Provita ottobre 2014

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€ 2,80 POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003

Rivista Mensile N. 23 - Ottobre 2014

“nel nome di chi non può parlare”

Vita è... famiglia! Una preghiera inerme, eppure insopportabile

Unioni (in)civili imposte dai giudici

I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti: la parola a Gianfranco Amato


-- Sommar Sommario S o m m a rio r i o -Sommario

Notizie Notizie

Editoriale Editoriale

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Lo Lo sapevi sapevi che... che...

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nel “nel nome nome di di chi chi non non può può parlare parlare” RIVIST TA MENSILE RIVISTA MENSILE

Primo Primo Piano Piano

N. 23 - OTTOBRE 2014 N. 23 - OTTOBRE 2014

Dalle unioni di fatto etero ai matrimoni gay Dalle unioni di fatto etero ai matrimoni gay

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I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti

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La Babele moderna La Babele moderna

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Federico F e ederico Catani Federico Catani

Gianfranco Amato Gianfranco Amato

Editore Editore ProVita Onlus ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) 38068 Rovereto (TN) Codice Codice ROC ROC 24182 24182

Sovvertire la realtà naturale vuol dire distruggere l uomo 17 Sovvertire la realtà naturale vuol dire distruggere l’uomo 17

Redazione Redazione Antonio Antonio Brandi, Brandi, Alessandro Alessandro Fiore, Fiore, Andrea Andrea Giovanazzi. Giovanazzi. Piazza Piazza Municipio Municipio 3 3 -- 39040 39040 Salorno Salorno (BZ) (BZ) redazione@notizieprovita.it Tel. el. l 329 redazione@notizieprovita.it -- T Tel. 329 0349089 0349089

Unioni (in)civili, imposte dai giudici Unioni (in)civili, imposte dai giudici

Direttore Direttore responsabile responsabile Antonio Antonio Brandi Brandi

Emmanuele uele W Wundt undt Emmanuele Wundt Giovanni Reginato Giovanni Reginato

Francesca F rrancesca rances Romana P Poleggi oleggi Francesca Romana Poleggi

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Direttore Direttore editoriale editoriale F rancesca Romana P oleggi Francesca Poleggi

Attualità Attualità

Direttore ProV ita Onlus ProVita Andrea Giovanazzi

Una preghiera inerme, eppure insopportabile 6 Una preghiera inerme, eppure insopportabile 6 Adrea Mazzi Adrea Mazzi

Fecondazione eterologa Fecondazione eterologa 8 e anonimato dei venditori di gameti e anonimato dei venditori di gameti 8 Virginia Lalli Virginia Lalli

Progetto grafico Massimo F estini Festini Tipografia T ipografia Flyeralarm SrL, Viale Druso 265, 39100 Bolzano Editorial and Packaging Solution

9 Drogati di sesso Drogati di sesso 9 Rodolfo de Mattei Rodolfo de Mattei

Come smascherare certe bugie 10 Come smascherare certe bugie 10 Giuliano Guzzo Giuliano Guzzo

Scienza Scienza e e Morale Morale La questione della fecondazione artificiale La questione della fecondazione artificiale

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Non credenti pro life Non credenti pro life

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La buona notizia: Ginevra La buona notizia: Ginevra

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Il genocidio dei bambini Down Il genocidio dei bambini Down

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Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula Claudia Cirami Claudia Cirami Paola Paola Bonzi Paola Bonzi Newlife Newlife

Distribuzione Distribuzione MOPA AK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Hanno collaborato Hanno collaboratodi questo numero alla realizzazione alla realizzazione questo Gianfranco Amato, Pdi aola Bonzi,numero Gianfranco Amato, Paola Bonzi, Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula, Federico Catani, Mons. Ignacio FedericoGuzzo, Catani, Claudia Cirami,Barreiro RodolfoCaràmbula, de Mattei, Giuliano Claudia Lalli, Cirami, Rodolfo de Mattei, Virginia Andrea Mazzi, Newlife,Giuliano Guzzo, Virginia Lalli, AndreaPMazzi, F rancesca Romana oleggi,Newlife, Giovanni Reginato, Francesca Romana Emmanuele Wundt. Poleggi, Giovanni Reginato, Emmanuele Wundt.

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Editoriale

Editoriale

Vita è... famiglia Per quanto il nostro delirio d’onnipotenza riesca ormai a produrre in laboratorio bambini su richiesta, l’uomo e la donna, all’origine, sono imprescindibili. E l’uomo e la donna sanno che per custodire, allevare e curare la vita è meglio restare insieme, “legati liberamente” in un rapporto stabile di convivenza. Questo l’han capito anche gli uomini preistorici ed è per questo che “Vita è ... famiglia”. Per introdurre, quindi, questo numero della nostra Rivista, mi sembra opportuno cedere la penna a Massimo Gandolfini, neurologo, padre di 6 figli, Presidente di “Vita è...”, la nuova realtà federativa di cui fa parte anche questo mensile. Antonio Brandi

“Vita è …” è una federazione di persone e di realtà – già molto attive sul piano socioculturale e competenti in vari campi del sapere – che si sono poste l’obiettivo di una collaborazione, diretta, rapida e costruttiva, a tutela della dignità dell’essere umano e della famiglia naturale. “Vita è ..” è un titolo aperto, che si vuole e si può completare con tutto ciò che riguarda la vita: procreazione naturale, rispetto del concepito, tutela del neonato, sostegno alla famiglia, rispetto e difesa del disabile, accoglienza e protezione del profugo, accompagnamento del morente … “Vita è…” collabora attivamente con chiunque (associazione o singolo) ha a cuore la dignità della vita umana e della famiglia. La ragione, scientifica ed antropologica, ci indicherà, caso per caso, le strade più opportune da percorrere, senza pretese o ambizioni di monopolio. Stiamo vivendo un tempo contrassegnato da una vera e propria emergenza antropologica: l’aborto, l’ideologia gender, la

fecondazione artificiale riducono l’uomo a un oggetto, un prodotto che si può assemblare, selezionare, vendere. La scure ideologica è posta alla radice stessa dell’umano: non più due sessi e una chiara identità sessuata, ma una pletora di decine e decine di generi; non più una famiglia con padre, madre e figli, ma convivenze a composizione variabile, in cui la filiazione viene affidata alla provetta e alla incivile pratica dell’utero in affitto, riedizione in chiave moderna dello schiavismo e dello sfruttamento del ricco sul povero. Il desiderio è trasformato in bisogno, e - peggio - in diritto che esige di essere tutelato dalla legge: sotto le affascinanti sembianze della libera scelta per tutti, si sta destrutturando la convivenza civile. E chi ne fa le spese – come sempre – sono i più deboli: dal concepito al feto, dal neonato al disabile, umanità oscurate e sopraffatte da leggi ingiuste. Si pensi, solo a titolo di esempio, alla recente sentenza sulla fecondazione eterologa: non un rigo, non una parola in cui si menzioni il bambino, il suo rapporto vitale con chi lo ha generato, il suo bisogno esistenziale di conoscere le sue origini: tutto oscurato dall’assurdo “diritto al figlio”, per tutti, sempre e ad ogni costo. C’è un filo rosso di diabolica coerenza che corre dall’aborto al gender: distruggere l’uomo, smembrare la famiglia e costruire un’umanità debole e vulnerabile, che sia facile preda di ogni manipolazione ideologica. A tutti, quindi, vogliamo lanciare un appello. Credenti e non credenti, appassionati estimatori della vita umana; ricordiamo il monito che il grande Papa, San Giovanni Paolo II ci rivolse: “Una fede che non diventa cultura non è una fede pienamente accolta, non è una fede interamente pensata e, forse, non è neanche fedelmente vissuta”. Massimo Gandolfini

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Lo sapevi che... COMBATTI PER LA VITA CON NOI! La Famiglia è il fulcro e il fondamento​della società umana fin da​lle origini della civiltà. È “famiglia”, atta a generare, educare e custodire la Vita, dall’inizio alla sua fine naturale, solo se c’è la complementarietà tra due coniugi, che promettono stabilmente di sostenersi a vicenda. O ​ ggi la Famiglia e la Vita subiscono attacchi continui, volti a distruggere l’umanità. Dai il tuo contributo alla buona battaglia in difesa della Famiglia! Aiutaci a difendere la Vita! Per agire a difesa della vita, della famiglia, dei bambini, aiutaci a diffondere Notizie ProVita: regala abbonamenti ai tuoi amici, sostienici mediante una donazione intestata a “ProVita Onlus”: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina, IBAN IT89X0830535820000000058640 (indica sempre nome cognome indirizzo e CAP). Avanti per la Vita! Notizie ProVita esprime la sua massima solidarietà al Consigliere comunale di Verona Alberto Zelger: ora, mentre andiamo in stampa, stiamo assistendo a una bufera mediatica che ha lo scopo di denigrarlo in ogni modo, per aver proposto e fatto approvare dal Consiglio un ordine del giorno (o.d.g. 426) in difesa della famiglia naturale e contro l’indottrinamento omosessuale nelle scuole. Ha invitato i suoi amici a farsi sentire, scrivendo alla stampa e ai consiglieri comunali, esercitando il diritto di ogni cittadino di manifestare le sue opinioni, anche tramite gli strumenti della comunicazione elettronica: per questo l’hanno accusato di cospirazione. Evidentemente ha infastidito quelle persone delle quali, esercitando un civile diritto di critica, ha evidenziato l’incoerenza tra quello che dicono e quello che fanno: c’è chi, a parole dice di seguire gli insegnamenti della Chiesa, ma nei fatti dimostra cieca fedeltà solo al partito. Sempre a proposito del caso Zelger: i giornali hanno dato ampio spazio all’interrogazione parlamentare del senatore Lo Giudice, contro il Consigliere veronese, ma hanno sempre taciuto sul fatto che detto senatore, eludendo e violando la legge italiana, è andato all’estero col suo compagno per comprare un figlio a pagamento, affittando l’utero di una donna e strappando il bimbo dal suo grembo subito dopo la nascita. L’Agesci è un’associazione scoutistica politicamente corretta. Lo dimostra la “Carta del Coraggio” stilata dal comitato direttivo del raduno nazionale che si è tenuto questa estate a San Rossore di Pisa. Oltre ai molti, soliti, principi sani e naturali (altruismo, amore per la natura, aiuto concreto ai più deboli), troviamo l’invito a considerare “famiglia” “qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto”. Va bene, quindi anche il “poliamore”? E poi chiede “che l’Agesci non consideri esperienze di divorzio, convivenza o omosessualità invalidanti la partecipazione alla vita associativa e al ruolo educativo, fintanto che l’educatore mantenga i valori dell’integrità morale”: che vuol dire? Se non pratica sesso con i “lupetti”, può anche far propaganda all’ideologia omosessualista? Può insegnare ai bambini e ai ragazzi che il “genere” se lo scelgono e se lo cambiano a piacimento? E – ovviamente – auspica “che lo stato porti avanti politiche di non discriminazione e accoglienza nei confronti

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di persone di qualunque orientamento sessuale, perché tutti abbiamo lo stesso diritto ad amare ed essere amati e che questo amore sia riconosciuto giuridicamente affinché possa diventare un valore condiviso”: insomma, si sbrighi ad approvare la legge Scalfarotto e legiferare al più presto su matrimoni e adozioni gay (mentre andiamo in stampa, ancora non è successo nulla!). Insomma, la diffusione capillare dell’ideologia gender e omosessualista è tale anche tra “i bravi ragazzi” scout. Certamente, queste non sono posizioni ufficiali dell’AGESCI. Il documento è stato pubblicato in via ufficiosa. Ma il “fumo di satana” si infila dappertutto: i genitori, non solo non possono più stare tranquilli quando mandano i figli a scuola, ma neanche quando li mandano agli scout… Il rotocalco Visto ha pubblicato un libro dal titolo “Le migliori barzellette gay”. Il libretto fa parte di una collana umoristica di barzellette sul sesso e la coppia, sui dottori, su preti e suore, sui carabinieri e su Totti, su Berlusconi, sugli Ebrei (raccontate da Ebrei)... Ma per le barzellette su gay, in rete, scoppia il putiferio. Federico Silvestri, amministratore delegato e direttore generale di Prs, la società a cui appartiene la testata, ha coraggiosamente dichiarato: “Difendo e rivendico la scelta di allegare a Visto opere di barzellette su varie tematiche, tra le quali anche i gay, che non sono più un argomento tabù. Si possono prendere in giro tutti, si fanno battute sulla vita di coppia etero, allora perché non si possono fare sui gay? La satira non ha confini. Sto seguendo con enorme sorpresa il montare di questa polemica, assolutamente artefatta e fuori luogo. Abbiamo deciso di abbinare alla rivista dieci titoli di barzellette sulle tematiche ‘classiche’, da Pierino, ai carabinieri, allo sport. Mi chiedo dunque perché ci si indigni per i gay e non per i carabinieri o le mogli tradite. Respingo con forza la polemica, anzi la rivolgo a chi la monta: sono loro che discriminano”. Roberto Alessi, direttore di Visto, però, si è scusato a Sky Tg24 dicendo di essere «non solo mortificato, ma furente». In Francia è ormai una realtà l’aborto “a domanda”. Durante l’estate è stata approvata una legge che cancella quella clausola che - sia pur formalmente - richiedeva che la donna, per accedere all’aborto, fosse in condizioni di disagio. La legge del ’74 era già stata più volte emendata e quella clausola


