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Infosportpagine
Rivista Mensile N. 8 - Settembre 2013
“nel nome di chi non può parlare”
Musica per la Vita: intervista a Nek
Quando il “femminicidio” non fa notizia
La testimonianza di un sopravvissuto alla strage degli innocenti in Cina
I sopravvissuti: quando l’aborto non funziona
- Sommario -
Notizie
Editoriale 3 Notizie dall’Italia Notizie dal mondo
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Primo Piano Il nostro compito è avere un sogno
Editore MP cooperativa giornalistica Sede legale Via Marlengo 49/b, 39012 Merano (BZ) Autorizzazione Tribunale BZ N6/03 dell’11/04/2003 Codice ROC MP 12603
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Direttore Responsabile Francesca Lazzeri
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Direttore Editoriale Francesca Romana Poleggi
Lorenzo Bertocchi
Sopravvivere all’aborto
Testata Infosportpagine-ProVita
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Jin Cai
La vita è in te, e va difesa
N. 8 - SETTEMBRE 2013
Redazione Mario Palmaro, Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Largo della Caffarelletta 7, 00179 Roma. Tel/fax: 06-3233035
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Alberto Calabrò
Sopravvissuto alla strage degli innocenti
RIVISTA MENSILE
Aldo Vitale
Quando il progresso della medicina diventa un problema legale 16 Benedetto Rocchi
Direttore Amministrativo Beniamino Iannace Segretaria di Redazione Camilla Tincani Progetto grafico Massimo Festini
Attualità L’Islanda spegne le luci… rosse
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Tipografia Aesse Stampa, Via Pirandello 12, 82100 Benevento
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Distribuzione MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Rapida Vis, Via Cadlolo 90 - 00136 Roma
Giulia Tanel
Quando il “femminicidio” non fa notizia Francesca Romana Poleggi
Un’icona per la vita innocente
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Marco Invernizzi
La missione di Michela Marzano
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Roberto Dal Bosco
Scienza e Morale L’aborto e il cuore maschile
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Antonello Vanni
L’amore puro tra i fidanzati, una rivoluzione possibile 18 Carlo Principe
La teologia del corpo, visione integrale della persona 19 Roberto Marchesini
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Alberto Zelger
Non pagare per uccidere: come obiettare?
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Andrea Mazzi
Famiglia, oltre totem e tabù Leonardo De Chirico
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per un aggiornamento quotidiano:
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Famiglia ed Economia Il Family Day di Bassano del Grappa
Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero Lorenzo Bertocchi, Antonio Brandi, Alberto Calabrò, Roberto Dal Bosco, Leonardo De Chirico, Marco Invernizzi, Jin Cai, Roberto Marchesini, Andrea Mazzi, Francesca Romana Poleggi, Carlo Principe, Benedetto Rocchi, Giulia Tanel, Antonello Vanni, Aldo Vitale, Alberto Zelger.
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Editoriale
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Editoriale
La forza della speranza
Siamo felici di ospitare in questo numero un’intervista a Nek, un cantante giovane che parla ai giovani di Vita e che quindi rappresenta un segno di speranza. Il suo intervento va a compensare il fatto che il tema di questo mese è molto triste e doloroso. Accade più spesso di quanto si possa pensare, infatti, ciò che è accaduto a Gianna Jessen, cioè che i bambini abortiti nascano vivi, ma la maggior parte di loro non ha la fortuna che ha avuto la Jessen. Fece scalpore, nel 1999, la trasmissione di Canale 5 “I figli dell’aborto”: un bambino di sole 24 settimane se la cavò bene e venne poi dichiarato adottabile. Casi analoghi, purtroppo senza il lieto fine, si sono verificati nel 2007 a Firenze e nel 2010 a Rossano Calabro. Bisogna sottolineare, per inciso, che in casi come questi la nostra legge 194 consente l’aborto terapeutico oltre le 21 settimane. A parte il fatto che “terapeutico” dovrebbe significare “che cura”, e invece uccide, si usa questo sistema per eliminare bambini con malformazioni - come il labbro leporino - che potrebbero essere facilmente corrette con un intervento chirurgico dopo la nascita, o anche prima, visti i passi da gigante fatti dalle terapie fetali in questi ultimi 20 anni. E purtroppo sono troppi i bambini che muoiono lentamente, in fredda solitudine, sui tavoli operatori o nelle buste di plastica dei rifiuti ospedalieri, con grande disagio e imbarazzo del personale sanitario. Chissà cosa farebbero le molte madri mancate se conoscessero queste storie dolorose? Il fatto è che cento anni fa nessun neonato
sopravviveva se nasceva prima delle 30 settimane di gravidanza; oggi sopravvive il 70% dei neonati partoriti fra la 25ª e la 28ª settimana, il 10% di quelli venuti alla luce fra la 23a e la 25a settimana e il 3% dei neonati di 22 settimane, e certamente la sopravvivenza di questi bambini crea un bel problema agli abortisti. Perciò alcuni uccidono il bambino nell’utero con un’iniezione nel cuore, prima di indurre il parto. Per questo motivo in USA si è andata abbandonando la pratica dell’aborto salino e si preferisce fare a pezzi il piccolo (procedura chiamata “dilatazione ed evacuazione”) oppure uccidere il bimbo al momento del parto. Perciò – purtroppo – la clinica degli orrori di Gosnell è solo la punta di un iceberg di sangue innocente, che arriva certamente fino all’Europa e all’Italia. La legge 194 (artt. 6 e7) consente l’aborto tardivo finché il feto non è capace di “sopravvivenza autonoma”. Tal espressione è scientificamente errata: nel seno materno, il feto ha una vita propria. Del resto, nessun animale, e nemmeno l’uomo, è autonomo in senso assoluto per la sua sopravvivenza: tutti noi, “capaci di vita autonoma” dipendiamo dall’aria, dal sole e dal nutrimento, così il feto dipende dall’utero materno e dalla placenta. La nostra Cassazione ha più volte ribadito che il medico deve sempre assistere il neonato prematuro, anche quando avesse poche speranze di vita. Obbligo analogo è sancito dalle leggi di molti paesi abortisti. C’è differenza, quindi, tra “nati prematuri” e “abortiti vivi”? In America, a un’infermiera che era corsa a chiamare il pediatra per assistere un bimbo vivo dopo un aborto salino, il medico ha risposto: “Quello non è un bambino, è un aborto”. Nonostante tutto, come canta Nek, “allora amico mio anche tu resta in piedi come noi, pensa quando cadrà la follia e si vedrà apparire l’alba di un giorno nuovo”: noi dobbiamo restare in piedi, mantenere la speranza e continuare a orare et pugnare per la Vita. Antonio Brandi
Notizie dall’Italia
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4 COMBATTI PER LA VITA CON NOI! Noi di Notizie ProVita combattiamo una battaglia culturale per la Vita e per la Famiglia naturale, senza se e senza ma. Organizziamo anche proiezioni di film, come October Baby, spettacoli teatrali, come Il Mondo di Lucy, dibattiti nelle scuole e nelle Parrocchie per educare alla Vita e sensibilizzare l’opinione pubblica, soprattutto i giovani, nella speranza di prevenire aborti e così salvare vite. Aiutaci a diffondere Notizie Pro Vita: regala abbonamenti ai tuoi amici, sostienici mediante una donazione tramite il Conto Corrente c/o Banca Popolare di Puglia e Basilicata IBAN IT94X 0538515000000000003442 oppure il CCP n. 1009388735 intestati a M.P. Società Cooperativa Giornalistica a.r.l. Avanti per la Vita! La prima enciclica di Papa Francesco, Lumen Fidei, al n. 52 parla della famiglia, luogo di trasmissione della fede, come “unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale…La fede poi aiuta a cogliere in tutta la sua profondità e ricchezza la generazione dei figli, perché fa riconoscere in essa l’amore creatore che ci dona e ci affida il mistero di una nuova persona”.
Il consiglio comunale di Milano ha approvato la delibera che istituisce il registro sulle dichiarazioni anticipate di fine vita in tema di trattamento sanitario. L’amministrazione milanese non potrà però custodire fisicamente le dichiarazioni anticipate di fine vita in tema di trattamenti sanitari, donazioni di organi, cremazione e dispersione delle ceneri, ma si limiterà a raccogliere l’atto notorio del cittadino che attesta la deposizione del proprio biotestamento presso un notaio, un medico di fiducia o un’associazione. “Così il registro per le dichiarazioni sul fine vita è inutile. Rafforza solo l’idea che esistono vite non degne” ha scritto su Twitter l’assessore regionale alle attività produttive, malato di Sla.
La clinica svizzera Dignitas, a Basilea, ha “suicidato” negli scorsi mesi Pietro D’Amico, un magistrato calabrese di 62 anni, che aveva ricevuto la diagnosi infausta di un male incurabile. Ma poi si è scoperto che la diagnosi era sbagliata. Non è il primo caso di suicidio errato o controverso, che si è verificato nella Dignitas. E un’ex impiegata ha recentemente denunciato dei casi di abuso. Ma l’opinione pubblica non viene adeguatamente informata…
Tra la fine del prossimo gennaio e l’inizio marzo, in oltre 20 città italiane, si terranno i “Mendel Day”, simbolo all’amicizia tra Fede e ragione. Perché tra scienza e fede non vi è contrasto, e perché bisogna parlare della buona scienza, a favore dell’uomo, affrontando alcuni argomenti di bioetica. Chi volesse organizzare una serata Mendel Day nella sua città può scrivere a: mendelday@mendelday.org.
Nel Palazzo della Gran Guardia di Verona, L’Associazione Famiglia Domani e il MEVD-Movimento Europeo Difesa Vita hanno organizzato per il 21 settembre un convegno sul tema: “L’ideologia del gender: una minaccia contro l’umanità?” per ribadire che bisogna riscoprire il valore sociale, culturale e morale, dei princìpi e delle istituzioni su cui da secoli si fonda la nostra civiltà, a cominciare dalla famiglia naturale, formata da un uomo e una donna allo scopo di mettere al mondo ed educare dei figli. Grande attenzione al mondo giovanile, accoglienza residenziale di donne in particolare difficoltà con i loro bambini, sono gli scopi principali del Centro di aiuto alla vita di Mantova, nato nel 1981 e che ha un nuovo punto di ascolto anche all’ospedale cittadino “Carlo Poma” e un nuovo centro di ascolto telefonico (0376.225959), che raccoglie le problematiche e le domande dei giovani che chiamano da tutta Italia. Il CAV ha inoltre avviato il Progetto Speranza: il CAV, con i fondi raccolti grazie a benefattori, corrisponde una somma mensile alle donne incinte in difficoltà. La Giunta Regionale abruzzese ha stanziato 420 mila euro per la promozione della genitorialità, il miglioramento della qualità della vita delle famiglie e delle donne, e il sostegno psicologico e socio-assistenziale delle famiglie in particolari difficoltà. L’auspicio è che gli ambiti sociali, i Consultori e le Associazioni riescano a confrontarsi per programmare le loro progettualità con un approccio di rete in modo da ampliare l’efficacia degli interventi nei singoli territori.
