Provita settembre 2015

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Padova CMP Restituzione

“nel nome di chi non può parlare” Basta bugie: la storia della scalata al potere dell’ideologia del gender

Anno IV | Rivista Mensile N. 33 - Settembre 2015

Dopo il “marriage pour tous” arriva anche la “mort pour tous”

HOMO EROTICUS E SOCIETÀ IPERSESSUALIZZATA IL CULTO DEL SESSO FINE A SE STESSO


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- Sommario Editoriale

Notizie 3

- Sommar Sommario S o m m a rio rio -

Notizie

“nel nome di chi non può parlare”

Editoriale Lo sapevi che...

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Lo sapevi che... Primo Piano Primo Piano

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Ipersessualismo ed edonismo Giovanni Dalle Stelli unioni di fatto etero ai matrimoni gay Federico F e ederico Catani

Corpo e sessualità I conviventi hanno tanti diritti. Solo diritti Claudia Cirami

nel nome di chi non può parlare

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Gianfranco Amato

Francesca Romana Poleggi Emmanuele uele W Wundt undt

Sovvertire la realtà naturale vuolc’è? dire distruggere l uomo 1721 Un po’ di pornografia: che male Unioni (in)civili, imposte dai giudici

Attualità Attualità La storia di Katia Una preghiera inerme, eppure insopportabile

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Fecondazione eterologanell’anima Una cicatrice indelebile e anonimato dei venditori di gameti Chiara Miras

8

Post aborto: danni alla salute dei successivi fratellini Drogati di sesso

99

Virginia Lalli

Laura Bencetti Rodolfo de Mattei

Comebugie! smascherare certe bugie Basta Giuliano Guzzo La Rosa Bianca

Desidero ergo sum

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1010 13

Fabio Torriero

Scienza e Morale La questione della fecondazione artificiale

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Non credenti pro life

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Scienza Morale Mons. Ignacio e Barreiro Caràmbula

Claudia Cirami Dopo il “marriage pour tous” arriva la “mort pour tours” 24 25 La buona notizia: Ginevra Tommaso Scandroglio Paola Paola Bonzi

“Colorado song” Il genocidio dei bambini Down Renzo Puccetti Newlife

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Famiglia ed Economia Attacco alla famiglia: è una questione di soldi Luca Tolchien

Editore RIVIST TAOnlus MENSILE ProVita Sede legale: via della Cisterna, 29 N. 23 - OTTOBRE 2014 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 Redazione 38068 (TN) AntonioRovereto Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi Codice ROC 24182 Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti - Tel. 329 0349089 Redazione Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi. Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) Direttore responsabile redazione@notizieprovita.it -T Tel. el. l 329 0349089 Antonio Brandi Direttore responsabile DirettoreBrandi editoriale Antonio Francesca Romana Poleggi Direttore editoriale F rancescaProVita Romana Poleggi Direttore Onlus

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Francesca F rrancesca rances Romana P Poleggi oleggi

Anna Maria Pacchiotti Adrea Mazzi

RIVISTA MENSILE N. 33 - SETTEMBRE 2015

Il La culto del sesso, al centro della vita, come fosse un dio 1619 Babele moderna

Giovanni Reginato Antonio Morra

®

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Andrea Giovanazzi Direttore ProVita Onlus Andrea Giovanazzi Impaginazione Progetto grafico Massimo Festini Massimo Festini

Tipografia Tipografia Flyeralarm SrL, Viale Druso 265, 39100 Bolzano Editorial and Packaging Solution

Distribuzione MOPA AK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Distribuzione

MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero Hanno collaborato di questo numero: Gianfranco Amato, Palla aolarealizzazione Bonzi, Mons. Ignacio Barreiro Federico Catani, Laura Bencetti, La RosaCaràmbula, Bianca, Claudia Cirami, Chiara Claudia Cirami,de Rodolfo Mattei,Morra, Giuliano Guzzo, Miras, Rodolfo Mattei,de Antonio Anna Maria PacVirginia Lalli, Andrea Mazzi, Newlife, chiotti, Renzo Puccetti, Tommaso Scandroglio, Giovanni Francesca Romana Poleggi, Giovanni Reginato, Stelli, Fabio Torriero, Emmanuele Wundt. Luca Tolchien

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Editoriale

Notizie

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Antonio Brandi Imprenditore di professione, si dedica alla difesa dei diritti dei più deboli per passione. Per dar voce a chi non ha voce ha fondato e dirige Notizie ProVita.

Editoriale

Il 31 luglio e il 21 dicembre di ogni anno, da qualche tempo a questa parte, si celebrano le “Giornate mondiali dell’orgasmo” (i dettagli sono a disposizione di tutti su internet). Questo basta a capire quale è uno dei frutti avvelenati del ’68, che ha radici nel pansessualismo Freudiano e si evolve nella rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, di cui ci stiamo cibando da decenni: il culto del sesso, centro della nostra vita, come fosse un dio. L’avvelenamento è stato paziente, lento e graduale: determinante è stata la iper-sessualizzazione dei media. L’APA (American Psychiatric Association) ha pubblicato un rapporto nel 2007 sulla sessualizzazione dei bambini dovuta ai media e afferma come la focalizzazione sulle apparenze fisiche, auto-oggettivanti, è fattore di stress, genera insicurezza, demoralizzazione, vergogna, ansia e persino disperazione. I bambini vengono bombardati in continuazione da messaggi e scene con contenuto sessuale. Quante volte vediamo la presenza decorativa di bei corpi femminili o maschili, spesso semi nudi, accanto alla merce in vendita? Sempre nel rapporto dell’APA, si sottolinea come l’iper-sessualizzazione predisponga all’uso della pornografia e comporti quindi rischi di molestie e abusi, problemi in famiglia, nei rapporti sessuali con il coniuge, meno ore di lavoro e meno sonno. Le persone desiderano essere come i modelli proposti dai media: corpi vuoti di personalità e di coscienza concentrati sul presente e sulla continua ricerca del piacere fine a se stesso. Perciò si diffondono sempre più le perversioni: omosessualità, pedofilia, transgenderismo e svariate impensabili parafilie. Molte, è vero, sono sempre esistite, ma oggi vengono “normalizzate” in nome della falsa libertà che rende l’uomo sempre più solo, squilibrato e insoddisfatto.

“Sesso-latria”

E’ necessario prenderne coscienza. I bambini si devono sentire amati, valorizzati per quello che sono, speciali, capaci di donare amore, aiuto. Devono capire che il rapporto sessuale “tout court” non sigilla nulla, non apre speranze e orizzonti nella storia personale dei due. Se il desiderio di unione fisica non è incastonato nell’amore, se l’amore erotico non è anche amore fraterno, anzi, amore sponsale, l’unione è solo fisica, superficiale, fittizia, e lascerà i due esseri profondamente divisi, prima o poi delusi, estranei e più soli di prima. I bambini vanno perciò difesi dall’impatto negativo dei media, non bisogna lasciarli soli davanti a TV e internet. Invece bisogna rivalutare il pudore, la buona educazione (non dire brutte parole, non rubacchiare, non dire piccole bugie, non usare prepotenza sono tutte cose apparentemente sconnesse e invece molto ben collegate). Soprattutto, cerchiamo di sviluppare nei bambini un senso critico nei confronti dei media: (“su di me la tv e la pubblicità non hanno potere”, “io voglio essere, non apparire”) e favoriamo attività alternative, giochi, sport, animali domestici, attività creative, artistiche o fisiche, con la famiglia e gli amici. D’altro canto, bisogna offrire ai bambini una educazione all’affettività adeguata all’età, parlare a tempo debito della sessualità, coerentemente con i valori e con il rispetto del corpo proprio e quello altrui, fornire risposte vere alla curiosità del bambino. Bisogna che, crescendo, comprenda che il sesso è qualcosa di naturale, positivo, ma non è il centro né l’essenziale nella vita umana. Difendere i bambini dagli squilibri generati dall’ipersessualizzazione, vuol dire salvaguardare il futuro dell’umanità. Antonio Brandi


