ProVita Luglio 2016

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POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00

Padova CMP Restituzione

“nel nome di chi non può parlare” Anno V | Rivista Mensile N. 43 - Luglio 2016

“PUDORE

IL COMUNE SENSO DEL

L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi?

(o quel che ne resta)


Notizie

- Sommario -

®

“nel nome di chi non può parlare”

Editoriale “Il comune senso del pudore” (o quel che ne resta)

Lo sapevi che...

RIVISTA MENSILE

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N. 43 - LUGLIO 2016 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione

Attualità Francesco, un segno per chi ancora non comprende

Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ)

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www.notizieprovita.it/contatti - Tel. 329 0349089

Emanuela, mamma di quattro figli

Il cinema, arma di indottrinamento di massa

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Rodolfo De Mattei

Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Impaginazione grafica Francesca Gottardi

Primo piano L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi?

Direttore responsabile Antonio Brandi

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Tipografia

Roberto Marchesini

‘Educazione sessuale globale’: la guerra dell’ONU contro i bambini

15 Distribuzione MOPAK SRL, via Prima Strada 66 - 35129 Padova

Francesca Romana Poleggi

Liberalizzare la prostituzione: perché sarebbe un grave errore

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Giuliano Guzzo

Pudore e sessualità, in famiglia e a scuola

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Teresa Moro

Il lato occulto della musica

Sostieni le nostre attività di solidarietà sociale, al fine di difendere il diritto alla vita e gli interessi delle famiglie, dei bambini e delle madri, richiedi l’abbonamento al mensile Notizie ProVita (11 numeri).

Scienza e Morale 26

Claudia Cirami

Famiglia ed Economia Bambini spezzati Francesco Agnoli

Francesco Agnoli, Claudia Cirami, Rodolfo De Mattei, Emanuela, Andrea Giovanazzi, Giuliano Guzzo, Roberto Marchesini, Teresa Moro, Francesca Romana Poleggi

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Andrea Giovanazzi

RU486: c’è un antidoto al veleno

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero:

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• € 20,00 contributo studenti e disoccupati • € 30,00 contributo ordinario • € 60,00 contributo sostenitore • € 100,00 contributo benefattore • € 250,00 contributo patrocinatore Per contributi e donazioni ProVita Onlus c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina, IBAN IT89X0830535820000000058640, indicando nome cognome indirizzo e CAP.

L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.


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Editoriale

Editoriale Dalla rivoluzione sessuale in poi la neolingua ha trasformato delle parole ‘belle’, che rimandano a valori sani, profondi e sacri, in parole quasi impronunciabili. Una di queste è ‘pudore’. È ormai inteso nella migliore delle ipotesi come ‘vergogna’, che di per sé ha un’accezione piuttosto negativa, oppure come ‘bigotteria’. Se invece ci fermiamo a ragionare con la nostra testa, possiamo riscoprire il giusto valore del pudore. Basti considerare – ad esempio – che il pudore non lo hanno gli animali, non lo hanno le persone (come i bambini molto piccoli) che non sono consce della loro identità relazionale e sociale. Inoltre, mentre la vergogna ha per oggetto cose cattive o indecenti, il pudore è una sana riservatezza, il ritegno a sbandierare a tutti le cose davvero preziose che si vuole custodire gelosamente per persone e occasioni speciali (proprio perché preziose). Quindi il pudore può essere sentimento o virtù (altra parola bandita dalla neolingua), in base al quale ciascuno manifesta una parte di se stesso solo alle persone e nelle circostanze opportune, ‘degne’, in grado di accogliere, di capire il valore del dono. Il pudore, perciò, è certamente connesso alla sfera sessuale, ma non solo. Riguarda il sesso e il corpo, in quanto sesso e corpo sono essenziali all’identità della persona, tutt’uno con lo spirito; ma riguarda anche gli affetti e i sentimenti. La mancanza di pudore dimostra che la propria intimità – e quindi il proprio essere – è considerata poco rilevante, sicché niente merita di essere riservato ad alcune persone ed escluso per altre.

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“Il comune senso del pudore” (o quel che ne resta) L’eleganza e il buon gusto, la pulizia e la cura della propria persona sono manifestazioni del pudore. Dal ’68 in poi il ‘comune senso del pudore’ è stato praticamente, a poco a poco, distrutto. Innanzitutto con la progressiva ipersessualizzazione della società. Ma lo scopo dell’opera distruttiva non è solo né tanto la ‘spudoratezza’ sessuale in sé, quanto la progressiva erosione e distruzione dell’essere umano nella sua totalità. Il ‘sesso libero’ è il primo passo che serve a rendere l’uomo schiavo. Cosa ha portato la rivoluzione sessuale, se non la donna come oggetto sessuale e il sesso come prodotto commerciale? Chissà se sono in grado di comprenderlo oggi le persone che mettono costantemente in vetrina, su Facebook per esempio, alla mercé di tutti, non solo e non tanto i propri corpi, ma i propri sentimenti, fanno spettacolo della propria vita intima, con le gioie e i dolori che andrebbero condivisi solo con le persone giuste. Capita sovente che qualcuno venga profondamente ferito e perda l’autostima: diventa debole, solo, svalutato, privo di dignità e di amor proprio.… Essere pudici, invece, vuol dire avere considerazione per l’intimità propria e altrui e farsi conoscere nella giusta misura nei diversi contesti di donazione e di rispetto in cui ci muoviamo. In tal modo si rende più attraente la propria personalità e si conosce il vero significato dell’amicizia e del vero amore: la philia e l’agape di greca memoria. Antonio Brandi


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Lo sapevi che... In Spagna il Ministero degli Interni ha deciso di non finanziare più la Federación de Planificación Familiar Estatal, associata alla grande multinazionale dell’aborto International Planned Parenthood. Il Governo spagnolo evidentemente non la considera più un ente di ‘pubblica utilità’, visto il male che l’aborto arreca ai bambini, alle madri e a tutta la società che versa in un inverno demografico assai preoccupante. Con questo atto il Governo dimostra inoltre rispetto per l’articolo 15 della Costituzione spagnola: “Tutti hanno diritto alla vita e all’integrità fisica e morale…”.

Nel 2011 Matt Davis, a soli 26 anni, entrò in coma a seguito di un incidente in macchina. La moglie Danielle, nonostante le pressioni dei medici che le dicevano di ‘staccare la spina’ e di ‘lasciare andare’ il marito, non si rassegnò e continuò a sperare nella buona notizia del risveglio. Cominciò a occuparsi di lui a casa, 24 ore su 24: “Girandolo nel letto per evitare le piaghe da decubito, pulendolo, somministrandogli una ventina di farmaci al giorno e cambiandogli il tubo dell’alimentazione”. Qualche settimana dopo, Matt si risvegliò: prima qualche parola, poi alcuni movimenti… La ripresa di coscienza portò tuttavia con sé una sorpresa inaspettata, ossia il fatto che l’uomo non ricordava più nulla, nemmeno di essere sposato. Ma vedendo Danielle, conoscendola ‘di nuovo’, Matt le ha chiesto nuovamente di sposarlo! Dove non è arrivata la memoria, è arrivato il cuore. Il recupero è continuato, e circa un anno fa Matt ha ripreso a camminare.

Un disegno di legge presentato lo scorso 17 maggio dal senatore Pd Sergio Lo Giudice propone di mettere al bando in Italia le ‘teorie riparative’, cioè le terapie – non necessariamente psicologiche – a servizio di chi si sente a disagio con il proprio orientamento omosessuale e vuole liberamente cercare di cambiarlo. Ovviamente sotto attacco non sono solo quelle scuole psicologiche, come

quella di Joseph Nicolosi secondo cui le persone con tendenze omosessuali possono recuperare l’eterosessualità latente in loro, ma anche quelle associazioni cattoliche, come Courage o il Gruppo Lot, che meritoriamente propongono, a quanti lo desiderano, un cammino di conversione, un percorso di spiritualità volto a riscoprire la verità su se stessi, a prescindere dall’orientamento sessuale. Impedire a qualcuno per legge di curarsi o di cambiare stile di vita è una vergogna. E oltretutto è una grave violazione della libertà di esercizio della professione di psicologi e psicoterapeuti. Insomma, se un paziente chiede di essere aiutato a riscoprire, ad esempio, la propria mascolinità, lo specialista disposto a prendersi cura di lui rischierebbe multe e carcere. Questo ddl è davvero infarcito di ‘omofobia’. Perché non sono le terapie riparative a indurre al suicidio: tutti i dati, non ideologicamente manipolati, dimostrano che anche nei Paesi gay-friendly e gender-free, il tasso di suicidi dei gay è sempre molto più alto della media generale. Se questo Parlamento, con questo Governo, acquistano lo strapotere che gli sarà concesso dalla riforma istituzionale di Renzi, anche questo ddl sarà presto legge, senza colpo ferire. Bisogna fermare questa macchina mortifera e folle: diciamo quindi NO al Referendum costituzionale di ottobre.

A Perugia l’associazione Omphalos cura i corsi denominati “Educare alle diversità”, contro il bullismo omofobico e per una ‘sana’ educazione sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado, dalle elementari alle superiori. Contemporaneamente, Omphalos organizza serate “Be Queer” come per esempio quella col tema “Breath Control & Bondage Night”, tradotto: “La notte dell’asfissia erotica e della pratica sessuale sadomasochistica in cui uno dei partner viene legato, anche appeso, gli viene impedito di parlare, vedere e sentire, per farsi dominare dall’altro”. Come è possibile che un’associazione che si propone di formare i giovani – e addirittura gli educatori e gli insegnanti – per combattere la violenza in ogni sua forma, organizzi e promuova eventi a base di tecniche sadomasochistiche ritenute estremamente rischiose


Notizie

Lo sapevi che...

e potenzialmente mortali sia dalla comunità medica, sia dalla stessa comunità BDSM? (BDSM – Bondage, Domination, Sadism, Masochism: una vasta gamma di pratiche relazionali e/o erotiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, il disequilibrio di potere e/o l’umiliazione tra due o più partner adulti che traggono da queste soddisfazione e piacere).

Nell’ultimo numero della rivista Nature si ammette apertamente che la produzione in laboratorio di embrioni con tre genitori non può raggiungere gli obiettivi sperati e non può adempiere quelle promesse che il primo ministro britannico Gordon Brown nel 2008 aveva fatto per ottenere la legalizzazione della ricerca e degli esperimenti in tal senso: sostituire i mitocondri malati di un embrione con quelli di una donna sana, serviva a salvare milioni di vite. E così in UK si è cominciato legalmente a creare embrioni ibridi, figli di tre genitori, appunto: nei mitocondri, infatti, c’è il DNA di una persona, nel nucleo quello del padre e della madre biologici. Buona parte della comunità scientifica aveva messo in guardia, a suo tempo, dicendo che gli esperimenti sugli embrioni di tre genitori sono pericolosi, non necessari e non etici (si producono in vitro e poi si ammazzano dei bambini). Ora la New York Stem Cell Foundation (NYSCF) ha scoperto che il trasferimento dei mitocondri sani può causare le malattie che s’intendevano curare.Inoltre tale pratica modifica la linea germinale, con un impatto imprevedibile sulle generazioni future.

Sul sito dell’associazione Parks, fondata dall’On. Ivan Scalfarotto, per il ‘diversity management’, si legge che essa è volta a “costruire un posto dove il successo di ciascuno si fonda esclusivamente sul proprio talento, la capacità e la qualità delle prestazioni lavorative e non ha nulla a che fare con caratteristiche personali quali il genere, le abilità, l’età, l’origine etnica, l’orientamento sessuale o l’identità di genere”. Ma poi, a vedere bene, in realtà non si preoccupa affinché queste persone non siano discriminate (che sarebbe una giustissima preoccupazione), ma si adopera

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perché siano discriminati e stigmatizzati tutti gli altri, durante i colloqui per la selezione del personale e la scelta dei fornitori. Il Diversity Index, l’indice della diversità, è un indice che impone di mettere al centro delle politiche aziendali e del reclutamento del personale l’orientamento sessuale come fatto sociale rilevante, quando invece è fatto privato e intimo: davvero dovrebbe essere ininfluente rispetto al lavoro e alla carriera. E le brillanti carriere lavorative, in ogni ambito, di personaggi dichiaratamente LGBT – a cominciare dalla carriera dell’On. Scalfarotto in persona – stanno lì a dimostrare che non è vero che la nostra è una società ‘omofoba’. Gli ‘eterofobi’ sono loro, quelli che sono tanto accecati dall’omosessualismo, che non vedono che si verificano ben altre discriminazioni. Oggi, nella realtà, a una giovane che va a sostenere colloqui di lavoro viene caldamente raccomandato di togliersi la fede nuziale...