A Catanzaro è nata la piccola Paola, l’ultima arrivata di una famiglia record che conta ora ben sedici figli. Il papà Aurelio Anania lavora all’Accademia di Belle Arti del capoluogo calabrese, mentre Rita, per seguire i figli, il lavoro l’ha dovuto lasciare. La coppia è molto religiosa ed è impegnata in un percorso di fede neocatecumenale. Gli Anania vivono in un appartamento di 110 metri quadrati in un quartiere frutto della recente espansione della città e non sembrano per nulla lasciarsi intimorire dalla crisi.
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5 Temendo le conseguenze provocate da un tasso di fertilità pari a 1,28 bambini per donna – tasso tra i più bassi al mondo e inferiore alla soglia necessaria per il ricambio generazionale – il Parlamento nazionale lituano ha votato con 46 voti a favore e 19 contrari un disegno di legge che limita la possibilità di aborto al caso di stupro, incesto o pericolo di vita per la madre. Finora, invece l’aborto era possibile senza limiti fino alla 12a settimana.
Il Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA) ha speso $4.861.000 in Cina, lo scorso anno, “per i programmi dinamici sulla popolazione”, per la “pianificazione familiare” e altri progetti di controllo delle nascite. Ricordiamo a tutti i lettori contribuenti che la suddetta agenzia ONU è finanziata con i fondi che vengono stanziati dagli Stati membri, quindi anche con i nostri soldi. A Londra i dottori avevano diagnosticato un esito infausto per la gravidanza di Shelly e Rob Wall. Avevano ovviamente cercato di convincerli ad abortire, ma Rob e Shelly hanno tenuto duro. Certo la loro speranza era così fievole che avevano addirittura comprato una piccola bara e organizzato il funerale per il loro piccolo Noah… e invece, a dispetto di tutte le previsioni, Noah ha da poco compiuto un anno: ha imparato a muovere le gambe e le braccia e parla, ed è la gioia dei suoi genitori. Il Liverpool Care Pathway, il protocollo che di fatto consente l’eutanasia in Inghilterra, è “sotto accusa”: Peter Tulloch ha denunciato l’ospedale che - applicando detto protocollo ha “terminato” la sua mamma quasi novantenne, senza il consenso né di lei, né dei familiari. A Sidney, in Australia, la polizia ha scoperto un orrendo traffico: un bambino di 6 anni veniva costantemente abusato dai suoi due “papà” omosessuali che lo “prestavano” anche ad amici e lo “vendevano” su internet in foto e filmati porno. I due fanno parte del “Boy Lovers network”. I media australiani avevano spesso parlato della coppia, come di un modello d’amore e di famiglia felice. Era una “vera storia d’amore”, coronata dall’arrivo del figlio, dopo che i due avevano trovato in Russia un utero in affitto.
Il Primo Ministro russo Vladimir Putin ha firmato il disegno di legge che vieta la promozione dell’omosessualità, il “matrimonio omosessuale”, e le sfilate tipo Gay Pride in tutta la Federazione Russa. La legge vieta la propaganda di “concetti sessuali non tradizionali” per i bambini, sotto pena di multe, carcere ed espulsione (se si tratta di stranieri). Pene più severe per chi promuove “relazioni sessuali non tradizionali” attraverso i media o Internet. Allo stesso tempo, Putin ha firmato il disegno di legge che vieta la profanazione di oggetti religiosi e l’offesa alla sensibilità religiosa. Rebecca Turner, 20 anni, incinta di Scarlett, al quinto mese di gravidanza scoprì che la bambina era affetta da ipoplasia del cuore, per cui la parte sinistra dell’organo non poteva crescere in utero. I medici dissero alla ragazza che le possibilità di sopravvivenza della figlia erano del 50 per cento e che sarebbe stato meglio abortire. Ma per Rebecca e il compagno, Daniel Crowther, 22 anni, quella non era la soluzione. La piccola è nata, ed è stata operata due volte presso l’ospedale pediatrico Alder Hey di Liverpool. L’esito è stato positivo. I suoi progressi sono impressionanti. Sebbene il suo cuore non sarà mai completamente sviluppato, la bimba potrà condurre un’esistenza normale. Soprattutto è incredibile quanto stia bene e come sia felice. La nostra rivista, Notizie Pro Vita, si può acquistare presso i seguenti punti vendita Priorato S. Pio X-Via Trilussa, 45-Albano Laziale (RM) Antica Rampa Libreria Caffè-Via San Giovanni, 31-Badia Polesine (RO) Libreria Ancora Brescia-Via Tosio, 1-Brescia Parrocchia di Sant’Anastasio Martire-Via Don Luigi Villa-Cardano al Campo (Varese) Parrocchia S. Marco-Via San Giovanni, 2-Civezza (Imperia) Fondazione D’Ettoris -Via F.A. Lucifero, 38-Crotone (KR) Chiesa Ognissanti-Borgo Ognissanti, 42-Firenze Libreria Don Bosco - Elledici-Via Gioberti, 37/A-Firenze Centro Distribuzione CLC-C.da Vazzano snc Complesso Motta-Motta S. Anastasia (CT) Libreria San Paolo Gregoriana-Via Roma, 37-Padova Libreria “La Goliardica”-Via Calderai, 67/69-Palermo Parrocchia di Borgotrebbia-Via Trebbia, 89-Piacenza Le Querce di Mamre Onlus-Via Trebbia, 89-Piacenza (PC) Libreria Edizioni Paoline -Via Capponi, 6-Pisa Libreria Ancora Roma-Via della Conciliazione, 63-Roma Libreria Aquisgrana-Via Ariosto, 28-Roma Libreria Centro Russia Ecumenica-Borgo Pio, 141-Roma Libreria San Paolo-Via della Conciliazione, 16/20-Roma Parrocchia S. Bernardo da Chiaravalle-Via degli Olivi, 180-Roma Parrocchia di San Corbiniano-Via Ermanno Wolf Ferrari, 201-Roma Parrocchia Sacra Famiglia-Via di Villa Troili, 56-Roma (RM) Libreria Salesiana-Via Provinciale Calcesana, 458-San Giuliano Terme (PI) Priorato Madonna di Loreto-Via Mavoncello, 25-Spadarolo (Rimini) Libreria Ancora Trento-Via Santa Croce, 35-Trento Vuoi che Notizie Pro Vita venga diffuso anche nella tua città? Chiama la Redazione allo 06 3233035 o scrivi a redazione@prolifenews.it
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Dopo la legge emanata in Texas che vieta l’aborto tardivo, Pat McCrory, governatore della North Carolina, ha promulgato una normativa che vieta il finanziamento dell’aborto con denari pubblici, vieta gli aborti sessoselettivi, e vieta la pratica diffusa per cui il medico segue a distanza l’aborto chimico della paziente, attraverso una web cam e / o il telefono. Sono così 19 gli Stati USA che hanno emanato norme restrittive sull’aborto. Sono dei piccoli passi avanti. Ma noi vogliamo credere e sperare che sia solo l’inizio di una inversione di tendenza a favore della cultura della Vita.
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L’Islanda spegne le luci… rosse L’Islanda progressista e disinibita sta assumendo un atteggiamento repressivo nei confronti della pornografia e dei locali a luci rosse.
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el Catechismo della Chiesa Cattolica è affermato che «la legge naturale è immutabile e permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane sotto l’evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso. Le norme che la esprimono restano sostanzialmente valide. Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può distruggere, né strappare dal cuore dell’uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società» (CCC 1958). La legge naturale, la quale «indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale» (CCC 1955), è dunque naturalmente presente nell’animo umano. Tutto sta nella scelta dei singoli di dare ascolto alla propria natura, piuttosto che asservirsi a una qualsivoglia ideologia. Al giorno d’oggi a prevalere è purtroppo questo secondo atteggiamento; pur di non venire meno ai principi formulati sulla base di speculazioni teoriche, si
Un suggestivo panorama islandese
calpesta l’elementare ordine delle cose: alla natura si preferisce la cultura, in una dicotomia che non può che rivelarsi sterile. In ambito bioetico gli esempi in tal senso si moltiplicano: dall’aborto, all’eutanasia, passando per le unioni omosessuali e per le aberrazioni moderne degli uteri in affitto, della banca del seme, e via discorrendo. Tuttavia, in tale contesto di pervasivo venir meno del rispetto della legge naturale, ogni tanto affiorano anche dei segnali positivi. Si veda, ad esempio, l’Islanda: uno dei Paesi più liberi dal punto di vista della sessualità, il più egualitario nei rapporti tra uomini e donne e l’unica nazione ad aver avuto alla propria guida un Primo Ministro dichiaratamente omosessuale, la sessantenne Jóhanna Sigurðardóttir. Nonostante queste premesse, l’Islanda si sta dimostrando uno Stato rispettoso dei principi della legge naturale, come dimostrano alcuni recenti provvedimenti in assoluta controtendenza rispetto
al resto del mondo. In primo luogo un paio d’anni fa, per volontà della stessa Sigurðardóttir, erano stati dichiarati fuorilegge i locali a luci rosse, in quanto lesivi dei diritti delle donne che avrebbero dovuto lavorarci. Inoltre, una legge in vigore già da diversi anni proibisce la stampa e la distribuzione di materiale pornografico e nel febbraio scorso il Ministro dell’interno Ögmundur Jónasson, appartenente a un partito ecologista di sinistra, ha istituito un gruppo di lavoro con il fine di proporre una legge che vieti anche la pornografia “digitale”. In Islanda, dunque, esponenti di fazioni politiche che saremmo soliti definire di “sinistra”, o “progressiste” stanno portando avanti un progetto che non contravviene l’indole dell’animo umano. Affinché questo sia possibile, è tuttavia necessario non essere obnubilati dalle ideologie o dal desiderio di realizzare profitti economici ed essere onesti nei confronti di se stessi, prima ancora che degli altri. Alcuni politici italiani avrebbero molto da imparare dagli islandesi, soprattutto coloro che dovrebbero programmaticamente difendere determinati valori. E qui il pensiero non può che andare agli onorevoli del Pdl che nel giugno scorso hanno presentato la Proposta di Legge dal titolo “Disciplina dell’unione omoaffettiva”. La legge naturale è inscritta nel cuore dell’uomo, basta seguirla. Per il bene nostro e dell’umanità nel suo complesso, perché spesso quando ci si accorge di aver sbagliato è ormai troppo tardi. Giulia Tanel
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Quando il “femminicidio” non fa notizia
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Parlano continuamente e condannano - giustamente - la violenza sulle donne. Ma i politically correct ignorano completamente le tante morte in seguito ad aborto legale.
