ProVita Maggio 2017

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Notizie

Anno VI | Maggio 2017 Rivista Mensile N. 52

“POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003

Trento CDM Restituzione

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra,

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ECOLOGIA o ECOLOGISMO?


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

SOMMARIO

Notizie

EDITORIALE

Anno VI | Maggio 2017 Rivista Mensile N. 52 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Federico Catani, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089

Ecologia o Ecologismo?

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LO SAPEVI CHE... ARTICOLI

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Lavoro, mamma, famiglia, vita

Giulia Tanel

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PRIMO PIANO

Direttore responsabile Toni Brandi

Alfredo Monteverdi

Ecologia e ecologismo: facciamo chiarezza

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Abele era ecologico, Caino era ecologista

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Elevare gli animali per abbassare l’Uomo

Enzo Pennetta

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FILM

Marco Bertogna

La verità è “omofoba”, la natura anche

Renzo Puccetti

Progetto e impaginazione grafica

francesca Gottardi

Tipografia

Distribuzione

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Marco Bertogna, Toni Brandi, Federico Catani, Ettore Gotti Tedeschi, Alfredo Monteverdi, Enzo Pennetta, Francesca Romana Poleggi, Renzo Puccetti, Giulia Tanel, Aldo Vitale La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non Ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it. Grazie per la collaborazione! L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

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Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi

Il Grande Fratello verde

Federico Catani

Ettore Gotti Tedeschi

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Into the wild

Il diritto di vivere è anche un dovere

Francesca Romana Poleggi

Diritto e morte

Aldo Vitale

La rivoluzione della normalità

Toni Brandi

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EDITORIALE

E

cologia o Ecologismo?

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Il rispetto del creato – cioè dell’ambiente, dell’ecosistema e degli animali – è necessario per migliorare la qualità della vita nostra e delle generazioni future. A tal fine è certamente auspicabile lo sviluppo dell’ecologia applicata, cioè dello «studio della struttura e della conservazione degli ecosistemi naturali utilizzati dall’uomo, con lo scopo di prevenire o rimediare ai danni che subiscono e di imparare a gestirne le risorse». Chiariamo tuttavia meglio i termini della questione: la flora e la fauna che popolano il creato sono strumentali al benessere dell’umanità. L’uomo è sempre un fine, mai un puro mezzo. Gli animali e le piante sono cose che vanno usate bene per l’uomo (e non viceversa). Purtroppo un certo ambientalismo, ecologismo e animalismo che vanno sempre più di moda, tendono a invertire i ruoli fino al punto di considerare l’uomo il “cancro del pianeta”. La propaganda mediatica, infatti, dà risonanza ai modelli climatici elaborati dall’IPCC, gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, Intergovernmental Panel on Climate Change, senza dire che si sono rivelati sbagliati nel 95% dei casi. Ma nessuno parla del Non Governmental Panel on Climate Change, nel quale illustrissimi scienziati di tutti i continenti ridicolizzano gli allarmismi tanto di moda… In questo numero di Notizie ProVita potrete approfondire questi temi e constatare come anche l’ambientalismo e l’ecologismo siano ideologie intessute di quella “cultura della morte” che vogliamo, e dobbiamo, contrastare con tutte le nostre forze. Perché essa tende alla distruzione dell’uomo e della sua natura. Quella natura che non va considerata solo, come dice Kelsen, «un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti», ma andrebbe rivalutata e tutelata, con la ragione, anzitutto come suprema fonte del diritto. Perché non bisogna mai dimenticare che «esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così, e soltanto così, si realizza la vera libertà umana» (Discorso di Benedetto XVI al Reichstag di Berlino, il 22 settembre 2011).

Toni Brandi


ABORTO

LO SAPEVI CHE... Il successo clamoroso delle conferenze di Gianna Jessen, organizzate lo scorso inverno da ProVita Onlus insieme ad altre realtà associative delle varie città interessate, si è ripetuto anche nello scorso mese di marzo: è stata a Soresina (CM), a Benevento, a Caserta, a Poggibonsi (SI), a Brescia e a La Spezia. Gianna Jessen, sopravvissuta a un aborto salino nel 1977, in una clinica Planned Parenthood, è una testimone prolife d’eccezione: non solo parla per il diritto inalienabile di tutti alla vita, e quindi contro l’aborto, ma è l’incarnazione vera e propria di una trascinante voglia di vivere e di lottare contro le avversità. In questo mese di maggio sarà di nuovo in Italia e parteciperà il 20, a Roma, alla Marcia per la Vita.

Gli “Universitari per la Vita” durante la scorsa Quaresima hanno aderito ai “40 Giorni per la Vita”, la catena di preghiera davanti agli ospedali affinché cessino gli aborti. «Dio fa cose straordinarie attraverso le nostre povere preghiere – ha detto Robert Colquhoun, direttore delle campagne internazionali di 40 Days for Life, incoraggiando i giovani romani – e se anche avessimo salvato una sola vita, essa sarebbe valsa tutti i nostri sforzi». E invece nei suoi primi nove anni, durante 4

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i quali si sono svolte 4.535 campagne, in 675 città, in 40 Paesi, con 725.000 partecipanti, 40 Days for Life ha salvato quasi 13.000 bambini. 143 persone che lavoravano nelle cliniche abortiste (medici, infermieri, amministrativi) si sono licenziati, 83 cliniche hanno chiuso. Ed è un dato importante da sottolineare: partecipano anche persone non credenti. A Roma, per esempio, una giovane prolife atea mentre gli amici pregano distribuisce volantini.

La legalizzazione dell’aborto serve allo Stato per deresponsabilizzarsi rispetto ai problemi economici e sociali che fanno di una gravidanza un problema. In Bolivia, per esempio, il presidente Evo Morales ed il suo vice, Álvaro García Linera, tuonano contro lo sfruttamento, si proclamano difensori dei poveri e protettori dei popoli indigeni, però di fatto assecondano la depenalizzazione dell’aborto, in contrasto con la Costituzione del Paese, senza garantire la libertà di coscienza dei medici. Tra i motivi che consentirebbero l’aborto c’è la povertà. Ovvio: è molto più semplice eliminare un bambino – e lasciare la donna con il rimorso e nella medesima condizione di disagio – piuttosto che risolvere il problema economico alla radice…


Incinta di quattro mesi, Roxana Dragomir, dalla contea di Vrancea, in Romania, ha scoperto un cancro alle ossa. I medici le hanno consigliato l’aborto immediato e l’avvio di una speciale chemioterapia per fermare la malattia, ma lei ha rifiutato: ha atteso di dare alla luce la sua bambina, che ha chiamato Maya. Subito dopo il parto, la madre ha subito l’amputazione di una gamba e ha cominciato la chemioterapia. Alla fine, Roxana ha perso la sua battaglia contro il cancro, ed è morta. Come la “nostra” Chiara Corbella ha mostrato a tutto il mondo fino a che punto può arrivare l’amore.

EUTANASIA

VITA

Un’azienda veneta, la più antica azienda lattiero-casearia del nostro Paese, ha deciso di premiare i dipendenti che mettono al mondo un figlio. La scelta, assolutamente controcorrente, è della “Brazzale”: verrà assegnato un premio di 1.500 euro a tutti coloro - madri o padri - che mettono al mondo un figlio o che lo adottano. Ad un’unica condizione: essere assunti da due anni e garantire la presenza nel biennio successivo al lieto evento. Non sono di certo 1.500 euro a determinare la scelta o meno di mettere al mondo un figlio, ma è importante il messaggio culturale, la fiducia nel futuro: «Vogliamo che i giovani che investono sulla vita si sentano a proprio agio e che non debbano preoccuparsi del lavoro», ha detto l’amministratore delegato Roberto Brazzale.

Dalla Germania arriva la notizia di un ennesimo risveglio dopo sette anni di coma: uno dei tanti casi di cui i grandi media non parlano, perché sono un ostacolo a chi vuole l’eutanasia legale. Si tratta di Danijela Kovacevic che sta affrontando una lunga, faticosa e costosa riabilitazione, ma compie enormi progressi. Durante il flashmob organizzato da ProVita Onlus al Pantheon, contro l’approvazione della legge sulle DAT, Sara Virgilio, che già aveva partecipato alla nostra conferenza stampa alla Camera con Max Tresoldi, Pietro Crisafulli e Silvie Menard, ha nuovamente testimoniato: «Quando ero in coma, data per spacciata, percepivo tutto ciò che mi accadeva intorno, ma non potevo comunicarlo. E il mio timore era che avrebbero potuto staccarmi le macchine, perché io ero alimentata e idratata meccanicamente. Ma per me, la mia condizione non era un problema; l’unico problema era riuscire a dire agli altri: non ammazzatemi perché io sono viva». Anche lei ha affrontato lunghi anni di faticosa riabilitazione e diversi interventi chirurgici, ma poi si è presa due lauree ed ora è una giovane e bella donna perfettamente realizzata.

Il flashmob organizzato da ProVita Onlus al Pantheon per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione dell’eutanasia travestita da DAT in discussione in Parlamento.

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Lavoro, mamma, FAMIGLIA... VITA!

Giulia Tanel

Il mese di maggio è ricco di ricorrenze e appuntamenti interessanti per chi sostiene la cultura della vita

Il quinto mese dell’anno si apre con la Festa del Lavoro. Il lavoro, di per sé, è un bene per l’uomo: nelle società antiche era considerato degradante, ma con l’avvento del Cristianesimo si capisce che esso nobilita l’uomo, riafferma la dignità personale e serve per lo sviluppo della società.

Poniamo rinnovata enfasi sulla Festa della Mamma: perché di mamma ce n’è una sola (e non è un «concetto antropologico»)!

M

aggio è tradizionalmente un mese molto ricco di ricorrenze e appuntamenti, sia di carattere civile, sia religioso. E, in questo 2017, pare che il dipanarsi delle varie date sia caratterizzato da una gradualità quasi pedagogica: si parte dalla società, si vanno a toccare la persona e la famiglia e infine si arriva alla vita.

Nel nostro tempo, tuttavia, sembra che non sia più il lavoro che serve a vivere, ma che la vita serva per lavorare: si fa shopping anche la domenica, il che vuol dire che c’è chi lavora. Ben venga quindi una giornata all’anno in cui, salvo coloro che lavorano su turni per rendere un servizio essenziale alla società, si è invitati a fermarsi e a rimettere al posto giusto le priorità: il lavoro è un mezzo, uno strumento, non deve essere il fine della vita.

