POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003
Rivista Mensile N. 32 - Luglio-Agosto 2015
“nel nome di chi non può parlare”
Padova CMP Restituzione
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Notizie
UN’ALTERNATIVA (BUONA) AL MALE C’È SEMPRE Serve una cultura alternativa
-- Sommar Sommario S o m m a rio r i o -Sommario
Notizie Notizie
Editoriale Editoriale
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Lo sapevi che... Lo sapevi che...
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Primo Piano Primo Piano Dalle unioni di fatto etero ai matrimoni gay
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Federico F e ederico Catani
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Un’alternativa a veleni chimici e morali La Babele moderna
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Alessandro Benigni Gianfranco Amato Alba Mustela Emmanuele uele W Wundt undt
Ecco comelasirealtà può naturale evitare l’aborto 15 Sovvertire vuol dire distruggere l uomo 1 7 Federico Catani Giovanni Reginato
SOS Vita: un’alternativa Unioni (in)civili, imposte on dailine giudici Alternativa all’aborto: un rapporto di amicizia e fiducia
Direttore editoriale editoriale Francesca F rancesca Romana Romana Poleggi Poleggi
Claudia Cirami
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Fecondazione eterologa L’adozione: un’altra alternativa alla fecondazione artificiale 21 8 eRodolfo anonimato dei venditori di gameti de Mattei Virginia Lalli
L’alternativa all’eutanasia: le cure palliative e tanto amore 23 9 Drogati di sesso Sabrina Pietrangeli Paluzzi Giuliano Guzzo
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Attualità Scienza e Morale
Nulla di buono può nascere dal male, solo grande dolore 6 Anna Maria Pacchiotti 21 La questione della fecondazione artificiale Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula L’OMS, la contraccezione e la salute delle donne Non credenti pro life Laura Bencetti
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Claudia Cirami
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La buona notizia: Ginevra Paola Paola Bonzi
Scienza e Morale Il genocidio dei bambini Down
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Newlife
Non possiamo fare a meno del diritto naturale 26 Giovanni Stelli
La sconfitta della ragione 28 La Rosa Bianca
Famiglia ed Economia Siamo noi i veri trasgressivi Marco Scarmagnani
ds!ocial! e n u e t tay B
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N. 23 - OT OTTOBRE TOBRE 2014 N. 32 - LUGLIO-AGOSTO 2015
Redazione Antonio Brandi, Alessandro Alessandro Fiore, Fiore, Andrea AndreaGiovanazzi Giovanazzi. Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) (BZ) redazione@notizieprovita.it -- Tel. redazione@notizieprovita.it Tel. T el. l 329 3290349089 0349089
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Attualità Un’alternativa alla FIVET: la cura della infertilità e della sterilità 19
Il modo più umano di amare fino alla fine Come smascherare certe bugie
Editore ProVita Onlus Sede legale: via della della Cisterna, Cisterna, 29 29 38068 Rovereto (TN) (TN) Codice ROC 24182 24182
Direttore responsabile responsabile Antonio Brandi
Andrea Mazzi
Francesca Romana Poleggi Rodolfo de Mattei
RIVISTA RIVIST TA MENSILE MENSILE
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Daniela Francesca F rrancesca rances Fraioli Romana P Poleggi oleggi
Adrea Mazzi Romana Fiory
nel nome di chi non può parlare “nel nome di chi non può parlare” 32 - LUGLIO-AGOSTO N. 23 OTTOBRE 2014 2015
scelta ILibera conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti
Una preghiera inerme, eppure insopportabile La sterilità e l’infertilità si possono prevenire
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Direttore ProVita ProVita Onlus Onlus Andrea Giovanazzi Giovanazzi Impaginazione Progetto grafico Massimo Festini Festini Tipografia T ipografia Flyeralarm SrL, Viale Druso 265, 39100 Bolzano Editorial and Packaging Solution
Distribuzione Distribuzione MOPA AK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Hanno collaborato Hanno collaboratodi questo numero alla realizzazione alla realizzazione questo Gianfranco Amato, Pdi aola Bonzi,numero Laura Bencetti, Alessandro Benigni, FFederico Catani, Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula, ederico Catani, Rodolfo de de Mattei, Mattei, Giuliano Romana Guzzo, Fiory, Claudia Cirami, Rodolfo Daniela Lalli, Fraioli, La Rosa Bianca, Andrea Mazzi, Virginia Andrea Mazzi, Newlife, Alba Mustela, Anna PMaria Pacchiotti, F rancesca Romana oleggi, Giovanni Reginato, Sabrina Pietrangeli Emmanuele Wundt.Paluzzi, Francesca Romana Poleggi, Marco Scarmagnani, Giovanni Stelli
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Una cultura alternativa La vita, di chiunque, da sempre, pone ostacoli e difficoltà. Dalla scoperta del fuoco, in poi, l’uomo si industria per superarle. Una buona mano, però, gliela dà la natura. Un vecchio medico con esperienza pluridecennale che stimavo molto una volta mi disse: “Ma che tu credi che i medici e le medicine ti guariscono? La medicina “cura”, ma è solo la natura che può guarirti”. Questa fiducia nella natura l’abbiamo progressivamente smarrita. L’uomo - sempre assetato di onnipotenza - cerca di dominarla, contrastarla, sovvertirla per soddisfare le sue fantasie, i suoi capricci e i suoi desideri, illudendosi di poter eliminare ostacoli e difficoltà una volta per sempre e alla radice. E molto spesso sono considerati ostacoli da eliminare altri esseri umani innocenti: i bambini. Vanno evitati con la contraccezione, vanno uccisi con l’aborto, se sono un peso. “Ma i bambini sono tanto carini, sono bambolotti! E’ un’ingiustizia non poterne avere!”, si dice spesso. E allora ecco la fecondazione artificiale e l’utero in affitto. Le malattie, le disabilità, invece, sono una gran seccatura: allora avanti con l’eutanasia. Così, nel corso dei secoli, il delirio di onnipotenza di Prometeo ha sposato la “cultura della morte”. Questa, negli ultimi decenni, ha fatto conquiste considerevoli:
l’aborto, il figlio in provetta, il porre fine alla vita stanno diventando oggetti di diritto. Il male sembra inevitabile. Invece no. Vogliamo gridarlo con forza dalle pagine di questa rivista: c’è sempre un’alternativa (buona) al male, e non si tratta di “un male minore”, ma di un Bene. C’è una costellazione di opportunità per le donne in crisi, alternative all’aborto; la infertilità e la sterilità si possono curare; bambini già nati, adottabili, sono in cerca di una famiglia, le disabilità, le malattie, i momenti finali della vita umana possono essere una ricchezza incommensurabile per chi li accompagna con amore, rispetto e solidarietà, riconoscendone l’altissima dignità. Parlare di tutto questo non è di moda, non è politicamente corretto. E’ decisamente controcorrente… quasi trasgressivo. Invece noi lo diciamo e lo ribadiamo con forza: le alternative buone ci sono! Ma per poterle vedere e per saperle scegliere, serve la promozione e la diffusione di una cultura della vita, alternativa alla cultura della morte. Ci guadagneranno meno le multinazionali dei farmaci e le cliniche della provetta, ma ci guadagnerà molto di più l’umanità intera. Antonio Brandi
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Lo sapevi che...
COMBATTI PER LA VITA E PER LA FAMIGLIA CON NOI! La Famiglia è il fulcro e il fondamento della società umana fin dalle origini della civiltà. È “famiglia”, atta a generare, educare e custodire la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale, solo se c’è la complementarietà tra due coniugi, che promettono stabilmente di sostenersi a vicenda. Oggi la Famiglia e la Vita subiscono attacchi continui, di cui le prime vittime sono i bambini, volti a distruggere l’umanità. In particolare ProVita conduce una battaglia culturale, formando e informando, attraverso questa rivista ed il portale web www.notizieprovita.it; organizza convegni e dibattiti; promuove importanti petizioni; crea e diffonde materiale audiovisivo di carattere bioetico; presenta denunce e ricorsi per difendere a livello legale la Vita e la Famiglia. Per informare la popolazione intraprende campagne di sensibilizzazione a mezzo stampa, organizza cineforum, conferenze stampa e dà sostegno a madri in difficoltà con figli disabili, nonché ad organizzazioni che aiutano mamme con gravidanze difficili.
Dai il tuo contributo alla buona battaglia in difesa della Famiglia e della Vita Per agire a difesa della vita, della famiglia, dei bambini, aiutaci a diffondere Notizie ProVita: regala abbonamenti ai tuoi amici, sostienici mediante una donazione intestata a “ProVita Onlus”: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina, IBAN IT89X0830535820000000058640 (indica sempre nome cognome indirizzo e CAP). Avanti per la Vita! E’ stato approvato i primi di giugno dal Parlamento Europeo il cosiddetto rapporto Noichl, che ‘invita’ la Commissione e gli Stati membri a spingere sempre più sull’acceleratore per il riconoscimento dei nuovi “diritti”. Col pretesto della lotta alla disparità tra uomo e donna invita non solo a garantire aborto e contraccezione in modo sicuro e legale negli Stati membri, ma anche a fornirli come aiuti umanitari ai Paesi in via di sviluppo. Poi, in totale disprezzo della crescente opposizione popolare, il Rapporto invita all’attuazione di programmi di educazione sessuale nelle scuole, a garantire il diritto all’adozione ai single e alle coppie omosessuali e quindi - ovviamente - a preoccuparsi delle istanze delle persone LGBT. La lobby pro aborto si impegna a livello mondiale a introdurre o facilitare sempre di più il ricorso all’aborto, anche in Cile. Ma il fronte pro-life sembra sempre più combattivo. A giugno, una rappresentanza dell’associazione di donne cilene, “Mujeres de blanco”, vestite tutte, appunto, in bianco, sono venute a Roma per protestare in maniera inedita contro il tentativo del loro Presidente di legalizzare l’aborto: negli stessi istanti in cui papa Francesco riceveva in udienza il Presidente del Cile, Michelle Bachelet, in piazza San Pietro, decine di «mujeres de blanco» – assieme a molte persone unitesi a loro - hanno manifestato – con umiltà e con amore – contro il disegno di legge, che nel loro Paese vorrebbe depenalizzare l’aborto. Han tenuto tra le mani delle scatole bianche di cartone, ciascuna con un nome e una croce, per ricordare che ogni aborto è la morte di un bimbo innocente. Si sono sdraiate a forma di croce sul selciato rovente di piazza San Pietro, in silenziosa preghiera. Ha detto Maria Paz Vial, leader delle «mujeres de blanco», che non c’è violenza peggiore di quella sofferta da una donna incinta che uccide suo figlio nel proprio corpo. “Noi lo sappiamo: abbiamo sentito nel nostro ventre la morte dei nostri bambini”. La Corte Europea per i Diritti Umani ha preso la sua decisione in favore dell’eutanasia nel caso “Lambert e altri contro la Francia”. Per dodici voti contro cinque, la
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Gran Camera ha decretato che uno Stato può causare la morte di un paziente in stato di coscienza minima togliendogli cibo e acqua. La storia del povero Vincent, da 7 anni in stato di coscienza - sia pur minima - a seguito di un incidente stradale, è molto simile a quella di Eluana e soprattutto di Terri Schiavo: guarda caso il coniuge – per “amore” – vuol far morire di fame e di sete il paziente, e i genitori – per “egoismo” – vogliono farlo vivere. E’ ormai scontato che il nutrimento sia una “terapia”: dar da mangiare e bere a una persona è “accanimento terapeutico”. L’indimenticabile Oriana Fallaci, malata di cancro, rispose una volta a un giornalista: «Nella nostra società parlare di Diritti Umani è davvero un’impostura, una farisaica commedia. Ne deduco che da noi essere malati in modo inguaribile è un delitto per cui si rischia la pena capitale. Ne deduco che nel nostro tempo chi è malato in modo inguaribile viene considerato un cittadino inutile, un disturbo da cancellare, quindi un reprobo da punire...». La Corte, inoltre, non ha riconosciuto neanche il diritto dei genitori di Vincent Lambert di protestare per conto del loro figlio per “inumanità di trattamento”, da quando hanno proceduto all’interruzione della fisioterapia. L’eutanasia legale per le persone disabili è, tra l’altro, in palese contraddizione della Convenzione Europea per i Diritti Umani proclamata nel 1950: ai tempi, però, tutti ricordavano l’Aktion T4. Oggi evidentemente l’abbiamo dimenticata. Negli scorsi mesi un giornalista di Repubblica si è iscritto sotto falso nome a un corso di esercizi spirituali della Casa Sant’Obizio, in Val Camonica, tenuto dall’Associazione Gruppo Lot Regina della Pace, fondata da Luca Di Tolve. Su Repubblica è apparsa un’articolessa piena di disgusto e di sussiego. Il pover’uomo dice molte cose false, moltissime le tace (o non le ha capite), ma il succo del tutto è lo “scandalo”: “Di Tolve vuole curare i gay”. La verità è: “Molti gay chiedono aiuto a Di Tolve perché vivono infelici“ e tutte le persone che vanno a casa Sant’Obizio ci vanno volontariamente. I percorsi di guarigione interiore non sono (solo) per omosessuali, ma per tutti coloro che hanno perso il senso della vita e lo vogliono in qualche modo recuperare. Sostenere
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Lo sapevi che... l’identità ferita dell’uomo e della donna: non è un percorso solo per omosessuali. Quelli che vogliono negar alle persone che soffrono un disagio (anche per la loro omosessualità) la possibilità di recuperare la pace, la felicità e la serenità sono i veri omofobi. Decostruire i cosiddetti stereotipi di genere fin da piccolissimi è la regola numero uno dei promotori dell’ideologia del gender. Innanzi tutto va sradicato il “problema” dell’eterosessualità innata nei bambini. Per questo sono stati prodotti libri, favole e anche cartoni animati. Limina è un progetto cinematografico, supportato dalla “Ticino Film Commission”, scritto e diretto dal duo canadese composto da Florian Halbedl e il suo compagno transgender Joshua M. Ferguson. Racconta la storia magica e colorata, ambientata sullo sfondo delle incantevoli alpi svizzere, di Alexandra, una bambina gender-fluid di circa 8 anni. La Human Rights Campaign (HRC) è la più grande organizzazione LGBT d’America con più di 750.000 soci, nata per sostenere le rivendicazioni LGBT. Secondo un’indagine condotta al suo interno risulta che i dipendenti respirano un’aria di forte pregiudizio: gli sfruttati e gli esclusi sono gli eterosessuali maschi, le donne – sia etero che lesbiche – i transessuali, i bisessuali, i giovani e le persone non di razza caucasica. Non male per un’organizzazione che si batte per le rivendicazioni dei gay. L’omosessualismo è un’ideologia che pervade perfino la cucina, la dispensa e lo sviluppo sostenibile: all’interno dell’Expo, nella cascina Triulza, è stato concesso uno spazio alle associazioni LGBT. Nessuno capisce cosa c’entrino le associazioni LGBT all’interno di una EXPO, dedicata all’alimentazione. Però tutto fa brodo per portare acqua al pensiero unico di un certo tipo e alla dittatura culturale che ne consegue. Infatti, fiumane di ragazzi e bambini sono stati portati a visitare l’Expo dai loro presidi e insegnanti e nell’itinerario preferenziale rivolto ai bambini c’era la Cascina Triulza. C’è poi un vero e proprio “programma delle famiglie arcobaleno” che entrano (non si sa a quale titolo) nell’Expo, con le solite rivendicazioni di diritti ai figli.