ualche mese fa ha fatto scalpore la morte della signora Savita Halappanavar, in Irlanda. Essa è stata strumentalmente connessa a un mancato aborto ed è divenuta il cavallo di battaglia dei pro choice irlandesi, e non solo, perché – secondo loro – la signora ha perso la vita per colpa della legislazione pro life dell’Irlanda cattolica. Ovviamente poi nessuna risonanza mediatica è stata data alla smentita che c’è stata in sede giudiziaria, quando perfino il perito di parte nominato dal vedovo ha riscontrato che la setticemia fatale non aveva nulla a che fare con la gravidanza e l’aborto negato. Tutti gli strenui difensori dei diritti delle donne, rispetto alle pratiche di mala sanità e alla mancata garanzia del “diritto alla salute riproduttiva”, però, sono un po’ distratti: infatti non protestano mai contro le cliniche di Planned Parenthood, dove troppo spesso le donne che chiedono di abortire vengono, invece, letteralmente macellate. Vale la pena ricordare che Planned Parenthood è l’organizzazione miliardaria pro aborto più grande e potente del mondo, con appoggi politici ed economici del livello della famiglia Rockefeller o di Bill Gates. Essa si vanta per aver contribuito a uccidere quasi un milione di bambini nel corso degli ultimi tre anni, con lo scopo di “salvaguardare i diritti delle donne” e di realizzare una moderna e politicamente corretta politica di pianificazione familiare. Con buona pace del popolo americano essa trae circa il 50 per cento del suo so-
Jennifer Morbelli, morta a 30 anni in seguito ad un aborto.
stegno finanziario (circa 540 milioni di dollari l’anno) da finanziamenti statali. Alan Sears, il presidente di Alliance Defense Fundation, ha scritto su LifeNews.com l’ennesima storia dell’orrore che si è consumata all’interno di una clinica di Planned Parethood. Ayanna Byer, 40 anni, era ricoverata, a Colorado Springs, con l’intento di avere un aborto, ma ha cambiato idea quando ha saputo che non poteva fare l’intervento in anestesia totale. Nonostante le sue proteste, l’aborto è andato avanti, mentre lei giaceva completamente sveglia e con notevole dolore. La Byer è stata quindi dimessa. Due giorni dopo, era in un pronto soccorso con la febbre alta, in stato di setticemia: riferisce il medico di guardia che l’assisteva: “E’ stato necessario un immediato intervento chirurgico ad alto rischio per rimuovere i resti del
feto e della placenta che le erano stati lasciati in grembo. Ho chiamato Planned Parenthood per conoscere i risultati delle analisi effettuate nel precedente ricovero, perché ho avuto il sospetto che la paziente avesse avuto una gravidanza extrauterina, e ho scoperto che il medico abortista non aveva fatto alcun esame clinico, ma solo un’indagine a vista”. Procedura che non è appropriata: secondo il medico del pronto soccorso in nessun ospedale si pratica un aborto senza controllare con esami clinici appropriati ciò che viene estratto dal corpo della donna. Questa ha citato in giudizio Planned Parenthood: non solo per aver rischiato la vita, ma perché l’aborto, alla fine, è stato praticato contro la sua volontà e inferendole un acutissimo, insopportabile, dolore. Di episodi come questo nelle cliniche Planned Parenthood ne accadono moltissimi e molti hanno esito letale. Nel Maryland una donna di 30 anni, Jennifer Morbelli, è morta, dopo un aborto praticato a gravidanza inoltrata. Stessa sorte era toccata a Marla Cardamone, 18 anni, a Christin A. Gilbert, di 19 anni, a Maria Santiago, 38 anni, a Tonya Reaves, 24, in diversi Stati americani: sul sito www.safeandlegal. com sono elencati centinaia di nomi. E certamente sono molti di più i casi non registrati. Quanti ce ne saranno in Italia? Una Savita è bastata per scatenare l’indignazione delle femministe di mezzo mondo. Tutte queste, invece, non sono donne? Francesca Romana Poleggi
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Un’icona per la vita innocente Il CAV che opera all’ospedale Mangiagalli di Milano, nonostante l’attività intensa e le numerose vite di donne e bambini salvate, rischia di dover chiudere per mancanza di fondi.
È
dal 1984 in prima linea nella battaglia per la vita, per ogni vita innocente minacciata da una legge che permette di uccidere i bambini nel grembo materno. Stiamo parlando del Centro Aiuto alla Vita della clinica Mangiagalli di Milano e della sua fondatrice Paola Bonzi. Un CAV che dopo aver salvato dall’aborto decine di migliaia di bambini e di mamme (e anche di padri, da non dimenticare), oggi si trova in grande difficoltà e ha bisogno del nostro aiuto. Il Centro opera all’interno di una struttura ospedaliera dove si eseguono aborti, in partibus infidelium potremmo dire. Questo comporta la massima attenzione a che cosa si dice e a come ci si muove. Altrimenti si rischia una denuncia. Difendere la vita sostenendo chi ha bisogno di assistenza, nel mondo occidentale di oggi, non è un’impresa semplice. C’è una legge dello Stato italiano, la 194 dal 1978, e un clima culturale nettamente abortista nel nostro Paese, per cui chi si vuole muovere diversamente, in un senso pro life, deve tenerne conto. I trenta operatori del CAV Mangiagalli lo sanno. Sono psicologi, consulenti familiari, impiegati, divisi in due sedi all’interno e nei pressi della clinica milanese, e sono tutti innamorati di quel
I volontari del CAV lavorano col cuore, ma solo i pannolini, in un anno, costano 170mila euro!
La clinica Mangiagalli di Milano
che fanno: esaltare il dono della vita salvandone il più possibile, dimostrando fin da subito alle 4700 persone che si presentano ogni anno di volere il loro bene e quello dei bambini che si portano in grembo. Perché la lotta contro l’aborto ha una dimensione culturale e una politica, ma qui, nella trincea della Mangiagalli, ha innanzitutto il tratto dell’amore e del sorriso con cui si accolgono, tutti i giorni, coloro che vengono a bussare. Questa struttura, una vera e propria icona della cultura pro life, oggi ha un problema. Grande. Non ha più soldi per andare avanti. Un bel “buco” di circa 300mila euro per continuare a farsi carico delle 2700 donne gravide che l’anno scorso, nel 2012, hanno bussato alle porte del CAV e che sono state seguite per 18 mesi, dal terzo mese di gravidanza al compimento del primo anno di vita del bambino. Qualcosa di estremamente impegnativo, che costa solo di panno-
lini 170mila euro l’anno, cui naturalmente vanno ad aggiungersi tutte le diverse consulenze praticate nel corso dell’anno, trattandosi anche di un vero e proprio consultorio familiare attrezzato ad affrontare qualsiasi problematica inerente alla famiglia. Il fondo Nasko, meritoriamente introdotto dalla Regione Lombardia dal 2010 per evitare l’aborto per cause economiche, non è sufficiente. Affinché nascano grazie al CAV Mangiagalli altri bambini oltre ai 15.529 che sono stati salvati in 28 anni, perché venga offerta una scelta (una scelta vera e libera) ad altre donne oltre alle 18.938 incontrate in questi lunghi anni, adesso dobbiamo fare qualcosa anche noi. Un gesto di solidarietà, una preghiera, un obolo grande o piccolo, dei contatti con chi potrebbe aiutarli: sono tanti i modi, l’importante è non dimenticarli (www.cavmangiagalli.it). Marco Invernizzi
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La missione di Michela Marzano
L
L’Onorevole Marzano è uno dei tanti prodotti del complesso culturale-industriale del gruppo L’Espresso, che fa parte della lobby internazionale antinatalista e abortista.
’abortismo assolutista un qualche rappresentante in parlamento ce lo deve pure avere. E in Italia le lobby miliardarie che assecondano questa visione delle cose mica se ne sono state con le mani in mano. Così, improvvisamente, ecco sorgere la nuova sacerdotessa parlamentare del feticidio, Michela Marzano. Un’insegnante di filosofia che, nonostante al suo paese preferisca la Francia, è stata eletta deputata del Partito Democratico nella circoscrizione I Lombardia. Perché il PD, che in zona lombarda disporrebbe di figure partitiche di ben altro calibro (magari persone che hanno speso la loro vita tra gli operai di Sesto San Giovanni) piazza in lista proprio la Marzano? Perché gli è stata “suggerita” dal vero partito che dirige gli eredi del PCI, ossia il partito di Repubblica, col suo immenso conglomerato di affari. Carlo De Benedetti, prima tessera del PD italiano nonostante abbia preso da poco la cittadinanza elvetica, fu un tempo fiduciario dei Rothschild e non può non seguire, come molte altre realtà multinazionali, una politica di lenta preparazione alla riduzione della popolazione terrestre. La Marzano è uno dei tanti prodotti del complesso culturaleindustriale del gruppo L’Espresso, di quelli che passano dalle recensioni positive nelle pagine di Repubblica agli inviti nei talk show televisivi della Bignardi, Fazio, ecc. Qualcuno tra i debenedettiani ha capito che questa figura poteva essere molto utile: mol-
te professoresse occhialute lettrici di Repubblica potevano identificarsi in lei e il suo caso umano, invero piuttosto doloroso, poteva ampliare il bacino di utenza. La Marzano, infatti, viene da una lunga storia di malattia mentale descritta nel libro Volevo essere una farfalla, dove racconta la sua lotta con l’anoressia e il tentato suicidio. La Marzano è dunque abbastanza disgraziata per scaldare il cuore di un paese sempre più drogato di Prozac. Così si è creato il personaggio Marzano, donna fragile ma colta, sfortunata ma saggia: bisogna proprio darle retta... Una volta ottenute l’attenzione e l’emozione delle lettrici di Repubblica, si può partire con il core business dell’operazione Marzano, che è la propaganda abortista: «Senza un preliminare riconoscimento dell’altro, la maternità non esiste.(…) Se il riconoscimento non avviene, questo dialogo silenzioso non
comincia, ed è difficile pensare che un dialogo mai nato possa instaurarsi in seguito (...) l’aborto è l’unica possibilità che esiste, in uno stato civile, per garantire il rispetto delle donne. (…) la vita di una donna è infinitamente più preziosa di quella di un essere che non è ancora nato;… non basta vivere perché la propria vita abbia un senso» (dal libro Sii bella e stai zitta). È chiaro, in questa prosa depressiva, che l’impulso di morte della signora non è più rivolto verso se stessa, ma verso il bambino. Del resto è la stessa secondo cui la maternità «non è una condizione naturale». Qualsiasi cosa significhi, bisogna capire che l’esperta Marzano non ha figli. L’11 giugno, alla Camera ha attaccato l’obiezione di coscienza, poi dall’alto della sua legittimità democratica ha pubblicato indignate geremiadi sull’arretratezza dell’Italia e sui diritti omobi-transessuali: un’emergenza assoluta, non ci sono crisi economiche che tengano: le nozze gay prima di tutto. E’ evidente che ha il compito di fare l’apologia della distruzione della famiglia e soprattutto della strage degli innocenti, come “professoressa” e come “caso umano” di donna con una storia di disturbi mentali alle spalle. Il feticidio in Italia ha un nuovo volto, quello della Marzano. E la sua non poteva che essere, proprio come l’aborto, una storia triste e disperata. Orrenda come l’impulso di morte che ammorba il nostro tempo. Roberto Dal Bosco
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Il nostro compito è avere un sogno Il dottor Calabrò è nostro collaboratore da qualche mese. Quando ha saputo che avremmo fatto un numero sui sopravvissuti all’aborto, ci ha mandato questa testimonianza, in cui si rivolge a un fratello, a un’altra persona che ha i suoi stessi problemi.