E, se si vuole proprio dirla tutta, sarebbe ora che si riflettesse su un cambio a 180 gradi della politica del lavoro: le famiglie dovrebbero poter vivere dignitosamente con un solo stipendio, quello dell’uomo, affinché le donne siano veramente libere di scegliere se e quanto lavorare. Neanche due settimane più tardi, la seconda domenica del mese, la tradizionale Festa della Mamma quest’anno cade il giorno seguente il centenario della prima apparizione della Madonna a Fatima. Nonostante i tentativi di boicottare questa giornata così politically uncorrect – come quella del papà, d’altronde – la mamma è la persona cui dobbiamo di più: non ci sono padri, mogli o mariti e figli che tengano. 6

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Tutti siamo stati messi al mondo per mezzo di una donna che ha donato per noi il suo corpo, che ci ha accolto, nutrito e custodito per nove mesi senza chiedere nulla in cambio. Una donazione che – come insegna Chiara Corbella Petrillo, cui è dedicata ProVita Onlus – può arrivare fino a mettere la vita del figlio che si porta in grembo prima della propria. Ma, anche senza arrivare all’eroismo di Chiara, ogni mamma sa che ai figli si donano giorni e notti (a volte molto lunghe!) solo per la gioia di veder crescere, momento dopo momento, le proprie creature. Ogni mamma sa che non c’è rimpianto per le feste con gli amici o le vacanze mancate: ne vale davvero la pena. Oggi vorrebbero farci credere che la mamma sia un «concetto antropologico», che un “secondo papà” possa validamente sostituirla, che le donne incinte non si debbano chiamare «madri», bensì «persone in stato di gravidanza» (succede nel Regno Unito al fine di non turbare le transgender, donne travestite da uomini, che decidono di mettere al mondo un figlio) e che, in fondo, della mamma si potrebbe fare a meno. Stiamo assistendo a un sovvertimento antropologico, a una negazione della legge naturale che non ha precedenti e le cui conseguenze saranno visibili solo tra qualche anno, quando tutta la società sarà chiamata a pagare il conto. Benvenga perciò, e con rinnovata enfasi, la Festa della Mamma: perché di mamma ce n’è una sola.

uomo e una donna: solo l’unione tra due persone sessualmente differenti può infatti essere generativa di una nuova vita. L’evidenza è scientifica (forse che ognuno di noi non ha un DNA composto da 23 cromosomi paterni e 23 cromosomi materni? Esistono alternative?), ma anche sociale e psicologica (affinché vi sia una madre occorre un padre, e viceversa), nonché educativa (per una crescita armonica dei bambini è importante che vi siano due figure di riferimento, sessualmente diverse e complementari). Sarà quindi compito di ogni persona di buon senso ribadire che la famiglia è una sola: le altre convivenze non saranno mai “famiglia”, così come una mela resta una mela anche se si decidesse, per legge, di chiamarla con il nome di un altro frutto...

Il 20 maggio a Roma, alla VII Marcia Nazionale per la Vita, quest’anno ci sarà anche Gianna Jessen

Dunque: abbiamo detto della Festa del Lavoro, della Mamma, della Famiglia... concludiamo con la festa della vita! L’appuntamento è per sabato 20 maggio, a Roma, alla Marcia Nazionale per la Vita. Tante persone festanti, con manifesti e cartelli colorati, che sfilano per le vie della Capitale per ribadire pubblicamente che ogni vita ha il diritto di essere vissuta dal concepimento fino alla morte naturale. Senza “se” e senza “ma”. La Marcia quest’anno è preceduta da un convegno organizzato da ProVita Onlus, da Human Life International e dall’Istituto del Verbo Incarnato che si svolgerà in mattinata all’Angelicum. Poco prima di andare in stampa abbiamo inoltre appreso che alla Marcia quest’anno ci sarà un’ospite d’eccezione: Gianna Jessen. Gianna, famosa per essere sopravvissuta all’aborto, ci ha detto che tornerà volentieri in Italia, saluterà gli intervenuti al convegno e parteciperà di persona alla Marcia per la Vita.

Il giorno seguente, ecco la Festa Internazionale della Famiglia, ricorrenza istituita dall’ONU nel 1993 e che ogni 15 maggio vorrebbe riportare l’attenzione sulla cellula fondamentale della società. Da qualche anno anche questa festa è entrata nel vortice delle polemiche: cosa s’intende per “famiglia”? L’ONU ha risolto il problema alla radice, declinando la parola al plurale: “famiglie”. Eppure la realtà ci dice che la famiglia, nucleo fertile e fecondo, è solo una ed è quella formata da un

La buona battaglia per la vita è la madre di tutte le battaglie: se vince la vita, si risolvono persino i problemi dell’economia. La crisi economica, sociale e morale in cui siamo immersi è infatti legata inscindibilmente alla crisi demografica: se non si torna a mettere al mondo figli con generosità (almeno tre per coppia, il minimo per assicurare il ricambio generazionale), la ripresa non può prendere corpo. La sola, e unica, ricetta per poter tornare a guardare con speranza ai giorni che verranno è quella di puntare con coraggio sulla vita... l’avventura più bella che ci sia!

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IL GRANDE FRATELLO VERDE

Alfredo Monteverdi

L’ambientalismo sta diventando il dogma di un nuovo governo e di una nuova religione mondiali

I

l marxismo non è morto. La sua capacità di trasformarsi e cambiare maschera in base alle convenienze è nota. E così, crollati i regimi comunisti (sebbene non ovunque), i discepoli di Marx si sono reinventati trovando – con successo – altri tipi di “lotta di classe”: da quella tra proletari e capitalisti, si è passati alla lotta dei figli contro i padri, delle donne contro gli uomini, degli omosessuali contro gli eterosessuali e della natura contro gli esseri umani.

Oggi chiunque può constatare che si sta imponendo sempre di più, e con ogni mezzo, una sorta di nuova religione globale, ai cui dogmi tutti debbono conformarsi. E i pilastri di questa nuova religione sono proprio le “verità” della lobby Lgbt, del mondo femminista e di quello ecologista. Sia ben chiaro, le forze rivoluzionarie partono spesso da considerazioni in sé buone, o comunque condivisibili. Pensiamo all’ecologia: che l’ambiente vada custodito, rispettato e non sfruttato selvaggiamente come fa certo turbo-capitalismo (ma anche qui il pensiero va a un Paese formalmente comunista come la Cina) è giusto. Questo però non può portare all’adorazione di Gaia, ovvero della Terra, e all’idea che l’uomo in quanto tale sia il “cancro del pianeta”, da eliminare o comunque mettere in secondo piano rispetto a piante e animali: di qui all’eugenetica il passo è breve e non è un caso che anche i nazisti fossero ferventi ambientalisti. Tale però sembra essere la visione di grandi associazioni come Greenpeace o il WWF, Legambiente o il Club di Roma e degli organismi internazionali che, per tutelare la flora e la fauna, incentivano contraccezione e aborto e impediscono lo sviluppo dei Paesi più poveri. Curiosamente, l’ecologismo si unisce spesso all’indigenismo. Nella dichiarazione finale della Conferenza mondiale dei popoli sui cambiamenti climatici e i diritti della Madre 8

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Terra tenutasi in Bolivia nel 2010 (presente l’italiana Legambiente), infatti, vennero messe sotto accusa le pratiche occidentali, colpevoli di aver sconvolto il buon vivere dei popoli indigeni, i quali invece avrebbero sempre mantenuto un rapporto di armonia con l’ambiente. Un’idealizzazione degli indios contraddetta dai fatti e dalla storia. Ma questo ai fautori della nuova religione non interessa. La venerazione per Gaia, mix di indigenismo e New Age, viene prima di tutto e ha portato persino all’elaborazione di una teologia propria. La teologia della liberazione, ad esempio, preso atto del fallimento del marxismo, in una delle sue molteplici varianti è divenuta eco-teologia. Per questi teologi occorre sostituire l’antropocentrismo con il cosmo-centrismo, perché «la Terra è un superorganismo vivo denominato Gaia» (parole di Leonardo Boff) che va liberata dallo sfruttamento dell’uomo. L’eco-femminismo, invece, indaga sul collegamento tra dominio maschile e dominio della natura: in definitiva, poiché le donne possiedono in sé i segreti della fecondità della Terra, spetta a loro liberare Gaia dall’oppressione maschile. Non solo. Due artiste eco-femministe, Annie Sprinkle ed Elizabeth Stephens, sono andate oltre, redigendo un Manifesto dell’ecosessualità, nel quale enunciano i principi e i valori di questa sorta di movimento. «Facciamo – vi è scritto – l’amore con la Terra. Abbracciamo senza pudore gli alberi, massaggiamo la terra con i nostri piedi, parliamo eroticamente con le piante». PRIMO PIANO


Per creare una relazione più sostenibile con l’ambiente, poi, gli ecosessuali si impegnano ad «amare, onorare e accudire la Terra, fino alla morte». Il nudismo è ovviamente parte integrante e fondamentale di questo bizzarro modo di vivere e fare l’amore. Compreso l’abbattimento di ogni barriera tra le specie viventi. Ecologismo sfrenato e sessualità si mescolano dunque tra loro, e così diventa normale baciare le piante, accarezzare una vasca piena di erba e di terra fertile, masturbarsi sotto una cascata o sussurrare sensualmente agli alberi. Questa sorta di panteismo e adorazione perversa di Gaia conduce più o meno direttamente all’odio per il genere umano. Un odio che sta diventando sempre più pericoloso. Noti ambientalisti, quali James Lovelock e Tim Flannery, hanno proposto una sospensione della democrazia per difendere la Terra. Flannery si è spinto a dire che si dovrà intervenire sull’origine di tutti i problemi, ovvero il numero totale degli abitanti del pianeta, attraverso un governo mondiale di tipo orwelliano, con una propria valuta, un esercito e il controllo su ogni persona e su ogni centimetro del nostro pianeta. Nella già menzionata Conferenza boliviana si è chiesto ufficialmente l’istituzione di un Tribunale Internazionale di giustizia climatica e ambientale. In tale contesto si colloca anche l’idea di introdurre a livello internazionale il reato di ecocidio, applicabile pure ai critici della teoria del PRIMO PIANO

riscaldamento globale. Insomma, un vero e proprio Grande Fratello verde che, come ogni totalitarismo, antepone l’ideologia ai fatti e alla realtà. In effetti, Paul Watson, co-fondatore di Greenpeace, per giustificare il suo lavoro disse che non importa ciò che è vero, ma quel che la gente crede sia vero. Per questo gli annunci catastrofisti sono assai utili. Lo scienziato Stephen Schneider, consigliere di Clinton, scrisse che per ottenere un ampio sostegno popolare è necessario presentare scenari terrificanti, senza lasciare spazio a dubbi, equilibrando efficacia e onestà. Il Club di Roma promuove da tempo tutte queste istanze, sospensione della democrazia compresa. Nel rapporto La prima rivoluzione globale, dell’ormai lontano 1991, ammetteva candidamente che il vero nemico da abbattere per tutelare la natura è l’umanità. Non è dunque un caso che il Club annoveri tra i suoi membri capi ed ex capi di governo, alti funzionari dell’Onu, politici di livello, diplomatici, economisti e scienziati poco raccomandabili quali George Soros, Bill Gates, Kofi Annan, Javier Solana, Romano Prodi, Mikhal Gorbaciov, Al Gore, Bill Clinton, Jimmy Carter e persino il teologo ultraprogressista Hans Kung. Ed è proprio sulla negazione del primato dell’uomo nel Creato che si basa la Carta della Terra, documento elaborato in sede Onu con l’obiettivo di sostituire la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. 2017 Maggio - n. 52

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ECOLOGIA: FACCIAMO CHIAREZZA

Federico Catani

Sui temi dell’ecologia c’è tanta confusione e i luoghi comuni regnano sovrani. È bene dunque mettere in chiaro alcuni punti…

RICCARDO CASCIOLI

A

Che differenza c’è tra ecologia ed ecologismo? È possibile avere a cuore la natura e il creato, senza per questo sposare l’ideologia ambientalista?

sostanzialmente limitare al massimo la presenza umana, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Ciò comporta dunque il controllo delle nascite nei Paesi poveri e freno allo sviluppo nei Paesi ricchi. Per capire questa visione negativa dell’uomo dobbiamo anche ricordare che l’ambientalismo è un filone nato dalle Società eugenetiche, divenute molto influenti nei Paesi anglosassoni dall’inizio del XX secolo.