Il “programma” di queste famiglie arcobaleno è assolutamente di parte e fazioso. In pratica è come se all’Expo avessero fatto entrare gli stand di un partito politico. Un abuso delle istituzioni, pagate con miliardi di soldi pubblici, per imporre un indottrinamento di regime. E’ assolutamente inaccettabile che le famiglie “Arcobaleno” possano farsi propaganda da un pulpito privilegiato, spalleggiate e sponsorizzate dalle Istituzioni. Molti dicono che il gender non esiste e che siamo visionari. Alcuni dicono che vediamo il male dove non c’è e che vediamo questo “diavolo di gender” in attività ludiche serene proposte a bambini e ragazzi per insegnar loro a vivere pacificamente nel rispetto e nell’armonia reciproca. Allora abbiamo raccolto in un dossier una serie di documenti, progetti, e iniziative di cui abbiamo avuto notizia e che in modo chiaro si ispirano alle teorie del gender e/o dell’omosessualismo. Potete consultarlo visitando la homepage del nostro sito www.notizieprovita.it. Potete leggere con i vostri occhi e valutare col vostro cervello. Rebecca Gomperts è un medico olandese, artista e attivista per i diritti delle donne, poco meno che cinquantenne, che dal ’99 è impegnata nella lotta all’aborto clandestino. Perciò ha creato Women on Waves (WoW, “donne sulle onde”): ha disegnato un’unità ginecologica mobile chiamata “A-portable” che può essere installata su navi prese a noleggio. Quando WoW visita una nazione, le donne prendono un appuntamento e sono accolte a bordo del vascello. La nave salpa verso acque internazionali dove la legge vigente a bordo è quella olandese e vengono realizzati gli aborti o altri servizi. Oggi all’attività sulle imbarcazioni si affianca un servizio di assistenza telematica alle donne di tutto il mondo (Women On Web). Cosicché una qualunque ragazzina (o donna sola e spaventata) può incappare in rete con facilità nelle istruzioni dettagliate su come assumere medicinali che possano avere effetti abortivi. E noi ci chiediamo: ma questo non è proprio quell’aborto clandestino che si voleva combattere? Se la legge (ancora) stabilisce che la RU486 venga somministrata solo in ospedale ci sarà un motivo? Siamo sicuri che questa gente (WoW) abbia veramente a cuore la salute delle donne?
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Anna Maria Pacchiotti
Presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”. : www.onoralavita.it
Nulla di buono può nascere dal male, solo grande dolore La presidente di Onora la Vita Onlus, ci ha inviato ancora alcune testimonianze raccolte sul campo della sua quotidiana battaglia per la vita. Questa volta sulla sindrome post abortiva. di Anna Maria Pacchiotti
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vevo allestito la mostra “Il miracolo della vita” in parrocchia. Illustra lo sviluppo del bambino dal concepimento alla nascita, denuncia l’orrore dell’aborto e le sue conseguenze per le madri. Il Parroco mi aveva sconsigliato di presenziare, quel giorno. “Ci sarà poca gente,” diceva, “le solite pie donne che passano per una preghiera”. Fortunatamente non gli ho dato retta. Giunta in chiesa, a luci spente, ho visto entrare una donna nella quale ho subito ravvisato le caratteristiche di una persona turbata. Guardava la mostra un po’ di traverso. Mi sono avvicinata a lei sorridendo in modo rassicurante, invitandola a dare un’occhiata, accompagnandola con spiegazioni sui poster che illustravano la crescita fetale. Giunte al pannello in cui si spiega che il concepito (benché abortito) rilascia nel corpo della madre milioni di cellule che la difenderanno per sempre da varie malattie, inizia a piangere. Le cingo le spalle con un braccio. Siamo sole. Mi racconta la sua storia: “Ho commesso un errore madornale – dice – ho rovinato la mia vita ed il mio matrimonio. Quando
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mi sono sposata ho deciso di non avere figli. Così quando sono rimasta incinta ho deciso di abortire. Ho iniziato quasi subito dopo a soffrire. Mio marito è rimasto completamente indifferente al dramma che stavo vivendo. Iniziai ad avere svariati problemi fisici e psichici: dolori, malattie psicosomatiche. Ho accettato quelle sofferenze come fossero state un castigo meritato. Poi ho cercato il perdono di Dio. Ho trovato un buon Padre spirituale che mi ha accompagnata nel cammino di risurrezione. Ho cominciato a pensare al mio bimbo. L’ho chiamato Yuri, non so perché, mi andava di chiamarlo così. Ho pensato alla vita che gli ho impedito di vivere, alle gioie e ai dolori di cui l’ho privato. Ma soprattutto all’amore di cui aveva diritto ed io, sua madre, non gli
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Chi salva i bambini dall’aborto, salva anche le madri - e i padri dalle conseguenze psicologiche dello stesso, che a volte sono addirittura tragiche
ho donato. Crisi dopo crisi, sono riuscita a sentirmi perdonata da Dio, ma non sono ancora riuscita a perdonare me stessa”. La fase dell’auto-perdono, infatti, è la più difficile da superare: la disperazione cerca di insinuarsi nel cuore di chi è già stato perdonato da Dio. Le ho fatto leggere le belle parole tratte dal libro di Giuseppe Garrone “La vita oltre la morte”: Dio sa trarre la vita dalla morte. E’ molto bello sapere che Dio sa scrivere dritto sulle nostre righe storte. L’ho lasciata parlare ancora a lungo e si è rasserenata. Come in tante altre occasioni, ho citato anche l’ottimo libro di Mario Palmaro “Aborto & 194 – fenomenologia di una legge ingiusta” dove l’autore dichiara che le maggiori responsabilità di tutto questo dolore sono da ricercare nei legislatori, che dovrebbero pensare al “bene comune”. Quando le madri pentite di aver abortito piangono i loro bimbi uccisi, io dico loro “La legge 194 vi ha tradito. Ha tradito la vostra femminilità. E invece ce la presentano come una “conquista di civiltà”. Chiedo alle donne che hanno abortito: diventate testimoni della Vita, mettete al corrente le altre donne dell’errore commesso, del
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Attualità
Monumento ai bambini abortiti, scultura di Martin Hudacek, si trova a Bardejovska Nova Ves, in Slovacchia.
vostro grande disagio. Fate del bene, sentitevi amate dal bimbo che ha comunque un’anima grazie a voi e che vi ama. E, se potete, siate madri amando. Donate e riceverete in cambio più di quello che avrete dato. La sindrome post abortiva, però, colpisce anche gli uomini. Un giorno, tramite Facebook, un uomo molto sofferente si è rivolto a me. Ho immediatamente risposto e dopo un po’ di tempo mi ha chiamata al telefono per raccontarmi la sua disavventura. “Sono un bagnino toscano. Alcuni anni fa conobbi una ragazza che era venuta in vacanza al mare e ci innamorammo. Per me fu vero e profondo amore. Lei rimase incinta, me lo disse, io ne fui felice: desideravo profondamente questo figlio, frutto del nostro amore. Lei invece ne rimase turbata. Finite le vacanze ripartì per Monza, dove viveva. Iniziarono i miei viaggi. Avevo poche disponibilità economiche, ma quello che avevo lo spendevo per starle vicino e farle sentire il mio amore, per darle conforto. Quando sono venuti a conoscenza del fatto, i suoi genitori le imposero di abortire. Il mio cuore, la mia mente, ne rimasero colpiti a morte: io chiamavo già “babbo” il bimbetto che avrebbe potuto essere il mio amato figliolo. Continuai a starle vicino, anche quando andò in ospedale
ad abortire, nei momenti in cui i dottori stavano strappando la vita al nostro bambino, ho percepito nel mio corpo il medesimo dolore: come se il piccino fosse stato anche dentro di me. Continuai le mie visite a casa di quella che consideravo la mia donna, ma la nostra storia fallì miseramente: nulla di buono può nascere dal male, solo grande dolore. Ora sono solo ed in stato di grande povertà, cerco di sopravvivere lavorando nelle spiagge dell’Adriatico. Sono stato in cura psicologica: anche se in realtà la colpa di quello che considero l’omicidio del mio “babbo” non fu mia, io desideravo che vivesse. Il dolore mi stringe ancora il cuore in una morsa.“ Da parte mia, gli ho consigliato di considerare il bimbo vivo in Dio, di dargli un nome, di sentirselo vicino. Di avvicinarsi a Dio e (quantunque non direttamente colpevole della morte del piccino) di sentirsi amato e perdonato. Ma per quest’uomo è difficile realizzare questo percorso, perché né lui né tanto meno la sua famiglia di origine sono religiosi. Mi ha fatto presente, comunque, di essere stato contento di aver potuto sfogare la sua angoscia, di sentirsi ascoltato e capito. Spero che Dio aiuti sia lui che la povera ragazza che ha fatto ricorso all’aborto: è un dramma che non può che seminare infelicità e divisione.
Della sindrome post abortiva si parla troppo poco. Commettendo un delitto, anche se legalizzato, con la mente e il cuore chi lo commette presto o tardi riflette, comprende e soffre. Il meccanico al quale mi sono rivolta per la riparazione della mia auto, quando ha saputo che sono una pro life, mi ha confidato con grande dolore di essere stato fidanzato con una dottoressa piemontese che lavora in ospedale. Durante la relazione lei rimase incinta. Lui, felicissimo, era intenzionato a sposarla immediatamente. Purtroppo (come nel caso precedente) intervenne in senso negativo la famiglia di lei, che in questo caso non era certo una ragazzina come nel precedente, ma aveva un suo lavoro indipendente, ben remunerato e la giusta cultura. Essendo dottoressa (anzi, addirittura una pediatra) era perfettamente a conoscenza del delitto che avrebbe compiuto nei confronti del figlio nato dal suo rapporto d’amore. I suoi genitori intervennero discriminando l’uomo in quanto di umili origini meridionali. Lei decise di abortire e si lasciarono. Di quello che è successo alla dottoressa non sono al corrente. Ma penso che con la morte del figlio nel suo grembo sia morta anche una parte di lei, come sempre avviene. Il pover’uomo stava uscendo (dopo ben sette anni) da forti crisi depressive, sedute di analisi, disperazione. Il ricordo del bimbo che non ha potuto tenere fra le braccia è rimasto indelebile nel suo cuore. Non riesce ad uscire da quel tunnel, né conseguentemente, a rifarsi una vita. Ecco i risultati della iniqua legge 194/1978, che non riconosce alcun diritto ai padri di difendere la vita dei propri figli. La sindrome post abortiva maschile è ancor meno conosciuta di quella femminile, ma altrettanto devastante. ■
Dio sa trarre la vita dalla morte. E’ molto bello sapere che Dio sa scrivere dritto sulle nostre righe storte.
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Laura Bencetti
26 anni, praticante avvocato con il pallino per le cause pro life: ama battersi per la Vita e la Famiglia. Oltre che con ProVita, collabora con il Centro per la Vita di San Giuseppe al Trionfale a Roma.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, la contraccezione e la salute delle donne C’è chi dice a parole di avere a cuore “il diritto alla salute” delle donne, ma in realtà non se ne cura affatto. di Laura Bencetti
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er garantire la salute “sessuale e riproduttiva” delle donne è indispensabile promuovere l’aborto e la contraccezione: questa è la politica che da qualche decennio si attua a livello internazionale. Coerentemente con essa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un nuovo rapporto che promuove l’uso di contraccettivi (che inducono l’aborto) o la sterilizzazione per le neo mamme di tutto il mondo. La raccomandazione dell’agenzia è quella di ridurre il tempo che intercorre tra il parto e l’utilizzo di contraccettivi ad azione prolungata, per ottenere chimicamente una sterilizzazione efficace poco dopo la nascita del bambino.
