POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003
Rivista Mensile N. 28 - Marzo 2015
“nel nome di chi non può parlare”
Padova CMP Restituzione
Contributo € 2,80
Notizie
IL FINE VITA Laudato sì, mì Signore, per sora nostra morte corporale da la quale nullu homo vivente po’ skappare
Eutanasia
Il paziente non da alcun segno di vita. Non reagisce agli stimoli. E'clinicamente morto.
Le leggi della morte
“Il cancro saprà togliermi la vita, ma io non lo aiuterò”
Editoriale Editoriale
- Sommario - Sommar Sommario S o m m a rio rio -
Notizie Notizie 3 3
Lo sapevi sapevi che... che... Lo
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N. 28 T-AMARZO 2015 RIVIST MENSILE
Primo Piano Dalle unioni fatto etero ai matrimoni gay Le leggi delladimorte
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I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti “Quando il genio esce dalla bottiglia, Gianfranco Amato è difficile rimetterlo dentro” La Babele moderna
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Federico F e ederico Catani Gian Paolo Babini
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Federico Catani Emmanuele uele W Wundt undt
“Libertà” dilamorire con “dignità” 12 Sovvertire realtà naturale vuol dire distruggere l uomo 1 7 Alessandro Benigni Giovanni Reginato
Unioni imposte giudici La vita (in)civili, va accolta nel suodai grande mistero “Il cancro saprà togliermi la vita, ma io non lo aiuterò”
Direttore responsabile editoriale Direttore Francesca Romana Poleggi Antonio Brandi
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Direttore editoriale ProVita Onlus Direttore Andrea Giovanazzi Francesca Romana Poleggi
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Progetto grafico copertina Direttore ProVita Onlus Gloria Ferraro Andrea Giovanazzi
Francesca Romana Poleggi
Attualità L’omicidio di Eluana Englaro Rodolfo de Mattei
Una preghiera inerme, eppure insopportabile Il paziente è “clinicamente” morto?
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Fecondazione eterologa di ricambio ePezzi anonimato dei venditori di gameti
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T ipografia Tipografia Flyeralarm SrL, Viale Druso 265, 39100 Bolzano
Drogati Risveglidi sesso
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Distribuzione Distribuzione MOPA AK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Hanno collaborato Hanno collaboratodi questo numero alla realizzazione alla realizzazione questo Gianfranco Amato, Pdi aola Bonzi,numero Sara Alessandrini, Gian Paolo Babini, Antonio Brandi, Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula, Federico Catani, Federico Catani, Claudia Cirami, Brian Clowes, Claudia Cirami, Rodolfo de Mattei, Giuliano Guzzo, Rodolfo de Mattei, Andrea Giovanazzi, Alba Mustela, Virginia Lalli,Pacchiotti, Andrea Mazzi, Newlife, Anna Maria Francesca Romana Poleggi, F rancesca Giulia TanelRomana Poleggi, Giovanni Reginato, Emmanuele Wundt.
Adrea Mazzi Andrea Giovanazzi
Claudia Lalli Cirami Virginia
Progetto grafico Impaginazione Massimo F estini Festini
Editorial and Packaging Solution
Alba Mustela Rodolfo de Mattei
Come smascherare certe bugie
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Giuliano Guzzo
Attualità Un vero S.O.S vita da vivere in diretta 7
Scienza e Morale Anna Maria Pacchiotti
La questione della fecondazione artificiale
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Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula
Scienza e Morale Non credenti pro life
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Claudia Cirami
25 La buona notizia: Ginevra Insegniamo ad amare la vita 24 Paola P aolaAlessandrini Bonzi Sara
Il genocidio dei bambini Down
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Newlife
Mamma, lo sai che il maestro ora è una maestra? 27 Federico Catani
Famiglia ed Economia Distruggere la staccionata bianca Brian Clowes
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Editore N. 23 - OTTOBRE 2014 ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 Editore 38068 Rovereto (TN) ProVita Codice Onlus ROC 24182 Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Redazione Codice 24182 AntonioROC Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) Redazione redazione@notizieprovita.it - Tel. 329 0349089 Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Direttore responsabile Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) Antonio Brandi redazione@notizieprovita.it -T Tel. el. l 329 0349089
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Giulia TanelRomana P Francesca F rrancesca rances Poleggi oleggi
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“nel nome di chi non può parlare” nel nome di chi non può parlare RIVISTA MENSILE
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N. 28 - MARZO 2015 N. 23 - OT OTTOBRE TOBRE 2014
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Editoriale
Editoriale
Il fine vita Vorremmo poter parlare di “sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare”, con il rispetto, massimo, dovuto a un mistero doloroso. Un mistero che merita d’esser contemplato e comunque: come chi crede sa, pur restando doloroso, non ha l’ultima parola. Invece questo numero della nostra Rivista si trova ad affrontare il problema della assoluta mancanza di rispetto per il dolore e per la morte che caratterizzano l’orgoglio luciferino della volontà di potenza nichilista e relativista che pervade la nostra società decadente e materialista. Nel nord Europa e in alcuni Stati americani e canadesi la cultura della morte, la stessa che ha introdotto il divorzio, la contraccezione e l’aborto, ha ormai diffuso e radicato nell’opinione pubblica la mentalità eutanasica. Hanno cominciato con il “caso limite”, il gesto “pietoso” di porre fine alla sofferenza, sempre e solo in casi di libera autodeterminazione del libero soggetto, col testamento biologico… Nel giro di vent’anni circa sono arrivati al punto che si uccidono pazienti non sempre consenzienti, bambini, e chiunque ne faccia richiesta per qualsiasi motivo. Anzi, spesso l’equipe di chirurghi per l’espianto degli organi è fuori dalla porta ad aspettare che esca quella che ha somministrato il sedativo letale. Si va sempre più diffondendo l’idea che gli anziani, i malati, i disabili siano un peso per la società e per i familiari: le persone deboli, così, si convincono facilmente che fanno un piacere a tutti (anche al SSN) se si tol-
gono di mezzo. Il modo migliore pare che sia far morire di fame e di sete (come la povera Eluana, per intenderci) quelli che da soli non riescono a nutrirsi. Del resto i denari (scarsi) del SSN devono essere impiegati meglio: per pagare gli aborti, i cambiamenti di sesso e ora anche la fecondazione artificiale. Qui in Italia ancora siamo agli inizi. La propaganda dei soliti radicali ancora punta al caso limite della “vita non degna d’essere vissuta” e della “morte dignitosa”. Ancora vogliono farci credere che serve una legge sul fine vita, con dei paletti ben precisi: come quelli che c’erano in Belgio e in Olanda, per intenderci, e che sono caduti nel giro di poco tempo. Ma piano piano queste idee diaboliche e falsamente pietistiche prendono piede. E trovano terreno fertile laddove i media hanno preparato per bene i nostri cervelli a concepire “vita degna di essere vissuta” solo quella di persone belle, sane, ricche, che “hanno” tante cose; anche se poi “sono” poco più che zombie, con in testa solo le sit com, i reality show, un po’ di calcio e un bel po’ di play station… I nostri lettori sono certamente fuori dal coro. Sanno bene che ciascuno ha il compito di contrastare questa cultura mortifera, anzitutto informandosi e formandosi. Poi diffondendo, insieme alla nostra Rivista, la cultura del bene, della vita e della ragione, che è anche la cultura che rispetta la natura e l’uomo a 360 gradi, in ogni contesto, dal concepimento, alla morte: morte naturale, appunto. Antonio Brandi
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Lo sapevi che...
COMBATTI PER LA VITA E PER LA FAMIGLIA CON NOI! La Famiglia è il fulcro e il fondamento della società umana fin dalle origini della civiltà. È “famiglia”, atta a generare, educare e custodire la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale, solo se c’è la complementarietà tra due coniugi, che promettono stabilmente di sostenersi a vicenda. Oggi la Famiglia e la Vita subiscono attacchi continui, di cui le prime vittime sono i bambini, volti a distruggere l’umanità. ProVita si batte nei Tribunali con i Giuristi per la Vita (17 denunce nel 2014 contro la pornografia e il gender nelle scuole), collabora in maniera trasversale con tutti i politici che difendono la Vita e la Famiglia. Per sensibilizzare la popolazione pubblica annunci sui giornali, organizza convegni, cineforum, conferenze stampa e dà sostegno a madri in difficoltà con figli disabili, nonché ad organizzazioni che aiutano mamme con gravidanze difficili.
Dai il tuo contributo alla buona battaglia in difesa della Famiglia e della Vita Per agire a difesa della vita, della famiglia, dei bambini, aiutaci a diffondere Notizie ProVita: regala abbonamenti ai tuoi amici, sostienici mediante una donazione intestata a “ProVita Onlus”: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina, IBAN IT89X0830535820000000058640 (indica sempre nome cognome indirizzo e CAP). Avanti per la Vita!
Women of the World è un’iniziativa lanciata dall’associazione Profesionales por la Etica in coalizione con Femina Europa e Women Attitude, a cui ha aderito anche ProVita: una “Dichiarazione delle Donne del Mondo” che è stata resa pubblica alle istituzioni per l’8 marzo, Giornata internazionale della donna.
Noi, donne di tutto il mondo, affermiamo con forza che 1) Le donne e gli uomini devono riscoprire e ribadire con forza la loro identità e la loro complementarietà nel loro stesso interesse, nell’interesse della famiglia, del mercato del lavoro e di tutta la società 2) Esiste l’identità femminile che è sviluppata nella sua piena dimensione in complementarietà e reciprocità con l’uomo 3) Le donne offrono un contributo unico alla stabilità della famiglia, della forza lavoro, della società intera e del bene comune 4) Il ruolo delle donne nella società deve potersi svolgere e sviluppare in tutti gli ambiti, senza discriminazioni, violenza, sfruttamento, come parte delle sfide del nuovo millennio 5) C’è un valore sommo e una dignità unica nella maternità 6) Nei paesi occidentali, le donne sono oggi discriminate a causa della loro maternità 7) La maternità è un vantaggio per le donne, ed è proficua per la società nel suo complesso 8) La maternità e la dedizione delle donne alla famiglia non sopprimono il loro sviluppo personale o intellettuale, al contrario, consolidano la loro personalità e lo sviluppo della loro identità femminile 9) Il lavoro in casa e la dedizione esclusiva o principale verso la famiglia sono un valore sociale ed economico 10) L’emancipazione autentica delle donne implica la libertà di essere e di vivere come una donna Perciò, noi, donne del mondo, chiediamo: 1. Il riconoscimento universale e il rispetto dell’identità femminile, della sua dignità e la vera parità tra uomini e donne nella loro complementarietà e reciprocità 2. Politiche internazionali in difesa della libertà di scelta per le donne, il che implica una vera conciliazione tra vita familiare e lavorativa 3. Il riconoscimento universale nella legislazione internazionale del valore del lavoro delle donne silenziose e apparentemente invisibili all’interno delle loro famiglie, e la gestione universale del termine “dedizione esclusiva alla famiglia” come una categoria professionale 4. Un coordinamento internazionale delle politiche di protezione per le donne che lavorano che vogliono avere figli o che si dedicano esclusivamente o parzialmente alla cura della famiglia, e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei loro confronti 5. Il divieto universale di maternità surrogata. L’utero in affitto è una violazione della dignità sia della madre che del bambino. Si tratta di una nuova forma di sfruttamento delle donne e di traffico di esseri umani, che degrada il bambino a oggetto di un contratto. 4
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Lo sapevi che...
L’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo perché ha allontanato un bambino dalla coppia che lo ha comprato in Russia grazie alla pratica dell’utero in affitto, senza alcun legame biologico con i genitori. Per la CEDU, il principio del maggior interesse del minore vuole che il bambino resti con chi stabilisce con lui un rapporto affettivo. Si configura, così, una sorta di diritto all’usucapione nei confronti del minore: basta che qualcuno riesca a tenere con sé un bambino per il tempo sufficiente a stabilire una relazione, e potrà tenerlo per sempre. Insomma: il bambino è dell’ultimo che riesce a prenderselo, senza considerare come l’ha ottenuto, in che modo è stato generato, quali sono i suoi genitori biologici. I bambini quindi sono oggetti a disposizione di chi se li prende. E’ importante perciò firmare la moratoria internazionale che La Croce di Adinolfi vuole presentare all’ONU (www.lacrocequotidiano.it). Il New York Times ha pubblicato i risultati di un’indagine statistica sul matrimonio, lo stress e la felicità. Pare che il segreto della felicità e della buona salute potrebbe essere trovare un coniuge che sia anche il tuo migliore amico. Secondo questa statistica, la cosa è tanto più vera quanto più dura il matrimonio. Soprattutto per le persone di mezza età. Hanno calcolato che coloro che considerano il coniuge come il loro migliore amico sono felici il doppio degli altri. Nei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) è rientrata anche la fecondazione artificiale, che nella neolingua si chiama PMA (procreazione medicalmente assistita). Come se la PMA “curasse” qualcuno. E’ nota la carenza di risorse disponibili da parte del SSN, che fatica a garantire le cure primarie indispensabili per gli ammalati gravi. Ma ormai, secondo l’OMS, la salute non è più definita come assenza di malattia o disabilità, ma il “completo benessere fisico, psichico e sociale dell’individuo”, il che è privo di qualsiasi aggancio con la realtà ed è frutto dell’ideologia: si promette qualcosa che non è umanamente raggiungibile. Sarà bene tener presente che per questa strada si arriva inevitabilmente alla PMA anche per le coppie omosessuali con spese a carico dei contribuenti: una pretesa che sembra un po’ eccessiva anche per chi è abituato a subire di tutto.