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Lo sapevi che... restava solo sulla carta, in effetti. Il Ministro per la Salute delle donne, Najat Vallaud-Belkacem, ne ha richiesto la cancellazione come gesto simbolico con valore politico: la parità fra uomo e donna non sarà mai effettiva finché la donna non sarà libera di gestire il suo corpo a suo piacimento. Sempre in Francia, e sempre a seguito di un’incoercibile istanza di “uguaglianza e democrazia”, dal Codice civile è stata abolita l’espressione “buon padre di famiglia”, risalente addirittura al diritto romano, che indica il grado di diligenza che deve essere impiegato nell’adempimento dei propri doveri. Diligenza che i Romani ritenevano dovesse essere non semplicemente quella di “una persona ragionevole”, come recita oggi la legge francese, ma di una persona che è responsabile di sé e di altri e che ha una certa lungimiranza amministrativa e gestionale, come un “buon padre di famiglia”, appunto. Ma per il Parlamento francese è un’espressione “sessista”, e l’ha tolta: i Romani, si sa, erano “antichi” e omofobi. Il London Daily Mail ci informa che alcune infermiere britanniche sono state inviate in casa di persone anziane (sconosciute) per sottoporre alla loro firma un documento in cui chiedono di non essere rianimate in caso di bisogno. La richiesta (DNR) è stata viscidamente inserita in un questionario che fa parte di un progetto del Ministero della salute per migliorare l’assistenza agli anziani (!). Peter Carter, portavoce del Royal College of Nursing, ha protestato: “Una richiesta del genere non può essere fatta da un’infermiera: è contro l’etica professionale di chi sceglie una professione che ha come scopo il curare”. E Roy Lilley, un analista di politica sanitaria, ha definito la cosa “oltraggiosa”: le persone anziane sono in una condizione di fragilità che – di fronte a una tale richiesta – si sentono in dovere di firmare, per non sentirsi di peso!”. Ennesima testimonianza di un’ex impiegata di Planned Parenthood: Marianne Anderson, oltre ad asserire che l’unico scopo della clinica in

cui lavorava era fare soldi, soldi prima di tutto e soprattutto (sopra alla salute dei pazienti e sopra i diritti dei lavoratori), ha assistito a casi da denuncia: una sedicenne costretta ad abortire dalla madre, una giovane coreana che si sospettava fosse una schiava sessuale di un losco figuro… Ne abbiamo parlato già in diverse occasioni: gli aborti legali non sono né liberi, né rari, né sicuri. Altro caso di dittatura omosessualista: La Divisione dei Diritti Umani del tribunale dello Stato di New York ha condannato Robert e Cynthia Gifford per aver negato l’affitto della loro fattoria di Albany a una coppia di lesbiche in occasione del loro “matrimonio”. I coniugi sono stati condannati a pagare 10 mila dollari di multa allo Stato e 3 mila alle due fidanzate, per le sofferenze psicologiche che hanno subito. Inoltre i Gifford dovranno far frequentare al loro staff un corso di aggiornamento “sensibile” (diciamo di “indottrinamento”?) e dovranno esporre un poster che evidenzi le leggi anti discriminazione dello Stato. E’ da notare che i Gifford non hanno mai rifiutato di servire coppie gay in occasione di compleanni o altri tipi di festeggiamenti. Quindi difficilmente possono essere accusati di omofobia. Ma non hanno il diritto di manifestare la loro contrarietà ai matrimoni gay. Richard Dawkins, etologo, biologo e divulgatore scientifico britannico, noto per il suo ateismo radicale, ha scritto su twitter che abortire i bambini down è un segno di civiltà: i feti non sono esseri umani. E bisogna evitare la sofferenza in ogni caso. I down soffrono, quindi è un gesto nobile evitargli il dispiacere. Del resto già il 90% di loro viene abortito... Alysia Montano, mezzofondista olimpica, incinta di 34 settimane, ha gareggiato nel campionato di atletica leggera di Sacramento. “Ho sempre corso, durante la gravidanza, con il consenso e sotto la supervisione del mio dottore: mi sentivo bene e sentivo che anche il bambino stava bene”. Certamente non ha battuto alcun record, ma alla quarantesima settimana è nata una bella e sana bambina!

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Attualità I "fastidiosi" membri della Comunità Papa Giovanni XXIII in preghiera a Bologna.

Andrea Mazzi volontario modenese della Comunità Papa Giovanni XXIII, che opera concretamente e con continuità dal 1973 nel vasto ambiente dell’emarginazione e della povertà.

Una preghiera inerme, eppure insopportabile La Comunità Papa Giovanni XXIII ci offre una testimonianza diretta di quanto accade a Bologna, fuori l’ospedale Sant’Orsola. di Andrea Mazzi

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n sindacato che invita pubblicamente i propri aderenti a scacciare da un ospedale persone in preghiera. Manifestanti che all’alba esplodono in canti e urla volgari sotto le finestre di un ospedale pubblico. Associazioni che, in nome di un presunto diritto, cercano di impedire ad altri di esercitare il diritto costituzionale di manifestare la propria fede. Questo sta avvenendo da alcuni mesi davanti al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, per contrastare la preghiera pubblica per la vita nascente, una preghiera promossa da diversi anni dalla Comunità Papa Giovanni XXIII davanti agli ospedali in cui si praticano gli aborti, nel giorno e nell’ora in cui avvengono. Un’azione voluta con forza dal nostro fondatore don Oreste Benzi, che nel 1999 la promosse dicendo: ”Ho trovato il modo di far smettere gli aborti in tutta Italia!” Con questa preghiera, non potendo impedire la morte di tanti piccoli, stiamo comunque loro vicini, come fece Maria con Gesù sotto la croce. Preghiamo il Padre perché questa violenza abbia fine, siamo lì per un’ultima offerta di aiuto alle loro mamme. Non preghiamo in un luogo chiuso, ma all’ingresso degli ospedali, per portare alla luce quello che tanti cercano di tenere na-

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scosto. Un’azione nonviolenta per scuotere la società, complice degli aborti col suo silenzio. Questo è un aspetto del nostro “sì alla vita” che si esprime anche con la condivisione diretta della nostra vita con quella delle donne incinte in difficoltà, che accogliamo anche nelle nostre famiglie. Per chi ritiene, in una visione ideologica libertaria e individualista, che l’aborto sia un diritto assoluto, questa presenza è semplicemente inaccettabile. Per questo in diversi luoghi questa preghiera è stata oggetto di false accuse, di contestazioni, di esposti… vicende però che si sono esaurite nell’arco di poche settimane, a differenza di quanto avvenuto ora a Bologna. Il 12 maggio abbiamo ricordato i 15 anni della preghiera assieme al Responsabile generale (e successore di don Oreste) Giovanni Paolo

Don Oreste Benzi nel 1999 promosse la preghiera fuori dagli ospedali dicendo: ”Ho trovato il modo di far smettere gli aborti in tutta Italia!”

Ramonda. Richiamati da un nostro comunicato, una decina di persone autodefinitesi ‘Coordinamento Mujeres libres’ hanno manifestato a breve distanza alternando slogan contro noi (definendoci “cattolici reazionari, fascisti...”), a frasi a sostegno della ‘libera scelta’ delle donne e contro i medici obiettori. Da allora sono venuti per diverse settimane. E’ nato un coordinamento ‘Io decido’ con lo scopo di far cessare la preghiera. Il sindacato Cgil, che in questi ultimi anni si è speso in più occasioni per far sì che le donne non abbiano alternativa all’aborto, ha invitato i lavoratori ad occupare lo spazio dove stiamo. Per vari martedì si è ripetuto un copione analogo: un gruppo di circa una trentina di persone in preghiera si ritrovava circondato corpo a corpo da tutti i lati da un equivalente numero di manifestanti con striscioni (su tutti ‘Fuori i preti dalle nostre mutande’...) e megafono che intonavano canti volgari, urlavano di andarcene a pregare in chiesa e lanciavano accuse gratuite contro la Chiesa. Anche quando abbiamo provato a spostarci ci hanno seguiti. Il tutto condito da un’ampia presenza di operatori e telecamere dei media locali. Ci accusano dicendo che preghiamo in un luogo pubblico, e questo non è accettabile in una società laica (e ancora di più nella ‘laicissima’ Bologna); che la nostra preghiera è


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Attualità

I volontari della Papa Giovanni XXIII non si limitano a pregare, ma agiscono: condividono la vita con quella delle donne incinte in difficoltà, arrivando persino ad accoglierle nelle loro case, in famiglia. "Donne libere contro i preti fascisti", davanti al Sant'Orsola.

una forma di pressione psicologica sulle donne che entrano per abortire. Si tratta di accuse inconsistenti: la nostra Costituzione afferma (art. 19) il diritto di culto e non lo vincola a luoghi specifici; in questi anni da nessuna gestante ci è mai arrivata, neppure indirettamente, una lamentela, anzi diverse ci hanno ringraziato. Alcuni di loro hanno detto a più riprese di voler proseguire fino a che non ci avrebbero scacciato, riconoscendo tuttavia che non hanno nessun appiglio giuridico per poterlo fare. Nella loro azione sono appoggiati anche dalla formazione politica SelVerdi-FdS, e da alcuni media. Repubblica Bologna ha dato vita per diversi giorni a una campagna di stampa contro la preghiera. Ma assieme agli attacchi abbiamo sperimentato la solidarietà di tanti. In primis il Cardinale di Bologna Carlo Caffarra: “Continuate senza paura la vostra bella testimonianza: la Madonna vi protegge.”, ci ha scritto. Il quotidiano della CEI Avvenire e il settimanale della Diocesi Bologna7 ci hanno dato ampio spazio e hanno preso pubblicamente le nostre difese. Mons. Galantino, segretario della CEI, ha incoraggiato a continuare la preghiera in accordo con i Vescovi locali. Il Vescovo di Ferrara ci ha invitati ad iniziare la preghiera nella sua Diocesi. Associazioni ecclesiali e persone comuni ci hanno scritto. Politici di diverso colore ci hanno difeso. Ci ha colpito una signora che passando ha detto: “Io lavoro qui dentro e so cos’è l’aborto: continuate!”

Da parte nostra abbiamo sempre mantenuto una grande mitezza. Nessuno di noi, grazie a Dio, ha reagito alle provocazioni. Abbiamo diffuso un comunicato dove affermavamo: «Crediamo sia importante unire le forze perché ogni vita umana, anche la più piccola e indifesa, possa esercitare il primo dei diritti umani, quello di nascere, e perché “la difesa della vita nascente – come afferma Papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 213 – è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano”». Abbiamo cercato di aprire un dialogo. Un martedì abbiamo consegnato una lettera ai manifestanti, invitandoli ad impegnarci assieme per contrastare le pressioni subite di chi desidera proseguire la gravidanza, e proponendo un incontro. Alcuni hanno rifiutato anche di prendere la lettera. Hanno sobillato alcune aziende e GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale) che acquistano i prodotti agricoli di una nostra cooperativa, invitandoli al boicottaggio. Dei GAS - a parte un negozio - nessuno ha aderito. Infine abbiamo deciso per un periodo di cambiare il giorno della preghiera, individuando ogni settimana un giorno diverso (gli aborti al S.Orsola si eseguono tutti i giorni). Questo ci permette di continuare a pregare ma evita di trasformare questo momento in un confronto ideologico, poco edificante per chi vi assiste e rischioso per le continue provocazioni. Non sappiamo come questa vicenda andrà a finire. Abbiamo però sperimentato che questi mesi sono stati anche un momento di gra-

zia, un’occasione di risveglio delle coscienze, di rottura di un silenzio assordante. Auspichiamo che possano presto nascere iniziative di confronto, di solidarietà, di condivisione, in cui tanti esprimano coi fatti che non vogliono essere più silenziosi complici di queste terribili ingiustizie.

Benozzo Gozzoli, Sant'Orsola con due angeli, 1462. Alla santa, a una vergine del IV secolo, è intitolato l'ospedale di Bologna.

Sindacati, che nascono storicamente per difendere i diritti dei più deboli, invitano i propri aderenti a scacciare persone pacifiche che pregano per i bambini uccisi nel grembo materno. N. 23 - OTTOBRE 2014

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Attualità

Virginia Lalli

avvocato, dottoranda in Diritti umani, esperta di bioetica.

Su queste pagine non ci stancheremo mai di scrivere “donatore”(di sperma o di ovuli) tra virgolette, per ricordare sempre che codesti soggetti non donano, ma “vendono”, a suon di denaro contante.