La vignetta del mese di Francesca Gottardi


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Francesco, un segno per chi ancora non comprende Quando arrivano in Redazione testimonianze di questa portata, ci sentiamo onorati di poterle pubblicare e condividere con i nostri Lettori di Emanuela, mamma di quattro figli Sei arrivato così, in punta di piedi, a demolire le nostre certezze per costruirne di nuove. Ci hai fatto sapere di te mentre, in vacanza, percorrevamo l’Italia da nord a sud, aggrappandoti alla vita con tenacia. Sei cresciuto piano piano, laddove mi aspettassi una pancia ingombrante come quella dei tuoi fratelli, tu stavi lì, raggomitolato come un gattino, occupando il tuo piccolo spazio con discrezione, senza nessuno di quei fastidi notturni che avevo imparato a conoscere così bene... Tu, che a ogni ecografia ci davi un piccolo segno, mi facevi stare col fiato sospeso per poi tranquillizzarmi: “Non preoccuparti mamma, quella cisti non c’è più... il flusso ora va bene”. Tu che durante la gravidanza, nelle mie letture via web, puntualmente mi facevi soffermare su esperienze di famiglie con figli speciali e confermavi nel mio cuore quella scelta, la scelta di non fare diagnosi prenatali invasive, perché se non potevano servire a un’eventuale cura in utero, ma solo a decidere per la morte, beh, non facevano per me. Per noi. Intanto io consolidavo la mia idea di accoglierti comunque fossi, perché in ogni caso saresti stato il mio bimbo. Una scelta intima, di testa e di cuore, di getto, senza impegno, senza cognizione di causa, senza consapevolezza. Sentivo che saresti arrivato in anticipo: la tua mamma fa una vita un po’ movimentata... così, con tre settimane di vantaggio sulla tabella di marcia, mi hai fatto correre in ospedale. Il momento era il meno opportuno: io febbri-

Francesco, in braccio al Parroco, nel giorno del suo Battesimo

citante, a casa tutti con la tosse, il tuo fratellino più piccolo (che adesso è a pieno titolo anche lui “fratello maggiore”) con la febbre alta e a rischio convulsioni... Nonni e zii precettati, lasciati tra nipoti e flaconi di medicine, fermenti, integratori, soluzioni fisiologiche, compiti e responsabilità. Un ottimo team, tutti. Grazie. In questi giorni, quando ti abbandoni un po’ agli eventi e non sei mai in tutti i luoghi dove vorresti, una mamma impara che per quanto sia importante, neanche lei è indispensabile.

A ogni ecografia ci davi un piccolo segno, mi facevi stare col fiato sospeso per poi tranquillizzarmi: “Non preoccuparti mamma, quella cisti non c’è più... il flusso ora va bene” La sera del Giovedì Santo, alle 21, è cominciato il travaglio. Il travaglio per una donna è dolore e sangue, ma a ogni contrazione immaginavo il mio corpo modificarsi per darti al mondo. Così il dolore acquistava senso e diventava quasi piacevole. Tra una contrazione e l’altra dormivo. Il dolore mi svegliava e segnavo l’ora con un messaggio a Marco. Lui era andato a riposare e si chiedeva cosa fossero quei numeretti (uomini…!). Verso le due di mattina mi sono alzata dal letto per andare sulle mie gambe in sala parto, prima di non riuscire a farlo più. Avevo i brividi addosso, sentivo tanto freddo. In effetti, avevo 36.5 di alterazione, che per una maestra con gli anticorpi come i miei è già febbre! In sala travaglio un’ostetrica minuta, con la voce dolcissima, mi ha accompagnato con discrezione in quelle ore. Ho telefonato a Marco perché venisse. Nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo la mia veglia nell’orto degli ulivi è stata questa. A ogni contrazione recitavo un Padre Nostro e un’Ave Maria. Con quelle preghiere attraversavo il mio dolore, stringendo forte la mano a Marco. Poi c’era la pace, addirittura il sonno ristoratore. L’ostetrica mi guardava ammirata, diceva che sembravo non soffrire, mi consigliava di alzarmi, scegliere come stare, di vocalizzare per sentirmi meglio... ma come fai, mi ha chiesto? Sto pregando. Se avete visto film su una nascita o assistito a parti, o se avete partorito, saprete che le contrazioni si fanno sempre più forti e ravvicinate. Per me no. Ma mai come stavolta. Questa volta tanto tempo tra una e l’altra. Quando sentivo di spingere, poi una lunga pausa riportava tutto alla pace. Ogni tanto sentivo i piedini di Francesco puntarsi sotto le mie costole.


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Attualità

Piccolino, si stava dando da fare... Domandavo all’ostetrica, Monica, se fosse colpa mia, se non mi impegnassi abbastanza. Lei mi rassicurava: è tutto fisiologico. Infatti, non mi ha toccato, ci ha lasciato i nostri tempi. Ogni tanto un’altra ostetrica si affacciava socchiudendo la porta scorrevole. Sembrava venire a respirare una strana pace in quella stanza, mi guardava chiedendosi come mai una partoriente, nel pieno delle doglie, sembrasse non soffrire. Invece soffrivo eccome. Monica, delicatamente, disegnava piccoli cerchi sulla mia schiena, all’altezza dei reni... che sollievo. Ho chiesto a Marco di farlo, massaggiandomi anche lui lì. Ha cominciato a massaggiarmi le spalle. “Amore scusa (non sono di quelle che prendono i mariti a parolacce, almeno non quando partorisco), ti ho chiesto sui reni”. E lui: “Perché, dove sono?”. Ok, lui è un grafico: la radiologa è sua sorella, per fortuna. Le ore passavano, stava albeggiando. Sentivo gli uccellini cinguettare (nessuna droga, neppure l’anestesia). Alle sette Monica mi ha salutato: “C’è il cambio turno, devo passare le consegne. Stai tranquilla, se hai bisogno chiama, siamo nella stanza a fianco”. Mi sono sentita impaurita, anche se Marco era lì. Sentivo arrivare la contrazione, gli ho chiesto di chiamare, perché saresti nato in quel momento. Francesca, l’ostetrica del nuovo turno, ha fatto appena in tempo ad affacciarsi sulla soglia e prendere la tua testolina tra le mani, perché con tre spinte tu sei venuto alla luce, avvolto come in fasce nel tuo sacco integro. Nato con la camicia, bimbo fortunato. Venerdì Santo, 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione di Nostro Signore. Ti hanno appoggiato sul mio petto, un po’ piangevi, poi no. Mi sono preoccupata che ti coprissero, che ti pulissero. Ti hanno portato via e in un attimo intorno a te si sono affollate quattro persone, parlando del tuo cordone.

La scelta di non fare diagnosi prenatali invasive è stata perché se non potevano servire a un’eventuale cura in utero, ma solo a decidere per la morte, beh, non facevano per me. Per noi Dopo poco la pediatra si è avvicinata. Ho avuto l’impressione che volesse darci una notizia difficile, così, quando ha cominciato a fare l’elenco delle cose positive che aveva riscontrato, non ero attenta e sinceramente non ne ricordo neanche una, talmente ero concentrata a capire dove si concludesse il suo discorso, ma in realtà già sapevo cosa stava per dire. Lo avevo avvertito. Marco era sgomento. Tu lo sapevi? Perché non me l’hai detto? Lì si sono scontrati i nostri due mondi. Il mio, femminile, di chi accoglie la vita, prende le cose di pancia e di cuore, senza pensare troppo alle conseguenze. Il suo, maschile, più razionale, pronto ad analizzare la situazione e magari vederne i lati più impegnativi e pesanti. Francesco non ha foto di quel momento. Io presa dal conoscerlo, cercando di attaccarlo al seno, tra il tubicino della flebo e la posizione scomoda della barella, Marco con le dita freneticamente impegnate a scrivere alle mamme quella notizia, a trovare le parole.

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Francesco con la mamma, Emanuela

Francesco è nato, un bimbo speciale. Perché tu sei venuto a noi con quel cromosoma in più, che in tante famiglie ti avrebbe reso un indesiderabile. Ma sei nato nella famiglia perfetta per te. Fin dalla prima gravidanza non ho mai voluto fare indagini genetiche. Non ho mai accettato quell’1% di rischio di aborto dell’amniocentesi, a fronte di una scelta già fatta. Aspettando Matteo, mentre ero a letto con il distacco del sacco, mi ero imbattuta in un servizio su bambini con sindrome di down e già allora avevo capito che, comunque fosse, sarebbe stato mio figlio. Tuttavia mi hanno stupito la serenità e la gioia. Sì, la gioia vera proprio per il tuo cromosoma in più, quella davvero non me l’aspettavo... Le tue nonne che hanno pianto, lì per lì, posso capirle (anche se nonna Nana dopo cinque minuti era in macchina per conoscere il suo nuovo nipotino preferito, aggiunto alla lista dei quattro preferiti, cioè tutti!), le mie zie, che cercavano parole di conforto e sembravano non saper cosa dire perché quelle, a me, davvero non servivano. Forse non capirò soltanto le persone che si preoccuperanno per noi... come può preoccupare tanta benedizione? Io mi sento scelta, privilegiata, particolarmente amata, come mamma. Da te, Francesco, che devi avermi puntata dall’alto e forse, nella tua innocenza mi hai un po’ sopravvalutata, ma soprattutto da Gesù, che invece mi conosce bene e non può essersi sbagliato. Se mi ha dato fiducia lui, posso ogni cosa che mi chiederà. Tra l’altro non da sola. Con un marito che si scoprirà certo più forte di quanto crede, due famiglie alle nostre spalle che sono rocce per noi e i primi miracoli intorno, come le parole di una tua zia: “Magari Francesco è arrivato perché cambiassimo idea”... e l’idea del mondo lo sappiamo qual è, che ciò che non rientra nei canoni va eliminato, alla radice. Invece tu ci sei e sei cosa buona, perché il Signore non fa mai nulla di sbagliato, né niente per renderci infelici. In una famiglia normalmente felice, mancavi tu a farci straordinariamente felici. Così eccoti qui, in punta di piedi, mentre con tenacia e dolcezza stringi le mie dita e dici: io ci sono. Un inno alla vita e un segno per chi ancora non comprende. Grazie Francesco, amore mio, cercheremo di meritare la tua fiducia.


N. 43 - LUGLIO 2016

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Il cinema, arma di indottrinamento di massa L’ideologia LGBTQIA(…), l’omosessualismo, il transgenderismo e il gender sono veicolati anzitutto dai media. E in particolare dalle case di produzione cinematografiche di Rodolfo De Mattei I mass media costituiscono indubbiamente oggi una delle principali agenzie di socializzazione impegnate a imporre il gender diktat globale. Il processo di ‘normalizzazione’ dell’omosessualità e di ogni tipo di devianza sessuale si serve, infatti, dei potenti mezzi di comunicazione di massa – la stampa, il cinema, la radio, la televisione e, in ultimo, internet – per divulgare il suo messaggio ideologico e progressivamente avanzare e sedimentarsi all’interno della società e nella mentalità degli individui. Per limitarci al campo del cinema, e al solo anno 2016, la lista di film italiani ed esteri, volti a celebrare l’omosessualità e rappresentare la ‘normalità’ dell’amore tra persone dello stesso sesso, è lunghissima e, per questo, ne citeremo solo alcuni: Carol di Todd Haynes, con il premio Oscar Cate Blanchett nei panni di una donna sposata che stabilisce una relazione con una giovane commessa; Io e lei di Maria Sole Tognazzi, una commedia lesbica indirizzata a un pubblico giovanissimo che rappresenta la storia d’amore tra le due protagoniste, Sabrina Ferilli e Margherita Buy; Freeheld di Peter Sollett, che racconta la lotta per il riconoscimento dei ‘diritti’ civili

della coppia lesbica formata da Ellen Page e Julianne Moore; Un Bacio, il film contro il bullismo e l’omofobia del regista Ivan Cotroneo che narra le vicende amorose di tre adolescenti ‘diversi’; e, infine, Stonewall, il lungometraggio di Roland Emmerich che mette in scena i cosiddetti ‘moti di Stonewall’, avvenuti il 28 giugno 1969 a New York nel bar gay “Stonewall Inn” di Christopher Street, considerati il momento di nascita del movimento di liberazione omosessuale americano.