Pensate di dover frequentare un bordello o – come si dice oggi – un club privé, per trovare un “Gabinetto delle perversioni”? No, no. Tranquilli. E’ roba “seria”. Basta andare a Parigi al museo d’Orsay. Un museo serio. Per omaggiare il Marchese de Sade – autore di opere così oscene e di pratiche sessuali così spinte e crudeli che gli meritarono la galera e poi il manicomio – a duecento anni dalla morte, al Musée d’Orsay, la mostra “Sade, attaquer le soleil”, comprende il “Gabinetto delle perversioni”, spazio in cui ciascuno può dare libero sfogo alla “sua mania” personale, per citare le parole dei curatori.
Sono tre le bambine di 10 anni che hanno ricevuto un impianto ormonale sottocutaneo a fini contraccettivi in Inghilterra. Si tratta di un piccolo tubo flessibile lungo circa 40mm che viene inserito da un professionista sotto la pelle della parte superiore del braccio. L’effetto dell’impianto dura tre anni. Si è trattato di casi veramente eccezionali, secondo i medici, che per proteggere la riservatezza delle pazienti non possono commentare le circostanze dei casi di specie.… E sorge una triste considerazione: si parte sempre da pochi casi eccezionali, no?
Uno studio scientifico pubblicato da poco su una rivista peer-rewieved (cioè sottoposta a controlli incrociati di altri specialisti del settore) dimostra che nei bambini allevati da coppie omosessuali “i problemi emozionali sono prevalenti per oltre il doppio rispetto ai bambini che sono allevati in famiglie eterossessuali”. Fino ad oggi gli studi su questo tipo di bambini si basavano su piccoli numeri. In uno studio pubblicato nel 2010 un ricercatore ha trovato che il campione medio di 39 studi sull’argomento era di 49 unità. E solo quattro erano campioni “random”: negli altri casi erano state contattate coppie omosessuali. La ricerca in questione, invece, è stata condotta per la prima volta su un campione consistente: 207.007 bambini, inclusi 512 con genitori dello stesso sesso. L’autore, il sociologo Paul Sullins, afferma che “Non si può più dire che nessuno studio ha rilevato che i bambini con “genitori” dello stesso sesso siano svantaggiati rispetto a quelli con genitori eterosessuali”.
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Notizie
Attualità
Anna Maria Pacchiotti
Anna Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”. : www.onoralavita.it
Un vero “sos vita” da vivere in diretta La testimonianza di una volontaria del CAV: persone splendide che spendono la vita a salvare la vita dei bambini e delle madri, ma che - purtroppo - non sempre riescono nel loro intento. di Anna Maria Pacchiotti
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na fredda mattina di dicembre, mi trovo a far la fila agli sportelli dell’ufficio postale di Pinerolo. All’improvviso squilla il cellulare nella mia borsa: è il cappellano del vicino ospedale che mi chiede aiuto per un caso estremamente urgente e delicato: “Una donna sta per abortire .. accorriamo in soccorso del piccolo innocente!” Un vero “sos vita” da vivere in diretta. Mi precipito all’ospedale. Don Franco mi aspetta nel suo ufficio e mi prospetta il caso: “E’ questione di minuti. Durante il giro mattutino nei reparti – racconta – ho parlato con una coppia cercando di porgere aiuto psicologico e di far capire che stavano per compiere, oltre ad un passo totalmente sbagliato, il gravissimo peccato di uccidere il proprio figlio.” Dopo un attimo di raccoglimento in cappellina, raggiungiamo assieme la camera al IV piano, ma nel frattempo il marito si è dileguato. La donna veste già il sottile camice verde e la cuffia, pronta ad accedere alla sala operatoria. Ci avviciniamo, io sorridente e positiva, approcciando amorevolmente quella donna sicuramente in preda ad un grande combattimento spirituale. Presentazioni, carezze, tenerezza nei suoi confronti e richiesta di
spiegazioni: lei è albanese, il marito rumeno. Abitano a pochi chilometri. “Mio marito è disoccupato, stanno per sfrattarci, abbiamo giù una bambina di tre anni…” Le offriamo immediatamente tutta la nostra disponibilità: da parte di Don Franco un appartamento di proprietà della curia vescovile e qualche possibilità di lavoro per il marito. Da parte mia l’aiuto onnicomprensivo del Centro di Aiuto alla Vita: sostegno psicologico, affettivo, pratico ed economico. Racconto alla madre il miracoloso sbocciare della vita che da quasi tre mesi porta in grembo, con il sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi. Di tanto in tanto fanno capolino le infermiere con la lettiga per condurla ad abortire, io chiedo un altro po’ di tempo. Lei tentenna dubbiosa. Le chiedo di farmi par-
Non basta offrire un appartamento per la famiglia, un lavoro per il marito, sostegno psicologico, affettivo, pratico ed economico per salvare un bambino.
lare col marito al telefono, gli faccio presente tutta la disponibilità che potremo offrirgli, gli offro tutto l’appoggio per mettere al mondo questa nuova vita frutto dall’amore. Lo invito a ripensarci con calma, a pranzare con la famiglia a casa mia (poco distante dall’ospedale). Gli ripasso la moglie diverse volte. Si parlano in rumeno. Si riaffacciano le infermiere : “Allora, andiamo?” Chiedo tempo, chiudo la porta della camera. Invito ancora la donna a non commettere quel gravissimo errore che la farà soffrire per tutta la vita. A rivestirsi, lasciare il mortifero reparto e venire via assieme a me. Ma lei è totalmente succube del marito ed accetta di abortire. Richiama le infermiere. Si rinnova per l’ennesima volta il dramma dell’uccisione di un essere innocente ed indifeso. Mi sento a pezzi, impotente. Ho la netta sensazione che la povera creatura mi chieda aiuto prima di essere stracciata dall’aspiratore e spazzata va dalla “curette”. Torno esausta dal cappellano, parliamo. Ce l’abbiamo messa tutta. Il bambino aveva l’anima e vive in relazione con Dio. La strage degli innocenti prosegue ai sensi dell’iniqua, infa■ me, legge 194 / 1978.
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Primo piano
Gian Paolo Babini
Avvocato, è membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Giuristi per la Vita, della quale è uno dei soci fondatori. E’ altresì curatore del blog maipiucristianofobia.org, che raccoglie materiali sulle discriminazioni dei cristiani nel mondo.
Le leggi della morte I Giuristi per la Vita ci spiegano come sia immorale e socialmente pericoloso accettare l’idea che il fine vita possa essere “regolato” da una legge di Gian Paolo Babini
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a civiltà occidentale, sino ad oggi, si è fondata sul concetto antropologico cristiano secondo cui l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio e, per tale ragione, la sua vita è sacra. Con particolare riguardo all’eutanasia - “moralmente inaccettabile” per il Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. numero 2277) - Sant’Agostino, nell’ Epistula 204, afferma: «Non è mai lecito uccidere un altro, anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché sospeso tra la vita e la morte ... non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere». In questo contesto, l’eutanasia, sia pure per motivi compassionevoli, è sempre stata considerata un omicidio. Non solo: il diritto alla vita e quello all’integrità fisica sono tradizionalmente indisponibili cosicché, come non è lecita la compravendita degli organi del proprio corpo, neppure è lecito darsi la morte (per tale ragione, nei tempi passati, era punito anche il tentativo di suicidio). Tuttavia, con la progressiva scristianizzazione delle società in un contesto economico capital - consumista, si è sviluppata negli ultimi decenni una diffusa ideologia ispirata alla massificazione del piacere ed alla minimizzazione del dolore.
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In questo quadro è sorto il dibattito sulla legalizzazione dell’eutanasia, quale atto pietoso di fronte alle insopportabili sofferenze provocate dagli stati terminali delle malattie incurabili. A partire dal 2002, vari Stati europei hanno legiferato sul fine vita, legalizzando l’aiuto alla morte nelle forme dell’eutanasia ovvero del suicidio assistito. In Italia non esiste alcuna regolamentazione normativa e queste condotte integrano, a seconda dei casi, i reati di omicidio ovvero di istigazione o aiuto al suicidio. Tuttavia, nemmeno il nostro Paese è immune dal dibattito. Il tema è di fondamentale importanza, perché la legalizzazione di tali pratiche modificherebbe il ruolo dei medici, derogando (al pari di quanto già accaduto in tema di
L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’ ‘accanimento terapeutico’.
aborto) ad una tradizione risalente al filosofo greco Ippocrate, secondo cui è loro vietato di compiere atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona. Occorre precisare che non è in discussione la rinuncia all’accanimento terapeutico che, a certe condizioni, è ammessa dal n. 2278 dello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo cui: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’ ‘accanimento terapeutico’. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». Le questioni morali si sono poste quando, negli scorsi anni, si è accesa la discussione sull’opportunità di una legge sulle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) ovvero sul Testamento Biologico. Con l’acronimo D.A.T., secondo la definizione del Comitato Nazionale per la Bioetica, si è inteso «un documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti
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Primo piano ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato». Il testamento biologico, invece, «è un documento che esprime una volontà vincolante “ora per allora”, che presuppone la disponibilità della vita e riduce la dimensione della persona a cosa di cui disporre». Senza entrare nel dettaglio giuridico, è peraltro opportuno rilevare che una normativa in materia - al di là delle intenzioni iniziali - potrebbe, nel tempo, favorire la banalizzazione della morte, come è accaduto in Olanda con l’iniziativa “Levenseinde” (Fine Vita) della “NVVE, Nederlandse Vereniging voor een Vrijwillig Levenseinde”: «Si tratta di unità sanitarie mobili composte da medici e infermieri tutti volontari - disposti a praticare l’eutanasia a domicilio ... Questi angeli della dolce morte - riferisce l’Avv. Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, su Libertà e Persona e su Avvenire - intervengono quando i medici di famiglia non sono in grado o si rifiutano di applicare l’eutanasia ai propri pazienti. Basta una telefonata o una email, ed entro quarantotto ore par-
Dal preteso “diritto” a morire si passa presto ad un vero e proprio “dovere” di morire, giustificato dalla necessità di risparmiare spese alla collettività ed oneri alle famiglie. te il servizio a domicilio. Con questo sistema, peraltro, si è provveduto ad aggirare l’“ostacolo” derivante dall’obiezione di coscienza». Non diversamente accade in Belgio, le cui statistiche sono impressionanti: «Siamo ad una media di cinque persone al giorno che si arrendono alla “dolce morte”. Ne dà notizia la rivista francofona “Sudpresse”, ricordando che il 2013 con i suoi 1.816 casi di eutanasia ha segnato un aumento del 26,8% rispetto al 2012, anno in cui i casi registrati sono stati 1.432... Tra i casi più clamorosi balzati all’onore delle cronache vi è quello di una donna, Nancy Verhelst, che dopo essersi sottoposta ad un’operazione chirurgica per cambiare sesso... ha poi scoperto di non potersi accettare nella nuova veste di uomo... Nel suo caso il ricorso
all’eutanasia è stato motivato a ragione delle «insopportabili sofferenze psicologiche», dovute alla cocente delusione postoperatoria. Noto è anche il caso dei gemelli Marc ed Eddy Verbessem, i quali hanno deciso di ricorrere all’eutanasia dopo aver scoperto di essere inesorabilmente destinati a diventare ciechi....». C’è poi un altro pericolo ancora più grande, vale a dire che dal preteso “diritto” a morire si possa passare, in un prossimo futuro, ad un vero e proprio “dovere” di morire, giustificato dalla necessità di risparmiare spese alla collettività ed alle famiglie. Del resto il dibattito per limitare le cure salva-vita agli anziani è già in corso. Nel novembre del 2012 un sottosegretario al ministero della sanità inglese ha invitato i medici di base a compilare una lista dei loro pazienti malati terminali e a chiedere loro dove preferiscono morire e se vogliono scrivere o dettare un testamento biologico per dare il permesso di sospendere medicinali e nutrizione in prossimità del decesso. Coerentemente con questa linea, lo scorso anno, sempre in Inghilterra, il governo ha proposto di razionalizzare la somministrazione dei medicinali più costosi, usandoli per curare i giovani a scapito degli anziani. Analoghe proposte hanno avanzato un deputato giapponese ed il ministro della sanità lituano ed è prevedibile che, col progressivo invecchiamento della popolazione e la crisi dello stato sociale, questa volontà di razionalizzazione si diffonda sempre più. Il quadro è dunque inquietante. Infatti, chi invoca la libertà di autodeterminazione della scelta di come porre fine alla propria vita consapevolmente o meno - è promotore di un’ideologia che considera l’uomo come una “cosa” (che, come tutte le cose, va gettata via quando non più utile) e di un’odiosa discriminazione tra persone ricche, che potranno curare se stesse o i propri cari anche in assenza di provvidenze sociali, e persone povere, destinate a morire volontariamente o abbandonate a sé stesse. ■
Giacomo Borlone de Buschis, Il trionfo della morte, 1485
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Federico Catani
Laureato in scienze politiche ed insegnante di religione, è attualmente laureando in scienze religiose. È giornalista pubblicista.
