regolarci il tuo. Forse è solo uno scherzo della fantasia, ma funziona; e sulla certezza di un ritmo condiviso ti addormenti tranquilla, non più sola. Ti lascio con questo fiore a dedica esclusiva. Una primula rossa. Chissà se è bello e colorato come quelli che costruisci tu con la cartapesta, per regalarli ai bambini della scuola? Se manca qualcosa so che me l’insegnerai. Tuo apprendista, Molly”. Kociss Fava
Quando, di notte, la mamma è insonne, oppressa dai pensieri e dalla responsabilità, la presenza dell’esserino che ha in sé, la consola e la tranquillizza.
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Difendere la vita per fare vera economia
S
L’illustre economista, professor Ettore Gotti Tedeschi, ci ha inviato uno spunto di riflessione sulla necessità imprescindibile di non separare la scienza economica dalla morale, per il bene dell’economia stessa e dell’uomo.
i pretende che la vita umana sia frutto dell’evoluzione di un bacillo o del caos e abbia perciò la dignità di un animale, da soddisfare materialmente, corporalmente, facendolo consumare il più possibile per spingere il PIL (che invece non cresce più se i bambini non nascono). Si dimentica, infatti, che l’essere umano deve essere nutrito, come dice il Magistero della Chiesa, nel corpo, nell’intelletto e nello spirito. Si vuole anche che l’uomo, creatura del caos, confidi solo in mamma scienza, anziché nel Creatore e nella Sua saggezza. Nell’evoluzione, anziché nella creazione. Allora si vuol ridurre il numero dei cittadini del mondo per far stare tutti meglio, riducendo la natalità, i concepimenti, il numero dei concepiti, e magari riducendo anche il numero di anziani inutili e costosi. Difendere la vita, perciò, non è impresa facile. Ci provò Paolo VI con l’Humanae Vitae, e per poco nacque persino uno scisma nella Chiesa. Ci ha riprovato Benedetto XVI con la Caritas in Veritate, che è stata quasi ignorata.
In questo contesto, se un economista prova a spiegare tecnicamente che, causa il disconoscimento della dignità umana si è generata la crisi economica in corso, che non si riesce a risolvere, anzi si aggrava, si fa molti nemici. Se dimostra che tra morale, leggi naturali e leggi economiche c’è un legame strettissimo, e che, se s’ignora la morale, crolla tutto, accade lo stesso. I primi ad inveire sono quei filosofi e intellettuali che s’ispirano al pensiero malthusiano, inclusi i para malthusiani che manco sanno chi è Malthus, ma sanno che per far carriera devono essere anti natalisti. Poi i politici che rifiutano i cosiddetti principi non negoziabili e pensano che la politica sia scelta del male minore: che sorpresa quando scopriranno che i mali maggiori sono conseguenti proprio al voler ignorare i principi non negoziabili! Infine è la volta della levata di scudi dei tanti colleghi che pensano che quando le leggi economiche non funzionano bisogna cambiare gli strumenti utilizzati, anziché riformare gli uomini che non sanno usarli. Il povero Colin Clark, per esem-
pio, alla fine degli anni ’70, fu tacciato di moralismo, perché la morale - essendo superstizione - nella scienza economica non deve entrare! Si continua a non vedere la realtà: non si rispetta, non si tutela, non si protegge la vita umana in tutte le sue forme, non si sostengono la famiglia, le nascite, l’educazione dei figli; si modificano le leggi naturali che impattano quelle economiche. E si rifiuta il confronto “tecnico” su questi temi. Se la popolazione non cresce, non può crescere il PIL. L’uomo non è solo un animale (intelligente) da nutrire materialmente per farlo consumare di più. Da tutto questo scaturiscono i più bestiali errori di politica economica (non solo morali) mai visti. E così in trenta anni il peso delle tasse sul PIL è raddoppiato, la percentuale dei risparmi sul reddito delle famiglie è passata dal 25% al 5% facendo mancare la base monetaria al sistema bancario, i giovani non trovano lavoro, investimenti e produzione sono stati delocalizzati in Asia. Scienziati, filosofi, politici ed economisti non hanno capito tutto ciò perché non è stato insegnato loro il senso della vita. Non è stata insegnata la Dottrina sociale della Chiesa. Mia moglie dice: “Abbiamo pregato troppo poco per i nostri pastori”. Ora, per penitenza, tutti noi peccatori studiamo e divulghiamo Caritas in Veritate, Deus Caritas Est, Sollicitudo Rei Socialis, Populorum Progressio; e l’Humanae Vitae a memoria! Ettore Gotti Tedeschi
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Famiglia ed Economia
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A lezione da Stalin! Il titolo è certo una provocazione: il personaggio in oggetto è un esempio negativo senza se e senza ma. C’è però una lezione di economia politica legata alla natalità e all’aborto che perfino Stalin aveva imparato.