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a scienza rende l’uomo più debole? Sì. Anni fa, se ti ammalavi, o eri forte o morivi. Oggi sopravvivi, tendenzialmente. Non c’è più la selezione naturale; il genere umano è diventato un ammasso di rottami che allo stato brado sopravvivrebbe forse un paio di mesi. Ma siamo animali superiori; non abbiamo bisogno di essere selezionati come scarafaggi. Io ho la spina bifida e sono zoppo: non crepo di fame anche se non riesco a rincorrere un cinghiale e ucciderlo a cazzotti. Abbiamo costruito un sistema che riesce a far vivere sia i forti che i deboli. I deboli come vivono? Posso dire la mia: non corro, non sono atletico, se voglio mangiar fuori con amici, devo sperare di aver portato l’insulina con me. Per studiare mi sono destreggiato tra scuola, università e tante operazioni chirurgiche. In te, che anche se non ti conosco considero come un fratello, perché sei un debole, come me (chi soffre è un po’ come se avesse un legame fraterno) vedo una brutta amarezza. Hai in odio la vita e, forse esagero, sarebbe tuo desiderio porvi fine il prima possibile. Ti capisco: non è facile vivere vedendo altri che fanno cose che tu non puoi fare! A sei anni, quando impari a camminare (male) vedi i tuoi amici che si tirano un pallone. E tu stai lì a guardarli. Vai a scuola e nelle ore di ginnastica hai l’esonero. Io raccattavo palle. Loro giocavano, io ributtavo i palloni in campo. Lo facevo pur di fare qualcosa. Iniziano ad avere fidanzate e
fidanzati, e tu sei solo. Magari sei anche innamorato, ma Tizia a te ha preferito un altro che è sano e l’ha portata fuori per il week end. Non è facile vivere in un mondo che ha imparato a salvare i più deboli, ma non ad accoglierli. Curare uno storpio? Due tutori, una carrozzina. Alé, avanti il prossimo. Ma chiedi a qualcuno se sarebbe disposto a vivere, amare, condividere qualcosa con uno storpio. Allora, sì, lo storpio inizia a odiare la vita, non rendendosi conto che non è la malattia a essere il problema. Nella tecnica siamo evoluti, nei sentimenti siamo bestie. Allora la soluzione più facile è il consentire la soppressione dei deboli abortendoli, o il permettergli di suicidarsi con l’eutanasia. Bella soluzione. Levate il disturbo, o vi ammazziamo noi oppure ammazzatevi da soli. Il salto di civiltà vero, che ci distinguerebbe del tutto dalle bestie (e che permetterebbe a me, e soprattutto a te, di vivere meglio) sta nell’impegno di tutti nel non massacrare la vita dei deboli più di quanto non sia purtroppo necessario. Immagina una vita (che non hai vissuto, che non ho vissuto, e che forse non vivremo mai) dove a sei anni sei sì zoppo, ma hai amici che invece di abbandonarti giocano con te. Al momento giusto una bella ragazza ti guarda e dice sì, sei zoppo, ma… ti va di uscire stasera? All’università i professori ti guardano con rispetto, sapendo che non frequenti le lezioni non perché sei un fannullone, ma perché devi far conciliare malattia e stu-
dio. E t’incoraggiano. Noi deboli abbiamo un compito. Che non è farci ammazzare o levare volontariamente il disturbo. Francamente: il nostro dovere è stare qui, vivere, soffrire nel caso, e insegnare all’uomo come diventare per davvero un essere superiore. Non più di sessant’anni fa i neri erano considerati come bestie. Quanti di loro avranno desiderato morire o non essere mai nati! Ma sono riusciti a uscire da quella mentalità che pretendeva che ringraziassero di non essere sbattuti a raccogliere cotone e che si accontentassero di essere non-schiavi. E hanno guadagnato la libertà! Noi siamo massacrati, falciati dagli aborti, e quando nasciamo ci dicono suvvia, suicidati, l’eutanasia è la soluzione civile. Togli il disturbo, negro. E alcuni di noi ci cascano o, semplicemente, si arrendono. Il nostro compito è “avere un sogno”. Io non mi arrendo. Nemmeno tu. Chiamateci deboli, ora. Alberto Calabrò
Noi deboli abbiamo un compito: il nostro dovere è stare qui, vivere, soffrire nel caso, e insegnare all’uomo come diventare per davvero un essere superiore
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Sopravvissuto alla strage degli innocenti La madre di Jin Cai, Presidente del Centro interculturale italo cinese di Ferrara, è stata una delle centinaia di milioni di donne vittime della crudele politica del figlio unico cinese. Questo è il racconto dei veri e propri miracoli che gli hanno consentito di scampare alla pianificazione familiare più crudele della storia.
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endo grazie al grembo di mia madre che mi ha ’illegalmente’ protetto dalle molestie e dalle atrocità
umane”. Tutto è iniziato quando mia madre era incinta di me, quindi 22 anni fa. Il problema era che io ero il secondo figlio e quindi ero di troppo per la società cinese. I miei conoscevano le regole e stavano sempre molto attenti nei rapporti sessuali. Ma erano anche generosi: avrebbero voluto adottare uno dei tanti bambini abbandonati – soprattutto bambine – che si trovavano per la strada. Nella mia regione, lo Zhejiang, le adozioni erano sempre possibili, visto l’altissimo numero di trovatelli. Una volta ne trovarono uno nel nostro cortile. Ma erano veramente troppo poveri per allevare un altro figlio e si arresero e lo consegnarono alle autorità. Quando mia madre è rimasta incinta di me, ebbe molta paura: tutti sanno che l’Ufficio di controllo delle nascite è praticamente onnisciente, e che quindi non avrebbe potuto tener nascosta la gravidanza non
autorizzata a lungo. Allora ha assunto delle pillole abortive, ma per mia fortuna non hanno funzionato. In Cina tutte le donne in età fertile non sterilizzate si devono presentare obbligatoriamente al controllo ginecologico, ogni 3 mesi. E così, dopo la visita successiva, l’ufficio di pianificazione familiare le notificò l’ordine di abortire. Mia madre fu costretta a presentarsi all’ospedale della mia città, Wu Niu, dove la sottoposero a raschiamento. Ma lo fecero male, ed io ero ancora là! Al successivo controllo trimestrale, il ginecologo la mandò all’ospedale provinciale di Wenzhou, per farla finita – con me – una volta per tutte. Accompagnata da sua sorella, si è sottoposta all’intervento ed è stata dimessa con il relativo certificato di aborto, che nessuno ha messo in dubbio. Immaginatevi la sorpresa, quando alla visita seguente, dopo altri tre mesi, risultò che mia madre era prossima a partorire! Nel frattempo, per fortuna, il governo aveva introdotto un regolamento che consentiva alle popolazioni rurali di avere un secondo figlio, se adeguatamente distanziato dal primo. Dato che mio fratello aveva già 10 anni, noi potevamo rientrare nella deroga, e così mia madre riuscì ad ottenere il permesso di nascita. A quel punto però è subentrata una grande preoccupazione per la mia salute: ero scampato a due aborti chirurgici, praticamente ero stato torturato, potevo essere malformato
Il libro di Harry Wu che documenta le atrocità della pianificazione familiare cinese.
o peggio…Il “buon consiglio” che mia madre riceveva era il seguente: ”Se il bambino non è sano, fai finta che non lo hai mai portato né partorito”. Invece, sono sano! Tuttavia, quando sono nato la placenta si è frantumata e la mia mamma stava rischiando la vita. Fortunatamente i medici hanno agito con prontezza e in pochi giorni la salute di mia madre è migliorata. Dopo pochi mesi, l’Ufficio di controllo delle nascite è venuto a casa mia a chiedere ai miei genitori di pagare una multa di 200 yuan per regolarizzare la nascita: il permesso non era stato concesso regolarmente. La mia mamma ha cercato di raccogliere quanto più denaro possibile dai suoi amici e vicini di casa, ma riuscì solo a trovare 100 yuan. Naturalmente, i funzionari non erano soddisfatti. Alla fine mia madre gli ha detto che lei non aveva altro da dare e che potevano solo prendersi il bambino e andarsene. In quel momento tutti i parenti e gli amici dei miei erano a casa nostra e spalleggiavano mia madre. Perciò i funzionari se ne sono andati senza prendere neanche uno yuan. La vendetta è arrivata dopo un po’: quando i miei hanno chiesto di farci venire in Italia (a me e a mio fratello), le autorità hanno rispolverato le carte e hanno preteso una multa di 2000 euro. Senza di essa io non avrei potuto avere il certificato di nascita e i documenti necessari per venire qui. E così hanno dovuto pagare. Mia madre, inoltre, ancora oggi porta il segno della politica del figlio unico: perché alla fine è stata oggetto di sterilizzazione forzata. Jin Cai
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La vita è in te, e va difesa Filippo Neviani, in arte Nek, è nato il 6 gennaio 1972 a Sassuolo, in provincia di Modena. Già all’età di nove anni ha i primi approcci con la batteria e la chitarra. Nella seconda metà degli anni Ottanta inizia a suonare con una band, il gruppo country Winchester, e poi con i White Lady. Nel ’92 debutta come solista con il suo primo album intitolato appunto “Nek”. Nel 1993 arriva terzo fra i giovani al Festival di Sanremo con il brano “In te”. Riceve diversi riconoscimenti di prestigio: nel ’94, con Giorgia, il Premio Europeo come miglior cantante giovane italiano. Lo strepitoso successo di “Laura non c’è” a Sanremo ’97 gli porta sei dischi di platino. Nel frattempo la sua notorietà varca i confini nazionali ed europei. Il suo quinto album, “In due” nel 1998 esce contemporaneamente in Europa, America Latina e Giappone, e riceve il premio dell’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) per aver venduto in Europa oltre un milione di copie di “Lei, gli amici e tutto il resto”. Nel 2005 vince il Festivalbar con “Lascia che io sia”. Con il suo decimo album (il nono d’inediti) intitolato “Nella stanza 26”, ha vinto il “Premio Lunezia - Poesia del Rock 2007”. Il suo ultimo album, “Filippo Neviani” è dedicato al padre, recentemente scomparso. I messaggi delle sue canzoni sono sempre positivi e coerenti con la sua visione della vita. Lo ringraziamo, quindi, della sua testimonianza che nel suo ambiente purtroppo è davvero controcorrente.