Fecondazione eterologa e anonimato dei venditori di gameti In Italia la Corte Costituzionale (alla faccia della democrazia) ha sancito che l’eterologa si può fare. I “tavoli di lavoro” studiano le regole da applicare. C’è chi non ne vorrebbe affatto, c’è chi - assolutamente contrario - vuole solo stare a guardare che succede, c’è chi vorrebbe disperatamente cercare di limitare i danni apponendo dei paletti: vietare la remunerazione dei “donatori” di gameti (infatti, di solito, sono pagati profumatamente), vietare l’anonimato degli stessi. Questo potrebbe limitare i danni: all’estero, molti dei governi che consentivano la “donazione” anonima sono tornati sui loro passi. Alcuni si preoccupano di questioni legali e sanitarie, circa il numero imprecisato di fratellastri che ignorano di esserlo e di eventuali malattie ereditarie che ignorano di avere. Pochi si preoccupano del danno psicologico che subiscono questi “orfani programmati”. Comunque dall’esperienza oltre confine è comprovato che senza la possibilità di restare anonimi, di “donatori” se ne trovano pochi: se i figli possono risalire ai genitori biologici, potrebbero metterli di fronte a imbarazzanti responsabilità - se non legali - morali...

di Virginia Lalli

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l diritto del “donatore” di ovociti e spermatozoi a restare anonimo era previsto in tutta Europa fino all’inizio del 2000. Ora avere queste informazioni per legge è possibile in Svezia, Finlandia, Norvegia, Germania, Danimarca, Gran Bretagna, Olanda e Svizzera. Al di fuori dell’Europa, in Australia. E’ ancora possibile l’anonimato in Francia, Bel-

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gio, Spagna, Canada e negli Stati Uniti. Da quando, nel 2005, la Gran Bretagna ha rimosso il diritto all’anonimato garantito dalla legge del 1990, il numero dei “donatori” per fecondazione eterologa è sceso drasticamente. Oggi le liste di attesa, per mancanza di sperma, sono anche di tre anni. Una carenza, ha annunciato la British Fertility Society, che potrebbe spingere le cliniche a importare sperma dall’estero ad accettare seme di qualità più bassa. E l’utilizzo nei trattamenti di fecondazione in vitro di gameti maschili che non rispecchiano gli standard finora richiesti, «potrebbe significare – ha avvertito il presidente della Bfs Allan Pacey – che le donne dovranno sottoporsi a tecniche più costose e invasive». Secondo la Human Fertilisation and Embryology Authority, l’ente che regola la fecondazione artificiale, almeno una “donazione” (retribuita) di sperma su quattro viene dall’estero, mentre nel 2005, quando i “donatori” godevano ancora dell’anonimato, il seme straniero (soprattutto da Danimarca e Stati Uniti) era solo il 10%. La carenza di “donatori” ha così portato a scelte dei pazienti più limitate e liste d’attesa molto più lunghe. Anche l’Australia è costretta a importare sperma dagli Stati Uniti. La più grande clinica della fertilità, il Queensland Fertility Group, paga per ogni fiala più di 700 dollari. Insomma: il divieto di anonimato rende la pratica ignobile della fecondazione artificiale più difficile. Intanto nel 2013 un giudice della Sezione Famiglia dell’Alta Corte di Londra ha riconosciuto ai “donatori” il diritto di conoscere e frequentare i propri figli. I rapporti tra tutti codesti soggetti, e

soprattutto i diritti sul bambino da parte dei su citati “donatori”, andrebbero però regolati con precisione, secondo il magistrato di Londra. Il che potrebbe giuridicamente risolversi con un contratto di natura privatistica. Risulta così evidente come, nelle prossime sentenze in materia, dovrà anche tenersi conto degli accordi anche scritti tra i “genitori giuridici” del bambino ed il suo padre o la sua madre biologica. Le linee guida dettate dal giudice consigliano una valutazione volta per volta. Di caso in caso, cioè, dovrà tenersi conto: innanzitutto, dell’effettivo benessere del bambino (meno male!); e, contemporaneamente, sia della salute psicologica dei genitori, sia delle buone intenzioni del “donatore” dello sperma o della “donatrice” dell’ovulo, desiderosi di conoscere e di frequentare il proprio figlio. Ma nessuno si è mai messo dalla parte dei più deboli: dei bambini assemblati e prodotti come merce da supermercato, che un giorno scoprono di non essere figli di mamma e papà. Ora, è in atto una vera e propria rivolta dei figli della provetta che sono divenuti maggiorenni. Vogliono sapere chi sono i loro genitori biologici, in particolare cercano il padre. Olivia Pratten è un po’ l’emblema di costoro: sta combattendo da anni sul fronte legale presso la Suprema Corte canadese al fine di conoscere l’identità del padre biologico. Intanto sono stati aperti diversi siti internet che testimoniano il disagio dei figli concepiti in provetta e la loro aspirazione a conoscere i genitori biologici. Il sito americano che raccoglie le storie dei figli che si chiedono “Who am I?” (Chi sono io) è anonymousus.org, l’analogo sito belga è donorkinderen.com


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Rodolfo de Mattei

laureato in Scienze Politiche, è Amministratore di RdMedia Srl, società attiva nel settore della comunicazione e di Internet. E’ autore di Gender Diktat di imminente pubblicazione (Solfanelli)

Il giglio, simbolo della purezza, oggi sembra passato di moda.

Drogati di sesso Uno studio inglese denuncia i danni della pornografia di Rodolfo de Mattei

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l sesso, come la droga, crea dipendenza. Ad affermarlo è un autorevole studio pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Plos One, svolto da ricercatori dell’Università britannica di Cambridge diretti dalla neuropsichiatra Valerie Voon. La ricerca ha evidenziato come la pornografia inneschi nelle persone con comportamento sessuale compulsivo un’attività cerebrale analoga a quella provocata dalle droghe nel cervello dei tossicodipendenti. Gli studiosi inglesi hanno osservato come ben uno su 25 adulti risulta affetto da un comportamento sessuale compulsivo, descritto come un’ossessione verso pensieri sessuali, sentimenti o comportamenti che non sono in grado di controllare. L’analisi ha preso in esame due gruppi di volontari costituiti da 19 uomini ciascuno: il primo formato da persone considerate come “dipendenti sessuali”; il secondo, al contrario, da persone “sessualmente normali”. Presentando la sua ricerca la dott.ssa Valerie Voon ha chiarito che: «I pazienti al centro del nostro studio sono tutte persone che hanno avuto notevoli difficoltà nel controllare il loro comportamento sessuale […] Sotto molti aspetti, essi mostrano diverse analogie nei loro comportamenti con i pazienti

tossicodipendenti. Volevamo vedere se queste somiglianze si riflettevano anche nell’attività cerebrale». I ricercatori hanno condotto la loro analisi utilizzando la risonanza magnetica per monitorare l’attività celebrale dei due differenti gruppi durante la visione di brevi video sia a contenuto sessuale esplicito che a contenuto sessuale neutro. La scoperta sorprendente è stata rilevare come le regioni del cervello umano coinvolte nei meccanismi di impulso sessuale, lo striato ventrale, la corteccia cingolata anteriore e l’amigdala, siano le stesse aree che si attivano negli impulsi nei confronti della droga dei tossicodipendenti. I risultati raggiunti hanno, dunque, portato la Voon ad affermare: «Ci sono chiare differenze nell’attività cerebrale tra i pazienti che hanno un comportamento sessuale compulsivo e volontari sani.

Le prime e maggiori responsabilità sono da ricercare nel corrotto clima culturale contemporaneo caratterizzato dalla liberalizzazione e normalizzazione di qualsivoglia istinto o desiderio sessuale.

Queste differenze rispecchiano quelle dei tossicodipendenti». Un altro dato interessante, emerso dalla ricerca, riguarda la correlazione tra attività cerebrale ed età. Lo studio ha, infatti, riscontrato che più giovane è la persona, maggiore è il livello di attività nello striato ventrale in risposta alla pornografia. Precisando, inoltre, che tale nesso è più forte nei “dipendenti sessuali”. Le regioni di controllo frontale del cervello, in sostanza, i “freni” alla istintività, sono caratterizzate da uno sviluppo progressivo fino ai 25 anni di età e tale squilibrio può essere la causa di una maggiore impulsività nei più giovani. Tale dato attesta e conferma la forte volubilità e i rischi maggiori a cui sono sottoposti gli adolescenti bombardati da ogni parte da sollecitazioni e messaggi sessuali. Lo studio inglese, sulla base di dati scientifici, svela dunque i pericoli insiti in un comportamento sessuale sregolato. Al di là delle indiscutibili colpe dell’industria pornografica che, perseguendo cinicamente logiche commerciali, offre i suoi osceni contenuti in risposta ad una crescente domanda sociale, le prime e maggiori responsabilità sono da ricercare nelle cause di tale domanda, ossia nel corrotto clima culturale contemporaneo caratterizzato dalla liberalizzazione e normalizzazione di qualsivoglia istinto o desiderio sessuale.

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Giuliano Guzzo

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabor​a​con diverse riviste e portali web fra i q​uali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, ​Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo

Come smascherare certe bugie Ecco alcuni consigli per diventare “àpoti”, cioè “coloro che non se la bevono”, cioè per difenderci da tutte le balle che i cultori della morte diffondono attraverso i media alleati. di Giuliano Guzzo

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on tutti possono essere sociologi, ma sarebbe bene che certe nozioni ed aspetti della ricerca, peraltro abbastanza elementari, fossero chiari a tutti. Soprattutto in una fase storica come quella attuale, in cui, per legittimare il superamento dell’istituto matrimoniale e le adozioni gay, si fa largo uso di notizie di “studi” che attesterebbero come, non solo un bambino non necessiterebbe di un padre e di una madre, ma addirittura come i figli che crescono con una coppia omosessuale sarebbero più felici degli altri. Più che di notizie, si tratta di vere e proprie bufale, ma smascherarle non è sempre scontato. Di qui la proposta di alcuni suggerimenti per rimanere, davanti alla menzogna, saldamente ancorati al circolo degli “àpoti”, quelli - sentenzierebbe Giuseppe Prezzolini (1882 -1982) - che “non la bevono”. Primo suggerimento. Verificare sempre la corrispondenza fra come una ricerca scientifica viene presentata e quello che effettivamente afferma; spesso difatti i titoli di giornali e portali web, essendo pensati in primo luogo per attirare l’attenzione dei lettori, risultano ampiamente fuorvianti rispetto al contenuto di studi che fra l’altro, quasi sempre, si presentano formulati in termini cauti e prudenziali, non di rado invitando esplicitamente chi li esamina ad ulteriori approfondimenti.

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Le statistiche hanno valore se sono condotte su campioni ampi e sufficientemente rappresentativi di TUTTA la popolazione. Secondo suggerimento. Prestare attenzione agli autori dello studio, in particolare controllare che non si tratti - come di frequente accade - di ricercatori con alle spalle trascorsi di militanza in associazioni omosessualiste: grazie ai motori di ricerca di internet, è una verifica che si può fare in pochi minuti. I lavori di militanti gay, sia chiaro, non vanno ritenuti automaticamente poco attendibili, tuttavia, specie nei casi in cui essi portano ad esiti sorprendenti o contrari al buon senso, la prudenza è d’obbligo. Terzo suggerimento. Venendo ad un piano più tecnico, controllare la selezione del campione che, affinché la ricerca che su di esso si basa sia attendibile, deve essere rigorosamente rappresentativo dell’intera popolazione e non selezionato in contesti troppo particolari. Se, per fare esempio, una ricerca viene effettuata somministrando questionari ai partecipanti ad un evento - sia esso una riunione di partito, un concerto o un gay pride -

potrà pure condurre a risultati utili ma, certo, non generalizzabili. Quarto suggerimento. Soffermarsi sulle procedure con cui si sono raccolti i dati delle ricerche considerate, dato che è un aspetto molto importante. Un esempio, anche qui, aiuterà a capire: una ricerca che, da un lato, pretendesse di dimostrare - cosa accaduta più volte - che i figli che crescono con genitori omosessuali sono felici come o più degli altri, e che, d’altro lato, prevedesse il grado di felicità di questi figli “quantificato” attraverso questionari somministrati agli stessi genitori, tutto sarebbe, per ovvie ragioni, tranne che inattaccabile. Quinto ed ultimo suggerimento. E’ importante ricordarsi che le statistiche, dopotutto, sono e rimangono pur sempre…solo statistiche. Sarebbe cioè sbagliato, al di là di pur rilevanti finalità descrittive, attribuire ai numeri particolari facoltà predittive o rivoluzionarie. In particolare, allorquando una ricerca arrivasse - magari descrivendo come orribile e superata la famiglia naturale - a contraddire il caro vecchio buon senso, sarebbe quella ricerca, e non la famiglia, a dover essere guardata con sospetto. «Non mi fido molto delle statistiche - ha detto una volta, con la sua geniale ironia, Charles Bukowski (1920-1994) - perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media».