La contraccezione comporta molti e gravi effetti collaterali che vengono sistematicamente ignorati e taciuti, con serio pericolo per la salute delle donne.
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Insomma: già fare un bambino è una colpa, soprattutto per chi è povero e nero, ma farne due, uno dopo l’altro, è un sacrilegio… A tal proposito, l’OMS indica una lista di contraccettivi “raccomandati”, che ha ampliato e ha corredato con delle raccomandazioni, appunto, sul quando e come usarli, soprattutto alle neo mamme dei paesi poveri. Infatti, la quinta edizione del Medical Eligibility Criteria (MEC) dell’OMS per l’uso dei contraccettivi contiene meno regole e pone meno cautele nella loro somministrazione alle donne che hanno recentemente avuto figli. Ad esempio, le linee guida specificano che le donne che allattano meno di sei settimane dopo il parto “possono generalmente utilizzare pillole di progesterone (POP) e impianti di levonorgestrel (LNG) e di etonogestrel (ETG)”. E le donne che allattano meno di 48 ore dopo il parto “generalmente possono utilizzare dispositivi intrauterini (IUD) abortivi”. Le linee guida poi raccomandano un certo numero di contraccettivi/metodi abortivi, tra cui CHC, IUD, pillole contraccettive d’emergenza, iniezioni e anelli vaginali. L’OMS considera tutti questi metodi sicuri, indipendentemente dal fatto che una madre stia ancora allat-
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tando al seno e da quanto tempo sia passato il parto. Purtroppo, poiché l’OMS è considerato un ente “autorevole”, le sue nuove linee guida stanno assumendo la forma di vere e proprie norme in alcuni paesi in via di sviluppo. La rivista scientifica della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health spiega che in molti paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia, i politici seguono le raccomandazioni per la preparazione di linee guida nazionali. Lo scopo primario di tutto questo, ovviamente è che ai cittadini vengano presentati metodi di pianificazione familiare sempre più efficaci e in modo sempre più diffuso. Sappiamo bene che la mentalità neomalthusiana pervade intrinsecamente gli enti nazionali e internazionali che dovrebbero occuparsi di tutela degli esseri umani e di solidarietà sociale. E sappiamo che il sistema migliore per la lotta contro la povertà, per tutti costoro, è l’eliminazione fisica dei poveri. Chissà perché nessuno parla dei dati della FAO che smentiscono radicalmente queste ideologie mortifere: negli anni ’50 nel mondo, su 2 miliardi di persone, quasi il 50% soffriva la fame. Oggi, su 7 miliardi di persone, soffrono la fame l’11%: non è vero quindi che le risorse si
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L’OMS raccomanda la diffusione della contraccezione, ma poi è la stessa OMS che pone la pillola nel “gruppo 1” delle sostanze cancerogene. moltiplicano meno velocemente della popolazione… Ma c’è un fatto ancor più grave. Guarda caso, sia le linee guida dell’OMS che la rivista della Johns Hopkins School omettono il “dettaglio” a dir poco fondamentale (ammesso persino dal Dipartimento della Salute e Servizi Umani dell’amministrazione Obama), che i dispositivi intrauterini e le pillole possono provocare aborti precoci oltre che gravi rischi per la salute delle donne. Insomma, gli effetti collaterali non sono trascurabili, ma vengono trascurati. All’inizio di giugno, la 21enne Fallan Kurek è morta a causa di un coagulo di sangue nei polmoni, che le si era formato dopo aver preso la pillola anticoncezionale per meno di un mese. Nel 2013, il contraccettivo ormonale Try-Cyclen ha causato la paralisi totale a Marie-Claude Lemieux, di 32 anni. L’atleta Megan Henry ha affermato nel 2014 che la sua carriera come olimpionica è stata distrutta dal NuvaRing, che le ha causato coaguli di sangue nei polmoni. La società farmaceutica Merck, che distribuisce il NuvaRing, è stata citata in giudizio migliaia di volte per negligenza riguardo al dispositivo. La Bayer, un’altra famosa società farmaceutica, ha speso oltre un miliardo di dollari in cause legali per complicazioni legate alla pillola anticoncezionale Yasmin e il dispositivo intrauterino Mirena. Una ricerca condotta alla University of California a Los Angeles, da Nicole Petersen ha messo in luce come gli ormoni presenti nella pillola anticoncezionale possono agire anche sul cervello della donna, modificandolo e assottigliando lo spessore di alcune zone della corteccia cerebrale. Assumere un contraccettivo ormonale per almeno cinque anni è
associato ad un possibile aumento del rischio di sviluppare un tumore raro, il glioma cerebrale, secondo uno studio pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology. Una femminista americana, Holly Grigg-Spall, perfettamente “laica”, ha denunciato il mito culturale di cui sono vittime le donne: la pillola anticoncezionale produce effetti su tutti gli organi e le funzioni del corpo femminile. Può avere effetti collaterali come depressione, ansia, paranoia, rabbia, attacchi di panico, tanto per dirne solo alcuni. Uno studio del 2005, inoltre, ha concluso che la pillola può decisamente ridurre il desiderio e il piacere sessuale, e una pubblicazione scientifica dell’anno scorso ha concluso che i contraccettivi orali aumentano il rischio di diabete gestazionale. Altrove si è detto che aumenta il rischio di cancro al seno e alla cervice: è la stessa OMS che pone la pillola nel “gruppo 1” delle sostanze cancerogene. Del resto, pochi sanno che la rivoluzione sessuale in occidente è stata ideata e realizzata da ricchi e potenti a spese delle donne e dei poveri. La sperimentazione della pillola Pincus è stata condotta in gran parte su donne portoricane, e su donne internate in un manicomio: la maggior parte delle donne abbandonava la sperimentazione per via degli effetti collaterali indesiderati e indesiderabili.
Da un punto di vista morale, infine, la “liberazione” della donna con la separazione tra l’atto sessuale e la procreazione, ha insegnato agli uomini a praticare il sesso per gioco, per piacere, fine a se stesso, e quindi a fare delle donne quell’oggetto tanto biasimato proprio dalle femministe. Le nuove linee guida dell’OMS sono arrivate in tempo per la riunione che si è tenuta a giugno in Thailandia, tra i rappresentanti di 16 paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia, che è stata sponsorizzata dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates (tra i più accaniti neo malthusiani del momento), tesa alla realizzazione nella pratica internazionale dei nuovi MEC dell’OMS in modo da “raggiungere i 120 milioni di donne e ragazze che potranno attuare la pianificazione familiare entro il 2020”. ■
Le teorie neomalthusiane sulla popolazione e le risorse sono smentite dai dati di fatto, ma la mentalità mortifera delle stesse è ancora dominante nelle istituzioni internazionali. Il sistema migliore per la lotta contro la povertà, per i neo-malthusiani, è l’eliminazione fisica dei poveri.
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Alessandro Benigni
Sposato, con due figli, è insegnante di Filosofia e Psicologia. Blogger, collabora con Cristiano Cattolico, Nelle Note, Libertà e Persona, Tocqueville.it, Lo sai.eu, Regina web radio, e altre riviste on-line.
La Redazione di sicuro non condivide i presupposti e tutte le conclusioni dell'etica kantiana. Ma la seguente esposizione evidenzia come persino il "padre dell'illuminismo" ritenesse essenziale la libertà di scelta e l'esigenza di non trattare mai l'altro come puro mezzo.
Libera scelta La filosofia ci insegna che la possibilità di scegliere liberamente il bene c’è sempre. di Alessandro Benigni
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hi di noi non ha mai provato a raccontarsi che in fondo non c’è nessuna libertà, che una serie infinita di forze ci spingono, ci trattengono, ci frenano da tutti i lati, e alla fine non resta che adeguarsi alla corrente, seguire il corso. Tentare di sopravvivere ai sussulti della propria coscienza. Ma coscienza di che cosa? Quanto spazio abbiamo, dentro di noi, asfissiati da tutto quello che da fuori viene a depositarsi, come in un magazzino virtuale in cui lo spazio non basta mai, ma pure continuano a stiparsi esperienze, ricordi, fatti, idee di ogni tipo? Coscienza. Questa parola ci riporta di colpo alla realtà. La stessa realtà che Immanuel Kant chiamava “fatto della ragione”: un’evidenza assoluta, incontrovertibile, che ognuno di noi sperimenta continuamente nella propria esistenza. Anche quando prova a giustificarsi raccontandosi le favole più inverosimili. Nella Critica della Ragion Pratica, proprio in apertura, Kant ci parla di libertà. Perché è chiaro che senza libertà il solo pensare ad un’etica sarebbe folle. E ancora più folle pensare ad un disegno, ad un progetto, ad una natura umana da realizzare. Ad un Dio. E’ noto che il mondo fisico e il mondo morale vengono da Kant distinti e contrapposti, governato
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l’uno dalle leggi fisiche, l’altro dalla legge della libertà: cercherò di mostrare in sintesi almeno una ragione per cui questa distinzione è fondamentale per la salvaguardia della nostra libertà, quindi della nostra umanità. Libertà-umana è per Kant immediatamente evidente. Anche noi sperimentiamo ininterrottamente che la gioia che proviamo, unitamente al rammarico o al rimorso, mostra che siamo liberi di scegliere. Ma se la scelta è libera, ciò comporta anche che ne siamo responsabili. E se sono responsabile, ne deriva anche che dovrò poi stabilire rispetto a chi o a che cosa si oggettiva la mia imputabilità. Persino per Kant (il padre dell’illuminismo, non dimentichiamolo) sono responsabile di fronte a me stesso, di fronte agli altri e di fronte a Dio. Si tratta di tre punti di riferimento in certo qual modo interdipendenti e necessari per qualsiasi forma di etica. E certamente non a caso Kant parla di postulati imprescindibili: quale etica è possibile senza la precondizione della libertà umana? Ed è mai possibile un’etica che non tenga conto degli effetti della mia azione sul prossimo? E quale etica possiamo praticare, senza riferimento ad un bene che non è il mio o il tuo, e nemmeno il nostro, ma non lasciandosi rinchiudere in alcuna definizione contingente indica chiaramente la sua disposizione alla Trascendenza, quindi ad un Assoluto?
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E’ quindi chiaro che il punto decisivo di tutta la questione è la conquista della libertà. Qual è lo spazio effettivo della mia libertà? Stabilire fino a che punto sono libero significa mettersi in rapporto al perimetro della mia responsabilità: si tratta, ancora una volta, di un atto raziocinante. Io “devo” solo “quello che so”. Ecco quale è in questo caso la risposta kantiana: lo spazio della mia libertà è dato dal mio essere uomo, animale: ma razionale. Sembra così che anche per Kant il male abbia un’essenza negativa, fondata sulla mancanza di essere. Tant’è vero che sembra anche mancare un principio pratico che permetta di intendere l’azione malvagia come liberamente compiuta dal soggetto agente. Secondo Kant: la libertà coincide con la ricerca e con la pratica del bene. Il male è sempre e comunque (anche) il frutto di un ragionamento errato del soggetto. Questo appare particolarmente evidente nella disposizione che Kant ci dà circa l’interrogativo etico: è la ragione che indica di volta in volta il contenuto che la forma morale della mia azione deve prendere.
Persino per Kant sono responsabile di fronte a me stesso, di fronte agli altri e di fronte a Dio
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Primo piano Una forma morale che il filosofo ha individuato in tre imperativi, che mirano a indicare a ciascuno il bene comune (e quindi anche individuale). 1) “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di legislazione universale” 2) “Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo.” 3) “Agisci in modo tale che la tua volontà possa, in forza della sua massima, considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice. Sono tre formulazioni, che dicono sostanzialmente la stessa cosa: la nostra moralità dipende non dalle cose che di volta in volta desideriamo, ma dal
Emanuele Kant (1724 - 1804)
principio per cui le vogliamo; principio della moralità che non è quindi il contenuto, ma la forma (qui Kant sbaglia, poiché criterio della moralità non è solo la ragione della scelta ma anche l’oggetto della scelta stessa, ndr). E la forma dell’imperativo etico ci parla di umanità, di fini, di “legislazione universale” (ovvero di legge che possa valere per tutti, in ogni luogo ed in ogni tempo). Non ci parla di ciò che è bene e ciò che è male “per noi”, ma ci parla di ricerca, di attitudine all’ascolto, al dialogo, al saper cambiare punto di vista. E’ nel momento in cui proviamo ad agire in accordo a questo dovere universale - e non più in base al calcolo utilitaristico dei nostri piaceri - che, secondo Kant, possiamo realizzare un’azione pienamente morale. Proseguendo nell’analisi del pensiero di Kant potremmo aggiungere però che la ragione è imperfetta. Almeno tanto quanto
Come società, come civiltà abbiamo fatto di tutto per dimenticare il legame originario e strutturale tra la libertà e il bene
la volontà. Chi di noi non ha sperimentato che se c’è sempre una scelta giusta e una scelta sbagliata, la scelta sbagliata sembra a volte la più ragionevole, di certo la più facile: allora forse se un uomo va giudicato dalle scelte bisogna prendere atto che non si può pretendere che siano solo giuste. La nostra umanità si innalza allora a guardare anche a come abbiamo cercato di venir fuori dalle scelte sbagliate. La libertà, e soprattutto la libertà del bene, si manifesta proprio a partire dal male morale. Male che qualcuno osa chiamare, senza timore, peccato. Verrebbe da dire, e verrebbe da dirlo in molti sensi: un male inevitabile. A me sembra che ci troviamo oggi proprio a questo punto: come società, come civiltà abbiamo fatto di tutto per dimenticare il legame originario e strutturale tra la libertà e il bene. Questo legame, paradossalmente, emerge proprio là dove l’uomo sceglie il male. Eppure, solo questo legame è in grado di allontanare dalla storia dei singoli e dei popoli i mostri partoriti dall’arbitrio brutale della forza, delirio di onnipotenza, onnipotenza che sembra risiedere nella facoltà di oscillare infinitamente tra il bene e il male. Ma è una terribile illusione illudersi di dominare il bene e il male, riscrivendoli a propria misura. Se si toglie il carattere dell’assoluto al Bene si rescindono i legami con ciò che nella vita ha valore. E porta infine a sperimentare, direttamente, radicalmente, al limite della disperazione, che cosa significa pretendere di andare “al di là del bene e del male”: “Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo ■ piantato”(Proverbio cinese).