Promuovere l’omosessualità e la sessualità fluttuante indifferentemente da un genere all’altro, attraverso film per giovani e giovanissimi, costituisce un’inaccettabile prepotenza e violenza nei confronti del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, da denunciare e contrastare con ogni mezzo


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Se il cinema per ‘adulti’, come abbiamo visto, è già ricco e denso di produzioni a tematica omosessuale, la prossima frontiera della propaganda LGBT è rappresentata dai cartoni animati per bambini. Quale strumento migliore, infatti, per veicolare la ‘normalità’ dell’amore tra persone dello stesso sesso che le fiabe per bambini, pronti a recepire innocentemente qualsiasi subdolo messaggio? Da che parte stiano i colossi dei cartoons si è visto chiaramente nelle recenti battaglie legislative negli Stati Uniti che hanno visto due tra le più grandi case di produzione cinematografiche americane, The Walt Disney Co. e Marvel Studios, mettere sotto ricatto lo Stato federato della Georgia ‘colpevole’ di aver presentato una proposta di legge che consentiva, a chi lo ritenesse opportuno, di mantenere la normale separazione di WC, spogliatoi e dormitori, tra maschili e femminili. Essendo questa ritenuta discriminatoria nei confronti della comunità LGBTQIA(…), i due big del cinema e dei fumetti, che grazie alle generose e convenienti politiche fiscali attuate dallo Stato in questione, avevano scelto il territorio georgiano come loro location di produzione, hanno minacciato di spostare il loro fiorente business altrove nel caso in cui tale legge ‘omofoba’ fosse stata approvata. A promuovere la campagna di boicottaggio nei confronti della Georgia è stata “Human Rights Campaign”, la più grande lobby LGBTQIA(…) d’America, con più di 750.000 soci e sostenitori, che ha preso posizione direttamente attraverso il suo stesso presidente Chad Griffin, che si è così rivolto alle case cinematografiche: “Se questo disegno di legge sarà firmato e diventerà legge, i dipendenti, i fornitori, tutti coloro che lavorano sulla vostra produzione sono a rischio di discriminazione sponsorizzata dallo Stato. Questo è sbagliato, è antiamericano. È un affronto a tutti i valori di cui si vanta Hollywood”. Lo Stato della Georgia, travolto dalla prevedibile bufera mediatica, puntualmente orchestrata dalla comunità omosessualista, è stato messo al muro anche dai principali rappresentanti delle grandi corporation, come Microsoft, Google, Coca-Cola e Home Depot,

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con sedi e interessi economici nel territorio georgiano. Un’opposizione trasversale, resa possibile dalla vasta e potentissima rete di professionisti del lobbying LGBT, che ha coinvolto anche la Silicon Valley, la quale – attraverso i suoi leader – si è appellata al governatore della Georgia intimandogli di mettere il veto sul progetto di legge. La sollevazione della lobby LGBT alla fine ha raggiunto il suo scopo e il Governatore della Georgia, Nathan Deal, ha posto il veto. A poche settimane di distanza dal ‘caso Georgia’ sono stati gli stessi registi del film Captain America: Civil War, i fratelli Anthony e Joe Russo, a dichiarare in un’intervista rilasciata al portale cinematografico Collider, di esser pronti ad aprire le porte dei Marvel Studios ai personaggi LGBT per favorire il processo di accettazione sociale dell’omosessualità.

Non solo il cinema per ‘adulti’ è ricco e denso di produzioni a tematica omosessuale: la prossima frontiera della propaganda LGBT è rappresentata dai cartoni animati per bambini

Secondo i fratelli Russo compito del cinema è, infatti, quello di raccontare acriticamente la realtà, anche a costo di fungere da strumento di ‘normalizzazione’ tra le giovani generazioni della nuova tendenza gender fluid. A tale proposito, come si legge sul sito web “ComicBook”, i registi statunitensi hanno dichiarato: “Le probabilità di vedere uno di questi personaggi nei prossimi film è alta. È nostro dovere di produttori di film di massa fare prodotti che rispecchino la società e abbiano al loro interno elementi diversi tra loro. È triste notare come Hollywood, in questo senso, sia parecchio in ritardo rispetto agli altri settori: per prima cosa perché si pensa, da sempre, che sia un settore progressista e, in secondo luogo, perché è così visibile al mondo. Secondo noi è importante continuare a spingere per la diversificazione, poiché la narrazione può solo giovarne, essere più ricca e interessante”.


Quale strumento migliore per veicolare la ‘normalità’ dell’amore tra persone dello stesso sesso, che le fiabe per i bambini, pronti a recepire innocentemente qualsiasi subdolo messaggio? Se la Marvel Studios ha annunciato attraverso i fratelli Russo di essere pronta a mettere in scena personaggi LGBT, anche la sua celebre proprietaria Disney sembra indirizzata sulla stessa strada. In particolare, la comunità gay ha messo in moto sul web e sui social media una campagna virale attraverso l’hashtag #GiveElsaAGirlfriend, per fare pressione affinché Elsa, la gelida eroina del film campione d’incassi Frozen, nel prossimo sequel ancora in lavorazione, abbia una fidanzata per divenire così la paladina dei diritti degli omosessuali in casa Disney. Eppure nonostante la copiosa produzione cinematografica a tematica LGBT, la GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation), una delle principali associazioni statunitensi per i diritti omosessuali ha esplicitamente accusato Hollywood di non

fare abbastanza per la visibilità di gay, lesbiche e transgender sul grande schermo. Sarah Kate Ellis, CEO e Presidente della GLAAD, ha sottolineato l’’arretratezza’ del cinema di Hollywood rispetto agli altri media, esortando i registi e le case di produzione a fare di più per la causa omosessualista: “I film di Hollywood sono molto indietro rispetto a tutti gli altri media nel dare voce a personaggi LGBT. L’industria cinematografica deve abbracciare queste nuove storie se vuole restare competitiva e rilevante”. In particolare la GLAAD ha richiamato la Disney, accusandola di non aver rappresentato alcun personaggio omosessuale in nessun film del 2015, compreso Star Wars, dichiarando: “Disney dovrebbe includere personaggi gay nel prossimo film di Star Wars, Episodio VIII, per compensare la mancanza di rappresentanza LGBT nei suoi film”. Eppure la Walt Disney nel 2016 ha mandato nelle sale Zootropolis, un film d’animazione diretto ai più piccoli e alle loro famiglie che racconta le avventure di una coniglietta nella città di Zootropolis, dove il mondo animale si è evoluto e affrancato dai limiti della natura, con prede e predatori che convivono armoniosamente e dove tutto sembra possibile, anche cambiare la propria identità. Un’armonia fondata sulla negazione delle differenze, nel nome della tolleranza e del rispetto reciproco, che rispecchia perfettamente i noti cliché propagandati dagli ideologi del gender e dell’indifferentismo sessuale. Un vero e proprio cartoon di indottrinamento di massa, classificabile come ‘abuso di minori’, la cui colonna sonora, affidata alla nota cantautrice e ballerina Shakira, dal titolo Try everything, racchiude emblematicamente il devastante e ideologico messaggio di illimitato potere di autodeterminazione dell’individuo, svincolato da qualsiasi freno o paletto etico-morale, diretto alle giovanissime generazioni. Promuovere l’omosessualità e la cosiddetta tendenza gender fluid – intesa come sessualità fluttuante indifferentemente da un genere all’altro – attraverso film per giovani e giovanissimi, costituisce un’inaccettabile prepotenza e violenza nei confronti del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, da denunciare e contrastare con ogni mezzo.


Avviso a paga

N. 42 - GIUGNO 2016

DIFENDI LA

FAMIGLIA

E I TUOI FIGLI

Il bene comune può essere realizzato solo attraverso la promozione senza compromessi della Vita e della Famiglia naturale fondata sul matrimonio.

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ProVita ha pubblicato un “Patto per la famiglia naturale” con il quale i candidati Sindaci nei capoluoghi di Provincia e i candidati Sindaci e Consiglieri nei capoluoghi di Regione si impegnano a difendere la Famiglia, la Vita e i bambini e a lavorare nell’interesse e per il maggior bene di tutto il popolo della realtà territoriale in cui sono candidati.

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Vai sul sito www.notizieprovita.it per leggere il “Patto per la famiglia naturale” e conoscere i nomi dei candidati “nel nomeche di lo chihanno nonsottoscritto! può parlare” Anno IV | Rivista Mensile N. 37 - Gennaio 2016 Padova CMP Restituzione

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Anno V | Rivista Mensile N. 41 - Maggio 2016

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Antonio Brandi


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L’educazione sessuale è davvero un bene per i ragazzi? L’educazione sessuale appare come un totem: qualcosa di intoccabile, incriticabile, assolutamente buono e positivo. È veramente così? di Roberto Marchesini C’è una convinzione di fondo, piuttosto diffusa tra studiosi della psiche ed educatori e che pervade l’opinione pubblica, che si basa sul seguente sillogismo: “L’educazione sessuale è bene; opporsi alla diffusione dell’ideologia gender significa opporsi all’educazione sessuale; opporsi all’ideologia gender significa opporsi al bene”. Il professor Alberto Pellai, per esempio, è uno di questi illustri studiosi piuttosto critico nei confronti di quei movimenti che si oppongono al gender. Tempo fa, in un post su Facebook, il professore sosteneva che “Per bloccare il gender si blocca tutto ciò che si chiama educazione sessuale e affettiva. Invece è bene che gli adulti riflettano su un dato di fatto: il vero problema per i nostri figli è la diseducazione sessuale in cui crescono e la mancanza d’informazioni, educazioni e interventi preventivi che li aiutino a integrare la dimensione della sessualità in modo sano e sintonico con la loro identità, il loro percorso di crescita, il loro orientamento sessuale, i loro bisogni più profondi (non solo cognitivi, ma anche emotivi e affettivi)”.

Dove l’educazione sessuale è obbligatoria le malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze precoci sono sensibilmente più diffuse rispetto ad altri Paesi

Ora, la domanda è: la prima premessa del sillogismo, quella sulla quale tutto si regge, è vera? L’educazione sessuale dei ragazzi è bene? Sappiamo, ad esempio, che nei Paesi dove l’educazione sessuale è obbligatoria le malattie sessualmente trasmissibili sono sensibilmente più diffuse: basta leggere i rapporti dell’European Center for Desease Prevention and Control (ECDPC). Sappiamo che “i programmi che aumentano l’accesso alla contraccezione diminuiscono le gravidanze adolescenti nel breve periodo, ma aumentano le gravidanze adolescenti nel lungo periodo” (si veda, per esempio, lo studio Habit Persistence and Teen Sex: Could Increased Access to Contraception have Unintended Consequences for Teen Pregnancies? di Peter Arcidiacono, del Dipartimento di Economia della Duke University & NBER, Ahmed Khwaja della School of Management della Yale University e Lijing Ouyang, del Centers for Disease Control and Prevention); sappiamo anche che “non è emersa alcuna prova che interventi [di educazione sessuale] siano efficaci nel ritardare l’esperienza eterosessuale o ridurre le gravidanze, l’ubriachezza o l’uso di cannabis. Alcuni risultati suggeriscono un effetto contrario” (si veda per esempio lo studio di Meg Wiggins, dell’Unità di Ricerca sulle Scienze Sociali dell’Istitute of Education dell’Università di Londra, e Chris Bonell, della London School of Hygiene and Tropical Medicine, et al., pubblicato sul British Medical Journal).