“Quando il genio esce dalla bottiglia, è difficile rimetterlo dentro” In Italia sta montando la marea che vuole introdurre una legge sull’eutanasia, o suicidio assistito, o testamento biologico: non perdiamoci in sottili distinguo. Piuttosto impariamo da ciò che accade nei paesi dove la legge c’è già. di Federico Catani
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ei mesi scorsi, l’Associazione Luca Coscioni ha diffuso un video in cui settanta persone, tra personaggi pubblici, malati, medici e infermieri, si alternano per chiedere ai politici di avviare la discussione in tema di eutanasia e di testamento biologico. Lo stesso Giorgio Napolitano, da Capo dello Stato, ha più volte sollecitato il Parlamento a legiferare in tal senso e addirittura, quando si è trattato di salvare la vita alla povera Eluana Englaro, ha deciso che fosse giusto non intervenire, lasciandola morire di fame e di sete. Anche in Italia sono sempre più forti le pressioni di chi vorrebbe introdurre il diritto a “morire con dignità”. La strategia è la stessa che si è usata per far passare il divorzio e l’aborto: si parte da singoli casi pietosi, si dice che la legge eviterà gli abusi e sarà ben delimitata e si finisce con il consentire qualsiasi pratica. Oltre a ciò, si sta facendo credere che l’eutanasia è una conquista di civiltà. Le “magnifiche sorti e progressive” imporrebbero ai medici di uccidere, anziché curare e assistere il malato, con buona pace del tradizionale giuramento di Ippocrate, che recitava: «Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun
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farmaco mortale, e non prenderò mai un’iniziativa del genere». Nel nostro Paese, dunque, si vuole discutere su una materia, la legalizzazione dell’eutanasia, che già tante perplessità suscita in quegli Stati dove è stata introdotta da diversi anni. Per non cadere nel tranello dei radicali e di tutti quei sapientoni che nei salotti buoni disquisiscono per il solo gusto di essere alla moda, occorre prendere in considerazione gli ammonimenti di un esperto vero, come il professor Theo Boer, docente all’università di Utrecht e per nove anni membro del comitato di sorveglianza sull’applicazione della legge sull’eutanasia nei Paesi Bassi. Un tempo convintissimo sostenitore della “dolce morte” e del suicidio assistito, oggi il prof. Boer ha riveduto totalmente la
Benché l’eutanasia sia stata introdotta come opzione per i malati terminali, sempre più numerosi sono i casi in cui si ricorre al suicidio assistito a prescindere dalla gravità del proprio male.
sua posizione. Lo ha fatto dopo aver analizzato cosa accade attualmente in Olanda. I dati sono impressionanti. Tanto per cominciare, solo nel 2013 sono stati uccisi ben 650 bambini con l’eutanasia infantile, perché i loro genitori o i medici hanno giudicato insopportabili le loro sofferenze. Non solo. Benché l’eutanasia sia stata introdotta come opzione per i malati terminali, sempre più numerosi sono i casi in cui si ricorre al suicidio assistito a prescindere dalla gravità del proprio male. È il caso ad esempio di Gaby Olthuis, donna di 47 anni e madre di due figli. Affetta da acufene, un fastidioso e persistente ronzio alle orecchie, si è fatta ammazzare perché evidentemente riteneva insopportabile la sua malattia: ha lasciato due figli di 13 e 15 anni. Un’altra signora, di 80 anni, ha chiesto di morire semplicemente perché non voleva vivere nella casa di cura in cui era stata ricoverata. Episodi del genere sono diventati ormai la norma. Nel 2013 sono stati eliminati 42 pazienti con problemi psichici, ben il triplo rispetto al 2012 e ovviamente ciò è avvenuto senza il consenso dei diretti interessati. Basta una depressione o la paura della solitudine e si finisce nella clinica in cui si somministra l’iniezione letale. Anche dall’Italia, per esempio, c’è chi
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Dietro la maschera del buonismo, si cela la volontà di non perdere tempo ed energie con chi non è più considerato nemmeno essere umano, bensì un prodotto avariato da scartare.
parte alla volta della Svizzera con l’intento di porre fine ai suoi giorni. Altro che casi limite! Nei Paesi Bassi, nel 2013 si è registrato un aumento del 15% nel numero di decessi per eutanasia: si è passati da 4.188 casi nel 2012 a 4.829 casi. Si calcola inoltre che tale aumento è stato del 13% nel 2012, del 18% nel 2011, del 19% nel 2010 e del 13% nel 2009. Mai si è avuto un calo. Nel complesso, i morti per eutanasia, che rappresentano ufficialmente il 3% di tutti i decessi in Olanda, sono aumentati del 151% in soli sette anni. Se poi a tali cifre si aggiungono tutti i casi in cui si narcotizzano i pazienti poco prima di togliere definitivamente loro i sondini per l’alimentazione e l’idratazione artificiali, l’eutanasia potrebbe rappresentare circa il 12,3% di tutte le morti nei Paesi Bassi; in pratica una morte su otto. Il caso olandese mostra molto chiaramente come, una volta aperto il vaso di Pandora, tutto può diventare possibile. Il succitato Theo Boer ha riconosciuto che se si legalizza l’eutanasia il rischio di uno “slippery slope”, ovvero di un piano inclinato, diviene realtà. A suo dire, la situazione olandese è ormai fuori controllo: «Una volta che il genio è uscito dalla bottiglia – ha dichiarato - non è più possibile rimetterlo dentro». Non va certo meglio in Belgio. Nel 2013 i dati ufficiali riportano che i casi di eutanasia sono aumentati del 26,8%, fino a 1.816 uccisioni. Nel 2012 sono stati 1.432, nel 2011 1.133 e nel 2010 erano 954. Risulta inoltre che il 32% di tutti le morti assistite sono avvenute senza il consenso del paziente. Vi sono anche molti casi in cui i medici o gli infermieri agiscono di loro spontanea iniziativa, non curandosi di avvisare i parenti del malato. Belgio e Paesi Bassi non
sono Stati isolati. In tutti i Paesi dove è legalizzata l’eutanasia si va ben oltre il dettato della legge, senza alcun controllo e vigilanza sulla sua corretta applicazione. Sembra che il mondo occidentale, decadente e agonizzante, abbia ormai come unico obiettivo la ricerca del modo migliore per morire. L’eutanasia viene vista come l’unica soluzione ad una vita priva di senso e insopportabile. Anziché accompagnare e consolare chi soffre, si cerca di risolvere ogni problema togliendo di mezzo il malato. Con la scusa della pietà e della compassione, le lobby pro-eutanasia perseguono scopi eugenetici: eliminare i difettosi, gli inabili, tutti coloro che costituiscono un costo e un peso per la società. Dietro la maschera del buonismo, si cela la volontà di non perdere tempo ed energie con chi non è più considerato nemmeno essere umano, bensì un prodotto avariato da scartare. E questa sarebbe la solidarietà tanto decantata? La realtà è che abbiamo perso il senso del mistero e del rispetto di fronte alla morte. Di fatto, con l’introduzione dell’eutanasia, si tenta di controllare persino la fine della vita, cercando disperatamente di dominarla. Non bisogna poi dimenticare che, in tal modo, i malati vengono indotti subdolamente a togliere il disturbo per non gravare sulle proprie famiglie o sul Servizio Sanitario Nazionale.
I malati vengono indotti subdolamente a togliere il disturbo per non gravare sulle proprie famiglie. Nonostante il mondo liberal continui a nascondersi dietro l’autodeterminazione e i diritti individuali, nei fatti la legalizzazione dell’eutanasia costituisce una pressione psicologica indebita sui malati. Tanto che, come appunto avviene in Belgio e in Olanda, alla fine si fanno fuori anche coloro che non lo chiedono e tanti saluti all’autonomia individuale. Per concludere, di fronte a questo orrore ci chiediamo: come si può stabilire per legge quando un’esistenza non è più degna di essere vissuta? Quali criteri si utilizzano? La sofferenza, infatti, non potrà mai essere valutata e definita da parametri oggettivi, perché è percepita e tollerata in maniera diversa da soggetto a soggetto. E riguardo al testamento biologico, chi può garantire che il mio pensiero in un dato momento e in una data condizione di salute sarà lo stesso in un’altra circostanza e in una diversa condizione psico-fisica? Qui si sta scherzando col fuoco. Stiamo dunque molto attenti e non cediamo di un millimetro davanti ai cultori della morte. ■
Paul Cezanne, Nature morte au crane, 1895
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Alessandro Benigni
Docente di Filosofia e Psicologia nei Licei, ha ideato e diretto, insieme a Bernardo Cinquetti, la casa editrice “Multimedia Edizioni Universitarie” in Parma. Ha pubblicato, per le Edizioni Boopen: L’Annuncio di Zarathustra, Vedere con gli occhi di Platone; Renovatio Mundi; Sapere sintetico; La metafisica dell’infinito. Su Amazon sono editi altri suoi e-book in formato Kindle.
“Libertà” di morire con “dignità”? L’eutanasia è la maschera nichilista di una radicale negazione della dignità e della libertà della persona umana. di Alessandro Benigni
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hi invoca l’eutanasia come un atto di libertà e della dignità dell’individuo prende la strada che porta alla negazione della dignità e della libertà del singolo. L’eutanasia nega la dignità dell’uomo. L’edonismo e il materialismo che permeano la cultura attuale ci portano a ritenere che una vita degna di essere vissuta sia unicamente quella in cui il dolore e la sofferenza vengono espunte dall’orizzonte umano. Quasi come se non appartenessero all’essere-uomo, quasi come se fosse davvero reale, quindi umana, quindi dignitosa, solo una vita priva di sofferenze. Siamo del resto nell’era del performante: l’uomo viene assimilato ad un motore meccanico e se non funziona più a dovere, perde con ciò stesso la sua dignità. Dunque uccidere o lasciar morire diventa paradossalmente un atto caritatevole: la vita umana ha valore e dignità solo se è piacevole, gradevole, soddisfacente. Si aiuta il prossimo - che non rientra nei canoni - a sparire in fretta: vedere una persona soffrire atrocemente è disonorevole, per il soggetto in questione, per i familiari, per la società intera. Meglio uccidere o lasciar morire l’individuo di fame e di sete.
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Da un lato è ovvio che, certamente, le sofferenze vanno lenite, curate, alleviate per quanto possibile. Non è che si debba cercare il dolore in quanto tale, o evitare di combatterlo. Ma dall’altro non si può pretendere di considerare non-umane le sofferenze, quali che siano: dimentichiamo che proprio la sofferenza ed il senso che le viene conferito è uno degli elementi che stabiliscono e rendono salda l’ontologia della persona. Pretendere di annullare l’esperienza del dolore, a tutti i suoi livelli, è un sintomo di una malattia ben più grave di quella fisica. Il suo nome è volontà di potenza. Una apparente volontà di vita che si afferma al di là e al di sopra di tutto il resto, anche a costo di perdere la propria umanità e di tradursi inevitabilmente nel suo opposto, in una volontà mortifera che annulla se stessa. Il rifiuto della debolezza umana, della finitudine, dell’esperienza del
Proprio la sofferenza ed il senso che le viene conferito è uno degli elementi che stabiliscono e rendono salda l’ontologia della persona.
dolore e della malattia nascondono in fondo il desiderio dell’uomo di essere Dio. Per questa visione nichilista della vita ogni uomo deve poter affermare la sua volontà, il resto non conta. Ma su questa strada ben presto si realizza che alla fine non conta più nulla: non contano gli altri, non conta la vita, non conta nemmeno il soggetto che decide. Il singolo deve poter continuamente aggiornare il suo punto di vista e mai fissarsi su alcuna verità: è questa la condizione antropologica, lo spazio morale che rende prima pensabile e poi possibile il suicidio, il lasciar morire, l’uccidere. L’eutanasia in realtà è l’esatto opposto di ciò che vorrebbero farci credere: è la maschera di una radicale negazione della libertà e della dignità della persona umana. Il nichilismo che fonda l’idea di eutanasia (la vita umana non ha in sé un valore oggettivo in quanto il suo valore e la sua dignità vengono stabiliti di volta in volta dal soggetto, che può anche dire che ad un certo punto la vita non conta più niente, nihil, e va pertanto eliminata) preclude ad una conseguente negazione del valore della vita e quindi della libertà e della dignità dell’uomo che da questa, non dimentichiamolo, dipendono. Libertà di coscienza e di auto-determinazione finiscono col tradursi nel loro opposto, in un atteggiamento mor-
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Pretendere di annullare l’esperienza del dolore, a tutti i suoi livelli, è un sintomo di una malattia ben più grave di quella fisica. Il suo nome è volontà di potenza. tifero che priva la vita umana di un suo valore sacro e, sotto la spinta della volontà di potenza, di fatto la rende passibile di valutazione e di giudizio: dicono ora da parte del singolo individuo, ma già sappiamo che - dove è stata introdotta per legge - sono spesso altri a decidere sull’eutanasia, per tutti. L’eutanasia nega la libertà dell’uomo. La decisione del singolo circa il fine vita diventa un vincolo e il voler eliminare ogni sofferenza dell’orizzonte umano apre le porte ad un mondo in cui nessuno sa più dare senso alla sofferenza, alla lotta, alla vita stessa. Ad un mondo in cui inevitabilmente saranno altri a decidere chi deve vivere e chi invece deve morire. Mentre si afferma genericamente che lo Stato non deve sostituirsi alla coscienza morale di ogni persona, dall’altra parte si sostiene che si deve permettere ad ogni individuo di esercitare la propria volontà suprema nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo per gli altri. Eppure, lo spazio morale in cui il singolo agisce è sempre socialmente condiviso, è sempre uno spazio relazionale, di cui le leggi dello Stato dovrebbero essere principi normativi: come si può pensare che l’affermazione di una mentalità così radicalmente nichilista non sia lesiva per tutti? Se per legge la vita non è più sempre sacra e sempre inviolabile, non lo sarà più nemmeno la mia. Inoltre, la bontà di un principio etico si valuta anche in fase di applicazione, prendendo in esame le sue conseguenze, possibili e reali. Nel principio dell’eutanasia per tutti già dal punto di vista pratico sorgono problemi allarmanti. Sempre ammesso che in nome di questa presunta libertà non si
decida una “dolce morte per tutti” (è lecito infatti temere che per questa via si arrivi anche questo) ai cittadini dovrà essere accordato di manifestare liberamente il proprio consenso a tale pratica: nel “testamento biologico”. Ma un testamento non è un atto giuridico definitivo: si può fare, disfare, cambiare cento volte. Nel caso del testamento biologico, però, come essere sicuri che le ultime volontà registrate e sottoscritte dal soggetto siano quelle effettive al momento dell’applicazione? Non è paradossale che in nome della libertà, l’individuo non possa più cambiare idea e la sua volontà sia di fatto negata? Nell’ultimo istante si può decidere di cambiare idea? E se poi si perde coscienza? Come sapere quali sono le vere “ultime” volontà di ciascuno? D’altra parte, anche nel caso del suicidio autonomo volontario è possibile cambiare idea proprio all’ultimo istante: posso stare sul cornicione anche una notte intera e poi decidere di scendere. Non sono obbligato a gettarmi nel vuoto finché non mi lascio andare. È questa la libertà: quella che si prolunga dalla decisione volontaria fino al momento in cui davvero si realizza l’azione. Fino all’ultimo, appunto in nome della libertà, dovrebbe essere garantita a ciascun individuo la possibilità di cambiare idea, di scendere
Se per legge la vita non è più sempre sacra e sempre inviolabile, non lo sarà più nemmeno la mia.