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N. 33 - SETTEMBRE 2015

Lo sapevi che... L’équipe medica dell’ospedale di Reims dov’è ricoverato Vincent Lambert, l’infermiere francese di 38 anni in stato di minima coscienza dal 2008, ha detto NO alla sua eutanasia, nonostante la legge francese abbia recepito la cultura della morte che ha ucciso di fame e di sete Terri Schiavo ed Eluana Englaro; nonostante i tribunali francesi e la Corte europea di Strasburgo (quella CEDU che tutela i diritti umani, come per esempio il diritto alla vita), avessero dato parere favorevole alla sua uccisione. I commentatori, però, piuttosto costernati, parlano di “lasciarlo andare” e di “accanimento terapeutico” e concludono che “sarebbe legittimo staccare la spina”. Peccato che non ci sia nessuna spina da staccare. L’omosessualismo è un’ideologia intollerante, intimidatoria e violenta. La libreria Feltrinelli di Palermo ha dovuto rimuovere il cartello con su scritto “Teoria gender” che indicava il settore con vari libri sui temi dell’omosessualità (tra questi, “Unisex”, di Gianluca Marletta ed Enrica Perrucchetti). Sui social si sono scatenati: la Feltrinelli dedica un settore a una teoria che esiste solo nella mente di bigotti fascisti omofobi? Non solo la libreria si è scusata, cambiando il cartello, ma tra i vari testi esposti è pure scomparso “Unisex”. La “gaissima” Apple è stata accusata perché la versione italiana di Siri, il popolare software basato sul riconoscimento vocale e pubblicizzato come “assistente personale”, sarebbe omofoba. Infatti, di fronte a domande quali “perché due gay (o due lesbiche) non possono sposarsi?”, o a frasi come “penso di essere gay (o lesbica)”, Siri risponde con un: “Non è carino da parte tua”. E pensare che la “povera” SIRI, se le si chiede un locale per gay o lesbiche, risponde puntualmente… In America succede anche di peggio: un transessuale, Zoey, al secolo Robert Albert Tur, ex pilota di elicotteri e giornalista, in diretta tv, ha messo le mani addosso allo scrittore Ben Shapiro, minacciandolo pesantemente. Shapiro si è reso reo di sostenere che, nonostante l’operazione, un uomo resta biologicamente uomo. Qualche tempo dopo, il Governatore del Texas, Abbott, è stato vittima di un’aggressione mentre si trovava all’aeroporto

in compagnia della moglie e della figlia. La sua colpa? Il suo supporto al matrimonio naturale. La cosa più grave è che in entrambi i casi molti hanno giustificato la violenza degli aggressori. Si legge sui social (e nessuno reagisce): “Gli “omofobi” del calibro del governatore Abbott dovrebbero vivere nella paura, e sempre più persone dovrebbero agire come quell’uomo all’aeroporto”. La buona battaglia per la famiglia e per i bambini non è invano: segnaliamo il successo delle manifestazioni (come la nostra del 20 giugno) che si sono tenute davanti alla Corte di Cassazione francese, contro l’utero in affitto; la manifestazione di Demo Für Alle, a Stoccarda in Germania, contro le politiche governative sull’educazione, per la difesa del matrimonio, e contro la diffusione di ideologie perniciose come il gender. Segnaliamo poi la decisione dell’Assemblea Nazionale austriaca che ha bocciato i matrimoni gay (110 a 26 ) e la proposta di legge popolare svizzera per introdurre nella Costituzione la seguente norma: “Il matrimonio consiste nella durevole convivenza, disciplinata dalla legge, di un uomo e di una donna. Dal punto di vista fiscale, il matrimonio costituisce una comunione economica. Non deve essere svantaggiato rispetto ad altri modi di vita, segnatamente sotto il profilo fiscale e delle assicurazioni sociali”. Infine, in Finlandia il popolo della famiglia ha creato l’ “Associazione per il vero matrimonio”, che ha raccolto 50.000 firme per chiedere al parlamento una revisione della legge sul matrimonio gay. L’associazione pro family ha raggiunto l’obbiettivo delle 50.000 firme in poco più di 4 mesi. Questa estate è stata presa una decisione storica all’ONU, che ovviamente sui media nostrani è passata inosservata. E’ stata approvata una risoluzione pro famiglia, la Protection of the Family resolution (A/HRC/29/L.25). Al Consiglio per i Diritti Umani hanno votato 29 Stati a favore e 14 contro, 4 gli astenuti. Tra le altre cose la Risoluzione riafferma che la famiglia è la cellula naturale e fondamentale della società e deve essere protetta dallo Stato perché gioca un ruolo cruciale nel preservare l’identità culturale, le tradizioni, la morale, il retaggio valoriale storico e sociale di un popolo e ha la responsabilità primaria e insostituibile nell’allevare ed educare i bambini, dalla nascita


Lo sapevi che...

fino all’adolescenza inoltrata. L’introduzione dei ragazzi alla cultura, ai valori, al rispetto delle regole e delle leggi comincia in famiglia, per cui i genitori hanno il diritto fondamentale e prioritario di scegliere il tipo di educazione da dare ai propri figli e sono i primi responsabili del loro sviluppo fisico, psichico e della loro crescita personale. Purtroppo, anche l’Inghilterra sembra piegarsi alle politiche antinataliste, neomalthusiane, volte al controllo della popolazione. Con l’attuazione di nuovi provvedimenti finanziari, che entreranno in vigore nel 2017, verranno aboliti i benefits dal terzo figlio in poi. Questo finirà per incentivare l’aborto e certi bambini verranno considerati indesiderati semplicemente perché sono i terzogeniti. Con l’approvazione del Gender Recognition Bill, l’Irlanda, seguendo le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, consente il cambiamento di nome e sesso sui documenti in base alla sola autodeterminazione del soggetto transgender, a prescindere dal fatto che si sia o non si sia fatto l’operazione di chirurgia plastica ai genitali. In Norvegia, che è ovviamente ancora più avanti, si vuole estendere questo “diritto” anche ai bambini, a partire dai 7 anni (con il consenso dei genitori però). Qui da noi, poiché la legge è lenta a rispondere, la Cassazione ha concesso a un trans, con sentenza n. 15138/2015, di cambiare sesso/genere sulla carta d’identità, senza l’intervento chirurgico. Gli psichiatri assennati ritengono che assecondare la disforia di genere è un po’ come assecondare un anoressico che si senta in sovrappeso. A questo punto non stupisce che al “Saint Catharine’s College”, uno dei college più antichi dell’Università

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di Cambridge, fondato nel lontano 1473. D’ora in avanti, nelle cene di gala universitarie, i suoi studenti potranno indossare, indipendentemente dal proprio sesso, gonne o pantaloni. La contraccezione, anche se massicciamente propagandata, non riduce il numero degli aborti. Lo provano i dati forniti dal Colorado, dove sono stati distribuiti gratis contraccettivi ormonali sottocutanei e dispositivi intrauterini (spirali) senza alcun risultato tangibile (si veda a pag. 26). Analoga conclusione viene dall’analisi dei dati del ministero della Sanità francese: l’aumento del numero di aborti, compresi quelli praticati sulle più giovani, non può essere attribuito a una mancanza di copertura contraccettiva. Lo ammette uno Stato dove la “laicité” imperversa da secoli e dove le politiche pro contraccezione e aborto sono realizzate a tappeto, in modo diffuso, da decenni. Quindi la contraccezione non serve a diminuire gli aborti, non serve alla salute delle donne, ma serve certamente ad arricchire le case farmaceutiche. Dominique Lesbirel, 41 anni, olandese, dopo 8 anni di matrimonio e 16 di convivenza è rimasta vedova del marito Doerack, morto per una grave malattia. Ora vive con Travis, ed è intenzionata a sposarlo, tra un po’. Va detto che Doerack era un gatto e Travis è un simpatico cagnolino. Le nozze tra Dominique e i suoi animali sono state e saranno celebrate tramite il sito Marryyourpet.com, che vanta migliaia di visitatori ogni giorno e Dominique sposa ogni mese tante coppie formate da animale domestico e proprietario. Dice la signora: “Si tratta di un modo per amare fino in fondo i nostri animali, celebrare questo legame. E per questa ragione il divorzio non è contemplato”.

Lo sapevi che...


