Provita maggio 2015

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POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003

Rivista Mensile N. 30 - Maggio 2015

“nel nome di chi non può parlare”

Padova CMP Restituzione

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Notizie

LUPI TRAVESTITI DA PECORE Un’agenzia ONU con le mani lorde di sangue

Save the children: quali? Ecco come l’UNICEF protegge i bambini


- Sommar Sommario S o m m a rio rio -

Notizie

Editoriale Editoriale

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Lo sapevi che... Lo sapevi che...

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Primo Piano Primo Piano

Dalle unioni di fatto etero ai matrimoni gay

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Federico F e ederico Catani

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Ecco come l’UNICEF protegge i bambini IFederico conviventi Catanihanno tanti diritti. Solo diritti Gianfranco Amato

Un’agenzia dell’ONU con le mani lorde di sangue La Babele moderna Harry Wu

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Emmanuele uele W Wundt undt

Croce Rossa arcobaleno 15 Sovvertire la realtà naturale vuol dire distruggere l uomo 1 7 Alba Mustela Giovanni Reginato

Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) 16 Unioni (in)civili, imposte dai giudici 19 Francesca Romana P Poleggi Francesca F rrancesca rances Romana Poleggi oleggi

Dall’amnistia al gender

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Alessandro Fiore

Attualità Save the children: quali? 20 Daniela Fraioli

Una preghiera inerme, eppure insopportabile

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Adrea Mazzi

Fecondazione eterologa

Attualità e anonimato dei venditori di gameti

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Virginia Lalli Anna Maria Pacchiotti Rodolfo de Mattei

Come buonsenso smascherare certe bugie Dolce

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Giuliano Guzzo Claudia Cirami

Scegliere la vita genera la vita

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Giulia Tanel

Quella foto sul cellulare…

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La questione della fecondazione artificiale

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Scienza Laura Bencettie Morale

Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula

Scienza e Morale Non credenti pro life

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Claudia Cirami

25 La buona notizia:diversi Ginevra Uomini e donne, per natura, anche nello sport 22 Paola P aola Bonzi Rodolfo De Mattei

IlEutanasia: genocidioindei bambini Down 26 Francia va in scena “La grande bugia” 24 Newlife Sara Alessandrini

Le fabbriche di bambini 26 Gian Paolo Babini

Famiglia ed Economia Non basterebbe l’amore (se fosse amore) Brian Clowes

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N. 23 OTTOBRE TOBRE2015 2014 30 - OT MAGGIO

nel “nel nome di chi non può parlare parlare” RIVISTA MENSILE RIVIST TA MENSILE N. 30 - MAGGIO 2015 N. 23 - OTTOBRE 2014 Editore Editore ProVita Onlus ProVita Onlusvia della Cisterna, 29 Sede legale: Sede via (TN) della Cisterna, 29 38068legale: Rovereto 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Codice ROC 24182 Redazione Redazione Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Piazza Municipio Municipio 3 3 -- 39040 39040 Salorno Piazza Salorno (BZ) (BZ) redazione@notizieprovita.it -- Tel. redazione@notizieprovita.it Tel. T el. l 329 3290349089 0349089 Direttore responsabile Direttore responsabile Antonio Brandi Antonio Brandi Direttore editoriale Direttore editoriale Francesca F rancesca Romana Romana Poleggi Poleggi Direttore ProVita ProVita Onlus Onlus Andrea Giovanazzi Giovanazzi Impaginazione Progetto grafico Massimo Festini Festini T ipografia Tipografia Flyeralarm SrL, Viale Druso 265, 39100 Bolzano Editorial and Packaging Solution

Accogliere un figlio, nonostante tutto 6 9 Drogati di sesso

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Editoriale

Editoriale

Lupi travestiti da pecore Forse anche i nostri lettori - come noi - saranno delusi e dispiaciuti. Anche noi - come molti di loro in passato abbiamo pensato alle agenzie ONU e a certe ONG umanitarie internazionali come organizzazioni bona fide non soggette a pressioni ideologiche e politiche. Leggendo le Convenzioni a cui si ispirano e i nobili principi che le pervadono, sembra che i bambini, i disabili, i poveri, i malati, le donne in difficoltà siano l’obiettivo centrale dell’azione di queste entità, che esse esistano per tutelarle, che esse siano volte a diffondere valori di pace e di solidarietà innanzi tutto verso i più deboli. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, per esempio, patrocinata e promossa dall’UNICEF, varata agli inizi degli anni ’90, nel preambolo recita che “…la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività”. E nel prosieguo dichiara di proteggere in particolare il diritto dei bambini di non essere separati dai propri genitori e il diritto di conoscerli; tutela poi il diritto alla vita, e promuove l’emanazione di leggi appropriate, non solo per garantire il più fondamentale tra i diritti dopo la nascita, ma anche prima. Purtroppo, però, la cultura della morte si è infiltrata anche nei gruppi dirigenti di queste organizzazioni. I nobili intenti, come quelli appena descritti, sono solo una maschera ipocrita. Come potrete leggere in queste pagine, in diverse occasioni e in diversi modi queste agenzie e queste ONG

si sono schierate apertamente a favore dell’eugenetica, dell’aborto e della contraccezione, in nome del neo - malthusianesimo antinatalista e razzista. Le loro dichiarazioni d’intenti e i documenti da esse sottoscritti sono apertamente a favore della sessualizzazione precoce dei bambini, delle leggi che - in nome di falsi diritti - destrutturano la società e la famiglia e favoriscono la crescita dei bambini in un ambiente che spesso si rivela dannoso per il loro equilibrio psicofisico, privandoli scientemente e deliberatamente della mamma o del papà e del diritto di conoscerli. Certe ONG internazionali sono divenute attrici protagoniste nella propaganda dell’ideologia antinatalista, dell’ideologia omosessualista e dell’ideologia gender, le quali ben evidenziano in tale contesto la loro radice comune, il loro essere sostenute dalle medesime lobby che detengono buona parte del potere economico e politico a livello mondiale. Evidentemente, del resto, le ONG in questione sono soggette alle pressioni di coloro che profumatamente le finanziano, spesso solidali con le lobby finanziarie che fanno miliardi di profitti con l’industria della provetta e dei “bambini sintetici”, degli uteri in affitto, delle operazioni di riassegnazione del sesso, della pornografia, della contraccezione… E - poiché i soldi non bastano mai - queste ONG ricevono milioni in contributi sia volontari, da parte di donatori spesso ignari e in buona fede, sia coattivi da parte dei contribuenti di quegli Stati che versano parte sostanziosa delle loro entrate per finanziare l’ONU e le sue agenzie. Antonio Brandi

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Lo sapevi che...

COMBATTI PER LA VITA E PER LA FAMIGLIA CON NOI! La Famiglia è il fulcro e il fondamento della società umana fin dalle origini della civiltà. È “famiglia”, atta a generare, educare e custodire la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale, solo se c’è la complementarietà tra due coniugi, che promettono stabilmente di sostenersi a vicenda. Oggi la Famiglia e la Vita subiscono attacchi continui, di cui le prime vittime sono i bambini​, volti a distruggere l’umanità. ProVita si batte nei Tribunali con i Giuristi per la Vita (17 denunce nel 2014 contro la pornografia e il gender nelle scuole), collabora in maniera trasversale con tutti i politici che difendono la Vita e la Famiglia. Per sensibilizzare la popolazione pubblica annunci sui giornali, organizza convegni, cineforum, conferenze stampa e dà sostegno a madri in difficoltà con figli disabili, nonché ad organizzazioni che aiutano mamme con gravidanze difficili.

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Il parlamento irlandese ha approvato, con venti voti a favore e solo due contrari, il Children and Family Relationship Bill. La legge prevede che anche le coppie omosessuali possano adottare e istituisce un registro per i “donatori” (leggasi “venditori”) di gameti. Il 22 di questo mese di maggio gli irlandesi saranno chiamati a un referendum sul “matrimonio” gay. All’opposto di quanto avviene nel resto del mondo in Irlanda è passata prima la legge sulle adozioni gay e poi passerà quella sul “matrimonio” omosessuale. Nell’Indiana (USA) il Religious Freedom Restoration Act, (legge sulla libertà religiosa), consente a chiunque – ad esempio, le imprese del mondo della ristorazione – di rifiutarsi di celebrare o servire “nozze” gay, in virtù delle proprie convinzioni religiose. Immediatamente, è stata violenta la campagna scatenata contro il Governatore dalle lobby LGBT. Un’emittente locale, allora, ha condotto una serie di interviste per sondare l’opinione dei cittadini. Tra questi, la famiglia cristiana di Kevin O’Connor, a Walkerton, ha dichiarato che tutti (anche i gay) sono benvenuti nel loro ristorante, ma che non organizzerebbero un catering per un matrimonio gay, poiché in contrasto con le proprie convinzioni religiose. Contro questa famiglia si è scatenato un attacco senza precedenti: minacce sui social network, attacchi informatici, post di una volgarità e veemenza inaudita e con allegate foto a dir poco oscene; un vero e proprio bombardamento di recensioni pesantemente negative, e minacce dinamitarde e di morte. I titolari, terrorizzati, sono stati costretti a chiudere la loro pizzeria. E’ subito partita una raccolta fondi per aiutarli. Ha fruttato 500 mila dollari in poco tempo. Delle Culle per la Vita, “inventate” dal grande Giuseppe Garrone, abbiamo parlato, tante volte, sia su questa rivista sia sul portale www.notizieprovita.it. Lo scorso mese, proprio nei giorni immediatamente precedenti

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la Pasqua, a Giarre, in provincia di Catania, la Culla per la Vita di via Umbria ha salvato un bambino. La Culla di Giarre, come le altre, attive in tutta Italia (sono una cinquantina), garantisce un completo anonimato alla donna che vuole abbandonare il figlio. Un sensore e una telecamera rilevano la presenza del bambino all’interno del vano riscaldato predisposto e attivano l’allarme collegato con la centrale del 118. La legge italiana consente alle donne di non riconoscere il figlio. Se le Asl collaborassero maggiormente e valorizzassero le Culle, si potrebbero evitare numerosi aborti e infanticidi. Alcune settimane fa, un gruppo di manifestanti, prevalentemente polacchi, hanno protestato contro l’aborto a Bruxelles, davanti alla sede del Parlamento Europeo. I prolifers portavano cartelli e striscioni che mettevano in tutta evidenza la macabra realtà dell’aborto e il sangue delle vittime innocenti. Questo ha comportato l’intervento della polizia che ha tolto ai manifestanti dette immagini, in modo anche abbastanza spiccio – per non dire violento. Poca risonanza della cosa sulla stampa. Qualcuno – come al solito – si è addirittura indignato per la “violenza” dei dimostranti... La cultura della morte, infatti, per una strana proprietà transitiva usa l’aggettivo violento per manifestazioni assolutamente pacifiche che protestano contro la violenza dell’aborto. Se i manifestanti mostrano immagini della violenza stessa contro cui vogliono che la gente insorga, diventano manifestanti violenti. Quelli che mostrano le immagini della shoah, per protestare contro il Nazismo, non sono mai stati accusati di violenza. Per loro questa proprietà transitiva non vale. Né mi risulta siano mai state sequestrate le foto dei prigionieri e dei morti nei campi di concentramento nazisti. Non parliamo poi degli spettacoli delle Femen (o simili) che rientrano nella libertà di espressione del pensiero, secondo alcuni. Davvero non-violenti. Invece le immagini dell’aborto vanno censurate. Perché? Se l’aborto è “un diritto”, se non è un male, perché censurarlo?


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Lo sapevi che...

Un “libro per bambini pro choice”: si intitola “Sorella Mela, Sorella Maiale”, scritto da Mary Walling Blackburn, racconta di un bambino (o bambina) di 3 anni, Lee, che parla della sorella – che potrebbe essere una mela, un maiale, o altro. Infatti, detta sorellina è “un fantasma felice”, che per fortuna non è in giro “a scomodare” i suoi genitori. “Lei viveva dentro mamma e ora non più […] la mamma non poteva tenerla”. Quando il papà chiede se questa cosa lo rende triste o lo spaventa, Lee risponde con sicurezza: “Non sono triste che mia sorella sia un fantasma! Se aveste tenuto mia sorella, sareste diventati stanchi, tristi, e pazzi”. Se sua sorella fosse nata, prosegue, loro due avrebbero litigato sempre e la mamma non avrebbe potuto comprare abbastanza cibo per entrambi, né avrebbe avuto il giusto tempo da dedicargli. Un particolare avvertimento dell’autrice: “Masochisti, guardate altrove” perché “tra queste pagine non troverete il “lusso del dolore”, né un forte senso di colpevolezza o di colpa pungente”. La stessa autrice, all’inizio di quest’anno, in uno dei suoi spettacoli d’arte, intitolato un “Giardino anti fertilità” (“un antidoto per il carico che hanno le donne del controllo delle nascite, in risposta alla repressiva legislatura del Texas”), ha letto il suo “capolavoro”. La scenografia comprendeva una bara delle dimensioni di un feto ricoperta di glassa al cioccolato, sotto un dipinto commemorativo della data dell’aborto. C’è la crisi. Ma c’è un settore in crescita: compravendita di sperma per fecondazione artificiale. Secondo il Financial Times le banche del seme sono un’attività imprenditoriale molto redditizia, in rapida crescita, in tutti i continenti. Il gigante multinazionale Cryos International, che ha sede in Danimarca, nel solo 2012 ha fatturato 152 milioni di dollari USA. La maggior parte dei venditori di sperma sceglie l’anonimato. Riceve in pagamento un prezzo variabile a secondo delle caratteristiche del soggetto, della qualità del prodotto e della quantità di informazioni disponibili sul venditore. Lo sperma viene spedito direttamente a casa delle clienti, le quali possono anche auto inseminarsi: quindi il numero di bambini che nasce di conse-

guenza è assolutamente imprecisato, né è comunque monitorabile. C’è una certa preoccupazione sul fatto che ci sia un certo numero di fratelli che non sa di esserlo. Cryos dichiara che ogni venditore può avere in media 25 figli, ma c’è chi ne ha avuti più di 100. Anche 200. Perciò sono state imposte restrizioni legali alle banche dello sperma in molte nazioni occidentali, ma l’acquisto on line e la spedizione vanificano tali normative. I figli di questo grande business sono destinati a non sapere mai chi è il padre che li ha generati: a chi importa? Betty Michael Esene è un’organizzatrice di eventi e make-up artist nigeriana. È stata violentata lungo la strada, mentre stava andando a sostenere un esame per la sua professione. Ne è rimasta incinta. “Mi odiavo, odiavo quello che era successo, e soprattutto, odiavo il bambino. Il mio primo pensiero è stato l’aborto”, racconta Betty. “Il bambino avrebbe rovinato le mie speranze e le aspirazioni per il futuro”. Ma non aveva i soldi per abortire in una struttura sanitaria, perciò ha tentato di farlo da sola prendendo alcuni farmaci pericolosissimi: ma il bambino non ha voluto morire. Così, dopo 7 mesi di gravidanza vissuti nella depressione e con istinti suicidi, Betty si è finalmente decisa a chiedere aiuto raccontando alla sua famiglia quello che le era successo. Grazie al sostegno della madre e di una ONG della Nigeria, il bambino è nato. “Nel momento in cui l’ho tenuto tra le braccia ho sentito un’immensa pace interiore. Ora lo guardo e mi chiedo come avrei potuto rifiutare una così gloriosa benedizione. È il regalo più bello e più dolce che la vita mi abbia dato! Il suo sorriso mi dà un motivo per essere forte e andare avanti […] Non lo vedo come un prodotto della violenza; piuttosto, lo vedo come un bambino del Destino, mandato da Dio. […] Dio usa una situazione dolorosa per ricavarne qualcosa di buono: il bambino! Non giudico una ragazza spaventata che vuole abortire, perché l’ho quasi fatto anche io. Ma il bambino è figlio della vittima e non del violentatore, non ha alcuna colpa di quello che è successo, ed ha il diritto di vivere. Ogni aborto fa sempre due vittime: il bambino e la sua mamma. Che si salvino entrambi”.