In questo modo il professor Pellai vorrebbe indurre una dissonanza cognitiva in chi si oppone al gender: opponendosi al gender si fa del male ai ragazzi perché “se uno dei problemi per i nostri figli è la diseducazione sessuale in cui vivono (e l’ipersessualizzazione in cui si trovano immersi ogni giorno per opera dei media e delle tecnologie), la soluzione al problema in questo caso si dovrebbe chiamare “educazione affettiva e sessuale”.

Roberto Marchesini Milanese, classe 1971, psicologo e psicoterapeuta, è autore di saggi di successo, quali: Quello che gli uomini non dicono e E vissero felici e contenti - Manuale di sopravvivenza per fidanzati e giovani sposi, editi entrambi da Sugarco.

György Lukács, ‘l’inventore’ dell’educazione sessuale


14 N. 43 - LUGLIO 2016

Margaret Sanger, la fondatrice della International Planned Parenthood Federation

Non sembra poi così certo che l’educazione sessuale sia un bene per i ragazzi. Eppure appare come un totem: qualcosa di sacro, intoccabile, incriticabile, assolutamente buono e positivo. È così? Riflettiamo. Innanzitutto l’educazione sessuale è un prodotto culturale, un esempio di ‘costruzione sociale’ che i sostenitori del gender tanto odiano. Non è sempre esistita (eppure il mondo è arrivato fino a noi...). Quando è stata inventata e perché, con quali obiettivi? Il primo corso di educazione sessuale risale al 1919, nemmeno un secolo fa. Fu introdotto nel governo di Bela Kuhn durante il breve episodio della Repubblica Sovietica d’Ungheria dal ministro György Lukács. L’ambizioso programma di Lukács, denominato ‘terrore culturale’, era quello di sradicare dall’Ungheria sovietica la morale tradizionale (cioè cattolica), attraverso tre strumenti: la scuola, per intercettare ogni bambino; l’esclusione dei genitori, accusati di tramandare i modelli culturali tradizionali; e l’educazione sessuale. Questa consisteva principalmente nell’esposizione dei bambini a immagini e materiali pornografici, presentati in modo asettico e scientifico, senza alcuna valutazione di tipo morale o religiosa. L’esposizione precoce a materiale sessuale e l’assenza di ogni giudizio morale avrebbero indotto i bambini (cioè le future generazioni ungheresi) ad abbandonare i valori tradizionali. Il governo di Kuhn durò pochi mesi, e con esso terminò il primo progetto di educazione sessuale.

L’educazione sessuale, impartita da esperti (gli psichiatri) ai bambini al di fuori del controllo dei genitori, è il modo migliore per sradicare dai bambini ogni traccia di moralità L’idea fu però ripresa negli Stati Uniti dall’eugenetista e abortista Margareth Sanger, fondatrice della Planned Parenthood. La dottoressa Sanger era convinta che l’educazione sessuale nelle scuole fosse il modo migliore per diffondere la contraccezione e l’aborto negli Stati Uniti. I progetti della Sanger (molto impegnata anche su altri fronti) non produssero tuttavia molti risultati. Fu però Mary Calderone, direttore medico di Planned Parenthood, a diffondere capillarmente l’educazione sessuale negli Stati Uniti. Per dedicarsi a tempo pieno a questo scopo lasciò l’associazione fondata dalla Sanger e creò il SIECUS (Sex Information and Education Council of the United States), ancora oggi la più importante associazione per l’educazione sessuale negli Stati Uniti.

Anche le più importanti organizzazioni sovranazionali s’impegnarono per diffondere l’educazione sessuale in tutto il mondo. Il primo presidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il medico canadese Brock Chisholm, era convinto che la guerra appena conclusa, come tutte le guerre, fossero la conseguenza della morale, ossia del concetto di bene e di male: “L’unico minimo comune denominatore di tutte le civiltà e l’unica forza psicologica capace di produrre queste perversioni [il senso di inferiorità, di colpa, la paura e, in ultima istanza, la guerra, ndR] è la moralità, il concetto di bene e di male [...] La re-interpretazione e alla fine lo sradicamento del concetto di bene e di male che è stato la base dell’educazione infantile, la sostituzione del pensiero intelligente e razionale al posto della fede nelle certezze degli adulti, questi sono gli obiettivi ultimi di ogni psicoterapia efficace […]. Se l’umanità deve essere liberata da questo fardello paralizzante del [concetto di] bene e male, sono gli psichiatri che se ne devono assumere la maggiore responsabilità. […] La cosa più importante al mondo oggi è l’educazione dei bambini”. Anche Chisholm, come già Lukács, vedeva nell’educazione sessuale, impartita da esperti (gli psichiatri) ai bambini al di fuori del controllo dei genitori, il modo migliore per sradicare dai bambini ogni traccia di moralità. Gli obiettivi originari dell’educazione sessuale (nata, lo ricordiamo di nuovo, meno di un secolo fa) sono lo sradicamento della morale, la diffusione di aborto e contraccezione e, infine, la creazione di un’umanità più docile al potere. Tutto questo attraverso una precoce sessualizzazione. Il paradosso è che il professor Pellai ha scritto un libro, Tutto troppo presto, nel quale prende posizione contro la precoce sessualizzazione dei ragazzi. Forse, anziché tentare di indurla negli altri, potrebbe provare lui stesso una certa dissonanza cognitiva nei confronti del gender e dell’educazione sessuale...


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‘Educazione sessuale globale’: la guerra dell’ONU contro i bambini L’ONU e le sue agenzie, in primis l’OMS, hanno esplicitamente sposato la causa di coloro che mirano alla decostruzione dell’individuo e allo sradicamento della morale e del pudore di Francesca Romana Poleggi Perfettamente conseguenziale con ciò che è stato magistralmente esposto da Marchesini nelle pagine precedenti, è la propaganda e la diffusione sempre più invasiva, pressante e coercitiva dell’educazione sessuale precoce da parte degli organismi internazionali, che in teoria dovrebbero essere votati alla tutela dei veri diritti umani, soprattutto dei soggetti più deboli. Pochi sanno per esempio che già nel lontano 1999 l’UNICEF aveva pubblicato un manuale che spiegava che si può trarre piacere dal sesso con le cose, gli animali, i minori o con persone non consenzienti (cfr.: Taller de salud sexual y reproductiva para madres y embarazadas adolescentes Programa para la prevencion y attencion integral del embarazo en adolescentes, pag.89). Recentemente abbiamo segnalato sul nostro portale, www.notizieprovita.it, un documentario di Family Watch International dal titolo molto eloquente: “La guerra contro i bambini: l’agenda ONU per un’educazione sessuale globale”, la Comprehensive Sex Education (CSE). La CSE viene promossa alle Nazioni Unite da documenti tesi all’affermazione di ‘diritti sessuali’ quanto mai opinabili, specie laddove consistano in una ‘educazione’ sessuale radicale e spregiudicata anche per i bambini molto piccoli. Molti conoscono gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, pubblicati dall’OMS alcuni anni fa. Tra le diverse, gravi criticità c’è per esempio la pretesa di educare alla sessualità al di fuori e all’insaputa della famiglia, che è pregiudizialmente considerata incapace al riguardo; c’è la pretesa di trasmettere informazioni ai bambini nella fascia d’età 0-4 anni su “gioia e piacere nel toccare il proprio corpo - masturbazione infantile precoce”. Naturalmente gli esperti del mondo dell’infanzia sanno bene che l’atto di esplorare il proprio corpo, anche nell’area genitale, è naturale nei bambini. Tuttavia non è comprensibile perché ci debbano essere degli ‘specialisti’ che istruiscano i bambini – magari ‘in gruppo’ – su una pratica legata alla spontaneità infantile, senza tenere conto dell’intimità di ognuno e dei diversi gradi di sviluppo psicofisico.

In questi documenti delle Nazioni Unite è costante il riferimento ai ‘diritti riproduttivi’ e al ‘diritto alla salute sessuale’, che – incredibilmente – superano, oscurano e annullano il diritto alla vita, che dovrebbe essere il primo e fondamentale dei diritti umani. Nel 2015 l’OMS, nel rapporto intitolato Sexual health, human rights and the law (La salute sessuale, i diritti umani e la legge), ha ribadito che la ‘salute sessuale’ presuppone l’accesso a siffatta ‘educazione’ sessuale, e quindi l’accesso a contraccezione e all’aborto a richiesta e fa propaganda della sessualità intesa come un gioco che dà piacere fisico fine a se stesso. Dice il documento che la salute sessuale dipende dalla “[...] possibilità di avere esperienze sessuali piacevoli e sicure, libere da coercizione, discriminazione e violenza”. Ignorano, questi ‘educatori’, che la nozione di ‘rapporto sessuale a scopo ludico’ implica l’oggettivizzazione del corpo proprio e altrui, ed è dunque il primo passo verso la strumentalizzazione dell’altro (la ‘donna oggetto’ tanto deprecata dall’ideologia femminista) con il solo fine di avere esperienze sessuali ‘piacevoli’. Una filosofia perfettamente in linea con l’individualismo più sfrenato che degenera nel nichilismo e nell’auto-distruzione dell’umano. Tutti gli adulti, infatti, sanno bene quanto il sesso fine a se stesso – senza la necessaria maturità, senza un coinvolgimento emotivo e sentimentale davvero globale, fedele e per sempre – sia un piacere effimero, che lascia alla lunga profondamente delusi e insoddisfatti.

Francesca Romana Poleggi Madre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, è direttore editoriale di questa Rivista.

Il documento dell’OMS di cui si parla in questo articolo si può leggere in inglese e in francese al seguente link: www.who.int/reproductivehealth/publications/sexual_health/sexual-health-human-rights-law/en/


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Gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, pubblicati dall’OMS qualche anno fa, sono stati gli ispiratori dei libercoli dell’UNAR che volevano introdurre l’Educazione alla diversità nelle scuole italiane e che sono stati denunciati e fermati grazie all’azione tempestiva e incisiva di ProVita, seguita dalle altre associazioni pro-famiglia che si battono per la tutela dei bambini

Ed è facile capire che, laddove si giustifichi l’uso del corpo altrui per il proprio piacere, si consente alla sopraffazione dei soggetti più deboli. L’OMS, inoltre, insiste che “la sessualità umana comprende molte forme diverse di comportamento e di espressione” e che “l’accettazione della diversità dei comportamenti sessuali e della loro espressione contribuisce al senso generale di benessere e salute della gente”. E poi si spiega che “la discriminazione e la disuguaglianza svolgono un ruolo chiave per compromettere la salute sessuale. Per esempio, coloro che vengono percepiti come persone che intrattengono pratiche sessuali socialmente inaccettabili, o con caratteristiche socialmente inaccettabili, come l’essere siero-positivo, vengono ingiustamente private del loro diritto alla salute sessuale”. Insomma, la varietà di rapporti sessuali e la perfetta equiparazione di ogni preferenza, gusto, tendenza e pratica sessuale contribuisce al senso generale di benessere e alla salute delle persone.

Pochi sanno che, già nel 1999, l’UNICEF ha pubblicato un manuale che spiegava che si può trarre piacere dal sesso con le cose, gli animali, i minori o con persone non consenzienti Le categorie che la legge deve proteggere dalle discriminazioni e dalle criminalizzazioni sono, in particolare, gli adolescenti non sposati sessualmente attivi, le prostitute, i gigolò, i migranti (ma cosa c’entra l’essere migrante con l’attività e la salute sessuale?), le persone transgender o intersessuali e coloro che provano tendenze omosessuali, i quali attualmente soffrono per l’emarginazione e la stigmatizzazione, che comprometterebbero la loro salute personale.