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l mondo della musica poprock sembra vivere cavalcando l’onda di un certo menefreghismo trasgressivo; raramente s’incontrano star che fanno outing sulla difesa dei cosiddetti principi non negoziabili (vita, famiglia, libertà di educazione), o sulla loro fede. Questi, si sa, sono temi scomodi, poco politically correct all’interno di un mondo che sembra sintonizzato su altre priorità e diritti. Eppure anche in un ambiente del genere c’è qualche seme di speranza. Nek, è una star musicale internazionale che ha venduto milioni di dischi nel mondo e conserva il coraggio di essere veramente se stesso: non nasconde la sua fede cattolica, pur non sbandierandola ai quattro venti, ed è coerente con il suo pensiero su temi difficili come quello della vita, dell’affet-
tività e di Dio. Per questo Notizie ProVita l’ha incontrato, partendo dal presupposto di quella canzone, “In te”, che possiamo considerare un po’ l’inno dei pro-life italiani (potete leggerne il testo in queste pagine, e dovete comprare il disco alla prima occasione!). Nek ha esordito a San Remo nel 1993 proprio con “In te”, brano
che affronta il tema dell’aborto in modo molto efficace, dal punto di vista, troppo spesso trascurato, del padre. Com’è nata quella canzone? E cosa ne pensi oggi, vent’anni dopo? Quella canzone nacque dalla storia vera vissuta in gioventù dal mio paroliere. Una vicenda che lo fece soffrire non poco e che evidentemente gli ritornò alla memoria attraverso le note della canzone stessa. Oggi penso con estrema convinzione che la vita vada difesa e rispettata essendo il dono più grande che ci è stato donato. E’ un discorso complesso, ma al di là delle diverse esperienze, e rispettando quelli che professano diversi credo religiosi, sono convinto che, essendo beneficiari di un dono così grande, noi non abbiamo la libertà di decidere il destino di un altro individuo che, per altro, non può né intendere, né volere. Non possiamo decidere della vita altrui, non c’è concesso questo diritto e chi, invece, sostiene il contrario non fa che camuffare con la parola “libertà” un atto tanto estremo quanto terrificante. Questo è il mio punto di vista. Spesso si ritiene che la difesa della vita, dal concepimento fino alla sua fine naturale, sia un fatto riservato a chi ha fede, in realtà anche la tua canzone ci dice che
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chiunque ama veramente non può non difenderla. In un certo senso questo rimanda a un’altra tua bellissima canzone: “Se non ami”. Cosa ne pensi? A mio parere difendere e preservare la vita è un fatto riservato a tutti, nessuno escluso, e al di là della fede. Poi naturalmente chi è Cristiano, e soprattutto Cattolico, è chiamato in prima linea su questo piano in virtù di quello che ha professato e insegnato Gesù: “Non c’è amore più grande che dare la vita per gli altri”. Anche tu sei padre. Che cosa ha significato per te l’arrivo di una creatura e cosa diresti a tanti giovani che vivono l’affettività come semplice divertimento? L’arrivo di mia figlia Beatrice ha cambiato la mia vita…come credo la vita di tanti papà. Parlare ai giovani non è cosa semplice ed io non so se sono in grado di poter dare consigli, suggerimenti in merito. Posso dire che trattandosi di giovani è giusto che si comportino e che vivano la loro esistenza da giovani, nella gioia, perché quella è un’età che non torna. Si tratta di divertirsi nel modo giusto, s’intende. Perché poi quando è ora di prendersi delle responsabilità non ci dovranno essere rimpianti che potrebbero insinuarsi nella vita familiare. Perché poi avere e crescere un figlio
è straordinario quanto delicato… non è uno scherzo. Hai scritto una canzone che s’intitola “Hey, Dio”, e gli chiedi: “Cos’è quest’onda di rabbia” che sembra travolgere tutto? Cos’è per Filippo Neviani questa strana “onda di rabbia” e cosa c’entra Dio? Dio è un padre al quale faccio domande. Un Padre che ascolta gli sfoghi di un figlio un po’ spaventato da questo mondo che sembra ammalato di tristezza, rabbia, malcontento generale, crisi interiori…. Questa rabbia è tutto quello che viene fuori dal nostro animo inquieto, reso così dall’assenza di un faro, di una
guida, di Dio. Lui è gioia, amore, verità, libertà, rispetto, pazienza, condivisione, servizio, altruismo, perdono, ascolto…e tutto questo ci manca profondamente. Con la tua musica sei riuscito a parlare dei temi della vita a tanti giovani che sembrano indifferenti. E’ vera questa indifferenza, oppure c’è brace sotto la cenere? Come riattizzare questo fuoco? La musica è un buon attivatore di fuoco…credo che sotto, sotto, del buono ci sia. Servono gli esempi pratici, testimonianze vere. Il coraggio, per esempio, da parte di noi cristiani di mettere in pratica questa Fede che diciamo di avere, attraverso i sorrisi, la gioia e i fatti. Le opere, le azioni possono realmente cambiare qualcosa. Dopo averlo conosciuto personalmente, dobbiamo dire che Filippo Neviani si è rivelato per quello che è: uno autentico. Parafrasando il titolo di una sua canzone diciamo che noi non dobbiamo difendere la vita come “angeli nel ghetto”, ma nella pubblica piazza, per far sentire con i fatti e le azioni che c’è un popolo che non si rassegna di fronte all’ingiustizia. Lorenzo Bertocchi
In te Risalirò col suo peso sul petto come una carpa il fiume, mi spalmerò sulla faccia rossetto per farlo ridere. Per lui poi comprerò sacchetti di pop-corn: potrà spargerli in macchina… Per lui non fumerò, a quattro zampe andrò e lo aiuterò a crescere. Lui vive in te, si muove in te, con mani cucciole. E’ in te, respira in te, gioca e non sa che tu vuoi buttarlo via. Gli taglierò una pistola di legno, gli insegnerò a parlare. La sera poi con noi due farà il bagno e vi insaponerò. Per lui mi cambierò: la notte ci sarò perché non resti solo mai. Per lui lavorerò, la moto venderò e lo proteggerò: aiutami! Lui vive in te, lui ride in te, o sta provandoci. E’ in te, si scalda in te, dorme o – chissà – lui sta già ascoltandoci. Lui si accuccerà, dai tuoi seni berrà con i pugni vicini. Tra noi dormirà e un po’ scalcerà: saremo i cuscini noi due. Con gli occhi chiusi lui la vita afferra già: il figlio che non vuoi è già con noi. Lui vive in te si culla in te con i tuoi battiti. E’ in te, lui nuota in te, gioca chissà... E’ lui il figlio che non vuoi.
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Sopravvivere all’aborto Quando l’aborto fallisce, troppo spesso il bimbo viene lasciato morire sul tavolo operatorio, in un sacchetto di plastica, o peggio. Ma in tanti casi una mano pietosa raccoglie per tempo questi piccoli rifiutati e li accudisce e li cura e i bimbi riescono a vivere una vita normale: finché vengono a sapere di essere sopravvissuti all’aborto.
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ivere nell’epoca in cui clismica cultura abortista odier- danza, e i medici, per ben tre tutto viene reclamato na, si moltiplicano i casi di so- volte, le hanno somministrato, come diritto, cioè nell’e- pravvissuti agli stessi. senza i risultati sperati, la pillopoca del diritto ad avere Poco tempo fa, per esempio, la RU-486. Dopo il terzo tentatidiritti, comporta che il più delle è giunta la notizia dall’Inghil- vo fallito, la donna, sentendo il volte ci si dimentichi dei dove- terra di un cosiddetto “miracle bambino spostarsi nel suo venri. Se la distrazione culturale lo baby”: un bambino sopravvis- tre, ha cambiato idea. Il bamdimentica, tuttavia, a ricordarlo suto a ben tre tentativi di aborto bino è venuto alla luce pochi è la cogenza delle leggi di na- tramite l’utilizzo, illecito poiché giorni dopo, in largo anticipo, tura, prima fra tutte quella della fuori dai termini consentiti, cioè rimanendo sotto specifiche tesopravvivenza. in avanzata età gestazionale, rapie e cure per i successivi sei Così, capita di scoprire le capa- della pillola RU-486. mesi. cità incredibili di coloro che ven- Una giovane donna di 24 anni, Il direttore della Pro Life Alliangono ritrovati vivi, dopo essere già madre di un’altra figlia, inti- ce, Julia Millington, ha osserstati sepolti, per esempio, dalle morita dalla seconda gravidan- vato «con queste nascite, in macerie provocate dall’ultima za, intorno alla ventiquattresima continuo aumento, la gente sta calamità naturale che attorno a settimana, ha fatto ricorso all’in- percependo di più la barbarie di loro ha causato morte e deva- terruzione volontaria di gravi- quello che lasciamo succedere: stazione. sono sotto gli occhi di Oggi, tuttavia, non solo tutti i bambini, formati, le calamità naturali sono che la legge permette causa d’impressionanti siano uccisi». numeri di decessi, poiCosì come la più famoché, come da più parti sa Gianna Jessen, di cui si sottolinea con magabbiamo parlato nello giore evidenza, i numescorso numero di febri raggiunti dall’aborto, braio di questa Rivista, il circa quaranta milioni caso di Melissa Ohden d’interruzioni volontarie è emblematico per ciò di gravidanza (secondo che qui s’intende. l’OMS), quale pratica orLa diciannovenne e numai globale, sono davvebile madre di Melissa, ro degni di essere definiti trentacinque anni addieSarah Brown è nata viva nonostante pari a quelli di un vero e tro è stata pressata dalun’iniezione letale praticatale quando proprio conflitto mondiala propria famiglia per era ancora in utero. Dopo 24 ore trale: sono il risultato delabortire, e si è recata in scorse in una bacinella sul tavolo opela guerra che il mondo un’apposita struttura a ratorio, col cordone attaccato, senza moderno ha dichiarato tal fine. nutrimento né idratazione, un’infermiealla vita umana nella Le è stata iniettata in ra incredula e commossa l’ha raccolta sua fase pre natale. utero la soluzione salina e le ha trovato una famiglia adottiva. Le Ovviamente, come all’auche provoca l’aborto avavevano dato pochi mesi di vita: il suo mentare dei disastri navelenando e corrodendo cervello era irrimediabilmente dannegturali aumentano anche il bambino che, con quegiato, era cieca e paralitica. Ma è stata i casi di sopravvivenza, sto metodo, sarebbe dola gioia della sua famiglia adottiva per così, sotto le macerie etivuto morire entro settanco-giuridiche della catatadue ore circa. ben 5 anni.