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Attualità

Anna Maria Pacchiotti

Presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”. : www.onoralavita.it

Si dice di amare la propria convivente: ma poi quando lei resta incinta si fugge a gambe levate.

Accogliere un figlio, nonostante tutto Ospitiamo un’altra testimonianza di una appassionata militante pro life, che svolge da anni attività di volontariato per offrire aiuto e sostegno alle mamme in difficoltà. Questa volta ci racconta cosa accadde un mercoledì mattina al Centro di Aiuto alla Vita di Pinerolo. di Anna Maria Pacchiotti

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a storia che sto per raccontarvi è davvero intrisa di tragedia, dolore, e nello stesso tempo di dignità e di amore. La giovane mamma in difficoltà che si rivolse a me, quella mattina, per richiedere aiuto in vestiario e articoli vari per la bimba che doveva nascere, mi raccontò una storia terribile. Fortunatamente, aveva dove abitare, la sua mamma e il suo papà la ospitavano volentieri. Era stata inviata al Centro di Aiuto alla Vita da un’ottima ostetrica polacca del consultorio (caso davvero inusuale: la collaborazione dei consultori pubblici con i CAV e le altre realtà associative che offrono aiuto alle madri in difficoltà è estremamente rara. Piuttosto è subito pronto nel cassetto il certificato per l’aborto) che l’aveva consigliata di dire comunque “sì” alla vita. Il compagno che diceva di amarla era fuggito all’istante quando lei gli aveva confidato di aspettare un figlio. Lei lavorava in un locale, ma non poteva continuare ancora a lungo il servizio ai tavoli e le pulizie, senza compromettere la sua salute e forse la vita della bimbetta che portava in grembo. Il proprietario del locale la maltrattava, piuttosto che cercare di alleggerirle i compiti, pertanto lei avrebbe dovuto lasciare il posto di lavoro: di congedo per maternità, non se ne poteva neanche parlare.

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Mi raccontò la tragica storia che portava sulle sue spalle come una croce. Sposatasi in giovane età con uno straniero, l’uomo si rivelò presto assai aggressivo e violento. Poi un giorno incontrò un giovane italiano che si innamorò di lei. Ella lasciò il marito e andò a vivere in casa del giovane. Dopo un poco di tempo, però, un giorno il marito scoprì dove abitavano, e se lo ritrovarono davanti. L’uomo si gettò su di lei brandendo un coltello a serramanico. Il giovane con cui viveva si mise davanti a lei e morì per difenderla. Il marito fu imprigionato, ma poiché era incensurato, visti i meccanismi della giustizia in Italia, tornò presto in circolazione. Pertanto la povera donna cominciò a vivere in stato di semi-clausura con i genitori. Questi erano costretti a cambiare sovente appartamento per far sì che l’uomo non la ritrovasse. Oggi, ho saputo da fonte sicura che sta di nuovo in

Qualche volta i consultori pubblici collaborano con i Centri di Aiuto alla Vita. Troppo spesso hanno pronto nel cassetto il certificato per l’aborto.

carcere, giustamente, ma allora era ben libero di nuocere… Dopo aver ascoltato la sua storia, tra me e Maria (nome di fantasia) si instaurò un affettuoso rapporto di solidarietà e di aiuto psicologico ed economico. Verso la fine della gravidanza, mi venne a dire che le ostetriche del locale Ospedale intendevano praticarle il taglio cesareo, nonostante la bimba fosse ben posizionata, pronta per il parto, e lei si trovasse in stato di ottima salute. La tranquillizzai, le suggerii di non accettare quanto propostole, ma di richiedere il cesareo solo in caso di sofferenza fetale durante il travaglio. Purtroppo quella di effettuare “cesarei ad ogni costo” è una pessima abitudine delle nostre sale parto, che porta l’Italia al primo posto fra tutte le nazioni europee, per una pratica che non lascia spazio alla natura, ma porta denaro alle casse delle ASL e nelle tasche dei chirurghi. La bimbetta nacque felicemente, sana, di ottimo peso. Porto con grande affetto il ricordo di questa giovane, coraggiosa, vera mamma, nel profondo del mio cuore. Lei e la sua famiglia sono riuscite a riavere la felicità dopo le tragedie vissute. La decisione secondo natura di accettare aiuto e di accogliere la bimba che portava in seno fa parte di questa felicità: la nascita di un figlio non può che arrecare a tutti gioia e benessere. ■


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Attualità

Claudia Cirami

Siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica. * sorrialba@gmail.com

L’ha detto lui, Elton John, alla stampa: “A mio figlio, quando da grande capirà che non ha una madre, gli si spezzerà il cuore”

Dolce buonsenso Una dittatura ideologica cerca di prendere il sopravvento: scatena la gogna mediatica e il boicottaggio appena uno si dichiara contrario alla produzione artificiale di bambini “in provetta”. di Claudia Cirami

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ora ci toccherà comprare capi Dolce&Gabbana. O, almeno, profumi e cosmetici del marchio, più accessibili per le (povere) tasche italiche. Ci toccherà perché ai boicottaggi insensati si risponde con acquisti razionali e oggi nulla è più razionale che vestirsi e profumarsi e truccarsi D&G. Perché, nel 2015, uno (Domenico Dolce) non può dirsi in disaccordo sulla produzione di bambini su ordinazione che subito i nuovi prometei, che invece del fuoco sottraggono creature al divino, insorgono per additarlo alla gogna pubblica e lanciare boicottaggi per rovinarlo. In prima fila, Elton John, che ha inventato il tetro boicottaggio; Courtney Love, che ha dichiarato di voler bruciare i suoi vestiti D&G («fammi sapere dove e quando: vengo a prenderli», uno dei commenti più assennati sui social); Ricky Martin, che ha invitato gli stilisti ad amare se stessi, per non «spargere così tanto odio». Le nuove sirene, per rimanere nel campo dei paragoni mitologici. Perché provano a farci fracassare sugli scogli dell’irrazionalità, gorgheggiando il polivalente canto “love is love”, per cui tutto è lecito in nome dell’amore. Domenico Dolce non ci sta: «Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. Ne è icona la Sacra Famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e

una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Ma lei accetterebbe di essere figlia della chimica? Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni» (Panorama, 16 marzo 2015). Se non vivessimo in un’epoca folle, queste parole meriterebbero solo applausi. Basta essere assidui lettori del portale notizieprovita.it, o aver ascoltato le conferenze nostre, di Amato, o di Adinolfi, in uno dei tanti incontri in giro per l’Italia, per capire le contraddizioni odierne. Abbiamo più volte raccontato le sofferenze neo e post natali del primo bambino di Elton John. E le dichiarazioni dello stesso cantante che sa che ai suoi figli prima o poi si spezzerà il cuore, quando capiranno di non avere una madre. Inventate? No, tratte dalle interviste che lo stesso cantante ha rilasciato.

Ai boicottaggi insensati si risponde con acquisti razionali e oggi nulla è più razionale che vestirsi e profumarsi e truccarsi D&G.

Anche Domenico Dolce si è proiettato nel futuro, ipotizzando le prossime angosce dei “figli della chimica”: «vai a spiegare a questi bambini chi è la madre», e cioè l’idea delle origini, che è dentro ad ognuno di noi e che in questi bambini si vuole recidere, già prima di essere nati. Ed è sbagliato dire che le origini non interessano: da Chi l’ha visto? a Così vicini e così lontani, i programmi televisivi pullulano di figli che cercano i veri genitori, pure se cresciuti da ottime famiglie adottive. Perché allora i “bambini sintetici” non si dovrebbero porre il problema delle origini? E mentre Gabbana dice che un figlio lo farebbe subito, Dolce è di parere avverso: «Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia». Composta di padre, madre e figli. E 6 figli cresciuti da coppie gay gli hanno espresso solidarietà con una lettera pubblica, invitandolo a non mutare posizione. Eppure non è un fanatico integralista: Langone, su Il Foglio, lo ha definito “omosessualista moderato”. Oggi però anche i moderati hanno vita dura. Come il buon senso, pure se firmato D&G. ■

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Giulia Tanel

Laureata in Filologia e Critica Letteraria, scrive per passione. Collabora con libertaepersona.org e con altri siti internet e riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella storia (Ed. Lindau).

La “nostra” Chiara Corbella, col marito Enrico Petrillo

Scegliere la vita genera vita La “Grande storia di Gregorio il piccolo”, nel numero dello scorso dicembre, ha fatto commuovere parecchi. Oggi proponiamo altre vicende di dolore, amore e vita. Perché scegliere la vita è l’unico modo per sconfiggere la morte. di Giulia Tanel

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uando si parla di aborto solitamente si pensa subito alla morte fisica e ai drammi interiori che questa scelta provoca. Anche la sensibilizzazione pro life propone spesso approfondimenti e riflessioni a partire da queste angolature e prospettive di lettura, andando ad analizzare i numeri e le cause che hanno portato le donne a questa scelta estrema e considerandone le conseguenze. Naturalmente questo modo di procedere è necessario e si giustifica da solo, tuttavia appare altrettanto importante mettere in evidenza l’altra parte della medaglia, ossia la costatazione che il coraggio di dire “No” all’aborto e di accogliere il corso naturale della vita – anche quando questa fosse fin dall’inizio segnata dalla prospettiva della morte – possono essere fonte di una serenità inaspettata e immensa. Le testimonianze in tal senso sono davvero innumerevoli, anche se troppo spesso vengono taciute dai grandi mezzi d’informazione. Si pensi all’esperienza, cara ai lettori di Notizie ProVita, di Chiara Corbella Petrillo, morta a soli ventotto anni per aver privilegiato la vita del figlio Francesco ri-

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spetto alla propria, nonché icona dell’accettazione della vita “senza se e senza ma”, dal momento che lei e suo marito Enrico hanno accolto ben due figli vissuti solo pochi minuti: Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni. Oppure si guardi a Gianna Beretta Molla, a Rita Fedrizzi, a Felicita Merati Barzaghi, a Tonia Accardo e a molte donne che hanno anteposto la vita dei propri bambini alla propria, generando frutti di amore incalcolabile. Scegliere la vita genera vita, anche dentro l’esperienza della morte e del dolore. Questa affermazione forte, quasi paradossale, anche negli ultimi mesi si è fatta carne nell’esperienza di tante persone. Riportiamo qui, a titolo esemplificativo, tre testimonianze differenti.

Il coraggio di dire “No” all’aborto e di accogliere il corso naturale della vita possono essere fonte di una serenità inaspettata e immensa.

La prima storia, assai toccante, è quella del piccolo Samuele, nato il 9 febbraio 2015 e vissuto solamente poche ore. In una lettera venata di simpatia, dove Samuele parla in prima persona attraverso la scrittura del padre, è narrata la sua breve vita: dalla burrascosa scoperta della sua esistenza, causa dell’annullamento di un viaggio all’estero, alla visita morfologica e alla scoperta della mancanza dei reni, alla scelta dei genitori di dare comunque alla luce il loro amato bambino – che diventa fin da subito una presenza viva cui parlano! – fino al momento della morte. Una lettera che si conclude con un messaggio forte: “Ciao mamma e papà, quassù non è male come può sembrare, anzi! Mi dispiace se la mia assenza vi fa piangere così tanto, ma io sono sempre con voi. C’è un momento quando non state dormendo, ma non siete nemmeno svegli: io sarò sempre lì e lì vi vorrò sempre bene. Grazie per avermi fatto nascere e per avermi battezzato, ora sono un bambino a tutti gli effetti e un angelo di Dio”. Una seconda storia, che sta suscitando un vasto dibattito a livello internazionale, è quella di Walter Joshua Fretz, nato vivo nell’estate del 2013 ad appena 19


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Attualità

L’aborto: alla sofferenza - sempre presente, anche se talvolta negata di uccidere il proprio bambino non si affianca alcun elemento di riscatto.

