Provita maggio 2013

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Notizie

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Rivista Mensile N. 5 - Maggio 2013

Infosportpagine

“nel nome di chi non può parlare”

Gaude, Mater Polonia!

Sente dolore il feto nel pancione? Risponde Carlo Bellieni

In Belgio, eutanasia per tutti

Intervista a Pavel Wosicki, leader pro-life: “Gli attacchi ingiustificati delle lobby internazionali hanno l’effetto contrario sul popolo polacco”


- Sommario -

Notizie

Editoriale 3 Notizie dall’Italia Notizie dal mondo

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Primo Piano La Polonia e la Vita

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Antonio Brandi

Sente dolore il feto nel pancione?

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Carlo Bellieni

Eutanasia per tutti, grandi e piccoli

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Irene Bertoglio

RIVISTA MENSILE N. 5 - MAGGIO 2013 Testata Infosportpagine-ProVita Editore MP cooperativa giornalistica Sede legale Via Marlengo 49/b, 39012 Merano (BZ) Autorizzazione Tribunale BZ N6/03 dell’11/04/2003 Codice ROC MP 12603 Redazione Mario Palmaro, Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Largo della Caffarelletta 7, 00179 Roma. Tel/fax: 06-3233035 Direttore Responsabile Francesca Lazzeri Direttore Editoriale Francesca Romana Poleggi

Attualità

Direttore Amministrativo Beniamino Iannace

Suicidio e gravidanza

6

Marta Buroni

Uguaglianza che uccide

7

Alberto Calabrò

La Vigna di Rachele, la forza salvifica del perdono

8

Marco Respinti

Aborto in caso di stupro? No, grazie

9

Virginia Lalli

Per salvare una vita, basta volerlo

10

Anna Maria Pacchiotti

Negli USA il partito pro aborto sta perdendo terreno

per un aggiornamento quotidiano:

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Erica de Ponti

Una responsabilità collettiva, una posizione cosciente 18 Don Matteo Graziola

19

Francesca Romana Poleggi

Evangelium Vitae, seconda parte

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Mons. Giuseppe Tonello

Famiglia ed Economia Ripartire dall’educazione

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Irene Frondoni

I piccoli davanti a Internet Giorgia Petrini

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Distribuzione MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Rapida Vis, Via Cadlolo 90 - 00136 Roma

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Aldo Vitale

La notizia che non fa notizia

Tipografia Eticart srl, via Garibaldi 5, 73011 Alezio

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero Carlo Bellieni, Antonio Brandi, Irene Bertoglio, Marta Buroni, Erica de Ponti, Alberto Calabrò, Irene Frondoni, Virginia Lalli, Don Matteo Graziola, Anna Maria Pacchiotti, Francesca Romana Poleggi, Giorgia Petrini, Marco Respinti, Palma Scolieri, Mons. Giuseppe Tonello, Aldo Vitale.

Scienza e Morale Naprotecnologie

Progetto grafico Massimo Festini

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Palma Scolieri

Perché la bioetica

Segretaria di Redazione Camilla Tincani

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www.prolifenews.it Prezzo: 3,50 euro Abbonamenti: Semplice 30,00 euro Sostenitore 60,00 euro Benefattore 100,00 euro Patrocinatore 250,00 euro

Per abbonamenti, acquisti e donazioni Conto Corrente presso Banca Popolare di Puglia e Basilicata IBAN IT94 X053 8515 0000 0000 0003 442 oppure Conto Corrente Postale n.1009388735 intestati a M.P. Società Cooperativa Giornalistica a.r.l. L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.


Editoriale

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Editoriale

Gaude, Mater Polonia!

“Gioisci, Madre Polonia!” è un inno del medioevo che i cavalieri polacchi avevano l’usanza di cantare dopo una battaglia vittoriosa. Abbiamo deciso di dedicare questo numero alla Polonia perché il terzo millennio la vede sul fronte della Vita. Come disse il Beato Giovanni Paolo II: “La Polonia è la patria di oltre 35 milioni di connazionali, è al centro dell’Europa, è una nazione battezzata più di mille anni fa, è un mare di sofferenze, di errori e di sconfitte, ma anche di vittorie, di successi e spesso di idee e compimenti esemplari nella famiglia umana. Non è possibile accogliere tale eredità se non in ginocchio”. Nel Giugno del 2011 grande successo ha avuto una petizione che ha raccolto quasi mezzo milione di firme in un paio di settimane per chiedere il divieto di aborto: un numero quasi cinque volte superiore al necessario per le petizioni popolari. Purtroppo la legge non è passata al Sjm, il parlamento Polacco, per soli 5 voti: le lobby omosessualiste, femministe e abortiste sono forti e ricche anche in Polonia! Pavel Wosicki, presidente delle organizzazioni Pro Life polacche, denuncia, nella sua intervista alle pagine 13 e 14, che i grandi media cercano di presentare la Polonia come un paese arretrato, per il suo spirito pro vita. Nonostante che il diritto all’aborto non sia contemplato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Corte di Strasburgo, appoggiata dai media, cerca di costringere la Polonia a passare una legge che renda più agevole l’aborto in ogni circostanza ed ha già condanna-

to lo Stato Polacco a pagare 61.000 euro a una giovane, che ha abortito secondo le regole vigenti, per essere stata sottoposta “a trattamento inumano e degradante”. L’ultimo Governo purtroppo si è mostrato piuttosto sensibile alle sirene politicamente corrette e conformiste che dominano in ambito U.E. Per esempio, il Ministero polacco della Pubblica Istruzione e quello della Salute hanno organizzato con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e Planned Parenthood un convegno per dettare le linee guida delle nuove “Norme di educazione sessuale in Europa”, che promuovono in modo nefasto la sessualizzazione precoce dei bambini. Nonostante queste enormi pressioni, il popolo polacco preferisce la Vita. Le ultime statistiche indicano, infatti, che il sostegno a favore del diritto alla vita è fortemente aumentato e gli attacchi delle lobby internazionali hanno l’effetto contrario sui Polacchi, provocandone la fiera indignazione. Nel 1992, il 26% dei polacchi approvava l’aborto, oggi solo il 16%. In Polonia, i cattolici sono veri cattolici, non hanno paura di battersi per la Verità, seguono l’insegnamento di S.E. Il Cardinale di Cracovia, Stanislaw Dziwisz quando dichiara che “La Chiesa insegna chiaramente che i cattolici sono obbligati a non accettare il compromesso, ma a puntare alla protezione totale della Vita”. Tuttavia non ci stanchiamo di ripetere che la battaglia per la Vita non è un monopolio cattolico ma di tutti gli uomini veri. Ricordiamo cosa disse Mahatma Gandhi: “Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto è un crimine”, e cosa disse il non credente Pier Paolo Pasolini: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio.” Superiamo le nostre differenze e battiamoci tutti - cristiani, credenti di altre religioni e non credenti contro l’aborto, che è il più ignobile degli omicidi, perché perpetrato contro una persona inerme, incapace di difendersi. Antonio Brandi


Notizie dall’Italia

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Notizie dall’Italia

4 Il 27 aprile, l’Ospedale Civile Fornaroli di Magenta ha ospitato il convegno: “Il tempo del dono: scienza, etica e diritto per la vita nascente” organizzato dalla scuola itinerante di formazione dell’AIGOC, l’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici, presieduta dal Prof. G.Noia. Lo scopo del convegno è stato quello di riflettere sul “talento del tempo” che abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo rendere conto e sul dono inestimabile della vita, coniugando la ragione scientifica, giuridica ed etica, insieme alla ricerca della verità della persona umana, della sua preziosità e bellezza, con onestà intellettuale, contro approssimazioni e falsità ideologiche. Il Timone, noto mensile di apologetica cristiana che si è sempre schierato senza se e senza ma dalla parte della Vita, organizza delle giornate di formazione molto interessanti. Prossimamente, a Roma, la “Giornata del Timone” si terrà il 15 giugno presso il Centro Nazareth, in via Portuense 1019. Sarà coordinata dal Centro Culturale “Amici del Timone Fides et Ratio” (www.iltimone.org), in collaborazione col CAV Palatino. La Santa Messa, alle 11.30, sarà celebrata da S. E. R. Cardinale Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Nel pomeriggio interverranno la scrittrice Costanza Miriano, e Mons. Gino Reali, Vescovo della diocesi di Porto-Santa Rufina. Al termine della giornata il direttore Gianpaolo Barra consegnerà il premio “Testimoni” allo scrittore e giornalista Rino Cammilleri. Dopo il caso del San Paolo di Bari, anche nel reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Perrino di Brindisi tutti i medici sono diventati obiettori di coscienza. Prendiamo nota del fatto con immensa soddisfazione e con buona pace delle vibrate proteste della Fp Cgil di Brindisi.

La Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali (ISSCR), presieduta da Shinya Yamanaka, premio Nobel per la medicina nel 2012, ha diffuso un comunicato ufficiale in cui critica apertamente il decreto legge caldeggiato dal ministro Balduzzi che autorizza i trattamenti con il metodo cd. Stamina. Il metodo basato su cellule staminali mesenchimali (embrionali) secondo il Nobel, manca di sicurezza e di efficacia scientifica. E di fondamento etico. Presso la Biblioteca comunale di Giaveno, il Centro Accoglienza alla Vita “L’Annunciazione” ha organizzato un seminario di formazione dal titolo “L’aborto fa male: a chi? Perché?”. Marilena Ruiu, psicologa e psicoterapeuta, partendo dalla conoscenza e accettazione di sé, ha affrontato i temi riguardanti l’affettività, il dono di sé all’altro e quindi i figli. A volte però, questi doni vengono visti come ostacoli e scogli insormontabili. Si sceglie quindi la via apparentemente più semplice dell’aborto. Ma l’aborto in verità comporta conseguenze devastanti per la mamma. E per il padre del bambino.

“Le nuove frontiere dell’aborto: le pillole di emergenza” questo il tema trattato nell’incontro pubblico organizzato dal Centro di Aiuto alla Vita di Pesaro nello scorso mese a Palazzo Montani Antaldi. Ha partecipato la dott.ssa Emanuela Lulli, ginecologa e segretario nazionale dell’associazione Scienza & Vita, che ha spiegato gli effetti e i rischi connessi all’uso delle pillole abortive, vista la scarsissima conoscenza del loro meccanismo d’azione. La conferenza ha concluso il corso di formazione intitolato “Incontrare la vita”, promosso dal Cav in collaborazione con “Scienza e Vita”, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e il sostegno del CSV Marche. Il numero di aprile del Bollettino di Dottrina Sociale della Chiesa, pubblicato dall’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan (www.vanthuanobservatory. org), è incentrato sull’ideologia del genere che è definita come “la fine del genere umano”. Essa, infatti, mina non solo le fondamenta della famiglia ma la stessa concezione della natura umana. Segnaliamo ai nostri lettori, in particolare, i contributi della biologa Marisa Levi, di Elizabeth Montfort, presidente dell’Association Nouveau Féminisme Européen, della professoressa e giornalista Assuntina Morresi, della dottoressa Chiara Mantovani, di Scienza e Vita, e di don André-Marie Jerumanis, professore di teologia a Lugano.