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N. 33 - SETTEMBRE 2015

Anna Maria Pacchiotti

Presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”. : www.onoralavita.it

La storia di Katia

La Presidentessa dell’Associazione Onora la Vita ci ha inviato una pagina del suo album dei ricordi: le esperienze di una volontaria che spende la vita a favore della vita e - in questo caso particolare - per aiutare una mamma in difficoltà. di Anna Maria Pacchiotti Katia è stata la prima mamma affidatami dal Centro di Aiuto alla Vita di Pinerolo. Ricordo molto bene quel pomeriggio: la rivedo camminare giù per la discesa. Imbarazzata nell’incedere dal pancione dove portava la piccola Melissa, indossava un cappottino ormai troppo stretto. Dopo le presentazioni, le cingo le spalle con un braccio ed iniziamo a spostarci verso un bar delle vicinanze. Lei è piccola e graziosa, mortificata da una situazione familiare molto pesante. Seduta al tavolino, sorbendo una tazza di caffè, mi racconta la sua storia. Era stata vittima di un “padre padrone” che ne abusava e che giocava d’azzardo. La mamma si era dovuta rivolgere agli usurai per pagare i debiti del marito, e Katia aveva fatto ogni tipo di lavoro… Credeva di poter uscire da questa situazione invivibile sposando un uomo che pareva amarla e così era nata la prima delle 4 figlie. Invece è stata abbandonata da lui e dagli altri uomini in cui aveva riposto la sua fiducia. Il padre di questa quarta bambina sembrava diverso dagli altri. Ad ogni separazione le bambine erano state affidate ai padri dai servizi sociali, perché lei da sola non era in grado di mantenerle, nonostante i padri fossero molto poco affidabili. Una delle figlie era stata affidata ai nonni, ma non risultava che stesse frequentando regolarmente la scuola. Tanto è vero che Katia fu chiamata dalla Polizia di un Paese vicino e (nonostante non ne fosse responsabile) le fu chiesto conto della bambina. Fu un periodo di atroce preoccupazione per Katia: della piccola nessuno sapeva più niente. Del padre si seppe che aveva avuto un incidente stradale. Solo dopo diverse indagini si scoprì che l’uomo aveva cambiato residenza all’insaputa di tutti, nascondendo il fatto alle autorità competenti e portando con sé la minore.

Katia era una donna con dei problemi e aveva commesso molti errori, ma era desiderosa di riscatto, di una vita normale, e nessuno - tanto meno i servizi sociali - sembrava voler darle una possibilità Nel frattempo la gravidanza di Katia proseguiva, con i servizi sociali che premevano affinché desse in affidamento pure Melissa. All’indomani del parto fu inviata in una sorta di casa protetta e le pressioni continuavano. Noi del CAV, invece, volevamo aiutarla a tenere presso di sé la bambina: offrendole aiuto economico e umano non solo per far nascere la piccola, ma anche dopo, per farla crescere dignitosamente con la sua mamma. Certo Katia era una donna con dei problemi e aveva commesso molti errori, ma era desiderosa di riscatto, di una vita normale, e nessuno - tanto meno i servizi sociali - sembrava voler darle una possibilità. La aiutai a cercare una casetta in affitto dalla Diocesi e ad arredarla. Lei la abbellì e la curò: era davvero graziosa, pulita ed accogliente. Nonostante ciò le assistenti sociali arrivarono a prelevare lei e la bimba per trasferirle in una Comunità del Comune di Torino, motivando questo atto (infame quanto improvviso) con una menzogna: che “l’abitazione era inadatta alla vita della minore”. Nella Comunità dove fu trasferita, invece, mancava l’indispensabile (tanto è vero che con amici abbiamo provveduto a portare panni e sostentamento), e le ospiti dovevano convivere e condividere alcuni locali con delle persone drogate. Dopo alcuni mesi di pianti e sofferenze, finalmente fu lasciata tornare con la bimba nella casetta. L’amore di Katia verso la bambina ha vinto. Ora la piccola Melissa cresce felice in modo armonico, curata con amore dai propri genitori. ■


Attualità

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Una cicatrice indelebile nell’anima Torniamo a denunciare lo scandaloso silenzio mediatico e negazionista sulla sindrome post aborto che colpisce anche dopo decenni e lascia segni indelebili nell’anima. di Chiara Miras Fluttuiamo in mondi frenetici che ci vogliono spenti e privi di iniziativa, se possibile standardizzati e rivolti al “pensiero unico”. Si può anche “seguire la corrente e lasciarsi vivere”: non è dignitoso, si sciupano le occasioni per “essere”, ma si fa sempre in tempo a cambiare rotta. Però ci sono circostanze in cui ciò non è davvero possibile. Come quando si parla di aborto: è necessario essere vigili, comprendere. Comprendere bene a quale realtà andiamo incontro, comprendere che non vi è ritorno. La scelta dell’aborto non è scelta, è condanna. Condanna a una vita di rimpianto, dolore, gelo. Conosco una madre, la mia, che dopo aver abortito, senza averlo detto a mio padre, si è portata questo segreto per anni, un segreto che a poco a poco l’ha spenta: ora si ritrova sola e vuota. Quel pezzo di cuore le mancherà sempre, come mancherà a me. Quel fratello o quella sorella che non ho conosciuto mi manca e ancora oggi mi chiedo quale viso avrebbe, cosa farebbe, quali esperienze avrei potuto fare con lei/lui, e che invece non ho fatto e non farò mai. Le conseguenze dell’aborto sono sconosciute ai più. Perché la cultura abortista nella quale siamo immersi ben si guarda dal portare alla luce cosa veramente accade nell’interiorità della donna dopo.

Io penso ancora al fratello che non ho avuto... e sono passati quasi trent’anni.

La scelta dell’aborto non è scelta, è condanna.

Depressione, angoscia, ansia, attacchi di panico, insonnia, istinti suicidi, incubi, allucinazioni, propensione all’abuso di alcol, uso di droga… in una sola parola: infelicità. Un’infelicità che spesso può essere repressa e sepolta nel profondo per tanto tempo, anche per anni, ma che alla fine prorompe. E spesso lo fa in modo drammatico. Una signora centenaria, una vita tranquilla, normale: figli, nipoti, una casa, una media tranquillità economica. Sul letto di morte, smaniava, senza pace: “Toglietelo! Levatelo! Non lo posso vedere!” Tutti pensavamo vaneggiasse. Poi, in un momento in cui sembrava calma ha parlato: vedeva ai piedi del letto un neonato coperto di sangue, il bambino che aveva abortito, di nascosto, giovanissima... Nessuno parla mai neanche delle possibili conseguenze fisiche dell’aborto, come, più spesso di quanto si creda, l’infertilità o - peggio - il cancro al seno (sul link ABC - Abortion Breast Cancer - vige la censura mediatica e il silenzio omertoso delle riviste scientifiche), o la propensione al parto prematuro. C’è chi ci fa il lavaggio del cervello così bene da farci credere che la vita non esiste nell’embrione, o che l’embrione non è un essere umano, una persona. C’è chi ci pone davanti la “libertà di scelta”, ma poi non ci dà nessuna scelta: non possiamo deludere un partner che dice di amarci, i parenti che “non vogliono che ci roviniamo la vita, “perché abbiamo fatto proprio questo a loro!”…

La cultura abortista nella quale siamo immersi ben si guarda dal portare alla luce cosa veramente accade nell’interiorità della donna dopo.


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N. 33 - SETTEMBRE 2015

A una figlia rimasta incinta un padre ha detto: “Mi hai deluso, da te non me lo sarei mai aspettato, sei la nostra vergogna”. No! Cara figliola, ricordati che non sei tu a doverti vergognare, ma lui, che per salvare le apparenze vuole spingerti a sopprimere una vita innocente. Non possiamo cedere ad altri il fardello di una simile decisione: siamo solo noi a poter scegliere, ma in questa scelta non possiamo e non dobbiamo essere sole. E per scegliere veramente è necessario essere informate. E se si è informate bene, si comprende che tra una scelta di vita e una scelta di morte, alla fine, c’è un’unica strada che volge al bene. Non voglio “costringere” io, è la scelta che è obbligata, in un certo senso. Chi sta decidendo se tenere o meno il bambino che ha dentro, deve essere informata veramente sulle alternative possibili, sugli aiuti esistenti, sulla sindrome post aborto, che a dispetto di quanti molti vogliono farci credere, esiste. Io penso ancora al fratello che non ho avuto... e sono passati quasi trent’anni. Un giorno, ho avuto modo di parlare con un sacerdote di questo tema e mi ha fatto questa breve testimonianza, che riporto (con il suo consenso), confidando possa essere d’aiuto a chi sta leggendo questa rivista e conosce qualcuno che si trova in una situazione così difficile e drammatica. ■

Nessuno parla mai neanche delle possibili conseguenze fisiche dell’aborto: infertilità, cancro al seno, propensione al parto prematuro.