La manina di Walter Joshua Fretz

settimane di gestazione. Sul suo blog la madre Lexi racconta con queste parole il momento immediatamente successivo al parto: “In quel momento stavo piangendo, ma lui era perfetto. Era completamente formato e tutto era al suo posto; riuscivo a vedere il cuore battere nel suo piccolo petto. Joshua e io lo abbiamo preso e abbiamo pianto per lui, guardando il nostro figlioletto perfetto e minuscolo”. Le foto fatte a Walter sono una testimonianza incontrovertibile: seppur ancora in formazione, il bambino era già assolutamente perfetto. Queste fotografie sono state successivamente diffuse in internet e hanno spinto diverse donne a ravvedersi rispetto alla loro decisione di abortire. Anche la storia di Walter acquisisce un senso enorme, diventa una testimonianza di vita: “Solo perché

La scelta di privilegiare la vita è sempre vincente e foriera di frutti inaspettati. La scelta opposta, invece, non genera nulla.

il bambino nella pancia della mamma non può essere visto da noi – scrive ancora Lexi – non significa che sia solo un mucchietto di cellule. Walter era perfettamente formato ed era molto attivo nell’utero. Se avesse avuto solo qualche settimana di più, avrebbe avuto una possibilità di lottare nella vita. [...] In mezzo a tutto il nostro dolore, sono felice perché da tutto questo può uscire qualcosa di positivo”. Infine, splende luminosa l’esperienza di Elisa Lardani, mamma di quattro bambini morta il 28 febbraio 2015 nel dare alla luce l’ultimogenita, la piccola Maddalena. Quella di Elisa è una morte improvvisa e inaspettata, dovuta a una coagulazione intravascolare disseminata, una sindrome molto rara e dall’alto tasso di mortalità. Suo marito, Luca Marchi, in occasione del funerale ha pronunciato un messaggio carico di serenità: “Da quando è accaduto – ha detto – mi ripeto ‘A testa alta, fino in fondo’. Chi corre, chi fa le gare sa che non si guardano i piedi. Portando la bara di Elisa ho capito perché a testa alta, fino in fondo. Perché a testa alta ho visto Lui. È la mia forza, il mio coraggio. Non è molto ortodosso ma vorrei citare una canzone di Jovanotti che a noi piace molto: l’eternità è un battito di ciglia. E noi siamo fatti per l’eternità. Chiara Corbella ce l’ha insegnato con la sua testimonianza. Siamo nati e non moriremo mai più. Noi abbiamo scelto di guardare in faccia la vita e scommetterci, sen-

za paura. Abbiamo scelto di amare fino in fondo”. Una serenità confermata anche dalle parole del celebrante, don Luca Castiglioni: “Tanti fra noi, in effetti, hanno conosciuto questa giovane donna riconciliata con le urgenze, consapevole del dono del tempo e quindi solerte nel darsi da fare, ma paziente nell’attendere, tutta compresa nell’attimo presente. Con questa fiducia nella fecondità del seme che cresce silenziosamente, trasmetteva pace”. Il segreto di tutto, in definitiva, parrebbe quindi essere quello di stare di fronte all’avventura della quotidianità con un’apertura coraggiosa alla vita e a tutto quanto essa porta, nel bene e nel male. In questo modo, infatti, si può vivere in pienezza e giungere alla serenità, senza rinunciare a nulla e guadagnando tutto. Le storie che abbiamo riportato, tutte umanamente segnate da un’importante componente di sofferenza, dimostrano infatti in maniera molto chiara come la scelta di privilegiare la vita sia sempre vincente e foriera di frutti inaspettati. La scelta opposta, invece, non genera nulla. Si pensi ancora all’aborto, dove alla sofferenza – sempre presente, anche se talvolta negata – di uccidere il proprio bambino non si affianca alcun elemento di riscatto. Lasciamoci quindi stupire dal dono immenso della vita, anche di fronte ai casi all’apparenza più difficili da comprendere. In questo modo potremmo arrivare a ripetere anche noi le parole di Elisa: “Alla vita che a ogni passo ci stupisce! ■

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Attualità

Laura Bencetti

26 anni, praticante avvocato con il pallino per le cause pro life: ama battersi per la Vita e la Famiglia. Oltre che con ProVita, collabora con il Centro per la Vita di San Giuseppe al Trionfale a Roma.

Reagan Nielsen

Quelle foto sul cellulare… L’aborto legale è una nuova strage degli innocenti, certamente peggiore di quella perpetrata da Erode. E le madri ne sono spesso vittime insieme ai loro figli, anche quando non sembra di Laura Bencetti

R

eagan Nielsen è la coordinatrice regionale nel Midwest degli USA dell’associazione “Students for Life of America”. Ha raccontato a Life Site News un episodio accaduto alla Lindenwood University, a St. Charles, nel Missouri, che la ha profondamente colpita. La Nielsen aveva esposto l’ultimo rapporto stilato da Planned Parenthood sulla sua attività, relativa all’anno fiscale 2013-2014: gli studenti sono rimasti scioccati nell’apprendere che Planned Parenthood pratica 897 aborti ogni giorno e che è finanziata con i denari dei contribuenti. La maggior parte degli universitari non aveva idea che Planned Parenthood fosse responsabile di così tanti aborti, perché la propaganda spaccia le cliniche PP come centri sanitari per la “salute sessuale e riproduttiva”. Al termine del convegno, in mezzo a un gruppo di giovani che deridevano e provocavano i prolifers, si è distinta una ragazza, particolarmente aggressiva e strafottente, che però cercava il dialogo - in qualche modo - con la Nielsen. La giovane, di fatto, la tempestava di domande, senza logica, con molti slogan, e non voleva ascoltare risposte. A un certo punto chiede: “Cosa stai a fare qui? Perché odi l’aborto? Perché attacchi Planned Parenthood?” Senza perdere la calma, la Nielsen ha spiegato che in realtà non stava attac-

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cando Planned Parenthood, ma solo esponendo la loro relazione annuale. La giovane ha continuato ad inveire e poi ha chiesto dove le donne dovrebbero andare se non vogliono avere un bambino. La Nielsen, le ha spiegato che i centri di aiuto per la gravidanza operano del tutto gratuitamente. La ragazza ha replicato candidamente: “Beh credo che le donne dovrebbero essere in grado di ucciderlo se non lo vogliono”. E Reagan: “Ok, allora sai che è un essere umano, riconosci che l’aborto uccide qualcuno!” E lei: “No, è solo sangue. Scherzi a parte, lo so. Io ho avuto un aborto”. Lei le ha dichiarato il proprio dispiacere per la cosa, e la ragazza, come per autoconvincersi, le ha risposto che stava benissimo (anche se il viso lasciava trapelare altro). Poi le ha mostrato il suo telefono dicendo di nuovo: “Vedi, è solo sangue!”. La ragazza aveva delle foto del bambino abortito sul cellulare. Poi, come se non si rendesse conto di quello che diceva, passando ad un’altra foto ha aggiunto: “In realtà, qui si può vedere una gamba e un piede…”.

La propaganda spaccia le cliniche Planned Parenthood come centri sanitari

Quel bambino era di 15 settimane. La conversazione è proseguita per qualche minuto. Dalla strafottenza iniziale con cui ha cercato di mascherare il dolore per quello che aveva fatto, la ragazza ha iniziato a sciogliersi e ad aprirsi con la Nielsen. Come spesso succede, il padre del bambino non voleva che lei abortisse, ma lei l’aveva fatto ugualmente per timore dei genitori e perché voleva terminare la scuola. Nonostante fosse a gravidanza avanzata (15 settimane) alla clinica alla quale si era rivolta (Planned Parenthood, per l’appunto) l’avevano fatta abortire con la pillola RU-486. Man mano che parlava, la giovane ha mostrato di rendersi conto che fino a quel momento aveva mentito a se stessa: non era solo sangue. Sapeva che quello era il suo bambino. Sono molte, troppe, forse la maggior parte, le ragazze che compiono il gesto più terribile che una madre possa compiere nei confronti del proprio figlio, senza che si rendano conto della gravità e del male che fanno al bambino, e poi anche a loro stesse. La colpa è della cultura della morte che ha forgiato l’opinione pubblica, non nell’interesse dei più deboli (la donna ed il suo bambino), ma del più forte (le case farmaceutiche, o le cliniche abortiste), nascondendo i loro sporchi affari dietro la scusa della salute della donna, dei diritti, della libertà… ■


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Primo piano

Federico Catani

L​aureato in scienze politiche ed insegnante di religione, si è appena laureato anche in scienze religiose. È giornalista pubblicista.

“Aiuta un bambino con l’UNICEF”. Bisognerebbe aggiungerci un grosso punto interrogativo!

Ecco come l’UNICEF protegge i bambini Ci dispiace far crollare quello che per qualcuno è ancora un mito. Dietro la maschera dei diritti dei bambini, nonostante il volto sorridente (e magari in buona fede) di tanti “ambasciatori” famosi, l’UNICEF veicola la cultura della morte. di Federico Catani

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e pensate che regalare quattrini all’UNICEF sia una buona azione, fate male. Se ritenete che il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia sia un’agenzia internazionale di beneficienza, dovreste ricredervi. È tempo di svegliarsi e guardare in faccia la (tragica) realtà. Fondata nel 1946, l’UNICEF si occupa di assistenza umanitaria per i bambini e le loro madri in tutto il mondo, principalmente nei Paesi in via di sviluppo. Sul sito della sezione italiana possiamo vedere quali sono gli obiettivi nobili che si prefigge. Tuttavia, se esaminiamo le strategie perseguite per raggiungere tali scopi, si resta alquanto delusi. Anzi, parecchio incavolati. Leggiamo ad esempio che l’UNICEF protegge l’infanzia e l’adolescenza contro ogni forma di abuso e sfruttamento. Benissimo. Eppure nel novembre scorso la stessa agenzia ha emanato una Position Paper intitolata “Eliminazione della discriminazione verso figli e genitori basata sull’orientamento sessuale e/o identità di genere”. Nel documento si sponsorizza ufficialmente il riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso (“l’UNICEF sostiene la messa in atto di leggi che certifichino il riconoscimento legale dei legami familiari dei genitori LGBT e dei loro figli”), si sollecita l’abro-

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gazione delle norme che limitano la promozione dell’omosessualità tra i bambini e si sollecitano modifiche nelle legislazioni in senso favorevole al comportamento omosessuale. Come si concilia tutto ciò col diritto dei bambini ad avere un padre e una madre? Non è forse abusare dei fanciulli far loro il lavaggio del cervello con l’ideologia gender? Non c’è sfruttamento quando una povera adolescente, per quattro spiccioli, deve affittare il proprio utero per dare un figlio a una coppia di ricchi omosessuali gay? Si tratta di un vero e proprio capovolgimento di quelle che sono le finalità originarie dell’UNICEF. Tra le sue attività, infatti, c’è anche la promozione della “Convenzione sui diritti dell’infanzia

L’UNICEF sostiene la legalizzazione del matrimonio gay, sollecita l’abrogazione delle norme che limitano la promozione dell’omosessualità tra i bambini e modifiche nelle legislazioni in senso favorevole al comportamento omosessuale.

e dell’adolescenza”, che nel preambolo dichiara: “la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività”. Non solo. La stessa Convenzione afferma che è diritto del bambino conoscere i propri genitori e non essere separato da loro. Ma queste asserzioni sembrano essere ignorate. Il Fondo per l’infanzia utilizza piuttosto il suo prestigio per appoggiare ufficialmente le posizioni delle ricche lobby LGBT. Peraltro, i termini utilizzati dalla Position Paper, come “orientamento sessuale” e “identità di genere”, non godono di un riconoscimento internazionale, ma sono categorie artificiali. Utilizzarli a questo livello, quindi, è del tutto arbitrario e illegittimo. Non si può poi dimenticare che tali concezioni contrastano moltissime culture nazionali, oltre che i princìpi morali e religiosi della stragrande maggioranza dei Paesi appartenenti alle Nazioni Unite. Cozzano infine anche con la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, secondo cui la famiglia si fonda sull’unione coniugale di un uomo e una donna, allo scopo preciso di procreare e educare i figli.