Il Centro di Aiuto alla Vita dell’Ospedale Mangiagalli di Milano da giugno rischia di chiudere: il Comune non versa un solo euro per sostenerlo. Sei donne su dieci abortiscono per motivi economici, anche perché spesso non trovano nessuno disposto a dare loro una mano. Finora il CAV, fondato nel 1984, ha salvato almeno 19 mila bambini, anche se i volontari preferiscono sottolineare che coloro che hanno salvato quelle vite veramente sono state le madri: donne coraggiose che si sono lasciate aiutare a scegliere la vita, e mai se ne sono pentite. Il Tribunale civile di Milano ha provato a dare l’ennesima spallata non solo alla legge 40, ma all’antropologia che la sottende, ricorrendo alla Suprema Corte: tale norma lederebbe la possibilità di ogni coppia di avere una libera vita familiare, perché non consente la fecondazione eterologa, neanche alle coppie portatrici sane di gravi patologie. La legge deve sancire il diritto all’autodeterminazione della coppia: ma avere un figlio è un diritto? O è un diritto non averlo più, quando non se ne abbia più voglia? Oppure, il figlio non è come lo vogliamo davvero, e quindi “abbiamo il diritto” di buttarlo via?


Notizie dal mondo

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Abby Johnson, direttrice della clinica per aborti di College Station, Texas, per anni, con sdegno, ha assistito dalla finestra del suo ufficio alle veglie di preghiera organizzate dall’associazione “40 Days for life”. Poi un giorno, come un miracolo, si è licenziata e – sinceramente pentita – è divenuta un’attivista pro life. Almeno altre 45 persone, come Abby, negli ultimi 6 mesi hanno abbandonato l’industria dell’aborto, grazie a “40 Days for Life”, o meglio, grazie alla preghiera.

Tutti ricordano la foto del braccino di Samuel Armas, che stringeva il dito del dottore che lo operava mentre era ancora nell’utero: anche Annabelle Hall, che ora ha 6 mesi, è stata operata per una cisti all’interno dei polmoni, quando era ancora nel grembo materno, al Children’s Hospital di Colorado. In questo caso, però, la bimba è stata quasi completamente estratta dall’utero, e dopo l’operazione riposizionata felicemente al suo posto. Dai primi anni ’80 gli interventi sui bimbi in utero sono stati sempre più perfezionati: oggi un centro specializzato come l’ospedale pediatrico di Colorado, ne opera circa una dozzina l’anno. Il governo in Spagna ha annunciato una prossima riforma volta a limitare il diritto all’aborto, previsto nella legge approvata nel 2010 dal precedente esecutivo socialista. Promessa in campagna elettorale dal capo del governo Mariano Rajoy, la riforma sarà presentata “rapidamente’’, ha detto il ministro della Giustizia, Alberto Ruiz Gallardon, secondo il quale la vita “è un diritto inalienabile’’ e “il rischio per la sanità fisica e psichica non può essere considerato un pretesto per non proteggere la vita dei neonati’’.

Due lesbiche australiane hanno pubblicato le foto del figlio adottivo di sei anni travestito da ragazza su Facebook. Il tribunale dei minori del New South Wales ha immediatamente tolto l’affidamento alla coppia, rimosso le immagini da Facebook e avviato un’indagine sull’agenzia di adozioni che ha permesso l’assegnazione del minore alle due donne. A esse era stata affidata anche una bambina più grande, di 12 anni, che da subito aveva rifiutato la convivenza con le due signore. La madre naturale del bambino aveva tentato di riottenerne la potestà, ma le era stata negata.

Gli ovuli umani sono probabilmente il bene più prezioso del pianeta, ormai. A donne universitarie molto intelligenti e belle vengono offerti 50.000 dollari americani o più per i loro ovuli. Se le femministe fossero davvero “per” le donne dovrebbero inorridire e far sentire la loro voce di fronte all’ennesima mercificazione delle donne e del loro corpo. Già le povere, nel mondo in via di sviluppo, sono vittime di questo sfruttamento che comporta gravi pericoli di salute, senza che nessuno dei “politicamente corretti” parli in loro favore. Intanto la California sta discutendo una proposta di legge per aprire un mercato di ovuli umani per l’uso in biotech (attualmente non consentito). Nuovi dati statistici emersi da un sondaggio nazionale rivelano che il 53% degli Americani sono contrari al 99% degli aborti. Il sondaggio è stato commissionato dal Comitato National Right to Life alla Polling Company. La società ha svolto le interviste tra il 28 febbraio e il 3 marzo scorsi: hanno risposto 1000 persone. Anche coloro che si definivano pro choice (circa la metà degli intervistati), di fatto si sono dichiarati contrari alla pratica dell’aborto. La prestigiosa università di Yale, negli Stati Uniti, sta preparando una conferenza che riunisce attivisti per i diritti degli animali, e appassionati di “potenziamento umano” che sono interessati ai diritti dei robot e degli alieni. “Personalità oltre l’umano” sarà patrocinato dall’Istituto per l’Etica e le Tecnologie Emergenti, il Nonhuman Rights Project e il Centro Interdisciplinare di Yale per la Bioetica. Tra i relatori Peter Singer e un leader dei diritti degli animali, Steven M. Wise. Come commentare una tale notizia? Forse si può solo consigliare agli organizzatori di invitare anche qualche bravo padre esorcista.

Notizie dal mondo

I giudici irlandesi che hanno indagato sul caso di Savita Halappanavar, morta il 28 ottobre scorso nell’ospedale di Galaway, hanno concluso le indagini confermando quello che le persone in buona fede dicevano fin dall’inizio: la tragica morte della signora, incinta di 17 settimane, è avvenuta per una grave infezione che non è stata rilevata in tempo da apparecchiature mal funzionanti, mal gestite dai medici responsabili: il presunto “aborto negato” non c’entra proprio niente. Anche il perito di parte, assunto dal vedovo della signora Savita, è giunto alle stesse conclusioni.


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Attualità

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Suicidio e gravidanza La legge 194 e le ideologie che la pervadono permettono l’aborto in caso di pericolo di vita della madre, comprendendo nella fattispecie l’ipotesi di suicidio. A una simile norma l’Irlanda si oppone con dati scientifici.

C

he la minaccia di suicidio di una mamma in attesa sia da considerare un fattore di rischio per la vita della madre e autorizzi quindi il ricorso all’aborto, è una delle ipotesi affacciatesi, con il sostegno di alcuni politici, nel dibattito in corso per l’apertura legislativa della cattolica Irlanda all’aborto, “limitato” ai casi in cui la donna sia in grave pericolo di vita. Si tratta di un orientamento aperto da una sentenza della Corte Suprema nel 1992, senza che la regolamentazione in materia fosse mai stata portata a termine, e che ora il Governo riprende nella volontà di definire una legge sull’interruzione di gravidanza, illegale in Irlanda per Costituzione. Ma tra i casi in cui una donna possa effettivamente considerarsi in pericolo di vita, vi è anche il suicidio annunciato o minacciato? La legalizzazione dell’aborto che contempli anche questo tra i fattori di rischio si teme possa aprire nuovi

scenari: se basterà che una donna minacci di suicidarsi per ottenere un aborto legale, di fatto, si rischia di autorizzare l’aborto ‘a richiesta’. E «l’aborto non può essere una risposta all’intenzione suicidaria», hanno osservato i vescovi cattolici irlandesi. Per la comunità medica irlandese l’interruzione di gravidanza non è «medicalmente necessaria per salvare la vita di una madre» e il divieto di aborto non influisce in alcun modo sulla disponibilità di fornire cure ottimali per le donne in stato di gravidanza: numerosi studi hanno messo in luce come il tasso di mortalità materna sia correlato non già alla legalizzazione dell’aborto, bensì alla qualità delle cure e dei servizi alla maternità. E, infatti, l’Irlanda è uno dei Paesi che vanta tra i più bassi tassi di mortalità materna a livello internazionale (al primo posto nel 2005, al terzo nel 2008). E dove si hanno elevati standard di assistenza sanitaria e di protezione della mamma e del feto. La professoressa Patricia Casey, docente di Psichiatria presso l’University College Dublin, in risposta al Committee on Health and Children on abortion and suicide, ha spiegato che il suo Paese non ha bisogno di una legge del genere: ha dimostrato statisticamente in uno studio condotto su tre ospedali di maternità a Dublino che in sessanta anni, dal 1950 e al 2011, non vi sono stati casi di suicidi per gravidanza e che gli unici 5 suicidi di donne incinte non sono correlati con la gestazione. Questo dimostra anche che le donne ottengono le cure ne-

L’aborto non può essere una risposta all’intenzione suicidaria. cessarie, quando sono depresse e che hanno intenzioni suicidiarie. E i Colleghi del St. Patrick’s University Hospital, il principale ospedale psichiatrico irlandese, sostengono che non ci sono prove che «l’interruzione di gravidanza sia un trattamento efficace per un disturbo o una difficoltà di salute mentale». In 40 anni di esperienza clinica del dottor John Sheehan del Rotunda Maternity Hospital, l’aborto non poteva servire neanche «per un solo caso di donna con l’istinto suicida». Ancor più, come sostenuto da Kevine Malone psichiatra del St. Vincent Hospital, in considerazione del fatto che il suicidio non è prevedibile con la precisione necessaria al legislatore, una legge di tal fatta piuttosto porterebbe a «legittimare inspiegabilmente e normalizzare il suicidio a determinate condizioni, solo per le donne». L’aborto dunque non è un trattamento per alcun problema di salute psichica o di comportamento ed è un inganno per le donne far credere che sia l’unica soluzione in risposta a intenzioni suicide. Soprattutto quando è dimostrato, piuttosto, che l’aborto in se stesso può portare a pensieri suicidari e problemi di salute mentale. Marta Buroni


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L’eguaglianza che uccide

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Negli USA alcuni ritengono che il diritto all’aborto, libero, sempre, garantisca la parità fra i sessi.