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Federico Catani Paquio Proculo e sua moglie. Affresco di Pompei del I secolo d.C. l​aureato in scienze politiche ed insegnante di religione, è attualmente laureando in scienze religiose. È giornalista pubblicista.

Dalle unioni di fatto etero ai matrimoni gay Difendere la famiglia naturale non è una posizione confessionale, ma di semplice ragionevolezza: la società umana cresce e si sviluppa innanzitutto grazie all’unione di uomo e donna che procreano ed educano i figli. Per questo i tentativi di distruggerla e di scardinare il matrimonio rientrano in un piano diabolico di distruzione dell’uomo cui bisogna opporsi in modo deciso e irremovibile. di Federico Catani

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na famiglia “di fatto” è formata da persone che convivono more uxorio, insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione. Oggi, come si sa, la convivenza è diffusissima. Da tempo, anche in Italia si cerca di riconoscere pubblicamente tali unioni di fatto. Benché non si parli di equiparazione al matrimonio, in pratica l’obiettivo che ci si prefigge è questo. Ma tutto ciò non sarebbe affatto giusto. Se infatti la Costituzione riconosce i diritti della famiglia fondata sul matrimonio è perché questo comporta garanzie di certezza e stabilità del rapporto, oltre che un impegno reciproco che gli sposi assumono dinnanzi alla legge e alla comunità. Certo, dando via libera al divorzio, e ora anche al divorzio breve, il Parlamento italiano ha reso il matrimonio liquido e fragile. E per renderlo un istituto obsoleto da archiviare, oggi si parla di unioni civili eterosessuali. Eppure, con il diritto comune, si riconoscono già ai conviventi numerosi diritti, come spiega nelle prossime pagine l’avvocato Amato. Insomma, chi sceglie deliberatamente di non assumere i doveri del matrimonio non può poi pretendere di godere dei diritti da esso derivanti. Tuttavia, può comunque usufruire di nume-

rosi benefici. Che senso ha quindi introdurre una disciplina positiva sulle unioni civili se non quello di svilire il matrimonio? Già nel 2000, il Pontificio Consiglio per la Famiglia aveva emanato un documento su questi temi, titolato “Famiglia, matrimonio e unioni di fatto”. In esso si affermava che «se la famiglia matrimoniale e le unioni di fatto non sono simili né equivalenti nei loro doveri, funzioni e servizi alla società, non possono neanche essere simili né equivalenti nello status giuridico» (n. 10). Le unioni di fatto sono in effetti il frutto di comportamenti privati, mentre «nel matrimonio si assumono pubblicamente e formalmente impegni e responsabilità di rilevanza per la società, esigibili nell’ambito giuridico» (n. 11). Ecco perché solitamente le Costituzioni

Dopo le unioni civili, arriveranno i matrimoni con le adozioni per gli omosessuali. E intanto è già cominciato lo sdoganamento di incesto, pedofilia e zoofilia.

proteggono la famiglia e non le unioni di fatto. Tra l’altro, «accordando un riconoscimento pubblico alle unioni di fatto, si crea un quadro giuridico asimmetrico: mentre la società assume obblighi rispetto ai conviventi delle unioni di fatto, questi non assumono verso la stessa gli obblighi propri del matrimonio. L’equiparazione aggrava questa situazione poiché privilegia le unioni di fatto rispetto al matrimonio, esonerandole dai doveri essenziali verso la società» (n. 16). Si tratterebbe quindi di una vera e propria discriminazione anticostituzionale della famiglia fondata sull’unione sponsale. È del tutto evidente, poi, che questa «esaltazione indifferenziata della libertà di scelta degli individui, senza alcun riferimento a un ordine di valori di importanza sociale, obbedisce a una concezione completamente individualista e privatizzata del matrimonio e della famiglia, cieca alla loro dimensione sociale oggettiva» (n. 15). Se vogliamo una società che non sia liquida, edonista ed egoista, priva di valori e di certezze, abbiamo il dovere morale di opporci senza se e senza ma a qualsiasi istituto che svilisca e distrugga il matrimonio. Non ci può quindi essere alcun dialogo o cedimento di fronte alle proposte legislative in materia.

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Questa esaltazione indifferenziata della libertà di scelta degli individui, senza alcun riferimento a un ordine di valori di importanza sociale, obbedisce a una concezione completamente individualista e privatizzata del matrimonio e della famiglia, cieca alla loro dimensione sociale oggettiva.

Senza contare che il riconoscimento delle unioni di fatto etero è uno degli stratagemmi che si stanno usando per arrivare alla legalizzazione del matrimonio omosessuale. Anche su questo fronte l’opposizione deve essere netta e totale, senza sconti e cedimenti. Questa è la linea da tenere di fronte al progetto di legalizzazione delle unioni omosessuali presentato in Italia dal governo Renzi, che, mentre questa rivista va in stampa, ancora è sul piano delle proposte e delle promesse. Purtroppo quasi nessuno sembra intenzionato a fare muro contro muro. Eppure la posta in gioco è altissima. Ciò che verrebbe minato da una legge del genere è lo stesso ordine naturale. Difendere la famiglia naturale, quindi, non è una posizione confessionale, ma di semplice ragionevolezza. E se in Italia ancora non si parla col “matrimonio gay” anche di adozioni (ma è solo una questione terminologica), queste già stanno arrivando, per via giudiziaria. La rivoluzione, ovvero la sovversione dell’ordine naturale e legittimo costituito, marcia infatti di eccesso in eccesso, esasperando le sue stesse cause. Ecco perché pri-

La legalizzazione delle unioni omosessuali viola palesemente i principi di giustizia e di uguaglianza.

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ma o poi, dopo le unioni civili, per i gay arriveranno i matrimoni con le adozioni. E intanto è già cominciato lo sdoganamento di incesto, pedofilia e zoofilia. A tutto questo occorre reagire subito con fermezza e decisione, monitorando attentamente cosa faranno a tal proposito i nostri politici. Oggi i cattolici sono confusi, incerti, timorosi e a volte complici di chi vuole distruggere la famiglia. Ma l’insegnamento della Chiesa in materia è chiaro e vincolante. Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede (Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali), firmato nel 2003 dall’allora card. Joseph Ratzinger e approvato da Papa Giovanni Paolo II, spiega che la legalizzazione delle unioni omosessuali violerebbe palesemente i principi di giustizia e di uguaglianza. Infatti c’è giustizia quando si dà a ciascuno il suo e c’è uguaglianza quando si trattano in maniera diversa situazioni diverse e in modo uguale realtà uguali. «Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale» (n. 8). Il documento afferma che la famiglia naturale fondata sul

matrimonio viene tutelata giuridicamente perché garantisce “l’ordine delle generazioni” e dunque svolge un ruolo “di eminente interesse pubblico”. Le unioni omosessuali, invece, non hanno alcuna funzione in ordine al bene comune e per questo motivo le situazioni giuridiche di reciproco interesse che possono sorgere in tali rapporti possono benissimo venir tutelate ricorrendo al diritto comune, come avviene già ora, a partire dall’autonomia privata dei cittadini (cf. n. 9). Cosa fare dunque di fronte alla proposta legislativa del governo? Il documento vaticano è chiaro: «Nel caso in cui si proponga per la prima volta all’Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (n. 10). Non c’è spazio dunque per i distinguo e per il dialogo. «Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità» (n. 11). È il momento di scendere in campo e battersi fino in fondo, senza paura né tentennamenti, in campo culturale e politico. Se non ora, quando?


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Gianfranco Amato

avvocato, saggista, Presidente dei Giuristi Per la Vita, dedica la sua professionalità e il suo spirito ardente per la buona battaglia, per la Verità e per il Bene. : www.giuristiperlavita.org

“Sarcofago degli sposi” (museo etrusco di Villa Giulia -Roma): nel 520 A.C. gli sposi erano un maschio e una femmina…

I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti. Il Presidente dei Giuristi Per la Vita, ci spiega bene quanto sia pretestuosa, strumentale e inesistente la polemica sulla necessità di un riconoscimento pubblico di diritti per le coppie omosessuali. di Gianfranco Amato

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cosiddetti “registri delle unioni di fatto”, che con tanta enfasi, ma con poco seguito, sono adottati da alcuni comuni italiani, non solo non hanno, per sé, alcuna rilevanza giuridica, ma nella misura in cui sono funzionali a mettere sullo stesso piano, nelle politiche sociali, la famiglia rispetto a tali unioni, contrastano con i principi generali dell’ordinamento giuridico. Occorre, infatti, tenere ben presente la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. Il matrimonio e la famiglia rivestono un interesse pubblico, e come tali, devono essere riconosciuti e protetti. Le unioni di fatto, invece, sono la conseguenza di scelte e comportamenti privati, e su questo piano privato dovrebbero restare. Il loro riconoscimento pubblico, con la conseguente elevazione degli interessi privati al rango di interessi pubblici, sarebbe pregiudizievole per la famiglia fondata sul matrimonio, e costituirebbe un’evidente ingiustizia rispetto al principio fondamentale secondo cui ad un diritto corrisponde un dovere. A differenza delle unioni di fatto, infatti, nel matrimonio si assumono pubblicamente e formalmente impegni e responsabilità di rilevanza per la società, esigibili sul piano giuridico. L’istituzione di tali registri, in realtà,

si riduce ad un’iniziativa meramente ideologica, priva di concreti effetti giuridici, quasi una sorta di inutile inseguimento di chi, d’altra parte, rifiuta di assumersi qualsiasi responsabilità pubblica. Ad esempio, di chi rifiuta gli obblighi derivanti dagli articoli 143 (diritti e doveri reciproci dei coniugi), 144 (indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia) e 147 (doveri verso i figli) del Codice Civile. Come ha lucidamente evidenziato Sua Eminenza il Cardinal Dionigi Tettamanzi in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano il 5 settembre 1998, l’introduzione dei cosiddetti registri comunali delle unioni civili, che «per definizione, rifuggono da ogni forma di regolamentazione sociale», significa «compromettere la certezza del diritto». «Con l’istituzione del “registro delle unioni civili”», precisa infatti il Cardinale nel citato articolo, «si riconosce uno speciale status giuridico di famiglia a persone che liberamente hanno rifiutato e rifiutano proprio lo status di famiglia, con tutti i cor-

Elevare interessi privati al rango di interessi pubblici è una palese ingiustizia.

relativi diritti e doveri: in tal modo è lo stesso soggetto pubblico (il Comune) a cadere in una palese e intollerabile contraddizione». «Si aggiunga poi», prosegue Tettamanzi, «che il soggetto pubblico pone un atto giuridico a senso unico: mentre si assume delle obbligazioni nei confronti dei conviventi, questi non si assumono nessuna obbligazione», e «in tale prospettiva, è paradossale che sia lo stesso soggetto pubblico a farsi responsabile del rifiuto della dimensione sociale della convivenza familiare e del riconoscimento dell’individualismo più marcato: con l’equiparazione famiglia-unioni di fatto, il soggetto pubblico accetta un’ingiusta e deleteria “dissociazione” tra diritti e doveri: ai conviventi riconosce i diritti, ma da essi non esige i doveri». «Come si vede», conclude il porporato, «l’equiparazione – mediante l’iscrizione a registro – delle unioni di fatto alla famiglia è contraria a ogni coerente articolazione dei rapporti tra diritti e doveri e, proprio per questo, sovverte alla radice il vivere sociale, oltre ad essere un vero e proprio vulnus alla Costituzione vigente»; anche per questo occorre chiedersi «quale possa essere la “legittimità” di simili deliberazioni dei Comuni, dal momento che a questi non sono attribuite competenze propriamente legislative (almeno in questo campo), ma, al più, compiti solo amministrativi».

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Primo piano Dubbi giuridicamente assai fondati, ai quali se ne può aggiunger uno di carattere sociologico: il riconoscimento pubblico delle convivenze private non rischia di diventare un modello sociale diseducativo? Un rapporto che i giovani possono trovare più comodo del matrimonio, in quanto privo di tutti i doveri di questo ultimo, cioè i doveri di coabitazione, di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione secondo le capacità, il dovere di rendere conto alla legge del proprio comportamento verso gli altri membri della famiglia, il dovere di istruire e mantenere i figli, finanche il divieto di ottenere il passaporto senza il consenso del coniuge? Conviene davvero alla comunità civile un vincolo sociale così flebile, così privato ed insindacabile, che si può interrompere senza neppure l’obbligo di preavviso? E’ saggio investire risorse pubbliche (cioè dei contribuenti) per soddisfare scelte private? Scelte che non vogliono un impegno verso tutti? La risposta dovrebbe essere semplice: no. Esiste, però, l’obiezione di coloro i quali sostengono che il problema esiste per quelle coppie che non si possono sposare, ovvero le coppie composte da persone dello stesso sesso. Da qui la proposta di una legge che regoli le unioni civili tra coppie omosessuali. Su questo punto occorre essere molto chiari. Il nostro ordinamento non contempla nessun riconoscimento giuridico pubblico alle unioni tra persone dello stesso sesso, in quando tale forma di convivenza non appare idonea a creare quella «famiglia naturale» cui si riferisce espressamente l’art. 29 della Costituzione. Ne rappresenta un impedimento insormontabile la sua oggettiva sterilità e la sua incon-

Qualsiasi coppia convivente (omosessuale o no) può ricorrere al diritto comune per regolare i rapporti giuridici di reciproco interesse.