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15 Al momento dell’espulsione, alla trentunesima settimana di età gestazionale, i medici hanno creduto che la piccola Melissa fosse morta e hanno disposto lo smaltimento dei “resti”, allorquando un’infermiera, accorgendosi che Melissa era invece viva e vegeta, le prestò i primi soccorsi. Melissa fu tenuta in ospedale per tre mesi e poi fu dimessa. La vita di Melissa, però, doveva ancora essere sconvolta: all’età di quattordici anni, infatti, la sorella maggiore, le rivelò la tragica notizia, che cioè era una sopravvissuta all’aborto della madre, facendole acquisire quella consapevolezza profonda sul valore della sua vita e della vita in genere, purtroppo costantemente minata dalle pratiche abortive. Non molti sanno che la vita di Melissa e del piccolo “miracle baby”, sono soltanto alcune delle tragiche e quotidiane vicende che si consumano “anonimamente” a causa dell’aborto. Sono sempre di più e sempre più frequenti i “miracle babies”, sono moltissime le persone che scoprono di essere state adottate a seguito di un aborto fallito. Anche perché ormai l’aborto si pratica con una certa disinvoltura anche a gravidanza avanzata: la nostra l. 194 consente l’uccisione del bambino per motivi
eugenetici ben oltre i tre mesi di gestazione… (e nessuno lo dice, e la gente non lo sa). Tra i diversi siti pro life che si riempiono di testimonianze in tal senso, c’è quello del dottor Imre Téglásy, presidente dell’Alpha Alliance for Life, referente della Human Life International in Ungheria, www.theabortionsurvivors.com, che vuole dar voce ai sopravvissuti in una società che spesso non è a conoscenza della loro esistenza, e che fornisce supporto a chi soffre il disagio esistenziale conseguente all’essere venuto a conoscenza del fatto che la madre naturale ha tentato di eliminarlo. Si arguisce quanto questo tema costituisca un campo di frontiera, tutto ancora da esplorare, circa le eventuali ricadute psichiche conseguenti all’apprendere di essere un aborto mancato, di essere un sopravvissuto all’aborto, di essere una “vita di seconda mano”. Vi sono poi delle storie che riguardano personaggi a tutti noti e che, forse più di altre, possono per questo mettere in guardia circa l’aborto, rivelando l’aspetto anti umano a esso intrinseco poiché sottraente all’umanità la ricchezza esistenziale arrecabile da ogni nuova vita. Non è un caso, del resto, che
Sopravvissuti all’aborto: Gianna Jessen, Melissa Odhen, Claire Culwell, Imre Teglasy
sia consueto ripetere che la cura per il cancro esisterebbe già se solo il suo scopritore non fosse stato abortito. Si pensi, per esempio alla rivelazione fatta dalla madre del noto cantante Justin Bieber, che, con sorpresa e sgomento della stampa e delle sue ammiratrici, ha dichiarato al mondo che il ragazzo che entusiasma milioni di giovani adolescenti con le sue doti artistiche sia, in effetti, il risultato di un suo aborto mancato all’età di diciassette anni, dopo una vita di abusi sessuali, uso di droga e alcolici. In modo analogo, si considerino anche le esternazioni di personaggi del calibro di Andrea Bocelli che ha confessato, tempo addietro, di dover ringraziare la madre per non averlo abortito nonostante fosse stato questo il consiglio ripetuto dei medici per evitare che nascesse una persona menomata e “senza dignità”; vicenda simile a quella della celebre cantante inglese Susan Boyle, la cui madre fu più volte spinta dai medici ad abortire venendole rinfacciato di non averlo fatto al momento delle complicazioni occorse nell’imminenza del parto. Storie simili sono utili per contribuire alla riflessione circa il fondamento dell’esistenza umana, cioè la natura relazionale dell’essere umano, violata e troncata dall’esperienza anti umana dell’aborto. Solo l’aborto, infatti, è in grado di porre la madre radicalmente contro i propri figli, contro la loro vita, negando non solo la natura di questi ultimi, ma perfino la propria, cioè quella natura a lei solo peculiare che dovrebbe venire in essere precipuamente nella cura della vita e che al meglio può condensarsi nelle parole del salmista:« Vita ti ha chiesto, a lui l’hai concessa » ( Sal. 21,5). Aldo Vitale
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Quando il progresso della medicina diventa un problema legale A nessuno interessa la sorte dei bambini che sopravvivono all’aborto: i giudici e i legislatori si preoccupano solo di evitare agli operatori sanitari coinvolti ogni responsabilità.
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ui mezzi d’informazione una congiura del silenzio vuole impedire che la verità sui bambini uccisi dall’aborto legale torni a essere percepita per quello che è: un “genocidio censurato”, come l’ha definito Antonio Socci. Eppure periodicamente emergono episodi terribili, che è impossibile mettere a tacere e che mostrano la vera realtà dell’aborto. La storia del dottor Gosnell, il medico americano specializzato nella tecnica “a nascita parziale”, definita “efficace” da Wikipedia in caso di aborti tardivi, è una di quelle. Esempi raccapriccianti di disprezzo per la vita umana la stampa di casa nostra tende a presentarli come casi estremi, un’aberrazione, una forzatura della legislazione abortista: cose che non potrebbero succedere in Italia - in USA ne vengono fuori di nuove ogni giorno - ma in Italia, dove il sistema sanitario è sottratto al mercato e gestito dalla Sanità Pubblica, non può succedere... Ne siamo veramente sicuri? In realtà la legge 194 è tanto ipocrita quanto quella voluta da Clinton (poi limitata da Bush e che Obama vuole nuovamente estendere) basata sulla decisione della Corte Costituzionale federale di definire “persona di fronte alla legge” solo il bambino completamente uscito dal ventre materno. Per la Corte Costituzionale USA, finché il bambino non è “fuori” è possibile ucciderlo, dopo bisogna assisterlo. La nostra legge dice in sostanza la stessa cosa: si può infatti
“interrompere la gravidanza” (articoli 5 e 6), praticamente senza limitazioni; ma si deve “adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita” di un bambino abortito “quando sussiste la possibilità di vita autonoma” (articolo 7 comma 4). In pratica, se il bambino, una volta uscito dal ventre materno, è vitale, dovrebbe essere assistito, curato, rianimato. Ma lo fanno? Il caso di Firenze, nel 2007 e di Rossano Calabro, nel 2010 sono stati veramente due casi isolati? Perché alcuni medici in Italia praticano un’iniezione intracardiaca per uccidere il feto, prima dell’aborto? Evidentemente c’è una seria preoccupazione che il bambino possa nascere vivo! Grazie alla legge 194 in Italia abbiamo assistito alla crescita esponenziale degli aborti effettuati oltre i 90 giorni. L’aborto tardivo è sempre più richiesto, nonostante sia presentato dalla legge 194 come “un’eccezione” alla regola. Ma l’aborto tardivo diventa sempre più problematico proprio per quel comma aggiunto all’articolo 7. Il progresso della medicina neonatale ha fatto sì che oggi la sopravvivenza sia possibile, con le opportune cure, anche nel caso di bambini nati prematuri alla 22° settimana (i primi di luglio,
in USA, è nato vivo un bambino di 19 settimane!). Così la rianimazione dei bambini abortiti tardivamente è diventata un “problema” legale, perché si vuole evitare agli adulti coinvolti ogni eventuale responsabilità: per la “mancata assistenza” nel caso in cui un bambino ancora vivo venga lasciato morire; o per l’“accanimento terapeutico” quando il bambino rianimato patisca in seguito problemi di salute. Si chiede di definire un termine “scientifico” prima del quale qualsiasi bambino possa essere considerato legalmente “non vitale”. Al centro del dibattito ci sono gli interessi e la copertura legale degli adulti, non dei piccoli abortiti! Dal ‘78 (data dell’approvazione della legge 194) a oggi, infatti, è cambiata la scienza medica, non sono cambiati i bambini! I bambini non nati erano gli stessi trenta anni fa, anche se la ricerca non aveva ancora imparato a prendersene cura fuori dal protettivo ventre materno. Benedetto Rocchi
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L’aborto e il cuore maschile
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Il trauma dell’aborto si trasmette di generazione in generazione, anche tra i sopravvissuti.
opo la pubblicazione del mio Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile (San Paolo Ed., 2013) sono rimasto colpito da una lettera tra le tante che ho ricevuto. “Caro Vanni, ho 41 anni; da molto tempo i miei genitori sono morti, dopo una lunga malattia, e ne sono dispiaciuto sinceramente. Prego per loro e mi mancano tanto! Ma c’è una cosa che le confido per chiederle aiuto. Durante i litigi in famiglia, in alcuni di quei momenti di rabbia in cui ci si tira addosso le parole più brutte, seppi che i miei genitori, dopo aver avuto altri figli, avevano voluto due aborti. Ricordo frasi di mia madre come: ‘Se avessi saputo che sareste diventati così, sarei andata a buttare anche voi’. Parole terribili, che mi rimangono dentro e che fanno sanguinare spesso il mio cuore. Ricordo che mi sentii raggelare, chinai la testa in silenzio e uscii fuori. Amo mia madre e sono addolorato per le sue sofferenze e la sua morte. Ma quella frase ancora mi fa male. Le chiedo aiuto per poter pacificare questo punto della memoria dei mei genitori”. Ecco la mia risposta. “Caro amico, le sarà utile ciò che ho scritto sui percorsi di guarigione per il cuore maschile toc-
“Da quel momento, a ora incerta, la mia agonia ritorna, e finché non ho raccontato la mia storia, il mio cuore dentro di me brucia” (Coleridge)
cato dall’aborto, svolti in diversi Paesi occidentali, ma assenti in Italia dove l’approccio ideologico alla questione dell’aborto ci nega la consapevolezza del male provocato da quest’orrore. Chiave di queste terapie è trovare la forza di comprendere l’altro e perdonarlo. Per stare meglio, deve comprendere che anche sua madre è stata una vittima: dell’orizzonte culturale che da mezzo secolo ci acceca facendo passare l’uccisione di milioni di bambini come un evento banale e privo di conseguenze. Che invece ci sono: la morte efferata di un essere umano indifeso, e le conseguenze psicologiche che hanno distrutto la vita delle donne e degli uomini che hanno scelto l’aborto. I suoi genitori, ne sono sicuro, non hanno trovato un aiuto o qualche buona parola: il silenzio che circonda ogni giorno le donne che percorrono i corridoi senza anima delle cliniche abortiste. Lei ci fa capire che le conseguenze del male non toccano solo chi lo vive in prima persona, ma si trasmettono anche dai genitori ai figli, spesso inconsciamente. Sicuramente non sono state solo quelle parole di sua madre a causarle tanta sofferenza, ma anche le infinite percezioni di disagio che la sua psiche ha registrato durante la sua relazione con i genitori. Anche sua madre ha sofferto molto, in silenzio, durante tutta la sua vita. E la sofferenza è penetrata anche nel suo cuore di figlio che ancora sanguina. Legga la psicologa francese Nathalie Zajde: si è occupata del modo in cui il trauma esperito dai sopravvissuti ai genocidi del ‘900 (dalla Shoah al Rwanda) si è trasmesso inconsciamente ai loro figli. Ci sono importanti analogie
In Italia l’approccio ideologico alla questione dell’aborto nega la consapevolezza del male provocato da questa pratica disumana
tra quei drammi e il suo: anche l’aborto è lo sterminio di milioni di esseri umani innocenti, e la nostra psiche profonda lo sa, anche se avviene nascosto negli ospedali, come nascosto era l’inferno dei campi di concentramento. Anche lei, se ci pensa bene, è un “salvato” rispetto ai “sommersi”: i suoi due fratelli. Forse lei è sopravvissuto, come Levi o come l’antico marinaio di Coleridge, proprio per raccontare la sua storia dolorosa, ed evitare questo male ad altri uomini, donne e bambini. Antonello Vanni
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Scienza e morale
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L’amore puro tra fidanzati, una rivoluzione possibile Il Presidente del Centro di Aiuto alla Vita di Benevento ci illustra gli incoraggianti risultati di un progetto educativo realizzato nelle scuole sannite grazie agli sforzi del CAV.