iamo all’incapacità totale di considerare situazioni di fatto e dar loro un peso relativo. Negli USA gli attivisti del movimento in difesa dell’aborto legalizzato hanno estratto un nuovo coniglio dal cilindro: l’aborto sarebbe buono e giusto poiché baluardo della libertà dei sessi; a dover sopportare l’onere di una gravidanza - com’è ovvio - è sempre una donna. Dato che gli uomini sono naturalmente dispensati da questo gravoso compito, bisognerebbe consentire – senza restrizioni, senza particolari motivazioni che giustifichino la scelta – a qualsiasi donna di abortire. Tu, uomo, non partorisci? Bene, nemmeno io. Evviva la parità dei sessi. Parrebbe il solito ragionamento all’americana, la solita sparata buttata lì. Lo sarebbe, se il Presidente Obama non avesse avvalorato questa immane bestialità rilasciando la seguente dichiarazione: “Dobbiamo essere certi che le nostre figlie abbiano gli stessi diritti, opportunità e libertà dei nostri figli di poter seguire i loro sogni.” Ma sì, noi siamo in Italia. Noi abbiamo la Costituzione che prevede pacificamente che ci possano essere diversità purché naturali, non imposte - tra essere umano ed essere umano, e che in tal caso sia compito dello Stato rimuovere qualsiasi ostacolo che possa impedire, a causa di queste, il pieno sviluppo della persona umana. Eguaglianza sostanziale, si chiama. E siccome la riproduzione è necessaria,

pena l’estinzione del genere umano, nella nostra società è da escludere che la parità tra uomo e donna possa raggiungersi attraverso la soppressione di questa; semmai saranno adottati provvedimenti statali atti a tutelare le donne madri a livello economico, lavorativo e sociale. Abbiamo la scienza medica, che nel suo orientamento maggioritario riconosce l’inizio della vita umana fin dalla fusione tra uno spermatozoo e una cellula uovo. Abbiamo la nostra Corte di Cassazione, che in una Sentenza del 2009 afferma testualmente: “Il concepito, pur non avendo una piena capacità giuridica, è comunque

Secondo alcuni, dato che gli uomini sono naturalmente dispensati dal gravoso compito della gestazione, bisognerebbe consentire sempre a qualsiasi donna di abortire: per par condicio!

un soggetto di diritto, perché titolare di molteplici interessi personali riconosciuti dall’ordinamento sia nazionale sia sovranazionale, quali il diritto alla vita, alla salute, all’onore, all’identità personale, a nascere sano”. Abbiamo il diritto europeo e la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che vietano la brevettabilità di qualsiasi invenzione che preveda l’utilizzo di embrioni umani – e vietando l’uso di embrioni per scopi scientifici, ad maiora se ne vieta la soppressione sistematica – e la precisazione che “costituisce un «embrione umano» qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi.” Siamo colti, noi, e la filosofia ci racconta da millenni come l’essere rimanga sempre uguale a se stesso pur mutando continuamente nelle forme; è il panta rei di Eraclito, il nascituro si fa infante, che si fa adulto, quindi anziano; ma resta sempre un essere umano. Abbiamo, però, la legge 194 che, al suo art. 4, consente a ogni donna gravida di abortire per qualsiasi motivo. Formalmente dei limiti ci sono, ma sono facilmente eludibili. E questo è concesso da oltre trent’anni. Prepariamoci, l’America non è poi lontana come sembra. Alberto Calabrò


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La Vigna di Rachele, la forza salvifica del perdono L’associazione, che da 20 anni cura la sindrome post aborto, è presente in decine di nazioni in tutto il mondo: le madri distrutte per aver scelto la morte delle proprie creature, invece, alla cultura abortista non risultano mai.

S

empre più spesso si sente parlare di “diritto alla salute riproduttiva”. È il trucco semantico con cui l’aborto viene celato dietro l’idea che prima viene la madre poi semmai il figlio. Ma quella dell’aborto è sempre una non-gara, dove a perdere sono costantemente sia la madre, sia il figlio, e pure il padre. Da questa intuizione, la psicoterapeuta cattolica di Filadelfia Theresa Karminski Burke, assieme al marito Kevin (assistente sociale e supervisore clinico), nel 1997 ha creato Rachel’s Vineyard, ossia un’organizzazione che si prende cura delle donne che hanno abortito e che con coraggio affronta con loro l’inferno terrestre in cui sprofondano: le madri distrutte per aver scelto la morte delle proprie creature alla cultura abortista non risultano mai. Problemi psicologici, affettivi e religiosi: tutto viene messo in comune e affrontato in quei week-end di ritiro, che sono divenuti il feature mondiale della Vineyard e che più spesso di quanto si creda vengono bene-

detti da confessioni, conversioni e testimonianze, che, dopo avere strapazzato il cuore e la mente, li nutrono di acqua santa. Alcune delle protagoniste della Vineyard sono ora vere missionarie della vita e mettono a disposizione di tutti la propria esperienza di grevità e speranze, tenebre e luce. Il nome dell’operazione viene dal libro di Geremia (31, 15-17): «Così dice il Signore: Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d’essere consolata perché non sono più. Dice il Signore: Trattieni la voce dal pianto, i tuoi occhi dal versare lacrime, perché c’è un compenso per le tue pene; essi torneranno dal paese nemico. C’è una speranza per la tua discendenza...». Oggi i ritiri offerti dalla Vineyard sono 600 all’anno in 47 degli Stati Uniti d’America e 17 altri Paesi (Canada, Portogallo, Irlanda, Gran Bretagna, Malta, Russia, Australia e Nuova Zelanda, Hong Kong, Taiwan, nonché diversi luoghi dell’Africa e dell’America Latina). Non manca, da qualche tempo, nemmeno il nostro Paese, dal truce inverno demografico. Frequentati da coppie sposate, madri, padri, nonni e familiari di bambini abortiti, così come da personale sanitario coinvolto Slovacchia - Monumento ai bambini non nati - Martin Hudacek nell’orrore dell’in-

terruzione volontaria della gravidanza, rendono palpabile quanto larga e concreta sia la ferita tanto dell’aborto, quanto il trauma avvilisca chi vi è passato. Nella Vineyard nessuno è giudicato, nessuno ha titoli per scagliare la prima pietra: le lebbrose del nostro tempo vengono piuttosto accompagnate giù nell’Ade per risalire, assieme, la china verso il cielo. Dal 2003 l’apostolato della Vineyard è sponsorizzato ufficialmente dall’ambiente umano di quel vero e proprio network caritativo a favore della vita che è “Priests for Life”, diretto dal leader indiscusso della “nuova generazione” degli antiabortisti statunitensi, il sacerdote cattolico Frank A. Pavone. In Italia, la Vigna di Rachele è coordinata da Monika Rodman Montanaro, la quale opera assieme al cappellano dell’ospedale di Caserta, il padre cappuccino Rosario Perucatti, e alla psicologa Valeria D’Antonio. Con il nihil obstat della Chiesa e la benedizione del cardinale Renato Martino, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, la Vigna agisce sovente – ma non solo – attraverso il Progetto Rachele, cioè l’iniziativa originariamente messa a punto dall’attivista Vicki Thorn nel 1984 nell’Arcidiocesi di Milwaukee, nel Wisconsin, che consiste nell’offrire consulenze individuali e anche servizi specifici di assistenza su base diocesana. La parola chiave è sempre “perdono”. Marco Respinti


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Aborto in caso di stupro? No, grazie Navigando sul web (www.rebeccakiessling.com, www.savethe1.com, www.hopeafterrapeconception.com), s’incontrano testimonianze straordinarie, come quella di Rebecca, concepita a seguito di una violenza carnale e sopravvissuta all’aborto.

L

a sentenza Roe vs Wade (1973) che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti trattava la legittimazione dell’aborto per un caso di stupro (che poi si è rivelata una falsità). Molte legislazioni prevedono l’aborto legale per i casi di stupro e incesto. Ma, se da un lato è ovvio che lo stupratore debba scontare una pena, pochi riflettono sul fatto che il bambino è innocente! Quanto alle donne, il libro “Victims and Victors” riporta testimonianze di madri che hanno abortito a seguito di stupro, e raccontano che l’aborto ha costituito per loro un’altra violenza. Quanto ai bambini, Rebecca Kiessling così scrive nel suo sito: “Avvocato di diritto di famiglia, concepita dopo una violenza, sopravvissuta a due aborti, moglie e madre di tre figli”. Divenuta attivista prolife dal 1995, ha promosso il diritto alla vita, raccolto fondi per centri di sostegno alla maternità, parlato in chiese, scuole, università, in conferenze per donne e per avvocati, in tutto il Canada, l’Irlanda, il Regno Unito, la Germania, la Francia, l’Austria e il Messico. È apparsa in trasmissioni televisive sulla CNN, CBS, EWTN, Catholic TV, come difensore della vita e come persona che è stata concepita dopo una violenza. Nel suo sito (www.rebeccakissling. com) riporta altre storie e testimonianze di persone concepite dopo violenza o incesto e di madri che hanno

scelto di portare avanti lo stesso la gravidanza. A 18 anni Rebecca ha saputo che la sua madre naturale era stata violentata e poi l’aveva data in adozione. «Come la maggior parte delle persone non avevo mai considerato che l’aborto potesse aver minacciato la mia vita, ma quando ho saputo la verità, tutto a un tratto mi sono resa conto che l’aborto ha a che fare con la mia stessa esistenza. Era come se potessi sentire gli echi di tutte quelle persone che dicono: “Sono contrario all’aborto, se non in caso di stupro” o che esclamano con disgusto “soprattutto nei casi di stupro”. Tutte queste persone non mi conoscono nemmeno, ma danno un giudizio sulla mia vita pronti a respingermi solo per come sono stata concepita. Mi sentivo come

Rebecca Kiessling, concepita a seguito di violenza

se dovessi giustificare la mia esistenza, e dimostrare che la mia vita non è spazzatura e che è degna di essere vissuta. Ogni volta che qualcuno s’identifica come “pro-choice” o quando fa l’eccezione di violenza, la cosa per me si traduce: “Credo che tua madre avrebbe dovuto interrompere la tua vita. Se fosse stato per me, saresti morta”. So che la maggior parte delle persone non dà un volto alla questione aborto: per loro il problema è solo un concetto da spazzare sotto il tappeto per non pensarci più. Mi auguro, come figlia di una violenza, di poter contribuire, invece, a dare un volto, una voce e una storia a questo problema. Ho spesso trovato quelli che cercano di chiudere con battute tipo “Oh, bene sei stata fortunata!” La mia sopravvivenza non ha nulla a che fare con la fortuna. Il fatto che sia viva oggi ha a che fare con le scelte che sono state fatte per la nostra società in generale, ha a che fare con le persone che hanno combattuto perché l’aborto fosse illegale in Michigan a quel tempo, anche nei casi di stupro, e con le persone che hanno votato a favore della vita. Non sono stata fortunata, sono stata protetta. È ragionevole pensare che i nostri fratelli e sorelle che vengono abortiti ogni giorno siano solo in qualche modo “sfortunati”? Il mio valore e la mia identità non sono dati dall’espressione “prodotto di stupro”, ma da “figlia di Dio”». Chiara Lalli