L’ecologia è sostanzialmente una scienza che studia il rapporto tra gli organismi e il loro ambiente. Il termine è relativamente recente perché nasce nel 1866 con lo scienziato tedesco Ernst Haeckel. Anche se l’approccio a questo studio origina dalle teorie di Charles Darwin sulla selezione delle specie, l’ecologia è restata principalmente su un piano scientifico almeno fino alla metà del secolo XX, quando se ne sono appropriati i movimenti ambientalisti per promuovere un’ideologia che pone la difesa della natura in cima alle priorità politiche. Con il pretesto di migliorare o difendere l’ambiente, l’ecologismo mette in contrapposizione la presenza dell’uomo e la difesa dell’ambiente naturale. Obiettivo ecologista perciò è

Bisogna anche spiegare che alla fine l’ideologia ecologista non fa neanche il bene della natura perché ne disconosce la legge fondamentale. Per questo chi ce l’ha a cuore deve piuttosto riprendere sul serio l’antropologia cristiana, che pone l’uomo al vertice del Creato. Creato appunto, e non ambiente, perché si riconosce il Creatore, cui l’uomo deve dare conto di come usa i doni della natura. Nella Dottrina sociale della Chiesa c’è una formula che riassume questo rapporto: la natura è per l’uomo, ma l’uomo è per Dio. È questa responsabilità dell’uomo che genera un atteggiamento morale che né sfrutta selvaggiamente, né idolatra la natura. Il monachesimo benedettino ne è un esempio illuminante.

bbiamo intervistato Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana e della rivista mensile Il Timone, già Autore di diversi libri e articoli sui temi dell’ecologia.

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PRIMO PIANO


Riccardo Cascioli è Autore di diversi libri sul tema dell’ambiente, il più famoso dei quali è Le bugie degli

ambientalisti I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti (Piemme, 2004), scritto con Antonio Gaspari.

Risorse in esaurimento, inquinamento, scomparsa delle specie, deforestazione: da quello che i media raccontano, l’uomo sembra un mostro che sta distruggendo l’ecosistema. Cosa dicono i dati in proposito? E l’essere umano è un problema o una risorsa? Nessuno nega che ci siano problemi ambientali, ma l’ecologismo tende a esasperarli sfociando nel catastrofismo e ingenerando perciò un clima di paura che agevola l’imposizione di leggi da stato di emergenza. E oltretutto si concentra su temi che pagano dal punto di vista del marketing politico ma che non corrispondono alla realtà. Prendiamo ad esempio la deforestazione: si è ingenerata l’idea che dalla Terra stiano sparendo gli alberi. Non è così, anzi: nei Paesi sviluppati le aree forestali e boschive sono in costante aumento malgrado le distruzioni causate dagli incendi, mentre problemi di deforestazione sono concentrati nelle aree sottosviluppate dove l’agricoltura è ancora allo stadio primitivo o dove la legna è la principale fonte di energia o dove manca uno stato di diritto. E anche per l’inquinamento, pochi sanno che nei Paesi sviluppati – e soprattutto nei grandi centri urbani – l’inquinamento atmosferico è in costante e drastica diminuzione grazie ai progressi tecnologici, mentre la percezione comune è di una situazione in costante peggioramento. Basterebbe leggere la poesia di Giuseppe Parini, L’aria di Milano (1759), per capire cosa fosse l’inquinamento a Milano prima della Rivoluzione Industriale. In ogni caso, la costruzione dell’ecologismo si fonda tutta su una menzogna

PRIMO PIANO

fondamentale, ovvero che le risorse siano in via di esaurimento a causa della pressione della popolazione e del consumo sproporzionato che ne fanno i Paesi sviluppati. Niente di tutto ciò: sarà anche vero che i Paesi sviluppati consumano l’80% delle risorse mondiali, ma quel che non si dice è che ne producono anche di più. Alla radice infatti c’è un erroneo concetto di risorsa: per l’ecologismo la risorsa è data dalla natura. Se così fosse, però, dovremmo dire che le risorse sono un dato fisso, conosciuto e immutabile, ma le cose non stanno così. Nella storia le risorse sono andate sempre crescendo, come dimostra il fatto che – malgrado il grande aumento della popolazione – ci sono molte più risorse disponibili oggi che non cento anni fa, quando la popolazione era meno di un quarto di quella attuale. Il motivo è semplice: la vera risorsa è l’uomo, che con il suo ingegno e la sua creatività sa usare di ciò che la natura offre per soddisfare i propri bisogni. L’età della pietra non è finita per mancanza di pietre ma perché l’uomo ha trovato i metalli, che avevano migliore efficacia per costruire utensili. Da questo punto di vista la crescita della popolazione è uno stimolo alla creatività dell’uomo. Non a caso i Paesi dove c’è una denatalità che dura da decenni sperimentano anche la stagnazione, la recessione economica e la perdita di posti di lavoro. Al fondo dell’ecologismo c’è l’idea che l’uomo sia il “cancro del pianeta”: non a caso, seguendo le teorie neomalthusiane sulla “bomba demografica”, contraccezione e aborto sono ritenuti mezzi necessari per salvare il pianeta. Ma è proprio vero che siamo troppi? Quella della sovrappopolazione è un’arma propagandistica per far passare le politiche di controllo delle nascite. In realtà nessuno 2017 Maggio - n. 52

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«Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laudi, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sora aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumeni la nocte, et ellu è bellu et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quilli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quilli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimu, sirano incoronati. Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quilli ke morrano ne le peccata mortali; beati quilli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate et benedicete mi’ Signore’ et rengratiate et serviateli cum grande humilitate» San Francesco

può dire quale sia la popolazione “giusta” tale da poter parlare di sovrappopolazione. Non è mai esistita neanche la “bomba demografica”: il rapido aumento della popolazione nel XX secolo è dovuto a quella che i demografi chiamano «transizione demografica». Vale a dire: con il miglioramento delle condizioni economiche e sanitarie diminuisce la mortalità infantile e aumenta l’aspettativa di vita, ma i tassi di fertilità richiedono del tempo prima di adeguarsi. Per capirci: alla fine 12

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dell’Ottocento magari si mettevano al mondo sei figli, con la speranza di vederne sopravvivere tre; con la diminuzione dei tassi di mortalità pian piano hanno cominciato a sopravvivere tutti. Solo quando questo processo viene consolidato, tende ad adeguarsi anche la fertilità; e nel frattempo il cambiamento sociale ed economico portato dallo sviluppo tende naturalmente a stabilizzare i tassi di fecondità verso il basso. Questo vuol dire che l’aumento della popolazione PRIMO PIANO


è un fenomeno transitorio e che comunque, per usare delle espressioni popolari, la popolazione aumenta non perché «si fanno figli come conigli» ma perché «non si muore più come le mosche». La manipolazione degli esseri umani e la creazione di “uomini Ogm” sembrano legittimi sviluppi della scienza. Non parliamo poi delle teorie gender, che sono quanto di più innaturale vi sia… Però l’atteggiamento degli ambientalisti è diverso con i cibi Ogm. Perché? Sono così pericolosi per la nostra salute? In realtà c’è una corrente politica ecologista che, coerentemente con l’idea che la natura sia intoccabile, è contraria sia agli Ogm in agricoltura sia alla manipolazione degli embrioni (è il caso dei Verdi tedeschi). Tutti gli altri – e sono la maggioranza – si muovono secondo uno schema ideologico. Da tenere presente anche che oggi molti ecologisti sono in realtà comunisti riciclati che trasferiscono sull’ecologismo il loro progetto statalista. Sugli Ogm si è costruito un altro filone eco-terrorista, che ha le sue ricadute economiche positive sui movimenti ecologisti (basti pensare quante associazioni ambientaliste si arricchiscono con cooperative biologiche, fattorie educative e altro). In realtà quella degli Ogm è una strada obbligata per rispondere alle esigenze di alimentazione della popolazione, soprattutto nei Paesi poveri. Pensiamo, ad esempio, alla creazione di un riso capace di crescere in zone con poca disponibilità di acqua. PRIMO PIANO

Certo, questo significa dimostrare che è possibile sfamare la popolazione attuale e anche di più, proprio ciò che non vogliono i Signori della Terra. Non a caso oggi non solo c’è la guerra contro gli Ogm, ma si mette sotto accusa anche l’agricoltura tradizionale. L’emergenza dei nostri tempi sembra essere il riscaldamento globale. Mass media e istituzioni politiche di ogni genere (pensiamo solo all’Unione Europea o agli organismi internazionali) da anni mettono in guardia da scenari apocalittici nel prossimo futuro. Può spiegarci quanto c’è di vero e quanto di ideologico in tutto ciò? È un’altra truffa ideologica. Certo, negli ultimi 120 anni si è registrato un aumento medio delle temperature di oltre un grado, ma è ciò che è sempre avvenuto nella storia... e dalle origini, ben prima della comparsa dell’uomo. Il clima è in continuo cambiamento, ma le variazioni si possono apprezzare su tempi lunghi, almeno 30-40 anni. La truffa sta nell’aver fatto passare l’idea che il riscaldamento attuale sia senza precedenti nella storia e che sia causato dalle attività umane, cosa che non è affatto dimostrabile. Anzi, ci sono stati periodi più caldi nella storia umana, come ai tempi dell’Impero Romano o nel Medioevo. Periodi che gli scienziati hanno definito «optimum», perché quelli caldi sono anche i

più favorevoli per la vita umana. Peraltro le previsioni sul futuro catastrofico sono pura fantasia: nessuno è in grado di creare modelli al computer che possano simulare scenari realistici. Il problema è che le condizioni climatiche dipendono da così tante variabili, alcune delle quali sono oggi sconosciute nel loro funzionamento, che è impossibile prevedere come possano interagire nel futuro. Tanto è vero che le previsioni fatte vent’anni fa sull’aumento delle temperature sono già state smentite. Cosa possiamo fare per proporre un autentico approccio ecologico? Come dicevo all’inizio, bisogna tornare alla vera antropologia cristiana: solo questa genera una responsabilità nei confronti del creato che tende a migliorarlo. L’uomo è chiamato a collaborare alla Creazione, rendendo questa terra sempre più a immagine del Giardino celeste. In fondo, anche l’ecologismo rappresenta una forma di negazione di Dio e del suo progetto creatore. Ma come ebbe a dire Benedetto XVI, è proprio l’ateismo la minaccia più grave per l’ambiente: cancellando Dio, o si sfrutta selvaggiamente la natura, o la si divinizza. In entrambi i casi si distrugge sia la natura, sia l’uomo. 2017 Maggio - n. 52