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… e così pure nel IV secolo: la scultura su questo sarcofago raffigura una coppia romana che unisce le mani; la cintura della sposa mostra il nodo che il marito “legato e avvinto” a lei dovrà sciogliere nel letto nuziale.

futabile impossibilità procreativa. Del resto, la società in ogni tempo e in ogni cultura tutela il matrimonio tra un uomo ed una donna, perché esso, ed esso soltanto, fondando la famiglia è in grado di garantire l’«ordo succedentium generationum». Un documento redatto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 3 giugno 2003 – a firma dell’allora Prefetto Card. Joseph Ratzinger – intitolato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, contiene un’interessante osservazione sul punto. Affrontando il tema delle argomentazioni di carattere giuridico, in quel documento si sottolinea: «Non è vera l’argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l’effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale». Proprio qui sta il punto nevralgico della questione: i rapporti tra i conviventi omosessuali possono e devono trovare la propria regolazione nell’ambito delle possibilità concesse dal diritto privato. I giuristi sanno bene, peraltro, che praticamente tutti quei diritti generalmente invocati dai partner di una unione di fatto possono essere attivati tramite il diritto volontario e sen-

za alcuna necessità di introdurre per via legislativa nuovi istituti. E’ un falso problema, ad esempio, la questione successoria, in quanto attraverso il testamento è possibile trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla successione legittima. Oggi nulla vieta, peraltro, al convivente omosessuale di ricorrere agli strumenti del diritto volontario stipulando una polizza assicurativa o una pensione integrativa a beneficio del partner, o stipulando un contratto di comodato d’uso vita natural durante, ovvero costituendo un usufrutto d’immobile. E’ un falso problema il subentro nel contratto di locazione della casa di comune residenza, in quanto tale contratto può ben essere stipulato congiuntamente dai due partner, e in ogni caso già la giurisprudenza costituzionale è intervenuta riconoscendo il diritto di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente (Corte Costituziona-


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le sent. n. 404/1988). Così come è un falso problema la possibilità di visita in carcere del partner, oggi concessa anche ai conviventi grazie ad espresse disposizioni dell’ordinamento penitenziario (art. 18 della legge 26 luglio 1975, n.354, e art. 37 del regolamento di esecuzione D.P.R 30 giugno 2000, n. 230). Per quanto riguarda le visite in ospedale oggi già quasi tutti i regolamenti interni dei nosocomi contemplano la possibilità di accesso ai conviventi. E’ un falso problema, inoltre, la risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (ad esempio in un incidente stradale), poiché la giurisprudenza ha ormai pacificamente riconosciuto tale diritto (Tribunale di Milano 12 settembre 2011, n. 9965), secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione (Cass., sez. unite Civ., sentenza 26972/08, Cass. III sez. pen. n. 23725/08). Numerose sono, del resto, le disposizioni normative che attribuiscono diritti specifici alle «persone stabilmente conviventi».

Basti citare, ad esempio, la possibilità di richiedere la nomina di un amministratore di sostegno (art. 408 e 417 c.c.), la facoltà di astensione dalla testimonianza in sede penale (art. 199, terzo comma, c.p.p.), la possibilità di proporre domanda di grazia (art. 680 c.p.), e così proseguendo. La giurisprudenza riconosce, infine, la possibilità a conviventi omosessuali di stipulare, nell’ambito dell’autonomia negoziale disponibile, accordi o contratti di convivenza, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 del Codice civile) e non contrastino con norme pubbliche, l’ordine pubblico o con il buon costume. Si tratta in genere di accordi di natura patrimoniale che rientrano nella disponibilità delle parti (ad esempio la scelta e le spese per l’abitazione comune; la disciplina dei doni e delle altre liberalità; l’inventario, il godimento, la disponibilità e l’amministrazione dei beni comuni; i diritti acquistati in regime di convivenza, ecc.). A nulla vale, del resto, l’obiezione secondo cui limitare l’ambito di regolazione dei rapporti giuridici al solo diritto privato implicherebbe un onere di attivazione da parte dei conviventi omosessuali, che verrebbero così discriminati rispetto alle persone unite in matrimonio. A prescindere da quanto già evidenziato sul riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali, ciò che fa specie è constatare come proprio i cultori dell’autodeterminazione e dell’autonomia della persona – fondamento del pensiero cosiddetto “laico” – siano i più accaniti sostenitori di tale obiezione. Per questo appare davvero paradossale che i propugnatori di una visione liberal del comportamento umano arrivino a chiedere insistentemente l’intervento dello Stato nella ge-

stione dei rapporti privati, anziché invocare tutti quegli strumenti che consentono l’espressione della piena autonomia e della responsabilità dei singoli. Concludo citando un libro. Lo scorso marzo la Casa Editrice Nuovi Equilibri ha pubblicato un interessante testo intitolato Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere. Gli autori (insospettabili) sono Bruno de Filippis (giurista ed esperto di diritto di famiglia), Gian Mario Felicetti (autore di La famiglia fantasma, e membro del Direttivo dell’Associazione radicale “Certi Diritti”), Gabriella Friso (responsabile dell’Ufficio Diritti dell’associazione “Les Cultures” di Lecco, membro del gruppo IO Immigrazione e Omosessualità di Milano e del Direttivo dell’Associazione radicale “Certi Diritti”), e Filomena Gallo (avvocato e segretaria dell’associazione radicale “Luca Coscioni” per la libertà di ricerca scientifica). Pur essendo tutti sostenitori del riconoscimento pubblico e normativo dei diritti delle coppie omosessuali, hanno scritto il citato saggio concependolo come «un manuale di sopravvivenza», attraverso il quale indicare ai conviventi «il modo di tutelarsi per restare insieme nel caso la vita conduca uno dei due in ospedale o in carcere, per conservare la casa, ottenere risarcimenti o congedi, stipulare convenzioni e assicurazioni, garantire che i figli non subiscano danni e discriminazioni». Indicazioni davvero utili per l’esercizio di diritti già esistenti. Non amo recensire simili autori, ma in questo caso ho ritenuto opportuno fare un’eccezione. Quantomeno per dimostrare come sia, in realtà, pretestuosa, strumentale e inesistente la polemica sulla necessità di un riconoscimento pubblico di diritti per le coppie omosessuali.

A un diritto corrisponde un dovere: così è nel matrimonio. Nelle unioni di fatto, invece, si pretendono diritti, ma non si assumono doveri.

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Emmanuele Wundt

Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo, 1668

Psicologo, non pubblica il suo vero nome per tutelare la privacy sua e dei suoi pazienti. Ha intrapreso un cammino per affrontare le sue pulsioni omosessuali indesiderate. Possiamo conoscerlo e apprezzarlo più da vicino visitando il suo blog: : www.emmanuelewundt.blogspot.it * emmanuelewundt@gmail.com

La Babele moderna L’autore, che si definisce “omosessuale non allineato”, comincia da oggi a collaborare con Notizie Pro Vita offrendoci la sua esperienza e competenza professionale di psicologo. In questa pagina ci induce a riflettere sul caos generato dal voler a tutti costi distruggere l’autorità del Padre, dei saggi, degli antichi. di Emmanuele Wundt

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iviamo in un’epoca adolescente, ribelle e ostinatamente ossessionata dai diritti. Oggi dire che un bimbo ha bisogno di un padre e una madre è un atto discriminatorio. Autori ben più illustri di me hanno messo in rapporto i cambiamenti della società odierna alle filosofie irrazionali di Nietszche, Marx e Freud, che il filosofo Ricoeur ha definito maestri del sospetto. Acuti pensatori che ci hanno però condotto al crollo dei pilastri che per secoli hanno retto la società. Un crollo che ha trovato massima espressione nel grido nietzschiano: Dio è morto! L’autorità massima, quella del Padre, è stata tolta di mezzo. Edipo ha ucciso il padre, Laio, e si è seduto sul suo trono, gettando su Tebe la maledizione della peste. L’uomo si è voluto innalzare all’altezza di Dio costruendo una torre in grado di arrivare fino al cielo. La conseguenza è il caos. In ambito scientifico sembra non esserci più un vero e un falso, la ricerca afferma, con la mano destra, ciò che disconferma con la mano sinistra. È ciò che vediamo a proposito della genitorialità omosessuale. Decine, centinaia di ricerche, pur criticate, sostengono la “tesi della non differenza”: crescere con genitori

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dello stesso sesso sarebbe del tutto equiparabile a crescere con una mamma e un papà. Oggi la rivendicazione di un gruppo sociale, se abbastanza coeso e potente da reclamare diritti, vale più dell’autorità dei grandi teorici del passato e della stessa ragionevolezza. In forza di una presunta modernità dei tempi, affoghiamo nel mare magnum della ricerca sociale che, privata di un sistema di riferimento antropologico chiaro, non può produrre risposte chiare alle profonde domande dell’umanità. In un intervento sul mio blog, in cui racconto la mia prospettiva di omosessuale non allineato alle posizioni LGBTQ, accennavo velocemente alle tesi di alcuni grandi psicoanalisti nel dibattito sulla genitorialità omosessuale. Un lettore contestava definendole “teorie superate”. Questa è la maledizione di Babele: l’autorità non ha più valore. Se Freud, Bowlby, Mahler, Winnicott sono teorie superate, possiamo buttare nel cassonetto il 90% dei manuali universitari. Poco importa se Erikson nel 1968 fa una lettura dell’indifferenziazione sessuale (da lui chiamata confusione bisessuale) talmente attuale da sembrare scritta ieri. Poco importa se Adler ha anticipato di decenni la derubricazione dell’omosessualità

dai manuali diagnostici, sostenendo giustamente che essa non sia in se stessa una patologia, ma che si tratti comunque di una problematica riconducibile ad un conflitto psicodinamico. Poco importa ancora che Fromm abbia delineato chiaramente le differenze tra amore materno e paterno e la necessità di entrambi per lo sviluppo sano del figlio. “L’atteggiamento materno e quello paterno corrispondono ai bisogni propri del bambino. Egli ha bisogno dell’amore incondizionato e delle cure materne sia psichicamente che fisicamente. Il bambino, dopo i sei anni, incomincia ad avere bisogno dell’amore paterno, della sua autorità, della sua guida. La madre ha la funzione di renderlo sicuro nella vita, il padre ha quella d’istruirlo, di insegnargli a battersi con quei problemi che dovrà affrontare nella società in cui è nato” (Fromm, 1956). Possiamo argomentare, possiamo fare ricerche mirate a smussare gli angoli di teorizzazioni che sicuramente vanno accomodate alla società contemporanea e alle recenti acquisizioni della scienza. Ma se semplicemente buttiamo a mare autori di questa portata perché non li riteniamo politically correct, forse siamo fuori strada e rischiamo davvero il caos di Babele. Parafrasando Chesterton, è davvero inquietante trovarci oggi a dover difendere la banalità di tutto questo.


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Giovanni Reginato

Trevigiano, free lance, scrive per passione e con passione per la Verità e per la Vita.