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Primo piano e assicurare pari opportu- parola viene spesa per condannare nità a tutti, in particolare a l’aborto. Nessuna. E purtroppo non donne e bambine. A parte c’è da stupirsi. Sin dagli anni Sessanil fatto che produrre artifi- ta, infatti, l’UNICEF ha speso milioni di cialmente figli in provetta dollari ogni anno per sovvenzionare per poi impiantarli in un programmi di pianificazione familiare. utero comprato e catapul- Nel 1987, alla “Conferenza Internaziotarli infine nelle braccia di nale per una salute migliore per donne due uomini non è proprio e bambini attraverso i piani di pianifiil massimo dell’accoglien- cazione familiare”, l’agenzia dell’ONU za per chi viene al mondo, sostenne apertamente l’aborto come bisogna tener presente “servizio legale, di buona qualità, che il Fondo per l’infanzia che dovrebbe essere accessibile a sposa le teorie neomalthu- tutte le donne”. Nel 1992 fece addisiane. Ecco allora che nel rittura pressioni perché questo si pracosiddetto Terzo Mon- ticasse in quei Paesi dove era ancora do incentiva campagne illegale. È così che l’UNICEF pensa di finalizzate a ridurre le proteggere il diritto alla vita dei bambinascite attraverso con- ni? È così che garantisce la pari opportraccezione, aborto, ste- tunità alle ragazze? rilizzazione e legislazioni Davvero inaccettabile è infine il fatappropriate. Sono note to che a finanziare questi cultori della le vaccinazioni sommini- morte siamo noi, perché gli Stati versastrate alle donne africa- no ogni anno ingenti somme alle varie ne in nome della salute agenzie internazionali. Nel 2013, l’Itariproduttiva. Si è scoperto lia ha donato all’UNICEF 62.329.529 che queste vaccinazioni dollari: alla faccia della crisi ecoin realtà hanno lo scopo nomica! Ma anche i privati possono di ridurre la fertilità, tanto fare donazioni. È possibile ad esemda contenere un gene che pio dare il proprio 5xmille al Comitato Twitter: UNICEF Italia supporta le tesi di un attivista provoca aborti spontanei italiano per l’UNICEF. La campagna LGBT e attacca ProVita dimostrando di non nel momento in cui si resta per la raccolta fondi recita: “Con il conoscere l’art. 14 della Convenzione sui diritti incinta. Per l’UNICEF l’a- tuo 5xmille all’UNICEF, un bambino dell’infanzia e dell’adolescenza dell’UNICEF stesso. borto non è un problema, diventa grande”. Diventerà grande, E non finisce qui. Noi di ProVita ma un diritto (e un utile mezzo per evi- aggiungiamo noi, se qualcuno non lo siamo stati attaccati su Twitter da un tare il sovrappopolamento del pianeta). ammazza prima di nascere. E qualora militante LGBT che contestava la no- Basti questo esempio. Nel rapporto riuscisse a venire al mondo, potrebbe stra petizione contro la sessualizza- “Nascosta in bella vista. Un’analisi sta- sempre divenire il giocattolino di una zione precoce dei bambini e in favore tistica sulla violenza contro i bambini”, coppia omosessuale. Con la benedidella libertà di educazione dei geni- pubblicato lo scorso mese di settem- zione dell’UNICEF. ■ tori. UNICEF Italia è intervenuta nel bre, si riportano e si dibattito criticando la nostra cam- denunciano le violenze pagna e prendendo subito le difese che attualmente si perdell’attivista. Atteggiamento grave per petrano nei confronti un’istituzione riconosciuta e così im- dei minori in circa 190 portante. Per di più ha sostenuto che Stati. Addirittura viene la petizione si occupa di un tema non presa in consideraziodi pertinenza dell’UNICEF. Eppure ne “la violenza che l’art. 14 della Convenzione sui diritti può colpire il feto nel dell’infanzia e dell’adolescenza af- grembo materno”. Si ferma che “gli Stati parte rispettano fa l’esempio dei mediciil diritto e il dovere dei genitori op- nali che possono ridurpure, se del caso, dei tutori legali, re la crescita del feto, di guidare il fanciullo nell’esercizio la mancanza di cure della libertà di pensiero, di coscien- mediche adeguate e la za e di religione”. E la Convenzione scarsa alimentazione è frutto del lavoro dell’UNICEF! durante la gravidanza, e Ma andiamo avanti. L’UNICEF si – nei casi più estremi – prefigge pure di ridurre la mortalità in- l’infanticidio selettivo in fantile, garantire la sopravvivenza dei base al sesso, che colIn Kenya e in Perù sono stati scoperti e denunciati bambini, assicurare agli stessi le mi- pisce le bambine (come vaccini “umanitari” che provocavano aborto e sterilità gliori condizioni di partenza nella vita in Cina). Ma nessuna alle giovani donne cui venivano somministrati.

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Primo piano

Harry Wu

Harry Hongda Wu, 76 anni, ha passato 19 anni della sua giovinezza nei laogai. Sopravvissuto per miracolo, dopo la morte di Mao è fortunosamente riuscito a fuggire negli USA. A Washington ha fondato la Laogai Research Foundation che denuncia, ancora oggi, le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dalla dittatura del Partito Comunista Cinese.

Un’agenzia dell’ONU con le mani lorde di sangue Abbiamo l’onore di ospitare un contributo di Harry Wu. Il noto dissidente cinese ha pubblicato, grazie alla LRF - Italia, un saggio dal titolo “Strage di innocenti, la politica del figlio unico in Cina”. di Harry Wu

D

al 1980, l’UNFPA ha sostenuto la politica di pianificazione familiare cinese con supporti logistici, informatici e formativi. Nel 1983, ha premiato la Cina perché “ha dato il più evidente contributo alla consapevolezza dei problemi demografici”. Nel 1992 ha condotto una ricerca per esaminare gli effetti delle spirali contraccettive in acciaio che a quel tempo erano usate da almeno 75 milioni di donne - cavie: le spirali in acciaio sono più economiche di quelle in rame, ma veicolano infezioni mortali. Il Fondo per la popolazione fornisce consulenza e assistenza (e decine di milioni di dollari) a una politica di pianificazione familiare crudele, coercitiva, disumana, che massacra, letteralmente, donne e bambini. Il know-how e la tecnologia dell’ONU sono stati usati - tra l’altro - per organizzare il monitoraggio di tutte le donne cinesi in età fertile: esse devono presentarsi semestralmente ad un controllo ginecologico durante il quale si accerta che la spirale (obbligatoria) sia al suo posto e che la donna non sia incinta senza permesso. Se la spirale non c’è, scatta la sanzione. Se la donna è incinta senza permesso, anche per il primo figlio, aborto forzato. Se la

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donna non si presenta si sanzionano i parenti o i vicini di casa. Le testimonianze raccolte sul campo dalle organizzazioni umanitarie come il Population Research Institute, Radio Free Asia, Women Rights Without Frontiers, China Aid, e le denunce fatte in Occidente dai fuoriusciti sono agghiaccianti. Provengono sia dalle vittime, sia dagli stessi impiegati addetti alla pianificazione familiare: gli arresti arbitrari, gli aborti forzati, fino al nono mese, sono un metodo normale di applicazione della politica del figlio unico. Le punizioni per le donne che trasgrediscono vanno da multe esorbitanti, impossibili da pagare, all’arresto dei parenti, alla distruzione delle case (sì: distruzione della casa dei trasgressori e di chi, nel villaggio, li ha coperti o aiutati), alla sterilizzazione coatta. I commenti rilasciati dai funzionari dell’UNFPA negli ultimi 25 anni non tolgono il sospetto (che si è fatto certezza) che l’Agenzia ONU abbia voluto non vedere e non sapere ciò che non poteva ignorare: la continua gravissima violazione dei diritti e della dignità delle donne e dei bambini e dei familiari coinvolti. Aprodicio Laquian, rappresentante dell’UNFPA a Pechino, disse che le accuse dell’Occidente alla normativa cinese erano senza fondamento; il precedente direttore

esecutivo dell’organizzazione Nafis Sadik, diceva che il programma di pianificazione delle nascite cinese era totalmente volontario. Ma le denunce delle Associazioni umanitarie sono state corredate da prove inoppugnabili. Tanto che gli Stati Uniti tolsero i loro contributi economici all’UNFPA, dal 2001 al 2008. Per tutta risposta il deficit è stato colmato dall’Unione Europea. Poi nel 2009 Obama ha ripristinato il finanziamento. Perciò, a tutt’oggi, tutti noi cittadini dei paesi che aderiscono all’ONU finanziamo l’attività dell’UNFPA e - indirettamente - la politica coercitiva cinese contro le donne e i bambini, che continua indisturbata. Di tanto in tanto i media occidentali fanno da cassa di risonanza alle dichiarazioni d’intenti del Partito Comunista che dice che la politica del figlio unico sarà rivisitata: ma le violenze non sono cambiate. Nel marzo scorso, in occasione del ventesimo anniversario della Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna, che si tenne proprio a Pechino, Reggie Littlejohn, Presidente di Women Rights Without Frontiers, ha denunciato pubblicamente, per l’ennesima volta, la complicità delle Nazioni Unite nella guerra più violenta che è in corso contro le donne: la politica di pianificazione delle nascite cinese. ■


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Primo piano Una Bianchi S9 della Croce Rossa militare

Croce Rossa arcobaleno Anche la Croce Rossa, in modo politicamente molto corretto, da tempo ha attuato una politica gay friendly. di Alba Mustela

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l Comitato Provinciale della Croce Rossa di Roma ha attivato nel 2013 il network LGBTQIA (gay, lesbian, bisexual, transgender, queer, intersexual, asexual) chiamato “Andrea”. Sul sito della CRI possiamo leggere: “Andrea è un nome ambigenere, sia maschile che femminile. Andrea rappresenta la non necessità di essere identificabile e schematizzabile in una dicotomia svilente e senza uscita (l’identità sessuata voluta dalla natura, N.d.R.). Andrea è una sfida, rappresenta il voler superare le aspettative della società... essere Andrea non comporta l’essere necessariamente uomo come la società si aspetta, essere Andrea significa emanciparsi dalle proiezioni dei luoghi comuni, significa superare il pregiudizio, significa costruire un’identità propria (a prescindere da ciò che la natura genera, N.d.R.)”. Ecco a cosa serve Andrea: “Da una parte inciderà sul territorio nazionale, attraverso iniziative e campagne di sensibilizzazione di Croce Rossa e attraverso una strategia di inclusione della diversità e di prevenzione dei comportamenti escludenti. Promuoverà inoltre la nostra Associazione come un luogo dove poter sviluppare se stessi, potenziare il proprio ruolo nella società, senza mascherare la propria diversità. Dall’altra, il network intende essere uno strumento di advocacy presso le autorità dei Paesi per

garantire il rispetto dei diritti umani se, questo è stato negato: quando ha manifestato la sua opinione, standelle persone vulnerabili”. Ad “Andrea” si accompagnano do in piedi da solo davanti alla Catdiverse campagne contro l’omofobia, tedrale di Wakefield con un cartello incluso uno spot, contro l’omofobia. con la scritta “No ai matrimoni gay“, il Lo spot, con lo slogan “Non avere dirigente della Croce Rossa locale, il paura di indossare un altro colore”, Signor Peers, lo ha convocato ed ha mostra un giovane barbuto che in un reso noto all’anziano volontario, con ristorante guarda due ragazzi che si effetto immediato, l’impossibilità di scambiano tenerezze. Non sembra poter proseguire la sua attività all’inabbia la faccia schifata, e non dice terno della struttura. assolutamente niente. Due ragazze Per finire: sapete cosa si vince notano il suo sguardo e, in modo un nei giochi a premi organizzati dai po’ provocatorio, lo guardano a loro volontari CRI negli stand che allestivolta scambiandosi bacetti. Il prota- scono per pubblicità e raccolta fongonista esce notando (con lo stesso di? Preservativi. Le case farmaceusguardo) due (vecchi) eterosessuali tiche ringraziano. ■ e uno che si coccola il cane. Qual è il messaggio educativo in tutto questo? Che si è omofobi anche non dicendo e non facendo niente! Ad ogni modo, vogliamo peccare di benevolenza. Vogliamo credere che l’intento della CRI sia quello di prevenire e combattere la violenza e l’ingiusta discriminazione, oggettiva, reale, sulla qual cosa ovviamente tutti saremmo d’accordo. Allora perché un volontario della Croce Rossa è stato allontanato dopo più di 20 anni di servizio per aver espresso pubblicamente la sua contrarietà alle nozze gay? Tra i diritti umani che la Croce Rossa intende tutelare, non c’è quello di La targa commemorativa apposta sulla casa ginevrina esprimere il proprio pensiero? di Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa A Bryan Barkley, 71enne ingle-

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Francesca Romana Poleggi ​ adre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte M del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. ​ Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, è​ direttore editoriale di questa Rivista​. Finché la Provvidenza le darà forza, “griderà dai tetti” la verità, perché solo la Verità rende liberi.

Il Rapporto ONU sui giovani del 2014: “Il potere di 1,8 miliardi”

Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) L’ideologia antinatalista, neo-malthusiana, contraria alla famiglia, che impera nelle organizzazioni internazionali è palese: basta leggere i documenti che esse stesse pubblicano, sui loro siti istituzionali. di Francesca Romana Poleggi

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eggiamo sul suo sito web che l’UNFPA (United Nations Population Fund), cioè il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, è impegnato a costruire un mondo “dove ogni gravidanza è desiderata, ogni nascita avviene in condizioni igienico-sanitarie sicure, dove il potenziale di ogni giovane sia realizzato”. Chi si intende un poco di “neolingua” avrà già capito che queste belle parole significano di fatto che l’agenzia ONU si preoccupa di diffondere contraccezione e aborto, secondo le più tradizionali teorie neo-malthusiane. L’UNFPA è nato per volontà della famiglia Rockefeller, che si stima abbia speso in un secolo, su quest’obiettivo, duecento miliardi di dollari attuali. Nel 1911 un membro di questa famiglia creò il Bureau of Social Hygiene, avanguardia del movimento d’opinione per la limitazione delle nascite, che nel 1913 passò direttamente sotto la Rockefeller Foundation. Nel 1993, sul bollettino Rockefeller Archive Center Newsletter, si sottolineava quanto merito essi avessero per la riduzione delle nascite che avvenne, con straordinaria rapidità, dagli anni ’60 in poi. Tra i filantropi di oggi, ab-

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biamo Ted Turner che ha versato un miliardo di dollari fra il 1997 e il 2007, George Soros che ha fondato un suo “Program of Reproductive Health and Rights” e Bill Gates, che ha donato 57 milioni di dollari all’UNFPA. Scriveva Giulio Meotti su “Il Foglio” del 13 giugno 2013: “Sviluppare la nuova generazione di preservativi è l’ultima sfida dei Gates… Un’altra idea del guru di Microsoft è un registro anagrafico mondiale per controllare la curva demografica. Il piano Gates per eliminare la povertà nel mondo è quella di inondare i paesi in via di sviluppo di contraccettivi e farmaci abortivi. Per questo i vescovi del Kenya hanno duramente

Per l’ONU, i giovani dei paesi in via di sviluppo hanno bisogno di “investimenti adeguati” per imparare a esercitare i loro “diritti riproduttivi”, cioè per smettere di riprodursi. Perché, nei paesi poveri, troppi giovani danno fastidio.

criticato Melinda Gates, le cui idee ‘portano alla distruzione della società’. Una beneficenza che uccide. A Melinda ha scritto una lettera aperta una madre nigeriana: ‘Per favore Melinda, ci dia quello di cui veramente abbiamo bisogno’. Opportunità, non pesticidi umani”. Il fatto è che una élite di potenti, politici, grandi capitalisti, portatori della cultura della morte, a livello internazionale ha conquistato i centri di potere degli organismi che dovrebbero essere votati alla difesa dei diritti dell’uomo e della pace nel mondo e controlla i mezzi di informazione, il cinema, lo spettacolo. Già nell’ottobre del 2007, fu lanciata a New York un’iniziativa globale che includeva l’invito a legalizzare l’aborto, promossa da agenzie dell’ONU e diverse ONG. Tra i patrocinatori dell’iniziativa – denominata “Deliver Now for Women and Children” – anche l’UNICEF, che ufficialmente nega il proprio sostegno all’aborto sotto qualsiasi forma. Il programma prevedeva il libero accesso all’aborto sicuro, che è sinonimo di aborto legale. Detto programma faceva capo alla Partnership for Maternal, Newborn & Child Health, tra i cui membri spiccano la Fondazione Bill & Melinda Gates, la International Planned Parenthood Federation (IPPF), le