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Ettore Gotti Tedeschi

ABELE ERA ECOLOGICO, CAINO ERA ECOLOGISTA Ecologia è cura della natura, in obbedienza alla Genesi. Ecologismo è odio alla creatura e al Creatore perché nega la Genesi, idolatrando invece la terra

A

bele amava la terra e l’ambiente, lo coltivava e lo proteggeva perché era opera di Dio, fu il primo uomo ecologico della terra, dopo la cacciata dal paradiso terrestre. Caino invece fu il primo ecologista della terra, uccise Abele perché cresceva e sviluppava il suo gregge, inquinando così la terra, e immolava a Dio gli armenti migliori per onorarlo, inquinando così l’aria. Bene, il Lettore ha inteso che tratterò l’argomento in modo un po’ paradossale e provocatorio: ma d’altronde, che vi devo dire, a sentire certe prediche sulla Laudato sii mi commossi pensando a quante formiche calpesto ogni giorno e a quanti moscerini schiaccio quando vado in auto, per non parlare di quante zanzare deliberatamente assassino con gli zampironi in estate: davvero tante perché vivo a Piacenza, notoriamente terra di nebbia e zanzare. Ecologia è cura della natura, in obbedienza alla Genesi. Ecologismo è odio alla creatura di Dio e al 14

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Creatore stesso perché nega la Genesi, idolatrando invece la terra, sacra, perché in essa si “incorporò” l’angelo ribelle quando venne preso a calci nel sedere da San Michele Arcangelo, dopo la famosa disobbedienza dei progenitori, tentati di credere di poter esser come Dio. Non mi dilungherò con il Lettore su ciò che di certo già sa, cioè che l’ecologismo è un movimento politico nato nel 1968, che con la scusa di difendere l’ambiente inventò potentissimi partiti (quello dei “verdi”), grazie a “suggerimenti” e appoggi di organismi sovranazionali o nazionali (Amici della terra, WWF, Greenpace, LegaAmbiente…) sostenuti da Onu e Unesco, a seguito del debutto del famigerato Nuovo Ordine Mondiale. Da qui nasce la cosiddetta “Geolatria” (che divinizza la natura, contro l’uomo che ne è cancro distruttore), negazione appunto della Genesi. Non annoierò neppure, se non con un accenno, a ricordare che fu Darwin a inventare le prime teorie ecologiche, influenzato da Malthus (quello che inventò teorie PRIMO PIANO


antinatalità), ossessionato dal mito della crescita popolazione e auspicante la selezione naturale, che di fatto trasforma l’ecologia in ecologismo. E l’ecologismo diventa conseguentemente il nemico del progresso e della crescita economica e si trasforma in ambientalismo, la nuova religione universale. Fallite le tesi neomalthusiane degli anni Settanta, sostenute dal Nuovo Ordine per stoppare le nascite, nonostante i danni creati con la conseguente crisi economica da esse provocate, non solo l’ambientalismo non recita il mea culpa, ma addirittura si incorpora in una Enciclica, come auspicato dalla rivista The Ecologist nel 2000. Detta Enciclica propone le cause dei danni provocati dall’ambientalismo neomaltusiano persino come soluzione agli effetti da essi generati. Infatti, il problema ambientale di oggi (se fosse così vero come denunciato) è stato generato proprio dall’ambientalismo di ieri. Ciò perché l’ambientalismo neomalthusiano di ieri, provocando il crollo della natalità, ha reso necessario compensare il crollo dello sviluppo (nel mondo occidentale) con un consumismo individuale sempre maggiore, che domandò sempre più utilizzo di materie prime e una sempre maggiore delocalizzazione produttiva in Asia, per nulla sensibile alla protezione dell’ambiente. Se le emissioni di Co2 son cresciute è grazie agli ecologisti neomalthusiani che volevano frenare la sovrappopolazione provocando eccesso di produzione per eccesso di consumismo, necessario a non far crollare la crescita del PIL, conseguente al crollo nascite (in Occidente). Infatti nell’Enciclica non solo si confondono cause con effetti, ma si richiama proprio il tema “sostenibilità”, riaffermando le teorie ambientaliste del Club di Roma, della Conferenza di Stoccolma (1972), di quella di Rio (1992), ecc. PRIMO PIANO

Si riportano anche teorie scientifiche ambientaliste tuttora in discussione, per esempio l’effetto serra o il buco dell’ozono (grazie al DDT). Il buco dell’ozono (1975) fu sperimentato in laboratorio liberando cloro, fluoro, carbonio, quelli usati nei pesticidi (tipo DDT, che quando fu eliminato nel 1970 generò come conseguenza la malaria che eliminò intere popolazioni africane) e nei fertilizzanti, ignorando che la produzione in natura (evaporazione acque marine, vulcani...) è ben superiore a quella umana. Il citato effetto serra dovrebbe spiegare il riscaldamento globale grazie all’anidride carbonica emessa da impianti industriali, quando la tossicità dell’anidride non è dimostrata (fotosintesi) ed è inferiore a quella dei combustibili fossili. Potrei continuare, sono stati scritti libri su queste tesi teoriche. Ma chi le ha promosse alla fine? Chi sono gli ecologisti? Beh, faccio solo un paio di esempi. Il famoso Manifesto di Stoccolma del 1972 (anti Enciclica Humanae Vitae) fu promosso da Rockfeller e Agnelli e si prefiggeva appunto di ridurre la popolazione, distribuendo teorie ambientali catastrofiche in Occidente e con la sterilizzazione nel terzo mondo. Il famosissimo WWF, per fare un secondo esempio, ebbe come presidente il duca ecologista Filippo di Edimburgo, che nel 1989 dichiarò «vorrei esser un virus letale per ridurre la sovrappopolazione», e nel 1990 continuò dicendo: «Basta con il Cristianesimo! Torniamo a religioni pagane che rispettano la natura». Evviva Caino! L’ecologismo genera l’ambientalismo, una dottrina gnostica e anti-Genesi che pretende di affermarsi come religione universale, contro la religione ebrea e cristiana; perché, secondo la Genesi: «Dio creò l’uomo a Sua immagine, maschio e femmina, li benedisse: crescete e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate ogni essere vivente». L’ambientalismo vuole solo riscrivere la storia sacra, negare il Creatore e ridimensionare la creatura al ruolo di animale intelligente. Il resto, scusatemi, è fuffa… Però caro Lettore, il riscaldamento globale dobbiamo riconoscere che c’è. C’è proprio, ed è dovuto alla crescita esponenziale di anime che finiscono a bruciare all’inferno grazie alla gnosi che ha cancellato il peccato e grazie a quei preti che non insegnano più la dottrina. Per ridurre il riscaldamento globale non ci vuole ecologismo, ci vuole evangelizzazione. 2017 Maggio - n. 52

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Enzo Pennetta

ELEVARE GLI ANIMALI

PER ABBASSARE L’UOMO Gli uomini sono soggetti del diritto, gli animali sono oggetti: non esistono perciò i “diritti degli animali”

I

“diritti” degli animali sono uno dei temi ricorrenti dei discorsi politically correct: su questo tema viene continuamente indicata una tendenza alla quale adeguarsi. La terminologia dei media, l’esempio dei vari testimonial del mondo dello spettacolo e dello star system in generale, tutto spinge verso questa direzione. L’invadenza del pensiero animalista legato all’ideologia “vegana” si manifesta come la frangia estremista, con una presenza pervasiva su ogni genere di media.

Gli animalisti non vogliono, invero, cambiare il nostro modo di vedere gli animali: piuttosto vogliono plasmare una nuova visione dell’uomo

Ma perché insistere tanto su questo punto, perché investire tante risorse in un’operazione di questo genere? 16

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La sensazione è che, in realtà, il vero obiettivo non sia tanto quello di cambiare il nostro modo di vedere gli animali, quanto quello di plasmare una nuova visione dell’uomo, quello di creare un nuovo modello antropologico giungendovi attraverso la modificazione del posto da assegnare all’uomo nella natura, e quindi rivedendo il suo rapporto con gli animali. Il punto di arrivo, e la forza stessa, di questa operazione è il riconoscimento dei “diritti” degli animali. Il diritto afferisce all’esistenza della persona in quanto tale: è una pretesa nei confronti di altri che presuppone una differenza ontologica dagli animali. Ma in realtà basterebbe molto poco per chiudere il discorso, ricorrendo all’analisi del termine “diritto” e verificandone la sua possibile applicabilità al di fuori della specie umana. Nel dizionario etimologico troviamo che esso deriva da «directum», ciò che è retto, quindi il retto comportamento, «principio di giustizia da cui devono prendere norma e misura gli atti della libertà umana». Dall’etimologia del termine emerge immediatamente che il diritto è indissolubilmente legato alla libertà di PRIMO PIANO


scelta e che quindi un essere non dotato di tale facoltà riguardo il proprio comportamento non può essere soggetto di diritto ma può solamente essere oggetto di diritto da parte di chi questa scelta è in grado di operarla, e quindi della specie umana che – eticamente parlando – è l’unica a godere della libertà di agire. Dallo studio del diritto romano apprendiamo che l’oggetto di diritto è un “bene”, dunque una “cosa”, concetto che potrebbe urtare la sensibilità degli animalisti ma che viene confermato ogni giorno dalla pratica non contestata di comprare e vendere animali: neanche il più acceso degli animalisti è mai arrivato a sostenere che gli animali non si debbano acquistare. Nessuno rivendica la chiusura dei negozi di animali o chiede che i cani e i gatti domestici debbano essere lasciati liberi di scegliere dove vivere, o addirittura che essi debbano essere obbligatoriamente liberati come da una forma di schiavismo. Anzi, quest’ultimo comportamento anziché essere visto come una liberazione da una schiavitù, viene pubblicamente condannato come “abbandono” degli animali. Vediamo allora che, come avviene per ogni pretesa errata, la migliore confutazione e la migliore azione di contrasto è quella di spingerla alle estreme conseguenze: il riconoscimento dei diritti degli animali dovrebbe essere indissolubilmente associato alla richiesta della cessazione della loro compravendita.