“Cerco qui di ricordare alcune persone che ho aiutato nel superare nella fede il trauma profondo dell’aborto. In genere, queste mamme si sono accostate al confessionale dopo anni di tormento interiore: una 70 anni, un’altra 50, altre meno. In tutte, lo sguardo rivelava profonda tristezza. Era come un cielo afoso, oppresso dalla calura, quasi l’anima si affacciasse alla finestra degli occhi senza potersi nascondere. In genere il pianto diventa incontenibile al solo ricordo di ciò che è accaduto, anche nella ritrovata pace del perdono divino. Direi che è una costante. Anche se la ferita non sanguina più, rimane la cicatrice. Ricordo una donna giovane, incinta oltre il quarto mese, che il marito convinse a fare vari esami e visite, senza nominare la parola aborto. Si lasciò ingannare e si sottopose all’intervento fuori della sua città, complici i medici della sua mancata resistenza. Il seguito è stato solo angoscia e tormento. La relazione coniugale, inizialmente felice, divenne intollerabile per lei, con gravi ripercussioni psichiche sui figli che ebbe dopo. La fede e il mistero della Croce hanno permesso a questa donna di ritrovare amore al marito, a se stessa, alla casa e alla vita. Un’altra donna, dopo trent’anni e più da un aborto precoce, prima di sposarsi, ancora oggi si ritrova oppressa e infelice, soprattutto per il fallimento del matrimonio. Anche qui, la fede è risorsa vitale, ma nemmeno le confessioni frequenti hanno purificato la memoria da quel fatto lontano. Tuttavia, il rapporto con Gesù ha restituito significato, valore e verità alla vita. Una ragazza che ben conosco ebbe un aborto da minorenne (forse voluto dalla madre): è finita, mesi dopo, moribonda all’ospedale per tentato suicidio con farmaci. Ci sono voluti 10 anni di clinica specializzata per guarire la devastazione psichica, ma rimane segnata da una grande fragilità emotiva. La confessione e un certo cammino di fede, le hanno restituito la voglia di vivere, ma non la gioia. Ora ha 40 anni, un compagno e un grande tormento: quello di desiderare immensamente un figlio e di non poterne avere. Anche qui, se non credesse in Dio Padre presso il Quale vive il suo bambino, non so come farebbe a non cedere ai surrogati del mondo. Giorni fa ho rivisto un’altra donna, ormai nonna, anche lei con quel velo di fondo triste, che avevo già notato senza saperne la causa. La conosco da vent’anni. Solo ora mi ha reso noto il motivo: un aborto, con inganno, da fidanzata ingenua.Confessata tante volte, ma senza una parola su questo fatto. Ora è iniziato con lei un cammino di risurrezione. Tutte queste e altre persone, con simili storie, nel momento in cui approdano all’esperienza dell’Amore sconfinato del Signore, e si lasciano accompagnare da un ministro di Gesù, ritrovano luce sul proprio cammino e forza per portare la croce con Lui, nella verità. Ne sperimentano la tenerezza e la consolazione che guariscono la ferita dell’aborto, anche se la cicatrice non sembra scomparire mai dall’anima”.


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Laura Bencetti

26 anni, praticante avvocato con il pallino per le cause pro life: ama battersi per la Vita e la Famiglia. Oltre che con ProVita, collabora con il Centro per la Vita di San Giuseppe al Trionfale a Roma.

Post aborto: danni alla salute dei successivi fratellini

L’aborto non ha conseguenze deleterie solo a livello psichico, ma anche fisico. Non solo per la mamma, ma anche per i fratelli del bambino abortito. di Laura Bencetti Abbiamo visto nelle pagine precedenti come le conseguenze psichiche dell’aborto siano gravi, generalmente ignorate e colpevolmente taciute proprio da quelli che di solito hanno la bocca piena di “tutela della salute sessuale e riproduttiva delle donne”. Si è, inoltre, accennato al fatto che l’aborto comporta conseguenze dannose anche fisiche, per le donne che lo praticano. Qui andiamo ad approfondire quello che può accadere a seguito di uno dei più diffusi metodi usati per praticare l’aborto chirurgico. Questa volta il rischio incombe non tanto sulla madre, ma sugli eventuali futuri fratellini del bambino abortito. Infatti, l’aborto per dilatazione e raschiamento aumenta il rischio di parti prematuri. Quella per dilatazione e raschiamento è una delle procedure più usate, come dicevamo. Quindi sono molti i dati statistici a disposizione degli studiosi. Hanno perciò combinato insieme 22 studi effettuati su quasi 2 milioni di donne che hanno avuto un aborto per dilatazione e raschiamento, noto convenzionalmente come “D&C”; il risultato è a dir poco agghiacciante: le donne che hanno avuto questo tipo di aborto, hanno il 69% di probabilità in più di avere parti molto prematuri (prima della 32esima settimana di gestazione) e il 29% di probabilità in più di avere un parto prematuro tra le 32 e le 37 settimane. Ovviamente, il rischio aumenta ancor di più per le donne che hanno abortito diverse volte. Lo studio, diretto dal dottor Pim Ankum, dell’Academic Medical Centre dell’Università di Amsterdam, è stato presentato al convegno della Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia riunitasi nel giugno scorso a Lisbona, in Portogallo. Il dottor Ankum ha individuato diversi potenziali nessi causali: la dilatazione forzata e istantanea

della cervice praticata durante l’aborto, può danneggiare in modo permanente la cervice; inoltre, l’operazione può causare un’infezione persistente che scatena poi la nascita prematura del figlio successivo; infine, le procedure post D&C possono causare lesioni ai tessuti. “Ostetrici e ginecologi, che svolgono un ruolo cruciale nelle decisioni delle donne riguardo alle gravidanze, dovrebbero essere più prudenti nel consigliare l’aborto D&C” ha dichiarato il dottor Ankum a MedPage. “I medici dovrebbero essere molto più consapevoli del fatto che il raschiamento è un importante fattore di rischio per successive nascite premature”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 15 milioni di bambini nascono prima delle 37 settimane di gestazione, e le complicazioni derivanti dalla nascita prematura uccidono un milione di bambini ogni anno in tutto il mondo. Questo rende la nascita pretermine la principale causa di morte per i bambini sotto i cinque anni. Sebbene i soliti pro-choice neghino la sussistenza di una relazione tra questa procedura e l’incremento delle possibilità di avere successivi parti prematuri, lo studio del dottor Ankum - effettuato su un campione di donne decisamente consistente - dimostra che abortire il primo figlio, non significa solo la perdita di quel bambino, ma molto probabilmente minaccia la vita o la salute di eventuali futuri figli. Se i medici abortisti fossero persone oneste, dovrebbero quantomeno informare le donne di questo possibile rischio. Evidentemente, sulla trasparenza e sulla corretta informazione che dovrebbero stare alla base del rapporto medico-paziente, prevale il timore di perdere il guadagno derivante dall’intervento abortivo. E comunque il “consenso informato”, evidentemente, è un diritto inviolabile dei pazienti, solo quando l’ideologia lo consente. ■


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Basta bugie!

L’OMS e l’UNESCO, agenzie dell’ONU… ricordate il numero di maggio di Notizie ProVita, “Lupi travestiti da pecore”?

Questa è la storia della scalata al potere da parte dell’ideologia gender. Dura più di mezzo secolo: oggi ne vediamo la prima parte. di La Rosa Bianca Proviamo a dare una mano a quanti ritengono che sia giunta l’ora di dire la verità a proposito di quell’ideologia gender, che i fautori del progresso vorrebbero far passare come fandonia inventata da fanatici bigotti, ripercorrendo brevemente le tappe della sua ascesa al potere, tralasciandone le basi ideologiche e filosofiche, di cui si è parlato in altra sede. ■ 1946 - Il presidente Truman firmava l’adesione degli USA all’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di educazione, scienza e cultura “L’UNESCO chiamerà a collaborare alla causa della pace le forze dell’educazione, della scienza, dell’apprendimento e delle arti creative, delle agenzie cinematografiche, della radio e della carta stampata… al fine che gli uomini possano essere educati alla giustizia, alla libertà e alla pace. Per fare in modo che la pace sia durevole, l’educazione deve stabilire l’unità morale del genere umano”. Nasceva, così, il politicamente corretto con lo scopo di stabilire l’unità morale del genere umano: per ottenere il risultato voluto era indispensabile eliminare la realtà delle cose e l’oggettività scientifica (politicamente corretto equivale a scientificamente falso). ■ 1948 - l’OMS cambiava la definizione di salute. Dalla pragmatica definizione di “assenza di malattia e disabilità” si passava a “completo benessere, fisico, psichico e sociale”: un’utopia indispensabile per aprire la strada all’aborto sotto l’egida dello Stato. Un traguardo impossibile da raggiungere in precedenza dato che difficilmente la gravidanza poteva essere inquadrata come malattia o disabilità. La nuova dizione spalancava le porte anche alla “salute sessuale e riproduttiva”, vale a dire: contraccezione, aborto, procreazione medicalmente