da quel cornicione, e non dargli una spintarella tenendo in mano un testamento redatto magari anni prima. La verità è che l’eutanasia nega precisamente quello che vorrebbe garantire: la libertà dell’individuo e quindi la dignità ad essa correlata. Alcuni pensano che sia proprio la morte, quest’ultima possibilità autentica, quella che Heidegger definisce “un’imminenza che ci sovrasta”, a dare senso a tutta l’esistenza umana. La morte, scrive Heidegger, “è una possibilità di essere che l’esserci stesso deve sempre assumersi da sé”. In questo senso il testamento biologico indica l’inautenticità di una scelta demandata ad altri, deprivandosi della propria libertà, anche di cambiare idea, una scelta che non sceglie. Nessuno ha il diritto di stabilire il valore degli ultimi istanti (giorni, ore, minuti?) di una persona. Nessuno è in grado di sapere che cosa penserà tra un mese, tra una settimana, domani. ■
Pieter Bruegel il Vecchio, Il Trionfo della Morte (1562)
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Giulia Tanel
Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. Collabora con libertaepersona.org e con altri siti internet e riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella storia (Ed. Lindau).
La vita va accolta nel suo grande mistero Se il matrimonio non è soddisfacente, basta divorziare; se un figlio arriva quando non lo si è previsto, basta abortire; se la vita non è più soddisfacente, basta porvi fine. di Giulia Tanel
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a nostra società, sempre più dimentica dell’inestimabile valore della Vita, sta camminando a passi spediti verso la legalizzazione dell’eutanasia. L’idea sottesa, che poggia su un falso senso di compassione, è quella che un Paese progredito e civile debba annullare il più possibile la sofferenza fisica delle persone, concepita esclusivamente in termini negativi. Insomma, fino a quando si sta bene - o, meglio, ci si sente bene fisicamente e/o spiritualmente - è interessante vivere, mentre quando le cose vanno diversamente si rende necessario, con immediatezza, trovare una soluzione radicale. Questo modo di ragionare è ravvisabile in diversi ambiti del vivere quotidiano: se il matrimonio non è soddisfacente, basta divorziare; se un figlio arriva quando non lo si è previsto, basta abortire; se la vita non è più soddisfacente, basta porvi fine. Naturalmente in tutto questo il sentimentalismo e il sensazionalismo rivestono un ruolo di primo piano, a scapito di una riflessione in grado di abbracciare in maniera integrale il mistero della vita umana. Ed è proprio sui sentimenti che i mass media investono per veicolare una cultura di morte, per esempio dando ampio spazio ad alcuni
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casi di persone che hanno deciso di porre anticipatamente fine alla propria esistenza. Ci limitiamo a citare due esempi eclatanti degli ultimi mesi. A Bruxelles i coniugi François e Anne Schiedts, rispettivamente a 89 e 86 anni, dei quali 63 trascorsi assieme, lo scorso 17 giugno si sono fatti uccidere con l’eutanasia, seppure nessuno dei due fosse un malato terminale. Una scelta, quella di porre fine alla propria esistenza, messa in atto grazie ai loro figli, apparentemente contenti di sapere che i genitori se ne sarebbero andati assieme, esattamente com’erano vissuti per tanto tempo. Ma come mai la coppia di anziani è arrivata a compiere questo gesto estremo? “Vogliamo andarcene insieme - hanno affermato - perché abbiamo paura del futuro… soprattutto temiamo di rimanere soli con tutte le conseguenze della solitudine”. Dobbiamo pensare che non volessero essere di peso ai figli. Ma forse quei figli li facevano sentire di peso…
“La vita è la più bella delle avventure ma solo l’avventuriero lo scopre”. E per scoprirlo è necessario arrivarvi fino in fondo.
Un altro episodio assurto agli onori delle cronache è quello di Brittany Maynard. In seguito alla diagnosi di un tumore al cervello che le lasciava pochi mesi di vita, la giovane donna americana di soli ventinove anni ha deciso di morire, approfittando del “Death with Dignity Act” che nell’Oregon legalizza il suicidio medicalmente assistito. La sua scelta, intercettata dall’organizzazione “Compassion and Choices”, era stata diffusa online nel settembre del 2014 grazie a un video che è andato virale su internet nel quale si ascolta: “Non riesco neanche a spiegarvi il sollievo che provo nel sapere che non devo morire nel modo in cui mi è stato detto: divorata dal mio cervello. Spero di godermi tutti i bellissimi giorni che mi restano da vivere su questa magnifica terra… La ragione per considerare la vita come un valore è non lasciarsi scappare le cose importanti. Vivere il presente, cosa ha valore per te, cosa conta veramente. Seguite questo e dimenticate il resto”. A dire il vero, a un certo punto, la povera Brittany non sembrava più così decisa: aveva detto di voler rimandare la sua fine perché era un periodo in cui “si sentiva bene”. Poi, all’improvviso e senza ulteriori dichiarazioni Brittany Mayrand è morta, secondo la sua prima decisione, il primo di no-
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Primo piano to bambino, Gregorio, vissuto solamente quaranta minuti. Scriveva la coppia: “Ogni figlio che viene al mondo non ci toglie nulla, anzi dona, moltiplica e aumenta tutto: l’amore, la Provvidenza, le energie e le gioie di ogni membro della famiglia. Ci siamo resi conto di quanto ogni momento passato con i nostri figli sia un dono, mentre intorno a noi l’accanimento contro la vita e l’odio per la famiglia aumenta”.
Potete leggere “La grande storia di Gregorio il piccolo” anche su www.notizieprovita.it/filosofia-e-morale/la-grande-storia-di-gregorio-il-piccolo
vembre, dopo aver festeggiato il compleanno del marito Dan il 26 ottobre. Alcuni hanno trovato strano questo ennesimo cambiamento repentino di volontà. Alcuni potrebbero pensare che talvolta le associazioni pro eutanasia “accompagnano” un po’ troppo insistentemente le persone alla loro fine. In ogni caso la libera volontà umana può cambiare… ma di fronte alla morte nessun ripensamento è possibile! Il suo ultimo messaggio su Facebook è stato: “Addio a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia, che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità a fronte della mia malattia terminale, di questo terribile cancro al cervello che si è preso così tanto di me, e che si sarebbe preso ancora di più. Il mondo è un posto bellissimo, i viaggi sono stati i miei più grandi maestri, i miei amici sono i più generosi. Ho tante persone attorno a me persino adesso, mentre scrivo… Addio mondo. Diffondete energie positive. Fate del bene agli altri!”. Tuttavia, accanto alle esperienze drammatiche di persone come Brittany, o come il nostro Welby, vi sono anche situazioni nelle quali a vincere è la Vita. In relazione al caso di Brittany Maynard appena citato, commuovono le testimonianze di due perso-
ne colpite dalla sua stessa malattia: Maggie Karner (di cui potete leggere nelle pagine seguenti), e Philip Johnson seminarista cattolico, che ha scritto alla donna: “Come Brittany, non voglio morire né voglio soffrire per le probabili conseguenze di questa malattia. Penso che nessuno voglia morire così. […] La sofferenza non è senza senso e non sta a noi prendere in mano le nostre vite”.
La sofferenza non è senza senso e non sta a noi prendere in mano le nostre vite.
E che la sofferenza e le prove che la vita inevitabilmente ci pone possano avere una valenza positiva lo dimostra la radiosa esperienza della Quercia Millenaria, che in pochi anni ha aiutato più di duecento bambini a nascere, secondo il modello dell’hospice perinatale. Amore genera amore ed è fonte di serenità. Nel numero di dicembre di Notizie ProVita aveva trovato spazio la testimonianza di Jacopo e Giuditta Coghe, che nell’agosto del 2014 hanno perso il loro quar-
La vita terrena è per definizione fonte di complessità e di contraddizione, di luci e di ombre. Certamente sono le difficoltà a fare maggior clamore perché spaventano, in quanto comportano la perdita del controllo sulla propria esistenza. Per questo la vita va accolta nel suo grande mistero, senza la pretesa di capire tutto. E non è necessario avere una visione religiosa dell’esistenza per giungere a tale conclusione, è sufficiente uno sguardo attento, che permetta di cogliere le molteplici sfumature in gioco. Per esempio, durante il parto la donna soffre molto, eppure sa che quel dolore è necessario per permettere a suo figlio di nascere. Nei mesi successivi, finché il bambino è piccolo, essa continuerà a patire fisicamente a causa dell’allattamento o delle poche ore di sonno, mentre negli anni successivi proverà essenzialmente una sofferenza affettiva nei confronti del figlio: quando lo vedrà soffrire, quando si staccherà da lei, quando compirà scelte sbagliate… Eppure tutto questo viene sopportato con gioia e, anzi, viene desiderato perché è fonte di un bene maggiore. La vita è troppo imperscrutabile per essere compresa fino in fondo. Se rientrasse in uno schema razionale, perderebbe il suo fascino. Il problema è capire che è questo il principale valore sul quale vale la pena scommettere, perché è il punto di partenza e di arrivo di tutto. Come diceva l’intramontabile Gilbert Keith Chesterton: “La vita è la più bella delle avventure ma solo l’avventuriero lo scopre”. E per scoprirlo è necessario arrivarvi fino in fondo. ■
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Francesca Romana Poleggi adre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte M del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, è direttore editoriale di questa Rivista. Finché la Provvidenza le darà forza, “griderà dai tetti” la verità, perché solo la Verità rende liberi.
“Il cancro saprà togliermi la vita, ma io non lo aiuterò” C’è sicuramente più dignità nel vivere, anche soffrendo, che nell’uccidersi. Una testimonianza di vita e di speranza da parte di una donna con il cancro al cervello di Francesca Romana Poleggi
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elle pagine precedenti avete letto della tragica fine di Brittany Maynard che ha “scelto” di “morire con dignità”: si è trasferita in Oregon per poter fruire della legge che consente ai “medici” (sarebbe più appropriato chiamarli “boia”) di uccidere su richiesta. La risposta più bella a tutto questo è venuta da Maggie Karner, un’altra Americana. Una donna luterana, di mezza età con tre figlie, molto attiva nelle opere di assistenza e beneficenza della sua chiesa, anche in paesi del terzo mondo. In un video che anche lei ha pubblicato su You Tube, Maggie spiega come anche lei abbia avuto la stessa identica diagnosi di Brittany: un tumore al cervello che non lascia scampo. Dice di essersi subito identificata con lei, non solo per la malattia, ma anche per tante questioni di gusti e carattere che sono emerse dal suo video. Dichiara di sentirsi più fortunata di lei, perché è più anziana e ha dei figli grandi, ma condivide con Brittany le stesse paure, le stesse angosce, gli stessi momenti di depressione e di ansia, dovuta alle sofferenze della malattia e al non conoscere esattamente quando la morte arriverà. Però Maggie prega. “Prego di poter mantenere il mio tumore sotto controllo con le più recenti terapie per prolungare la mia
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vita, un altro anno, o magari di un mese, o anche solo di un giorno”. Maggie grida chiaro e forte che il cancro saprà certo toglierle la vita, ma lei certo non lo aiuterà: “Il suicidio non è la risposta al cancro al cervello”. E conclude con considerazioni dettatele dalla ragione e dalla natura: dietro le associazioni che propagandano l’eutanasia e la loro estrema gentilezza con i malati gravi, ci sono comunque degli interessi: sono molto ben finanziate dalle stesse lobby che finanziano l’aborto, la contraccezione e anche gli attivisti lgbt. Il suicidio assistito, inoltre, mette le persone più vulnerabili a rischio di cedere ad un momento di debolezza, ad un periodo di stanchezza. Del resto, i momenti bui vanno e vengono molte volte nella vita di tutti, ma la morte viene una volta sola ed è irreversibile! E in tutti i paesi che si definiscono “civili”, dove la legalizzazione della “libera morte” è avvenuta, la situazione è degenerata, al punto che gli stessi fautori dell’eutanasia sono tornati sui loro passi, come avete potuto leggere nelle pagine precedenti. E’ vero, dice Maggie, il cancro, come altre malattie debilitanti, non è dignitoso: ti annichilisce, ti sottopone a situazioni a volte umilianti, oltre che dolorose. “Ma non mi toglie la mia dignità finché intorno a me ci sono persone che mi vogliono bene, che si prendono cura di me con amore e
con le loro preghiere”. E - spiega Maggie - è bene riflettere su quanto sia utile, formativo, positivo, nonostante il dolore, per le persone sane assistere i cari ammalati: non privi, Brittany, i suoi cari del dono altissimo che può far loro nel lasciarsi accudire e curare… “Così come lo stupro non solo non è amore, ma neppure un “rapporto” sessuale, così l’eutanasia non conforta e non aiuta i moribondi”. E’ solo ribellione a ciò che davvero è intollerabile per l’orgoglio umano: non la sofferenza, né la morte in sé, ma il non avere il controllo sulla vita e la morte. Maggie ha pianto con Brittany nel vedere il suo video. Maggie la poteva comprendere come nessun altro. Maggie l’ha pregata di non uccidersi e di confidare nel fatto che la morte non è l’ultima parola perché la Vita ha vinto la morte e il Risorto è ancora qui , vivo fra noi, per infondere coraggio e speranza a chi lo invoca con un po’ di fede. ■
Dietro le associazioni che propagandano l’eutanasia e la loro estrema gentilezza con i malati gravi, ci sono comunque degli interessi: sono molto ben finanziate dalle stesse lobby che finanziano l’aborto, la contraccezione e anche gli attivisti lgbt.