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Un’alternativa a veleni chimici e morali I metodi naturali di regolazione della fertilità, se correttamente usati, sono efficaci, e hanno “effetti collaterali” estremamente positivi. di Alba Mustela
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a quarant’anni ci insegnano che i contraccettivi sono per libertà delle donne, senza di essi non avremmo il controllo del nostro corpo, saremmo “donne oggetto”. Questa è una vera e propria balla, un inganno a danno delle donne perpetrato da chi si fa loro paladino. Abbiamo accennato (v. p. 8) dei gravi effetti collaterali della contraccezione che vengono taciuti colpevolmente alle donne. Abbiamo anche detto che separare l’atto sessuale dall’atto procreativo, da un punto di vista morale (non necessariamente religioso), comporta una svalutazione del corpo, cioè della persona, che diviene oggetto di piacere fine a se stesso. Quindi la mentalità contraccettiva, fa esattamente il contrario che “liberare” la donna, favorisce chi vede la donna come un divertimento usa e getta… Un’alternativa a questi veleni chimici e morali c’è. Ed è un’alternativa accettabile anche in senso etico, qualora non sia impiegata con una mentalità “contraccettiva” che strumentalizza l’altro: regolare in modo naturale la fertilità ai fini della procreazione responsabile. I metodi naturali insegnano all’essere umano a conoscersi e a integrare in se stesso pulsioni, istinti, emozioni, sentimenti, ragione e corpo sessuato. La capacità di riconoscere la fertilità ciclica della donna attraverso l’auto-osservazione è una preziosissima risorsa, sia per le coppie
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che desiderano un figlio (v. pp. 19 e 20), sia per chi, invece, si unisce al coniuge in un periodo non fertile. Si salvaguarda comunque la pienezza umana dell’atto sessuale, si rispetta la propria e l’altrui persona. L’astensione periodica degli sposi dai rapporti coniugali nel periodo fecondo diviene occasione di scoperta di altre forme d’amore: l’attenzione reciproca, il dialogo, la dedizione. Scoprire la virtù della castità ha un formidabile potere di educare e fa emergere doti e virtù che servono alla relazione di coppia e a un matrimonio felice. I metodi di regolazione naturale della fertilità consentono di individuare all’interno del ciclo femminile il periodo fertile, attraverso l’osservazione quotidiana di alcuni segni dipendenti dall’andamento ormonale proprio di ciascun ciclo. Oggi, poi, sono coadiuvati anche da semplici apparecchiature computerizzate in grado di fare giornalmente una veloce analisi degli ormoni presenti nelle urine. I metodi più validi ed efficaci, anche
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I metodi naturali insegnano all’essere umano a conoscersi e a integrare in se stesso pulsioni, istinti, emozioni, sentimenti, ragione e corpo sessuato.
se ancora, purtroppo, troppo poco divulgati in modo corretto, sono il Metodo dell’Ovulazione Billings ed i metodi Sintotermici (Camen e Roetzer) che possono essere applicati da qualsiasi donna, anche se ha cicli irregolari, se è in situazioni di stress, se allatta, se è in premenopausa. Se correttamente usati, la loro efficacia - comprovata da numerosi studi scientifici - è del 98-99%. Il Metodo Billings si basa sulla osservazione quotidiana del “muco cervicale”, la secrezione prodotta dal collo dell’utero per effetto degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone). I Metodi Sintotermici si fondano sull’osservazione anche di altri effetti fisiologici prodotti dagli ormoni durante il ciclo, oltre al muco: la temperatura basale e le modificazioni della cervice uterina. I diversi metodi sintotermici si differenziano in base alle diverse combinazioni dei fattori da osservare e da considerare. Nel matrimonio i coniugi realizzano la loro vocazione all’amore mediante il dono sincero di sé, superando l’egoismo e l’egocentrismo. Nell’atto coniugale, fonte di gioia e di piacere, essi si donano le loro persone nella totalità delle loro dimensioni: corpo, psico-affettività e spirito. Tutto ciò unisce profondamente gli sposi e nel contempo li rende atti alla generazione di nuove vite umane. Con i metodi naturali le persone nel loro essere uomo e donna sono perfettamente uniti, senza barriere meccaniche, fisiche e psicologiche nell’incontro d’amore. ■
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Antonio Brandi
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Federico Catani
Laureato in scienze politiche ed insegnante di religione, si è appena laureato anche in scienze religiose. È giornalista pubblicista.
Ecco come si può evitare l’aborto Una rapida rassegna delle principali alternative all’aborto che oggi, qui in Italia, sono concretamente a disposizione delle madri in difficoltà di Federico Catani
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’aborto viene quasi sempre presentato come inevitabile quando vi sono situazioni difficili. Secondo la mentalità corrente, qualunque intoppo durante la gravidanza può essere risolto ricorrendo all’IVG, senza tanti patemi d’animo. Dopo tutto, se l’aborto è considerato un diritto, è ovvio che si possa effettuare tranquillamente ogniqualvolta lo si ritenga opportuno. Peraltro, innumerevoli sono i casi in cui addirittura non viene rispettata nemmeno la legge 194 che, almeno sulla carta, prevede si debba fare tutto il possibile per evitare l’interruzione della gravidanza. L’articolo 5, ad esempio, recita testualmente che il consultorio e la struttura socio-sanitaria hanno il compito di esaminare con la gestante e con il padre del concepito “le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Sappiamo bene che tutto ciò o non avviene o avviene in maniera molto superficiale. Nel momento in cui una donna chiede di abortire, il consultorio le concede prontamente il via libera. E spesso accade che non venga dato alcuno spazio e alcun ruolo a quei volontari che propongono un’alternativa
all’uccisione del figlio. Sì, perché di alternative all’aborto ce ne sono molte. Basta conoscerle. In Italia abbiamo prima di tutto i Centri di Aiuto alla Vita (CAV). Il primo CAV è stato fondato a Firenze nel 1975 dall’ingegner Mario Paolo Rocchi e da altri amici. Da allora, questi centri si sono moltiplicati in tutta Italia e sono diventati 315. Sino ad oggi si calcola che grazie all’azione dei loro operatori, circa 4mila, tutti volontari, e dei loro sostenitori, circa 70mila, sono stati fatti nascere oltre 130mila bambini, che altrimenti sarebbero stati uccisi nel ventre materno, magari per problemi banali o per semplice egoismo. Inoltre, si calcola che siano state oltre 500mila le donne accolte, assistite, ascoltate e aiutate. Attraverso il dialogo, il confronto, il sostegno psicologico, la vicinanza e anche l’aiuto economico quando necessario, i CAV sono il principale strumento con cui oggi si evita l’aborto. Tante sono le testimonianze, che anche noi pubblichiamo spesso, del bene fatto dagli operatori dei CAV. Tante le storie drammatiche, ma per fortuna generalmente a lieto fine, di speranze perdute e ritrovate, di fiducia smarrita e restituita. Nessuna mamma ha mai rimpianto la scelta fatta di tenersi il proprio bambino. Anzi, molte volte è accaduto che le donne cadute nell’abisso dell’aborto, una volta accolte e aiutate a superare le loro difficoltà, sono divenute entusiaste volontarie di queste strutture. Spesso è indispensabile un certo sostegno economico, perché
molte donne vogliono abortire in quanto ritengono di non disporre di risorse sufficienti a mantenere il proprio figlio. Ben vengano allora quei fondi, come il Nasko, istituito dalla Regione Lombardia, che erogano denaro per aiutare le donne in gravidanza con difficoltà economiche. Tale progetto è attuato in collaborazione con i CAV e i Consultori ASL. Rivolgendosi a queste strutture e valutando insieme la situazione con un “colloquio di riflessione”, se decide di tenere il bambino, la donna può usufruire dell’aiuto finanziario. Accanto ai CAV, a partire dal 1992 sono rinate le Culle per la Vita, su iniziativa di Giuseppe Garrone. A
La donna deve essere aiutata a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza… deve essere promosso ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto, secondo la legge. Ma solo le associazioni di volontariato si adoperano per tutto questo, fra grandi difficoltà.
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dire la verità, all’inizio si chiamavano Cassonetti per la Vita, ma poi il nome è stato migliorato. Si tratta di una versione riveduta e aggiornata delle vecchie “ruote degli esposti”, ovvero quegli strumenti d’accoglienza per bambini abbandonati annessi a qualche istituto religioso o a qualche chiesa. E proprio come le vecchie ruote, queste culle consentono di lasciare i bimbi nel pieno anonimato. I neonati però sono perfettamente protetti, sicuri, al caldo. Le postazioni, inoltre, sono vigilate 24 ore su 24 e forniscono immediatamente l’assistenza di un medico e di una puericultrice. Non appena un bambino vi viene depositato, un sensore avvisa della sua presenza e scatta l’intervento di specialisti di patologia neonatale. È vero che così non si garantisce la cura della madre nel caso di complicazioni mediche (meglio sarebbe partorire in ospedale e non riconoscere il bambino), però è un sistema assai efficace. In Italia esistono oltre 40 Culle per la vita, dislocate in quasi tutte le regioni e gestite da diverse organizzazioni e istituzioni religiose o diocesane o di volontariato, in coordinamento con i Centri di Aiuto alla Vita. Ma ce ne vorrebbero di più: in Germania, ad esempio, sono circa cento. Grazie all’anonimato, anche un’azione oggettivamente poco onorevole e tragica come l’abbandono del proprio figlio può trasformarsi in qualcosa di bello, perché quantomeno si consente al piccolo di nascere e di vivere, affidandolo a chi se ne prenderà sicuramente cura. Vi è poi il Progetto Gemma, sempre ideato da Garrone nel 1994 e gestito dalla Fondazione Vita Nova onlus, collegata al Movimen-
to per la Vita. Si tratta di un servizio che permette di effettuare l’adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, che necessitano di un aiuto concreto per poter accogliere il proprio figlio, aiutandole così a non cedere alla possibilità di abortire. In tal modo, in vent’anni di esistenza, il Progetto Gemma ha permesso a oltre 20mila bambini di nascere e a migliaia di donne, abbandonate a se stesse e spesso purtroppo senza risposte persino dalle istituzioni, di diventare madri. Tale iniziativa è svolta in collaborazione con i Centri di Aiuto alla Vita presenti su tutto il territorio nazionale. Le mamme possono essere aiutate per un periodo minimo di 18 mesi (gli ultimi 6 di gravidanza e i primi 12 dopo la nascita del bambino) con un contributo mensile. Non dobbiamo poi dimenticare l’opera dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, che con le sue case famiglia e, diciamolo, anche con le sue preghiere davanti alle cliniche abortiste, riescono a salvare una vita umana 2 volte su 3 (si veda oltre a p.18 e a p. 29). Potete leggere più avanti anche di SOS vita (a p.17), e poi ci sono tante altre realtà, magari più piccole, di portata locale… Infine vogliamo fare un cenno alla Quercia Millenaria (si veda
anche p.24). Questa onlus, nata nel 2005 su iniziativa di una coppia di genitori, Carlo e Sabrina Paluzzi, è l’unica realtà in Italia che assiste le coppie a seguito di una diagnosi di malformazione fetale. L’aborto viene spesso utilizzato per scopi eugenetici, ma oggi il progresso scientifico permette di curare il bimbo già nella pancia della mamma. In dieci anni di attività, 200 bambini hanno potuto godere di interventi prenatali atti a migliorare le loro condizioni in modo a volte risolutivo. Per ora, anche grazie all’aiuto del prof. Pino Noia, è stato aperto un hospice perinatale al Policlinico Gemelli di Roma e uno al Santa Chiara di Pisa, ma l’ambizione è di averne uno per ogni ospedale regionale. Infine, La Quercia Millenaria offre un servizio di formazione al personale delle sale parto e dei reparti di ostetricia, nonché ai volontari, sul co-accompagnamento alle coppie con figli terminali. Come si vede, c’è sempre una soluzione ai problemi migliore dell’aborto. Eliminare una vita porta solo dolore, mentre accoglierla, pur nelle difficoltà, è fonte di pace e consolazione. Tutto sta a cambiare la mentalità mortifera che da troppo tempo si sta facendo strada nell’opinione pubblica… ■
Nessuna mamma ha mai rimpianto la scelta fatta di tenersi il proprio bambino. L’indimenticabile Giuseppe Garrone
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Daniela Fraioli
THE WAY TO LIFE
Storica dell’arte, traduttrice ed interprete. Combattente per la Vita... ... ma specialmente è mamma di una bellissima bimba!