assistita prima per le coppie sterili, poi per quelle fertili con problemi di malattie genetiche trasmissibili e infine per le coppie omosessuali che difficilmente sarebbero in grado di riprodursi in autonomia. Tutto ciò sotto la dizione “nuovi diritti umani” e dunque a carico della collettività. ■ Negli anni 50 - John Money (1921-2006) professore alla Johns Hopkins University di Baltimora partiva per una crociata a favore dei nuovi diritti umani. Secondo la visione scientifica del prof. Money non era la biologia, la genetica, gli ormoni - in breve, la natura - a creare il binomio uomini/donne bensì l’imprinting culturale (“Imprinting and Establishment of Gender Role” John Money, ph.D et al. AMA Arch NeurPsych. 1957), banalizzandone il contenuto si può tradurre dicendo che basta mettere un fiocco rosa a un maschietto e trattarlo come femmina per fare di lui una donna e viceversa. Money riuscì a suscitare l’entusiasmo e il sostegno incondizionato delle femministe alle sue teorie che mettevano in discussione i tradizionali ruoli di genere (maschile e femminile), secondo i quali le donne dovevano stare in casa a cucinare mentre gli uomini dovevano lavorare per sostenere le esigenze economiche della famiglia. Secondo John Money i ruoli stereotipati penalizzavano le donne che erano così private dell’opportunità di

Se la salute non è più “assenza di malattia e disabilità”, ma è “completo benessere, fisico, psichico e sociale”, allora si giustifica l’aborto e si comprende la “salute sessuale e riproduttiva”.


Attualità crescere professionalmente nella società con una loro carriera autonoma. In realtà Money fece suo lo slogan dell’economista Stuart Mill (18061873) per cui era doveroso concedere alle donne le famose pari opportunità nel mondo del lavoro, senza spiegare che le pari opportunità servivano alla politica industriale del tempo che in questo modo poteva avere accesso a una mano d’opera a più basso costo. Se i ruoli di genere non erano legati alla natura ma alla cultura, allora era necessario combattere per decostruire gli stereotipi di genere che penalizzavano le donne nella vita lavorativa e politica. Il mondo liberal/progressista che ha sposato l’ideologia di genere ha dimenticato che l’unico ruolo che discrimina in maniera netta e incontrovertibile il maschio dalla femmina è quello procreativo in cui il maschio feconda e la femmina partorisce. Il maschio non potrà mai partorire e la femmina non potrà mai fecondare. Tutti gli altri ruoli sono, in assoluto, intercambiabili, anche se talora con difficoltà, e il risultato dell’azione che emergerà è legato unicamente alle capacità individuali delle persone, maschi o femmine che siano. ■ 1964 - Nasceva il SIECUS, Sex Information and Education Council degli USA, auspicato da John Money che risulta esserne uno dei fondatori e firmatari, con lo scopo di promuovere lo studio della sessualità umana e l’educazione sessuale nelle scuole, secondo le direttive dell’UNESCO che ne definì chiaramente gli obiettivi: “Il bisogno di limitare la crescita della popolazione, l’uso diffuso di contraccettivi validi e lo sviluppo della tecnologia riproduttiva hanno reso meno significativi gli aspetti procreativi del sesso”.

Harry Truman, 33° Presidente degli Stati Uniti, fu eletto alla fine della seconda guerra mondiale. Fu lui che ordinò il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki.

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Il bisogno di limitare la crescita della popolazione, l’uso diffuso di contraccettivi validi e lo sviluppo della tecnologia riproduttiva hanno reso meno significativi gli aspetti procreativi del sesso. ■ 1968 - Si scatenava la rivoluzione sessuale in tutto il mondo al grido di “fate l’amore non fate la guerra”, con l’obiettivo utopico della pace nel mondo da perseguire mediante l’uso della sessualità ricreativa, secondo le direttive dell’UNESCO. Mentre i giovani erano intenti a fare l’amore invece che la guerra, in Canada qualcuno nutriva forti dubbi sull’impostazione scientifico/culturale portata avanti da Money, ritenendo improbabile che la biologia e soprattutto gli ormoni potessero essere così facilmente annichiliti dall’imprinting culturale, ma negli anni 60 nessuno volle prestare attenzione alle obiezioni del prof. Milton Diamond dal momento che la scienza ufficiale aveva sposato in pieno le teorie di Money che andava esattamente nella direzione voluta dalla politica (antinatalista) e dall’industria farmaceutica. Money aveva adottato la sua teoria della malleabilità umana anche per i bambini nati con genitali ambigui che venivano tutti trasformati in femmine, indipendentemente dal sesso genetico di appartenenza, perché l’intervento chirurgico era più semplice, anche in base all’assunto che quello che contava nell’identificazione sessuale di una persona era la sua socializzazione e non la biologia. Preso dall’entusiasmo delle sue scoperte il prof. Money mise a punto anche un protocollo che prevedeva la trasformazione delle persone che si sentivano intrappolate nei corpi sbagliati introducendo il concetto di identità di genere secondo la quale la percezione della persona che si sentiva nel corpo sbagliato era più importante della sua realtà biologica. Le nuove acquisizioni tecnologiche rendevano possibile trasformare i sogni in realtà attuando il cambiamento dell’identità sessuale delle persone divenute, a quel punto, transessuali. Sul finire degli anni ’60 nasceva la prima “Gender Identity Clinic” a Baltimora, clinica che verrà chiusa nel 1979 dopo che uno studio aveva messo in evidenza come una procedura così complessa, dolorosa e costosa lasciava inalterati i problemi di base delle persone transessuali. Nel frattempo, il tragitto culturale procedeva inarrestabile e la procedura era stata adottata in altre sedi. Dal 2005 è operativa anche in Italia, a spese del SSN, come parte integrante del pacchetto definito “Salute sessuale e riproduttiva”. Le ultime resistenze degli scettici miscredenti furono spazzate via dalla pubblicazione del lavoro di J. Money e A. Ehrhardt del 1975 “Rearing of a Sexreassigned normal male infant after traumatic loss of penis.” (John’s Hopkins University Press, 1975, ormai


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E’ stupefacente come a Money sia bastato un unico lavoro, dimostrato poi essere una frode scientifica, per dare l’avvio alla rivoluzione di genere, con il benestare dell’establishment scientifico internazionale.

Il libro di Colapinto che denunciò la frode scientifica perpetrata da Money e i danni arrecati al piccolo Bruce/Brenda/ David Reimer.

introvabile). A riprova della correttezza della sua teoria veniva riportato il caso di Bruce Reimer, un bambino normale cui era stato lesionato il pene e che era stato cresciuto come femmina. Procedura che, a detta del prof. Money, era stata completata con pieno successo (mentiva sapendo di mentire perché il povero Bruce/Brenda non fu mai felice di essere femmina: anzi appena poté si fece operare e tornò maschio), sugellando con i fatti la sua teoria sulla malleabilità del genere umano. Quello che i più non sapevano era il fatto che il prof. Money non agiva nelle vesti di uno scienziato interessato a scoprire i segreti della biologia, ma in quelle di un rivoluzionario interessato a portare avanti una nuova visione del mondo: la nuova etica del sesso ricreativo, la distruzione dei tabù relativi al sesso, la promozione dei diritti sessuali dei bambini alla ricerca di quell’unità morale inclusiva del genere umano auspicata dal Presidente Truman e sponsorizzata dall’UNESCO. Il fatto stupefacente è come sia bastato un unico lavoro, dimostrato poi essere una frode scientifica, a dare l’avvio alla rivoluzione di genere e il tutto con il benestare dell’establishment scientifico internazionale. Il fatto che l’identità di genere fosse legata alla socializzazione, al modo in cui i bambini vengono cresciuti, divenne un dogma intoccabile nei campus universitari americani fino a che al prof. Milton Diamond non venne in mente di andare a vedere cosa era accaduto di quel bambino che era diventato il pilastro portante dell’ideologia di genere e scoprì una realtà completamente diversa dalla narrativa corrente. Se la comunità scientifica

era stata informata prima della frode scientifica del prof. Money, il vasto pubblico avrebbe conosciuto la verità sul caso Reimer solo nel 2000 quando fu pubblicato il libro “As Nature Made Him” di John Colapinto. Bruce/Brenda/David Reimer morirà suicida nel 2004. ■ 1973 - L’American Psychiatric Association, dopo aver visto boicottati due dei suoi congressi annuali dagli attivisti gay, sancì, con una votazione tra gli iscritti, che l’omosessualità non era più da considerarsi una malattia. La decisione presa non fu di natura scientifica bensì politica. Il voto, per antonomasia, implica una procedura “democratica”, ma certamente non scientifica. La scienza dovrebbe essere indipendente e non soggetta alle regole della politica, ma con l’avvento del nuovo mondo progressista che doveva stabilire l’unità morale del genere umano, le vecchie regole non valevano più. La conseguenza immediata del voto tra una parte degli iscritti all’associazione, fu la modifica del Manuale Diagnostico e Statistico in cui sono elencati i disordini mentali/psichici (DSM II) che decretò la fine dell’omosessualità intesa come malattia dando l’avvio alla normalizzazione dell’omosessualità intesa come variante naturale del comportamento sessuale umano. ■ (Continua nel prossimo numero)

Se “l’educazione deve stabilire l’unità morale del genere umano”, bisogna che tutto sia politicamente corretto. L’atleta americano Bruce Jenner, che ha cambiato sesso, è uno dei trans più “patinati” del momento.