re Si vuole toglie , ” il senso etico le a “m e e” n e b e a“ lice “piacere” p m se a li o d n declassa e sensazione m o c si te in , ” a “sofferenz psico-fisica

Di fronte a un così evidente livello di contraddittorietà, la domanda che si pone è quella sul perché si insista sul discorso dei pretesi “diritti” degli animali. La risposta va cercata nel tentativo di attuare un’operazione di slittamento del fondamento dell’etica da un riferimento tra un “bene” e un “male” dati dall’aderenza a un determinato modello, a quello di un “bene” e “male” intesi come sensazione psico-fisica. Se, infatti, solo un essere umano può agire in termini di scelta tra bene e male, anche gli animali possono invece avere delle sensazioni di bene e male intese come “piacere” PRIMO PIANO

e “sofferenza”. L’origine di questo pensiero si trova nel filosofo Jeremy Bentham (1748-1832), secondo il quale le leggi avevano il fine di promuovere la maggiore felicità per il maggior numero di persone. La nuova morale di Bentham individuava la virtù nell’opinione pubblica e la bontà di un’azione nella sua capacità di arrecare piacere; per usare le parole di Ludovico Geymonat, si trattava di una «aritmetica del piacere». Una volta affermato il relativismo di chi cerca la virtù nell’opinione pubblica, per l’etica non esiste più la questione della scelta tra il bene e il male ma solo quello della scelta tra il piacere e la sofferenza; gli individui hanno quindi il “diritto” non a ciò che è bene, ma al piacere e devono essere difesi non dal male, ma dalla sofferenza. Ecco quindi che, una volta sostituiti il binomio “bene e male” con quello costituito da “piacere e sofferenza”, anche gli animali si trovano a godere delle stesse prerogative precedentemente attribuite solo all’Uomo. Come in un gioco di rimandi, ci troviamo a questo punto di fronte a una umanizzazione degli animali, i quali solo in virtù del fatto di poter soffrire vengono considerati come persone e da oggetto di diritto ne diventano soggetto. Dall’altra parte ci troviamo di fronte a un essere umano che, svincolato dall’etica che dipende dal concetto di bene e male, ne abbraccia una che risponde al principio del piacere e della sofferenza. L’equivalenza tra animali ed esseri umani è necessaria per poter compiere questa doppia operazione, un’equivalenza che – per il primo sostenitore dei “diritti” degli animali, il bioeticista Peter Singer – è giustificata da una strumentalizzazione della teoria darwiniana. Per Singer l’uguaglianza tra Uomo e animali va oltre ogni limite e, con un capovolgimento della morale tradizionale, si spinge all’ammissibilità dell’aborto post nascita (infanticidio) e alla contemporanea condanna dell’alimentazione a base di carne. L’equiparazione dell’essere umano a un animale è dunque l’effetto di ritorno dell’animalismo, un effetto che in realtà si rivela il principale obiettivo. Elevare gli animali per abbassare l’Uomo, istituire l’equazione “bene=piacere” per trasformare ogni desiderio umano in diritto. A questo punto ciò che appare assurdo ha una sua spiegazione. Questa è la portata complessiva di una vera e propria rivoluzione antropologica, di un esperimento d’ingegneria sociale che vede gli animali come mezzo per il suo compimento. 2017 Maggio - n. 52

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INTO the

WILD

Christopher McCandless (Emile Hirsch) è un giovane americano che, dopo essersi laureato, decide di partire per un lungo viaggio. Parte dalla Marco Bertogna Virginia (dove vive con la famiglia) per arrivare in Alaska. Parte rompendo con i genitori e in atteggiamento anticonformistico; incontrerà alcune persone che condivideranno con lui una parte del viaggio, per poi restare da solo in Alaska, prendendo come base la carcassa di un “Magic Bus”. Vivendo di caccia e di ciò che la natura gli offre, Chris muore dopo due anni dalla partenza da casa per aver mangiato una bacca velenosa scambiata per commestibile. Cercherà aiuto ma, essendo completamente isolato, morirà lasciando accanto a sè la scritta: «Happiness is only real when shared», ossia: «La felicità è autentica solo se condivisa». Into the wild è un film molto intenso. La regia è di Sean Penn, che ha voluto fortemente realizzare questa pellicola (nel 2007) acquistando personalmente i diritti del libro dal quale è stata tratta poi la sceneggiatura. Questa di Chris è una storia vera. È la storia di un ragazzo che non si riconosce nella società in cui vive e che cerca la verità della propria esistenza attraverso la libertà del viaggio, vivendo in mezzo alla natura. Chris guarda costantemente il cielo... e questa sarà anche l’ultima immagine della sua vita terrena. Il cielo è sicuramente il simbolo della tensione che ognuno di noi ha verso l’alto, verso qualcosa che è più grande di noi. La particolarità è che Chris guarda il cielo mentre passano gli aerei; questa è una condizione che ci riporta a quando eravamo bambini, a quella curiosità e sorpresa nel vedere il cielo e ciò che lo caratterizza. Uno dei temi importanti è il rapporto con la natura: Chris vive per molto tempo immerso nella flora e nella fauna dell’Alaska; caccia e scuoia gli animali (esplicita e verosimile la scena dello scuoiamento di un alce), dei quali si nutre, ma sarà proprio la natura a condannare Chris. Un altro tema importante è quello della solitudine: Chris fa alcune conoscenze importanti durante il viaggio per poi isolarsi completamente. Questo gli consente di verificare come la relazione con gli altri sia parte integrante nella ricerca della verità e della felicità della nostra vita. Una menzione particolare va fatta alla fotografia del film (Eric Gautier) e alla colonna sonora, in cui spiccano alcune canzoni di Eddie Vedder (leader dei Pearl Jam), poiché aiutano lo spettatore a immergersi nel viaggio di Chris, esaltandone l’emotività e stimolandone il coinvolgimento. È un film da vedere e potrebbe aiutarci a capire la relazione tra noi e la natura, tra noi e gli altri, tra noi e il trascendente... potrebbe aiutarci a dare una sfumatura ulteriore al significato dell’essere “pro vita”.


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NEMICI DELLA VITA LA VERITÀ È “OMOFOBA”, LA NATURA ANCHE

Renzo Renzo Puccetti Puccetti

I nemici della vita si ribellano a una condizione antropologica che noi invece consideriamo appartenerci per natura: l’essere creature

N O

È facile essere accusati di omofobia: basta dire la verità. ascere, vivere, morire. Questo è il ciclo della s’intreccia», scriveva Anatole France nel 1897 e qui è Probabilmente perché è la verità a essere “omofoba”... vita. Tranne che per la minoranza che muore totalmente evidente. Se posso uccidere un essere in maniera improvvisa e inattesa, la morte umano altro da me con l’aborto, perché non uccidere mofobia! che cos’è questa robina qua, l’omofobia diventerà reato, come vuole l’onorevole giunge al termine di unMa percorso di vulnerabilità, meSecon l’eutanasia? Se posso separare sessualità mi viene daLa dire con condizione la canzone didell’essere Mina. Scalfarotto, autore di un disegno di legge in materia già debolezza e dipendenza. stessa e procreazione con la contraccezione, perché non termine ambiguo, approvato alla Camera e giacente in letargo al Senato vivente primaÈo un appena dopo il parto. il cui significato fare l’opposto con la fecondazione artificiale e non può avere implicazioni potenzialmente devastanti per ma pronto per il risveglio in ogni momento, non si fare a meno della complementarietà sessuale? E se la pacifica convivenza sociale, di cui non è disponibile tratterà neppure di punire il pensiero: si andrà oltre Nel 2011 lo storico Francesco Agnoli, appena eletto posso usare gli esseri umani come una merce di una definizione univoca. A esso ho dedicato un lo «psicoreato» di orwelliana matrice per approdare presidente del movimento pro life MEVD, ebbe la proprietà stoccabile come surplus produttivo con il intero capitolo del mio ultimo saggio, LegGender all’illecito penale di «emoticon». brillante idea di organizzare la prima Marcia per la congelamento embrionale, perché non usare un essere Metropolitane. Se sei uno di quelli che non ha bene Vita in Italia, a Desenzano: vi parteciparono 700 umano come una macchina incubatrice? chiaro ciò di cui si sta parlando, è bene che colmi persone, un piccolo miracolo stante i mezzi esigui I cristiani sono la lacuna in fretta, dal momento che l’ignoranza e il poco tempo a disposizione per l’organizzazione. minoranza più perseguitata 1969 il vice-presidente di Planned potrebbe costarti qualche annetto nelle patrie galere, Il 3 novembrela L’anno successivo a Roma convennero 15.000 persone al mondo, conper centomila vittime delle la pianificazione rese più spaziose dall’ondata di depenalizzazioni decise Parenthood, organizzazione e nel dal 2013 furono 40.000 a marciare, con oltre 1.200 anno, ma non è mai stato nascite fondataogni dall’eugenista Margareth Sanger, scriveva governo del “rottamatore” attualmente in fase di partecipanti al convegno organizzato all’ateneo Regina al presidente del Population prodotto alcunCouncil test perBernard misurareBerelson autoriciclo. Apostolorum il giorno precedente. Di quei fatti sono un un memorandum sulle «attività rilevanti allo studio la “cristianofobia”... testimone diretto, avendo avutodate un almeno qualche tredici ruolo nel Dell’omofobia sono state delle politiche USA per la popolazione». Era un elenco rendere possibilediverse. che un Cominciò popolo giànelesistente pro definizioni 1972 lo di psicologo delle possibili misure per ridurre la popolazione. life sigay potesse socialmente materializzare. friendly George Weinberg, per il quale l’omofobia Si articolavano in costrizioni sociali (ristrutturazione era «la paura espressa essere in Da quell’esperienza sonodagli nateeterosessuali tante altredirealtà: Di famiglia, fatto è diventato omofobo tutto ciò che dispiace della ritardando o evitando il matrimonio, presenza degli omosessuali ProVita e questa rivista, i Giuristi per la Vita, le Sentinelle educazione alla lobbyobbligatoria Lgbt. Pensi che sia dannoso, dei penetrare bambini, l’ano incoraggiamento e, nelimportante caso degli stessi dell’incremento come ha dettodell’omosessualità, la dottoressa Silvana educazione De Mari? Sei in Piedi, l’associazione Vita è... Una parte Eppure Markland, Gena Dunivan, di coloro che hanno contribuito ai due omosessuali, giganteschil’auto- allaomofobo. limitazione dellaAlayne famiglia, agenti contraccettivi Camille G. Rogers sono quattro Family Day del 2015 e 2016 contro la avversione». propagandaPoi il nelle acque,Vaughan favorireeilRebecca lavoro femminile), deterrenti termine si arricchì autori di alla un articolo scientifico pubblicato nel della febbraio dell’ideologia gender e il “matrimonio gay”. economici procreazione e controllo sociale della dimensione dello scorso anno sulla rivista American Journal of Ma chi c’è “dall’altra parte”? Chi è che muove guerra fertilità mediante diffusione di aborto, contraccezione di Gastroenterology, dove sono stati analizzati 4.170 alla vita con mezzi imparagonabilmentegenerica superiori? negatività, rabbia e disgusto Sempre i soliti. Erano per l’aborto e sono per verso le persone l’eutanasia, erano per il divorzio e sono per il omosessuali. matrimonio gay, erano per la contraccezione e sono per l’utero in affitto, erano per la “liberazione” sessuale e sono per il gender. Sono sempre gli stessi e non è un caso, perché il filo rosso che unisce tutte queste espressioni è la ribellione a una condizione antropologica che noi invece consideriamo appartenerci per natura: l’essere creature. Non vogliono esserlo, o almeno non vogliono rimanere tali. È l’antico mito di Prometeo, è il desiderio dei giganti di occupare l’Olimpo degli Dei, è il volere essere creatore. Dare vita e morte, popolare e spopolare, farsi maschio o femmina a piacimento. «Tutto si tiene, si sostiene e 20