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freddi numeri delle statistiche in Italia rivelano un mondo giovanile allo sbando: i giovanissimi acquistano metà delle 400 mila confezioni di pillole Norlevo vendute ogni anno, aumentano gli aborti delle adolescenti (+ 112% dal ‘95 al 2010) e le baby-mamme (+0,5% e quasi 10 mila l’anno). Una realtà confermata anche da un’ indagine condotta dal Centro di Aiuto alla Vita (CAV) di Benevento nei licei sanniti, in cui si è rilevato che oltre la metà dei ragazzi e circa un terzo delle ragazze “fa sesso” prima dei 17 anni. Una tale emergenza sociale richiederebbe azioni educative decise, ma spesso la famiglia è assente o incapace, mentre la cultura libertaria dominante propone solo l’introduzione di corsi di “educazione sessuale” nelle scuole che, di fatto sono corsi di contraccezione, con l’implicito messaggio “divertiti, ma stai attento alle conseguenze…”, e perciò falliscono miseramente (come accade anche in Francia o Inghilterra). In realtà occorre “offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l’autentica educazione alla sessualità e all’amore, un’educazione implicante la formazione alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della persona e la rende capace di rispettare il significato «sponsale» del corpo”, come ha scritto Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae. Da qui trae spunto il lavoro del CAV che promuove nelle scuole incontri con gli studenti sul tema della sessualità e dell’affettività.
Le conferenze sono state precedute da un’indagine statistica dalla quale, oltre alle non poche ombre, emergono anche luci e segni di speranza. Se è vero, infatti, che i giovani tendono a porre al centro della relazione affettiva la dimensione genitale, è altrettanto vero che essi fanno trapelare una profonda aspirazione a un amore autentico e fedele. Solo il 30% di essi, infatti, ritiene che il problema delle gravidanze e degli aborti tra le giovanissime si risolva con la contraccezione, mentre molto più alta, il 78%, è la percentuale dei maschi convinta che sia un problema di autocontrollo (per il 60% di loro le ragazze si concedono troppo facilmente) e di rispetto del proprio corpo (il 18% vede nella purezza la condizione del vero amore). Le ragazze hanno rapporti sessuali nel 37% (circa il 10% tra le cattoliche praticanti) dei casi rispetto al 51% dei ragazzi, ma esse dichiarano che lo fanno per amore (il 41% rispetto al 15% dei ragazzi) e solo col fidanzato (il 98% rispetto al 59% dei ragazzi ), ossia con la persona con cui intessono un rapporto stabile. Motivo di speranza è inoltre il fatto che la maggioranza dei giovani, anche qui con netta prevalenza femminile - il 76,3% rispetto al 53,8% degli uomini - è convinta che un amore autentico tra fidanzati possa fare a meno del sesso. Insomma, se da un lato i maschi sono convinti che le
ragazze si “concedono” troppo facilmente, dall’altro l’indagine rivela una donna più propensa alla castità. Se “cede” lo fa per amore e solo con la persona che ama. Le ragazze, dunque, possono essere protagoniste di un cambiamento culturale, di una vera rivoluzione. Saranno esse a chiedere al proprio fidanzato la “prova di amore” - quella vera dell’attesa che, se da un lato esige un sacrificio, dall’altro è premessa per un rapporto d’amore felice e stabile. E preferiscono perdere chi cerca solo il loro corpo e non il loro cuore. Possiamo, dunque, riporre nei giovani una grande fiducia. A patto però che le famiglie, parrocchie e scuole, raccolgano la sfida e promuovano questo percorso educativo. Carlo Principe
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Scienza e morale
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La teologia del corpo, visione integrale della persona
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no dei più evidenti problemi della nostra società è il rapporto che il mondo occidentale vive con la sessualità: è diventata un’attività ginnica, una valvola di sfogo, un bisogno, un diritto. E ha perso il suo vero scopo, l’amore per l’altro. Quest’amore la Chiesa propone all’uomo nel suo duplice significato unitivo (amore per il coniuge) e procreativo (amore per la prole). Ma questi due significati sono ormai rigettati dalla società attuale, persino dentro la Chiesa (la pubblicazione dell’Humanae vitae, nel ’68, coincise infatti con tremende manifestazioni di dissenso). La visione della Chiesa sulla sessualità ha trovato complemento e sintesi nella teologia del Corpo di Giovanni Paolo II, definita “una bomba a orologeria teologica” da George Weigel, principale biografo del pontefice polacco. Nonostante la sua bellezza, profondità e importanza, questo insegnamento è ancora ignorato anche all’interno della Chiesa. È importante sottolineare che questa visione della sessualità umana non è solo dogmatica, ma è fondata anche sul dato razionale. Tra i vari uomini di scienza che hanno aderito a questo insegnamento, ricordiamo oggi il professor Bruto Maria Bruti. Nato a Pedaso nel 1954, medico chirurgo, odontostomatologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, docente di Psicopatologia dei comportamenti sessuali presso l’Università Europea di
Il significato della sessualità secondo uno studio del professor Bruto Maria Bruti. Roma, militante di Alleanza Cattolica, marito e padre di tre figli, Bruti è prematuramente scomparso nel 2010, dopo aver scritto La nostra sessualità. Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano (Sugarco 2010). Questo prezioso libro è il condensato delle ricerche di Bruti, e apre alla sessualità umana l’orizzonte della trascendenza, dell’amore infinito, incondizionato, di Dio. Scrive ad esempio Bruti: “Nell’innamoramento […] si crea un clima d’intenso entusiasmo affettivo in cui gli innamorati sperimentano la sensazione del perfetto abbandono nell’amore, la sensazione di un’accettazione incondizionata e totale al di là dell’io e del tu, del tempo e dello spazio: non si tratta dell’assoluto ma di una finestra da cui si può intravedere la trascendenza” (p. 53). Sorretto da questa certezza, cioè che il desiderio sessuale dell’uomo è un segno del desiderio dell’abbraccio divino, Bruti non teme di avventurarsi nei meandri della sessualità umana, persino negli anfratti considerati più scabrosi e politicamente
Bruto Maria Bruti
scorretti, al di sopra delle ideologie e di sterili polemiche, e li affronta con serenità. Ne è un esempio la diffusa e articolata trattazione dell’omosessualità. La vulgata corrente vorrebbe liquidare il tema con un atteggiamento determinista e fatalista; Bruti invece s’interroga, dibatte, articola diversi aspetti della tematica con curiosità e documentazione. “L’orientamento omosessuale”, scrive Bruti, “non è dovuto a una malattia fisica, né a una malattia mentale ma può essere il risultato di […] certi fattori ambientali, dove non vengono soddisfatti alcuni bisogni emotivi dell’infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso [...]” (p. 105). Essendo un orientamento socialmente costruito, è necessario riconoscere a chi vive quest’orientamento in modo distonico (cioè indesiderato) la possibilità di tentare il cambiamento: “Le persone hanno diritto di sviluppare il loro potenziale eterosessuale. Il diritto di ricorrere a una terapia per cambiare il proprio orientamento omosessuale deve essere considerato naturale e inalienabile” (ibidem). Bruti è nato al cielo lasciando sulla terra non solo un libro, ma soprattutto relazioni e amicizie. Che non sono interrotte, ma perfezionate, perché Bruto vive già le relazioni in tutta la loro splendida pienezza. Quella pienezza relazionale della quale la sessualità umana è segno. Roberto Marchesini
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Il Family Day di Bassano del Grappa (VI) Se da un lato si moltiplicano i gay pride e i gay village, c’è ancora un’Italia sana che manifesta a favore della famiglia.