Veramente? Non solo l’esperienza comune, ma anche le ricerche scientifiche dimostrano che è vero il contrario. Il sesso promiscuo, e i rapporti omosessuali in particolare, non sono sani per niente, vista la recrudescenza delle epidemie di malattie sessualmente trasmissibili proprio nei Paesi ‘avanzati’, che più diffondono le politiche OMS per l’educazione sessuale delle nuove generazioni. È sconcertante, poi, leggere che gli stessi Soloni che da un lato predicano l’informazione e la contraccezione ai fini della prevenzione delle malattie, dall’altro diffondono volantini e ‘libretti di istruzioni’ in cui – nel nome del libertarismo più sfrenato – spiegano che, se si è sieropositivi, non è necessario avvisare il partner o mettere il preservativo se la persona “non se la sente”... Altra cosa da segnalare è che il documento dell’OMS sulla CSE insiste sull’obbligo per gli Stati di aggiornare le loro legislazioni per rimuovere le barriere all’accesso all’educazione sessuale, alla contraccezione e all’aborto. Si richiede insistentemente l’emanazione di “leggi che favoriscano la diffusione di un’educazione sessuale obiettiva e completa, per tutti”. Vanno invece abrogate “le leggi che limitano la libertà sessuale della donna e l’accesso degli adolescenti ai servizi sanitari – per esempio, richiedendo l’autorizzazione di terze parti – e le leggi che criminalizzano determinati comportamenti sessuali consensuali”. Ne saranno contenti i pedofili.


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Primo Piano Da notare l’insistenza davvero tenace sulla necessità – secondo questi ‘educatori’ – di tenere la famiglia fuori dalla vita sessuale degli adolescenti: ogni legge che chiede il consenso dei genitori per fornire educazione sessuale, contraccettivi e aborto ai minorenni, va abrogata. Sempre, tutto, in nome di quelli che insistono a chiamare ‘diritti umani’ e che – come abbiamo già notato – ricomprendono il diritto a ogni perversione, ma non il diritto alla vita…

Secondo l’OMS, la varietà di rapporti sessuali e la perfetta equiparazione di ogni preferenza, gusto tendenza e pratica sessuale contribuisce al senso generale di benessere e alla salute delle persone

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È degno di nota anche il riferimento, con plauso, ai “giudici nazionali che in diverse parti del mondo hanno svolto un ruolo importante nell’abbattimento di norme discriminatorie”, soprattutto in relazione alla libertà di ciascuno di vivere ed esprimere la propria, fluida identità di genere. Senza essere costretti a ricorrere alla chirurgia plastica per cambiare sesso all’anagrafe, senza essere costretti al divorzio, se chi ‘cambiasse sesso’ fosse sposato. Chi segue le tristi vicende legali e giudiziarie italiane in proposito sa che da noi parecchie di queste indicazioni sono state realizzate: ora si renderà conto che il copione è stato scritto già da tempo. La macchina distruttiva mossa dalla cultura della morte, tesa a realizzare Il Mondo Nuovo (chi

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non ha ancora letto il romanzo distopico di Aldous Huxley è vivamente consigliato di farlo), è in moto da anni e avanza inesorabile. Ma c’è speranza? Sì. La speranza c’è, e non è solo legata alla “fede ai trionfi avvezza” e al dato di fatto che il male è destinato a divorare se stesso. Anzitutto, la diffusione della retta informazione, della verità; il mettere allo scoperto queste manovre oscure serve a dare quella consapevolezza che mette in guardia le menti e le difende dal lento e subdolo lavaggio del cervello cui sono sottoposte continuamente dall’apparato mediatico asservito al male. In secondo luogo, nello specifico, possiamo notare con soddisfazione che si sta delineando una coalizione forte e crescente di governi (da ogni parte del mondo) che hanno compreso i pericoli della Comprehensive Sex Education. Recentemente, per esempio, il tentativo di includere la CSE nel documento finale della Commissione delle Nazioni Unite sulla Popolazione e lo Sviluppo (Commission on Population and Development) non è riuscito. Anzi, nel documento della CPD c’è un paragrafo che insiste sul principio di sussidiarietà: il rispetto della sovranità degli Stati e dei loro valori religiosi e culturali. In quel consesso, l’influenza del Nord America e dell’Europa Nord-occidentale è comunque forte: non s’è potuto evitare il riferimento ad aborto e contraccezione. Ma, soprattutto grazie al sostegno dei Paesi dell’Africa e dell’Europa centroorientale, c’è stata occasione per ribadire il ruolo centrale della famiglia nello sradicare la povertà e la fame, nel raggiungere l’istruzione primaria universale, nel promuovere l’empowerment delle donne, nel ridurre la mortalità infantile, nel migliorare la salute materna e la lotta contro l’HIV, la malaria e altre malattie.


18 N. 43 - LUGLIO 2016 Giuliano Guzzo

Giuliano Giuliano Guzzo Guzzo

Classe 1984, vicentino di nascita e trentino d’adozione, è laureato in Sociologia e

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, Ricerca Sociale. Appassionato di bioetica, collabor a con diverse riviste e portali web collabora con diverse riviste e portali web. fra i quali di Tempi.it, Libertaepersona.org, È autore La famiglia è una sola Campariedemaistre.com, (Edizioni Gondolin, 2014) Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo www.giulianoguzzo.com

Anna Maria Pacchiotti

Anna Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”.

Henri de Toulouse-Lautrec, www.onoralavita.it Al Salon di rue des Moulins, 1894-1895, Musée Toulouse-Lautrec, Albi

Liberalizzare la prostituzione: perché sarebbe un grave errore La prostituzione va legalizzata o sanzionata? Tollerata oppure combattuta? Se il fenomeno della prostituzione attraversa sostanzialmente tutta la storia dell’umanità, anche il dibattito circa la sua legalizzazione e la sua accettabilità non è affatto nuovo: in favore di queste, infatti, si può per esempio ricordare A modest defence of public stews, un piccolo trattato firmato dall’olandese Bernard de Mandeville (1670–1733) nel lontano 1724, e allo stesso modo non mancano attestazioni di posizioni opposte rispetto a quello che, in realtà, risulta un dilemma ancora molto attuale: la prostituzione va legalizzata o sanzionata? Tollerata oppure combattuta? La tesi che pare andare per la maggiore è che sia decisamente più conveniente adottare – anche livello legislativo – un atteggiamento non di contrasto, bensì di regolamentazione del fenomeno della prostituzione. In questo modo, si dice, il beneficio sarebbe collettivo con strade più pulite, maggiori entrate fiscali, donne libere di esercitare il mestiere più antico del mondo al sicuro e senza sfruttamento di alcun genere; sarebbe cioè un progresso, viene detto, nonché un bel colpo contro l’ipocrisia di chi preferisce continuare a far finta che il problema non esista. Ora, seppur a prima vista convincenti, tutti questi argomenti sono in realtà deboli. Per ragioni etiche e, per così dire, pratiche.

Giulia Iniziando con le prime, c’è da dire che Tanel le obiezioni etiche alla legalizzazione della prostituzione ruotano sostanzialmente attorno a due concetti, che poi sono anche due principi: quello della dignità della donna Laureata in Filologia e Critica Letteraria. e quello del bene comune. Partendo dal primo, Scrive per passione. Collabora con è bene constatare come libertaepersona.org il riconoscimento dasitiparte e con altri internet e riviste;diè inoltre autrice, con Francesco del legislatore dell’attività prostituzione – nonAgnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale più perseguendola o arginandola, ma limitandosi a nella storia (Ed. Lindau). monitorarla – determini un giudizio morale se non di aperta approvazione quanto meno di apertura verso una pratica dalle importanti implicazioni morali in particolare, come si è detto, per la dignità della donna e, più in generale, di quanti si prostituiscono. È accettabile che si permetta la mercificazione del corpo? Se guardiamo all’uomo kantianamente, e cioè “sempre come fine e mai semplicemente come mezzo”, la risposta non può che essere negativa: è ingiusto prostituirsi così come lo è dare il proprio assenso a che qualcuno lo faccia. Venendo invece al secondo principio per cui è bene respingere l’idea di legalizzazione della prostituzione – quello del bene comune – possiamo brevemente riflettere su questo: quale messaggio o meglio quale insegnamento offre ai propri cittadini uno Stato che permette a loro di prostituirsi a patto che versino regolarmente le imposte per l’esercizio di questa ‘professione’?

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di Giuliano Guzzo


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Primo Piano Sicuramente uno: non pagare le tasse è più grave che prostituirsi, dato che l’evasore fiscale viene perseguito mentre chi esercita il mestiere più antico del mondo in modo regolare non solo non incorre, una volta che la prostituzione è riconosciuta positivamente, in alcuna forma di sanzione, ma acquisisce gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori. Il che si traduce, sul versante educativo, in un messaggio disastroso: fa pure ciò che ti pare, l’importante è che paghi le tasse. A chi però non fosse convinto da queste obiezioni di carattere etico, si possono illustrare anche quelle più concrete che raccontano di un sostanziale fallimento delle politiche di legalizzazione della prostituzione.

Le obiezioni etiche alla legalizzazione della prostituzione ruotano sostanzialmente attorno a due concetti, che poi sono anche due principi: quello della dignità della donna e quello del bene comune

La prima criticità concerne il fatto che una eventuale legalizzazione della prostituzione – salvo nei casi (assai minoritari) dove il prostituirsi è scelta volontaria – risulterebbe estremamente pericolosa per la salute delle donne (ma la stessa cosa vale nel caso di prostituzione maschile). Lo confermano

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riscontri empirici: da uno studio condotto fra il 1967 e il 1999 su 1.969 prostitute a Colorado Springs, per esempio, è emerso come il tasso di omicidi tra queste fosse 18 volte superiore a quello della popolazione, mentre altre rilevazioni dicono che quasi l’85% di chi si prostituisce rimane vittima di aggressioni fisiche. Ancora più impressionanti sono gli esiti di una ricerca condotta intervistando cento prostitute: il 90% di loro ha dichiarato d’aver subito aggressioni ad opera dei propri clienti. Psicologicamente, poi, non va dimenticato come la prostituzione procuri alle donne danni veramente devastanti: due terzi di quante si prostituiscono – secondo uno studio – presenta effetti del disturbo post-traumatico da stress (DPTS), nota anche come nevrosi da guerra. Si risponderà che siffatte allarmanti rilevazioni sono determinate da situazioni di illegalità che l’istituzione di apposite ‘case chiuse’ risolverebbe. Interessante risposta, peccato che ancora una volta i riscontri fattuali vadano in tutt’altra direzione. Pensiamo, per brevità, a due casi: a quello dell’Olanda – dove secondo alcune stime l’80% delle donne che lavora nei bordelli sarebbe oggetto di sfruttamento internazionale – o a quello dell’Austria, che pur adottando una politica ‘regolamentarista’ (rimangono i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione ma le prostitute possono lavorare su base volontaria) ha visto crescere le vittime di sfruttamento sessuale: erano stimate fra le 470 e le 940 all’anno nel 1998, mentre nel 2003, appena cinque anni dopo, lo stesso numero veniva stimato fra 1.420 e 2.840: crescita esponenziale.