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Per salvare una vita, basta volerlo Riportiamo la testimonianza della presidentessa dell’associazione Onora la Vita, che ci racconta una giornata tipo di volontariato pro life

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n compagnia di un collega, sto effettuando un volantinaggio anti-aborto. Dalla scalinata sinistra dell’uscita dell’ospedale Mangiagalli vedo scendere una giovane dai lineamenti peruviani, sorretta da una donna che saprò essere sua madre. Mi colpiscono il suo incedere malfermo, il suo volto triste, il suo atteggiamento sconvolto. Mi avvicino: “Que te pasa, querida, necesitas algo?” (Che ti succede, cara, hai bisogno di qualche cosa?). Mi spiega di essere al secondo mese di gravidanza e di trovarsi in difficoltà economiche: il fidanzato, dopo aver avuto la notizia, si è dileguato. Lei desidera la vita del figlio, ma, invece, è stata istradata all’Ufficio lì accanto, dalle assistenti sociali del Consultorio. Afferro al volo la situazione, conosco i risultati delle visite consultoriali: un certificato di aborto timbrato, con 7 giorni di tempo per la mamma per “ripensarci”: nessuna informazione sul bimbo che porta in grembo, nessuna condivisione né aiuto da parte della psicologa: la solita freddezza “politicamente corretta”. L’abbandono totale della donna in difficoltà da parte di chi sa, per contro, che c’è la possibilità di aiutare questo bimbo innocente a venire al mondo: oltre al noto “Progetto Gemma”,

Le donne in difficoltà spesso vengono lasciate a se stesse anche da chi sa bene che degli strumenti e delle strutture di aiuto esistono.

in Lombardia la giunta Formigoni ha varato il “Progetto Nasko”: 300 euro mensili che, per un certo periodo, aiutano la donna sola o la famiglia in difficoltà nelle cure neonatali. Questo è un merito che pochi riconoscono al Governatore uscente della Lombardia. Ogni volontaria per la vita è dotata di un annuario. Un utile volumetto che raccoglie tutti gli indirizzi e numeri telefonici dei Centri di Aiuto alla Vita operativi sul territorio nazionale: la ragazza peruviana abita in un paese nei pressi di Novara. Chiamo immediatamente il Presidente del Cav, un ottimo medico che lavora nell’ospedale di quella città. Mi risponde cordialmente, e mi comunica che è stato appena aperto un nuovo centro di assistenza, proprio nei pressi dell’abitazione della futura mamma, e si mette a disposizione per tutte le sue necessità. La povera ragazza non aspettava altro: ho continuato a fornirle tutte le informazioni necessarie, a rassicurarla che il suo bambino sarebbe nato nonostante tutto; la compagnia della mamma, la vicinanza dei bravi colleghi del Centro di Aiuto, avrebbero determinato la vittoria della Vita del bimbo che

portava fieramente in grembo, contro la mentalità abortista di chi avrebbe dovuto, per contro, fornirle tutte le informazioni (per assurdo indicate dalla iniqua Legge 194), e che non vengono mai date alle donne che vivono maternità difficili. Quante vite si salverebbero grazie alla giusta informazione!! Basterebbero un po’ di buona volontà, una minor freddezza da parte degli infermieri ospedalieri, una maggiore educazione alla vita nelle scuole, un’accoglienza gentile alle donne in gravidanza, rese maggiormente fragili dai mutamenti ormonali che avvengono nel corpo materno soprattutto nei primi mesi... Basterebbe volerlo davvero, si dovrebbe credere nella Vita, nella Provvidenza, nella gioia che darà il sorriso del bambino. Anna Maria Pacchiotti

Molto spesso per salvare una vita basta dare la giusta informazione


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Negli USA il partito pro aborto sta perdendo terreno: lo sa e non gli piace

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Kansas, Alabama, North Dakota, Arkansas e Virginia: sono sempre di più gli Stati che negli USA emanano norme restrittive riguardo all’aborto. Questo sull’onda di una tendenza più orientata alla vita, di una parte sempre crescente del popolo americano.

el gennaio 2013 il sito cattolico americano prolifenews.com ha diffuso i risultati di un sondaggio della CNN, secondo il quale il 62% degli intervistati desidera che l’aborto sia in ogni caso illegale. Solo il 35% vorrebbe invece che l’aborto fosse considerato legale sempre e comunque. Questo nel 40° anniversario della sentenza della Corte Suprema del 1973 nota come Roe vs Wade. La sentenza, riguardante il preteso diritto della signora Roe di abortire il suo terzo figlio, afferma che: “L’aborto è possibile per qualsiasi ragione la donna lo voglia fino al momento in cui il feto diventa in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno[…]. Questa condizione si verifica in media intorno ai sette mesi […]. In caso di pericolo per la salute della donna, l’aborto è legale anche qualora la soglia oltre il quale il feto è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno sia stata sorpassata.” L’esperto americano di diritto costituzionale Matt Barber, vicepresidente di Liberty Counsel Action, agenzia legale che si batte per il diritto alla vita e il rispetto della legge naturale, ha così riassunto la situazione a quarant’anni dalla Roe vs Wade, sul sito lifenews.

Il vento della vita sta soffiando via il fetore di una cultura abortista della morte com: “Il vento della vita sta soffiando via il fetore di una cultura abortista della morte”. L’avvocato Barber sottolinea però che ciò non piace al partito pro aborto, quello del segretario alla sanità Kathleen Sebelius e del presidente Obama, che ha risposto con alcune misure draconiane (Dracone era il legislatore di Sparta, dove si buttavano i neonati non graditi da una rupe). Anzitutto il piano Obamacare per il welfare sanitario finanzia l’aborto, libero e su richiesta, con i soldi pubblici: chi vota per il partito democratico “sostiene con forza e in modo inequivocabile […]; il diritto della donna all’aborto a prescindere dalla possibilità di pagarselo” (convention del 2012). Inoltre, quando la Corte Suprema ha rigettato l’uso del metodo abortivo “dilata ed estrai” su perizia dell’American Medical Association, notoriamente liberal, che l’ha definito “mai necessario, in nessuna circostanza”, Obama ha dichiarato che questo è “un passo indietro nei diritti faticosamente conquistati dalle donne americane”. Il metodo “dilata ed estrai” consiste nell’estrarre il bambino vivo dall’utero

fino alla nuca, poi il medico buca la nuca con le forbici e gli succhia il cervello con l’aspiratore. Intanto, però, il partito pro vita ha combattuto attivamente la sua buona battaglia. Nel 2002 il Congresso ha approvato a larga maggioranza la legge Born alive, deliberando che, quando un bambino sopravvive all’aborto, ogni successivo intervento deve mirare a preservare la sua vita. Nel 2011, sono state varate 92 leggi in 24 stati USA, che per proteggere la sicurezza delle donne, di fatto limitano l’aborto. Prevedono ad esempio l’obbligo di notifica ai genitori se è una minore a chiedere l’intervento, il divieto di aborto a nascita parziale, nonché l’obbligo di ecografia e di rilevamento del battito cardiaco del bambino. Lo stato dell’Arkansas ha proclamato nel 2013 l’Human Heartbeat Protection Act, in base al quale l’aborto non si esegue in presenza di un battito cardiaco dell’“individuo umano non nato”, sotto pena di revoca della licenza medica, eccettuati i casi di: pericolo di vita per la madre, stupro o incesto, emergenza medica. Vista l’immediata opposizione dei pro morte, il Liberty Counsel Action - dice Barber - difenderà questa legge senza riserve, a titolo gratuito per tutta la gente dell’Arkansas, nata e non ancora nata: il Salmo 82,3 dice: “Difendete il debole e l’orfano, al povero e al misero fate giustizia”: questo è quello che deve fare ognuno di noi. Palma Scolieri


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La Polonia e la Vita Intervista al Dott. Pavel Wosicki, Presidente della Federazione Polacca delle Organizzazioni Pro Vita

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urante il regime comunista, l’aborto era disponibile su richiesta. Vi sono statistiche affidabili sul numero degli aborti durante il regime? Le statistiche ufficiali al tempo indicavano che il numero degli aborti era intorno ai 200.000 l’anno. Tuttavia vi erano moltissimi aborti clandestini, quindi il numero reale potrebbe anche essere stato doppio. Va ricordato che i primi a introdurre l’aborto in Polonia sono stati i nazisti, che lo permettevano alle donne polacche, ma non alle donne tedesche. Successivamente il regime comunista ha legalizzato ampiamente l’aborto. Una legge, approvata nel 1993, vieta l’aborto salvo il caso di stupro, di pericolo per la vita della madre e in caso di malformazione dell’embrione, ma solo entro 12 settimane dal concepimento. Quanti aborti hanno luogo in Polonia oggi? Il numero di aborti è sceso drasticamente: da 105.333 aborti nel 1988, le ultime statistiche indicano solo qualche centinaio di interruzioni di gravidanza ogni anno. Purtroppo vi sono ancora aborti clandestini, ma è difficile stimarne il numero. Nel 2005 vi sono stati 56 casi confermati di aborto illegale, ma certamente ve ne sono di più. E il numero d’infanticidi, e il numero di aborti fra i giovani? Il numero d’infanticidi è sceso da 59 nel 1992 a 19 nel 2004 e anche gli aborti fra i giovani

sono scesi dal 32,2% nel 1991 al 14,5% nel 2003. Quindi la vostra legge non difende il diritto alla vita di tutti? No: per esempio, purtroppo, non sono protetti i disabili, che avrebbero invece diritto alla Vita come tutti noi. Per cambiare questa pratica eugenetica dobbiamo continuare la nostra battaglia culturale, per cambiare la mentalità dei nostri concittadini. È d’accordo con S.E. il Cardinale Stanislaw Dziwisz nel dire che “la Chiesa insegna chiaramente che i cattolici sono costretti a non accettare alcun compromesso e mirare solamente alla protezione totale della vita fin dal concepimento”? Questo per me è assolutamente ovvio. Se la vita umana inizia dal concepimento, com’è confermato dalla scienza e dalla medicina, non vi è ragione per escludere alcuni esseri umani dalla protezione della vita. La storia conosce tanti genocidi di etnie e di disabili. Quindi non è possibile accettare alcun compromesso, soprattutto da parte di noi cattolici che crediamo che ogni essere umano possieda un’anima dal momento del concepimento. Nell’Unione Europea sussiste un forte attacco della lobby omosessualista e delle forze che sostengono la teoria del genere e l’eugenetica. Questa forte propaganda sta cambiando il punto di vista del popolo polacco in materia di aborto? Ci sono statistiche recenti che indicano cosa pensano i polacchi sull’aborto?