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Primo piano

Thomas Malthus (1766 - 1834)

Agenzie per lo sviluppo di Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Bangladesh, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’UNFPA. Durante la conferenza “All Women Deliver” tenutasi lo scorso anno a Kuala Lumpur, in Malesia, i sostenitori dei diritti sessuali e riproduttivi hanno presentato le strategie su come ampliare l’accesso alla contraccezione e all’aborto alle donne e alle ragazze povere nei Paesi in via di sviluppo. Una di queste strategie consiste nell’incorporare la pianificazione familiare e l’aborto come competenze essenziali fornite dalle ostetriche. Nel Rapporto sullo Stato della Popolazione nel Mondo (State of the World Report Population) del 2014 l’UNFPA, parla di una “forza” del futuro, quasi due miliardi di giovani e adolescenti, capaci di grandi cose. Il nostro mondo ha bisogno della loro intelligenza, del loro spirito innovativo. Insomma abbiamo bisogno dei giovani. Ma c’è un “ma”: evviva i giovani, purché non siano troppi. Infatti, le popolazioni giovani dei paesi in via di sviluppo hanno bisogno di “investimenti adeguati” per imparare a esercitare i loro “diritti riproduttivi”: smettere di riprodursi, insomma. Perché è lì, nei paesi poveri, che troppi giovani danno fastidio. Pare che la “minore fertilità” sia una condizione necessaria e indi-

spensabile per un futuro migliore, un futuro felice. Dice il rapporto, infatti, che in Cina e India hanno scoperto che la fertilità più bassa è associata con una migliore salute e scolarizzazione dei bambini (e qui probabilmente il rapporto intende “bambini maschi”, perché sappiamo bene che fine fanno le bambine da quelle parti). I promotori dell’ideologia neomalthusiana anti-natalista non si rendono conto che le persone non sono “un problema”. Le persone sono “la soluzione”. Le persone, e certamente i giovani, hanno capacità creative, sono gli artefici del progresso scientifico e tecnologico che (quando usato per il Bene) ha migliorato finora – e continua a migliorare – le condizioni di vita su questa terra, dalle caverne preistoriche ad oggi. Le politiche di controllo della popolazione in sostanza risolvono il problema della povertà eliminando i poveri, persone che non meritano di nascere né di vivere. C’è dell’altro. Per l’UNFPA, le esigenze primarie per i giovani del 2014, sono contraccezione e aborto libero. Libero, soprattutto dal controllo dei genitori. Il documento, infatti, critica gli ordinamenti giuridici che richiedono il consenso dei genitori per far fruire ai minorenni di servizi essenziali alla loro “felice” salute sessuale e riproduttiva. I genitori devono dare il consenso all’abor-

to delle ragazzine? Una barbarie. I minorenni non possono esprimere da sé il consenso per rapporti sessuali completi con maggiorenni: un’ingiustizia. La contraccezione, la prostituzione, sono tutte cose di cui i giovani hanno diritto di disporre senza che i genitori si mettano di mezzo. Perché i genitori spesso “non sanno come parlare con i loro figli in merito a tali questioni”. Sarebbero auspicabili interventi politici che liberino veramente i giovani da questo giogo imposto del consenso parentale su tutto. Sta ai politici garantire agli adolescenti l’accesso libero all’esercizio dei loro “diritti”, magari cercando di lanciare messaggi diretti a loro, che non debbano necessariamente “passare per casa”. Anzi, il rapporto afferma che la chiave dello sviluppo è garantire che il comportamento sessuale degli adolescenti sia il più possibile libero e disinibito, senza restrizioni, e, soprattutto, non procreativo. Insomma l’anarchia sessuale tra i giovani assicurerà il loro benessere, anche economico, e quello di tutto il mondo. Il rapporto è perfettamente coerente con i tristemente noti “Standards dell’OMS per l’educazione sessuale in Europa”: la famiglia dà fastidio, i genitori opprimono e disturbano la felice crescita dei figli. Dovrebbero essere le Istituzioni a crescere ed educare i ragazzini, per farne degli adulti veramente felici. Come nel Mondo Nuovo, di Aldous Huxley. ■

L’ONU auspica interventi politici che liberino i giovani dal giogo della famiglia, dal consenso parentale su tutto. I politici garantiscano agli adolescenti l’esercizio dei loro “diritti”, lanciando messaggi diretti a loro, che non debbano necessariamente “passare per casa”.

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Alessandro Fiore

Primo di undici figli, è laureando in giurisprudenza e ha svolto studi anche in storia, filosofia e teologia. È Direttore delle Comunicazioni di ProVita Onlus e Caporedattore della nostra Notizie ProVita.

Dall’amnistia al gender La missione di Amnesty ha subito delle deviazioni in senso decisamente progressista. Molti si stupiranno di vedere fino a che punto sia disposta a seguire e promuovere le ideologie più anti-naturali e portatrici di morte. di Alessandro Fiore

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mnesty International non è una associazione qualunque. Dalla sua fondazione nel 1961 ad opera dell’avvocato inglese Peter Benenson, che lanciò una campagna per l’amnistia dei prigionieri di coscienza, al giorno d’oggi, la sua rilevanza è cresciuta enormemente, ed è diventata un movimento globale capace di mobilitare milioni di persone in favore dei “diritti umani”. Sul sito ufficiale leggiamo che Amnesty è presente in quasi tutti i paesi del mondo, “con oltre due milioni di soci e sostenitori … e più di cinque milioni di attivisti che danno forza alle nostre richieste di giustizia. In Italia i soci e sostenitori sono oltre 77.000”. Bene. O forse no: perché se una associazione di queste dimensioni, invece di promuovere veri “diritti umani”, si batte per i falsi diritti della “salute sessuale e riproduttiva” (leggere: contraccezione e aborto), sostiene le rivendicazioni LGBT e si ispira al gender … il male che può provocare oscura anche le campagne condivisibili contro la tortura e la violenza di Stato, solo per citare alcune. Poco tempo fa Amnesty International ha diffuso il manifesto “My Body My rights – Il mio corpo: i

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miei diritti” (non vi ricorda qualche vecchio slogan femminista del tipo: “l’utero è mio, ecc.”?) per chiedere ai governi il rispetto di alcuni principi. Accanto a qualche punto condivisibile troviamo: “Cercare di abortire – o aiutare qualcuno a farlo – NON ci rende criminali”; “… l’accesso alla contraccezione … [è] un diritto umano”. Che togliere la vita a un essere umano, sia pure nel grembo materno, in particolare in quei Stati in cui questo è (giustamente) reato oppure fuori dalle condizioni della sua (ingiusta) possibilità legale, non ci renda “criminali”, è qualcosa che Amnesty ci deve spiegare. Come pure ci deve spiegare perché pratiche immorali e socialmente problematiche siano improvvisamente diventate “diritti umani”. Tuttavia l’organizzazione ribadisce e peggiora la sua posizione

Amnesty International si batte per i falsi diritti della “salute sessuale e riproduttiva” (leggere: contraccezione e aborto), sostiene le rivendicazioni LGBT e si ispira alla teoria gender.

nel video che ha diffuso insieme al “manifesto”, in cui si presentano come violazione dei diritti umani il “divieto” o anche solo la “limitazione” dell’aborto. Inoltre le immagini parlano chiaramente anche a favore del “matrimonio” omosessuale, includendolo tra i diritti umani fondamentali. Quest’ultima posizione non è per nulla casuale. L’adesione di Amnesty a tutte le rivendicazioni, campagne e dottrine LGBT è totale, entusiastica e incondizionata. Da anni l’organizzazione promuove e partecipa a numerosissimi “gay pride” in tutto il mondo: dal Gay Pride di Riga (vedi Comunicato Stampa 56 - 2007del 16/05/2007) all’Europride di Roma nel 2011, Amnesty International è sempre presente anche con una delegazione italiana. Nel 2007 “Amnesty Italia” ha dato vita al “Pink network”, “una rete di attivazione per i diritti umani di lesbiche, gay, bisessuali e trasgender”. All’Europride di Roma gli attivisti e simpatizzanti di Amnesty hanno sfilato “dietro il carro dell’associazione con fumetti e slogan come “Amare è un diritto umano” e “Human rights are my pride””. In quella stessa occasione, presso il “Pride Park” Amnesty Italia presentò un convegno insieme al Circolo Mario Mieli (vedi CS057 del 06/06/2011).


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Amnesty presenta come violazione dei diritti umani il “divieto” o anche solo la “limitazione” dell’aborto, e include il “matrimonio” omosessuale tra i diritti umani fondamentali. Appare quindi quasi scontata la richiesta, da parte di Amnesty, di “introdurre subito la legge sui crimini d’odio basati su orientamento sessuale e identità di genere” (CS89-2013). La richiesta viene giustificata ripetendo il solito ritornello: “reati [omofobici e transfobici] non sono rari in Italia: le organizzazioni per la difesa dei diritti delle persone Lgbti ne denunciano centinaia ogni anno” (cosa che non risulta né all’OSCAD, né all’UNAR, né al Ministero dell’Interno). “Combattere l’omofobia e la transfobia e garantire i diritti delle persone Lgbti” è uno dei 10 punti dell’Agenda di Amnesty International per i diritti umani in Italia, “presentata dall’organizzazione alla vigilia delle elezioni parlamentari del 2013. … sottoscritto dai leader dei principali partiti politici tra cui Silvio Berlusconi (PdL) e Pierluigi Bersani (PD)” e da oltre cento parlamentari. Dulcis in fundo, Amnesty International promuove con entusiasmo la teoria gender, nella sua forma più chiara. L’organizzazione diffonde un progetto intitolato “Scuole attive contro l’omofobia e la transfobia in Italia”, indirizzata alle scuole secondarie di secondo grado, e una guida per docenti “Diritti LGBTI, diritti umani”, in cui si può trovare abbondante materiale

“didattico” rigorosamente ispirato all’omosessualismo e ai “gender studies”. Bisogna però leggere la “Dichiarazione programmatica di Amnesty International sui diritti delle persone transgender”. Qui troviamo delle perle di puro gender. Nell’introduzione si spiega che “il termine transgender può comprendere persone che appartengono al terzo genere, nonché persone che si identificano con più di un genere o con nessuno. Questa definizione include, tra le altre, persone transgender e transessuali, travestiti, crossdresser, no gender, liminal gender, multigender e queer, nonché persone intersessuate e dal genere variabile”. Nel paragrafo sui “diritti violati” delle persone transgender troviamo che una delle violazioni di diritti consiste (udite, udite) nella “patologizzazione”. Cosa vuole dire? Amnesty lo spiega: “L’ identità di genere delle persone transgender viene ancora classificata come ‘disturbo mentale’ nel Manuale diagnostico (DSM) dell’American Psychiatric Association e nella ‘Classificazione internazionale delle malattie’ (ICD) dell’OMS. Le persone transgender subiscono violazioni del proprio diritto alla salute, sia quando ricevono cure specifiche legate alla propria identità di genere sia quando ricevono cure mediche generiche”. Per questo si auspica “l’abolizione della classificazione delle identità di genere come disturbi mentali

nel DSM e nell’ICD”. Chiarissimo. Insomma Amnesty se la prende con l’APA e l’OMS che ancora (per fortuna) considerano la “disforia di genere” come patologia. Invece per Amnesty il contrasto dell’identità di genere con il proprio sesso biologico è cosa assolutamente normale. Considerarlo patologico sarebbe “una violazione del diritto alla salute”. Anzi, l’identità transgender è talmente normale, che Amnesty esige che i transgender possano “cambiare il nome e/o il genere assegnato loro alla nascita” senza diagnosi psicologiche, senza operazioni chirurgiche, senza cure mediche, senza bisogno di alcun tipo di prova. Perciò bisognerebbe “consentire alle persone che si identificano in un genere che non è né maschile né femminile di ottenere documenti ufficiali che rispecchino la propria identità di genere” e “Sviluppare procedure di riconoscimento legale del genere che siano veloci, accessibili e trasparenti, sulla base di un’autocertificazione del richiedente”. Alcuni hanno ancora il coraggio di dire che “la teoria gender non esiste”. Ringraziamo Amnesty International almeno per aver chiaramente dimostrato il contrario. ■ Una delle tante manifestazioni di Amnesty. Questa per le donne. Ne avete mai vista una in favore dei più indifesi, i bambini abortiti?

L’adesione dell’associazione a tutte le rivendicazioni, campagne e dottrine LGBT è totale, entusiastica e incondizionata.