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entre in varie città italiane si organizzano tante manifestazioni tipo gay-pride, per convincere gli Italiani ad accettare la presunta normalità delle unioni omosessuali, con tutte le conseguenze del caso (adozione di bambini, fecondazione artificiale da seme esterno per le donne, utero in affitto per gli uomini), mi ha fatto un grande bene all’anima vedere tante famiglie con bambini, radunate a Bassano del Grappa (VI) per partecipare a una giornata interamente dedicata alla famiglia “naturale”: quella, intendiamoci bene, nata agli albori dell’umanità, formata da un uomo e da una donna, e possibilmente da tanti bambini, che sembra trovare spazio persino sulle incisioni rupestri della Valcamonica. Il Family Day di Bassano ha avuto certo poco risalto sulla stampa nazionale, sempre così attenta alle richieste delle lobbies omosessuali, ma ha rivelato, come tanti altri eventi dello stesso tipo, un radicamento ancora molto forte – grazie a Dio – dei valori umani e cristiani nella nostra gente. Organizzata dalla Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, la giornata prevedeva l’intervento e
la testimonianza di Costanza Miriano, giornalista della Rai per il Tg3 nazionale, collaboratrice di Avvenire e del Timone, mamma di 4 figli, conosciuta soprattutto per aver espresso le sue opinioni contro corrente nei suoi due libri di successo Sposati e sii sottomessa (2011) e Sposala e muori per lei (2012). Affollata da tanti giovani e famiglie con bambini, la sala era sovrastata da una grande statua della Madonna di Fatima, collocata sul banco dei relatori, che sembrava sorridere compiaciuta nel vedere tanti suoi figli, radunati per ascoltare, pregare e giocare in simpatica allegria sotto il suo sguardo materno. La grande capacità comunicativa di Costanza Miriano ha subito attratto l’attenzione dei presenti, soprattutto quando ha descritto tanti piccoli episodi di vita familiare, che manifestano l’esatto contrario di ciò che ci propinano i mass media a proposito della “parità di genere”: un appiattimento contrario alla natura, che nulla ha da spartire con i diversi ruoli del padre e della madre nell’educazione dei figli. Nel suo primo libro la Miriano si rivolge alle giovani spose, dichiarando provocatoriamente che la felicità e
Il donarsi reciproco nell’amore gratuito privo di rivendicazioni, genera un dinamismo virtuoso che rende felice e fecondo il matrimonio la riuscita del matrimonio passa attraverso la “sotto - missione” della donna, che come le fondamenta di un edificio, sostiene e regge la famiglia; nel suo secondo libro, rivolto agli uomini, evidenzia invece come questo donarsi della donna nell’amore gratuito privo di rivendicazioni, costringa quasi l’uomo a donarsi in libertà alla sua donna fino a sacrificare la sua stessa vita: un dinamismo virtuoso, che rende felice e fecondo un matrimonio ed è lontano anni luce dalla visione utilitaristica e dalla logica del contraccambio, oggi tanto diffuse. Da qualche tempo purtroppo, sembra che le lobbies gay internazionali si siano concentrate sull’Italia, con un gay-pride dietro l’altro a Vicenza, Padova, Torino, Milano e in tante altre città. Dal 1 al 31 agosto ha aperto i battenti il primo gay village del nord-est italiano in partnership col Comune di Padova; infine, a Palermo, il gay-pride nazionale a giugno ha visto la partecipazione persino di un ministro (Josefa Idem) e del presidente del parlamento italiano (Laura Boldrini). Viene da chiedersi quando anche gli Italiani si decideranno a scendere in piazza per difendere l’istituto familiare. Alberto Zelger
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Non pagare per uccidere: come obiettare? Il coordinatore della campagna O.S.A., della Comunità Papa Giovanni XXIII, nel numero uscito nel giugno scorso ci ha spiegato i motivi per cui Obiettare alle Spese Abortive. Ora ci spiega come si può fare. 1. Il modo più diretto per obiettare è quello di non pagare una parte delle tasse destinate alla Regione (ricordo che l’aborto è finanziato con i soldi della sanità, che sono gestiti dalle Regioni). Se dalla dichiarazione dei redditi risulta che sono a debito verso la Regione (addizionale Irpef regionale), potrò obiettare a una parte di quella imposta. Se ho un’auto intestata, potrò obiettare a una parte del bollo auto. Come calcolo la cifra da obiettare? E’ difficile stabilire esattamente quanti soldi le Regioni erogano per l’uccisione della vita prenatale. Oltre ai circa 130 milioni di Euro con cui pagano l’esecuzione degli aborti, ci sono le spese per gli esami e le visite pre intervento; anche la fecondazione artificiale è in parte a nostro carico, infatti la legge 40 ha previsto un finanziamento annuale, inoltre diverse Regioni rimborsano le Asl per parte delle spese sostenute… Alla fine conviene obiettare una cifra di importo modesto, sia perché la percentuale di soldi usati contro la vita prenatale sul totale delle uscite è comunque bassa, sia per non rischiare sanzioni eccessive. Suggeriamo non oltre 30 Euro
(ricordiamo che se il debito cumulato dal contribuente è inferiore a 25 Euro, le istituzioni per legge non intervengono). Allora se io devo ad es. pagare un bollo di 200 Euro, e ne obietto 30, farò un versamento alla Regione di 200-30 = 170 Euro (occorre fare il versamento in posta perché né in tabaccheria né all’ACI accettano versamenti parziali). I restanti 30 li verserò a un’associazione pro life, che aiuta le mamme incinte. Per rendere pubblica la scelta (non sono un evasore!) compilerò una “Dichiarazione di obiezione alle spese abortive”, che invierò ai Presidenti della Regione e della Repubblica e alla mia Agenzia delle Entrate. Nel caso di obiezione sulle imposte dirette, questo percorso si può fare solo se si compila il Modello Unico (e dunque non il 730).
2. Se io non debbo fare alcun versamento o non me la sento di scegliere la strada 1, posso comunque aderire alla campagna OSA attraverso il versamento di una cifra qualsiasi a un’associazione pro life e l’invio di una dichiarazione ai Presidenti della Repubblica e
Il modello della dichiarazione di obiezione e l’indirizzo del coordinatore si trovano sul sito: www.apg23.org/ambiti-dintervento/maternita-difficile/ obiezione-di-coscienza-alle-spese-abortive
della Regione, con cui dichiaro di condividere gli scopi della campagna. 3. Se io sono a credito, cioè non debbo pagare nulla e inoltre debbo ricevere indietro dei soldi dalle Istituzioni, non posso fare come nel caso 1 perché non ho versamenti da fare. In questo caso, oltre a fare quanto indicato al caso 2, posso fare in aggiunta un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate con cui le richiedo di restituirmi i soldi che ho versato all’associazione pro life. 4. Anche un’impresa può aderire all’OSA. Essa infatti deve versare dei soldi alla Regione, sia l’Irpef dei suoi dipendenti (come sostituto d’imposta), sia l’IVA (una percentuale dell’IVA va alla Regione), in questi casi essa può obiettare seguendo quanto già detto al punto 1. In tutti i 4 casi occorre inviare copia della dichiarazione OSA al coordinatore della campagna, per avere la situazione aggiornata del numero di obiettori. Prossimamente esamineremo le conseguenze per chi obietta, distinte caso per caso. Andrea Mazzi
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Famiglia ed Economia
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Famiglia, oltre totem e tabù In Italia molti a parole sostengono il “valore” della famiglia, ma di fatto le politiche a favore della stessa sono gravemente insufficienti, se non del tutto inesistenti. Il tasso di natalità in Italia è tra gli ultimi in Europa. Asili di prossimità, sussidi per i neo-genitori, mutui agevolati per giovani coppie: zero virgola
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er parlare della famiglia in Italia bisogna ricorrere al titolo di un celebre libro di Sigmund Freud, Totem e tabù (1913). La famiglia ‘totem’ è quella della cultura storicamente di maggioranza nel nostro Paese dal dopoguerra in poi: acclamata in discorsi pomposi, snocciolata nei programmi elettorali, richiamata come ‘valore’ imprescindibile. La realtà è che, mentre in Paesi laicissimi come la Francia c’è il quoziente famigliare, in Paesi secolarizzati come la Svezia c’è un fior fiore di welfare per la famiglia, mentre nella Gran Bretagna che approva i matrimoni gay ci sono importanti sostegni alla natalità, nel nostro Paese che strombazza la famiglia, non c’è niente di tutto questo. Tasso di natalità: tra gli ultimi in Europa. Asili di prossimità: quasi zero. Sussidi per i neo-genitori: manco a parlarne. Mutui agevolati per giovani coppie: zero virgola. Politica per la famiglia: ridotta a un ininfluente sottosegretariato del nulla. Poi c’è la famiglia ‘tabù’ della cultura laica. Quella che pensa alla società come ad un insieme di individui sciolti da legami profondi. Quella che si pavoneggia dietro la difesa dei ‘diritti’, ma che non
si accorge che la parola ‘diritti’ è vuota se non valorizza il corpo sociale più importante: quello della famiglia. Quella che aborrisce parlare di ‘padre’ e ‘madre’ preferendo il neutro e gender-friendly ‘genitore’. Quella che si stizzisce di fronte al matrimonio ‘tradizionale’ e preferisce la sperimentazione di coppia (comunque assortita) o anche di gruppo (perché limitarsi a due?). Quella che difende le categorie degli operai, dei lavoratori, degli insegnanti, degli impiegati, ma che non sembra rendersi conto che ognuno di loro è un figlio, molti sono mariti, molte sono mogli, molti sono genitori insomma, prima di tutto il resto, sono famiglie! C’è bisogno di una nuova cultura che sappia far fronte alle sfide che ci stanno davanti, partendo dalla famiglia. Ad esempio, nell’ambito del mondo evangelico italiano è stata avviata una riflessione interessante. Dopo un convegno su ‘La famiglia in discussione’ tenuto a Padova presso l’Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione nel 2004, la dichiarazione finale si esprime in questi termini, qui riassunti. 1. La famiglia ha come nucleo il matrimonio di un uomo e di una donna i quali si uniscono volontariamente e pubblicamente in vista di un progetto condiviso all’insegna della solidarietà e della fedeltà. 3. La genitorialità rappresenta uno sbocco importante e arricchente per la vita della famiglia, anche se non ne costituisce la condizione stret-
tamente necessaria. La denatalità della società italiana è una spia di declino culturale. 4. La responsabilità della famiglia nell’educazione dei figli non deve essere delegata a terzi, tra cui lo stato. È necessario scoprire un diverso protagonismo della famiglia nel campo educativo che si riappropri del suo ruolo di orientamento culturale e di accompagnamento pedagogico. 5. La crisi di molte famiglie è un dato della realtà che non deve essere occultato né estremizzato. Nessuna famiglia sarà perfetta, ma molto difficilmente si potrà dire che una situazione familiare è irrimediabilmente persa. Oltre il totem e oltre il tabù, abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale che riconosca la soggettività sociale, culturale, economica, affettiva, spirituale della famiglia. Non una famiglia astratta ed ideologizzata, ma una famiglia imperfetta, eppure reale, responsabilizzata e sempre in rete. Leonardo De Chirico
C’è bisogno di una nuova cultura che sappia far fronte alle sfide che ci stanno davanti, partendo dalla famiglia
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Letture consigliate
Antonello Vanni LUI E L’ABORTO Viaggio nel cuore maschile
Rosa Moschini La forza della vita e dell’amore Una testimonianza emozionante
Edizioni San Paolo
Fede& Cultura
Come reagisce un uomo alla notizia della gravidanza della donna? Perché la spinge all’aborto o cerca in tutti i modi di convincerla a tenere il bambino arrivando a gesti estremi per salvarlo? Perché i maschi di oggi tacciono, o devono tacere, non riuscendo a esprimere una posizione forte sull’aborto? La legge 194 ha un effetto diseducativo sui giovani perpetuando nei maschi il disorientamento verso la vita concepita? Il libro di Vanni contiene le risposte a queste e a molte altre domande, su un argomento scomodo di cui si tende – colpevolmente – a non voler parlare.
Mamma Rosa, suo marito Mario, suo figlio Francesco ed Elisabetta: una famiglia straordinaria che Francesco Agnoli ha conosciuto personalmente. Scrive nella prefazione: “E’ travolgente la forza, l’entusiasmo, la voglia di vivere di quella creatura che tanto aveva faticato a nascere, che tanto aveva già, a soli quattro anni, sofferto. Elisabetta (con sua madre, suo padre e suo fratello): la prova vivente di quanto bene possa sgorgare dall’imperfezione umana, accolta, accudita, amata senza condizioni”.
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