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Perché non punire i clienti? Recentemente è stata varata in Francia una legge che, per contrastare la prostituzione, punisce i ‘clienti’. La pena minima è di 1.500 euro. La recidiva costa 3.500 euro, ma si arriva fino a 45.000 euro e la prigione in caso di aggravanti (se la prostituta è minorenne, incinta, o in altra condizione oggettiva di fragilità o di svantaggio). Una norma analoga esiste in Svezia dove, da quando è stata introdotta la norma, il tasso di prostituzione è significativamente sceso. Anche la legge tedesca punisce i clienti con la prigione, ma solo se sapevano o avrebbero potuto sapere che la donna era costretta a prostituirsi. Insomma, la legge sarà certamente perfettibile, ma obbiettivamente può essere un buon inizio. I movimenti femministi francesi l’hanno appoggiata. Chi si è opposto strenuamente è il ‘sindacato delle prostitute’ e i loro rappresentanti (saranno mica i protettori? È ovvio che si oppongono!). E poi il solito

gotha intellettuale libertario radicale, che tira fuori il solito argomento de “Il corpo è mio e lo gestisco io”. Addirittura Amnesty International chiedeva che venisse ricompreso tra i diritti umani quello alla prostituzione. Dal nostro canto, ripetiamo il solito argomento: come si può credere che una prostituta sia davvero libera di vendersi per denaro? È ovvio che è nel bisogno. Può darsi che sia una persona che si arrende facilmente all’allettante possibilità di fare tanti soldi con poca ‘fatica’ (come nei casi delle baby-squillo che tanto hanno fatto discutere anche qui da noi. Ma, anche in questo caso, è vera libertà?). E comunque ben venga una legge simile, anche se servisse solo a far passare un brutto quarto d’ora a coloro che si appartano con le donnine tinte e ritinte che si vedono sui bordi delle nostre strade. Donnine che, sotto la faccia volgare e smaliziata da uno strato di rossetto spesso un centimetro, hanno gli occhi spauriti di una dodicenne, o poco più.

a circa 1.500 del 2002, e delle percentuali di quelle su strada, dal 50 al 30%. In Danimarca invece – dove chi esercita la prostituzione è titolare di redditi assoggettati ad imposta – il mercato è quattro volte più grande di quello della Svezia, che pure ha una popolazione il 40% maggiore, mentre nella Finlandia si stima un numero di donne sfruttate almeno 30 volte più grande di quello svedese. Morale: sia che si consideri la questione da un punto di vista etico, sia che si dia la priorità ad un approccio maggiormente pragmatico il risultato non cambia, dal momento che qualsivoglia tentativo di regolamentare la prostituzione, tollerandola, risulta fallimentare. Il che a ben vedere conferma quanto il grande don Oreste Benzi (1925-2007) aveva capito e – dall’alto di un’esperienza che aveva maturato sul campo, liberando dalla schiavitù della prostituzione migliaia di donne – non si stancava di ripetere, e cioè che non esistono una prostituzione sbagliata e una accettabile, ma solo una lunga strada verso la verità e la giustizia. Una strada non sempre facile, certo, ma anche la sola che valga la pena percorrere.

Un ulteriore suggerimento in favore dell’abbandono di qualsivoglia ipotesi di legalizzare il mestiere più antico del mondo ci viene da un lavoro condotto da ricercatori delle università di Heidelberg, Berlino e Londra i quali, esaminando i dati di 161 Paesi fra il 1996 e il 2003, sono giunti alla conclusione – in realtà non così sorprendente, alla luce di quanto abbiamo già ricordato – che una politica di liberalizzazione della prostituzione comporti o possa comportare un aumento del traffico e dello sfruttamento di persone ridotte a pura merce di scambio (Economics of Security Working Paper, 2012).

Fa decisamente riflettere, poi, l’esempio tedesco, con la prostituzione regolamentata e, dopo anni, uno scenario a dir poco cupo con, da un lato, casi di donne che perdono il sussidio di disoccupazione perché rifiutano di prostituirsi, e d’altro lato, uno sfruttamento che continua, la polizia che fatica a contrastarlo, nessuno miglioramento effettivo misurabile nella copertura sociale delle prostitute – né le condizioni di lavoro, né la capacità di uscire dalla professione era migliorata, con ricorrenti problemi igienico-sanitari – e nessuna prova concreta di riduzione della criminalità. Molto diverso invece il caso svedese dove dal 1999 si è scelto di rendere completamente illegale comprare i servizi sessuali, registrando da subito un calo del numero delle prostitute, sceso da circa 2.500 del 1999

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Una politica di liberalizzazione della prostituzione comporta, o può comportare, un aumento del traffico e dello sfruttamento di persone ridotte a pura merce di scambio

Una via di Amsterdam


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Pudore e sessualità, in famiglia e a scuola Un sano sviluppo della sessualità per i bambini e i ragazzi è (ancora) possibile! di Teresa Moro Nella nostra società il termine ‘pudore’ viene spesso interpretato in maniera superficiale, secondo due atteggiamenti che – in maniera opposta l’uno all’altro – tendono a estremizzare la questione: da un lato si sostiene la necessità di una liberazione tout court in ambito sessuale, con l’abbattimento di ogni vincolo; dall’altra vige l’idea che certi argomenti non debbano essere oggetto di conversazione, alimentando così una sorta di negazione. E questo fatto ha insite in sé delle conseguenze per il sano sviluppo della sessualità nei bambini e nei ragazzi. Nel tentativo di cercare di orientarci e di capire meglio questo complesso tema in relazione all’infanzia e alla prima adolescenza, abbiamo intervistato Miriam Incurvati, psicologa dell’età evolutiva, progettista e Formatore di Asp Progetto Pioneer.

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Dottoressa Incurvati, iniziamo con il circoscrivere il tema che andremo ad approfondire: che cos’è il pudore? È un concetto positivo o negativo? Spesso associamo al pudore la vergogna, il nascondimento delle parti intime. In effetti, durante la storia e anche nelle nostre esperienze personali, a volte il pudore ha acquisito una simile connotazione. Tuttavia, con la stessa parola si può far riferimento anche all’atteggiamento di naturale riserbo nei confronti di quanto riguarda la sfera sessuale. Pertanto, un’accezione positiva del pudore può riferirsi a tutti quei comportamenti di ritegno e contegno volti a valorizzare e proteggere la propria intimità sessuale.

L’educazione affettiva e sessuale, il senso del pudore e del valore insito in ognuno di noi, lo cominciamo a trasmettere nel momento in cui prendiamo in braccio nostro figlio per la prima volta e ogni volta che compiamo con lui dei semplici gesti di routine Per loro natura, i bambini sarebbero pudici? Per quanto riguarda il mondo dell’infanzia, definire se e come viene compreso e sentito il pudore è estremamente complesso. La letteratura scientifica in materia di sessualità infantile è ancora un campo tutto da scoprire e le ricerche in tal senso sono purtroppo molto limitate. Inoltre, come ogni aspetto della psicologia umana, anche questo è influenzato da molteplici fattori: elementi personali, come il temperamento, ma anche relazionali-educativi, l’educazione familiare occupa un posto di notevole rilevanza su questi temi. Tuttavia, certamente si possono individuare delle tappe di sviluppo sessuale. Diversi studi mostrano, ad esempio, che i bambini dagli 0 ai 4 anni, non hanno in genere un particolare senso del pudore e possono manifestare comportamenti di curiosità per il proprio corpo e quello degli altri. Tali gesti sono quindi da intendere come finalizzati principalmente all’esplorazione e alla regolazione emotiva. Tra i 4 e i 7 anni di età i bambini iniziano invece a mostrare inibizione in determinate situazioni.


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Nella fascia d’età 7-12, poi, la consapevolezza delle regole sociali aumenta, si diventa più coscienti del senso del pudore e si desidera una maggiore privacy, che spetta anche ai genitori garantire. Questi sono dunque, a grandi linee, gli steps tipici nello sviluppo del sentimento del pudore, da non intendersi come categorie rigide ma piuttosto come schematizzazioni flessibili. In questa sede ritengo inoltre utile evidenziare come notevoli influssi sul vissuto del bambino provengano da istanze culturali e sociali: in modo particolare l’esposizione precoce, continua e non mediata dall’adulto, a contenuti pubblicitari e mediatici in cui il corpo è strumento di acquisto e viene presentato con tratti fortemente sessualizzati, mette a rischio il sano sviluppo sessuale. È noto come la rete abbassi la soglia del pudore: nei social network quanto è privato diventa pubblico, i giovani fanno fatica quindi a coltivare un sano riserbo e il concetto stesso di privacy perde il suo senso più profondo. Quale ruolo rivestono i genitori nell’acquisizione di un sano sviluppo sessuale? La famiglia è la principale agenzia educativa. È il luogo dove, per la prima volta, il bambino sperimenta lo stare insieme: i modi, i tempi e la qualità delle relazioni. Numerose ricerche evidenziano come l’esperienza primaria in famiglia diventi pregnante lungo tutto il corso della vita della persona. La costituzione dell’attaccamento e il legame con la figura di accudimento è unico e, una volta stabilito, si mantiene inalterato come la fonte più forte di relazione d’amore e come prototipo di tutte le successive relazioni affettive.

Quando i bambini, intorno ai 2‐3 anni, scoprono la propria identità sessuale, l’essere maschio o femmina, gli adulti svolgono una funzione di conferma e di fornitori di senso: vi è una diversità sessuale che va inserita in un quadro che rimandi alla bellezza e alla ricchezza di questa varietà

Assume pertanto una rilevanza notevole investire nella formazione di un legame sicuro: questo avviene quando la mamma e il papà entrano in sintonia affettiva con il piccolo, comprendono i suoi bisogni, interpretano il suo pianto, essendo figure accessibili e responsive. Molteplici studi evidenziano come genitori presenti e capaci d’interpretare i segnali del proprio bambino e di orientare e canalizzare le sue emozioni favoriscano nei figli lo sviluppo di una sessualità sana. Potremmo affermare che l’educazione affettiva e sessuale, il senso del pudore e del valore insito in ognuno di noi, lo cominciamo a trasmettere nel momento in cui prendiamo in braccio nostro figlio per la prima volta e ogni volta che compiamo con lui dei semplici gesti di routine (come fare il bagnetto, o spalmare la crema con un delicato massaggio): attraverso questi gesti gli diciamo quanto è importante e come si deve trattare il corpo.


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Primo Piano Nell’educazione, dunque, l’esempio e i gesti valgono tanto quanto le parole (e a volte di più)? Sì, gesti apparentemente semplici contengono significati molto profondi, in grado di influenzare per tutta la vita. Si pensi per esempio al momento in cui i bambini, intorno ai 2-3 anni, scoprono la propria identità sessuale, l’essere maschio o femmina: in bagno a scuola, o vedendo fratellini o sorelline, capiscono di essere diversi. In un simile momento evolutivo l’adulto svolge una funzione di conferma e di fornitore di senso: è, infatti, importante confermare il fatto che vi è una diversità sessuale e, nello stesso tempo, inserirla in un quadro che rimandi alla bellezza e alla ricchezza di questa varietà. In questo il rapporto tra i due genitori, maschio e femmina, funge da guida e da esempio. Se desideriamo giovani attenti e rispettosi di se stessi e degli altri, dobbiamo insegnargli sin da piccolissimi a esserlo, e questo lo si fa principalmente in famiglia, con l’esempio: genitori che sanno valorizzare le differenze e che si parlano con gentilezza, che curano il proprio corpo (senza eccessi, ma con attenzione e delicatezza), che desiderano mantenere privati degli spazi della casa (come la camera da letto), o dei momenti della giornata (come quelli dedicati all’igiene personale), o che dedicano tempo alla coppia... insegnano ai figli a fare lo stesso nelle loro relazioni attuali e future. Un clima familiare unito e relazioni affettive significative permettono insomma di costruire una configurazione sicura intorno al bambino-ragazzo che, quindi, lo aiuterà a crescere nell’autostima e nella sicurezza interiore.

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In tutto questo, quale ruolo riveste la scuola? La scuola oggi è notoriamente il luogo dove i nostri piccoli trascorrono numerose ore al giorno, in un contesto in cui ‘il villaggio’ è molto latitante nell’esecuzione del suo compito educativo verso le nuove generazioni. Diventa dunque centrale chiedersi se e come la scuola possa contribuire nello sviluppo di una sana sessualità. In questo ritengo che gli aspetti importanti siano due: il primo è che venga rispettato il ruolo della famiglia nell’educazione affettiva e sessuale, cercando una collaborazione nell’attuazione del principio di corresponsabilità educativa. Il secondo punto è il principio secondo cui, come educatori, è sempre necessario partire dal dato biologico: confermare e rassicurare cioè bambini e ragazzi, far notare loro che il corpo è fatto per un fine, ha un equilibrio, è una ‘macchina perfetta’. In questo modo si educano i giovani a riconoscere il valore e la bellezza della persona umana nelle sue uniche e insostituibili specificità. In sintesi, dunque, la scuola dovrebbe educare al rispetto di sé e dell’altro con attenzione ai tempi di maturazione psicofisica delle varie fasce di età, nonché secondo le esigenze e le capacità reali degli alunni. Buona sfida educativa a tutti noi!