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Desidero ergo sum?

Dal materialismo, dall’anti-civismo al pensiero gender, c’è un collegamento stretto: in “Nazi-buonisti” - spiega l’autore - si è costretti a ragionarci sopra. di Fabio Torriero Dal caso di Avetrana alle baby squillo dei Parioli; da Schettino alla morte di Marilia, uccisa dal suo amante, datore di lavoro, perché voleva rimuovere una gravidanza indesiderata e che dopo averla bruciata si è postato, come se niente fosse, su facebook, con figlie e cagnolino. Interessante ed estremamente significativa, la comunicazione degli amici, dei compagni di merende, dei familiari e soprattutto, dei genitori dei protagonisti delle vicende in questione: tutti indifferenti, sorpresi, stupiti. Tutti avvolti in una nebbia, a metà tra l’incomprensione e l’omertà. Questo è stato lo spaccato italiano da cui si prende spunto per analizzare e comprendere personaggi, fatti e parole, della cronaca politica e cronaca nera. Nel libro “Nazi buonisti” (edito da Koiné), ho cercato di raccontare, rappresentare, il peggioramento progressivo e inesorabile della società italiana. La perdita costante del “noi” e della relazione; basi sulle quali si fonda la polis, la vera res-publica; altrimenti, qualsiasi comunità organizzata implode, muore. Basta camminare per le nostre strade, osservare i movimenti collettivi, ascoltare il lessico dei nostri concittadini, analizzare i comportamenti per rendersene tristemente conto. La lente d’ingrandimento va orientata, infatti, sulla “normalità malata”, che i sociologi chiamano “follia di prossimità”; su quella vita apparente che, in realtà, nasconde incubi e fantasmi latenti. Una bomba sempre in procinto di esplodere. E che coinvolge tutti con forme e tonalità più o meno diverse. Gli assassini, i colpevoli, citati nel libro, hanno sempre due morali e due verità. Non sono anomalie o schegge impazzite, ma sono figli, sono la punta dell’iceberg di più culture sovrapposte. Il sommario del libro fa capire il perimetro dell’inchiesta, corredata da una introduzione e I “nazi-buonisti” sono schiavi dei social. Sono profondamente soli, in grado di comunicare solo tramite telefono cellulare…

Fabio Torriero

Musicista, laureato in Scienze politiche, è giornalista professionista dal 1994. Ha lavorato per diverse testate di prestigio. È editorialista de Il Tempo, direttore della rivista culturale La Destra Italiana e del quotidiano online IntelligoNews.

Il “nazi-buonista” è frutto dell’incontro tra Adam Smith e Karl Marx, uniti da Herbert Marcuse. una conclusione che guida e costringe il lettore a confrontarsi con se stesso, a riflettere e a guardarsi meglio intorno. Chi è, dunque, il “nazi-buonista”? Il neologismo è voluto per semplificare. Nella sostanza è l’odierno italiano medio, molto maleducato, individualista; anzi per meglio dire, egoista e totalmente privo del senso dell’alterità, delle regole, appunto, del “noi”; ma che a parole è democratico, tollerante, progressista, buonista, libertario. Parto evoluto dell’humus illuminista a 360 gradi. Seguace di un pensiero unico tollerante, democratico, ma di fatto “intollerante e antidemocratico” con chi si oppone al pensiero unico. Una nuova ideologia che uccide, ma per il nostro bene. Dal materialismo, dall’anti-civismo al pensiero gender, c’è un collegamento stretto? La riposta è affermativa: è l’ultima evoluzione della “società delle pulsioni dell’io”, per qualcuno la negazione delle libertà liberali ottocentesche; per qualcun altro, l’estremo stadio proprio delle libertà liberali (Adam Smith e Marx uniti da Marcuse). I passaggi di questo relativismo? Si incontrano nello stesso nostro dna. Basta assemblare familismo amorale, ’68, berlusconismo culturale e social. Andiamo per ordine e riassumiamo i concetti: il familismo italiano (la degenerazione del valore pedagogico della famiglia naturale; la perdita del ruolo educativo da parte dei genitori), è un nostro male strutturale, sociologico, storico, culturale. Che ha meritato gli studi di Banfield. Ecco in sintesi, i suoi precetti: ciò che è esterno alla famiglia, intesa


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Il “nazi-buonista” a parole è democratico, tollerante, progressista, buonista, libertario, ma di fatto “intollerante e antidemocratico” con chi si oppone al pensiero unico: uccide, ma per il nostro bene.

come clan, come tribù, è male; ciò che è interno è bene. Nella famiglia i figli rimangono eterni figli, mai cittadini adulti (il privato contro il pubblico), e si vive un clima di continua deresponsabilizzazione, di impunità permanente rispetto alle regole, al senso civico, all’autorità dello Stato. Logico che alla luce di tale forma-mentis l’atteggiamento che si genera verso il mondo esterno, in chi vi appartiene, sia stato ed è tuttora predatorio. Ad Avetrana era più importante lo scandalo pubblico, la comunicazione, che la coscienza del delitto, del male fatto alla povera Sarah Scazzi. Il branco metropolitano (la famiglia, la tribù, il clan giovanile) poi, è il prolungamento delle regole familiste applicate ed estese al territorio, al quartiere: chi è nel branco ha ragione, va difeso; chi è fuori del branco è un nemico da combattere, da eliminare. Ecco la ragione per la quale se un membro del branco uccide “ha commesso un errore”; e per la madre, semmai, “ha fatto uno sbaglio”. La verità, sempre relativizzata (il male e il bene non sono antitetici, ma paritari), non viene mai vista e chiamata per nome. La comunicazione autoassolutoria, giustificazionista, riduttiva, è sintomatica di un processo culturale ben preciso. Il Sessantotto si è innestato perfettamente su questo filone. Con un’idea di libertà senza limiti,

senza valutazione dei suoi effetti (sulle persone o cose), senza il contraltare dell’autorità. Nel nome e nel segno di una mistica dei diritti senza i doveri. Un soggettivismo assoluto che è stato ed è ancora, tra l’altro, la fonte di ogni lotta di classe nella storia, sia individuale sia collettiva, in quanto frutto dalla famosa frase “perché non io?”. Quell’invidia sociale, origine e causa di ogni rivendicazione ideologica e di ogni rivoluzione. Negli anni Novanta il berlusconismo culturale ha rafforzato, americanizzato, aziendalizzato, il ’68, esaltando il culto della libertà, dell’individualismo esasperato, del consumismo sfrenato, del sessismo (già presente nella commedia all’italiana, film-specchio del nostro costume), dell’immagine, dell’io, della politica e dell’economia “ad personam”; del sostanziale relativismo etico. I social, infine, il loro uso compulsivo, hanno estremizzato questo percorso nella sempre più marcata distanza tra realtà reale e virtuale: cittadiniconsumatori-utenti, ridotti a monadi incomunicanti, a bolle autoreferenziali e anaffettive. Non è questa la società che vediamo e con cui ci confrontiamo ogni giorno? Non ci scontriamo con una logica e una religione individualistica assoluta, estranea a regole e limiti? Dove religione, istituzioni e leggi, sono viste e vengono vissute, come un frustrante limite? Dall’economia di mercato, siamo passati, velocemente, alla società di mercato, e al supermercato (dove regna unicamente il desiderio compulsivo). La vita è ormai una enorme vetrina: possiamo scegliere, vendere, acquistare, svendere, affittare e buttare tutto velocemente (come una pausa caffè), mogli, mariti, uomini, donne, figli, uteri, cose. L’ideologia gender è la risultante del supermercato, della società Frankenstein (le pulsioni dell’io), dove ognuno prende il pezzo che vuole. Nazi-Buonisti mette in guardia il lettore da questa deriva, offre un’interpretazione sulle cause e fornisce qualche spunto e appunto per ripartire in modo virtuoso: una nuova pedagogia cristiana, un ritorno all’alterità, alla relazione. A quel “noi” che la cultura moderna ha dimenticato e che è la linfa per ricostruire una società a misura d’uomo. George Bernanos, il famoso scrittore cattolico francese, ha scritto righe molto profetiche: “Salvate l’uomo, perché sarà lo stesso uomo a non voler essere salvato; le società folli generano folli”. ■



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“L’amore è amore”: Joke, 29 anni, Bell, di 21 e Art di 26 si sono sposati con una cerimonia buddhista in Thailandia, alcuni mesi fa.