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Rodolfo de Mattei
Laureato in Scienze Politiche, è Amministratore di RdMedia Srl, società attiva nel settore della comunicazione e di Internet. E’ autore di Gender Diktat (Solfanelli)
Beppino Englaro e la propaganda mortifera di cui è stato strumento
L’omicidio di Eluana Englaro Eluana secondo i sostenitori dell’eutanasia conduceva vita “non degna di essere vissuta”, secondo le suorine che l’assistevano amorevolmente invece no. Nel dubbio è stata uccisa. di Rodolfo de Mattei
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ono passati già sei anni dal 9 febbraio 2009, giorno in cui, in seguito ad una sentenza ideologica della magistratura italiana e al culmine di una lunga ed estenuante campagna mediatica e giudiziaria, vennero interrotte l’alimentazione e l’idratazione a Eluana Englaro, provocandone l’atroce morte per inanizione e disidratazione. Fa sorridere e, allo stesso tempo, è amaramente significativo il livello di mistificazione della realtà esposta dalla celebre enciclopedia on-line “Wikipedia”, per la quale Eluana Englaro avrebbe condotto la sua vita: «fino alla morte naturale sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale». Un chiara lettura faziosa e rovesciata dei fatti, che fa passare per naturale la morte inflitta dall’interruzione volontaria degli ordinari e proporzionati mezzi di nutrimento, sebbene somministrati per vie artificiali, necessari a tenere in vita e in salute la paziente. Eluana, vittima a 21 anni, il 18 gennaio 1992, di un grave incidente stradale, viveva in stato vegetativo da 17 anni, alimentata con un sondino nasogastrico. Non era una malata terminale, avrebbe potuto vivere un altro mese, un altro anno, altri 17 anni o chissà, se non fosse stato che il padre della ragazza, Beppino Englaro, che ne era il tutore, a distanza di 7 anni
dall’incidente, decise di intraprendere una agguerrita battaglia legale, spalleggiato dai Radicali, per ottenere l’interruzione della somministrazione di acqua e cibo e mettere cosi fine all’”inutile esistenza” della propria figlia. Il travagliato iter giuridico inizia nel 1999, quando, prima il tribunale di Lecco, e poi la Corte d’appello di Milano, respingono l’istanza del genitore, che ci riprova nel 2003, e poi nuovamente nel 2006, ricevendo identici responsi. Sia il tribunale che la Corte rigettano infatti il ricorso con una sentenza che stabilisce come l’alimentazione non possa essere interrotta «perché non rappresenta accanimento terapeutico». Ma il 16 ottobre 2007 arriva il colpo di scena: la Cassazione, dopo aver bocciato nel 2005 il ricorso, rinvia la decisione alla Corte d’appello di Milano, dichiarando che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare il distacco
Per Wikipedia Eluana avrebbe condotto la sua vita: «fino alla morte naturale sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale». Menzogna vergognosa.
del sondino in presenza di due presupposti: l’assoluta irreversibilità clinica dello stato vegetativo del paziente e l’accertamento, sulla base della personalità e dello stile di vita precedente, della sua chiara volontà di interrompere il trattamento. Il 9 luglio 2008, la Corte d’Appello Civile di Milano stabilisce, dunque, che Beppino Englaro, in qualità di tutore, possa ottenere l’autorizzazione ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione che manteneva in vita Eluana per: «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno». Decisione che, come anticipato, verrà messa in atto pochi mesi più tardi, il 9 febbraio 2009. Eluana Englaro è stata dunque condannata a morte, in quanto, secondo i sostenitori dell’eutanasia, in seguito agli irreversibili danni subiti nel tragico incidente, rispecchiava appieno la condizione di vita “non degna di essere vissuta”, una prospettiva evidentemente ideologica e pericolosa contro cui metteva in guardia Mario Palmaro, sottolineando l’ambiguità e la falsità di una concezione basata sulla qualità della vita, che avrebbe potuto in futuro ridurre, se non addirittura eliminare, il dovere di curare un malato incosciente, «per cui non solo le persone in stato vegetativo, ma anche pazienti
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Non solo le persone in stato vegetativo, ma anche pazienti in coma, con danni cerebrali gravi, malati di mente, neonati, potranno essere assimilati al caso di Eluana, e lasciati morire di fame e di sete.
Non possiamo dimenticare che Giorgio Napolitano poteva firmare un decreto per salvare Eluana e non l’ha voluto fare…
in coma, con danni cerebrali gravi, malati di mente, neonati, potranno essere assimilati al caso di Eluana, e “lasciati morire”». Eluana, in realtà, nonostante fosse in stato vegetativo, era pienamente “vitale”, nel senso che i suoi processi biologici funzionavano alla perfezione, come sottolineato infatti, allora, da Gianluigi Gigli, ordinario di neurologia all’università di Udine: «Eluana non è in coma, è in stato vegetativo,(…). La differenza è fondamentale: non vive a letto, dorme e si sveglia, non è attaccata a un respiratore, muove gli occhi. Non può alimentarsi autonomamente, ma sta bene e non assume farmaci». Le era persino tornato un regolare ciclo mestruale. Nessuno di noi può sapere o pretendere di conoscere la volontà e le sensazioni della Englaro che dopo essere caduta in stato vegetativo non era più in grado esprimersi. Certo, fa impressione e dovrebbe fare riflettere a fondo i promotori della “dolce morte”, la
Nessuno di noi può sapere o pretendere di conoscere la volontà e le sensazioni di Eluana: molti nelle sue stesse condizioni sono perfettamente coscienti di ciò che accade loro intorno.
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vicenda del sudafricano Martin Pistorius, il quale, risvegliatosi dopo 12 lunghi anni di buio totale, ha raccontato la propria straordinaria storia in un libro, intitolato “Ghost Boy”, nel quale scrive: «Il momento più brutto è stato quando ho sentito mia madre dire: “Spero che tu possa morire”. Pensava che io non la sentissi». Martin, bloccato dall’età di 12 anni nel proprio corpo, seppur inerme e impotente, sentiva e capiva ogni cosa: «Mi sono risvegliato e ho cominciato a essere cosciente di ogni cosa che mi veniva fatta o detta, ma per gli altri non esistevo quasi più. Mi trovavo in un luogo molto buio». Nel libro autobiografico il giovane sudafricano racconta di aver impressi nella memoria tutti gli avvenimenti più importanti accaduti in questo lungo periodo di blackout: «Ricordo perfettamente di essermi reso conto dell’elezione di Mandela a Presidente del Sudafrica nel 1994, della morte di Lady Diana nel 1997 e dell’11 settembre, ma non riuscivo a comunicare con gli altri». Dopo il miracoloso risveglio, nel 2009 Martin si è sposato con Joanna e oggi vive e lavora a Harlow, in Inghilterra. Eluana Englaro in Italia, cosi come Terri Schiavo negli Stati Uniti e oggi Vincent Lambert in Francia vengono utilizzati, loro malgrado, come simboli a favore della legalizzazione dell’eutanasia, bandiere ideologiche da sventolare in faccia agli “impietosi” e “crudeli” oppositori. E, come scriveva sempre Palmaro a proposito del caso Englaro, tale in-
cessante martellamento ideologico scalfisce gradualmente le ragionevoli certezze, provocando un deleterio disorientamento nella gente comune: «Lasciando pure da parte quanti hanno già una posizione pro-eutanasia, vicende come questa producono un senso di smarrimento, di paura, di confusione anche fra coloro che sono in buona fede o che addirittura sono contro l’uccisione pietosa. Le certezze vacillano e gli argomenti del “nemico” sembrano a un tratto persuasivi, pieni di buon senso. Si diffondono frasi del tipo: “in una situazione del genere, meglio farla morire”. Questo clima è paragonabile all’indebolimento che rende un corpo umano facile preda di una malattia virale. Lo stesso accade al corpo sociale, una volta che le sue “difese immunitarie” morali siano minate dal tarlo del dubbio e della paura». Il 25 gennaio la Marcia per la Vita di Parigi è stata dedicata proprio a Vincent Lambert e a tutte le persone disabili che trovandosi in uno stato vegetativo rischiano di fare la fine di Terri Schiavo e di Eluana Englaro: morire di fame e di sete. In Italia invece l’appuntamento, per riaffermare la cultura della Vita e ribadire il proprio no all’aborto, all’eutanasia e a tutti i programmi che, in maniera sempre più aggressiva, attentano la vita umana, è domenica 10 maggio 2015 alle ore 14 a Castel Sant’Angelo da dove partirà la quinta Marcia nazionale per la Vita al grido: “per la ■ Vita senza compromessi!”.
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Andrea Giovanazzi
Prolife per passione e per indole, essendo tra gli ultimi nati in una famiglia di circa un centinaio di parenti tra zii e cugini! * a.giovanazzi@notizieprovita.it : www.notizieprovita.it
Il paziente è “clinicamente” morto? Nel mondo scientifico ci sono molti dubbi sulla definizione di “morte cerebrale”. Ne abbiamo parlato con il dott. Poli, neurologo, storico esponente del Movimento per la Vita trentino. di Andrea Giovanazzi
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ottore, si presenti ai nostri lettori
Sono Luca Poli, nato nel 1950, laureato in medicina e chirurgia a Bologna dove poi ho conseguito il diploma di specializzazione in neurologia. Lavoro come medico di famiglia e da sempre mi sono interessato ed ho approfondito personalmente, gli aspetti bioetici legati all’esercizio della professione. Il primo tema ad avermi interessato, è stato quello dell’aborto e i successivi sviluppi dalla fecondazione artificiale, alla clonazione, alla manipolazione degli embrioni: tutte pratiche disumane e contrarie alla legge naturale che colpiscono la fase della vita nascente. E’ stato solo dopo qualche anno che la mia attenzione si è indirizzata anche a pratiche altrettanto occisi-
La nuova ed eversiva definizione di “morte cerebrale” è espressamente finalizzata a consentire il prelievo di organi a cuore battente.
ve rivolte però alla fase declinante della vita umana. Questo secondo aspetto, sorprendentemente, è molto più sottaciuto e meno noto rispetto agli attacchi all’inizio vita anche in molti movimenti che si battono per la vita. Cosa ha fatto scaturire il suo interesse verso la difesa della vita declinante? Come specialista in neurologia, fin da subito mi ha sconcertato la nuova ed eversiva definizione di “morte cerebrale”. Questa novità, espressamente finalizzata a consentire il prelievo di organi a cuore battente al fine di successivo trapianto, ha il solo scopo di coprire quella che altro non è se non la diretta uccisione di un paziente spesso (non sempre) con prognosi infausta: la causa diretta della morte è infatti esattamente l’intervento di prelievo di un organo vitale (“Mors tua vita mea”, come intitolava la sua pregevolissima opera l’amico Ugo Tozzini). Vi è stata quindi una variazione nella definizione del concetto di morte? Certamente questa rivoluzione semantica ha un ben preciso luogo e anno di nascita: Harvard 1968. Il sapere medico di tutti i tempi
Il concetto di morte cerebrale nasce con funzione di sanatoria rispetto ai procedimenti disciplinari a carico dei medici trapiantisti.
ha sempre ritenuto che possa chiamarsi morte solo la cessazione totale e definitiva di ogni funzione vitale: cardiaca, respiratoria e cerebrale. Il Churcill’s medical dictionary, del 1994, definisce la morte “cessazione della vita che si verifica in assenza di battito cardiaco spontaneo e di respiro”; il Dizionario medico illustrato Dorland del 1985, la definisce “cessazione della vita; cessazione permanente delle funzioni corporee vitali […] cessazione irreversibile di tutte le seguenti funzioni: funzione cerebrale totale, funzione spontanea del sistema respiratorio, funzione spontanea del sistema circolatorio. La nuova definizione di morte cerebrale è stata formulata ad hoc a sostegno della pratica dei trapianti d’organo segnatamente di cuore e dichiaratamente al fine di reperire organi. Il principio eversivo è il seguente “La morte si identifica con la cessazione irreversibile
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E’ stata stabilita artificiosamente l’equivalenza tra coma profondo e morte cerebrale. Tant’è vero che le modalità cliniche e strumentali per accertare quest’ultima sono demandate ad un decreto del ministro della sanità con differenti modalità per ogni Stato.
di tutte le funzioni dell’encefalo” circostanza questa che costituisce un assurdo scientifico e giuridico impossibile a riscontrarsi in quanto la morte cerebrale non è diagnosticabile. Ciò che è stato fatto in realtà è di stabilire artificiosamente l’equivalenza tra coma profondo e morte cerebrale tant’è vero che le modalità cliniche e strumentali per accertare quest’ultima sono demandate a un decreto del ministro della sanità con differenti modalità per ogni Stato, e anche nello stesso Stato con tempi diversi. Cosa era successo quindi ad Harvard, nel ’68, e con quali conseguenze? Dobbiamo fare un passo indietro al dicembre 1967 quando il famoso cardio chirurgo Christian Barnard a Città del Capo, effettuò il primo trapianto di cuore. A seguito di ciò la pratica dilagò rapidamente tanto che nei soli USA vennero effettuati circa 200 trapianti di cuore nel primo semestre del 1968. Fu necessario, allora, sanare l’illegalità e l’immoralità di queste pratiche: sui medici pendeva la legittima richiesta di sanzioni disciplinari e penali di varia gravità. Affinché non si potesse parlare di omicidio dei “donatori” di cuore, fu costituita una commissione ad hoc, ad Harvard, con l’incarico di inventare una ridefinizione di morte in chiave neurologica. Fu così che la commissione medica decretò che il coma profondo equivaleva alla morte cerebrale.