800.813.000 www.sosvita.it
* info@danielafraioli.it : www.danielafraioli.it
SOS Vita - Un’alternativa on line Le alternative all’aborto ci sono, come abbiamo visto. Anche al passo con i tempi del web 2.0 di Daniela Fraioli
È
online dal 31 gennaio 2015 il nuovo sito del Movimento per la Vita Italiano, www.sosvita.it. L’attesa per questa nuova, essenziale, piattaforma a sostegno delle donne che affrontino una gravidanza indesiderata era altissima. L’aiuto è rivolto a tutte le donne che si trovino, o si siano trovate in passato, ad affrontare il dramma della “scelta” della continuazione o meno di una gravidanza, vissuta in qualsiasi situazione di disagio psicologico, economico, emotivo o relazionale. Il sito, di facile accesso e fruibilità, è disegnato per essere un luogo dove le donne in difficoltà possano ricevere aiuto concreto ed immediato, di natura sia psicologica che di sostegno oggettivo per la continuazione della gravidanza. La grafica, non a caso, si struttura intorno ad una barca, simbolo di solitudine, direzione da prendere, nella ‘tempesta’ della vita, e le direzioni sono simboleggiate proprio dalle ‘bussole’, o meglio i tipi di sostegno offerti a chi lancia un SOS Vita, che puntano al nord, ad un luogo sicuro, fermo: ascolto, sostegno psicologico, consulenze gratuite mediche, legali e sociali, sostegno post-aborto, condivisione, sostegno concreto e soluzioni all’emergenza abitativa. Poggiandosi sulla rete capillare dei Centri Aiuto alla Vita italiani, da cui il primo numero verde SOS Vita è partito grazie al compianto e indimenticabile Giuseppe Garrone, www.sosvita.it utilizza i mezzi di comunicazione più moderni ed interattivi per raggiungere le don-
ne anche là dove è difficile arrivare, per toccarle, anche se solo con la voce di un’operatrice, con un’email o un messaggio in chat, ed aiutarle ad esprimere le loro paure, affrontando così, al riparo dai giudizi e dalle pressioni sociali esterne, la paura che una gravidanza imprevista può rappresentare. Al fine di salvaguardare sia la madre che il bambino, la missione del sito è non solo quella di prevenire l’aborto, con mezzi di supporto reali, capillari e protratti nel tempo per la madre che decida di proseguire con la gravidanza, ma di proteggere le donne dalle conseguenze drammatiche, sia a livello fisico che mentale, causate dall’IVG e di sostenere, con operatori qualificati, le donne toccate direttamente da questo dramma che necessitino di aiuto psicologico, affinché possano ritrovare la serenità e riprendere in mano le loro vite. La rete di volontari che operano in SOS Vita, in continua adeguata formazione, è attiva 24/24h su ogni mezzo di comunicazione, dal numero verde 800 813 000, ai messaggi tramite chat o email, nonché in tutte le sedi CAV distribuite sul territorio nazionale. Il gruppo di coordinamento è
composto da Maria Luisa Di Ubaldo, Giuseppe Grande, Paola Musso, Marialuisa Ranallo, Giovanna Sedda, Lara Morandi. Riservatezza ed anonimato sono priorità assolute. Oltre all’esperienza di siti internazionali, esperti del settore, che hanno contribuito nel consigliare alcuni dei metodi migliori per arrivare e comunicare con le donne in difficoltà tramite il web, SOS Vita è forte anche della rete ‘One of Us’ www.oneofus.eu una delle prime iniziative dei cittadini europei registrati nell’Unione Europea con l’obiettivo di far progredire in Europa la protezione della vita umana sin dal concepimento. Ciò fa sì che donne anche fuori dall’Italia possano beneficiare del servizio di volontariato di SOS Vita, aperto, dunque, a qualsiasi donna in difficoltà. ■
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Andrea Mazzi
Membro dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, punto di riferimento nell’associazione per la campagna di obiezione di coscienza alle spese abortive.
Alternativa all’aborto: un rapporto di amicizia e fiducia Le donne, di fronte a una gravidanza imprevista o indesiderata, sono poste di fronte a una sola possibilità: l’aborto. Invece, possono farsi aiutare. Per esempio dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi. di Andrea Mazzi
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a anni la Comunità Papa Giovanni XXIII ha un numero verde (800.035.036), attivo 24 ore su 24, dedicato alle richieste di aiuto per maternità difficili. Chiamano gestanti in difficoltà, ma anche amici, conoscenti, personale sanitario. Chiamano persone che vogliono avere informazioni sul seppellimento dei bimbi abortiti. Ci contattano mamme che hanno abortito e non hanno nessuno con cui condividere il dolore di questa ferita. Chi chiama trova un’operatrice disponibile, con cui avviene un primo dialogo. Successivamente l’operatrice segnala la chiamata al referente del ‘Servizio maternità difficile e vita’ della Comunità più vicina, che in breve tempo ricontatta la persona e fissa un incontro. Questo primo incontro normalmente non è breve, ed è basato su un profondo ascolto: occorre capire bene la situazione, i motivi reali che spingono all’aborto, le persone su cui si può contare (ove possibile cerchiamo di coinvolgere il padre del bambino, e gli altri parenti), le persone e/o le situazioni che invece incitano all’aborto, la situazione lavorativa, abitativa… Se l’incontro è con un parente o conoscente, gli chiediamo di
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comunicare alla mamma il nostro desiderio di incontrarla. Sulla base delle difficoltà emerse costruiamo un progetto perché lei e il suo piccolo siano accolti al meglio. La proposta centrale è quella di una relazione amicale: noi non eroghiamo servizi, proponiamo una condivisione di vita, che si concretizza in un rapporto di amicizia e fiducia. All’interno di questa relazione affrontiamo le difficoltà. Premettiamo subito che non abbiamo le soluzioni in tasca ai loro problemi, ma che ci impegniamo a cercarle insieme. Costruiamo un progetto personalizzato, basato sulle reali necessità e di durata calibrata a queste, fino alla ritrovata autonomia. Tra gli interventi che mettiamo in atto ci sono: - mediazione con partner, familiari, amici, datore di lavoro, che spingono per l’aborto; - disponibilità all’accoglienza in famiglie aperte, case-famiglia… di donne con diverse problematiche, donne che non possono rimanere nel loro domicilio perché ricattate o perché, straniere, hanno avuto ospitalità temporanea, donne che chiedono di partorire nell’anonimato; - accompagnamento della mamma/coppia in attesa di un bim-
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bo con previsione di malformazioni nell’accoglienza del proprio bambino, incoraggiandola anche attraverso l’esperienza di mamme che hanno accolto bimbi gravemente ammalati o disabili; - aiuti concreti: ricerca di una casa, di un lavoro, accompagnamento a visite, consulenza legale, pratiche di regolarizzazione per le straniere, azioni per liberare le donne schiave della prostituzione, azioni contro le discriminazioni sul posto di lavoro, aiuti alle donne che subiscono violenza; - altri aiuti materiali: reperimento del corredo (carrozzina, culla, vestitini...), di pannolini e alimenti per il piccolo; aiuti economici per le situazioni più critiche, ove non vi sia un sostegno economico delle Istituzioni. Di norma chiediamo alla mamma di prendere contatto con gli assistenti sociali per attivare gli eventuali aiuti pubblici previsti nella sua situazione. “Non bisogna infatti – come ci ricordava don Oreste Benzi – dare per carità ciò che è dovuto per giustizia.” Assieme a questi aiuti operiamo anche per rimuovere alla radice l’ingiustizia, chiedendo che sia riconosciuto il diritto di ogni gestante di accogliere serenamente e in condizioni dignitose il proprio figlio. ■
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Claudia Cirami
Siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica. * sorrialba@gmail.com
C’è chi crede che la fertilità dipenda dalle fasi lunari.
Un’alternativa alla FIVET: la cura della infertilità e della sterilità All’infertilità e alla sterilità si può rimediare, senza produrre bambini in vitro, l’85% dei quali muore da sé o viene ucciso dalla selezione eugenetica. di Claudia Cirami
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iventare madri e padri per alcuni è impossibile. Per molti, però, è solo difficile. L’incapacità di concepire può avere origini diverse: in una coppia, infatti, può presentarsi l’infertilità, la subfertilità o la sterilità assoluta. Né si può definire, senza adeguate indagini, l’entità del problema. Esistono inoltre tempi da rispettare per capire se una coppia può o meno concepire: dopo 1-2 anni di rapporti infruttuosi si può iniziare ad indagare (sulla quantificazione esatta del tempo non c’è ancora un accordo unanime tra i medici). Le cause possono essere diverse. La donna può presentare endometriosi; anomalie di vario tipo al muco cervicale, all’utero, alla pelvi o alle tube di Falloppio; problemi ovulatori oppure ormonali. L’uomo, invece, può presentare diverse anomalie riguardo agli spermatozoi. I dati relativi all’infertilità, forniti dall’istituto Superiore della Sanità, sono questi: infertilità maschile: 29,3%, infertilità femminile; 37,1%, infertilità maschile e femminile: 17,6%; infertilità idiopatica (che ha cause sconosciute): 15,1%; fattore genetico: 0,9%. Nella scoperta e per la cura dell’infertilità si rivelano utili anche i metodi naturali. La dottoressa Elena Giacchi dell’Università Cattolica,
intervistata da Tempi.it, ha spiegato che: «attraverso il metodo sintotermico Roetzer si è scoperto che il 19 per cento delle coppie che lo ha utilizzato soffriva di una patologia. Di quelle che hanno seguito il Camen ad avere una patologia era il 12 per cento delle coppie, mentre con il Billings, che possiede la casistica più grande, si sale al 40». Se, però, oggi, la risposta che va per la maggiore a questo problema sembra il ricorso a pratiche medicoscientifiche che pongono problemi etici (ad esempio la fecondazione in vitro), esistono altre strade percorribili, che non presentano, invece, risvolti etici negativi. Strade che, nella maggior parte dei casi, risolvono il problema, considerato infatti che i casi di sterilità assoluta non vanno oltre il 10%. La risoluzione, inoltre, è reale: il bambino non è il prodotto
I casi di sterilità assoluta non vanno oltre il 10%: ciò vuol dire che il 90% delle coppie che non riescono ad avere bambini, possono risolvere il problema senza ricorrere alla fecondazione artificiale.
finale arrivato utilizzando provette, uteri, ovociti o sperma altrui, ma il frutto dell’unione fra i coniugi, che, finalmente, hanno superato difficoltà e impedimenti. La stessa Chiesa Cattolica indica queste strade: “Sono certamente leciti gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale, come ad esempio la cura ormonale dell’infertilità di origine gonadica, la cura chirurgica di una endometriosi, la disostruzione delle tube, oppure la restaurazione microchirurgica della pervietà tubarica. Tutte queste tecniche possono essere considerate come autentiche terapie” (Istruzione Dignitas Personae, n.13). Negli ultimi anni si è diffusa la naprotecnologia, nata negli Stati Uniti e ancora poco praticata nonostante la riduzione dei costi rispetto ad altre vie eticamente scorrette. Questa osserva con attenzione il ciclo femminile per un certo periodo di tempo, usando il metodo Creighton che guarda ai cambiamenti del muco cervicale. Dopo le risposte avute da questa osservazione, si può decidere come intervenire, con cure o interventi chirurgici, nel rispetto del rapporto di coppia. Oggi, dunque, esistono delle alternative. E poiché, secondo un recente rapporto del Censis, il 45% degli italiani sostiene di essere poco informato sull’infertilità, è decisamente arrivato il momento di informarsi. ■
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Una cellula germinale femminile, che si sviluppa nel follicolo, in meiosi.
La sterilità e l’infertilità si possono prevenire Proseguiamo il discorso cominciato nella pagina precedente. Qui parliamo di prevenzione. di Romana Fiory
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nformarsi nel campo della cura della sterilità e della infertilità non è semplice se si incappa nei consulenti sbagliati: il business della provetta porta altissimi profitti, quindi è fin troppo facile che le coppie alla ricerca di un bimbo si sentano dire: “Non c’è niente da fare”. Gli stessi interessi ostacolano la corretta informazione a riguardo della prevenzione. Innanzi tutto c’è da fare un discorso culturale: occorre ribaltare l’idea che una giovane donna debba forzatamente scegliere tra i figli e il lavoro, con un’adeguata politica sociale che consenta davvero la conciliazione della professione con la famiglia. Fare un figlio non deve essere visto come un problema, un pericolo, una difficoltà da affrontare solo quando si è abbastanza maturi. La natura pone un limite di tempo che va considerato e rispettato. Il problema dell’età avanzata per il primo figlio è una delle prime cause di infertilità, attualmente. “Stiamo rubando ai giovani il diritto alla maternità e alla paternità e tentiamo anche di convincerli che è meglio così”, ebbe a dire Rocco Buttiglione su Avvenire di qualche tempo fa: si sta normalizzando e incentivando l’idea che le coppie siano precarie e le convivenze provvisorie, ovviamente senza bambini. Ci son poi tutta una serie di precauzioni igienico sanitarie comprensibili in modo anche intuitivo.
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Ne parla, ad esempio, il Progetto prevenzione Infertilità dell’Osservatorio Donna della Provincia di Milano. Le infezioni dell’apparato genitale, vanno evitate e curate immediatamente il più presto possibile. Le donne che usano assorbenti interni devono essere particolarmente attente all’igiene: non andrebbero usati solo quelli, né per troppe ore di seguito, per esempio di notte. Le vaginiti e altri piccoli disturbi, a volte minimi e transitori, non vanno assolutamente trascurati. Lo stress e l’affaticamento, gli impegni sportivi, le variazioni di peso eccessive e i disturbi alimentari possono interferire col ciclo mestruale e conseguentemente con la fertilità. Se a questo si aggiunge l’ansia del ”non posso rimanere incinta”, il problema si complica ulteriormente.