Banchetto in famiglia, Pittura murale del I sec d.C., Pompei

Sovvertire la realtà naturale vuol dire distruggere l’uomo Quando il concetto di “genitore” diviene astratto e variabile (irreale) perché sganciato dallo statuto generativo proprio della coppia uomo/donna, non potrà nascere una “famiglia”, ma solo una fabbrica di orfani, senza una linea generazionale. di Giovanni Reginato

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on è solo la famiglia, non sono solo i concetti stessi di unione coniugale, di maternità e paternità, di filiazione, a essere l’obiettivo di un’offensiva senza pari nella storia dell’umanità. La pretesa di ridefinizione o di cancellazione dei legami che definiscono le relazioni naturali fra esseri umani implica necessariamente una manipolazione del concetto stesso di uomo. Non è quindi solo alla sociologia che dobbiamo rivolgerci per dar ragione di questo tentativo di trasformazione antropologica prima che sociale, ma è necessario che s’identifichino le tappe e le ragioni di tale essai di rivoluzione che in ultimo si manifesta come ontologica. Recentemente la giurisprudenza, in materia di gestazione per altri, si trova a dover risolvere l’enigma dei rapporti di filiazione in una coppia e fra il bambino e la gestante. Senza soffermarsi sugli aspetti economici ed etici implicati da un tale ricchissimo mercato, restiamo su di una questione sostanziale: tutto ciò sarebbe impossibile se non rimaneggiando la concezione stessa dei rapporti di filiazione. Per affermare, e in sentenze giurisprudenziali,

che “maternità è un concetto controverso”, bisogna per forza accogliere premesse che fanno comprendere come sia l’intero apparato logico-epistemologico a rischiare di andare in briciole. Non un certo paradigma, come tale sostituibile da un altro, ma la struttura stessa della ragione, la quale può solo affermare che concetti quali “genitore”, quindi “padre” e “madre” non sono, e non possono essere, concetti variabili o relativi ma sono, e indicano, una realtà precisa, invariabile, univoca, universale e naturale fra quelle che individuano l’essere al mondo di chiunque. Siamo al mondo perché qualcuno ci ha messo al mondo, e ci ha concepito. E se pure dovessimo trovar-

Se i giudici arrivano a scrivere nelle sentenze che la “maternità è un concetto controverso”, vuol dire che è in atto un’azione manipolativa e distruttiva dell’essere umano in quanto tale.

ci nella circostanza di non sapere chi o come, rimane un’evidenza, che come tale non ha bisogno di dimostrazioni, che ci sono voluti un uomo e una donna, e che una donna ci ha portato in grembo fino alla nostra nascita. Almeno finora: perché se gli scienziati studiano e prevedono la possibilità di ottenere, in un futuro non troppo lontano, gameti da staminali adulte riprogrammate, in modo da permettere la “paternità” a una donna o la “maternità”, almeno biologica, a un uomo, e se alcuni “bioeticisti” concorrono a ritenere perfettamente legittima e auspicabile la scissione fra genitorialità e biologia, fra concepimento e atto sessuale, al fine evidente di soddisfare un desiderio o una fantasia individuali, se la tecnica ci consentirà, al servizio di quella stessa fantasia, di oltrepassare l’ordine implicito della natura, i concetti di maternità e di paternità biologica si troveranno tramutati in opzioni e perciò applicabili agli individui indipendentemente dalla loro identità sessuata o persino dai loro gameti. E perché non ricorrere all’autofecondazione? Ma l’identità sessuale non è un’opzione, è un dato tanto evidente che dovremmo considerare

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Nenache una filiazione simbolica, come quella di un adottato, può aver luogo dove le esigenze biologiche non fossero né potessero in alcun modo essere oggettivamente soddisfatte. come fondamentale e indiscutibile, eppure oggi se ne discute. Ma di cosa discutiamo, in realtà? Le scienze della mente ci possono dare un aiuto in questo: un bambino non nasce (mi si trovi una prova di questo, e offro un anno di cene al suo scopritore) strutturato nell’orientamento del proprio desiderio, ma costruisce tale struttura nella relazione, nel modo e nel mondo che gli vengono offerti. Che si nasca e cresca da e con un padre e una madre è tanto più necessario in quanto un bambino ha bisogno di crescere in una relazione fondamentalmente triadica per sviluppare non solo la propria individualità oltre la fusionalità, ma per ritrovare attraverso quel percorso (mai privo di sofferenza), nel genitore dello stesso sesso, e di fronte all’altro, la propria identità, cioè la propria verità che è anche quella di essere sessuato: il tentativo dell’ideologia gender di decostruire l’unità del soggetto psichico e della sua natura biologica mostra non un fine di ricerca della verità dell’essere umano, ma appare invece il tentativo fallimentare di giustificare la negazione della differenza, ovvero il desiderio sempre vivo di ritorno a quel momento senza dolore e senza separazione che in altri contesti sarebbe considerato gravemente patologico. Non solo, quindi, tali teorie sono profondamente lesive della verità della persona umana e del suo sviluppo, ma dello stesso “essere”, perché la relazione di filiazione ci dà l’indicazione di chi è stato generato da chi: e questo è un altro enorme problema che si troverebbe ad affrontare, sul piano concreto dell’essere al mondo, chi, per deliberata decisione degli adulti si tro-

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vasse a non poter sapere di sé, né nata nella propria vita una storia della propria storia, che per essere che, anziché ancorarlo al mondo, tale non può essere monca di pas- lo getterebbe in un mondo immasato, né seguire un ordine alterato ginario nel quale nulla è reale perdalla manipolazione tecnica. Certo, ché tutto è possibile, ed è possibila filiazione non è riducibile al mero le perché lecito, e lecito perché una dato biologico; nemmeno il diritto, sentenza o una delibera, o un’idea finora, mette in questione, nel ma- socialmente condivisa -ma non per trimonio, l’origine biologica: infatti, il questo veritativa- possono conferdiritto fa propria la natura SIMBO- mare l’inconsistenza di uno statuto LICA della filiazione. In tal modo, scambiato per concetto astratto, o un bambino non biologicamente un dato ontologico -come l’identità generato da una coppia può nondi- sessuale- con una condizione accimeno crescere e identificarsi COME dentale o percettiva. SE lo fosse. Ma ciò solo poiché il Una genitorialità fondata su di un bambino non può che avere UN concetto astratto e variabile (irreSOLO padre e UNA SOLA madre, ale) anziché sullo statuto generativo e questi essere biologicamente proprio della coppia uomo/donna un uomo e una donna. difficilmente potrà dare origine a In ciò che potrebbe sembrare un una famiglia, ma molto più ageappiglio alla scissione fra genito- volmente a una fabbrica d’orfani rialità e biologia, appare invece più anziché a una linea generazionale; chiaro come una filiazione simboli- questo il legislatore e la giurispruca non potrebbe probabilmente mai denza dovrebbero considerarlo, ma aver luogo dove le esigenze biolo- essi paiono, anziché dell’interesse giche non fossero né potessero in primario del bambino, preoccuparsi alcun modo essere oggettivamente di sostenere il sogno di un’umanità soddisfatte. Ciò significa che, dove “libera” perché priva della prima inl’ordine naturale della filiazione ve- carnazione della propria storia, in un nisse rovesciato al fine di non dover mondo infantile di onnipotenza, afconsiderare l’evidenza fondamen- francata perché orfana perfino a se tale, ci troveremmo di fronte non stessa e alla propria natura. solo alla revisione di un concetto, o a uno “slittamento di paradigma”, ma a una radicale negazione del reale, un vero e proprio cortocircuito perverso, necessario al fine di affermare ciò che in nessun modo potrebbe ragionevolmente essere affermato: cioè che un bambino può avere, perché altri così hanno “deciso”, due padri e nessuna madre, o due madri senza alcun padre, o (a questo punto nulla impedirebbe le più svariate operazioni matematiche) un numero imprecisato e variabile di genitori, senza la minima possibilità di vedere incarOssip Zadkine, La città distrutta, 1953 (Rotterdam, NL)


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Francesca Romana Poleggi ​ adre di tre figli, moglie, insegnante ​, fa parte m del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. ​ Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Cofondatrice di ProVita Onlus, ​è direttore editoriale di questa Rivista​. Finché la Provvidenza le darà forza, “griderà dai tetti” la verità, perché solo la Verità rende liberi.

Il settecentesco Palazzo della Consulta, in piazza del Quirinale a Roma, è sede della Corte Costituzionale.

Unioni (in)civili, imposte dai giudici Si può accettare che un ordinamento consideri “matrimonio” solo quello tra un uomo e una donna, ma le unioni civili devono essere riconosciute dallo Stato: questo il dispositivo di una sentenza della Corte Costituzionale dell’11 giugno scorso. di Francesca Romana Poleggi

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a Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sede a Strasburgo, ha deliberato che non esiste un “diritto” al matrimonio per gli omosessuali. La CEDU era stata chiamata a decidere su un caso che era stato sollevato da una coppia Finlandese. L’uomo, sposato, con un bambino, aveva deciso di cambiare sesso. Dopo l’operazione chiese di cambiare quello che più o meno corrisponde al nostro codice fiscale e identità anagrafica: infatti tali documenti riportavano un codice identificativo maschile e lui voleva tramutarlo in uno femminile. Secondo la legge finlandese, però, per far questo bisognava trasformare - con il consenso della moglie - il loro matrimonio in una “convivenza registrata”, cioè la figura giuridica che in Finlandia è usata per i matrimoni omosessuali. La moglie d’accordo col marito - non l’ha dato. E secondo la legge del luogo i due non potevano più essere considerati sposati, perché non esiste, appunto, il “matrimonio” omosessuale, ma solo la “convivenza registrata” di cui sopra. Quindi all’anagrafe il cambiamento di sesso non poteva essere “completo”. La coppia allora ha fatto ricorso alla CEDU perché non voleva sciogliere il matrimonio: il divorzio

contrasta con il loro sentimento religioso (!). D’altro canto la “convivenza registrata” non è la stessa cosa del matrimonio e il loro bambino si sarebbe venuto a trovare in uno status diverso da quello di chi è figlio di due genitori regolarmente sposati. Il transessuale inoltre si lamentava che con la “convivenza registrata” la moglie sarebbe stata considerata lesbica, e lui non poteva rimanere legalmente “padre” del bambino, perché per la legge finlandese non è possibile avere due madri. La questione è certamente molto complicata e - a modesto parere di chi scrive - sa di pretestuoso. La CEDU, comunque ha deliberato: ci sono due diritti in gioco, che vanno contemperati: quello del ricorrente che desidera una completa nuova identità femminile, nel rispetto della sua vita privata e delle scelte che ha fatto, e l’interesse dello Stato a mantenere intatta la tradizionale istituzione del matrimonio. In base alla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, firmata nel ‘48, che ha dato vita anche alla CEDU stessa, non c’è alcun elemento per considerare gli Stati obbligati a permettere il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Del resto solo 10 dei 47 Paesi che hanno firmato la Convenzione hanno istituito il matrimonio gay. Aggiungiamo che in tutto il mondo (circa 200 Stati, di cui 192 membri dell’ONU), sono

solo 18 quelli che l’hanno introdotto. Il transessuale e la moglie sono rimasti comunque sposati: l’ex uomo ha scritto sul suo blog che niente al mondo lo potrà separare dalla sua sposa: non termineranno il loro matrimonio, perché… è un matrimonio religioso. Forse neanche l’alto ingegno di Luigi Pirandello o la penna di Eugene Jonesco sarebbero in grado di sviscerare cosa passa nella testa e nel cuore dei protagonisti di questa vicenda. Forse qualcuno si chiederà cosa passa nella testa e nel cuore di quel bambino, che ha assistito a una tale trasformazione della figura paterna... Comunque, per certi versi, la decisione della CEDU di cui abbiamo parlato può considerarsi una vittoria della ragionevolezza e della legge naturale su quell’aberrazione che è il “matrimonio” omosessuale. Ma - a modesto parere di chi scrive - c’è poco da rallegrarsi. Infatti la CEDU dà per scontato che per gli omosessuali siano previste delle “convivenze registrate” che - anche se non vengono chiamate “matrimoni”- di fatto poco ne differiscono. Qui da noi, invece, si è verificata una situazione completamente rovesciata: la legge che consente il cambiamento di sesso all’anagrafe, infatti prevede ipso facto la cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso in cui il tran-

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Secondo la Corte Costituzionale italiana e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non esiste un diritto degli omosessuali a veder riconosciute le loro convivenze come matrimoni. sessuale sia sposato. Quindi da noi un transessuale che ha ottenuto il completo cambiamento di tutti gli atti dello stato civile, a differenza del Finlandese, che non ha potuto cambiare sesso all’anagrafe rimanendo sposato con la moglie, ha visto verificarsi per legge, in modo automatico, lo scioglimento del suo matrimonio. Ha adito, anche lui, quindi, le vie legali. Nel processo i coniugi ricorrenti chiedevano che fosse abrogata la norma che sancisce questa sorta di “divorzio imposto”. Volevano restare sposati, anche se lui era divenuto una lei. Essi ritenevano leso il principio di autodeterminazione degli individui in questioni attinenti alla sfera privata: il matrimonio si scioglie solo se lo chiedono i coniugi (anzi, per essere precisi - e a proposito di giustizia e di equità - basta che lo chieda uno dei due: l’altro, di solito il più debole, non può far proprio nient’altro che tirarla alle lunghe, con notevole dispendio di soldi e di energie, ma non può evitare che un accordo concluso in due, venga sciolto per volontà di uno solo). Il processo è finito davanti alla Corte

Costituzionale. E’ vero che essa ha di nuovo ribadito la conclusione di un’altra sentenza, la 138/2010, cioè ha riaffermato che il matrimonio, in Italia, può essere solo tra persone di sesso diverso. E’ vero, quindi, che ha considerato legittimo il “divorzio automatico” conseguente alla modifica degli atti dell’anagrafe in cui si registra il cambiamento di sesso. Ma la Corte ha altresì ribadito che alla “unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso” spetta “il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Quindi, pur “escludendo una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette”. Poiché la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, provoca ipso facto lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, se entrambi lo richiedano, “bisogna che il rapporto di coppia sia mantenuto in vita e giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore” (tutte le citazioni sono tratte dalla Corte Cost. sent. 170/2014). Di nuovo, come per la fecondazione eterologa, la Corte Costituzionale

Alban Met- Hasani, L'unione (2009). Questa scultura ha vinto la 2a edizione del premio "Lidia Conca", a Novate Milanese. Incredibile: sono ritratti un uomo e una donna.