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Interessante notare che la cosa era allora vincolata allo status dichiarato di donatore: condizione restrittiva quest’ultima soppressa in seguito ed estesa a tutti indistintamente. Ecco in opera la gradualità della rivoluzione già ben collaudata per divorzio, aborto (e ora eutanasia): a partire dal caso limite pietoso, si estende poi fino alla liberalizzazione totale. Insomma, il concetto di morte cerebrale nasce così con funzione di sanatoria rispetto ai procedimenti disciplinari e penali a carico dei medici trapiantisti. Queste motivazioni utilitaristiche furono cinicamente espresse nel documento ufficiale con cui nell’agosto 1968 la commissione di Harvard pubblica sul Journal of American Medical Association (A definition of irreversible coma, JAMA, 1968, nr 205, pg. 337-340) il suo rapporto. Nel rapporto non viene spiegato perché il coma sia assimilabile alla morte ma semplicemente si afferma che “occorre definire morte il coma irreversibile per motivi pratici (liberare letti di ospedale, eliminare le spese per salvare pazienti il cui cervello è comunque seriamente danneggiato, eliminare le spese di mantenimento di pazienti in stato vegetativo persistente, sollevare i familiari dal peso dell’assistenza e, soprattutto reperire facilmente e legalmente, senza contrasti, organi vitali da trapiantare)”. Prima della decisione di Harvard, i trapianti eticamente accettabili, erano quelli di cornee, in quanto prelevabili da cadavere poiché sono organi non vascolarizzati, e di un rene che essendo organo doppio è asportabile senza causare il decesso del donatore. Ma una persona dichiarata “morta cerebralmente” come si presenta agli occhi di un profano? L’innovativa ridefinizione legale di morte umana (la c.d. morte cerebrale), comporta che possa essere considerata morta a tutti gli effetti persino una persona: il cui cuore è sano e batte spontaneamente, la cui circolazione sanguigna è regolare, il cui corpo è roseo, caldo e vitale, i cui reni, polmoni, fegato, pancreas e intestino sono sani, le
cui membra ed il cui tronco si possono muovere per effetto di riflessi spontanei o provocati da stimoli dolorosi (l’intervento di prelievo avviene con assistenza dell’anestesista), la cui respirazione è efficace, sia pur con l’ausilio della ventilazione meccanica, la cui gravidanza può essere portata avanti sino al parto, i cui organi genitali continuano a produrre attivamente (non solo a conservare passivamente) ovociti o spermatozoi efficaci ai fini concezionali. Tutti noi avremmo una naturale riluttanza a considerare morto un paziente che respira e il cui cuore pulsa, che abbia cute calda e rosea, che urina e che è grado di portare a termine - se donna - una gravidanza: non porteremmo all’obitorio queste persone prima che abbiano cessato di respirare, né seppelliremmo un “cadavere” il cui cuore batte spontaneamente. Il nostro comportamento sarebbe quello di attendere l’effettiva cessazione di queste funzioni vitali prima di chiuderlo in una bara. Stiamo assistendo, quindi, alla nascita di una nuova medicina “moderna”, diversa e contraria a quella “classica”. Avremmo piacere di parlare con lei di questa “nuova medicina” prossimamente, caro dottore. Per ora la ringraziamo per aver espresso in maniera così chiara la sua posizione su una questione così importante e delicata. ■
La nuova definizione di morte (cerebrale) serve a liberare letti di ospedale, eliminare le spese per salvare pazienti il cui cervello è comunque seriamente danneggiato, eliminare le spese di mantenimento di pazienti in stato vegetativo persistente, sollevare i familiari dal peso dell’assistenza e, soprattutto reperire facilmente e legalmente, senza contrasti, organi vitali da trapiantare.
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Claudia Cirami
Siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica. * sorrialba@gmail.com
Il dossier sul traffico degli organi dei condannati a morte che avviene con il patrocinio del Governo cinese, sotto gli occhi distratti dell’Occidente
Pezzi di ricambio Donazioni e trapianti di organi umani pongono seri interrogativi: se è un gesto nobile donare gli organi post mortem, è un problema serio quello dei trapianti a cuore battente, e soprattutto la diagnosi di morte cerebrale, come abbiamo visto nelle pagine precedenti. di Claudia Cirami
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e dovessi morire, voglio che cercate di dare i miei occhi a due dei miei ragazzi. Mi restano solo gli occhi: anche questi sono per i miei mutilatini”. A parlare così è don Carlo Gnocchi, il papà dei piccoli mutilati dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale. Donò i suoi occhi quando morì, nel 1956, sfidando persino la legge che ancora non consentiva i trapianti di organi. Da allora, il gesto d’amore di donare gli organi - perché di amore si tratta - è stato ripetuto infinite volte. La questione della donazione degli organi, però, pone anche interrogativi inquietanti. Iniziamo prima di tutto dalla barbarie del mercato di organi umani. Da quando è stata inventata la ciclosporina A (una sostanza anti rigetto) negli anni 80, la tecnica dei trapianti ha fatto grossi passi avanti. Ne sanno qualcosa le vittime della dittatura cinese: a Pechino i condannati a morte sono fisicamente venduti a pezzi a ricchi cinesi e occidentali che vanno in Cina in cerca di organi. Questo orrendo mercimonio, gestito proprio dal governo comunista, è stato documentato con prove schiaccianti anche dalla CNN grazie all’opera di dissidenti, come Harry Wu. Inoltre, la “merce” è così lautamente pagata che - sempre in Cina - molti
giovani vedono nella vendita di alcuni dei loro organi una possibilità per sopravvivere alla miseria (come si legge nel sito www.laogai.it). Gli stessi traffici avvengono nei paesi del terzo mondo, dove c’è fame e povertà. In Occidente, ovviamente, la vendita degli organi è vietata rigorosamente dalla legge. Esiste purtroppo il commercio degli organi clandestino, che per ora è giustamente combattuto. Ma fino a quando? Se passa la legittimazione morale e legale dell’utero in affitto, perché vietare la vendita di un rene? Esiste, infatti, una questione etica relativa all’uso degli organi umani. Si va diffondendo poi il timore che coloro che versano in condizioni gravi possano diventare “terreni fertili” per la “raccolta” di organi, perché dichiarate morte prima ancora che lo siano davvero. In Italia, il Comitato Nazionale di Bioetica, nel 1991, ha definito la morte cerebrale come “danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente, che ha provocato uno stato di coma irreversibile”. Il decreto 582/1994 sostiene che “Il periodo di osservazione è di 6 ore per ogni paziente candidato alla diagnosi di “morte cerebrale”, esclusi i bambini di età inferiore a 5 anni, in cui tale periodo è di 12 ore, e i bambini minori di 1 anno di età, in cui è protratto
a 24 ore”. C’è, però, chi contesta sia il periodo dell’accertamento che la definizione stessa di morte cerebrale. Del resto, l’insospettabile Peter Singer (più volte citato in questo mensile per posizioni contrarie alla vita), in una sua relazione, riportando le parole di uno degli autori della definizione di morte cerebrale, rivela il vero motivo di questa: “La nuova definizione [di morte cerebrale] ci consentirà di salvare molte vite umane, poiché, se accettata, ci permetterà di disporre di un maggior numero di organi essenziali in condizioni vitali per i trapianti” (Beecher, 1971). Perciò, Singer può dire: “La relazione finale della Commissione di Harvard (che nel 1968 si è espressa sulla morte cerebrale, n.d.r.) non afferma in nessun punto che la nuova definizione di morte rifletta particolari scoperte scientifiche o concezioni più avanzate concernenti la natura della morte… Perciò la decisione di abbandonare la definizione tradizionale di morte… è stata una decisione etica e non scientifica”. In conclusione, se il trapianto rimane una grande conquista della scienza perché salva vite umane, è opportuno, però, porsi qualche domanda. Soprattutto alla luce delle pagine precedenti e della pagina che segue. ■
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Risvegli Abbiamo visto nelle pagine precedenti che spesso è troppo facile - oggi come oggi - dichiarare che il paziente è clinicamente morto,“staccare la spina” e magari procedere all’espianto degli organi. di Alba Mustela
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ary Dockery, Jimi Fritze, Amy Pickard, Christa Lily Smith, Patricia White Bull, Donald Herbert, Jan Grzebsky, Jesse Ramirez, Sarah Scantlin, Terry Wallis, Rom Houben, Martin Pistorius… questi sono solo i primi nomi che vengono fuori quando si cercano casi di pazienti dati per “morti”, spacciati, in coma profondo o in stato vegetativo magari da anni e anni, che invece si sono risvegliati. Qualcuno si è svegliato anche dopo 10 o 20 anni. La cosa che tutti hanno in comune è che hanno raccontato di essere stati nettamente coscienti di tutto quello che accadeva intorno a loro, anche se non erano in grado in alcun modo di comunicarlo. Molti di loro si sono resi conto che già si stava organizzando l’espianto dei loro organi! Rom Houben, dopo 23 anni in cui è stato ritenuto “un vegetale” ha detto: «Mai dimenticherò il giorno in cui hanno scoperto che non ero incosciente: è stata la mia seconda nascita». La verità è che le persone in “stato vegetativo” non sono affatto “vegetali”. Qui in Italia, Ivana Grasso ha partorito mentre era in coma profondo per un aneurisma, e dopo due settimane si è svegliata perfettamente guarita.
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Max Tresoldi si è svegliato dopo 10 anni, in cui la famiglia ha continuato coraggiosamente a sperare, nonostante i medici non dessero alcuna speranza. Anzi qualcuno diceva che proseguire le cure era uno spreco di risorse. Tanto che la madre lo portò via dall’ospedale e, a casa, lo assisteva e gli parlava come se fosse cosciente. La sera di Natale dell’anno 2000 è stata una di quelle in cui la forza sembrava mancare e la fede forse vacillare. La mamma rimboccò le coperte al figlio e gli disse: «Max io sono crollata. Questa sera se vuoi pregare prega per conto tuo». E, in quel momento, dopo 10 anni di inerzia totale, quel ragazzo diventato uomo tra le sponde di un letto, alza il braccio e fa il segno della croce. Sulla sua storia hanno scritto un libro ed è stato invitato a “La Vita in diretta” dove Alda D’Eusanio gli ha detto in faccia, davanti al pubblico televisivo, che avrebbe preferito essere morta invece d’esser handicappata come lui, che vive una vita “non degna di essere vissuta”. C’è poi stato il grande Salvatore Crisafulli. E’ morto nel 2013, a 47 anni, 10 anni dopo essere uscito da uno stato vegetativo che secondo i medici doveva essere permanente, irreversibile: l’11 settembre 2003, accompagnando il figlio a scuola, l’uomo ebbe un incidente con un furgoncino. Nel 2005 si è svegliato,
e da quel momento la sua vita, e la vita della sua intera famiglia, cambiò radicalmente: anche lui quando era in coma sentiva quello che accadeva intorno a lui. Insieme al fratello Pietro, Salvatore (che riusciva a comunicare con gli occhi, attraverso un computer a scansione) ha scritto un libro e ha fondato l’associazione “Sicilia Risvegli”, per fornire sostegno e aiuto alle persone nelle sue stesse condizioni. Cominciano a breve le riprese di un film che racconta la sua storia e la sua testimonianza a favore della vita. Il film ha un titolo che è tutto un programma: “Ho voglia di vivere”. I proventi serviranno a finanziare un centro di cura per le persone in coma profondo. Crisafulli, ad onta del suo grave handicap, è sempre stato un fiero oppositore dell’eutanasia. Diceva: “Non può il diritto di morire diventare la nuova frontiera dei diritti umani… Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere… Credetemi, la vita è degna di essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato». ■
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Sara Alessandrini
Laureata in giornalismo ed editoria. Addetta stampa e blogger. Cattolica e inguaribile ottimista. Ama la vita, chi gliel’ha donata e suo marito.