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Il fumo andrebbe drasticamente ridotto, se non eliminato del tutto. L’alimentazione deve essere sana ed equilibrata. La natura ha dotato gli uomini dello scroto per tenere al riparo i testicoli dall’eccessivo calore. Quindi vanno evitate situazioni di surriscaldamento, posizioni sedute troppo prolungate e indumenti stretti. Fare un esame precoce del liquido seminale, uno spermiogramma (quando sia eticamente possibile), curare per tempo il varicocele, consente di evitare, in seguito, problemi di sterilità per gli uomini. Infine, ma non ultimo per importanza, la contraccezione e l’aborto volontario sono tra le cause di infertilità femminile. Ma questo, ovviamente, non ve lo dirà mai nessuno. ■
Una storia emblematica per esemplificare quanto il fattore psicologico ed emotivo possa essere determinante nel campo della fertilità. “Io e mio marito dopo due anni di matrimonio, ancora non riuscivamo ad avere un bambino. Abbiamo cominciato a rivolgerci a medici e a centri specializzati. Abbiamo fatto cure ormonali, ogni tipo di analisi, abbiamo cercato di avere i rapporti nel giorno e nell’ora indicata dai dottori. Niente. Eravamo giovani e sani, ma a me hanno diagnosticato, probabilmente, un problema al transito degli ovuli nelle tube. Mi hanno prospettato un intervento chirurgico che - però - non è detto che sarebbe stato risolutivo. Abbiamo cambiato diversi centri specialistici, diversi professionisti. Alla fine un professore universitario, un luminare, studia tutti i referti e tutta la vicenda e ci prescrive una cura di… vitamine. A quel punto abbiamo gettato la spugna. Se non avevano funzionato le cure e le tecniche poste in essere fino a quel momento, cosa potevano fare un po’ di vitamine? Abbiamo così rinunciato all’idea di avere un bambino naturalmente e ci siamo rivolti al nostro Parroco, che fa parte di un ordine missionario e ha contatti con orfanotrofi in Sud America e in Africa, per avviare le pratiche dell’adozione. Dopo pochi mesi, sono rimasta incinta: proprio quando “non ci pensavano più”. Ora sono mamma felice di ben quattro bambini”. Lettera firmata, Roma
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Rodolfo de Mattei
Laureato in Scienze Politiche, è Amministratore di RdMedia Srl, società attiva nel settore della comunicazione e di Internet. E’ autore di Gender Diktat (Solfanelli).
Per quanto le immagini dei bambini negli orfanotrofi siano commoventi, in Italia è molto più lunga la lista dei genitori in attesa di un figlio, che quella dei bambini in attesa di genitori.
L’adozione: un’altra alternativa alla fecondazione artificiale Si può diventare genitori legalmente e spiritualmente, con un gesto d’amore vero, che dà, senza pretendere niente in cambio, senza uccidere, scartare, congelare nessuno… di Rodolfo de Mattei
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egli ultimi anni, con l’avanzare della ricerca scientifica e tecnologica, la pratica della fecondazione artificiale, nelle sue diverse forme, dall’inseminazione omologa fino all’utero in affitto, ha conosciuto una diffusione sempre più ampia, divenendo oramai una prassi normale e comune per tutte le coppie che incontrano problemi di fertilità. Eppure un’alternativa esiste. Il ricorso sempre più frequente alla fecondazione artificiale ha, infatti, finito per oscurare e mettere in un angolo il tradizionale istituto dell’adozione volto a mettere in contatto coppie desiderose di avere figli a cui dare amore e accoglienza e minori bisognosi di affetto e di una famiglia. L’iter per ottenere l’idoneità all’adozione purtroppo non è immediato e “comodo” come “affittare” un utero e questo, probabilmente, contribuisce ulteriormente a scoraggiare molte coppie dall’intraprendere tutte le procedure necessarie. Vediamo, dunque, brevemente cosa prevede la legge italiana in proposito. In Italia, i requisiti sia per l’adozione nazionale che quella internazionale sono regolamentati dalla legge del 4 maggio 1983, n.184. Nel caso di adozione internazionale,
tuttavia, lo Stato estero può stabilire ulteriori criteri restrittivi rispetto alla normativa nazionale. Va notato, preliminarmente, che la legge sull’adozione dei minori è basata su una ratio completamente diversa da quella che appartiene all’istituto dell’adozione di maggiorenni. In questo caso lo scopo della normativa è di garantire una discendenza a chi non ne ha o - comunque - consentire a chi lo desidera di veder continuare il proprio nome e la propria storia familiare in una persona con cui evidentemente si è creato un legame affettivo e culturale molto potente. La ragion d’essere dell’istituto dell’adozione di minori, invece, è completamente rovesciata: la legge vuole assicurare a un minore in “stato di abbandono” l’affetto e l’educazione che può dargli una famiglia.
Anche le coppie etero-sessuali devono possedere certi requisiti e superare certi controlli, per essere dichiarate idonee ad adottare.
Su questo dovrebbero ragionare tutti quelli che pretendono far valere un fantomatico e inumano “diritto al figlio” per single o per coppie omosessuali. E’ il bambino ad avere diritto a una madre e un padre, non viceversa. E questo vale anche per le coppie etero sessuali che devono possedere certi requisiti e superare certi controlli, per essere dichiarate idonee ad adottare. Per quanto riguarda la legge italiana, la domanda di adozione è in realtà una dichiarazione di disponibilità all’adozione che ha una validità di tre anni nel corso dei quali il Tribunale dei minorenni dispone la verifica preventiva di tutti i presupposti, eseguendo gli accertamenti ritenuti necessari al fine di verificare e dichiarare l’effettiva idoneità della coppia. In particolare, per poter presentare la domanda di adozione di un minore dichiarato in stato di abbandono, l’art.6 della Legge n. 184/83 stabilisce che “l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal Tribunale per i minorenni”. Nel momento in cui il tribunale per minorenni emette il provvedimento di adozione il bambino diviene figlio legittimo
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L’adozione deve imitare la natura (adoptio naturam imitatur, dicevano gli antichi), nell’interesse del minore. degli adottanti e viene meno qualsiasi vincolo di parentela fra il minore e i suoi famigliari naturali. La legge che regola la procedura di adozione stabilisce inoltre che, “l’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando, con la possibilità di deroga in caso di danno grave per il minore”. Specificando tuttavia che “Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni.” L’adozione, infatti, deve imitare la natura (adoptio naturam imitatur, dicevano gli antichi), nell’interesse del minore. Se la natura mette un limite temporale biologico alla maternità, avrà i suoi buoni motivi. Per crescere ed educare i figli servono energie giovani. Per dialogare e comunicare con gli adolescenti forse ne servono ancor più che per correre dietro ai bambini piccoli. E - per quanto l’aspettativa di vita si sia mediamente allungata - sarà meglio non lasciarli orfani troppo presto. Chissà se ci hanno mai pensato quelle donne sessantenni (magari attrici, cantanti e ballerine) che si fanno impiantare embrioni ottenuti artificialmente, e
Ci auguriamo che nel prossimo futuro si snelliscano gli iter burocratici necessari ad adottare in Italia e all’estero, così che tale istituto possa rappresentare una valida e concreta alternativa ai figli da laboratorio.
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mostrano orgogliose il pancione sulle pagine patinate delle riviste. Infine, per poter essere riconosciuti abili all’adozione, il Tribunale per i minorenni dispone l’esecuzione di apposite indagini, svolte dai servizi socio-assistenziali degli enti locali e dalle competenti professionalità, finalizzate ad accertare, “la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i motivi della domanda” . Prima dell’adozione vera e propria, la normativa prevede, inoltre, un periodo di “affidamento pre-adottivo” della durata di 1 anno, volto a valutare la reale idoneità della coppia. Decorso tale periodo, con possibilità di proroga di un anno, il Tribunale, accertata l’esistenza di tutte le condizioni, pronuncia la dichiarazione di adozione. Con essa cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine e il minore acquisisce lo stato di figlio legittimo degli adottanti e il loro cognome. Per quanto riguarda la procedura di adozione internazionale, in fortissimo aumento rispetto a quella nazionale, per via del ridotto numero di minori adottabili in Italia rispetto alle domande di adozione, il percorso per ottenere l’idoneità, da parte del Tribunale, è identico a quello appena descritto per l’adozione nazionale. Tuttavia, una volta ottenuto il riconoscimento in Italia, per poter avviare l’iter di adozione, la coppia deve rivolgersi a una delle tante associazioni appartenenti all’albo degli enti autorizzati a svolgere la specifica procedura di adozione nel paese estero. Entro un anno dall’emissione del decreto di idoneità, pena la nullità, la coppia deve quindi indicare il paese o i paesi verso i quali orientare la propria candidatura e attendere i successivi sviluppi burocratici. A differenza dell’adozione nazionale che è gratuita, quella internazionale prevede dei costi non indifferenti dovuti alla complessità della procedura, al coinvolgimento di un ente autorizzato, alla documentazione da presentare alle autorità straniere, nonché ai necessari viaggi nel paese d’origine del minore e la relativa permanenza in loco.
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Sono i bambini che hanno diritto ad avere una mamma e un papà, non sono gli adulti ad avere diritto a un figlio.
In conclusione, ci auguriamo che nel prossimo futuro si agevolino e snelliscano gli iter burocratici necessari a portare a termine la procedura di adozione in Italia e all’estero, senza che vengano meno le necessarie garanzie per il minore, così che tale importante istituto possa rappresentare una valida e concreta alternativa ai figli da laboratorio. I bambini non si programmano e tantomeno si ordinano come fossimo al supermarket, andando a selezionare il seme giusto (e magari crioconservarlo) secondo i propri gusti e le proprie aspettative. I figli non sono un diritto, ma un dono di Dio da attendere e nel caso accogliere. ■
I bambini non si programmano e tantomeno si ordinano come fossimo al supermarket, andando a selezionare il seme giusto (magari crioconservarlo) secondo i propri gusti e le proprie aspettative.
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Francesca Romana Poleggi adre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte M del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, è direttore editoriale di questa Rivista. Finché la Provvidenza le darà forza, “griderà dai tetti” la verità, perché solo la Verità rende liberi.
Valentina Maureira
L’alternativa all’eutanasia: le cure palliative e tanto amore Laddove l’eutanasia è stata legalizzata, i “paletti” posti dalle norme sono stati rapidamente divelti. di Francesca Romana Poleggi
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n articolo del Journal of Medical Ethics, del professor Rafael Cohen-Almagor, dice che i belgi dovrebbero essere molto preoccupati visto che ormai vengono terminati anche pazienti che non hanno mai fatto un’esplicita richiesta di morire. Dall’Europa al Canada, dall’Oregon alla California, pian piano l’opinione pubblica sta cedendo alla mentalità eutanasica. In Francia la legge Leonetti prevede che le persone in stato di minima coscienza possano essere private di cibo e acqua fino alla morte. La sorte che è toccata a Terri Schiavo e a Eluana Englaro ora tocca a Vincent Lambert, con la benedizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (che evidentemente non annovera tra tali diritti quello alla vita). La propaganda ha funzionato bene creando molta confusione: la gente crede che la legge Leonetti sia contro l’accanimento terapeutico (il dar da mangiare e bere!) e che consenta la “sedazione“ dei malati per accompagnarli alla morte (del resto qui ancora c’è chi crede che Eluana fosse “attaccata alle macchine” e che abbiano, alla fine, “staccato la spina”). Sono bravissimi, i media mortiferi, a confondere l’eutanasia con le cure palliative. Queste, sì, servono ad accompagnare un malato fino alla fine evitandogli di soffrire. In questo campo va incentivata la ricerca e l’organizzazio-
ne degli hospice, dove si fa la terapia del dolore, e dove si aiutano i parenti e gli amici del moribondo ad affrontare la situazione. E certamente per costoro, poi, sarà molto più facile elaborare il lutto. Tutto questo, però, ha un costo: è decisamente molto più comoda, facile, pratica ed economica l’eutanasia. E allora si parla, in pura antilingua, di un “gesto d’amore”: del malato che non vuol essere di peso ai suoi cari; dei cari che non vogliono veder soffrire il malato. Nell’era digitale, ci sono su internet testimonianze di coraggio, di speranza e voglia di vivere, come quella di Maggie Karner, dell’ottobre scorso, o di Stephanie Packer dello scorso giugno: nonostante le gravi malattie e le sofferenze, queste persone dimostrano che c’è più dignità nel vivere e soffrire che nel cedere e farsi uccidere. Questi video, però, non impazzano sul web. Ma se capita che un povero malato dica: “Non ce la faccio più” vicino a qualcuno con una telecamera, il video allora diventa virale e tutta la Rete si commuove e pensa: “Che crudeltà continuare a far soffrire così questo poveretto!” Se, poi, il malato ci ripensa e testimonia - nonostante tutto - la voglia di lottare con dignità fino alla fine, del suo ripensamento non saprà niente nessuno. Ci aveva ripensato Brittany Maynard, lo scorso anno, che poi però
alla fine si è “fatta suicidare” (a noi, è venuto qualche dubbio che fosse davvero convinta…). Valentina Maureira, di soli 14 anni, è divenuta famosa, lo scorso febbraio, per un video in cui chiedeva un’iniezione che “l’addormentasse per sempre”: un video che ha fatto il giro del mondo e che avrebbe commosso persino i sassi. Ma quando, dopo poco tempo, Valentina ha cambiato idea, la sua dichiarazione di amore per la vita e la sua decisione di impegnarsi per migliorare le strutture ospedaliere e le condizioni dei malati come lei, non ha avuto alcuna pubblicità. Anzi: quando la poverina è morta, i giornaloni l’hanno ricordata solo perché aveva chiesto di poter farla finita. E invece cosa le aveva fatto cambiare idea? Il supporto degli psicologi e soprattutto l’affetto dei suoi e di tutte le persone che da tutto il mondo le hanno scritto su Facebook. Allora, ecco l’alternativa all’eutanasia: le cure palliative, le terapie del dolore e il calore umano degli affetti, la vicinanza, la condivisione, la solidarietà. Ne siamo ancora capaci? ■
Sono bravissimi, i media mortiferi, a confondere l’eutanasia con le cure palliative.