D
opo i piani quinquennali, il massacro di milioni di persone e le catastrofiche politiche economiche e sociali che hanno causato fame e carestia, la natalità diminuiva drasticamente e l’URSS era di fronte ad una disastrosa crisi demografica. Quindi, persino il dittatore Iosif Stalin capì che l’unico modo per salvare il suo paese era quello di spingere la crescita della popolazione. Perciò nel 1936 abolì l’aborto, rese difficile il divorzio e cercò di promuovere la famiglia. Oggi in Italia, ci troviamo di fronte a un’analoga crisi demografica: siamo al 219° posto su 221 paesi in materia di natalità. Le teorie malthusiane sono menzognere. La storia, infatti, ci insegna come le risorse si siano moltiplicate più dell’aumento della popolazione, gra-
Francobollo sovietico anni cinquanta. Sul manifesto c'è scritto: "Grazie, caro Stalin, per i nostri bambini felici".
zie alla creatività e alla capacità produttiva dell’uomo perché la maggioranza delle fonti utili non consiste in un quantitativo prefissato erogato dall’ambiente naturale. Per esempio fra le risorse - quali le foreste, i pascoli e il suolo agricolo in genere - lo sviluppo e il mantenimento delle caratteristiche di rinnovabilità dipendono dall’abilità e dalla cura dell’abitante o del coltivatore. Tant’è vero che i dati della FAO sono molto incoraggianti circa lo sviluppo della produzione agricola mondiale. È vero che esistono risorse, come il petrolio che non sono rinnovabili, ma ci sono numerose soluzioni al problema delle fonti energetiche come il sole (fonte di energia termica ed elettrica), il vento (fonte d’elettricità), le maree e le correnti marine in genere, i salti d’acqua (energia idroelettrica), le biomasse (combustione per generazione termica e cogenerazione di calore ed elettricità), ecc. Disponiamo sempre di risorse alternative in natura. Per esempio, alcuni anni fa si temeva che l’esaurirsi del rame avrebbe danneggiato il sistema mondiale delle telecomunicazioni, poi sono state scoperte le fibre ottiche, che hanno sostituito il rame con il silicio, elemento ampiamente disponibile nella sabbia. È l’ingegno dell’uomo, stimolato e provocato dalla necessità, che usa e aumenta le risorse a disposizione, per questo è necessario che cresca la popolazione. Fra le numerose cause della caduta dell’Impero Romano una, e non trascurabile, fu proprio la riduzione
La storia insegna che le risorse si sono moltiplicate più dell’aumento della popolazione, grazie alla creatività e alla capacità produttiva dell’uomo. della natalità e la conseguente crisi demografica. Al contrario, il grande sviluppo culturale e socio-economico delle città cristiane in Europa intorno all’anno Mille si dovette alla crescita demografica. Il problema, oggi, non è nella mancanza di risorse, ma nel loro controllo e nella loro distribuzione che sono sempre più nelle mani di un numero decrescente di persone. Ricordiamo per esempio, lo strapotere delle multinazionali come Cargill, Louis Dreyfus, Archer Daniel Midland e Monsanto nella produzione e trasformazione dei prodotti agricoli in Italia e nel mondo. In Italia, dal 1978 la legge 194 ha permesso l’uccisione di oltre 5 milioni di bambini che oggi sarebbero i giovani di cui l’Italia ha urgente bisogno per assicurare la rinascita economica, e anche socio-culturale del paese. Perfino Stalin aveva capito l’importanza della natalità per la crescita economica di un paese! Quando lo capiranno i nostri governanti? Antonio Brandi
www.prolifenews.it La nostra redazione cura un sito che viene aggiornato quotidianamente con notizie pro life dall’Italia e dal mondo. Il sito ospita articoli di stampa relativi al tema della Vita e diverse rubriche che trattano vari argomenti di carattere giuridico, scientifico, morale, economico e filosofico. Contributi e commenti sono benvenuti, scrivere a: redazione@prolifenews.it
Letture consigliate
Virginia Lalli Aborto: “perché no?”
Renzo Puccetti, Giorgio Maria Carbone, Vittorio Baldini Pillole che uccidono
IF Press
ESD
Il libro riporta alcune delle più comuni giustificazioni sull’aborto che circolano dagli anni ’70 fino a oggi. Ma le risposte sono cambiate alla luce delle esperienze delle madri che hanno abortito e delle recenti scoperte scientifiche: un bilancio della L. 194 nei suoi risvolti psicologici, fisici, nonché sociali, attraversando quaranta anni di storia di esperienze al femminile. E’ un invito a riflettere sull’impatto che ha avuto la L. 194 sui bambini, le madri, i padri, sulla società ed anche sul diritto. Se poi leggendo il libro scopriste la realtà alternativa all’aborto migliore della scelta abortiva, potreste ampliare le fila di tutti coloro che si definivano pro choice e che - con onestà intellettuale - sono divenuti pro life.
Per aiutare a riflettere sui meccanismi di azione della pillola contraccettiva a base di estrogeni e progestinici, della “pillola del giorno dopo”, cioè il Norlevo, della “pillola del quinto giorno”, la “Ellaone”, e della pillola RU486. Gli autori hanno condotto un’approfondita analisi dei dati scientifici disponibili, portando alla luce tutti gli aspetti che sono abitualmente taciuti sulla contraccezione chimica: se e come funzionano, quali gli effetti collaterali sulla salute della donna, se riducono il ricorso all’aborto. Infine, sono un beneficio o uno stravolgimento? E con quali conseguenze per l’amore umano? Alcune amiche, dopo aver letto la prima edizione del nostro libro, hanno commentato: «Queste pillole, se fossero conosciute per quello che sono in realtà, sarebbero molto difficili da mandare giù».
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