La scuola può contribuire nello sviluppo di una sana sessualità rispettando il ruolo primario della famiglia in base al principio di corresponsabilità educativa; deve poi partire dal dato biologico per confermare e rassicurare bambini e ragazzi Nel periodo adolescenziale, con tutti i cambiamenti e gli sbalzi ormonali ed emotivi dai quali è segnato, com’è corretto che si pongano i genitori nei confronti dei figli? Nella fase dell’adolescenza, dove naturalmente il ragazzo sposta gli interessi relazionali dalla famiglia al gruppo di amici e all’altro sesso, credo sia fondamentale che i genitori conoscano e comprendano al meglio quali cambiamenti e modificazioni stanno per avvenire – o stanno avvenendo – nei loro figli. Sapere, ad esempio, che un figlio in adolescenza è soggetto a un importante sbalzo ormonale, non è dire cosa nuova. Tuttavia, vari comportamenti legati all’interesse verso la sessualità assumono un significato diverso se collocati in questa cornice. Pertanto, l’invito a tutti i genitori è quello di informarsi, leggendo e ascoltando fonti attendibili; e questo anche alla luce del fatto che in adolescenza – ma in fondo è così a ogni età – il bambino-ragazzo ha bisogno di sperimentare legittimazione e sostegno da parte dell’adulto. Quintilio Corbellini (1823 – 1905), Il pudore


24 N. 43 - LUGLIO 2016 Copertina del libro Il lato occulto della musica

Andrea Giovanazzi Prolife per passione e per indole, essendo tra gli ultimi nati in una famiglia di circa un centinaio di parenti tra zii e cugini!

Il lato occulto della musica Intervista a Emanuele Fardella, musicista appassionato ma che ha scoperto che la musica può veicolare messaggi subliminali insidiosi, se non addirittura nocivi di Andrea Giovanazzi La musica è uno degli strumenti che l’umanità ha saputo creare per migliorare la qualità e lo spessore della vita. È sicuramente uno strumento sublime di elevazione, anche verso il trascendente. Ma, come tutte le cose umane, può essere abusata: ci si può isolare e letteralmente istupidire, con le cuffie nelle orecchie a tutto volume, tutto il giorno; può divenire addirittura mezzo occulto di persuasione, di sopraffazione sulle persone più deboli. Ne abbiamo parlato con un amante della musica: Emanuele Fardella. Emanuele, benvenuto nella nostra Redazione. Potrebbe presentarsi ai nostri Lettori? Con molto piacere. Sono un blogger e scrittore freelance. Gestisco la pagina Facebook “Il Lato Occulto della Musica” e il blog oltrelamusicablog.com. Inoltre, ho all’attivo due saggi d’inchiesta pubblicati rispettivamente nel 2010 e nel 2013 e adesso, a distanza di qualche anno, ho appena pubblicato il mio primo romanzo. Quando ha iniziato a interessarsi della musica? Da molto piccolo. Ricordo ancora il primo pianoforte giocattolo che ricevetti a soli tre anni. Ho sempre avuto la musica nel DNA. Adesso ho trent’anni e di tempo ne è passato. Il periodo in cui mi interessai alla musica con un approccio più professionale coincide con l’adolescenza. Durante le vacanze estive, dopo la scuola, partivo per andare a lavorare nei villaggi turistici e lì cominciai a cimentarmi come deejay. Divenne poi un lavoro-hobby, che svolsi per diversi anni. Inoltre studiai canto e frequentai alcuni corsi di ballo. Insomma, la musica è sempre stata una componente importante nella mia vita.

Dall’interesse alla musica, alla ricerca dei reali messaggi che veicola. Quali sono stati i motivi che l’hanno spinta verso questo settore? Era il 2003, durante una festa suonai un pezzo di cui ricordo ancora il titolo: “Il gioco dell’amore” di Danijay feat Hellen. Questa canzone contiene dei messaggi subliminali (a scopo pubblicitario), fenomeno che fino allora disconoscevo, e un mio collega mi fece notare che se avessi ascoltato il disco al contrario avrei potuto scoprire dei messaggi nascosti. Ero incredulo e scettico. Feci la prova e così fu. Dopo aver ascoltato il backmasking, si aprì un mondo. Non dormii per notti intere. La musica, quella musica che per anni era stata la colonna sonora delle mie giornate, mi aveva tradito. Appurai con rammarico che la musica – che per me era intoccabile – poteva nascondere delle insidie. Dovetti quindi metterla in discussione e da allora decisi di approfondire l’argomento studiando il fenomeno in tutte le sue sfaccettature. In questi anni d’indagini, quali ricerche ha condotto? Tante. Sono partito dalla musica (origine dei messaggi subliminali, tecniche ed effetti) fino ad abbracciare tematiche sociali come l’ipersessualizzazione, il cyber-bullismo e il degrado generazionale nella società moderna. Ho letto tantissimo e continuo a farlo costantemente. Ho attinto molto dalla bibliografia americana, perché purtroppo in Italia ci sono pochissimi testi sull’argomento e quei pochi sono antiquati. Il fenomeno della musica come veicolo di propaganda è un processo in continua evoluzione, ma per combatterlo bisogna conoscerlo. Queste considerazioni furono alla base della mia decisione di scrivere il libro Il Lato Occulto della Musica,


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pubblicato nel 2004 e rieditato nel 2010 in una versione aggiornata e ampliata. Gli studi e le recenti ricerche mi portarono all’elaborazione di un secondo saggio d’inchiesta, Oltre la musica – Simboli e messaggi subliminali, pubblicato nel 2013, che mi diede l’opportunità di farmi conoscere alla trasmissione “Mistero” di Italia Uno. Adesso curo la pagina Facebook “Il Lato Occulto della Musica” e scrivo per il mio blog oltrelamusicablog. com, affrontando temi giovanili e non solo. Il 12 maggio, invece, è uscito il mio terzo libro, che affronta un tema tanto delicato quanto inquietante, come quello delle sette sataniche. Ho scelto di approcciarmi a questo argomento con la formula del romanzo, che si discosta volutamente dai miei saggi precedenti, al fine di ‘ammorbidirlo’ e renderlo di facile lettura.

La conoscenza e l’informazione sono le prime armi che abbiamo per combattere una propaganda ‘invisibile’: sono i nostri anticorpi

Quali sono state le scoperte più eclatanti? Le scoperte più clamorose riguardano il potere della musica. Ho sempre saputo che la musica è un mezzo influente, ma non immaginavo fino a che punto. D’altronde, se ci pensate, la musica viene utilizzata anche nella medicina, basta pensare alla musicoterapia: l’accostamento di determinati suoni, frequenze musicali, melodie possono portare a degli evidenti benefici fisici, così come, contrariamente, possono produrre effetti indesiderati. A suo avviso, vede una ritualità in tutto questo? Ahimè sì. Non potrò mai dimenticare le parole che Bob Pittman (fondatore di MTV) rilasciò al quotidiano Philadelphia Inquirer: “A MTV non bersagliamo i quattordicenni, li abbiamo in pugno!”. Spesso, per amor del denaro, questi colossi televisivi propinano di tutto, la trasgressione ad ogni costo che non stupisce più. È questo il problema: non ci si scandalizza più per niente, tutto è moda, tutto viene considerato arte e libertà di espressione ma, se si va oltre le apparenze, si nota che di arte c’è ben poco. Sono del parere che si tratti di una vera e propria propaganda a favore della corruzione giovanile: dall’ipersessualizzazione al ‘fai ciò che vuoi’. Non voglio creare allarmismi o gridare al complotto, vorrei solo proporre spunti di riflessione. Dopo la caduta della dittatura tantissimi adolescenti e giovani universitari continuarono a sostenere l’ideologia fascista. Sapete perché? Perché il regime, con una massiccia e insistente propaganda, era riuscito a conquistare la mente e il cuore dei giovani. Un legame che durò per anni. Tutte queste cose all’epoca erano sconosciute, guai a parlare di propaganda... e intanto la storia parla chiaro.

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Quindi non è poi così inverosimile pensare che dietro determinate correnti e ideologie ci possa essere una regia ben precisa. Bisogna fare un costante lavoro di sensibilizzazione, se non vogliamo trovarci tra qualche anno molto più lobotomizzati di quanto non lo siamo già. Lei parla e scrive chiaramente: ad oggi ha mai ricevuto pressioni? Dopo l’exploit di “Mistero”, sì. Potremmo definirla come una sorta di cyber-bullismo tutto virtuale, oltre ad alcune minacce che fortunatamente non si sono mai concretizzate. Adesso ne ricevo un po’ meno, tranne i soliti insulti degli scettici e di quei fans accaniti che difendono a spada tratta il loro ‘idolo’. Gesù ha subito pene peggiori ed era il figlio di Dio, io quindi posso anche sopportare qualche insulto, di certo non mi intimoriscono. In conclusione, ha un messaggio da lasciare ai nostri Lettori? Invito chiunque legga a farsi delle domande, a non sminuire il fenomeno né a debordare nell’allarmismo. Bisogna essere curiosi di una ‘curiosità sana’, quella che permette di chiederci cosa stiamo guardando, cosa stiamo facendo, cosa stiamo ascoltando. La conoscenza e l’informazione sono le prime armi che abbiamo per combattere una propaganda ‘invisibile’: sono i nostri anticorpi. E se vogliamo contrastare questo ‘caos’ dobbiamo necessariamente aumentare le nostre difese immunitarie, cominciando ad eliminare tutte le cose che possono essere nocive per il nostro cuore e per la nostra mente.

Emanuele Fardella blogger e scrittore italiano. Nel 2010 pubblica il suo primo saggio d’inchiesta “Il Lato Occulto della Musica” divenuto bestseller grazie al passaparola dei lettori. Nel 2013 viene intervistato per il programma televisivo Mistero di Italia 1 esponendo ed evidenziando il pericolo della propaganda occulta nella musica moderna e pubblica il saggio “Oltre la musica, simboli e messaggi subliminali”. Nel maggio 2016 pubblica il suo romanzo d’esordio di genere thriller-mystery “Insider, dentro la setta” in cui eventi e fonti veritiere si coniugano in un intreccio di straordinaria semplicità mentre il mondo sotterraneo delle sette farà da cornice a una misteriosa storia d’amore.


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Claudia Cirami Siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica.

RU486: c’è un antidoto al veleno La diffusione della RU486 è fortemente voluta dai cultori della morte. Ma intanto è stato trovato un antidoto in grado di salvare il bambino… di Claudia Cirami “L’aborto che non fa male”; “L’aborto non è invasivo”. La RU486 è sempre più descritta come quella possibilità che le donne hanno di ‘terminare una gravidanza’ indesiderata senza rischi per se stesse, in modo ‘indolore’ per il bambino espulso e senza ricorrere ai fastidi di un intervento. Un aborto pret-à-porter, insomma. Anzi, una IVG pret-à-porter, in questa cultura che fa roteare in aria le parole come un abile giocoliere, per confondere le idee. Ma la RU486 è davvero così innocua? Partiamo dal bambino. Innanzitutto, anche se si trova a uno stadio embrionale, la RU486 letteralmente lo conduce a morire di fame. Poiché la procedura relativa alla RU486 è costituita da due fasi, in cui si fa uso di due pillole diverse, la prima di queste – il mifepristone, somministrato alla madre entro il 50° giorno di gravidanza – va ad inibire la produzione di progesterone, nutrimento per il bambino. Nel luogo che dovrebbe essere per lui il più sicuro del mondo, l’utero della sua mamma, il bimbo viene dunque affamato fino a morire. Inutile sottolineare che la morte per fame non è affatto indolore: anche se la sua visibilità ci è preclusa, perché avviene nell’utero materno, è uno strazio che dura alcuni giorni. E la madre? Il ricorso ad una pillola può apparire alla donna meno doloroso di una rimozione chirurgica. Ci sono però dati che mostrano come, al di là dell’apparenza, la RU486 sia lo stesso causa di sofferenza per le donne. Come è stato già spiegato, l’aborto farmacologico prevede anche una seconda fase: l’assunzione di una seconda pillola – di solito il Misoprostol – dopo 24-48 ore dalla prima, se il bambino non è stato già espulso (è capitato anche questo). Cosa fa questo secondo farmaco? Porta l’utero a contrarsi per espellere il bambino ormai morto.