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Daniela Fraioli

Storica dell’arte, traduttrice ed interprete. Combattente per la Vita, collabora con Telefono Verde SOS Vita (8008 13000) .... ma specialmente è mamma di x figli! * info@danielafraioli.it : www.danielafraioli.it

Save the Children. Quali? Abbiamo ricevuto da una lettrice questa lettera e cade un altro mito: “Save the Children”. Un altro lupo travestito da pecora che si spaccia per agenzia umanitaria. di Daniela Fraioli

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na domenica mattina a casa, pioggia fuori, tantissima pioggia a Manila che vedo in diretta Tv, mentre Papa Francesco si accinge a dire la messa al Grandstand Rizal Park. Mentre faccio colazione, gli occhi sono sulla folla incredibile di persone venute ad ascoltarlo, il giornalista parla di sei milioni di persone. Devono essere veramente assetati della Parola, penso, per stare sotto quell’acqua, in così tanti. Si avvicinano al Papa due bambini. Una dei due è un’ex bambina di strada, di dodici anni. Parla del suo passato assurdo, ne chiede al Papa il perché, piange lacrime di un dolore acutissimo che si trasmette dallo schermo all’altro lato del mondo. Mi si ferma il respiro mentre l’ascolto. Sento il nome dell’associazione che l’ha salvata (Anak-Tnk), raccogliendo altri bambini come lei dalle strade, dandogli una casa, proteggendoli dalla violenza e dagli abusi, in particolare di natura sessuale, piaga senza fine della povertà filippina. Penso al bambino che io e mia figlia di 8 anni abbiamo scelto di sostenere a distanza con Save the Children. E’ anche lui nelle Filippine. Pensandolo, digito sul telefono il nome di Save the Children, per curiosità, per vedere cosa stanno facendo, progetti, luoghi, risultati. Clicco su “Cosa Facciamo”,

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sono curiosa, contenta di partecipare anch’io. Ma mi si apre una schermata intitolata “Pianificazione Familiare”. L’inglese è la mia lingua madre, so bene il vero significato del “Family Planning”, ma leggo ancora, forse mi sbaglio. Scopro una realtà che veramente non mi aspettavo. Possibile che non avessi capito la loro politica? Che mi sia lasciata ipnotizzare anch’io dai loro spot manipolativi, spudorati? Navigando, incontro una pagina intitolata: “Pianificazione familiare: uno strumento per salvare milioni di vite”. L’incipit preannuncia il pensiero: “Che ci fosse un problema oggettivo lo sapevamo già da tempo. La sovrappopolazione è una questione aperta ormai da anni. Facciamo troppi figli nel mondo. O meglio, il mondo più ricco non ne fa più, ma nei paesi poveri se ne sfornano moltissimi. E le risorse mondiali non

Per Save the Children “la pianificazione familiare è uno strumento per salvare milioni di vite: la sovrappopolazione è un problema. Facciamo troppi figli nel mondo. Nei paesi poveri se ne sfornano moltissimi”.

bastano.” Il verbo “sfornare”, riferito ai bambini, mi dà un senso di freddezza mal celata, e la posizione che difendono mi sembra indifendibile. Leggo il loro rapporto “Nati per morire”, oltre ad un comunicato stampa del 27 giugno 2012, sempre dal sito italiano di Save the Children. Il concetto è sempre lo stesso. C’è povertà, malnutrizione, le ragazze rimangono incinte troppo presto, quindi rischiano di morire, o di far morire il piccolo. La cultura in alcuni paesi impone matrimoni forzati, rapporti forzati, e queste bambine devono potersi difendere da gravidanze indesiderate. In più, devono poter distanziare le gravidanze. E avanti così, spiegano quante morti ha evitato la contraccezione e quanti bambini, che sarebbero morti nel primo anno di vita, sono stati salvati: con la pianificazione familiare, sono stati abortiti prima. La mattina seguente, chiamo l’ufficio romano dell’ONG, chiedendo delucidazioni. La responsabile è incerta nel tono di voce, non sa cosa dirmi quando le chiedo se Save the Children offre servizi d’aborto. Usa un linguaggio ambiguo: Save the Children non promuove assolutamente l’aborto. Crede però nella contraccezione, per prevenire gravidanze indesiderate, e nell’educazione sessuale. Le chiedo, quindi, in cosa consiste quest’educazione sessuale. Fa marcia indietro, mi


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Molti bambini, che sarebbero morti nel primo anno di vita, sono stati salvati: con la pianificazione familiare, sono stati abortiti prima. spiega che Save the Children, non promuove nulla di tutto ciò, neppure l’uso della contraccezione. Si limita a spiegare come funziona il corpo umano, poi “la scelta è loro”. Ci penso su, incredula, chiedo un po’ in giro. Chiedo a qualche conoscente cosa pensa se gli dico “Save the Children”. Nessuno lega questo nome all’aborto. Mi guardano stupiti. Sono ancora stupita anch’io. E’ proprio questo che puntualizzo, nella mia lettera di disdetta del sostegno a distanza, decisione presa con difficoltà, ma con la speranza di poter sostenere il mio bambino al di fuori del circuito STC. Sottolineo la mancanza di chiarezza nella comunicazione. Perché non dirlo chiaramente, se si crede così tanto in questa filosofia? Meglio occultare l’informazione, probabilmente la più importante, perché così si rischierebbe di perdere eventuali sostenitori non accondiscendenti? Ma la libertà di scelta? Non era questa che spingeva i “pro choice”? Chiedo, inoltre, spiegazioni su un documento piuttosto ambiguo sull’eutanasia infantile, trovato mentre ricercavo ulteriori informazioni sulle attività di Save the Children. La risposta scritta che ricevo non cerca neppure di contraddire il mio pensiero. E’ ferma nella posizione che la contraccezione data alle “bambine” le salva da gravidanze inopportune e che le donne in difficoltà, in povertà, senza assistenza sanitaria adeguata, nonché soggette a rapporti sessuali forzati e/o prematuri, necessitino e richiedano servizio di contraccezione artificiale e aborto; devono poter posticipare le gravidanze, pianificarle a tavolino. Invece, io ritengo che servano leggi adeguate, vera educazione alla sessualità e genitorialità responsabile, rispetto della donna: un cambio culturale, non un’imposizione ideologica. Serve una vera

e ramificata assistenza sanitaria e ginecologica; cibo e acqua puliti; pressione sui governi locali affinché tutto ciò possa essere facilitato; educazione al rispetto di se stessi e del proprio corpo, alla conoscenza del ciclo femminile e alle modalità di regolazione naturale della fertilità, da usare nell’ambito protetto del matrimonio. Sì, il matrimonio deve diventare un ambiente protetto. Ma no: secondo Save The Children tutto questo non si può fare. Distribuire servizi di aborto e pacchetti di pillole anticoncezionali a bambine come fossero caramelle, questo, sì, si può fare (vedete la foto della pagina del loro sito dedicata). Rispondo ancora, quindi, sottolineando il fatto, almeno a me ovvio, che delle bambine troppo piccole per partorire, sono anche troppo piccole per avere rapporti sessuali, che vanno protette da abusi, non dimesse con un pacchetto di pillole anticoncezionali. Che semmai, il servizio che offrono, dovrebbe essere proprio di questa natura, di protezione, vera. L’anticoncezionale artificiale è dannoso e fallibile. Quando fallirà, Save the Children non promuoverà, ma offrirà, il servizio di “Pianificazione Familiare”, pulito e sicuro, “salvando” la bambina, senza rendersi conto di avercela esposta in primis a quella

situazione e senza sapere quali ripercussioni di carattere psicologico potrà avere sulla bambina stessa. Nessuna risposta. L’unica cosa che mi rimane da sapere è come restare in contatto con il bambino che sostenevamo a distanza. Vorremmo sostenerlo direttamente, mandando i nostri aiuti alla sua famiglia. Ma guarda caso, proprio poco prima, questo bambino si è spostato in zona non più coperta o raggiungibile dai servizi di Save the Children, e per questo non è più contattabile. Allegano addirittura copia di una lettera (arrivatami per posta solo dopo più di una settimana), in cui mi spiegavano il cambiamento e la proposta di sostenere un altro bambino. Noto che la lettera non è datata. Riporta solo il mese. Tempismo perfetto. ■

Nella scritta qui sotto, il sito di Save the Children dice che, visto il gran numero di donne e bambini morti per “un mancato controllo delle nascite. La pianificazione familiare consente alle donne di ritardare la prima gravidanza e di mettere al mondo un figlio in condizioni fisiche e psicologiche adeguate… Sono sufficienti 24 euro per assicurare la distribuzione di 60 scatole di pillole anticoncezionali… La donazione aiuterà i bambini nelle aree più bisognose del mondo”.

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Scienza e morale

Rodolfo de Mattei

Laureato in Scienze Politiche, è Amministratore di RdMedia Srl, società attiva nel settore della comunicazione e di Internet. E’ autore di Gender Diktat (Solfanelli).

Senza voler precludere a priori alcuno sport alle donne, non è ragionevole non riconoscere certe attitudini naturali degli uomini.

Uomini e donne, diversi per natura, anche nello sport Fino a poco tempo fa, che maschi e femmine avessero nature diverse, era un dato acclarato e fuori discussione. Oggi, al contrario, tale dato è tutt’altro che scontato, anzi la realtà sembra essersi capovolta. di Rodolfo de Mattei

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n’elite culturale odierna ritiene che mascolinità e femminilità, lungi dal dipendere dalla natura e dalla biologia, si “apprendano” in famiglia e nella società in generale. Il gender diktat, che alla parola sesso sostituisce l’ambiguo termine genere, mira dunque ad abolire le differenze sessuali, negando l’esistenza di nature, tanto diverse quanto complementari, tra uomini e donne, dalle quali derivano gusti, interessi e doti specifiche. L’ideologia del gender si propone di appiattire la diversità sessuale maschile e femminile, proponendo un modello culturale ed educativo neutrale, che non tenga conto in nessun modo di tali determinanti differenze e inclinazioni naturali. Per cercare di comprendere tale diseguaglianza sessuale primordiale, insita nella stessa natura umana, è utile indagare il diverso comportamento dell’uomo e della donna rispetto a quella che, assieme al sesso e all’allevamento della prole, costituisce una delle tre passioni fondamentali dell’uomo: l’istinto all’aggressività e alla competitività. In ogni tempo e in tutte le società, l’aggressività è sempre stata una prerogativa maschile. A tale

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proposito, Steven Pinker, uno psicologo del MIT, sottolinea come: “puntare un’arma da fuoco e cacciare è un piacere innato per gli uomini”. In tale diversità comportamentale, come mette in evidenza lo studioso americano Steven Rhoads, il fattore biologico gioca un ruolo determinante: “studi sui bambini di sei mesi dimostrano che i maschi sono in genere meno paurosi delle femmine e che la mancanza di paura è connessa ai livelli di testosterone”. Per questo prosegue Rhoads, “gli uomini costituiscono la stragrande maggioranza di coloro che praticano sport estremi, (…) Le donne che seguono sport estremi hanno un approccio diverso, e spesso ritengono sconsiderati i maschi”. Diversi studi confermano che, anche sul piano biologico, esiste una differenza comportamentale

La normativa americana sulla differenza sessuale negli sport, è un esempio dell’ottusità dei fautori del gender che, ignorando la natura, pretendono di piegare la realtà all’ideologia.

tra maschi e femmine, mettendo in luce il ruolo svolto dai fattori ormonali, in particolare dal testosterone, in relazione alla predisposizione all’aggressività. Lo studioso James Dabbs (19372004) ha svolto delle interessanti ricerche riguardo gli effetti del testosterone sul comportamento umano. In uno di questi, paragonando i livelli di testosterone di 4.462 veterani dell’esercito, ha scoperto che coloro che avevano i più alti livelli di testosterone, il 10%, avevano storie di vita molto diverse dal restante 90%. In particolare, riporta sempre Rhoads, “avevano il doppio delle probabilità di essere sia delinquenti che consumatori di droghe pesanti nella vita adulta”. In un’indagine analoga, condotta nell’ambito della popolazione carceraria, Dabbs ha constatato, inoltre, come coloro che erano condannati ai crimini più violenti ed avevano un atteggiamento più aggressivo all’interno del carcere, erano quelli nei quali si riscontrava il più alto livello di testosterone. L’inclinazione naturale degli uomini alla competizione e alla aggressività è un fattore positivo, anche se, quando non è ben incanalata, può rivelarsi fonte di comportamenti sociali deviati. In assenza di guerre, o di altri eventi che appaghino la naturale aspirazione


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Scienza e morale dell’uomo al rischio e all’eroismo, una delle modalità più efficaci per gestire tali innate tendenze nei maschi è quella di praticare uno sport, notoriamente definito come una “valvola di sfogo” per adolescenti irrequieti e turbolenti. Negli Stati Uniti, patria mondiale dello sport, l’accesso alle attività sportive, nelle scuole finanziate con fondi pubblici, è stato tuttavia vittima dell’ideologia femminista con l’adozione, nel 1972, della legge contro la discriminazione sessuale “Title IX”. Una legge che, nata con l’obiettivo di coinvolgere maggiormente le ragazze nello sport, ha finito per discriminare e danneggiare i ragazzi che si sono visti gradualmente ridurre drasticamente le opportunità di partecipazione. Stabilire delle quote paritarie nell’accesso alle attività sportive senza tener conto delle differenze attitudinali naturali tra maschi e femmine - scrive sempre Rhaods - ha fatto sì che “dal 1985 al 1997 nei college sono spariti più di 21.000 posti per atleti maschi. Solo dal 1992 sono scomparse più di 359 squadre maschili”. Christine Stolba, dell’Independent Women’s Forum ha fatto notare, inoltre, come “solo tra il 1993 e il 1999 erano state eliminate 53 squadre di golf maschile, 39 di atletica leggera, 43 di wrestling e 16 di baseball. La squadra di tuffi della University of Miami, che aveva sfornato 15 atleti olimpici, è scomparsa”. I critici della legge sulla discriminazione sessuale negli sport sottolineano il fatto che,

Stabilire delle quote paritarie nell’accesso alle attività sportive, senza tener conto delle differenze attitudinali naturali tra maschi e femmine, è una forma di discriminazione ingiusta nei confronti dei maschi.

generalmente, gli uomini sono più entusiasti delle donne nei confronti dello sport intercollege e, di conseguenza, “una politica che fornisce a uomini e donne un numero di posti proporzionalmente equo, in realtà implica che gli uomini che vogliono praticare degli sport intercollege hanno meno possibilità di farlo delle donne con lo stesso desiderio”. Tale criterio valutativo, basato unicamente sul livello delle iscrizioni, ha finito, paradossalmente, per discriminare tanti maschi impossibilitati ad accedere alle attività sportive a causa di tale normativa. In tale prospettiva, scrive Rhoads, la “Title IX” è stata trasformata in “un tentativo federale di manipolare il comportamento femminile in modo favorevole a certi gruppi di donne”, la realizzazione pratica di una “più ampia campagna femminista per correggere una cultura, la società americana, malata di sessismo e impegnata a scoraggiare ragazze e donne dal praticare dello sport”.