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soggetti del National Health and Nutrition Examination Survey. È risultato che il rischio di incontinenza fecale nelle donne che praticavano sesso anale era del 50% più elevato, mentre negli uomini raggiungeva il 280%, dunque quasi triplicato. Padre Giorgio Maria Carbone è finito sulla graticola di La Repubblica e de L’Espresso per essersi azzardato a riportare i risultati dello studio di Frisch e Simonsen su 6,5 milioni di danesi, dove la mortalità globale dei soggetti sposati con persone dello stesso


sesso era risultata doppia per gli uomini e tripla per le donne. «Tesi omofobe», scriveva uno psichiatra e attivista Lgbt su un quotidiano d’informazione medica. A proposito di psichiatria, i soggetti omosessuali hanno – in maniera universalmente riconosciuta – un rischio più elevato di suicidarietà e di sviluppo di malattie mentali, ma l’unica ragione del fenomeno ammessa dall’inquisizione omosessualista è lo «stress di minoranza», concetto inventato da un’altra icona del movimento Lgbt, lo psichiatra statunitense Ilan Meyer, secondo il quale tutti i problemi psichici delle persone omosessuali deriverebbero dallo stress continuativo cui sarebbero sottoposti a causa dello stigma che circonda la minoranza omosessuale. Ma se lo «stress di minoranza» è la causa, com’è che altre minoranze stigmatizzate, come le persone di colore o gli obesi, hanno invece rischi suicidari inferiori rispetto a bianchi e normopeso? In realtà altre spiegazioni sono state proposte nel mondo accademico: tratto di personalità, teoria sindemica, violenza domestica... ma ovviamente queste hanno l’imperdonabile difetto di non esternalizzare alla condizione omosessuale la causa della sofferenza, dunque non sono coerenti con la narrazione ufficiale: nessuna differenza, good as you.

È diventato omofobo tutto ciò che dispiace alla lobby Lgbt

Per misurare i livelli di omofobia sono stati approntati almeno 46 distinti strumenti psicometrici; per converso, nonostante i cristiani siano il gruppo religioso più perseguitato al mondo, con centomila vittime ogni anno, non è mai stato prodotto alcun test per misurare la “cristianofobia”. Va da sé che molte delle domande contenute in tali questionari prevedono di esprimersi sulle rivendicazioni sociali e sulle posizioni avanzate dalle organizzazioni Lgbt, per cui dissentire incrementa in automatico il punteggio omofobico. Ad esempio, ritenere l’orientamento omosessuale una caratteristica modificabile è considerato un pregiudizio omofobico rilevato in molti questionari. Questo nonostante i due studi metodologicamente più corretti condotti sui gemelli abbiano concluso che la percentuale di acquisizione dell’orientamento omosessuale per via genetica sia

risultata del 34-39% nei maschi, del 18-19% nelle femmine nel registro svedese e del 20% e 24% nei maschi e nelle femmine del registro australiano. La cosa ironica è che secondo i dati dello stesso registro australiano l’omofobia dipenderebbe per il 36% dalla genetica. Ora non si capisce bene come mai «Born this way» di Lady Gaga Germanotta dovrebbe valere solo per i gay e non anche per gli omofobi. Pasticceri, fioristi, albergatori, fotografi, tipografi, giudici, medici stanno finendo multati, licenziati a causa della caccia alle streghe scatenata da questo nuovo movimento pseudoreligioso che ha nella libertà assoluta di eros il suo dogma e che anatemizza ogni dissenso, soprattutto di matrice cristiana. Ovviamente il dissenso islamico non riceve lo stesso trattamento, dal momento che da quelle parti c’è gente che non si ferma alle parole ed è dunque prudente tenerseli buoni. Poiché prevenire è meglio che curare, il trattamento dell’omofobia è preferibile che sia prescritto dai sanitari e instaurato il più precocemente possibile. Il progetto di legge della giunta regionale umbra, Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere [mentre andiamo in stampa apprendiamo che è stato approvato dalla maggioranza di sinistra al Governo, con i voti dei 5Stelle, ndR], che prevede lo stanziamento di 50.000 euro all’anno per progetti Lgbt e instaura un “osservatorio” dove le organizzazioni arcobaleno hanno la maggioranza, è una tipologia piuttosto standardizzata. Ecco perché la normalizzazione di ogni genere deve radicarsi nella clinica e nella scuola, gli ambiti strategici per raggiungere quello che è indicato come “il cambiamento”. La legge serve per rafforzare le idee, scoraggiare la critica, reprimere il dissenso e la resistenza. Come insegnava quel gran democratico di Mao Tsê-tung: «Colpirne uno per educarne cento». 2017 Maggio - n. 52

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Francesca Romana Poleggi

IL DIRITTO DI VIVERE È ANCHE UN DOVERE Riflettiamo sul diritto, la legge e la libertà con il professor Danilo Castellano, filosofo e giurista

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l prof. Danilo Castellano, dell’Università di Udine, è un filosofo del diritto che si è formato alla scuola di Augusto Del Noce. Gli abbiamo rivolto alcune domande a proposito della legalizzazione dell’eutanasia.

Professore, Lei è il curatore e uno degli Autori del saggio Eutanasia: un diritto? (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015). Saremmo lieti di conoscere, in breve, la risposta a questa domanda, da Lei, che è un filosofo del diritto.

Come ho cercato di dimostrare nell’ampia introduzione al volume da Lei citato, non esiste (e, quindi, non può riconoscersi) il diritto all’eutanasia. La vita non è nella disponibilità del soggetto, il quale ha il diritto alla vita perché ha il dovere di vivere. Il diritto, infatti, è esercizio (o legittima rivendicazione dell’esercizio) di un dovere. Il diritto non è una facoltà creata dalla norma positiva (facultas agendi basata sulla norma agendi). Questa deve riconoscere e prescrivere ciò che è conforme all’ordine naturale, all’ordine della creazione. Ci sono norme positive, approvate nel rispetto 22

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delle procedure, che violano quest’ordine: diverse leggi naziste, le norme razziali italiane, la legge n. 194 del 1978 (la cosiddetta legge dell’aborto volontario) e via dicendo. La legislazione non è strumento di presunta onnipotenza nelle mani dell’uomo, come sostenne apertamente, per esempio, Portalis al tempo di Napoleone I. La norma positiva è partecipazione della legge che, a sua volta, è partecipazione del diritto. Per essere tale, deve essere giusta. Essa, pertanto, non è il criterio di ciò che è giusto e di ciò che è iniquo. La legalità non è la legittimità. La norma è regola regolata, cioè è prodotto, non fonte, dell’equità.

È giusto far distinzioni tra suicidio assistito, eutanasia attiva, passiva e via discorrendo? Le faccio questa domanda perché la distinzione potrebbe portare alla produzione di una normativa che riguardi “solo” certe ipotesi. In realtà potrebbe consentire il dilagare della morte procurata... Sì, entro certi limiti è lecito, anzi doveroso, distinguere. La natura dell’azione, infatti, non è la stessa, anche se porta al medesimo risultato. Le distinzioni, recepite giustamente anche dai Codici penali, non consentono, tuttavia, di sostenere che è derogabile l’imperativo etico, universale e assoluto, «Non uccidere» l’innocente, nemmeno su sua richiesta (nel caso abbia la capacità di agire). È un imperativo di diritto naturale sottratto a ogni disponibilità: del soggetto, del legislatore, dello Stato e via dicendo. Ripeto: nessuno, per nessuna ragione, deve procurare la morte dell’innocente. Questo non significa che nella storia si sia sempre rispettato questo imperativo. La storia è ricca di iniquità. Non può essere invocata a giustificazione di scelte irrazionali.

Quelli che sono favorevoli al diritto di morire, magari in una sola delle suddette forme, si presentano come paladini della libertà e dell’autodeterminazione: è libertà, la libertà di morire?

contemporaneo essa, in ultima analisi, ha assunto due significati. Il primo è quello “classico”: la libertà è agire responsabile, esercizio del libero arbitrio, che comporta il merito (per il bene che si compie) e fa nascere un diritto (per esempio, in seguito a una prestazione lavorativa, in proporzione al grado di competenza e alla qualità del risultato). Comporta, però, anche la pena (per il male che si compie). Il secondo significato, quello oggi prevalente, è la “libertà negativa”, il puro autodeterminarsi del volere, come affermò un filosofo tedesco. Sono libero, in questa prospettiva, quando agisco solamente secondo la mia volontà, non guidata da alcun criterio, nemmeno dalla razionalità. Trattasi evidentemente di una volontà non umana. Alcuni ritengono che questa sia “l’ultima libertà” – quella radicale –, oltre la quale non è possibile andare e senza la quale non si sarebbe veramente liberi. Secondo questa Weltanschauung, dogmatica e non giustificata, si arriva all’assurdo: Dio, che è onnipotente, non sarebbe libero, perché non può suicidarsi.