Homo eroticus e società ipersessualizzata

Siamo forse a una riproposizione dell’edonismo che ha origine risalente all’Antichità? di Giovanni Stelli Il perbenismo di cui si ammantano così spesso le rivendicazioni del mondo Lgbt può ingannare solo i disattenti o coloro che rifiutano, per pregiudizi ideologici, di guardare in faccia la realtà. Non va presa sul serio la cosiddetta “voglia di famiglia” affermata per normalizzare il matrimonio omosessuale: anche volendo chiudere gli occhi davanti allo spettacolo dei vari Gay Pride - in cui viene apertamente e onestamente esibito un ipersessualismo che nulla ha che fare con ciò che è la famiglia -, è chiaro che chiamare ogni relazione famiglia significa dissolvere la famiglia. Il nodo essenziale è, infatti, il seguente: non esiste alcun motivo razionale per limitare la normalizzazione giuridica e morale al matrimonio omosessuale e non estenderla ad altri tipi di relazioni, come il “matrimonio plurimo”, annunciato gioiosamente di recente su internet da tre thailandesi, che hanno rivendicato il merito di essere i primi uomini gay ad aver contratto un matrimonio a tre (per la verità erano stati preceduti da altri “pionieri” negli Stati Uniti). Il punto non è quindi estendere matrimonio e famiglia ad altri soggetti, bensì distruggere matrimonio e famiglia, usando questi nomi per designare qualsiasi tipo di relazione sessuale. La relatrice dell’attuale proposta di legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà, ha detto il 5 marzo di quest’anno al Senato che si tratta di “un passo iniziale verso lo scardinamento, che già esiste nella nostra società,

Diceva Epicuro: “E’ un gran bene l’indipendenza dai desideri, non perché sempre dobbiamo avere solo il poco, ma perché, se non abbiamo il molto, sappiamo accontentarci del poco”.

rispetto alla famiglia tradizionale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna […] ci sono le famiglie allargate, le famiglie arcobaleno, le famiglie monogenitoriali, le famiglie adottanti, le famiglie affidatarie. Tutte le famiglie sono meritevoli della stessa tutela. Tutelare un tipo di famiglia non vuol dire depauperarne un’altra. Tutti gli amori sono meritevoli della stessa dignità”. Ma, se “tutti gli amori sono meritevoli della stessa dignità”, perché allora non riconoscere e tutelare il poliamore? Il poliamore rappresenta il futuro, così ci assicura il banchiere e “futurologo” Jacques Attali, a suo tempo consigliere di Mitterand e Sarkozy, che in un’intervista a Repubblica del 19 agosto 2014 afferma: “A che titolo si dovrebbero avere due case e due cellulari, e non più amori? Se tutti non cambiassero di continuo automobile ed elettrodomestici, l’economia crollerebbe. […] La trasparenza porterà all’affermazione del diritto ad avere molti amori, omosessuali o eterosessuali, ma più spesso dettati dalla bisessualità, inclinazione che sta velocemente aumentando (o affiorando alla luce). In analogia con il networking, ci sarà il netloving: un circuito amoroso nel quale si potranno avere relazioni simultanee e trasparenti con più individui, che a loro volta avranno molti partner […] Legami clandestini, esistenze multiple, multisessualità, poligenitorialità, nomadismo affettivo, co-co-coniugalità: saranno queste divinità a dettar legge nel pantheon high-tech dell’homo eroticus”. Homo eroticus e società ipersessualizzata: nel futuro che ci attende, ma che già oggi sembra rapidamente affermarsi, ognuno potrà soddisfare tutti i suoi desideri, famiglia monogamica e fedeltà saranno considerate convenzioni barbariche “feudali”, avremo la “multigenitorialità” e la “turnazione genitoriale” in cui la responsabilità educativa sarà condivisa, come in una staffetta, “con i nuovi compagni, con gli ex, con gli ex degli ex e con estranei” e i bimbi cresceranno in famiglie composte da “vari padri e varie madri o solo padri e solo madri, tutti ugualmente legittimi”. Allarmarsi? E perché mai? “I bambini saranno felici di avere più


Primo Piano Epicuro, busto marmoreo, copia romana dell'originale greco (III secolo-II secolo a.C.), Londra, British Museum

famiglie e vivranno in un luogo fisso dove i genitori si avvicenderanno”. La legittimazione del matrimonio e delle famiglie omosessuali è pertanto un passo tattico in direzione di un ipersessualismo diffuso e della dittatura incontrastata del desiderio che ne è a fondamento. Ma sarà possibile poi normare il poliamore? Come sottoporre a norme ciò che rifiuta ogni norma? Come limitare il desiderio che di per sé non ha limiti? Ciò che oggi è ancora interdetto (come la pedofilia o la necrofilia) per la resistenza residua della morale tradizionale, domani potrà essere lecito, poiché l’unico criterio è il desiderio soggettivo multiforme e continuamente variabile. Siamo forse a una riproposizione dell’edonismo che ha una lunga tradizione risalente all’Antichità? Ma quello che ci viene oggi proposto nulla ha che fare con quanto predicava il più celebre degli edonisti antichi, Epicuro. Governare il piacere e non abbandonarsi a esso: questa era per Epicuro la ricetta della felicità, una saggezza che considerava “un gran bene l’indipendenza dai desideri, non perché sempre dobbiamo avere solo il poco, ma perché, se non abbiamo il molto, sappiamo accontentarci del poco” (Epistola a Meneceo). L’opposto dell’attuale dittatura del desiderio! La radice della forma attuale dell’edonismo è invece l’aspirazione alla moltiplicazione infinita del piacere, così come nel tipico mito moderno di don Giovanni. Mentre Epicuro afferma che “niente basta a

I precetti propagandati dall’ipersessualismo sempre più diffuso sono semplici e attraenti - “vivi come meglio ti pare” - e promettono un futuro di felicità per tutti. Ma è una promessa che a mala pena nasconde un esito distruttivo.

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A che titolo si dovrebbero avere due case e due cellulari, e non più amori? I bambini saranno felici di avere più famiglie e vivranno in un luogo fisso dove i genitori si avvicenderanno. colui per il quale è poco ciò che basta” (Gnomologio Vaticano, 68), la modernità sostiene col marchese De Sade, il trascurato profeta dell’attuale rivoluzione ipersessualista, che non c’è limite al desiderio: la natura è un semplice insieme di fatti e qualsiasi fatto (adulterio, omosessualità, pedofilia, assassinio) può essere scelto dall’individuo come “valore”, poiché ogni valore è una creazione convenzionale dell’uomo. Considerare un’azione come virtuosa o viziosa è una questione di opinioni, variabili nel tempo e nello spazio geografico. E, infatti, comportamenti che la psicanalisi classica con Freud si ostinava a chiamare “perversioni” vengono oggi man mano sdoganati come “normali” variabili dell’“amore” (love has no label) ovvero “parafilie” - per impiegare il termine morbido usato da John Money, un precursore dei gender studies, in un pionieristico lavoro del 1986 (Lovemaps [Mappe amorose]) - e considerati pratiche accettabili. I precetti propagandati da questo ipersessualismo sempre più diffuso sono semplici e attraenti - “vivi come meglio ti pare”, “sei assolutamente libero di scegliere ciò che vuoi”, “devi essere te stesso e quindi puoi fare ciò che vuoi” - e promettono un futuro di felicità per tutti. Ma è una promessa che a mala pena nasconde un esito distruttivo. Rifiutare i vincoli della ragione e dei valori non può che portare alla disperazione e al nichilismo: se tutto si equivale, se tutto è possibile, allora niente merita veramente di essere difeso o conservato. Anzi: tutto merita di essere distrutto e può effettivamente essere distrutto. E la carica distruttiva può rivolgersi contro lo stesso soggetto: tedio dell’esistenza, anoressia, incapacità di vivere fino alla ricerca malsana del rischio estremo e della morte (riportano le cronache di giovani americani che “giocano” rimanendo distesi per alcuni minuti sulle autostrade su cui sfrecciano ad alta velocità le automobili). In realtà è proprio la variazione all’infinito dei desideri che impedisce di trovare un senso autentico dell’esistenza e di costruire relazioni stabili, le uniche che possono aiutarci a percorrere il cammino splendido e faticoso della vita. ■


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Claudia Cirami

Siciliana, ha una laurea in filosofia e il magistero in Scienze Religiose. È insegnante di religione cattolica. * sorrialba@gmail.com

Corpo e sessualità

“Colazione sull’erba”, dipinto tra il 1862 e il 1863 dal pittore francese Edouard Manet, conservato al Musée d'Orsay di Parigi.