L’assunto alla base di tale programma ideologico è ben espresso nelle parole di Valerie Bonette, una delle sostenitrici del progetto: “Le donne non sono nate meno interessate allo sport. E’ la società che le condiziona”. Gli estensori della “Title IX” ignorano o fingono di non conoscere i numerosi studi che attestano come il maggior interesse maschile per lo sport derivi dalla loro natura e non sia legato alle influenze sociali. I risultati di tali studi dimostrano che le ragazze definite “maschiacci”, considerate androgine e mascoline, amanti dei giochi violenti e degli sport competitivi, sono quelle che sono state esposte a livelli di testosterone oltre la norma nell’utero materno. La normativa americana sulla differenza sessuale negli sport, “Title IX”, rappresenta, in maniera emblematica, l’ottusità dei fautori del gender che, ignorando il ruolo decisivo svolto dalla natura nella formazione del comportamento umano, pretende di piegare forzatamente la realtà alla propria ideologia. I promotori di tali disposizioni dovrebbero tenere bene a mente le sagge parole di Felix Frankfurter (1882-1965), giudice americano della Corte Suprema, secondo il quale: “Non vi è più grande ineguaglianza di un uguale trattamento di diseguali”. Per questo, la progettazione di politiche pubbliche, che siano giuste, funzionali e di buon senso, non può prescindere dal fatto che uomini e donne non sono uguali, ma hanno attitudini, inclinazioni e doti secondo la propria specifica natura. Naturalmente la mascolinità e la femminilità non possono essere ridotte a fattori ormonali e biologici. Si è maschi o femmine nell’anima, prima di esserlo nel corpo, ma così come la grazia presuppone la natura, le differenze spirituali e psicologiche che esistono tra un uomo e una donna sono confermate e non contraddette dal sostrato biologico ■ degli esseri umani.

Lo sviluppo muscolare mascolino è difficilmente compatibile con i requisiti di grazia, flessibilità ed eleganza che sono necessari per il nuoto sincronizzato.

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Scienza e morale

Sara Alessandrini

Laureata in giornalismo ed editoria. Addetta stampa e blogger. Cattolica e inguaribile ottimista. Ama la vita, chi gliel’ha donata e suo marito.

Eutanasia: in Francia va in scena la “grande bugia” Bocciano la legge sul “suicidio assistito” e approvano la proposta sul fine vita che prevede una sedazione profonda e continua, senza cibo e acqua, fino alla morte. di Sara Alessandrini

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l Parlamento francese ha approvato a stragrande maggioranza una normativa che consente la sedazione profonda e continua per i malati terminali. L‘Assemblea Nazionale francese si è espressa con 436 voti a favore e 3 contrari, dopo aver ipocritamente respinto gli emendamenti destinati a legalizzare il suicidio assistito e l’eutanasia. Il testo approvato in aula, presentato dal deputato socialista Alain Claeys e dal neogollista Jean Leonetti, completa le disposizioni del 2005 e rende vincolanti le “direttive anticipate” stabilite dal paziente per respingere l’accanimento terapeutico (che va giustamente bandito). Il testo stabilisce che i maggiorenni possano manifestare le loro “direttive” sul fine vita. Le direttive sono trascritte su un registro nazionale. L’ultima parola spetterà al malato, mentre fino ad ora il suo parere non era vincolante per i medici: quindi un individuo che desidera suicidarsi, può usufruire di un servizio messo a “disposizione” dallo Stato. Infatti, la legge all’articolo 3, che è stato quello che ha acceso più discussioni, conferma questa tesi: «Dietro richiesta del paziente al fine di evitare sofferenze e non prolungare inutilmente la sua vita, un trattamento sedativo

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e antalgico che provochi un’alterazione profonda e continua della coscienza fino al decesso, con associata l’interruzione di qualsiasi trattamento di sostegno vitale, è attuato nei seguenti casi: quando il paziente colpito da un’affezione grave e incurabile con il rischio per la vita a breve termine presenta una sofferenza refrattaria al trattamento; quando la decisione del paziente, con una malattia grave ed incurabile, di interrompere un trattamento implica una prognosi di vita a breve termine». Ma c’è un’importante specificazione da fare: la legge obbliga a sospendere tutte le terapie salvavita, comprese l’alimentazione e l’idratazione che sono considerate mezzi terapeutici. Questo non va confuso con le cure palliative, in cui a un paziente terminale, che ha dolori

Nel caso della legge francese il medico somministra antidolorifici al fine di far morire nel sonno, di fame e di sete, il paziente: si tratta di eutanasia anche se la definiscono “sedazione assistita”.

in aumento, si somministrano in modo adeguato degli analgesici. Nel caso della legge francese, invece, il medico somministra antidolorifici al fine di far morire nel sonno il paziente: si tratta di vera e propria eutanasia. Tugdual Derville, portavoce del movimento “Soulager mais pas tuer” (Alleviare ma non uccidere) e delegato generale di “Alliance VITA”, in un’intervista ha dichiarato: “La sedazione è un atto che già viene praticato quando un paziente si trova in fin di vita. È una soluzione ultima di fronte a dolori continui che nessun altro trattamento riesce ad alleviare. La deontologia in questo caso è molto esigente perché la sedazione sopprime ogni capacità di espressione e di relazione del malato. È una pratica eccezionale, reversibile e non ha come obiettivo quello di causare la morte. Anche se si rischia di accelerare la morte, questa non è l’intenzione primaria”. C’è di più: la nuova legge consente di chiedere la sedazione profonda ai pazienti con una patologia incurabile il cui quadro clinico fa paventare l’esistenza di un «rischio per la vita a breve termine». Perciò non stiamo parlando solo di malati terminali, ma anche, ad esempio, i malati di cancro la cui prognosi non è positiva. Non si concede la spe-


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Scienza e morale ranza di guarigione, non si lascia spazio alla cure, alla scienza o alla provvidenza. L’espressione «vita a breve termine» è assai vaga, e si paventa la possibilità di estendere il “trattamento” ai malati cronici: non serve la certezza di aver poco tempo, basta una semplice probabilità. Infatti l’articolo 3, offre la “possibilità” di farla finita anche a tutti quei malati gravi che potrebbero avere un’ampia aspettativa di vita, ma che nonostante ciò decidono di dire “basta”. La legge basa il suo fulcro su un argomento cardine: «evitare sofferenze (del paziente) e non prolungare inutilmente la sua vita». Soffermiamoci sull’avverbio «inutilmente». Chi può stabilire che una vita è inutile? La risposta arriva all’articolo 9: nel momento in cui il paziente non è più in grado di intendere e volere, in merito alla sospensione delle cure salvavita o alla loro prosecuzione, fa fede la decisione del fiduciario. Il fiduciario è rappresentato da un genitore, un parente o un medico che avrà la possibilità di scegliere al posto dell’assistito. In poche parole in Francia si potrà morire sia perché lo avrà chiesto il paziente, sia per la decisione del fiduciario. E c’è di più: il “diritto di essere uccisi” si trasformerà anche in “dovere di uccidere” per i medici, se il Senato francese non cambierà il testo che, per ora, non prevede l’obiezione di coscienza. I francesi sono favorevoli all’eutanasia? Il 96% degli interpellati attraverso un sondaggio realizzato dall’istituto BVA per Orange Itélé, sono a favore della sedazione quando a chiederla è il paziente, o meglio, quanto la domanda viene posta sotto l’aspetto: soffrire terribilmente o morire in pace? La percentuale scende all‘88% nel caso, anche questo previsto dalle

In poche parole in Francia si potrà morire sia perché lo avrà chiesto il paziente, sia per la decisione del fiduciario.

nuove disposizioni, in cui la sedazione viene realizzata su decisione del medico nel momento in cui il paziente non può esprimere la propria volontà. Ma gli intervistati intendono le cure palliative o l’eutanasia per fame e per sete? Le domande sono state poste in modo ambiguo, così come è stata presentata tutta la questione. Qui in Italia, dalle fila del partito del Pd, tra i promotori della legalizzazione dell’eutanasia, Luigi Manconi ha plaudito alla legge francese e ha invocato al più presto un interPapa Pacelli, da Manconi ingiustamente annoverato tra vento analogo del i sostenitori dell’eutanasia per sedazione profonda Parlamento italiano. Ha dichiarato: “Non Non si deve distruggere la vita è l’eutanasia, è un importante umana, bensì accompagnare i passo avanti. Un provvedimento malati con amore e compassione, intelligente, razionale e compasanche in momenti di grande soffesionevole, di cui si può rinvenire renza fisica. L’ottica in cui agire douna antica traccia in un discorso vrebbe essere quella del sostegno di Pio XII del 1954”. E con un’evie dell’accoglienza nei confronti dei dente forzatura ha strumentalizpiù deboli, come ha dichiarato, anzato questa frase del pontefice: che, Philippe Pozzo di Borgo, un “Voi ci domandate: la soppresuomo d’affari francese, nato da una sione del dolore e della coscienza mediante narcotici quando ciò grande famiglia di duchi e divenuè richiesto da un’indicazione me- to tetraplegico a seguito di un incidica, è consentita dalla religione dente di parapendio: «Ciascuno di e dalla morale al medico e al pa- noi può riconciliarsi con la sua parziente, anche quando si avvicina te vulnerabile» e ritrovare la gioia ■ la morte e si prevede che l’uso di vivere. dei narcotici accorcerà la vita? Bisogna rispondere: se non ci sono altri mezzi e se, nelle circostanze concrete, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri morali e religiosi, sì”. Pio XII non voleIl “diritto di essere uccisi” va, di certo, avvallare la pratica si trasformerà presto in dell’eutanasia. Bensì, si riferiva “dovere di uccidere” alle cure palliative che possono per i medici, se il Senato sollevare dal grande dolore un francese non cambierà malato in fase terminale. E accettava il rischio che i narcotici poil testo che, per ora, non tessero abbreviare la vita del paprevede l’obiezione di ziente, purché questo non fosse coscienza. il fine dell’intervento analgesico, ma solo un rischio eventuale e secondario.

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Scienza e morale

Gian Paolo Babini

Avvocato, è membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Giuristi per la Vita, della quale è uno dei soci fondatori. E’ altresì curatore del blog maipiucristianofobia.org, che raccoglie materiali sulle discriminazioni dei cristiani nel mondo.

Charlot ride… Chissà se presto o tardi anche i bambini saranno il frutto di una catena di montaggio

Le fabbriche di bambini I Giuristi Per la Vita ci offrono una panoramica storica dell’evoluzione di leggi relativiste e disumane che hanno perduto ogni riferimento al diritto naturale. di Gian Paolo Babini

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in dall’antichità, non solo da parte della Chiesa, si è distinto il diritto positivo - elaborato dall’uomo - da quello naturale. Il Catechismo definisce la legge morale naturale come l’espressione dei principi immutabili di giustizia posti da Dio nel cuore di ogni uomo secondo l’ordine razionale del Creato. Il diritto positivo è conforme a giustizia solo se ispirato dal diritto naturale, la qual cosa non è però scontata, poiché l’uomo - per effetto del peccato - non sempre lo riconosce. Ne consegue che non debbono essere osservate le leggi che violano i principi morali. Uno degli effetti dell’imperante relativismo culturale ha portato la maggioranza dei giuristi contemporanei a trascurare lo studio del diritto naturale ed a riconoscere dignità giuridica solo a quello positivo. Si tratta, però, di una convinzione profondamente errata e, per rendersene conto, è sufficiente considerare i processi celebrati ai criminali nazisti. Infatti, chi sostiene l’inesistenza o comunque l’irrilevanza del diritto naturale, non considera che – se ciò fosse vero – molti di quegli aguzzini sarebbero stati puniti ingiustamente, dato che vennero giudicati per condotte conformi alle norme vigenti nella Germania nazista e dunque al diritto positivo di quello Stato.

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La questione non riguarda, però, solo il passato, ma la consapevolezza che le norme giuridiche sono legittime solo se coerenti con i principi della legge morale è di fondamentale importanza per giudicare la produzione legislativa contemporanea. Invero,  negando  l’esistenza della legge naturale, tutto il diritto si ridurrebbe ad un compromesso tra le classi ed i gruppi sociali in un dato momento storico. Conseguentemente nessuna carta dei diritti dell’uomo esprimerebbe principi davvero intangibili e l’uguaglianza tra le varie razze, la parità tra uomo e donna, le libertà di pensiero, di religione, di associazione, ecc. sarebbero destinate a perdere il loro carattere “universale” nel caso non venissero più condivise dalla maggioranza dei consociati.

Negando il diritto naturale le carte dei diritti dell’uomo non esprimerebbero più principi davvero intangibili, sarebbero destinate a perdere il loro carattere “universale” nel caso non venissero più condivise dalla maggioranza dei consociati.