Dopo l’introduzione di una normativa restrittiva in materia, il numero degli aborti in Polonia è diminuito drasticamente. Le ultime statistiche indicano che il sostegno a favore del diritto alla vita è fortemente aumentato da quando la nuova legge protegge il concepito. Indubbiamente la legge ha influenzato l’opinione del popolo polacco. Fortunatamente, gli attacchi ingiustificati delle lobby internazionali hanno l’effetto contrario sul nostro popolo che è spesso irritato da questi poteri forti, la cui ideologia non è accettata dalla maggioranza. Infatti, nel 1992, il 26% dei polacchi approvava l’aborto, oggi solo il 16%. Nonostante il diritto all’aborto non sia contemplato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Corte europea di Strasburgo cerca di costringere la Polonia a far passare una legge che liberalizzi l’aborto. Cosa ne pensa? La pressione degli organismi Europei, volta a costringere la Polonia a legalizzare l’aborto in ogni caso, è molto forte. Le nostre lobby femministe ne approfittano, lamentando la cosiddetta “violazione del diritto alla salute riproduttiva” e cercano di presentare la Polonia come un paese arretrato. Purtroppo anche i grandi media sostengono l’aborto libero. Il Governo polacco sostiene la famiglia in termini economici e sociali? La povertà tra le famiglie, soprattutto fra le famiglie numerose, è allarmante. Questo è il risultato della mancanza di una corretta politica governativa per la fami-


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13 pagne di manifesti stradali. In molte città esponiamo grandi cartelli che mostrano anche i corpi dei bambini uccisi con l’aborto e organizziamo numerose Marce per la Vita ogni anno. Pubblichiamo molto materiale per la Vita e lo distribuiamo soprattutto fra i giovani. È difficile obiettare ai fatti. Nonostante ciò, gli abortisti sono spesso furiosi e violenti, ma noi combattenti per la Vita non dobbiamo averne paura.

Pavel Wosicki con la sua famiglia

glia. Il sostegno sociale ed economico è purtroppo molto limitato. Le nascite sono considerate come una questione privata dei genitori. Il risultato è catastrofico e la Polonia soffre oggi di una crisi demografica. Questa riduzione è anche dovuta al minor numero di matrimoni, all’aumento dell’infertilità e alle moderne attitudini verso il matrimonio.

no che nasce rappresenta una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Secondo questo ragionamento, c’è un bambino polacco, attualmente di 13 anni, il cui diritto di nascere sarebbe in contraddizione con la Convenzione. Non avrei mai pensato che il tribunale andasse così lontano e ne sono semplicemente terrorizzato”.

Che cosa pensa della sentenza della Corte Europea dei diritti umani riguardo al caso di Alicja Tysiac?

Nel mese di giugno 2011, delle associazioni pro life polacche hanno raccolto più di 500.000 firme in due sole settimane per una proposta di legge per vietare l’aborto in tutti i casi. Questo disegno di legge, “Tutela della vita umana fin dal concepimento”, è stato respinto dal Parlamento solo per 5 voti. A ottobre 2012 la proposta di legge è stata nuovamente respinta dal Parlamento. Cosa ne pensa e cosa crede sia necessario fare per contrastare le forze abortiste?

(Alicja Tysiac aveva chiesto l’aborto perché fortemente miope e perché la gravidanza le avrebbe ulteriormente abbassato la vista. I medici, in base alla normativa polacca glielo hanno negato. La Corte di Strasburgo ha condannato la Polonia a pagare un sostanzioso risarcimento del danno alla Tysiac. N.d.R.) Un giusto commento è stato fatto da uno dei giudici della stessa Corte Europea, Javier Borrego, che ha votato contro la sentenza ed ha dichiarato: “Oggi la Corte ha decretato che l’essere uma-

Lo strumento migliore è quello di mostrare la piena verità sull’aborto. Ad esempio, in Polonia, da qualche anno facciamo cam-

Nonostante le forti pressioni da parte dell’UE e di altri organismi internazionali, sembra che vi siano sviluppi positivi per il diritto alla vita in vari paesi come Spagna, Russia, Liechtenstein e Malta. Anche il PM turco, Erdogan, ha affermato che “l’aborto è omicidio”. Cosa ne pensa di questi sviluppi? La prova che c’è un cambiamento può anche essere il successo dell’iniziativa europea “Uno di Noi” (www.oneofus.eu) che ha già raccolto un milione di firme. Questa è un’ottima occasione per battersi per la Vita e cambiare la mentalità dei cittadini europei, affinché la vita venga protetta dal concepimento alla morte naturale. Antonio Brandi

Nel mese di giugno 2011, delle associazioni pro life polacche hanno raccolto più di 500.000 firme in due sole settimane per una proposta di legge per vietare l’aborto in tutti i casi.


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Sente dolore il feto nel pancione? La capacità di percepire dolore si sviluppa a metà della gravidanza: diversi centri per le IVG hanno sviluppato un protocollo che prevede l’anestesia del bambino prima di procedere all’aborto.

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erché sentiamo dolore? Perché abbiamo nervi e cervello in ordine per sentirlo. Da quando i nostri nervi e il nostro cervello sono in grado di sentire il dolore? Da quando si sviluppano le connessioni tra i nostri organi e quella parte del cervello che si chiama “talamo” che è proprio lì per percepire il dolore, attività utilissima perché se non sentissimo il dolore non ci andremmo nemmeno a far curare. E le connessioni nervose tra i nostri organi e il talamo sono presenti dopo 20 settimane di gravidanza. Questa è ormai un’evidenza scientifica chiara, che non è messa in discussione proprio da nessuno. Si potrà discutere sul grado di coscienza che il feto a 20 settimane ha del dolore, ma che il dolore arrivi per quella via non lo dubita nessuno. Un gruppo di studiosi inglesi negli anni ‘90 fece anche di più: misurò come aumentano nel sangue di un gruppo di feti di 19-25 settimane di gestazione gli ormoni dello stress dopo uno stimolo doloroso, e videro che questi ormoni – segno di stress e dolore appunto – aumentano come nell’adulto. Il fatto che ancora a 20 settimane di gravidanza non sia presente completamente la “corteccia cerebrale” (la cosiddetta “materia grigia” del cervello) non significa che il dolore non si senta, sia perché da quell’epoca inizia a essere presente un suo abbozzo già funzionante, detto “sottoplacca”, sia perché, come dicevamo, bastano le connessioni col talamo per provare il dolore. Ora il problema del dolore non è un problema che riguarda solo l’aborto, cioè un tema prolife, ma

interessa ormai anche la medicina, dato che oggi è finalmente possibile operare in utero i feti, cioè eseguire interventi chirurgici sul bambino ancora nel pancione, e la scienza s’interroga su come non fargli provare dolore. Sul Journal of Fetal Maternal and Neonatal Medicine del gennaio 2013 ho pubblicato una rassegna sui tipi di farmaci analgesici che si usano sul feto nei centri che eseguono operazioni chirurgiche in utero, e sulla rivista dell’American Association of Pharmaceutical Scientists del settembre 2012 ho pubblicato quelle che sono le evidenze scientifiche in questo campo. Ma già altri scienziati come Sunny Anand o Vivette Glover avevano pubblicato trattati sul dolore fetale, che riportavamo anche nel recente libro “Sento dunque sono” (Cantagalli, 2012) in cui i maggiori studiosi mondiali di sensibilità umana rispondevano – ognuno per la propria specialità – a questa domanda: “Quali sensazioni avverte un feto nel pancione?”. Avevamo poi già pubblicato nel 2009 il libro “Suffering, pain, and risk of brain damage in the fetus and newborn” in cui si spiegava il dolore del feto dentro il pancione o del bambino prematuro. Ma basta fare un giro su internet per avere tutti i dati della questione, senza farsi scoraggiare da affermazioni del tipo “il feto non sente dolore perché dorme sempre” che sono facilmente contestabili, oppure “tanto i bambini sentono il dolo-

re meno dei grandi”, pregiudizio ancor duro a cadere. Ovviamente in caso di aborto questo problema deve essere preso in considerazione ed esistono lineeguida in diversi centri che impongono (sembra un paradosso) di anestetizzare il feto se al tempo dell’aborto è così sviluppato da poter provare dolore; certi Stati USA proibiscono proprio l’aborto prendendo come limite il tempo (le 20 settimane di gestazione appunto) da quando il feto sente dolore, per evitare che lo provi. Quel che è certo è che si deve imparare ad attenersi ai dati della scienza senza voler trascinare la scienza dove vogliamo noi e senza ignorarla. La capacità di percepire dolore si sviluppa dalla metà della gravidanza, ma non è che quando il feto non può percepirlo “valga di meno”; tuttavia il dolore del feto è un ulteriore tassello che ce ne mostra le caratteristiche umane e un indizio in più per capire quanto rispetto meriti chi ancora non è nato. Carlo Bellieni


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Eutanasia per tutti, grandi e piccoli

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La pratica dell’eutanasia è sempre più diffusa. Per esempio in Belgio, dove oramai si stanno discutendo i termini per legalizzarla anche nei confronti di minorenni.

lekos Panagulis scrisse: «C’erano schiavi un tempo che in vita li teneva la speranza […] Anni e anni sono passati e adesso è nato un nuovo genere di schiavi: schiavi pagati, schiavi saziati, schiavi che ridono, schiavi che vogliono rimanere schiavi. Questo è il Progresso». Questo passo mi è tornato alla mente leggendo un articolo di BioEdge sul recente “progresso” del Governo Belga nei confronti dell’eutanasia. Assistiamo oggi a un crescendo di attacchi simultaneo: Obama, Hollande e Cameron la stanno legalizzando simultaneamente, e qui in Italia quello della “dolce morte” - come viene denominata con ipocrisia - resta uno dei temi clou del dibattito elettorale, su cui purtroppo quasi tutti gli schieramenti hanno mostrato pericolosi cedimenti. La belga Carine Brochier, dell’Istituto Europeo di Bioetica, ha affermato che «inizialmente legalizzata a condizioni molto rigorose, l’eutanasia è gradualmente diventata un atto molto normale e ordinario». Per esempio, l’ha subita una donna che era stata abusata sessualmente da un noto psichiatra. Fu già San Tommaso a spiegare come l’infrangersi del principio porta inevitabilmente a una situazione in cui l’atto immorale si diffonde socialmente diventando consuetudine: è solo questione di tempo, come abbiamo già

L’eutanasia è in fondo la battaglia ideologica dei sani, contro chi si sente di troppo.