Esiste ancora la distinzione tra diritti disponibili e indisponibili? Si può cancellare? Con quali conseguenze? Se si fa riferimento all’ordinamento giuridico positivo, la distinzione esiste (ancora). Debbo dire, però, che in un contesto culturale nel quale non è individuabile un’essenziale distinzione fra “diritto” e “pretesa”, mantenere questa distinzione è una contraddizione. Alla luce soprattutto della Costituzione italiana (e della relativa

Quello che va chiarito in via preliminare è il modo di intendere la libertà. Nel mondo occidentale

PROF. CASTELLANO 2017 Maggio - n. 52

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giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire in particolare dal 1989) e alla luce della giurisprudenza della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) di Strasburgo, la distinzione rappresenta un limite (e, perciò, un confine negativo), giustificabile solo sulla base delle esigenze della convivenza. Resterebbe, pertanto, esclusa la sfera di azione nel campo strettamente privato. In altre parole, nessuno – lo rivendicava già il “liberale” Locke – avrebbe il diritto di interferire nelle decisioni private, vale a dire per quel che riguarda la vita, la libertà e gli averi dell’individuo. Questa è dottrina “fragile”. Locke, infatti, è stato costretto a identificare proprietà e sovranità; identificazione, questa, smentita dall’esperienza, in particolare da quella giuridica. C’è da aggiungere che chi, come me, ritiene che non sia possibile identificare diritto e pretesa e che i diritti dell’uomo (come storicamente affermatisi) siano inaccettabili, deve sostenere che la distinzione tra “diritti disponibili” e “diritti indisponibili” ha non solamente una fonte, ma soprattutto un fondamento. Questo è dato dalla giustizia nei confronti di Dio, del prossimo e di se stessi. La giustizia non può essere cancellata e nemmeno manipolata. Se questo avvenisse, gli ordinamenti (definiti) giuridici sarebbero strumenti di mero potere e di barbarie. È una questione che ho considerato nel libro Quale diritto? (Napoli, Edizioni Scientifiche

Italiane, 2015), nel quale quello delle fonti (in senso positivistico) appare come uno dei problemi giuridici più delicati del nostro tempo. Agli studenti di diritto, tra le prime nozioni, si insegna che la norma è (e deve essere) generale e astratta. Per le eccezioni, nei casi concreti, c’è sempre tempo. Quindi la norma «Non uccidere» dovrebbe essere tale, generale e astratta. Perché non è bene – anche in questo campo – fare leggi per casi particolari e concreti? Comprendo. Io però ho riserve sull’uso di questa terminologia. La generalità, come caratteristica della norma, è di derivazione rousseauiana. Ritengo assurda la dottrina politica e giuridica di Rousseau e, pertanto, preferirei usare altri termini. La norma trova fondamento nell’esigenza del rispetto universale della giustizia, non sul (presunto) dovere di rispettare un atto della volontà generale. Paradossalmente, anche la regolamentazione di “casi” potrebbe presentarsi con i caratteri della generalità e dell’astrattezza. Credo tuttavia di comprendere – al di là della terminologia – il senso della domanda: regolamentare solo formalmente e proceduralmente l’esercizio di una pretesa non trasforma questa in diritto. La regolamentazione deve riguardare la sostanza dell’azione e del diritto, non il suo modo di affermarsi.

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DIRITTO

Aldo Rocco Vitale

E MORTE

Può un fatto giuridico divenire un atto giuridico mutando arbitrariamente l’interpretazione della sua stessa natura?

I

l diritto e la morte si trovano in rapporti molto stretti poiché la morte, come la nascita, è conosciuta dal diritto in quanto evento naturale, quindi di per sé extragiuridico, che tuttavia diviene giuridicamente rilevante per la sua capacità di incidere sulla sfera giuridica della persona e delle relazioni socio-giuridiche che la sottendono. La morte e il diritto, inoltre, sono in stretta relazione poiché da sempre al fenomeno morte sono ricollegati istituti ed effetti giuridici di varia natura. In poche parole, il diritto ha sempre prestato enorme attenzione al fenomeno della morte proprio per l’alta incisività di questa nel mondo del diritto, cioè delle relazioni intersoggettive intese come legami giuridici. Il diritto ha cioè sempre tentato di disciplinare l’ambito dell’esistenza che ruota intorno alla morte, sia per quanto riguarda le sue cause, per esempio, punendo l’omicidio, sia per

La morte è un fatto giuridico. l’eutanasia el d e on zi a zz li ga le a L tto la trasforma in un a giuridico

quanto riguarda il momento di attestazione legale dell’evento esiziale, per esempio definendo i criteri di accertamento della morte, sia per quanto riguarda gli effetti che dall’evento morte discendono, per esempio, predisponendo l’intero apparato giuridico della successione ereditaria. Oltre a queste tipiche e classiche forme di relazione tra la morte e il diritto, ve ne sono alcune più particolari in cui l’intera dinamica fino ad ora descritta si complica perchè il diritto tende ad artificializzare la morte, intesa non più come fenomeno naturale e così, inevitabilmente, la morte fagocita la stessa natura del diritto sancendone, per il paradosso più inatteso, la sua stessa fine. 2017 Maggio - n. 52

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Più precisamente, dunque, occorre riconoscere che, in base a come si viene a configurare il rapporto tra morte e diritto, possono darsi due situazioni distinte: o il diritto si impossessa della morte e ne re-inventa l’essenza sottraendola alle leggi di natura, o la morte si impossessa del diritto in seguito allo smarrimento circa la sua funzione ed essenza incentrata sulla relazionalità naturale degli uomini secondo la guida della ragione. Per evitare di apparire eccessivamente astratto un tale tipo di ragionamento si presti attenzione ai due esempi più eclatanti che materializzano quanto fino ad ora illustrato, cioè da un lato l’eutanasia e dall’altro il cosiddetto istituto della «compensatio lucri cum damno» («compensazione del lucro con il danno»).Il fenomeno della legalizzazione dell’eutanasia, specialmente nella sua crescente diffusione come rivendicazione del (presunto) diritto soggettivo di morire – come puntualizza Umberto Veronesi, secondo il quale 26

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«l’eutanasia non può essere altro che il diritto di morire, il quale, come tutti i diritti della persona, fa capo unicamente al soggetto» – dimostra esattamente quanto il diritto – a sua volta artificializzato e inteso come mera formalizzazione della pura volontà individuale, svincolata da ogni norma naturale, morale o giuridica a essa pre-esistente – abbia artificializzato la morte, tanto da poterne legittimare le modalità e il tempo tramite l’atto eutanasico. Una tale prospettiva, però, rovescia e stropiccia non solo la natura della stessa morte giuridicamente intesa, ma anche e soprattutto quella dello stesso diritto. La morte, come del resto la nascita, infatti, è un fatto giuridico, secondo la multisecolare tradizione giuridica occidentale, come insegna Francesco Carnelutti nelle sue lezioni di Teoria generale del diritto; con l’eutanasia, per di più legalizzata, la morte, invece, diventa un atto giuridico, cioè un evento giuridico scaturente dalla volontà soggettiva.

Sorgono quindi inevitabilmente dei quesiti: può un fatto giuridico divenire un atto giuridico mutando arbitrariamente l’interpretazione della sua stessa natura? Una logica simile può essere estesa anche ad altre situazioni? Può risultare davvero indifferente la qualificazione giuridica della natura della morte? Non si rischia forse, alterando la natura di alcune dimensioni del diritto, di alterare il diritto stesso nella sua totalità? E se il diritto viene alterato quali rischi si corrono per le dinamiche relazionali e sociali? L’altra manifestazione di una errata concezione dei rapporti tra morte e diritto e, in definitiva, del diritto medesimo, è la predetta «compensatio lucri cum damno», cioè l’idea per cui dall’evento morte che può causare un danno morale economicamente valutabile che legittima un risarcimento possa altresì derivare un vantaggio economico che si deve sottrarre al risarcimento che in astratto spetterebbe.


Il caso tipico di scuola è quello per cui al genitore cui viene ucciso un figlio, per esempio in un incidente stradale, spetti un risarcimento, sebbene non già nella misura in cui gli spetti effettivamente, ma nella misura in cui gli spetta sottratto il vantaggio economico che lui stesso trarrà dalla morte del figlio medesimo, perché non sarà più tenuto al mantenimento, alle spese mediche o a quelle di istruzione del figlio deceduto. È la stessa Cassazione, del resto, ad aver già da tempo avallato un simile principio, come dimostra per esempio tra i tanti – enucleando anche i requisiti richiesti affinché un tale congegno produca i suoi effetti – , la sentenza n. 12248 del 2006 ai sensi della quale «il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso».

La morte, dunque, viene così intesa, addirittura, come occasione di lucro con cui dover compensare il danno che la stessa morte ha causato. Il diritto in questo caso, per il tramite della valutazione economica della morte effettuata dalle Corti, diventa soltanto uno strumento della massimizzazione dell’efficienza economica della società, tradendo una concezione economicistica del diritto che sottomettendo il diritto alla mera quantificazione dell’efficienza economica dei sistemi sociali che è chiamato a disciplinare, lo riduce a funzione degli scambi e quindi lo disintegra sotto il peso dell’interesse economico-finanziario. Si comprende bene, allora, come in entrambi i casi, cioè sia nell’eventualità dell’eutanasia, che in quella della «compensatio lucri cum damno» la relazione tra morte e diritto viene del tutto alterata, modificando a tal punto la stessa natura della morte e la stessa natura del diritto da rendere irriconoscibili entrambi.