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Sabrina Pietrangeli Paluzzi Il suo terzo figlio Giona era stato dichiarato un “feto terminale”, cioè un bambino incompatibile con la vita. Col marito Carlo ha scelto di accompagnarlo fino all’esito naturale, rifiutando categoricamente l’idea dell’aborto. Invece Giona ha risolto spontaneamente la sua ostruzione urinaria, in un modo “scientificamente inspiegabile”. Sabrina e Carlo hanno, allora, fondato la Quercia Millenaria... * info@laquerciamillenaria.org : www.laquerciamillenaria.org
Sabrina Pietrangeli durante il servizio Perinatal Hospice in sala parto, che affianca la mamma in attesa di un bimbo terminale - Foto: Carlo Paluzzi
Il modo più umano di amare fino alla fine Tra le cure palliative, la “Comfort Care” perinatale offre una valida alternativa all’aborto terapeutico. Ci vuole coraggio, ma porta grandi benefici a chi la sceglie. di Sabrina Pietrangeli Paluzzi
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e storie sono più o meno tutte uguali: la coppia di genitori in attesa si reca dal ginecologo di fiducia, o presso la struttura sanitaria di competenza; entrano tutti contenti, parlottano sorridendo, sperano di sapere finalmente se sarà maschio o femmina, decidono il nome... il loro immaginario è pieno di tutine, ciucciotti, sorrisi, piedini teneri, guance paffute, favolette da leggere e ninnenanne da cantare. All’improvviso, però, qualcosa squarcia il sipario di felicità che già da mesi ha preso piede nel cuore e nella mente di quei genitori: una diagnosi infausta, in grado di rompere in due qualunque mamma o papà che aspetta la vita: non la malattia, non la morte.
Alcuni genitori, di fronte a una diagnosi infausta, hanno la forza di donare al figlio un epilogo di vita naturale, evitando di decidere al posto della vita stessa, concedendosi del tempo da passare insieme.
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Quando usciranno da quello studio medico non saranno più le persone di prima. C’è un confine netto, un “prima” e un “dopo” che divide l’esistenza in due. Quel bambino non sarà uno di quelli che ti regalano l’illusione che avrai un figlio per sempre; già la diagnosi ti interroga e le domande non sono soltanto legate allo stato di salute del bambino atteso, alle possibili cure, alla sua eventuale sofferenza. Quelle domande riguardano anche altro, riguardano la sfera personale del “Chi sono io? Che genitore sono? Che coppia siamo, quali sono i nostri valori? Siamo sufficientemente forti, siamo in grado di vederlo morire?”. La decisione normalmente si deve prendere in pochi giorni; e le spinte ad interromperla, quella gravidanza, arriveranno da ogni parte: dal medico stesso, nella grande maggioranza dei casi; dagli amici, dalla famiglia, dalla società. Tutto il filo dei pensieri avrà come intento l’interruzione di una spirale di dolore enorme, ingestibile. Nessuno si esimerà dal dire la sua, dall’esprimere un parere, dal riversare sui genitori distrutti tutta la propria paura di affrontare la vita, la sofferenza, la morte. Senza pensare che non è a noi che sta capitando tutto questo, ma a loro. Che sono altre persone, che hanno vissuti e spalle diverse dalle proprie. Alcune di queste coppie, guidate da una forza sovrumana,
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sceglieranno di portare comunque avanti quella gravidanza. Alcune lo faranno sostenute da un gruppo di credenti, altre dal loro stesso amore per la vita, evitando accuratamente di farne parola con i propri conoscenti, per schivare giudizi o pareri neppure tanto richiesti. Doneranno a quel figlio un epilogo di vita naturale, evitando di decidere al posto della vita stessa, concedendosi del tempo da passare insieme, portandolo al mare, cantando per lui, carezzandolo, aspettando quel momento fatale in cui nascita e morte si intrecceranno in modo confuso. Alcuni avranno la fortuna di conoscere altri genitori che hanno compiuto un tempo la stessa scelta, che potranno quindi sostenerli e donare loro un accompagnamento e una accoglienza su misura come quella proposta dall’Associazione La Quercia Millenaria, che da dieci anni dona punti di riferimento indispensabili per intraprendere un percorso così importante ed unico: altri genitori da cui attingere forza e fiducia ed una rosa di medici e presidi ospedalieri di eccellenza dove poter far nascere il bambino, per stare con lui ed amarlo fino al suo ultimo respiro. I bambini portatori di una patologia considerata “incompatibile con la vita”, al momento della nascita in modalità di Perinatal
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Primo piano Hospice (un protocollo importato in Italia da La Quercia Millenaria ed in rapida espansione, che comprende una serie di servizi resi dai volontari all’interno della struttura ospedaliera che accoglie il Progetto) godranno di tutta una serie di atti da parte del personale medico neonatologico volti alla cura di conforto e soprattutto al non-accanimento terapeutico, che prendono il nome di “Comfort Care”. La Comfort-Care neonatale è una modalità di cura non intensiva che mira a garantire il comfort al neonato terminale, e può comprendere l’intento di non fargli soffrire il dolore, la fame, il freddo, di garantire la vicinanza fisica alla mamma e donare al piccolo un epilogo di vita dignitoso e per quanto possibile privo di sofferenza. In questa cornice, l’apporto prezioso del personale associativo si concretizza in una delicata azione di sostegno continuato. E’ compito dei volontari incoraggiare il contatto tra genitori e neonato, raccogliere per loro ricordi da conservare, come le impronte dei piedini e delle manine su un calco di gesso, le fotografie scattate da donare in seguito ai genitori, che possano validare il passaggio autentico di quella vita in questo mondo, anche se breve come una meteora... questi gesti apparentemente solo consolatori al momento, nascondono in realtà un potere terapeutico grandissimo. Ce lo dimostra l’esperienza americana, dove psicologi e psichiatri concordano sulla validità di questi gesti per garantire una sana elaborazione del lutto genitoriale, tema di cui si parla
ancora troppo poco, un tabù che terrifica e che non si vuole neppure prendere in considerazione, ma che purtroppo riguarda tantissimi genitori ogni anno. La Comfort-Care neonatale si inserisce bene nel concetto di “cure palliative” riconosciute da una legge, la n. 38 del 15 marzo 2010, legge che regola per l’appunto l’erogazione di atti attraverso i quali malattie croniche ingravescenti non passibili di cure efficaci possono essere trattate nell’intento di portare una soppressione o un controllo del dolore. Tutto questo può sembrare terrificante da parte di chi mai si è dovuto confrontare con la malattia grave di un congiunto. Molto più facile da comprendere da parte chi ha già esperienza di questo tipo e può testimoniare come un atto del genere sia la risposta a breve e lungo termine più naturale e dignitosa per affrontare l’esperienza della malattia, e per lasciare nel cuore e nella mente di tutta la famiglia un ricordo prezioso ed indelebile di giorni carichi di senso, e non di desolante ed infruttuosa disperazione. Altrimenti non ci si spiegherebbe come mai l’85% delle coppie seguite in questo particolare e delicato percorso, dopo aver seppellito il proprio bambino, in un arco di tempo variabile tra i sei mesi ed i ventiquattro dopo la morte del piccolo, sia nuovamente in attesa,
dimostrando una spinta alla vita e una fiducia nel futuro che non è solito riscontrare nelle persone che per paura di affrontare una sofferenza ritenuta ingestibile, hanno ceduto alla lusinga dell’aborto. Inoltre, questo tipo di percorso garantisce un’elaborazione serena del lutto anche da parte dei fratellini eventualmente già presenti in seno alla famiglia; tutto ciò dona unità di coppia e un rinforzamento globale dell’affettività di tutto il nucleo familiare. E’ importante elargire una informazione adeguata e completa, al momento della diagnosi. Quando la si consegna, si deve informare la coppia che se per legge ha il diritto di interrompere quella vita, per legge ha anche il diritto di amarla e accudirla fino alla fine. E’ vero che alla fine di tutto c’è di fatto un figlio morto nella propria esistenza. Ma non si può non riconoscere l’enorme differenza tra il cercare di dimenticare con dolore un aborto, e il ricordare con dolore e dolcezza un figlio, magari portandogli un fiore al cimitero, e confermando a lui e a se stessi un amore che invece non morirà mai. ■
La Quercia Millenaria da dieci anni dona punti di riferimento indispensabili: altri genitori da cui attingere forza e fiducia ed una rosa di medici e presidi ospedalieri di eccellenza dove poter far nascere il bambino, per stare con lui ed amarlo fino al suo ultimo respiro.
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Notizie
Scienza e morale
Huig Van Groot, cioè Ugo Grozio, (Delft, 10 aprile 1583 – Rostock, 28 agosto 1645) è stato un giurista, filosofo e scrittore olandese. Ha gettato le basi del diritto internazionale moderno, fondandolo sul diritto naturale.
Non possiamo fare a meno del diritto naturale Solo con l’avvento del positivismo nella seconda metà dell’Ottocento il diritto naturale è stato marginalizzato, ma la sua vigenza è sempre e dovunque necessaria. di Giovanni Stelli
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l diritto naturale come fondamento del diritto positivo è stato messo in luce in vario modo dai pensatori greci, fin dal V secolo a.C., all’epoca della Sofistica. L’idea, poi, è stata ripresa dai filosofi cristiani e infine riproposta dal giusnaturalismo dell’età moderna (Grozio e altri). Liberarsi con un gesto sprezzante di questa idea, magari affermando, come è stato fatto da qualche esponente Lgbt, che si tratta di “una contraddizione in termini” (!) è solo frutto di una colossale ignoranza della storia. Di fronte alla variabilità, alla “relatività” delle leggi positive e soprattutto di fronte al carattere ingiusto di molte di esse, è necessario individuare un nucleo di norme permanenti, giuste in sé, razionali in se
La norma giuridica positiva, cioè posta da chi ha il potere (lo Stato) è relativa, cioè cambia nel tempo e nello spazio. La legge naturale no: è intrinseca alla dignità dell’essere umano, immutabile ed eterna.
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stesse, oggettive, cioè non dipendenti dall’arbitrio e dalle scelte soggettive dei vari legislatori, motivate spesso dall’interesse di singoli, di ceti, di gruppi detentori del potere. Per esempio: in base alla legge positiva possono esistere schiavi e liberi, ma per natura tutti gli uomini hanno pari dignità. Così leggiamo in un frammento di un filosofo greco del V secolo. Il diritto naturale è pertanto un diritto non scritto, che l’uomo scopre con la ragione e che deve costituire la norma fondamentale del diritto positivo, delle leggi positive. Identificare le leggi naturali con una determinata costituzione o una determinata dichiarazione dei diritti è del tutto errato. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, per esempio, è costituita da norme che sono relative a un tempo e a un luogo, e sono quindi frutto di una decisione storica. Le norme del diritto naturale sono invece riconosciute dalla ragione e non create da decisioni politiche, magari prese a maggioranza. Ciò che si può e si deve esigere è che il diritto positivo non contraddica il diritto naturale e che ad esso faccia riferimento. Qualsiasi Stato che - pur definendosi democratico - non riconosca e garantisca i diritti inviolabili dell’uomo in modo sostanziale, e
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quindi non accetti la legge naturale come presupposto del diritto positivo, è uno Stato etico: pretende di decidere che cosa è il bene e che cosa il giusto e tende così a trasformarsi in Stato totalitario. Il diritto naturale pone invece un limite al potere legislativo dello Stato. Se così non fosse, i cittadini sarebbero soggetti a qualsiasi arbitrio del legislatore. Solo richiamandosi al diritto naturale è possibile criticare le leggi positive. In assenza di questo riferimento, ossia se ciò che è giusto (ciò che è legittimo) coincide con ciò che è stabilito dalla legge positiva (ciò che è legale), diventa impossibile opporsi, per es., ad una legislazione razzista, come quella introdotta da Hitler in Germania negli anni trenta del Novecento. In assenza di un riferimento ad una legge naturale non scritta, come sarebbe possibile giustificare l’operato dei vari tribunali internazionali che perseguono “crimini contro l’umanità” non sanzionati da leggi positive dei paesi a cui appartengono i criminali perseguiti? E come sarebbe possibile considerare questi crimini imprescrittibili? Il principio generale nulla poena sine lege – non si può parlare di crimine e di pena in assenza di una legge che tale crimine definisca – non viene violato proprio perché si assume che esista un diritto o una legge naturale,
Notizie
Scienza e morale
Qualsiasi Stato che - pur definendosi democratico - non riconosca e garantisca i diritti inviolabili dell’uomo è uno Stato totalitario, uno Stato “etico”.