potuto sperimentare sulla nostra pelle (o meglio, su quella dei nostri figli mai nati!), tramite la legalizzazione dell’aborto. Quando una legge si consolida negli anni, tende ad accreditarsi come un momento ineludibile del sistema giuridico e si crea così un sentimento di arrendevolezza e d’impotenza anche da parte di coloro che non sono d’accordo con tali provvedimenti. Le coscienze diventano vittime di una sorta di sonnambulismo collettivo. In Belgio il corollario di tale deriva è rappresentato dalla proposta di estendere l’eutanasia anche ai bambini. Il medico che ha ucciso due adulti gemelli che stavano perdendo la vista ha raccontato di questo fatto in un talk show televisivo, con battute gioviali e particolari familiari intimi. In risposta alla Brochier, sempre in un dibattito televisivo, il medico ha poi affermato senza scrupoli: «Ha ragione a dire che molti casi di eutanasia non sono ufficialmente dichiarati. Io stesso ho praticato l’eutanasia moltissime volte, e non l’ho mai dichiarato. È una questione troppo personale tra il paziente e il suo medico, non c’è bisogno di pubblicizzarla». Chi ritiene che i minori debbano poter chiedere di essere uccisi, sostiene che poiché il fenomeno di fatto già si verifica frequentemente, è giusto che venga regolato dalla legge. Resta da vedere se, e fino a che età, sia necessario il consenso dei genitori. I Jeunes pour la Vie, tutti coloro cioè che le leggi sull’aborto e sull’eutanasia non le hanno mai volute, a marzo, hanno organiz-

zato per la quarta volta una Marcia per la Vita, nonostante il freddo non solo del clima, ma anche della popolazione. Infatti, è stato quanto meno sconcertante costatare come certe esternazioni e certe iniziative legislative non suscitino reazioni di orrore da parte della pluralità dei consociati. E non solo in Belgio, purtroppo. L’eutanasia è in fondo la battaglia ideologica dei sani, di chi vuole far credere che la vita sia dignitosa solo fintantoché il corpo funziona; di chi per far passare la cultura della morte utilizza lo strumento sottile dell’antilingua, che si esprime nella sostituzione della parola eutanasia con l’espressione dolce morte, per allontanare il concetto di atto omicida che si vuole compiere o far compiere. L’eutanasia, il cui “apripista” è il testamento biologico, è inammissibili: anche se praticata, almeno apparentemente, per motivi compassionevoli, essa infrange il principio di sacralità della vita umana e la sua intangibilità da parte dell’uomo. Irene Bertoglio


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Scienza e morale

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Perché la bioetica? Un ragionamento filosofico, per far riflettere l’uomo contemporaneo, malato di preconcetti ideologici, non più abituato all’uso della ragione, ma condizionato da luoghi comuni costruiti secondo l’apriorismo del sentimentalismo contingente.

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l perché della bioetica si configura come quesito preliminare rispetto a ogni questione bioetica medesima. Nel porsi la domanda, il pensiero bioetico ha l’occasione di riflettere su se stesso, non in vista di una prospettiva psico - intimistica, ma in virtù di una forza motrice filosofica, quella per cui Aristotele ribadì che il filosofo chi si dedica al pensare, si direbbe oggi - «dovrà conoscere le cause e i principi della sostanza» (Metafisica, IV, 2, 1003 b, 17-19), la qual forza non può che trascinare chi la subisce alla costante e spasmodica indagine della realtà. Una semplice ricognizione sociologica potrebbe svelare quanto oggi sia massima l’assuefazione alla visione acritica del mondo, l’uomo contemporaneo optando il più delle volte per una visione ideologica, non quindi su risultati ottenuti tramite la sintesi della ragione universale, ma su luoghi comuni costruiti secondo l’apriorismo del sentimentalismo contingente. Perché la bioetica, dunque? Giungendo subito al cuore del problema, occorre ricordare che la bioetica viene oggi interpretata in due modi diversi: come tirannia di stampo clericale, tesa a ostacolare la realizzazione della libertà individuale, oppure come momento

La bioetica si pone, dunque, quale espressione della critica razionale delle pratiche scientifiche in genere e mediche in particolare.

di mera ratifica morale, cioè di legittimazione a posteriori, di ciò che già tecnicamente è possibile eseguire nei laboratori o nelle strutture sanitarie. Entrambe le prospettive sembrano del tutto incapaci di cogliere il perché della bioetica. Nella mente di chi ha coniato il termine bioetica, cioè l’oncologo Van Potter all’inizio degli anni ‘70, la bioetica altro non è che “la scienza della sopravvivenza”, ovvero la pensabilità della scienza e della tecnica non autoreferenziali, cioè non disancorate dal contesto socio-esistenziale in cui sono chiamate a operare, ma interagenti con le altre dimensioni epistemiche della vita, cominciando appunto dalle non silenziabili o rinunciabili istanze dell’etica. Tutto ciò, lungi dal rappresentare il punto d’arrivo, costituisce il punto di partenza della problematica, stante la policromia morale che sembra contraddistinguere l’umanità contemporanea. La bioetica si pone, dunque, quale espressione della critica razionale, sebbene spesso incompiuta e imperfetta, delle pratiche scientifiche in genere e mediche in particolare. La bioetica non serve dunque solo a dare risposte a determinati problemi, ma addossa su di sé l’onere di donare all’uomo contemporaneo la possibilità di riflettere, con un costante pro-

blematizzare, su ciò che per sua propria natura non appare controverso, almeno oggi e almeno ad alcuni in talune circostanze, cioè la medicina, soprattutto in vista dei nuovi progressi che essa compie. La bioetica, oggi, evita quindi che la scienza medica possa assurgere a elemento totemico a cui sacrificare la libertà individuale e la dignità dell’uomo. La bioetica assume il ruolo di guardiana della coscienza contro la dogmatizzazione della scienza in genere e di quella medica in specie. Si potrebbe osare, parafrasando le parole di Van Potter, che se è vero che la bioetica sia la “scienza della sopravvivenza”, è anche pur vero che essa sola appare in grado di garantire, allo stesso tempo, la “sopravvivenza della scienza”, posto che quest’ultima cessa di essere tale non appena resa, come spesso accade, oggetto di culto, di supposta infallibilità, di asettica assolutizzazione. Con le parole di Francesco D’Agostino, «bisogna ripensare alla radice la stessa bioetica come portatrice di senso». Aldo Vitale


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Scienza e morale

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Naprotecnologia

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’embrione è il mio paziente più piccolo” dice il dottor Wasilewski, polacco, che ha deciso di non utilizzare più il metodo della fecondazione in vitro. La vita è un valore senza differenze, è uguale per tutti, ma a volte sfugge chi siano questi tutti; si pensa comunemente che “uguaglianza” significhi solo evitare distinzioni in base alla razza, alla religione, alla cultura, alle ideologie, al sesso. E l’età? Anche l’embrione, così piccolo, ha diritto alla propria tutela, tanto nell’integrità fisica quanto nella dignità. Un problema notoriamente diffuso è quello dell’infertilità, cioè della difficoltà della donna ad avere bambini. La medicina e la scienza studiano e cercano soluzioni; purtroppo non tutte quelle proposte sono “per” la vita. Sembrerebbe una contraddizione, ma non è così: nella fecondazione in vitro un considerevole numero di embrioni, non impiantati nella donna, vengono messi da parte e congelati, come se fossero semplice materiale biologico. Il desiderio di avere un figlio può, dunque, portare a sottovalutare il destino dei “pazienti più piccoli”, come li ha definiti il dottor Wasilewski. Le conseguenze sono gravissime sul piano della morale, nella sua accezione più vasta come nella singola coscienza. Spesso il percorso della fecondazione in vitro lascia ferite psicologiche molto profonde e crea danni irreparabili al rapporto di coppia. La Naprotecnologia invece è un metodo naturale, nato negli

Un nuovo metodo naturale contro l’infertilità, per difendere la vita in ogni momento Stati Uniti grazie al prof. Thomas W. Hilgers il quale, sulla base di studi approfonditi, ha sviluppato un trattamento che individua e cura le cause della infertilità partendo dall’analisi del ciclo femminile. La donna viene inizialmente seguita da un “istruttore”, che le insegna come conoscere il proprio corpo osservando i biomarcatori del ciclo, il muco cervicale e altre perdite. I dati rilevati attraverso le indicazioni del Modello Creighton vengono giornalmente riportati su una tabella. Questo permette di diagnosticare le cause della infertilità, cosicché il medico naprotecnologo potrà in seguito adottare la cura più idonea al caso specifico. Il fatto che sia un metodo naturale non significa che la Naprotecnologia agisca in modo semplicistico e non scientifico: si tratta infatti di un metodo mirato alla risoluzione specifica delle diverse situazioni e il Modello Creighton è nato nel 1952 dall’opera di più scienziati, che hanno pubblicato uno schema di mutamento del muco cervi-

Per approfondire, si possono visitare i seguenti siti: www.mimep.it; www.popepaulvi.com; www.fertilitycare.ch; www.fertilitycare.net; www.aafcp.org

cale in base al momento del ciclo. Individuare le specifiche cause della infertilità permette di risolvere il problema in modo definitivo, cosa che chiaramente non avviene con l’in vitro, in cui dopo un primo concepimento bisogna nuovamente sottoporsi a tutta la procedura. La Naprotecnologia si serve inoltre di avanzate cure farmacologiche, chirurgiche ed endocrinologiche che la rendono importante non solo per combattere l’infertilità, ma più in generale per monitorare la salute della donna, la quale, in tal modo, non subisce ma comprende consapevolmente quello che accade nel suo corpo. Si tratta di un metodo molto diffuso in Polonia e Irlanda (mentre, purtroppo, in Italia è poco conosciuto), ha successo nel 50% dei casi e ha aiutato molte coppie che per tanto tempo hanno cercato, senza risultati, un figlio con l’in vitro. Per maggiori informazioni, scrivete a Mimep – Docete: info@mimep.it. Erica de Ponti


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Scienza e morale

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Una responsabilità collettiva, una posizione cosciente e voluta In quanto membri della società, non possiamo esimerci del tutto dalla responsabilità collettiva delle “strutture di peccato” che la società stessa produce.