Insegniamo ad amare la vita I “metodi naturali” non sono assimilabili ai “metodi contraccettivi”. Sono espressione di procreazione responsabile e in più sono economici, ecologici, sicuri e senza controindicazioni per la salute della donna. di Sara Alessandrini
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a dott.ssa Paola Pellicanò del Centro Studi per la Regolazione Naturale della Fertilità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, medico e insegnante del Metodo Billings, spiega cos’è il metodo e come può essere applicato. Cos’è il metodo Billings? E’ un metodo naturale di regolazione della fertilità, che si basa sull’auto-osservazione, da parte della donna, del suo ciclo; tale auto-osservazione la mette in grado di comprendere i periodi fertili e non fertili. La fertilità della donna è ciclica, e, unendosi alla fertilità dell’uomo che invece è continua,
Il metodo Billings si basa sulla rilevazione del muco cervicale attraverso un’auto-osservazione che permette di dare importanza a un sintomo che la donna ha, di accorgersi delle sue sensazioni e di poterle interpretare. 24
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fa sì che la fertilità della coppia sia ciclica, cioè che solo in alcuni momenti del ciclo della donna sia possibile per la coppia concepire. Come sappiamo, il periodo della fertilità è collegato al fenomeno dell’ovulazione. Il metodo Billings mette la donna in grado di riconoscere l’ovulazione ma anche la non fertilità pre-ovulatoria e postovulatoria. Quando è stato scoperto? Il metodo è stato scoperto a partire da alcuni studi iniziati in Australia nel 1953 ad opera del dott. John Billings, neurologo, al quale si è unita poi la moglie Evelyn, pediatra. Il dottor Billings era stato invitato da un sacerdote ad approfondire gli studi sulla fertilità umana, per aiutare le coppie che desideravano regolare naturalmente la propria fertilità. Il dott. Billings iniziò cercando di capire se la donna stessa si accorgeva di segnali o sintomi che potessero essere indicatori del periodo ovulatorio. Così, partendo dall’ascolto delle donne e da studi clinici, cominciò a rendersi conto che le intervistate riferivano di accorgersi di una secrezione particolare che era presente in alcuni giorni del ciclo. Billings comprese che questa secrezione si riferiva ad un fenomeno biologico già descritto
in letteratura, la produzione del muco cervicale da parte del collo dell’utero. Il muco cervicale è un importante fattore di fertilità: nei giorni della maturazione del follicolo, che si prepara all’ovulazione, questo muco assume delle caratteristiche che permettono agli spermatozoi di entrare all’interno delle vie genitali femminili, di sopravvivere per alcuni giorni e raggiungere la cellula uovo che, nel frattempo, viene espulsa dall’ovaio e arriva alla tuba, dove può sopravvivere fino a 24 ore; il muco esercita inoltre un’azione selettiva, favorendo l’ingresso in utero degli spermatozoi più adatti alla fecondazione. Prima della fase fertile e dopo l’ovulazione, al contrario, il muco al collo dell’utero forma come un “tappo” che blocca l’ingresso nell’utero agli spermatozoi. Grazie al metodo Billings è stata fatta l’interessantissima scoperta che il muco cervicale è un sintomo, cioè qualcosa che la donna anzitutto percepisce a livello dei suoi genitali esterni, accorgendosi della fuoriuscita del muco cervicale così come si accorge del flusso mestruale durante il periodo della mestruazione. Gli studi sul Metodo Billings sono stati completati da moltissimi dati scientifici che hanno confermato come i sintomi descritti dalle donne siano correlabili con sorpren-
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dente precisione ai livelli ormonali nelle varie fasi del ciclo: se la donna sperimenta asciuttezza e muco assente subito dopo la mestruazione ciò indica, in linea di massima, che la cellula uovo non ha ancora iniziato la sua maturazione, e dunque che siamo ancora in una fase non fertile; quando la “sensazione” cambia o il muco inizia a essere visibile, vuol dire che il follicolo sta maturando; l’evoluzione nella sensazione, che diventa di bagnato sempre maggiore, fino alla lubrificazione, corrisponde al fatto che gli ormoni estrogeni prodotti dal follicolo aumentano e la cellula uovo si prepara all’ovulazione; il cambiamento netto e la scomparsa della sensazione di bagnato o di lubrificazione indica che l’ovulazione è finita e si è riformato il “tappo” di muco, che chiude il collo dell’utero per tutta la durata della fase non fertile post ovulatoria. Chi può ricorrere al metodo? Il metodo è adatto a tutte le donne, ad ogni situazione della vita riproduttiva, tutte sono in grado di decifrare i propri sintomi se qualcuno le aiuta. E questo vale anche per le donne che abbiano cicli irregolari: il ciclo della donna, infatti, può variare in lunghezza e ritmo e ciò può accadere a tutte le donne, anche coloro che abbiano sempre avuto cicli regolari; la differente lunghezza dei cicli dipende proprio dal momento in cui si verifica l’ovulazione ma ciò non costituirà un problema per la donna che sia in grado di ricono-
scerla. Il Metodo, dunque, aiuta a rendersi conto delle varie fasi del ciclo e, in alcuni casi, esso è di aiuto per la rivelazione di alcune patologie.
Nel matrimonio, si può ricorrere lecitamente ai metodi naturali in quanto rispettano la morale naturale: gli atti sessuali restano, appunto, naturali e non vengono deviati dal loro fine da mezzi contraccettivi. Tuttavia l’abuso di questi metodi è espressione di “mentalità contraccettiva”, qualora si utilizzassero per evitare sistematicamente le gravidanze senza ragioni serie e proporzionate.
Cosa si deve fare per seguirlo? Il metodo è molto semplice, ma ha una sua scientificità, va appreso da un’insegnante qualificata. Il Centro Studi e Ricerche per la Regolazione Naturale della Fertilità Università Cattolica del Sacro Cuore è il centro di riferimento in Italia; a livello nazionale e regionale si tengono appositi corsi di formazione, per preparare e aggiornare insegnanti qualificate che possano insegnare alla donne e alle coppie. Il metodo è insegnato gratuitamente: oltre al nostro centro è possibile rivolgersi presso altri centri presenti in tutta Italia ma anche oltre i confini. Le insegnanti mettono la donna in grado di osservare se stessa e di tenere una registrazione del ciclo e seguono la coppia per alcuni
Il metodo è adatto ad ogni donna e ad ogni situazione della vita riproduttiva; tutte sono in grado di decifrare i propri sintomi, se qualcuno le aiuta; inoltre fornisce un aiuto importante per la rivelazione di alcune patologie.
mesi, fino all’autonomia, rimanendo a disposizione per tutte le situazioni diverse che si potranno presentare, come può avvenire ad esempio in allattamento o premenopausa... Parlava del metodo come aiuto diagnostico. Può spiegare questo aspetto? Il metodo è un valido aiuto diagnostico in quanto aiuta a conoscersi e quindi, se una donna impara ad osservarsi e a riconoscere la sua fertilità, può notare eventuali anomalie nel ciclo. Per questo, il metodo ci offre la possibilità di riscontrare alcune patologie - come per esempio patologie ormonali o, alle volte, anche problemi più gravi - in fase molto precoce, aumentando così le possibilità di diagnosi e cura. In un tempo, come il nostro, in cui si enfatizza tanto la conoscenza, noi notiamo che spesso la comprensione corretta dei fenomeni legati alla fertilità umana è assente, le informazioni che si hanno sono parziali, inesatte e basate su luoghi comuni. Il metodo è efficace? Sì, il metodo Billings è molto efficace, questo lo dimostrano
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Il metodo è insegnato gratuitamente; oltre al Centro Studi e Ricerche per la Regolazione Naturale della Fertilità Università Cattolica del Sacro Cuore è possibile rivolgersi presso i Centri, presenti in tutta Italia ma anche oltre i confini, che insegnano il metodo Billings.
tanti studi in letteratura a partire dal primo studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in tutti e cinque i continenti, in aree diverse, urbane o rurali, che è stato pubblicato nel 1981, sulla rivista internazionale “Fertility and Sterility”. Quello studio dimostra come il metodo abbia un’efficacia pari al 97,8%, qualora sia utilizzato per distanziare o evitare la gravidanza; studi più recenti, tra i quali alcuni condotti in Cina dal 1994 al 1997, documentano un’efficacia che arriva addirittura al 99,5%. Va tuttavia sottolineato che, affinché sia efficace, il Metodo deve essere insegnato da personale qualificato. Inoltre, bisogna considerare come nell’ottica che oggi rappresenta un’emergenza, quella della ridotta fertilità, la conoscenza del periodo fertile e del momento più fertile del ciclo è di enorme aiuto
Il metodo ha dimostrato un’efficacia che va dal 97,8% al 99,5% per distanziare o evitare la gravidanza ma è anche di enorme aiuto a chi cerchi la gravidanza e alle situazioni di ridotta fertilità. Affinché sia efficace, però, deve essere insegnato da personale qualificato.
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anche alle coppie che ricerchino una gravidanza. Oggi abbiamo un aumento vertiginoso delle persone che si rivolgono al nostro centro per cercare una gravidanza, soprattutto di casi con ridotta fertilità. In questi casi il metodo ha un duplice effetto: indicare ai coniugi il periodo più fertile, cioè dare una consapevolezza diversa, che permette loro di mirare i rapporti e quindi viverli con maggiore serenità; aiutare a rintracciare alcune patologie che spesso sono all’origine dell’infertilità e che, in molti casi, possono essere curate con successo. Quali coppie si rivolgono a lei? Coppie di ogni genere, chi desidera distanziare una nascita dall’altra, chi per motivi seri ha bisogno di evitare la gravidanza oppure chi la ricerca, le motivazioni sono diverse. Spesso le coppie vengono indirizzate da un’amica, oppure sono spinte da motivazioni di tipo ecologico o di carattere psicologico. In ogni caso, bisogna ricordare che il metodo non è una semplice tecnica ma uno strumento di grande validità umana, un aiuto efficace alla relazione di coppia, che con la conoscenza della propria fertilità si sente responsabilizzata
in un cammino comune. Il metodo, partendo dalla conoscenza, apre un orizzonte più alto, di dialogo e crescita, di condivisione e di rispetto reciproco, senza finalizzare la sessualità esclusivamente al desiderio. L’accoglienza del dono della fertilità aiuta l’apertura e la generosità verso la vita del figlio, riconosciuto esso stesso come un dono. La conoscenza di sé che il metodo permette, infine, ha un grande valore educativo anche per le ragazze adolescenti e giovani, aiutandole a comprendere la dignità del proprio corpo e a crescere nel rispetto di se stesse, senza svalutare l’uso della sessualità. Anche se non è la condizione fondamentale delle coppie che si rivolgono al nostro Centro, molte persone sono spinte all’apprendimento del metodo naturale da motivazioni di tipo etico; chi vive un percorso di fede trova nel metodo uno strumento autentico per rintracciare nella legge naturale quell’opera creatrice di Dio che mette le coppie in grado di vivere con pienezza la propria sessualità e il progetto di Dio sulla trasmissione della vita, comprendendo che, attraverso questo, possono collaborare con Lui all’opera della creazione. ■
Centro Studi e Ricerche per la Regolazione Naturale della Fertilità Università Cattolica del Sacro Cuore Largo F. Vito, 1 - 00168 Roma Tel. 06 30154954 - Fax. 06 30155867 e-mail: regolnatfertil@rm.unicatt.it
Notizie
Scienza e morale
Federico Catani
Laureato in scienze politiche ed insegnante di religione, è attualmente laureando in scienze religiose. È giornalista pubblicista.