Marco Tullio Cicerone (Arpino, 3 gennaio 106 a.C. - Formia, 7 dicembre 43 a.C.) celeberrimo scrittore latino, fu avvocato, politico, oratore e filosofo.
al di là delle varie leggi positive. Ognuno, per esempio, si rende perfettamente conto, razionalmente, che il primo di quelli che chiamiamo diritti naturali è il diritto alla vita. Ma la promozione dell’aborto, della fecondazione artificiale e dell’eutanasia non riconosce questo diritto proprio ai più deboli. E questo avviene in molti Stati “democratici”. L’espressione diritto (o legge) naturale può tuttavia prestarsi oggi a qualche equivoco che è bene dissipare. Il termine natura, nel pensiero greco e medievale, designa tutti gli enti, l’insieme ordinato degli enti (il cosmo). Ogni ente fa parte della natura ed ha, questo è fondamentale, una sua natura,
Negare l’esistenza del diritto naturale è frutto di una colossale ignoranza della storia e della natura umana.
una sua essenza, che ne costituisce il fine e che lo differenzia dagli altri enti. Così l’ente che chiamiamo uomo ha una sua essenza che lo differenzia dagli altri enti e che consiste nella razionalità: l’uomo è un animale che ha la ragione, il logos, come diceva Aristotele. In questo consiste la differenza specifica dell’uomo dagli animali con cui ha ovviamente in comune molte caratteristiche. Realizzare liberamente questa essenza (la razionalità) costituisce il fine dell’uomo, il suo compito specifico. All’interno di questa visione si comprende come diritto naturale equivalga a diritto razionale: si tratta di scoprire ciò che è conforme alla ragione, e quindi ciò che costituisce il fine della vita umana. Le leggi positive devono favorire il conseguimento di questo fine e qualsiasi legislazione positiva deve avere come orientamento e norma fondamentale ciò che è giusto in sé, la realizzazione della vita buona, il diritto naturale appunto.
Nel corso del pensiero moderno il termine natura subisce però una profonda mutazione di significato: non designa più la totalità degli enti, ma un settore della realtà, la materia inanimata e animata, la res extensa di Cartesio, contrapposta al pensiero (la res cogitans) ossia all’uomo. In questo contesto diventa allora equivoco, anzi del tutto errato, parlare di un diritto naturale: se naturale sta a significare ciò che avviene nella natura inorganica e biologica, allora certamente naturale è l’incesto, naturale è cibarsi dei propri figli, naturale è uccidere il partner dopo l’accoppiamento, e così via, come avviene appunto in natura. E da questa “legge naturale” l’uomo deve uscire al più presto! Ma è evidente che si tratta di intendersi sul significato del termine natura e cercare di usarlo in modo corretto. Il fondatore del giusnaturalismo moderno, Ugo Grozio, definiva la legge naturale come “il dettame della giusta ragione”. Ricordiamoci di questo nella polemica contro i negatori del diritto naturale. E forse, ma solo a scanso di equivoci, sarebbe meglio parlare sempre di essenza e fine dell’uomo, piuttosto che di “natura”. E ciò avrebbe anche questo vantaggio: è ben difficile negare che l’uomo abbia una essenza o un fine; infatti anche chi nega che l’uomo abbia un’essenza, non può fare a meno di assumerla implicitamente; se dico infatti: “l’uomo non deve realizzare alcun fine, ma può fare quello che vuole in base ai suoi desideri, di qualunque tipo essi siano”, assumo implicitamente che l’essenza dell’uomo è il desiderio, che l’uomo è un essere, per essenza, desiderante e così via. ■
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Scienza e morale
Nicholas Murray Butler (1862 - 1947), consigliere di sette presidenti degli Stati Uniti.
La sconfitta della ragione Torniamo brevemente a riflettere sul referendum irlandese dello scorso maggio, esempio eclatante del potere della propaganda. di La Rosa Bianca
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ino a poco tempo fa il matrimonio omosessuale era stato introdotto attraverso azioni quasi sovversive della magistratura cui si rivolgevano le coppie omosessuali, in cerca di legittimazione, che erano riuscite a individuare il percorso utile per bypassare l’ostilità popolare sul tema e, quindi, anche quell’azione politica che in teoria dovrebbe normare i rapporti sociali e rappresentare la volontà popolare. In Irlanda, per la prima volta, è stato un referendum popolare a sancire la legittimità delle nozze gay, quindi la maggioranza di coloro che si sono recati alle urne ha ritenuto opportuno eliminare questo steccato posto in essere a salvaguardia della famiglia naturale fin da quando l’uomo si è affacciato sulla terra. Com’è potuto accadere? Cos’ha convinto la maggioranza della popolazione irlandese che, in fondo, non c’è nessuna differenza se a scambiarsi l’anello nuziale sono un uomo e una donna, oppure se sono due persone dello stesso sesso? La risposta è una sola: la propaganda. La propaganda è quel fattore potente che si fa subentrare quando si decide di accantonare la retta ragione, quella ragione che risponde solo al principio di realtà e non contraddizione e che non rispetta il volere del singolo. Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, ha spiegato molto
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bene a cosa serve la propaganda: “La manipolazione cosciente ed intelligente delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento fondamentale nella società democratica. Coloro che manipolano i meccanismi nascosti della società costituiscono un governo invisibile che rappresenta il vero potere del paese.” (“Propaganda” del 1928). La propaganda è un’arma seduttiva che agisce soprattutto sulle menti ineducate e semplici. Sembra che sia stato il voto dei giovani a far virare il consenso irlandese verso una méta che era stata già predeterminata da quelli che fanno accadere gli eventi per seguire le indicazioni indicate da Nicholas Butler, che sembra essere in perfetta sintonia con Edward Bernays. Nicholas Butler, che è stato membro del Council on Foreign Relations (CRF), presidente della Columbia University, capo del British Israel e premio Nobel per la pace nel 1931, era solito dire che al mondo esistono tre categorie di persone: un piccolo gruppo che fa accadere le cose, un altro un po’ più grande che sovrintende alla loro esecuzione e infine la stragrande maggioranza che non saprà mai quello che in realtà è accaduto. I giovani sono sempre le persone più facili da convincere, non hanno grande conoscenza, non hanno esperienza, tendono a dar credito a quanto è loro detto perché si fidano e, soprattutto, non hanno ancora
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imparato a usare la ragione in modo autonomo. I giovani sono facile preda della propaganda. Propaganda finanziata prevalentemente da fondi pubblici che abili manipolatori riescono a far scivolare nei bilanci dello Stato con le sigle più varie, accattivanti e meritevoli di attenzione e rispetto: la non discriminazione, la lotta alla violenza contro le donne, l’uguaglianza, la libertà e la fraternità. Anche se alla base della vittoria irlandese ci sono sempre gli aderenti alla triplice, Liberté, Égalité e Fraternité, in questo caso non possono certo vantarsi di aver messo la dea Ragione alla base della loro azione politica. Quello che è uscito dalle urne irlandesi è il frutto di una martellante campagna propagandistica portata avanti nei mezzi di comunicazione, a spese dei contribuenti, ed è soprattutto la sconfitta della ragione, quella con la r semplice che vuole solo essere rispettata e non divinizzata. ■
Mentre andiamo in stampa, ancora non sappiamo cosa è avvenuto in Italia a proposito della proposta di legalizzazione del matrimonio gay e delle proteste popolari che ne sono scaturite.
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Famiglia ed economia
Marco Scarmagnani
Marco Scarmagnani, è giornalista e consulente familiare veronese. Sposato, tre figli e diverse esperienze di affidamento familiare, è autore del libro “Per sempre. Ingredienti per vincere la sfida di una vita insieme”, e curatore di diversi libri di don Benzi sulla famiglia.
La casa famiglia “San Pietro”, della Comunità Papa Giovanni XXIII
Siamo noi i veri trasgressivi Le parole del presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, sono un richiamo forte per chi crede e un serio spunto di riflessione per chi non crede, sulla fondamentale importanza della famiglia. di Marco Scarmagnani
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cegliere oggi un amore fedele, aperto a generare la vita, ad accogliere chi è abbandonato, è una scelta coraggiosa e trasgressiva, che può tornare ad attirare anche i giovani. La famiglia non è un passato da difendere ma un futuro da costruire, l’unica risorsa in grado di assicurare un futuro ad una società che sta invecchiando preoccupata di difendere i privilegi acquisiti anziché far spazio alle nuove generazioni». È stato questo il messaggio forte lanciato dal presidente Giovanni Ramonda alla Tre giorni generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, che si è svolta dal 29 maggio presso i padiglioni della Fiera di Forlì. Circa 2000 persone da 35 Paesi del mondo – in cui oggi è presente l’associazione fondata da don Oreste Benzi, il sacerdote riminese per cui è in corso il processo di beatificazione – si sono riunite per affrontare il tema della coppia e della famiglia, di fronte alle sfide che oggi è chiamata ad affrontare, come il calo dei matrimoni, l’aumento delle separazioni, la denatalità e la teoria del gender. «Da sempre – ha ricordato il successore di don Benzi alla guida della Comunità – abbiamo sentito riecheggiare la parola di Isaia: spezza il tuo pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua
gente. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Fin dagli albori della Comunità – con le nostre famiglie aperte, famiglie affidatarie, famiglie adottive, le case-famiglia, le nostre comunità terapeutiche, le nostre cooperative sociali, le capanne di Betlemme, le case di accoglienza, i pronto soccorso sociale, alberghi solidali, condomini solidali, poliambulatori gratuiti, case di preghiera e fraternità, i nostri progetti vitali in terra di missione per dare da mangiare, sostegno scolastico e sanitario – abbiamo attuato questa parola». La Comunità Papa Giovanni XXIII – “un’unica famiglia spirituale” – dalla sua nascita ha sviluppato soprattutto il carisma dell’accoglienza. Ma è anche attenta alla riflessione rispetto a quanto avviene nella società, in quanto è spesso dalle fragilità della famiglia che arrivano le situazioni di disagio: adolescenti allo sbando, tossicodipendenti, ragazzi con handicap o anziani di cui le famiglie naturali non si prendono cura. «I padri sinodali hanno detto ad ottobre scorso che “la famiglia è il
La famiglia non è un passato da difendere ma un futuro da costruire.
nucleo vitale della società e della chiesa”. Papa Francesco chiede una nuova primavera della famiglia, vuole annunciare la bellezza dell’amore familiare, coniugale, genitoriale, recuperando tutto l’accento sulla misericordia, sulla riconciliazione, sapendo che ci sono tante fatiche, tante sofferenze, che fanno parte del cammino. Non esiste una famiglia senza difficoltà… sarebbe essere disincarnati, fuori della storia, del tempo. Ogni cammino di coppia è un cammino di santificazione, cioè Dio ti attira a sé insieme al tuo coniuge. Ci sono a volte cammini di martirio, puro martirio, per la salvezza del mondo». «Il problema è che molte volte si interviene sulla famiglia quando questa non ce la fa più. Dobbiamo stare vicini alle coppie, alla famiglie, e in questa fedeltà Dio può operare. Ma per capire queste cose bisogna stare un pochino in ginocchio, vivere la liturgia del dono di Gesù, la liturgia del grembiule, del servizio gli uni degli altri, della lavanda dei piedi. La famiglia non è il luogo della pretesa ma dell’accogliersi l’un l’altro». «I giovani – ha concluso Ramonda – hanno un desiderio di famiglia, volersi bene non part-time, ma in un cammino fedele, nonostante la cultura dell’individualismo esasperato che snatura i legami familiari. Ma è lo Spirito Santo che ci illumina sul dono del matrimonio per la felicità dei coniugi, dei figli e della società intera». ■
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Letture consigliate Enrico Pagano L’olocausto bianco Il Cerchio In Italia è funestamente presente dal 1978 la legge 194. Questo libro ne contesta la semantica mistificatrice, il radicale contrasto con il primo diritto fondamentale dell’essere umano, quello alla vita e, quindi, la integrale violazione del diritto naturale. Si indaga, inoltre, sulle origini filosofiche e ideologiche di questo “abominevole delitto”, nonché sulle responsabilità politiche che hanno condotto a un genocidio senza eguali, di cui però è severamente vietato far parola nella nostra “civilissima e progredita” società. Vengono trattati - in modo agile e semplice – anche i profili etici, giuridici e sociali di questa tragedia. Un dramma che – in barba al millantato diritto all’autodeterminazione della donna - miete sempre due vittime: la mamma, per il resto della sua esistenza, e il figlio che non vedrà mai la luce. Roberto Marchesini Quello che gli uomini non dicono Sugarco Tra i tanti fenomeni emergenti di questi ultimi anni c’è sicuramente la crisi dell’uomo, inteso come maschio. Sono sempre di più i depressi, gli ansiosi, quelli che hanno una scarsa autostima e poca fiducia in sé e nelle proprie capacità; si sentono timidi, paurosi, deboli. Le ricerche dicono che aumenta l’impotenza e l’infertilità maschile, diminuisce il desiderio sessuale e il livello di testosterone. È una crisi di virilità intesa come assertività, coraggio, fortezza. E’ una crisi d’identità: l’uomo non sa più chi è; come è, come dovrebbe essere e come lo vogliono gli altri. Sembra che nessuno sia contento di lui. E questo lo fa soffrire. È una crisi inedita nella storia dell’umanità. Non è mai accaduto che così tante persone restassero senza risposta davanti agli interrogativi: ‘Chi sono? Quale è il tuo ruolo? Quale è il tuo posto nel mondo?’
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