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’aborto è una tragedia non solo da un punto di vista “quantitativo” (5 milioni di bambini morti in 30 anni), ma anche dal punto di vista “qualitativo”. La gravità sta nel fatto che questi 5 milioni di morti, infatti, sono stati e sono voluti, e voluti coscientemente, comunitariamente e ostinatamente: questo è infatti il significato delle leggi abortiste, cioè di tutte quelle leggi emanate da un Parlamento democraticamente eletto, espressione del popolo sovrano, e che consentono di uccidere la vita umana dal concepimento al parto. Se infatti l’aborto fosse un delitto compiuto da qualche fuorilegge contro la volontà popolare e contro il volere delle istituzioni, saremmo di fronte ad un fatto triste e doloroso, ma in qualche modo delimitato e fortemente contrastato dalla società civile. L’esistenza delle leggi abortiste,

invece, cambia radicalmente la portata del fenomeno: esso non è più un fatto negativo combattuto dalla società, ma diventa un fatto approvato e sostenuto ufficialmente e apertamente dalla popolazione civile e dalle sue istituzioni. L’intera società diventa, come diceva S. Agostino, un’associazione a delinquere, dedita niente meno che all’assassinio dei bambini. Qual è infatti il significato e il contenuto di una legge? Già Socrate, quattro secoli prima di Cristo, spiegava l’alto valore pedagogico della legge: essa ha funzione educativa, quindi dovrebbe indicare la via del bene. San Tommaso D’Aquino afferma: “La legge è una regola, o misura dell’agire, in quanto uno viene da essa spinto all’azione, o viene stornato da quella. Ora, misura degli atti umani è la ragione, la quale ne è il primo principio…: infatti è proprio della ragione ordinare al fine” (ST III,90,1,co.). Dunque l’uomo, con la sua ragione, stabilisce un certo fine da raggiungere e identifica una regola di comportamento che permetta di raggiungerlo. Nel caso delle leggi sull’aborto qual è il fine? Il fine è permettere a tutte le donne che lo vogliano, di uccidere i propri figli nel proprio grembo. E la regola qual è? È mettere a disposizione delle donne tutte

L’intera società diventa, come diceva S. Agostino, un’associazione a delinquere, dedita niente meno che all’assassinio dei bambini. le strutture sanitarie perché possano uccidere i loro figli in tutta sicurezza e comodità. E chi ha deciso tutto questo? Tommaso dice che fare le leggi spetta o all’intero popolo, o alla persona pubblica che ha cura di esso. (ST I-II,90,3 co.) Nel caso della legge sull’aborto è stata dapprima l’autorità politica e poi l’intero popolo italiano a pronunciarsi e a impegnare ragione e libertà nel volere il fine e la regola per raggiungerlo. La maggioranza del popolo ha stabilito, quindi, che bisogna raggiungere questo fine: permettere alle donne che lo vogliono, di uccidere i propri figli nel loro grembo; e ha stabilito poi questa regola: mettiamo a disposizione delle donne le strutture sanitarie dello Stato per farlo sicuramente e gratuitamente. Ma c’è di più: si è stabilito che la copertura finanziaria di questa enorme operazione sanitaria debba essere fornita da tutti gli italiani, volenti o nolenti. Perciò oggi tutti noi stiamo finanziando con le nostre tasse lo sterminio dei nascituri. Ripeto, tutti noi stiamo finanziando questo sterminio. Qualcuno mi dimostri che non è così e gliene sarò molto grato. Don Matteo Graziola


Scienza e morale

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Quando la notizia non fa notizia…

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Tanti episodi di cronaca nera finiscono sulla stampa e in TV con particolari agghiaccianti, a volte sbandierati davanti agli occhi di grandi e piccini, senza pudore. Invece del processo a Gosnell, in USA e nel resto del mondo, non parla nessuno.

al 18 marzo scorso, a Philadelphia, si sta celebrando il processo a Kermit Gosnell, un medico abortista che è stato accusato di otto omicidi di primo grado e di un omicidio di terzo grado: avrebbe ucciso bambini che erano sopravvissuti all’aborto e almeno due donne, immigrate e povere, sono morte per l’uso di strumenti infetti e perforazione dell’utero e della vescica. Gosnell pare fosse razzista e si vantasse con i suoi assistenti di usare maggior crudeltà sulle donne bianche “perché così va il mondo”, diceva. E pare che questa sia solo la punta di un iceberg degli orrori: migliaia di aborti praticati in una zona povera di una grande città americana, fuori da ogni regola legale, anche a gravidanza talmente avanzata che, dopo il travaglio indotto, ai piccoli che nascevano vivi veniva reciso il midollo spinale con le forbici. I corpicini erano spesso fatti a pezzi, quasi per gioco. L’apparecchio per le ecografie era stato manomesso in modo da mostrare immagini meno realistiche del feto e indurre le donne ad abortire più a cuor leggero. La pietà per il dolore e per i mor-

Gosnell

ti ci impedisce di adempiere al dovere di cronaca con ulteriori particolari. I siti pro life su internet e anche alcune testate in italiano, riportano le raccapriccianti dichiarazioni dei testimoni al processo, a volte vittime, a volte carnefici complici essi stessi, più o meno pentiti. “Non sono in grado di descrivere a parole le barbarie commesse da Gosnell, né il modo macabro con cui ha addestrato, senza licenza, le persone non qualificate che lavoravano con lui” (svolgendo funzioni di medico e paramedico), ha detto il procuratore distrettuale di Philadelphia quando ha esaminato il caso. Comunque, le notizie sul processo e le testimonianze che sono state prodotte sono tali e tante da fornire materiale per diversi film dell’orrore. E sono di quelle che di solito fanno gola alla grande stampa e alla TV, perché le storie di sangue, e di sangue innocente, fanno sempre audience. Invece del processo Gosnell, fuori di Philadelphia, non ha parlato nessuno per più di un mese. Solo recentemente, dopo le reiterate denunce dei gruppi pro life, alcuni grandi media hanno cominciato a far cenno della cosa. Non si sono mossi gli strenui difensori della legalità, o dei diritti del malato. Nessuno ha posto interrogativi sul perché una tale macelleria abbia continuato ad operare per anni, indisturbata, in barba a controlli, licenze e a tutto l’apparato burocratico e amministrativo deputato a tutelare la salute dei cittadini e delle donne (pare che in Pennsylvania

Karnamaya Mongar, una delle vittime di Gosnell

la legge preveda controlli igienici e sanitari più severi sui centri estetici e sui podologi, che sulle cliniche che praticano gli aborti). Anzi, su Twitter è comparso qualche commento, come quello di Amanda Malcote, della rivista Slate, che dà la colpa di tutto ai gruppi pro life: è colpa della loro – nostra – intransigenza se le donne disperate ricorrono alle “cure” di gente come Gosnell. Dimenticano però, questi signori, che Gosnell non operava in Irlanda o in Polonia, dove l’aborto è fortemente limitato, ma nella liberal America di Obama, il quale ritiene diritto inalienabile delle donne l’aborto senza alcun limite; in particolare, ricordiamo che nello Stato della Pennsylvania l’aborto è legale fino alla 24a settimana. Il nostro Corriere della Sera, d’altro canto, sostiene che si tratti di un caso di malasanità che non c’entra molto col problema dell’aborto. E, anzi, il turpe comportamento di Gosnell non ha niente a che vedere con la pietà e la solidarietà che dimostrano verso le donne i medici che praticano gli aborti al difuori e aldilà dei limiti stabiliti dalle leggi. (sic!) Francesca Romana Poleggi


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Evangelium vitae: un invito alla lettura parte seconda “Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù”: così inizia la Lettera enciclica del Beato Giovanni Paolo II “Evangelium vitae”: ecco la seconda parte degli spunti di meditazione su di essa che ci propone Mons. Giuseppe Tonello, Cancelliere del Vicariato di Roma. L’incapacità di accogliere come dono gratuito il mistero della vita umana nella sua interezza è il vero problema profondo e ‘trasversale’ della nostra epoca, prioritario rispetto a quelli economici, culturali e sociali.

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lla luce di quanto Giovanni Paolo II afferma, dovremmo imparare a riconoscere in ciò che travaglia i nostri pensieri solo un epifenomeno, cioè la “buccia” di un frutto amaro molto meno appariscente, di un problema nascosto, a cui non siamo capaci di ricondurre le - a volte drammatiche, sempre gravi - urgenze del nostro tempo: la non-accoglienza, il disprezzo, il rifiuto della vita, di quell’ ‘oggetto indecifrabile’ il cui mistero ci sfugge oramai in misura preoccupante. Chi di noi infatti è pronto ad individuare nell’incapacità (ormai generale e diffusa, non soltanto ‘di sistema’, ma anche personale) di accogliere come dono gratuito, con rispetto e fiducia, con attenzione e cura, il mistero della vita umana nella sua interezza - dal suo concepimento al suo naturale spegnersi - il vero problema profondo e ‘trasversale’ del-

la nostra epoca, sotteso alla crisi economica, al disorientamento culturale, allo sbandamento morale, all’incertezza e alla conflittualità che dilaniano la polis? C’è un dubbio, ormai, sull’oggettiva bontà e sul valore della vita umana, una profonda esitazione sul suo significato. È inquietante constatare che dalle analisi dei tanti ‘profeti’ del nostro tempo questa semplice intuizione del ‘comune denominatore’ di tanto male che ci affligge non emerga praticamente mai; ma è più grave che manchi innanzitutto a livello personale, nell’uomo della strada. Parafrasando alcuni brani della Genesi (cf. Gn 2,9 e 3,24), il nostro fallimento esistenziale e morale - che la Sacra Scrittura chiama hamartìa, peccato… fondamentalmente, di superbia - non (più) illuminato dalla luce della fede, ha fatto sì che venisse occultata ai nostri occhi la centralità dell’albero della vita, in nome di un antropocentrismo esasperato, che storicamente si è tradotto in un arrogante pragmatismo materialista (di cui è ultima espressione una tecnologia tutta piegata al consumismo) e poi in un nichilismo beffardo e spesso violento, (auto)distruttivo, inquietante. Facciamo una gran fatica ad andare sotto la superficie degli aspetti più eclatanti della complessità del nostro mondo (l’instabilità finanziaria, l’inquinamento, la violenza, il dubbio sulla genuinità e sulla veridicità della comunicazione), rischian-

do così di rincorrere i singoli fenomeni che della malattia profonda rappresentano soltanto una manifestazione grave, ma secondaria. È significativo e preoccupante che qui (precisamente in EV 3) Giovanni Paolo II, quasi vent’anni fa, richiamasse un documento del Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, n. 27) che ancora prima, nel 1965, aveva deplorato con forza i molteplici delitti e attentati contro la vita umana. Il Papa aggiungeva che, ancora una volta e con identica forza, sentiva l’urgenza di deplorarli a nome della Chiesa intera, con la certezza di interpretare “il sentire autentico di ogni coscienza retta”. Diceva il testo conciliare citato dal Papa: “Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana… tutto ciò che offende la dignità umana… guasta la civiltà umana e inquina coloro che così si comportano ancor più che non quelli che subiscono; e lede grandemente l’onore del Creatore” (GS 27). Sembrerebbe che a distanza di cinquant’anni nulla sia cambiato, se non in peggio. Oppure siamo di fronte al solito luogo comune; però delle molteplici violazioni della dignità della vita e del bene dell’esistenza umana (sempre perpetrati nella storia) siamo diventati più consapevoli a livello globale, e in tempo reale. Mons. Giuseppe Tonello


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Famiglia ed Economia

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Ripartire dall’educazione

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Il programma Teen STAR-Sexuality Teaching in the context of Adult Responsibility è un percorso di educazione affettiva e sessuale che guarda alla totalità della persona, e tiene unite le esigenze della corporeità e la dimensione affettiva.