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Secondo la Consulta, agli omosessuali spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.

pretende di dettar legge al Parlamento. Di nuovo, ignora le garanzie e le tutele che qualsiasi forma di convivenza, attraverso strumenti privatistici, può ricevere dal punto di vista legale. Essa ha invocato il rispetto dei “diritti inviolabili delle formazioni sociali”, indicate dall’art. 2 Cost., tra le quali riconduce le coppie omosessuali. Ma ha trascurato il fatto che lo stesso art. 2 non si riferisce a tutte le formazioni sociali, ma solo a quelle “dove si svolge la personalità” dell’individuo. Infatti sarebbe assurdo invocare l’art. 2 per proteggere, per esempio, un’associazione di stampo mafioso. Allora ci chiediamo: siamo certi che in un rapporto omosessuale si “sviluppi la personalità” degli individui? Checché ne dicano alcuni (e sono solo alcuni, magari quelli che hanno maggior risonanza mediatica e che quindi strillano più forte), ci sono molti, moltissimi altri (psicologi, psichiatri, laici e cattolici, omosessuali convinti e dichiarati e omosessuali pentiti) che sostengono e testimoniano che le convivenze tra persone dello stesso sesso sono problematiche, non serene, non aiutano - appunto - a crescere, perché la Natura non accetta d’essere sovvertita e l’umanità - nel profondo - si ribella. E per finire, ancora una volta, il pensiero va ai figli, piccoli o grandi che siano, che assistono al delirio d’onnipotenza degli adulti che pretendono di combinare e scombinare ciò che la natura ha disposto. Quando osassero manifestare un disagio, sarebbero certamente accusati di omo- o trans-fobia.


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Scienza e morale

Mons. Ignacio Barreiro Carámbula Ha conseguito il dottorato di laurea in Teologia Sistematica presso l’Università della Santa Croce ​, a Roma​. Ha pubblicato centinaia di articoli su temi teologici, di bioetica, e su argomenti storici.​ ​Dal 1998, è direttore dell’ufficio di Human Life International (Vita Umana Internazionale) a Roma.

L’ICSI: iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo

La questione della fecondazione artificiale Il Direttore di Vita Umana Internazionale (Human Life International) ci invia un suo contributo per ribadire l’immoralità radicale della legge 40/2004 e di qualsiasi tipo di pratica (fecondazione omologa o eterologa, non importa) che essa disciplini. di Mons. Ignacio Barreiro Carámbula

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opo la decisione giudiziale che permette la fecondazione eterologa è utile guardare nuovamente la legge del 19 Febbraio 2004, n. 40 “Norme in Materia di Procreazione Medicalmente Assistita”, che ha legalizzato una condotta contraria al diritto naturale e ai piani di Dio per l’uomo, che si aggiunge a molte altre norme di diritto positivo contrarie alla legge naturale. Già il nome di questa norma presenta un escamotage: parlare di fecondazione medicalmente assistita, nascondendo il fatto che la legge non si occupa di assistenza, ma di fecondazione umana extracorporea e quindi artificiale, è una mistificazione. Dietro questa legge c’è la vecchia tentazione diabolica che ha fatto credere ai nostri primi genitori che potevano essere come Dio e diventare Signori della realtà, invece di accettare che l’uomo è solo un amministratore di una realtà spirituale e materiale che gli è stata concessa. La legalizzazione della fecondazione artificiale è destinata perciò a contribuire all’oscuramento della percezione dei valori morali fondamentali e a spingere gli uomini in una strada sbagliata di illusorio dominio del proprio corpo e di forme perverse di originare la vita. Molti politici cattolici sono stati del

parere che, sulla base del paragrafo numero 73 dell’Evangelium Vitae e con la scusa di eliminare il Far West procreativo si poteva votare questa legge. Essi hanno spiegato che c’era un vuoto legale dovuto all’assenza di una norma di diritto positivo che vietasse il Far West procreativo, dunque questa situazione avrebbe reso legittima questa legge. Quest’approccio in sé è incorretto perché se c’era un vuoto di diritto positivo, esisteva non di meno una norma di diritto naturale che considerava immorali tutte queste pratiche. I figli non si vedono più come un dono di Dio, ma come un diritto. Il Signore è il datore di tutti i doni e del principale di tutti i doni che è la vita. Una coppia si sposa aspettando di avere figli, ma se è cristiana sa che questi figli sono un dono di Dio e li riceve con gratitudine. Ma allo stesso tempo può accettare anche con dolore e con l’assistenza della grazia, che Dio, per ragioni molte volte difficili da capire non le invii figli. Come insegna la Congregazione della Dottrina della Fede, nella Istruzione Donum Vitae “Un vero e proprio diritto al figlio sarebbe contrario alla sua dignità e alla sua natura. Il figlio non è una qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto di proprietà: è piuttosto un dono, ‘il più grande’ e il

più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente della donazione reciproca dei suoi genitori.” La Chiesa ha sempre insegnato che non si può mai separare il significato unitivo da quello procreativo dell’atto coniugale: l’uomo non può rompere questo legame di sua propria iniziativa. Questa connessione si rompe mediante la contraccezione. La contraccezione ha sganciato la sessualità dalla fecondità. La fecondazione extracorporea sgancia, invece, la fecondità dalla sessualità: c’è una relazione fra mentalità contraccettiva e fecondazione artificiale. Ambedue infrangono un processo naturale. Di conseguenza qualsiasi tecnica che sostituisca l’atto coniugale deve essere considerata contraria ai piani di Dio. Per questo tanto l’inseminazione artificiale nella quale il concepimento avviene nel corpo della donna, quanto il concepimento extracorporeo sono immorali. Come insegnava Pio XII, “Mai lo dobbiamo dimenticare: solo la procreazione di una nuova vita in conformità con la volontà e i piani del Creatore porta con sé un meraviglioso grado di perfezione e realizza gli obiettivi cercati. Ella è in conformità con la naturalezza corporale e spirituale e la dignità degli sposi e lo sviluppo normale e felice del bambino”. La legge attualmente vigente ap-

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Scienza e morale

provata nel 2004 è profondamente ingiusta, perché dà la consacrazione nel quadro del diritto positivo al principio della fecondazione extracorporea. L’uomo non si può sostituire al Creatore nel fare sorgere la vita e dunque qui abbiamo una violazione del principio della dignità della procreazione umana. La vita umana non può essere un prodotto della tecnica. Nella procreazione naturale l’uomo e la donna diventano collaboratori nel piano della creazione della vita inscritto dal Creatore nella natura. Invece nella fecondazione extracorporea ci troviamo in un caso di produzione di un essere umano mediante tecniche artificiali che contrastano le leggi naturali. L’u-

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nica forma di procreazione che è connaturale per gli esseri umani è per mezzo dell’unione tanto fisica quanto spirituale, nel quadro di un vero matrimonio che è l’unione permanente e fedele fra un uomo e una donna, ed è l’istituzione voluta dal Creatore per la procreazione dei figli. Dobbiamo anche ribadire che i figli hanno il diritto naturale d’essere accolti in una famiglia regolarmente costituita. La fecondazione artificiale conduce alla “cosificazione” del neo-concepito creando il rischio che possa essere manipolato o utilizzato come un materiale biologico di sperimentazione. Una prova addizionale dell’antinaturalità del concepimento extracor-

poreo è l’incremento significativo dei problemi medici cui va incontro la donna che utilizza questa procedura. Vediamo lo stress psicologico che soffre la donna che normalmente si deve sottoporre a ripetuti tentativi dovuti alla scarsa efficacia di questa procedura. Questa procedura richiede una superovulazione che è contro natura e che causa gravi problemi di salute alla donna e persino la morte. C’è un aumento significativo delle gravidanze tubariche. Questa gravidanza crea un grave rischio alla donna e porta nella maggio-

Una volta c’era il “lettone”, oggi c’è il laboratorio.


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Scienza e morale ranza dei casi alla morte dell’embrione. (Salvo un reimpianto chirurgico nell’utero, che non sempre è possibile). Gli aborti spontanei sembrano molto più alti che quelli sofferti da bambini concepiti naturalmente. Fra i bambini concepiti artificialmente c’è un aumento significativo di nascite premature, con basso peso e un aumento di problemi di salute. Adesso che questa pratica antinaturale ha più di venti anni, ci sono già abbastanza bambini concepiti artificialmente perché si possa fare una ricerca sanitaria, psicologica e sociale su di loro. Già ci sono studi che dimostrano che essi risultano più vulnerabili degli altri, in termini d’adattamento socio-emotivo. Questo dimostra che le coppie che hanno figli concepiti artificialmente causano un danno a se stessi e alla loro prole. Il medesimo atto offende gli insegnamenti di Dio sul modo in cui devono essere concepiti i bambini e viola palesemente il diritto alla vita dell’innocente perché esso causa la morte di un’alta percentuale di questi esseri umani. Con questa legge, si riconoscono alle coppie di fatto diritti analoghi a quelli riconosciuti alle coppie coniugate. L’accesso alla fecondazione artificiale alle coppie di fatto costituisce una grave violazione dei diritti naturali dei figli di nascere in una famiglia regolarmente stabilita. Il riconoscimento delle coppie di fatto è un controsenso perché è una relazione che non vuole essere sottomessa ad un regolamento legale. Questo riconoscimento crea il pericolo che serva come antecedente alla concessione di questo status a coppie omosessuali. La legge astrattamente riconosce il concepito come essere umano nel suo art. 1, e come conseguenza esso è soggetto di diritti. Se fosse un vero riconoscimento questo dovrebbe portare alla abrogazione della legge 194 del

Bambini ordinati, assemblati e pagati: siamo sicuri che non stiamo creando dei mostri?

22 maggio 1978, attraverso la quale si legalizza l’omicidio di questi concepiti. Invece questa legge prevede espressamente nell’art. 14 comma 1 e 4 l’applicazione di quella legge iniqua. Nel comma 4 di questa legge ipocritamente si vieta la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, ma la si permette nei casi previsti dalla legge 194. Questo non fermerà la selezione eugenetica dei bambini apparentemente meglio dotati e la distruzione nell’utero dei fratellini più deboli. A causa del basso livello di successo della fecondazione artificiale, prima che un bambino sia in grado di impiantarsi in utero un’importante quantità di neoconcepiti perderà la vita. Qui dobbiamo considerare la responsabilità dei genitori e degli operatori sanitari che fanno generare un’importante quantità d’embrioni sapendo che un’alta percentuale di essi è destinata a non potersi impiantare e quindi a morire. La persona che crea un rischio è responsabile dei danni che causa con la sua azione. Perciò la fecondazione artificiale, che è ottenuta al prezzo consapevole della morte di numerosi essere umani neoconcepiti, consente queste morti,

perché ne ha creato il rischio e per questo ne è moralmente responsabile. Con questa legge iniqua s’incorpora dentro al diritto positivo la “medicina dei desideri”, ossia si dà una consacrazione a quello che è già immanente nel sistema democratico liberale secondo il quale “l’ordinamento giuridico sarebbe in funzione della realizzazione del soggettivismo.” Si utilizzano le scarse risorse mediche per un’attività immorale. Anche nei paesi ricchi c’è sempre una sproporzione fra i bisogni medici e i mezzi disponibili. La legge autorizza lo Stato a promuovere, organizzare e finanziare la fecondazione artificiale. Questo vuole dire che il contribuente cattolico per mezzo delle tasse è obbligato al sostegno finanziario delle attività che sono palesemente contrarie alla verità della fede. Adesso dovrà pagare anche la fecondazione eterologa. Dopo questa breve analisi della legge 40 non possiamo fare altro che augurarci che un giorno questa legge venga abrogata. Questo non è un sogno irrealistico, ma il desiderio naturale che tutti abbiamo che un giorno prevalgano la verità e la giustizia.