Mamma, lo sai che il maestro ora è una maestra? Chissà che cosa hanno pensato le mamme che si sono sentite dire una cosa del genere dai propri bambini. di Federico Catani
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o sempre pensato che nella scuola gli insegnanti maschi dovrebbero essere più numerosi e questo a maggior ragione alle elementari, dove ormai ci sono quasi solo maestre. I bambini e i ragazzi, infatti, per formarsi, hanno bisogno di figure di riferimento maschili e femminili, per quanto possibile normali ed equilibrate. Il che a quanto pare non avviene in certi istituti di Livorno, come quello dove un maestro ha deciso di diventare… maestra. Nel novembre scorso, Fabio Franchini, insegnante di scuola primaria, non essendosi mai sentito uomo, è ricorso alla chirurgia per trasformarsi in Greta. Di fatto, già dal 2012 il maestro in questione aveva iniziato ad entrare in classe vestito da donna e a farsi chiamare col nuovo nome. Ora, cambiando sesso, ha realizzato pienamente il suo sogno. I giornali, ovviamente entusiasti, hanno subito sottolineato che tale scelta è stata unanimemente apprezzata da colleghi, genitori e bambini. La propaganda politicamente corretta vuole farci credere che tutto è normale e che i bambini, per nulla spaventati, sono un esempio di apertura mentale, in quanto hanno accettato con entusiasmo e senza pregiudizi il cambiamento del loro maestro. Noi, però, siamo soliti usare il cervello e allora ci poniamo una domanda. Che penseranno davvero gli alunni nel vedere il loro insegnante completamente trasformato o, meglio,
deformato, visto che la chirurgia sarà pure precisa, ma non fa miracoli e le fattezze di maschio resteranno inevitabilmente? Si sa che è facile plagiare i piccoli, facendo loro credere qualsiasi cosa, proprio perché è naturale per un bambino fidarsi ciecamente di un adulto. E allora qui stiamo di fronte a un caso di corruzione di innocenti. Il maestro o la maestra, il professore o la professoressa, proprio per il delicato e importantissimo ruolo che ricoprono, dovrebbero essere un esempio, un modello, un punto di riferimento. Poi ognuno in casa propria farà quel che maggiormente gli aggrada. Ma in pubblico occorre mantenere un certo contegno, un certo stile, un certo equilibrio. Per fortuna la maggioranza degli omosessuali non è omosessualista: conosco alcuni insegnanti omosessuali i quali mai e poi mai si sognerebbero di cambiare sesso, di fare coming out o di
La propaganda politicamente corretta vuole farci credere che tutto è normale e che i bambini, per nulla spaventati, sono un esempio di apertura mentale, in quanto hanno accettato con entusiasmo e senza pregiudizi il cambiamento del loro maestro.
propagandare la teoria del gender. Del resto, così come sarebbe fuori luogo e anzi dannoso che un docente etero si vantasse coi suoi alunni delle proprie performance sessuali o facesse battute volgari, è altrettanto inaccettabile e perverso ciò che ha fatto il maestro Fabio, alias Greta. Nella scuola si formano le generazioni di domani. E sebbene si possa parlare anche di sessualità, un insegnante mai e poi mai dovrebbe turbare gli studenti con la sua vita privata. La libertà in questi casi non c’entra nulla. Perché mai io docente dovrei raccontare agli studenti cosa faccio sotto le lenzuola? E perché dovrei dire ai più piccoli ciò che non è vero? Un uomo, infatti, anche se si opera, resterà sempre un uomo, perché contro il dato naturale e biologico non ci sono ormoni e cure che tengano. Peraltro, in chi non accetta la propria identità sessuale sembra vi sia un disturbo della personalità, che certo non rende proprio idonei ad essere educatori e formatori. Dire ciò non significa discriminare o usare violenza, ma ribadire un dato di fatto. Oggi un insegnante non può parlare di aborto o di omosessualità in termini critici perché turberebbe la sensibilità dei discenti e violerebbe i valori fondanti della nostra democrazia, ma si accetta tranquillamente che a un bambino venga fatto credere che è normale e anzi giusto cambiare sesso senza problema alcuno. Se questa è la scuola che ci propinano nel XXI secolo, meglio restare analfabeti. ■
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Famiglia ed economia
Distruggere la “staccionata bianca” Grazie a Human Life International offriamo ai nostri lettori un altro brano del saggio The Scientific Case against Homosexual “Marriage’’, pubblicato in inglese sulla rivista The Wanderer. di Brian Clowes
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lcuni attivisti omosessuali lamentano la discriminazione che subiscono nel non potersi sposare, con un elenco di “cose normali” che in questo modo vengono loro precluse: le norme sul lavoro, sulla casa, sul risparmio, favoriscono le coppie sposate, secondo loro. Anche loro hanno, invece, diritto a una casa con le tendine, il giardinetto e la staccionata bianca. Altri sono più schietti e meno ingenui: Paula Ettelbrick, ex direttore legale del Lambda Legal Defense and Education Fund, ha detto che “Essere queer significa spingere all’estremo i parametri del sesso, della sessualità, e della famiglia per trasformare il tessuto stesso della società”. Gli omosessualisti non vogliono la “staccionata bianca”. Vogliono bruciare la staccionata bianca e la casa che ci sta dietro! La giornalista lesbica Masha Gessen ha detto: «L’istituzione del matrimonio non dovrebbe esistere. Combattere per il matrimonio gay in generale sottintende una menzogna su quello che vogliamo fare del matrimonio, quando ci arriveremo. Matrimonio “uguale per tutti” diventerà matrimonio “elastico” e alla fine sarà matrimonio “estinto”» Già in molte nazioni occidentali, gli omosessuali godono del diritto
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al “matrimonio” e all’adozione. In queste nazioni, si sono verificati centinaia di casi di persone sottoposte a linciaggio mediatico, persecuzione socio-economica, spesso con conseguenze legali, per essersi opposti all’agenda omosessualista. Questo è l’ordine del giorno, non il matrimonio in sé. E se non facciamo niente per cercare di opporci a questa deriva, i nostri figli e i nostri nipoti ne pagheranno le conseguenze. Tutto ciò che serve perché il male trionfi è che i buoni non facciano nulla. E invece tutti noi possiamo e dobbiamo fare qualcosa. Alcuni possono combattere nei tribunali o nei parlamenti e alcuni per le strade. Alcuni possono essere scrittori, relatori, artisti. Ma la maggioranza di noi può contribuire alla battaglia educando quelli che conosciamo, nella vita di tutti i giorni: questo è il lavoro più importante di tutti.
L’agenda dell’ideologia omosessualista è spesso coperta da una coltre di menzogne e da una patina politicamente corretta e alla moda.
Se siamo in grado di risvegliare la gente, di far riflettere sul vero scopo del matrimonio, se siamo in grado di unirci per innescare una vera rinascita del vero matrimonio, noi vinceremo. Accettare l’agenda omosessualista non è un male solo da un punto di vista religioso, ma da un punto di vista scientifico. Fa male agli uomini. Fa male alle donne. Fa male ai bambini. Fa male alla società. Fa male a tutti noi. L’omosessualismo è un’ideologia che indebolisce la legge, mina le libertà più basilari e fondamentali, corrompe e indebolisce i giovani rendendoli schiavi del sesso, convincendoli che possono praticare qualsiasi tipo di comportamento sessuale. Indebolisce la famiglia perché degrada il matrimonio naturale. E - ovviamente - attacca la religione, cercando di spingerla fuori dalla vita pubblica. Noi cristiani siamo stati troppo inerti, e questo è il motivo per cui stiamo perdendo la battaglia. Abbiamo creduto alle tante storie tragiche di vittimizzazione, solo per scoprire che la maggior parte di esse sono bugie. Abbiamo visto come i più coraggiosi di noi sono stati puniti e ridicolizzati. Forse ci siamo intimoriti. Dobbiamo essere simpatici e premurosi e gentili e caritatevoli, certo, nei confronti delle persone. Ma il tempo per la “gentilezza” nei con-
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Famiglia ed economia
fronti del sistema è finito. Siamo apprezzati e blanditi finché rimaniamo nelle nostre case e nelle nostre chiese, zitti. Invece dobbiamo agire, e dobbiamo anche formarci e documentarci. Non è necessario e spesso non è possibile argomentare in termini religiosi. Purtroppo è spesso inutile in una “società secolarizzata”. Ma la visione cristiana su questo tema, come su tutte le questioni morali, è fortemente sostenuta dalla scienza e dalla ragione naturale. Ed è ovvio che sia così, dal momento che il Dio che ha creato è il Dio che rivela. Non dobbiamo farci intimidire. Ci chiameranno “bigotti”, “omofobi” e peggio. Dobbiamo resistere, guardare negli occhi, dire la verità. Dobbiamo unirci e organizzarci: una persona può essere ignorata; cinque possono essere messe in ridicolo, ma non possono essere ignorate; cinquanta possono essere denunciate, ma non messe in ridicolo; cento dovranno essere prese sul serio. Disse una volta il Mahatma Gandhi, “Prima ci ignorano; poi ridono di noi; poi ci combattono; e poi si vince”.
Sottolineiamo che “omosessualisti” non sono tutti gli omosessuali. Anzi. E sostenitori dell’ideologia omosessualista sono anche molti eterosessuali.
Allora, per una corretta formazione e informazione, cominciamo a sfatare i miti che i media stanno infilando nella testa dell’opinione pubblica per convincerla della bontà innocua del “matrimonio” omosessuale. Il primo, che è forse il più popolare, è quello che viene espresso in questi termini: “Che male fa il mio “matrimonio” omosessuale a te, al tuo matrimonio?” E infatti non è questo il punto. Nessun matrimonio, di nessuna coppia può influire su quello di un’altra coppia, normalmente. E’ ovvio. Il problema sta nell’approvazione legale di una nuova categoria di “matrimoni” che va a cambiare l’istituzione sociale. Anzitutto facciamo un parallelo: certamente a me non nuoce che una persona stampi un biglietto da 20 dollari “in casa”. Ma se diventa una pratica lecita, alla fine tutte le banconote da 20 dollari, anche quelle vere, non varranno più niente. Tutte le falsificazioni, sviliscono e degradano gli originali. Ma soprattutto la legalizzazione del “matrimonio” gay, mina le libertà fondamentali di chi non lo accetta moralmente: il matrimonio, come parte del suo significato storico, conferisce piena legittimità morale ai rapporti sessuali. Quindi ammettere il “matrimonio” omosessuale vuol dire dare l’approvazione sociale alla pratica del sesso omosessuale: chi lo ritenesse contro-natura diventa automaticamente un reo. Da quando il Canada ha legalizzato il “matrimonio” gay, nel 2005, ci sono stati più di 300 procedimenti penali contro chi si è rifiutato di collaborare in qualche modo nei confronti dello stesso. Non ci si può rifiutare di allestire banchetti, addobbare, fare dolci, per i “matrimoni” gay. Addirittura i ministri del culto non possono rifiutarsi di fare le celebrazioni. Non si può neanche insegnare ciò che un gruppo religioso crede sull’omosessualità. Quando il vescovo cattolico
Una volta che un governo legalizza il “matrimonio” gay, il sistema giudiziario presuppone che chi non lo accetta moralmente sia motivato da “odio” per gli omosessuali.
di Calgary ha scritto una lettera che spiega la dottrina cattolica tradizionale sul matrimonio, è stato accusato di violazione dei diritti umani. Anche negli Stati Uniti si sono verificati infiniti episodi del genere: una volta che un governo legalizza il “matrimonio” gay, il sistema giudiziario presuppone che chi non lo accetta moralmente sia motivato da “odio” per gli omosessuali. E viene condannato per omofobia. Quindi l’omosessualismo sta cercando di costringerci non a tollerare, accettare, il “matrimonio” gay, ma ad approvare, sostenere e incoraggiare (sotto pena di sanzioni) ciò che oggettivamente è contro natura. Gli omosessualisti non riconoscono il diritto di libertà di coscienza degli altri. Il due per cento, circa, della popolazione canadese e statunitense è considerato un gruppo speciale con diritti speciali, che può imporre le sue convinzioni (a)morali sul restante 98%. E in ultima analisi la legalizzazione del “matrimonio” gay comporta la fine della libertà religiosa. ■ (traduzione a cura della Redazione)
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Letture consigliate Antonio Socci Tornati dall’Aldià Rizzoli È possibile morire senza essere morti? La domanda è paradossale, eppure rivela un fenomeno molto interessante e, ad oggi, irrisolto: l’esperienza di pre-morte (NDE - Near Death Experience). Socci afferma: “Circa un terzo di coloro che hanno avuto un coma, una morte cerebrale e una rianimazione riferiscono di aver vissuto un’esperienza di pre-morte”. Ossia, per rendere più intellegibile questo fenomeno, molte persone dichiarano di aver visto il proprio corpo, delle persone e una grande luce, spesso in fondo a un tunnel. Tutto questo secondo due modalità contrapposte, determinate dalla soggettività: una - più frequente - di carattere positivo, che vede i “morti” avvolti in un senso di pace, amore e serenità; e una negativa, dove i sentimenti avvertiti sono essenzialmente terrificanti. In questo viaggio inatteso nel continente misterioso delle esperienze di pre-morte che la scienza medica sta studiando e che riguardano milioni di esseri umani nel mondo si ascoltano storie che diventano oggi una formidabile “dimostrazione scientifica dell’esistenza dell’anima”. Queste pagine mostrano la sconvolgente vicinanza dell’aldilà alla nostra vita quotidiana che in un attimo, con un semplice respiro o un battito di cuore che vengono a mancare, può spalancarci davanti o una realtà di felicità e di amore, o un luogo di terrore e strazio.
Francesco Agnoli Sorella morte corporale. La scienza e l’Aldilà La Fontana di Siloe Il saggio è dedicato all’interessante fenomeno della “pre - morte” (NDE): una prima parte è di carattere storico, filosofico e scientifico; e una seconda è composta da tre interviste a degli uomini di scienza e da una intervista-testimonianza a Gloria Riva. L’autore fa ragionare sulla grandezza e sulla straordinaria complessità degli essere umani, del loro potenziale che li pone al vertice della creazione: l’uomo non è determinato dalla sua propria materialità. Questa riflessione è necessaria perché le NDE presuppongono una separazione tra anima e corpo, dato che avvengono quando il paziente è clinicamente morto e fisiologicamente, chimicamente e psicologicamente sono inspiegabili. Da sempre, infatti, si è ritenuto che gli uomini avessero un’anima razionale, una mente, che li differenzia nettamente dagli animali; la parola, è stato affermato, è “il Rubicone che separa l’uomo dall’animale” e rispecchia - seppur non completamente - le potenzialità della mente umana; già il primo esemplare di Homo Sapiens seppelliva i propri morti, ossia credeva in una vita oltre la morte; e da sempre gli uomini sanno essere altruisti, ossia sanno amare in maniera disinteressata, anche se biologicamente sarebbero egoisti e portati alla conservazione del proprio corpo: forse quest’anima esiste veramente e gli esseri umani sono infinitamente più nobili della loro pura corporeità?
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