Una specie di parto, di cui la donna ignora il giorno, le modalità e, ovviamente, il luogo. Indolore? Se è come un parto, già s’intuisce che non possa essere privo di sofferenza. In un video, un ex medico abortista pentito, Anthony Levantino, mostra che l’espulsione del bambino morto può essere parecchio dolorosa e produrre un’emorragia che può richiedere anche un’ospedalizzazione per il suo prolungarsi. Riguardo al dolore avvertito, diverse ricerche hanno mostrato che una donna su quattro, facendo uso di RU486, ha provato un dolore di 9 o 10 in una scala da 0 a 10 (Wiebe, 2001) e che il 96% delle donne – percentuale ‘bulgara’, dunque – ha provato dolore se l’aborto è stato causato dalla pillola (Nguyen, 1999). E la morte della madre? Nemmeno questa può essere esclusa e ormai si contano diverse vittime nel mondo.

Con la RU486 – nel luogo che dovrebbe essere per lui il più sicuro del mondo, l’utero della sua mamma – il bimbo viene affamato fino a morire Riguardo alle cause dei decessi, oltre alla già citata emorragia, si sono verificate infezioni da Clostridium Sordellii, da Clostridium Perfringens, da Streptococco, e, ancora, rottura tubarica e porpora trombotica trombocitopenica. Monty Patterson, che ha perso la figlia Holly a causa della RU486, ha creato il sito Abortion Pill Risks e anche un video su YouTube per spiegare i pericoli legati all’assunzione della pillola. Persino alcune femministe abortiste, tra le quali Renate Klein, si sono schierate contro la RU486, proprio per i


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pericoli per la salute della donna (specialmente – come sostengono – nei Paesi più poveri, dove le donne non sempre possono contare sul pronto intervento medico che può salvare loro la vita dalle complicazioni). Sembra inoltre aprirsi la strada all’idea di ‘aborto casalingo’. Non era proprio per la soppressione dell’aborto clandestino che si diceva di voler lottare al fine di tutelare maggiormente le donne? In Italia l’aborto tramite RU486 avviene attualmente in ospedale. Ma nessuno può impedire alla donna, tra l’assunzione del mifepristone e quella del misoprostol, di firmare per andare a casa. Non succede? Basta leggere qualche testimonianza sul web per capire che invece accade, come del resto avevano già mostrato i primi dati sulla sperimentazione del farmaco in Italia.

Persino alcune femministe abortiste si sono schierate contro la RU486, proprio per i pericoli per la salute e la vita della donna Il passaggio è sottile, ma di enorme portata: ci si sta avviando, progressivamente, verso la normalizzazione dell’aborto via RU486. Con quali conseguenze future, visto che, alla fine, si tratta solo di assumere una pillola? Non si sta forse rendendo inevitabilmente semplice la prospettiva di un aborto fatto entro le mura di casa? In una lettera scritta nel dicembre del 2015 al Ministro Lorenzin, AMICA (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto) si è così espressa: “Le chiediamo di adoperarsi per rendere accessibile l’interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall’articolo 8 della legge 194, o, quando necessario in regime di Day Hospital e non, come oggi avviene nella maggior parte dei casi, in regime di ricovero ordinario”. Il motivo? Risparmiare su un ricovero di più giorni. “Perché dunque – scrivono – in Italia dobbiamo ancora occupare un letto ospedaliero quando non ve ne è necessità? Le risorse finanziarie così risparmiate potrebbero entrare a far parte degli investimenti da Lei stessa auspicati, fra tutti il potenziamento della rete dei consultori e un più facile accesso alla contraccezione, onde evitare le gravidanze indesiderate e concretamente il ricorso all’aborto”. Come già accade in Toscana, dove il Consiglio Regionale della Sanità ha deciso che la donna può assumere la prima pillola in consultori e

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poliambulatori, rimanere due ore e poi andare a casa (per poi ritornare per assumere la seconda pillola). Date queste premesse, è tanto improbabile ipotizzare che in un futuro non molto lontano la RU486 possa essere assunta a casa, come una normale pillola, con eventuale corsa in ospedale solo all’insorgere di complicazioni? In tutto questo quadro desolante c’è, però, una buona notizia: fermare la procedura mortuaria innescata dalla RU486 è possibile. È dal 2007 che tre dottori, Matthew Harrison, George Delgado e Mary Davemport, hanno fornito alle donne la possibilità di tornare indietro con un antidoto – iniezioni di progesterone, invece di assumere la seconda pillola, da continuare fino al terzo mese di gravidanza – che riattiva il nutrimento per il bambino e funziona nel 55% dei casi. Nel sito abortionpillreversal.com, vengono date risposte alle domande più comuni ma è possibile persino chiedere il pronto intervento di volontari. In alcuni luoghi degli Stati Uniti – Arizona, Arkansas e Sud Dakota – ci sono disposizioni che permettono alla donna di venire a conoscenza della possibilità di tornare indietro e salvare il proprio bambino. Che non è ‘materiale gravidico’, come scrivono alcuni, ma è appunto una persona, nella fase embrionale. Ovviamente le lobby abortiste non stanno certo a guardare e, per dissuadere le donne, sostengono che i bambini nascono con problemi di salute. In realtà, però, l’American Association of Pro-Life Obstetricians and Gynecologists è intervenuta dicendo che non ci sono pericoli per il bambino. Ben venga il lavoro di questi medici, grazie al quale un numero consistente di bambini, che già supera le duecento unità, è stato salvato da morte certa. Forse, in un’Italia che si sta avviando sempre di più verso l’apocalisse demografica, come ha detto anche il ministro Lorenzin a La Repubblica, sarebbe il caso di dare più risalto a queste buone notizie salvavita.

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28 N. 43 - LUGLIO 2016 Copertina del libro La separazione e il divorzio

Francesco Agnoli Bolognese d’origine, risiede a Trento. Sposato, è padre di quattro figli. Storico e saggista, è docente di Liceo e collabora, tra gli altri, con Il Timone, Radio Maria e Libero. Autore di diversi libri, nel 2013 ha ricevuto il premio “Una penna per la Vita”.

Bambini spezzati La vulgata proclama a gran voce che per i bambini è meglio il divorzio, piuttosto che le liti continue dei genitori. Ne siamo davvero sicuri? di Francesco Agnoli Per promuovere l’approvazione di leggi divorziste, la vulgata proclamava a gran voce che per i bambini sarebbe stato meglio il divorzio, piuttosto che le liti continue dei genitori. Insomma, la separazione aveva – secondo la propaganda – quasi una funzione ‘riparatrice’ di ferite che i figli altrimenti non avrebbero potuto rimarginare. Oggi, a distanza di qualche decennio dalla sua legalizzazione, ci si rende conto che il divorzio danneggia i bambini più gravemente di quanto non faccia la morte dei genitori. Questo è quanto conclude uno studio pubblicato dalla Virginia Commonwealth University e dall’Università di Tokyo (Takeshi Otowa et al., The Impact of Childhood Parental Loss on Risk for Mood, Anxiety and Substance-Use Disorders in a Population-Based Sample of Male Twins, Psychiatry Research 220 [2014]: 404-9). Lo studio, che è stato condotto su quasi 3.000 gemelli, ha evidenziato che i figli dei divorziati hanno manifestato disturbi e malattie mentali in numero decisamente maggiore rispetto ai bambini rimasti orfani di un genitore. I ricercatori hanno studiato i collegamenti statistici tra la perdita dei genitori (sia per morte, sia per divorzio) e sette disturbi psichiatrici gravi che conducono a pericolo di vita: depressione, disturbo d’ansia, fobie, attacchi di panico, dipendenza da alcol, abuso di farmaci e tossicodipendenza. In parallelo, oltre ad aver evidenziato che il divorzio produce di gran lunga maggiori casi di malattie mentali della morte di un genitore, gli studiosi hanno concluso che non c’è rilevante differenza tra i casi in cui il bambino resta col padre e quelli in cui resta con la madre. L’unico dato più frequente

nei bambini abbandonati dalla madre, rispetto a quelli che sono stati lasciati dal padre, è l’abuso di sostanze alcoliche. Gli studiosi, infine, hanno rilevato forti evidenze sul fatto che il trauma per la morte dei genitori persiste per un tempo relativamente più breve rispetto alle conseguenze del divorzio. Analoghe conclusioni sono state tratte dai ricercatori dell’Università di Toronto – pubblicate anch’esse sul Psychiatry Research – secondo i quali i figli di genitori divorziati, in età adulta, sono più facilmente propensi al suicidio di quelli che hanno avuto una famiglia stabile. Il dato trova ulteriore conferma anche in un libro pubblicato dal Telefono Azzurro “La separazione e il divorzio” .

Diversi studi statistici e una pubblicazione del Telefono Azzurro mostrano le tragiche conseguenze che ha il divorzio sui figli. Lo si evince anche con il buon senso, ma nessuno dà alla cosa adeguata risonanza

Da un lato gli adulti sono ormai travolti dalle conseguenze di una mentalità divorzista, che li abbandona nella più profonda solitudine di fronte alle umane difficoltà che inevitabilmente nascono nel corso di una convivenza matrimoniale. Dall’altra ci sono i figli: dicono gli esperti del Telefono Azzurro che “la separazione dei genitori è uno degli eventi più stressanti che un bambino possa vivere […].


Notizie

Famiglia ed Economia

I figli di una coppia che ha fallito il proprio progetto matrimoniale tendono spesso a vivere la rottura del nucleo familiare come un’ingiustizia […]. Il primo pensiero che attraversa la mente di un bimbo quando apprende che mamma e papà non vivranno più insieme è inevitabilmente di abbandono”. Ne nasce una “paura che può essere dirompente, che precipita nell’angoscia […]; durante e dopo la separazione può succedere che i figli diventino ansiosi, irritabili, depressi; possono piangere senza motivo, avere dolori allo stomaco, soffrire di insonnia, andare male a scuola, comportarsi in modo aggressivo”: si tratta di un “dolore fortissimo, come un lutto”. Attacchi di panico, tristezza, depressione, e spesso un profondo ‘“senso di colpa”, unito a un “senso di frustrazione legato all’inutilità dei propri sforzi”, aumentano con “l’arrivo di un nuovo compagno”, ovviamente incapace di sostituire il vero genitore.

Tra i figli dei divorziati l’incidenza di gravi patologie psichiatriche o del suicidio in età adulta è maggiore che tra coloro che hanno avuto una famiglia stabile Il fatto che l’essere figli di divorziati sia una condizione molto diffusa non significa nulla. Non vale il detto “mal comune mezzo gaudio”, insomma: ci sono, infatti, più di un milione di “minorenni che vivono la condizione di ‘figli di genitori separati’… ma la condizione di ‘quasi normalità’ a livello sociale non serve certo a ridurre

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il peso di quello strappo, delle lontananze tra padre e madre, spesso in situazioni di aperta conflittualità, nelle quali i figli diventano terreno di scontro principale tra i due ex coniugi. Di questo disagio, di questa sofferenza, di questa frequente incapacità dei bambini di adattarsi alla nuova condizione sono testimoni gli operatori del Telefono Azzurro che sempre più di frequente devono far fronte alle domande e alle richieste di figli di separati in difficoltà. Sentimenti di tristezza, rabbia, abbandono e confusione si manifestano nei più piccoli, mentre tali emozioni si riducono con la crescita, lasciando piuttosto spazio a manifestazioni di problematicità caratteriale nell’adolescenza”. Non dovrebbe servire la ricerca scientifica a confermare ciò che il buon senso insegna. Ogni essere umano ha bisogno di stabilità. E questa esigenza normalmente è soddisfatta dalla famiglia, il luogo dove si impara la convivenza sociale, la solidarietà, il rispetto e la ricchezza della diversità (varietà generazionale tra bambini e adulti, varietà sessuale e psicologica tra il padre-maschio e la madre-femmina, la varietà dei ruoli e delle funzioni). Se la famiglia è forte, equilibrata, capace di trasmettere serenità e sicurezza al bambino, egli potrà sviluppare appieno gli aspetti positivi della sua personalità. Altrimenti egli si trova, come tanti giovani che hanno patito il divorzio dei genitori, a vivere una condizione di precarietà e di fragilità fortissime, con una vita dilaniata, in casa, dall’incertezza e dalla conflittualità, che dopo il divorzio non scompare per niente, ma si trasferisce sul figlio stesso, che diventa spesso il campo di battaglia dei due genitori.


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