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Scienza e morale Questa tavola di Pacino di Bonaguida (1305 circa), s’intitola “Albero della Vita” ed ha al centro - come fonte di vita - il Crocefisso. Molti, anche se non credono in Cristo, né in Dio, credono nella Vita e nella sua intangibilità

Claudia Cirami

siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica. * sorrialba@gmail.com

Non credenti pro life La ragione parla chiaro, nell’intimo di ciascun uomo: la buona battaglia è per tutti coloro che accettano le leggi naturali, a prescindere dal credo religioso. di Claudia Cirami

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ei uno dei sei milioni?», chiede un blog molto attivo negli Stati Uniti. E’ gestito dai Secular Prolife, non credenti che hanno deciso di dire sì alla vita. Sei milioni sono, negli Stati Uniti, coloro che rifiutano l’aborto, pur non professando alcuna fede. L’esistenza dei Secular Prolife è uno degli esempi possibili per scardinare la convinzione errata che si possa dire no all’aborto e all’eutanasia solo se credenti. Del resto, la Chiesa ricorda che: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro» (Gaudium et Spes, n.16). Anche un non credente, dunque, può sentire il desiderio di difendere la vita dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Su quali basi molti atei e agnostici hanno detto il loro sì alla vita? Ecco cosa si ricava dalle loro parole: • La consapevolezza, fondata su basi scientifiche non pregiudiziali, che ci troviamo sempre di fronte una vita umana, anche quando è in stato embrionale o di grave sofferenza. Così Cristopher Hitchens, intellettuale di solito violentemente antireligioso, sosteneva però che «il feto è vivo, quindi la disputa se debba o meno essere considerata ‘una vita’ è ca-

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suistica. Lo stesso si applica, da un punto di vista materialistico, alla questione se questa vita sia o no “umana”. Cos’altro potrebbe essere?». Riguardo poi alle persone in stato vegetativo per le quali spesso si invoca l’eutanasia, il neurologo Mauro Zampolini ha spiegato: «Per noi che da molti anni riabilitiamo gli stati vegetativi, la questione è lampante: sono tutt’altro che dei “vegetali”, non sono mai del tutto distaccati dall’ambiente, sono sensibili a suoni, voci, situazioni di pericolo e molto altro»; • La convinzione che la soppressione di una vita umana sia inequivocabilmente un omicidio. Il regista Pier Paolo Pasolini sosteneva senza giri di parole: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio». Oriana Fallaci scriveva: «La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità»; • La persuasione, basata su rilievi seri, che aborto ed eutanasia non siano le soluzioni per “risolvere un problema”. Lenin Raghavarshi, comunista e attivista dei diritti umani in India, alcuni anni fa dichiarava: «La cosa più ridicola e assurda è suggerire che l’aborto è una soluzione alla fame, perché permette il controllo sulla popolazione». Sempre riguardo all’aborto, Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, si è

Nell’intimo della coscienza la legge naturale chiama ad amare, a fare il bene e a fuggire il male: anche un non credente, dunque, sente l’invito a difendere la vita dal suo concepimento fino al suo termine naturale. opposto ad una «schizofrenica e grottesca ideologia della salute della donna, che con la donna in carne e ossa e con la sua speranza di salute e di salvezza non ha niente a che vedere» e che, tante volte, determina le uccisioni dei bambini non nati. E sull’eutanasia Lucien Israel, medico, è certo: «Oggi è possibile placare tutte le sofferenze, non c’è nessuna ragione di invocare l’eutanasia». È corretto precisare che non sempre i non credenti abbracciano integralmente quanto sostiene la dottrina cattolica su aborto ed eutanasia (per esempio: alcuni dicono no all’aborto, ma sì alla contraccezione), ma è importante mostrare che un terreno comune esiste. La collaborazione tra credenti e non credenti per diffondere la cultura della vita è dunque possibile e auspicabile.


Notizie

Paola Bonzi

Scienza e morale

Si definisce “una vecchia bambina che sessantanove anni fa è nata nell’ultimo paese della Lombardia,​a casa dei nonni paterni perché a Milano cadevano le bombe​”. Dirige il Centro di Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli, che lei stessa ha fondato nel 1984. : www.paolabonzi.it

Una buona notizia: la storia di Ginevra Con gioia pubblichiamo le testimonianze e le vicende a lieto fine che ci giungono dal CAV della clinica Mangiagalli di Milano: hanno salvato una dozzina di migliaia di bambini, ma ogni vita salvata ha un valore inestimabile e da sola è sufficiente per dare un senso a tutto il lavoro e la fatica dei volontari che vi operano. di Paola Bonzi

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icevo una visita da Ginevra, una signora che il CAV aveva aiutato qualche giorno prima, ma che chiede con insistenza di essere ricevuta. “Noi ci siamo già parlate al telefono due giorni fa? – interloquisco – che cosa la porta qui da noi ancora?” La sua risposta mi meraviglia: “La sua voce. Al telefono mi è sembrata una voce buona e sento il bisogno di confidarmi con lei.” Ed ecco: Ginevra abita in un monolocale con il marito e la sua piccola Diletta di quattordici mesi. E’ gravida alla ottava settimana di un secondo figlio che voleva abortire per le drammatiche condizioni economiche in cui versa; avevamo concordato un progetto d’aiuto e, per grazia, l’aborto era stato scongiurato. Però, la proprietaria dell’alloggio in cui vive non ha mai denunciato il loro contratto di affitto che, da quando il marito è in cassa-integrazione, non riescono più a pagare. La signora le chiede di liberare l’alloggio al più presto. Loro, poiché non sanno dove andare, le hanno chiesto di pazientare. Sono così iniziate le mosse intimidatorie: ha portato via gli utensili da cucina, ha chiuso l’acqua… Ginevra scoppia in lacrime irrefrenabili: “Come faremo ad andare avanti?

Sono andata dall’assistente sociale del Comune dove abito e lei, davanti al sindaco, ha minacciato di portarmi via la piccola se mi vede in strada, per esempio la sera, quando la proprietaria dovesse impedirci di entrare in casa. Voi mi avete già aiutato con una certa somma di denaro, ma i debiti da pagare sono tanti e, con quei soldi, ho cercato di restituire qualcosa. Ora, però, devo trovare un’altra casa.” Rimango allibita. Che cosa fare? Il telefono, in casi come questo, è un grande amico. So che stiamo tentando di rimettere a posto una casa dove per anni abbiamo accolto madri sole. La vogliamo risistemare, ma le nostre finanze, sempre più scarse, non ci permettono di continuare ad usarla. Ho in linea il nostro presidente Matteo che, dopo tanti anni, è abituato alle mie strane richieste: “Ho assolutamente bisogno di un posto per questa famiglia. La signora è sconvolta e la capisco, le minacce ricevute le stanno togliendo forza vitale. So della situazione disastrata del nostro alloggio di piazza Segesta, gliene avrei anche già parlato. Lei è disposta a tutto pur di andar via dal posto in cui sta.” Matteo non mi risponde subito; è più riflessivo di me e immagino che stia pensando a tutto ciò che era stato deciso in consiglio direttivo. Con l’impertinenza che mi contraddistingue lo sollecito. “La signora è consapevole ed è dispo-

sta a tutto pur di ‘mettersi in salvo’. Ci siamo anche dette che lei pulirà per bene e che suo marito potrebbe dare una bella mano di bianco ai locali.” Altri fiumi di lacrime, questa volta di felicità. Ginevra chiede di poter far entrare anche il marito, rimasto nel corridoio con la piccola Diletta. Esce piangendo e lo aggiorna. Lui non capisce subito che sono lacrime di gioia, ma poi comincia a ringraziare. Così abbiamo organizzato il trasporto delle loro poche cose e si sono trasferiti. Il giorno dopo, sabato scorso, il mio amico Vittorio che collabora con noi, mi chiama: “C’è una persona che vuole parlare con te, te la passo.” Sento la voce di Ginevra: “Che Dio la benedica! Non credevo più, ma lei e tutti i suoi amici mi avete riportato alla fede. Questa notte, finalmente, abbiamo dormito tranquilli, soprattutto Diletta. Vittorio ci ha portato a comprare gli attrezzi e una latta di vernice. Mio marito non vede l’ora di iniziare a imbiancare.” Ora sono io con un bel magone che mi stringe la gola e quasi mi impedisce di parlare: “Che il Signore benedica soprattutto voi che, coraggiosamente, vi siete fidati di noi. State dando la vita a un bimbo che farà compagnia a Diletta. Nulla è più grande del dono della vita! State bene, non stancatevi troppo e … tanti auguri!”

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Scienza e morale

Newlife

è curioso di tutto e si ciba di ogni singola informazione che trova. A volte questo gli crea un “Buffer Overflow”: abile nel riconoscere l’avvicinarsi dell’evento, Newlife ‘stacca la spina’ e prenota il primo viaggio utile...

Il genocidio dei bambini Down La nuova eugenetica pretende la legalità di ciò che poco meno di settanta anni fa era stato definito “aberrante” dall’umanità. di Newlife

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l 9 Dicembre 1946, al termine della seconda guerra mondiale, si svolse il cosiddetto ‘Processo ai Dottori’, incastonato nel più famoso ‘Processo di Norimberga’; molte le persone condannate a morte per i gravissimi delitti perpetrati in ossequio alla famigerata AktionT4, come il dottor Karl Brandt, responsabile di crimini di guerra e contro l’umanità, per aver partecipato e consentito l’attuazione del programma per lo sterminio di migliaia di persone ritenute insane, incurabili, deformi e mentalmente ritardate. “Mai più!” era il grido unanime degli autori e dei commentatori degli atti del processo. La storia però, come spesso accade, riavvolge il nastro del tempo cancellando gli insegnamenti di epoche

I paesi che hanno condannato l’eugenetica nazista a Norimberga, oggi praticano e predicano lo sterminio sistematico - attraverso l’aborto e l’eutanasia - dei bambini Down e di tutti coloro che “non vivono una vita degna di essere vissuta”.

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precedenti. Negli Stati Uniti, oggi, il novantanove per cento delle persone con la sindrome di Down hanno relazioni felici. Gli studi dimostrano anche che la loro gioia ha un dirompente effetto a catena nelle loro famiglie e nelle comunità di cui fanno parte. Nonostante questo, “tragicamente, alla maggior parte dei bambini a cui viene diagnosticata prima della nascita la sindrome di Down, la vita viene interrotta”, dice Mark Bradford, della Fondazione Lejeune americana; il quale afferma anche che questo avviene perché i genitori hanno paura di un futuro incerto, preoccupazione che il proprio figlio possa soffrire, paura di dover gestire difficoltà e problemi di salute. La maggior parte di queste idee potrebbero essere rimosse se si riuscisse a renderli partecipi delle esperienze di altri genitori che le hanno superate. Purtroppo gli Stati Uniti preferiscono l’aborto, piuttosto che l’approccio conoscitivo: per questo si raggiunge la percentuale del 90% di aborti di bambini con sindrome di Down (e ovviamente anche le altre anomalie del nascituro - a volte banali, o comunque curabili - ne decretano la condanna a morte). In Gran Bretagna, la percentuale non è certo inferiore. Anche fuori dei limiti (blandi) posti dalla legge. La Sanità inglese ha confermato che il 54 per cento degli aborti vengono effettuati in modo illegale. Per esempio, nel 2012, in 98 mila casi il medico

non ha incontrato neanche una volta la madre che voleva interrompere la gravidanza, contrariamente agli obblighi giuridici; nessuna azione legale, però, è stata intentata nei confronti dei medici abortisti ‘fuori dalle regole’. In Belgio, poi, il governo è riuscito ad andare oltre: da Febbraio è possibile l’eutanasia infantile; un cortocircuito mentale che porta a sancire il “diritto alla morte dei bambini”: una legge mostruosa, nascosta sotto il vestito del cosiddetto ‘gesto compassionevole’. Non stupiscono, allora, le statistiche che indicano che nei paesi dell’Europa settentrionale - ormai - non nascono più bambini Down. Intanto, molti predicano, anche da posizioni autorevoli e altolocate, che l’eutanasia risolverebbe tanti problemi economici di assistenza sociale... E pensare che lo scorso 21 marzo durante il World Down Syndrome Day, uno spot che ancora si può trovare su internet (youtube.com/ watch?v=1ovmigXEj2c) faceva impazzire i più famosi social network e il web con centinaia di milioni di condivisioni. Tutti l’hanno visto con commozione. Poi, tutti sono tornati a vivere la vita di tutti i giorni, tra automobili che sfrecciano, aerei superveloci, con in tasca il telefonino all’ultima moda, mentre il 90% dei bambini Down vengono uccisi prima di nascere, proprio nei paesi che a Norimberga vollero affermare un deciso “Mai più!”.


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Letture consigliate Francesco Tanzilli PER LA DONNA, CONTRO LE DONNE Margaret Sanger e la fondazione del movimento per il controllo delle nascite Edizioni Studium Pochi conoscono l’influenza che ebbe Margaret Sanger (1879-1966) sulla diffusione della “cultura della morte” nel mondo occidentale. Ha ideato il “controllo delle nascite”, convinta che l’impiego sistematico della contraccezione e dell’aborto avrebbe emancipato la donna e avrebbe posto fine a povertà, guerre e malattie. Collaborò con eugenisti e neo-malthusiani, fondò riviste e associazioni anti-nataliste, come l’attuale International Planned Parenthood Federation. Il volume, basato sulla stampa dell’epoca e sulla documentazione raccolta negli archivi statunitensi, costituisce la prima monografia italiana sull’argomento: essenziale per conoscere un movimento ancor oggi in piena espansione. Ettore Gotti Tedeschi Amare Dio e fare soldi Massime di economia divina Editore Fede &Cultura Vent’anni di riflessioni e considerazioni sulla morale nell’economia firmate dal banchiere ex presidente dello IOR. E’ vero che non si può conciliare Dio e Mammona: è più facile che un cammello passi dalla cruna dell’ago… Eppure può esistere una via morale all’economia, purché sia intesa come mezzo e non come fine a se stessa. E purché l’economia non sia intesa come scienza esatta che piega a sé la natura, ma come strumento di produzione del Bene. Allora l’economia diventa anche “divina”, in grado cioè di condurre l’uomo alla realizzazione della sua felicità piena, che è maggior benessere per tutti sulla Terra e salvezza per ciascuno nell’eternità.

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