In definitiva: da una parte la morte non è più un evento naturale che il diritto si limita a riconoscere nella sua tragicità, ma soltanto una delle tante occasioni in cui esercitare il proprio arbitrio e magari ricavare un guadagno; dall’altra parte il diritto non è più la distinzione del giusto e dell’ingiusto secondo le regole della ragione, ma viene piegato alle regole del mero calcolo economicoindividualistico perdendo la sua struttura etica, cioè relazionale. Il diritto di morire si tramuta, insomma, nel suo simmetrico e opposto morire del diritto, così come la liquidazione compensativa di un ipotetico guadagno ricavato dalla morte si risolve per essere in sostanza una compensazione effettiva che liquida i principi strutturali del diritto come la sua autonomia, cioè la sua mancanza di subordinazione rispetto alle altre sfere dell’esistenza, come l’economia. Cosa resta della morte? Cosa resta del diritto? 2017 Maggio - n. 52

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Toni Brandi

LA RIVOLUZIONE DELLA NORMALITÀ Cattolici, valori, capitalismo, laicismo, gender: un saggio di Torriero offre un’analisi acuta della società e invita a reagire, “per salvare l’uomo”

F

abio Torriero, direttore di IntelligoNews, ha lavorato con l’Italia-settentrionale, Lo Stato, Il Borghese, Libero, Il Tempo e con La Croce. Docente di comunicazione politica, teoria e tecnica del linguaggio e di storia politica italiana, è stato spin doctor di politici, ministri e imprenditori. Molto sensibile ai temi antropologici e alla pedagogia cristiana, ha pubblicato di recente Il futuro dei cattolici in politica, edito da Giubilei Regnani. Ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande. Il suo libro parla di “principi non negoziabili”. Parla di “valori” dei quali oggi non parla più nessuno, neanche i cattolici. Perché? Perché, specialmente in casa cattolica, c’è una falsa idea della verità e una falsa idea della misericordia. Anzi, ci sono due partiti contrapposti, sulle ali di una lettura sbagliata e strumentale della comunicazione del Santo Padre: i “veritieri” e i “misericordisti”. Come se fossero due principi separati. Ricordo a tutti sommessamente la frase di Edith Stein: «Non c’è verità senza amore e non c’è amore senza verità». Questa scissione ha di fatto indebolito i cattolici, che non riescono più a

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essere decisi sulle lotte politiche da fare o, al contrario, che diventano la frusta etica della società, in maniera dogmatica e rigida. Ciò che dobbiamo fare, dalla politica alla comunicazione, è chiarire in modo netto il bene dal male e declinare il buon senso a livello civico e civile. Ricordando che siamo in una Repubblica parlamentare e che le leggi cattive fanno costume, rovinando la testa e la vita dei nostri figli. Decriptare, decodificare il male, quindi, è un atto di giustizia. Qualsiasi pietismo sentimentale, mascherato da mitezza e umiltà, è solo debolezza incapacitante e un favore fatto ai laicisti. Come può spiegarci lo scontro in atto – che Lei definisce apocalittico – tra “società radicale di massa” e “società naturale di massa”? Basta mettere insieme tutti i provvedimenti varati dal governo Renzi e quelli che deve (o dovrebbe varare) Gentiloni, dalle unioni civili ai matrimoni gay, dalla liberalizzazione delle droghe leggere, al divorzio lampo, all’eutanasia. Se aggiungiamo il gender, ossia la vittoria del mentale e dell’ideologia sulla natura, ci rendiamo conto che in ballo non c’è il confronto


su un modello di società, ma che si sta cambiando, stravolgendo, l’umanità. E qui i cattolici possono, e devono, svolgere un ruolo fondamentale. A patto che abbiamo la consapevolezza della gravità della situazione e non continuino a vivere in una loro dimensione edulcorata, astratta e soporifera. “Natura” e “libertà” vengono invocate per giustificare uno stile di vita teso a soddisfare nell’immediato tutte le pulsioni e tutti i desideri. Poi, però, al singolo individuo cosa resta? E se questa attitudine diviene la base fondante dell’attività politica e legislativa, che ne sarà della società? È la società delle pulsioni dell’io destinata a seppellirsi da sola. Tante monadi (i cittadini) autoreferenziali, incomunicanti, anaffettive, dove ogni desiderio deve diventare un diritto. Con frasi buoniste, in realtà, si propaganda unicamente la morte: eutanasia è «dolce morte»; aborto è «maternità responsabile»; utero in affitto è «maternità surrogata»; la droga è per rilassarsi e curativa, i matrimoni gay sono basilari soltanto nel nome della felicità individuale, non sapendo che così si afferma la cultura della sterilità e dell’infertilità e, quindi, di morte. Usando il caso Dj Fabo, i media hanno parlato per una settimana solo del diritto a morire... ma del diritto a vivere, a nascere? Bernanos diceva che bisogna salvare l’uomo; le società folli producono folli. Infatti sarà l’uomo a non volere più essere salvato.

Potrebbe spiegare il legame che lei ha riscontrato tra il mercato globale e, ad esempio, il gender? Il sistema economico, in questo caso il capitalismo liberale, produce modelli di vita ben precisi, non si tratta di schemi neutri. Se “vivo economico” (consumo, profitto, interesse, utile personale come fonte di felicità), finisco per “vivere e pensare economico”. E il capitalismo, da “economia della necessità”, si è trasformato da decenni in “economia del desiderio”, che per sua natura è compulsivo e riduce tutto a cose e a merce. E così, siamo passati dall’economia di mercato alla società di mercato. Il gender non è forse un’ideologia (che papa Francesco ha definito «errore della mente») dove – come ho detto prima – ogni desiderio deve obbligatoriamente diventare un diritto? Non è la mente che si sostituisce alla natura, all’ordine di Dio? Non è il piacere e l’interesse individuale (utero in affitto, bimbi che si comprano e uteri che si vendono) che prevalgono sul dono, sulla relazione, sull’umanità? Inoltre il capitalismo liberale tende a spezzare le catene dei legami tradizionali (le identità familiari, religiose, spirituali, comunitarie, storiche), visti e vissuti come freni insopportabili, nel culto utopico del cittadino del mondo, del consumatore globale e del mercato globale. Quando si stabilisce che l’economia (il profitto) è al centro della vita, si può fermare all’ambito nazionale? Quando si stabilisce che l’uomo è l’unica verità e che società e Stato vengono dopo, questa concezione si può fermare a una patria? Quando si afferma (valori illuministi) che la felicità l’uomo la raggiunge se soddisfa il suo utile personale, non è il DNA dell’odierna società delle pulsioni dell’io, che Pasolini aveva capito già nel 1974,

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FABIO TORRIERO

dicendo che non si trattava di diritti civili ma di diritti del consumatore e che il perfetto consumatore non può che essere un perfetto divorzista e abortista? Esiste un “fronte identitario antropologico”, un popolo sano, composto «non solo da cattolici, ma anche da non credenti e, addirittura, da esponenti di altre religioni». Poi c’è l’élite radical chic che ha i soldi e il potere mediatico, e quindi politico. Qual è (o quali sono) i campi di battaglia? E le armi? Questo fronte antropologico, che esiste, va rappresentato con una soggettività autonoma dei cattolici, autorevole e aperta anche ai non credenti e ad altre confessioni. C’è una battaglia comune da fare: la difesa e l’affermazione della società naturale di massa, il primato del bene comune, della salute pubblica, del decoro pubblico sull’individualismo. Oggi le nuove categorie della politica sono alto-basso (popoli contro caste) e valori antropologici. Destrasinistra, le dicotomie ottocentesche (liberali, liberisti, socialisti, statalisti, etc.), sono al macero. E se sappiamo usare queste nuove lenti, ci accorgiamo ad esempio che PD, 5Stelle e Forza Italia su molti temi sono uguali: liberali in politica, liberisti in economia e laicisti sui valori non negoziabili, sui temi etici. È il fronte laicista trasversale al quale 30

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dobbiamo rispondere con un fronte anti-laicista trasversale. Anche se i media sono tutti asserviti al pensiero unico, alla neo-lingua orwelliana, dobbiamo saper rispondere con forza e determinazione, con una controinformazione battagliera. Una cosa, comunque, è certa: i cattolici negli altri partiti, cioè lo schema-Ruini, ha fallito. Da sale nel mondo, i cattolici sono diventati lo zuccherino del mondo, la pasticchina buonista, il cuore del mondialismo e della globalizzazione. E la secolarizzazione non è stata fermata. Bisogna invertire drasticamente la rotta. Crollata la narrazione globalista, oggi siamo dentro la narrazione sovranista. Sono tesi e antitesi speculari. I cattolici impegnati devono lavorare per una grande sintesi: l’articolazione quotidiana del Vangelo («Ama il prossimo tuo come te stesso», «La verità rende liberi», etc.). Non solo andare a Messa, e poi votare per partiti laicisti. … ma non sarà mica l’antica battaglia tra il Bene e il Male, che da sempre si combatte nella storia e nel cuore di ciascun uomo? Sì, per i cattolici in politica è proprio questo: consapevolezza dell’Armageddon. Non è certamente una questione di poltrone o di vanità personale. I cattolici sono l’unica risposta. Sono i terroristi del buon senso, i sovversivi del bene comune, i rivoluzionari della normalità.


LETTURE CONSIGLIATE GIULIANO GUZZO

Cavalieri e principesse

CAVALIERI E PRINCIPESSE

GUZZO (Vicenza, 1984) ve e lavora a Trento, fa parte del per la Vita e dell’Associazione ive per il quotidiano nazionale llabora con diverse riviste, tra o Vita, Voglio Vivere e i siti web na.org e campariedemaistre.com. ersonale giulianoguzzo.com

GIULIANO GUZZO

iventa? Vi sono reali differenze te di pensiero oggi dominante, erenze significative tra uomo e cosiddetti stereotipi di genere, ndrebbero contrastate, pena il azioni. o che differenza sessuale e dino affatto l’una la premessa opposta, dimostrando, sulla tifici, quanto il senso comune : donne e uomini sono davveferenze dei colori a quelle dei namento del cervello allo stile idare l’automobile a quello di il lavoro a come s’innamorano

«La lettura è per la mente quel che l’esercizio fisico è per il corpo» (Joseph Addison)

Donne e uomini sono davvero differenti, ed è bello così CANTAGALLI

Giuliano Guzzo

CAVALIERI E PRINCIPESSE Donne e uomini sono davvero differenti, ed è bello così Cantagalli

Donne e uomini si nasce o si diventa? Vi sono reali differenze tra i sessi? Secondo una corrente di pensiero oggi dominante, non solo non vi sarebbero differenze significative tra uomo e donna, se non nella forma dei cosiddetti stereotipi di genere, ma, laddove presenti, queste andrebbero contrastate, pena il permanere di odiose discriminazioni. Ebbene, questo libro – chiarito che differenza sessuale e discriminazione sessista non sono affatto l’una la premessa dell’altra – va nella direzione opposta, dimostrando, sulla base di centinaia di studi scientifici, quanto il senso comune ha sempre colto con chiarezza: donne e uomini sono davvero differenti! In tutto: dalle preferenze dei colori a quelle dei giochi dell’infanzia, dal funzionamento del cervello allo stile comunicativo, dal modo di guidare l’automobile a quello di sognare, da come organizzano il lavoro a come s’innamorano e vivono le relazioni.

Fabrizio Cannone

PER UNA RESISTENZA CATTOLICA Politica, attualità e cultura alla luce del Vangelo Solfanelli

La crisi contemporanea è una crisi globale, che investe ogni ambito della sfera sociale e che ha la sua causa principale nel rifiuto di Dio. L’autore si sofferma particolarmente sui temi riguardanti i cosiddetti valori non negoziabili, come ben si evince dal titolo di diversi capitoli: Famiglia: problemi e rimedi; Educazione e scuola; Contraccezione e aborto; Militare in difesa della vita e del Vangelo; Femminismo, divorzio e omosessualità. Nel far questo, però, non si limita a esaminare lo stato delle cose con il solo fine di lamentarsi, ma offre linee realistiche di recupero e di resistenza cattolica, l’unica che può garantire il perseguimento del bene comune. Questa è la vera lotta per la civiltà e il progresso.


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