La produzione giuridica è davvero al servizio dell’uomo solo se è conforme alla Verità trascendente: se si perde questa consapevolezza si dischiudono le porte all’ingiustizia con modalità che, per quanto qui interessa, si traducono nella sempre più accentuata riduzione dell’uomo da “persona” a “cosa”, come sta attualmente accadendo con la regolamentazione delle discipline bioetiche. Con specifico riguardo alle tematiche della procreazione, per comprendere appieno il fenomeno, occorre risalire agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso, quando fu messa a punto la pillola anticoncenzionale, che è stata alla base di un mutamento antropologico epocale da cui sono scaturite gravi violazioni della morale naturale da parte delle leggi degli Stati. La donna adulta e sana, fino a quel momento, era permanentemente fertile, tranne nei periodi stabiliti dal ciclo naturale. Ora, assumendo un farmaco, poteva decidere quando essere feconda. Le forti pressioni di lobbies farmaceutiche, attratte dagli ingenti guadagni, portarono alla liberalizzazione delle pratiche anticoncezionali, fino ad allora soggette a restrizioni legislative. Il sesso, da attività aperta alla procreazione, divenne per molti una mera attività “giocosa” non necessariamente connessa a vincoli


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Scienza e morale sentimentali, bastando un poco di attenzione per ridurre la possibilità di gravidanze inattese. Da altro lato, il rapido evolversi di un contesto culturale occidentale anticristiano ha promosso, negli anni seguenti, lo sviluppo delle legislazioni divorziste, con l’inevitabile progressiva disgregazione delle famiglie e la crisi dello stesso istituto matrimoniale, complici anche normative che hanno sempre più parificato le convivenze al matrimonio. In tale clima l’aborto, che nella maggior parte degli Stati era punito dalle leggi penali, è divenuto sempre più tollerato ed oggi lo si vorrebbe addirittura riconoscere come un diritto fondamentale per la cosiddetta salute riproduttiva della donna. Lo sviluppo di una ricerca scientifica libera da ogni vincolo morale ha poi consentito, nel 1978, la nascita del primo “figlio in provetta”, come si diceva allora. L’evento fu presentato come assai positivo, ma in realtà non fu così, se non altro perché la fecondazione in vitro presuppone l’accettazione dell’aborto, in quanto - per ogni bambino nato - molti embrioni sono inevitabilmente destinati alla morte. L’affinarsi delle tecniche biomediche ha dunque fatto sì che, ai fini del concepimento, non è più necessaria l’unione di un uomo e di una donna, potendo essere sostituita dall’incontro dei gameti con modalità alternative a quelle previste dalla natura. Questa consapevolezza e le conseguenti prospettive di profitto delle cliniche specializzate hanno stimolato l’elaborazione di leggi che disciplinano la fecondazione assistita (come ora si chiama: ma resta sempre “fecondazione artificiale”) non solo in favore delle coppie eterosessuali sterili (sposate o meno), ma anche di quelle omosessuali, da molti Stati equiparate alle prime. Si tratta di normative che in realtà legittimano pratiche fondate sul mercimonio di ovuli e di persone. Come è noto, la fecondazione artificiale può essere omologa (se i gameti appartengono alla stessa coppia) o eterologa (se uno o entrambi i gameti provengono da estranei). La forma più estrema di fecondazione eterologa è la pratica dell’utero in affitto o maternità surrogata,

Comprare e vendere persone: ieri gli schiavi, oggi (in cliniche di lusso) i bambini

con la quale una donna porta avanti la gravidanza per conto di altri. Molto spesso si tratta di donne che vivono in paesi poveri e che, in cambio di compensi miserevoli, espongono la loro salute fisica e psichica a gravi rischi. Il mercimonio riguarda anche i gameti, in particolare quelli femminili, essendovi chi, sempre per denaro, si sottopone a devastanti bombardamenti ormonali ai fini della produzione massiva di ovuli. Tutto questo alimenta un notevole giro d’affari, poiché la fecondazione artificiale – quando non dispensata dalla sanità pubblica – viene comunque fruita da coppie benestanti che possono pagare ingenti somme e che, non di rado, scelgono i caratteri del nascituro consultando appositi cataloghi,

Senza riferimento alla legge naturale, le leggi positive legittimano pratiche fondate sul mercimonio di gameti e di persone.

quasi il figlio desiderato fosse un “oggetto” che si ordina e si produce come una qualsiasi merce. Addirittura, nel caso dell’utero in affitto, la donna che si presta per la gravidanza (ed alla quale verrà sottratto il bambino subito dopo il parto) sottoscrive un contratto con cui si impegna ad abortire ovvero a tenere per sé il neonato qualora il feto presentasse malformazioni. Si tratta di una pratica gravemente lesiva della dignità della persona che, mutatis mutandis, evoca tipologie contrattuali simili a quelle utilizzate per il bestiame. Ma al peggio non vi è limite. Il desiderio di superare i pericoli della gravidanza ed i vincoli della natura stimola ricerche orientate verso la creazione dell’utero artificiale. Se avranno successo, la gestazione sarà definitivamente dis-giunta dal ventre materno, cosa che potrebbe portare alla creazione di vere e proprie fabbriche di neonati per soddisfare i desideri di coppie o singoli, verosimilmente in un contesto eugenetico (vale a dire di “perfezionamento” della specie), così come gli stessi Stati potrebbero ricorrere alle nuove tecniche per “produrre” bambini, magari con la finalità di compensare l’eccesso di popolazione anziana dovuta ad eventuali squilibri demografici. ■

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Famiglia ed economia

Non basterebbe l’amore (se fosse amore) Grazie a Human Life International, offriamo ai lettori un altro brano del saggio The Scientific Case against Homosexual “Marriage’’, pubblicato in inglese sulla rivista The Wanderer. di Brian Clowes

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uando gli omosessualisti parlano di adozione, immancabilmente parlano del loro bisogno, del loro desiderio, del loro “diritto” ad adottare. Ignorano i diritti e il benessere dei bambini: e se gli adulti trattano i ragazzini come meri accessori, finisce sempre che i bambini soffrono. Il diritto dei bambini a un padre e una madre è un vero diritto, un interesse protetto dalla legge. L’interesse degli adulti ad avere un bambino è un desiderio legittimo, ma non un diritto. Ci sono centinaia di studi sugli effetti della genitorialità omosessuale sui bambini. Quelli che dicono che non c’è differenza o che anzi i bambini crescono meglio con due mamme o due papà, sono condotti su pochi intervistati, tutti volontari presi tra gli attivisti LGBT, e ignorano le regole basilari della scienza statistica. I soli studi che sono stati condotti con criteri scientifici rigorosi hanno mostrato che la genitorialità omosessuale confonde - se non danneggia - la psiche dei ragazzini.

Tra l’altro è provato che i figli cresciuti con genitori omosessuali sono tre o quattro volte più propensi a diventare essi stessi omosessuali o bisessuali, da grandi. Questo - oltre a dimostrare che nelle famiglie omoparentali i bambini crescono sessualmente confusi - significa che lo slogan “si nasce così” è bugiardo: se si nascesse così la percentuale di omosessuali tra figli di coppie etero e figli di coppie omo sarebbe uguale. Insomma, i bambini hanno bisogno di un padre e una madre uniti stabilmente in matrimonio. La differenza e complementarietà di una madre e un padre sono necessari alla crescita psicologica, fisica, sociale del bambino. Due madri possono essere ottime madri, ma non saranno mai un padre (e viceversa): non basta l’amore. I bambini hanno bisogno di molto di più. Di ciò che predispone la natura, da sempre, per i cuccioli d’uomo: un padre e una madre. Statisticamente poi è dimostrato che le relazioni omosessuali sono più violente di quelle normali. Nelle relazioni omosessuali

c’è maggior tendenza all’abuso di alcol, all’uso di droga, alla depressione e al suicidio. E’ chiaro che tutto questo può manifestarsi anche in famiglie normali, ma nelle famiglie omo avviene più facilmente. Nelle famiglie normali i bambini “ci nascono”, nelle famiglie omo i bambini “ce li mettiamo” deliberatamente, esponendoli scientemente a un maggior rischio. C’è anche chi cerca di normalizzare il “matrimonio” gay sostenendo che esso è stabile e monogamico come quello etero. Costoro mentono sapendo di mentire, perché è sempre stato un vanto degli omosessualisti l’essere liberi da schemi e costrizioni e quindi intrattenere rapporti promiscui. Solo negli ultimi tempi, proprio nel contesto del dibattito sulla legalizzazione del matrimonio gay, hanno imparato a essere più prudenti. Comunque le statistiche olandesi (paese “libero” e gay friendly) dicono che in media i “matrimoni” gay durano 18 mesi. In questo breve lasso di tempo, in media, la coppia ha circa 8 relazioni “adulterine”. Nelle coppie olan-

Per ragioni di spazio qui non è possibile citare tutti gli studi sulla necessità di un padre e una madre per la crescita sana dei figli. Invitiamo i lettori a trarle dal nostro sito, in particolare da www.notizieprovita.it/filosofia-e-morale/la-famiglia-omoparentale-e-la-crescita-serena-dei-bambini e www.notizieprovita.it/notizie-dal-mondo/la-teoria-nessuna-differenza-subisce-duro-colpo. 28

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Famiglia ed economia desi eterosessuali il 70 - 80% dei coniugi dichiara di essere fedele e di credere nella fedeltà, mentre tra gli omosessuali solo il 5% esprime le stesse convinzioni. Un altro studio ha rilevato che TUTTI gli intervistati, che hanno intrattenuto un rapporto di convivenza durato più di 5 anni, hanno dichiarato che nei “patti” la coppia era “libera”: la fedeltà è intesa solo dal punto di vista affettivo, dal punto di vista dei rapporti sessuali no (bel contesto in cui far crescere dei bambini…). Altrove si è calcolato che in media un omosessuale anziano ha avuto nella vita da 100 a 500 amanti. Un 10% degli intervistati si vanta di essere arrivato a 1.000. A proposito della violenza, c’è da dire che - in barba ai piagnistei diffusi e bugiardi sull’omofobia e la violenza omofobica che mieterebbe vittime innumerevoli - i dati statistici dimostrano che nella stragrande maggioranza dei casi di violenza in cui è vittima un omosessuale, l’autore della violenza è un altro omosessuale. La cosa - fino a qualche anno fa - era riconosciuta come un problema dalla stessa comunità gay. David Island e Patrick Letellier, due attivisti gay, hanno scritto un libro intitolato Men Who Beat the Men Who Love Them (Uomini che picchiano uomini che li amano). Dalle loro ricerche si desume che il 99,7% dei casi di violenza su omosessuali è stata commessa da altri omosessuali: le lesbiche subiscono 44 volte di più delle donne sposate, i gay 300 volte di più. Allora, forse, non è vero che “love is love” e che l’amore è tutto uguale. E non è vero che l’amore gay - che sarebbe uguale all’amore etero - per il principio di uguaglianza merita uguale trattamento legale. Non è vero che la legge debba essere “uguale per tutti”. Essa deve trattare in modo uguale i casi uguali, ma in modo diverso i casi diversi: questa è l’uguaglianza sostanziale, quella che fa vera democrazia, quella che va a beneficio di tutta la società. Sarebbe come dire che “tutti” hanno diritto alla patente, e che tutti quelli che hanno la patente hanno diritto di guidare, anche se

La fertilità è data dalla natura

ubriachi, anche se ipovedenti. Sarebbe pretendere che tutti hanno diritto a essere tutto (poliziotti, ballerine, cantanti, ingegneri, giocatori di basket) a prescindere dalle qualità psico-fisiche di ciascuno. E’ indispensabile che la legge (la società) selezioni ciò che già la natura ha discriminato. Quindi è socialmente indispensabile che la legge “discrimini” le persone in base alle loro attitudini e capacità di soddisfare i requisiti necessari a ricoprire un certo ruolo sociale, che richiede certe competenze e certe prestazioni. Gli omosessuali non sono esclusi dal matrimonio più degli eterosessuali a cui è vietato sposare più persone o sposare parenti stretti (ancora…). E che un rapporto omosessuale non sia procreativo, quindi manchi del presupposto fondamentale del matrimonio, è biologia non bigottismo. E’ scienza, non teologia. Negare ai gay il matrimonio è come negare ai padri il diritto di allattare al seno i figli: è la natura che glielo nega, non la legge. La natura è ingiusta? Allora sbarazziamoci della natura. Ed è proprio questo che l’ideologia gender,

Non basta l’amore. I bambini hanno bisogno di molto di più. Di ciò che predispone la natura, da sempre.

che sottende l’omosessualismo, cerca di fare. Non è vero quindi che tutti gli amori sono uguali. Quelli eterosessuali sono naturalmente atti a perpetuare la specie umana, quelli omosessuali no. E’ la lussuria che può essere simile, nei rapporti omo o etero. E non bisogna confondere la lussuria con l’amore, cose che invece vengono ormai equiparate generalmente e diffusamente da qualche decina d’anni in qua. L’amore vero non è violento, è una promessa razionale esclusiva e per sempre. E’ oblativo. La lussuria è desiderare per sé e per il proprio piacere e ottenerlo usando l’altro (e il proprio corpo) immediatamente e direttamente: l’amore è allocentrico, la lussuria è egocentrica. Due uomini o due donne non possono sposarsi, perché non sono “qualificati” per procreare. Esattamente come il cieco che non può avere la patente, perché non è qualificato per guidare. E l’infertilità di una coppia gay non ha niente a che vedere con l’infertilità di una coppia normale: questa è accidentale, eccezionale, quella è necessaria, totale. Non ha neanche senso parlare di infertilità, a proposito di una coppia gay: sarebbe come definire infertili delle pietre. Un non senso. Perché neanche astrattamente due pietre possono riprodursi. Così due persone dello stesso sesso. ■ (Traduzione a cura della Redazione)

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Letture consigliate Aldo Andaloro e Pierluigi Diano Ora ti racconto come sei nato... Storie e idee per l’educazione sessuale e affettiva dei bambini. Edizioni Ancora Un maestro delle elementari e un medico hanno realizzato un libro “BIG”, destinato a bambini, insegnanti e genitori. E’ un manuale per guidare l’educazione nel senso pieno del termine. C’è un racconto da leggere serenamente con i propri figli e una simpatica raccolta di letterine di bambini, che pongono i loro quesiti su sessualità e dintorni. Segue una vera e propria guida per insegnanti con spunti e appunti, per affrontare al meglio l’argomento della sessualità con i propri alunni; si danno informazioni sulle attuali normative e consigli concreti (metodi ed esperienze) su come sviluppare questi temi in classe. Infine, la terza parte è una piacevole chiacchierata con i genitori, a tutto campo su educazione, igiene, prevenzione dei disturbi dell’età pediatrica, pubertà, internet, TV. Massimo Gandolfini I volti della coscienza. Il cervello è organo necessario ma non sufficiente per spiegare la coscienza. Cantagalli Abbiamo già visto, su Notizie ProVita di febbraio, come il cervello maschile e quello femminile siano fisicamente e fisiologicamente diversi. Con questo libro possiamo approfondire lo studio del cervello, perché da sempre il tema della coscienza ha affascinato l’uomo e impegnato le sue energie speculative. Se la filosofia per secoli ha detenuto il primato sulla riflessione, oggi le nuove scoperte sul funzionamento cerebrale, tendono a ridurre la coscienza a un “prodotto” dell’organo cervello. Ma la conoscenza del come non implica automaticamente la comprensione del perché. Tutta la complessità del comportamento umano ci dice che il punto di partenza della coscienza non sono i correlati biologici neurali, ma la natura dell’esperienza e del vissuto, individuale e unico.

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