o raccontano le statistiche, lo conferma chi li conosce da vicino: gli adolescenti di oggi sono profondamente disorientati, punti di riferimento pochi o nessuno. Si gettano in rapporti sessuali sempre più precoci, li vivono con o senza amore; segue un consumo sempre più indiscriminato della pillola, un aumento delle malattie a trasmissione sessuale e del numero di aborti fra le minorenni. Le nuove generazioni bruciano le tappe per sentirsi grandi e spesso rimangono scottati. Subiscono acriticamente quei modelli, affascinanti ma vuoti, che la società propugna loro, indicando nel piacere, e non nell’amore, la chiave della felicità. Ingannati, ne restano feriti. Che cosa rispondono gli adulti? Le famiglie dovrebbero trasmettere, anzitutto con l’esempio, cosa significhi amarsi, costruire e coltivare un rapporto d’amore, e quale dono prezioso sia la sessualità… invece proprio su questo tema, così importante e così intimo, la comunicazione tra genitori e figli è molto carente: i genitori arretrano ancor prima di cominciare. Ben più facile allora cercare risposte e provocazioni sul web, un mondo appariscente, ingannevole, tutt’altro che educativo. Anche la risposta della scuola è inadatta: i percorsi di educazione sessuale sono affidati a consultori ed enti sanitari, i quali il più delle volte promuovono una cultura della contraccezione, nella prospettiva di una mera riduzione del danno. Presentano ai ragazzi schemi di condotta sessuale che riducono la sessuali-

tà alla pura genitalità, indicano l’attività sessuale come fine a se stessa, non affrontano le conseguenze determinate dai comportamenti. In questi programmi non si parla di affetti, non si parla di fiducia, né di progettualità; tantomeno di purezza. Come se la felicità necessitasse solo di note tecniche e insistenti raccomandazioni sull’uso dei contraccettivi, niente di più. Questi adulti hanno forse dimenticato che anche l’amore si impara? Per evitare le sofferenze di una sessualità disordinata (e prevenire, fra queste, anche il dramma dell’aborto) non basta una campagna informativa: occorre una vera educazione. Occorre cioè trasmettere un valore, indicare un significato per il quale valga veramente la pena spendersi. Fortunatamente, non mancano le voci che desiderano portare ai ragazzi questo sguardo umano sulla corporeità e sull’amore; queste voci devono arrivare con forza. Urgono adulti capaci di aiutare i più giovani a districare l’intreccio

delle sensazioni, sostenendo la loro libertà e suscitando il loro desiderio più vero, per far scoprire loro quanto la pienezza dell’umano corrisponda alla profondità del proprio desiderio. È questa la proposta del programma Teen STAR-Sexuality Teaching in the context of Adult Responsibility (www.teenstar.org): un percorso di educazione affettiva e sessuale che guarda alla totalità della persona, e tiene unite le esigenze della corporeità e la dimensione affettiva. La forza del Teen STAR è la sua pedagogia: ideato per i teenagers, tiene conto dello sviluppo della personalità e del processo identitario ancora in atto, con il loro fisiologico rifiuto dell’autorità. Per questo adotta una pedagogia induttiva, valorizzando l’esigenza tutta adolescenziale di vivere ogni scoperta da protagonisti, lontani da affermazioni preconfezionate. Il punto di partenza è la realtà: i ragazzi imparano a riconoscere nel proprio corpo i segni della fecondità, scoprendo attraverso di essi il significato profondo della sessualità come relazione. Di comprovata efficacia, il Teen STAR promuove scelte consapevoli, legate al profondo desiderio di amare ed essere amati: il programma ha ridotto di 5 volte il tasso di gravidanze indesiderate, e la maggior parte dei teenagers intervistati ha notevolmente ritardato l’inizio dell’attività sessuale. Lo chiedono, ne hanno bisogno: ripartiamo con loro da una vera educazione. Irene Frondoni


Famiglia ed Economia

Notizie

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I piccoli davanti a internet Una famiglia aperta alla vita, si trova a far crescere i bambini in un mondo che cambia vorticosamente e offre sempre nuove opportunità, ma anche nuovi pericoli.

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nternet è pericoloso”. Questo si sente spesso dire e in pochi sono in grado di dare risposte sensate sulla veridicità o meno di questa “tesi”. È vero, ma anche no. Come tutti i mezzi di comunicazione e divulgazione di massa che si sono succeduti nella storia, internet non è un male assoluto (e anche se lo fosse non potremmo arrestarne la diffusione), così come non è sempre una suprema fonte di saggezza: dipende da come lo si usa e dal tipo di coscienza digitale con la quale ci si avvicina allo strumento. Oggi come oggi, è tale l’urgenza di un indirizzo educativo e sociale chiaro al corretto uso della rete, che l’uso di certi strumenti dovrebbe entrare a far parte della formazione scolastica sin dai primi anni di scuola. I nativi digitali di questo tempo si chiamano così proprio perché iniziano a entrare in contatto con questi strumenti e con nuove tecniche di comunicazione molto prima che ci si possa rendere conto che abbiano già imparato a farlo. La trasmissione di quest’attitudine o abilità avviene però per strade arbitrarie, spesso affidate all’amichetto di

turno, al cuginetto più grande o a un I-phone lasciato incustodito sul divano, e questo diventa appunto un preludio al rischio che, soprattutto i bambini, possano presto diventare piloti senza patente di un’auto potentissima. È quindi sufficiente o opportuno negare loro la possibilità di avvicinarsi a questi mezzi? Certamente no: come sempre il cambiamento va assecondato con coscienza e discernimento adeguandosi con attenzione, vitalità e premura a ciò che di nuovo ci circonda. Come poter, quindi, contribuire a educare i propri figli e i bambini in generale a un corretto uso della rete e del web? Innanzitutto impadronendoci noi, da adulti, di una buona e corretta visione d’insieme che tenga conto del ruolo, ormai fondamentale, di internet nella vita di tutti i giorni, delle sue reali potenzialità per i giovani e per i più piccoli e dei reali rischi possibili. Avere un’opportuna e quanto più possibile completa visione dei pregi e dei difetti della rete è sicuramente un buon punto di partenza, spesso sottovalutato dagli adulti, per imparare

Per contribuire a educare i propri figli e i bambini in generale a un corretto uso della rete, noi, da adulti, dobbiamo impadronirci di una buona e corretta visione d’insieme che tenga conto delle sue reali potenzialità e dei reali rischi possibili. a diventare dei buoni maestri, dei bravi educatori e dei completi genitori anche rispetto al mondo che cambia. Come per ogni cosa, non bisogna aver paura di cambiare. Pensare di ostacolare il progresso con i divieti è impossibile, per evidenti ragioni: è dunque opportuno rendersi consapevoli di ciò che è bene e di ciò che non lo è, avvicinandosi a certi cambiamenti epocali senza necessariamente far proprio il pregiudizio popolare più diffuso. Ad esempio non lasciare soli i bambini davanti ad una connessione web attiva è un buon modo per cominciare: navigare con loro, instradarli sulle fonti da poter utilizzare, provare a educarli al buono e al bello della rete è il primo semplice e più efficace passo da poter fare insieme e con poco sforzo. Una volta le stesse cose si dicevano della televisione, mezzo che i nativi digitali di oggi tendono a usare sempre meno, proprio in cambio del più libero e moderno uso del web. Cambiano le culture, gli strumenti e le possibilità, ma in fondo è sempre la nostra capacità di discernimento a fare davvero la differenza in ogni ambito della vita. Anche Internet è quindi un “problema” culturale la cui urgenza, come per ogni cosa, è quella di essere manovrato dall’uomo con coscienza e padronanza. Giorgia Petrini


www.prolifenews.it La nostra redazione cura un sito che viene aggiornato quotidianamente con notizie Pro Life dall’Italia e dal mondo. Il sito ospita articoli di stampa relativi al tema della Vita e diverse rubriche che trattano vari argomenti di carattere giuridico, scientifico, morale, economico e filosofico. Contributi e commenti sono benvenuti, scrivere a: redazione@prolifenews.it

Letture consigliate

Walt Heyer Paper Genders € 14,90

Giancarlo Ricci Il Padre dov’era € 16,50 I matrimoni tra gay e le adozioni, le famiglie monogenitoriali, l’introduzione del genitore A e B, il dibattito sull’origine biologica dell’omosessualità: su questi e molti altri temi il libro, in modo critico, propone punti di vista nuovi che vengono esposti in modo agevole in una quarantina di voci. Ne risulta una sorta di mappa delle problematiche più significative. Attraverso una lettura psicanalitica l’autore si inoltra sul terreno clinico esplorando i motivi psichici e familiari che portano all’orientamento omosessuale. I temi affrontati sono ampi: l’assenza del padre e il predominio della madre, il nodo dell’adolescenza, ma anche il vissuto traumatico, l’abuso, la diffusione della pornografia. Affrontando il dibattuto tema della domanda di cura e di effetti di guarigione, una tesi è che esistono forme diverse di omosessualità e che esse differiscono anche per il manifestarsi o meno di un disagio soggettivo. La nostra epoca, che festosamente si compiace del declino del padre, sembra celebrare il trionfo di un «godimento smarrito», barattandolo con un concetto di libertà e di emancipazione in cui tutto è permesso.

Un libro quanto mai opportuno che si inserisce nell’attuale vivace dibattito sul tema dell’identità sessuata e smaschera e smentisce le promesse della chirurgia di cambiamento di genere. Presentando una combinazione di dati ben documentati e di irrefutabili testimonianze, l’autore mette in luce il fenomeno dei suicidi e dell’insoddisfazione dei pazienti, che i fautori dell’intervento chirurgico preferiscono tenere nascosti. Walt Heyer, un ultracinquantenne, è stato tra i primi a vivere personalmente il cambiamento di genere. Partendo dalla propria esperienza ci offre il racconto angosciante di vite umane devastate e tormentate dove è quotidianamente visibile il danno reale provocato dall’ideologia gender. I fatti che l’autore ci descrive con puntualità e competenza, dalle fallaci ricerche in sessuologia contenute nei famosi Rapporti Kinsey all’esperimento di Money sui gemelli identici (cresciuti come se fossero un maschio e una femmina) pongono seri motivi di riflessione. La storia personale di Heyer ribadisce quanto sia di fondamentale importanza che un bambino cresca in un ambiente familiare naturale con un padre e una madre che sostengano e difendano il fondamentale diritto dei propri figli al proprio genere biologico e alla propria identità eterosessuale. Il saggio di commento sull’appropriatezza della cosiddetta «chirurgia di riattribuzione del sesso» da parte di treesperti dell’area bioetica (Fitzgibbons, Sutton e O’ Leary), basato su considerazioni biologiche, psicologiche e sociologiche, offre un ulteriore spunto per far proprie competenze umanamente condivisibili che non devono rimanere appannaggio dei soli addetti ai lavori.

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