Per i cattolici, il corpo, il sesso, sono cose buone, finalizzate al bene della persona, finché la persona e il suo corpo non vengono usati, “cosificati”. di Claudia Cirami Nel celebre dipinto di Edouard Manet, Colazione sull’erba, una donna nuda è seduta su un prato, mentre due giovani, vicino a lei, conversano vestiti. Un’altra donna, seminuda, si bagna nelle vicine acque. Tutti sembrano a loro agio, come fosse stata recuperata l’originale innocenza adamitica e fosse scontato il naturale integrarsi della sessualità libera da condizionamenti morali - nel quotidiano della vita. Simile al dipinto è la prospettiva mondana contemporanea sulla sessualità, secondo la quale questa viene ridotta alla semplice soddisfazione di un bisogno fisico. Eppure, fin dagli esordi del pensiero e della letteratura, c’è nei vari autori la consapevolezza della natura ambigua di Eros: ha sì una componente bella e fecondante, ma anche una dolorosa e distruttiva. Presentarlo dunque come semplice risposta a un bisogno fisico è un atto menzognero: viene negata la sua componente ambigua per mostrarlo solo come risolutore di situazioni, fingendo di ignorare che è anche promotore di problemi. Per Giovanni Paolo II: «Il fatto che la teologia comprenda anche il corpo non deve meravigliare né sorprendere nessuno che sia cosciente del mistero e della realtà dell’incarnazione; poiché il Verbo di Dio si è fatto carne, il corpo è entrato, direi, attraverso la porta principale nella teologia». Già da cardinale, Karol Woytila era stato attento al tema. In “Amore e responsabilità” scriveva che l’amore «non è mai una cosa bell’e fatta, semplicemente “offerta” alla donna e all’uomo: deve essere elaborato. Ecco come bisogna vederlo: in certa misura, l’amore non “è” ma “diventa” in ogni istante quel che ne fa l’apporto di ciascuna delle persone e la profondità del loro impegno». Perché parlare di amore nell’affrontare il discorso sulla sessualità? Perché sebbene una campagna propagandistica sempre più aggressiva abbia trasformato il sesso in una sorta di “ginnastica”

L’uomo sa da sempre, fin dall’antichità, della natura ambigua di Eros: ha sì una componente bella e fecondante, ma anche una dolorosa e distruttiva. per far star bene l’uomo (studi sui chili persi durante l’attività sessuale, sull’effetto benefico sull’umore, etc.), in realtà, se non inserito in quel misterioso e sacro universo che è espresso dal termine “amore”, rischia di rivoltarsi come un boomerang malefico contro gli esseri umani. L’amore rettamente inteso — quindi, anche nella sua declinazione fisica — si incontra nel rapporto sponsale, in cui l’uomo e la donna si fondono. Per i cristiani diviene icona dell’amore che Cristo ha per la sua Chiesa. Occorre essere consapevoli del fatto che uomo e donna sono quell’“uomo storico” che è, per così dire, anche l’“uomo della concupiscenza”: questo però non inficia il fatto che ormai uomini e donne sono parte della storia di salvezza e il sacramento del matrimonio che li unisce diviene il segno dell’alleanza e della grazia. Corpo e sessualità, dunque, non perdono la loro componente ambigua, ma sono redenti all’interno di un’unione benedetta da Dio e diventano strumenti di nuova vita. Proprio per questo motivo la radicale donazione dei coniugi prevede il rifiuto della contraccezione: essa non è solo chiusura alla vita, ma esprime anche una falsificazione di quella donazione, perché, con l’uso del contraccettivo, non è più veritiero sostenere che ci si dona completamente all’altro. Nella logica del dono, dunque, e all’interno del legame sponsale: così corpo e sessualità vivono la redenzione. Il corpo e la sessualità hanno lo stesso sacro valore che ha la persona. Il corpo non è una cosa “della” persona (né la persona è “solo” il suo corpo), ma la persona è corpo, anima, intelletto, volontà, un tutt’uno ■ inscindibile e mai fruibile come un oggetto.


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Il culto del sesso, al centro della vita, come fosse un dio

La nostra società ipersessualizzata, ottimo brodo di coltura per l’ideologia gender, mira alla (de)costruzione di individui soli, insicuri, insoddisfatti, frustrati. di Francesca Romana Poleggi L’ideologia del gender è certamente connessa con la rivoluzione sessuale del ‘68. I rapporti Kinsey e le ricerche del famigerato John Money, negli anni ’50, erano già intrisi di gender (termine coniato proprio da Money) ed erano fondamentalmente votati a vedere nel sesso (libero e sfrenato) la realizzazione della persona. Non è un caso che i due fossero dei pervertiti: Kinsey, probabilmente vittima di abusi, da bambino, passava ore a masturbarsi fino a farsi del male. Per realizzare le sue ricerche, che tendevano a dimostrare la “normalità delle perversioni”, ha condotto pratiche per cui è stato seriamente accusato di pedofila e di violenza. Quanto a Money, anche la sua vittima più famosa, Bruce/Brenda/ David Reimer, lo ha accusato di pretendere che lui e il fratellino, Brian, si spogliassero, e compissero atti tremendamente imbarazzanti e sgradevoli. Tanto che, da adolescente, “Brenda” minacciò di uccidersi se i genitori l’avessero riportata di nuovo a un “controllo” presso lo studio di John Money. Inutile dire che sia le accuse a Kinsey, sia quelle a Money sono state doverosamente insabbiate. Se il sesso è tutto, allora bisogna provare tutto: lasciarsi andare a fantasie, rivestire ruoli e identità varie, liberi dal dato biologico che può essere “stereotipato” e quindi “limitante”. Si comprende, quindi, che l’ideologia gender si è diffusa con più facilità laddove si è andato a porre sul piedistallo dell’idolatria il sesso fine a se stesso, visto come un fine, il massimo del piacere, un gioco che non solo si “può” fare in ogni occasione, ma si “deve” fare per essere maturi, felici, realizzati. Dal ‘68 in poi la pornografia dilaga, non solo nelle canoniche forme “hard”, vietate ai minori, ma soprattutto in forma “soft” attraverso una lenta continua inesorabile erosione del comune senso del pudore. Tinto Brass, famoso regista di film erotici considerati opere d’arte, cinema d’autore.

Francesca Romana Poleggi

​ adre di tre figli, moglie, insegnante, fa parte M del movimento ecclesiale “Fede e Luce”. ​ Dal 2008 è impegnata sul fronte dei diritti umani con la Laogai Research Foundation. Co-fondatrice di ProVita Onlus, ​è direttore editoriale di questa Rivista​.

Basti riguardare qualche vecchio film e confrontarne le scene d’amore con quelle di un analogo film moderno, oppure paragonare i balletti e i costumi delle subrette degli anni ‘60 e quelli attuali. Non sorprende quindi che due volte l’anno, da qualche tempo, il 31 luglio e il 21 dicembre si celebrino le giornate mondiali dell’orgasmo. Una leggenda metropolitana (messa in piedi dalla letteratura femminista radicale e lesbista degli anni ‘60) narra che le donne difficilmente raggiungono il massimo piacere, e quindi è necessaria una diffusa educazione sessuale (magari - perché no? - nelle scuole!) per insegnare teoria e pratica, a persone sole o in compagnia. Se ciò non bastasse, le signore possono frequentare un corso di Coregasm, cioè ginnastica finalizzata a raggiungere l’orgasmo: “Yoga, climbing, ciclismo e corsa - a sentire la scrittrice americana Debby Herbenick, autrice del manuale Coregasm Workout Manual - un sapiente mix di training che unisce i quattro differenti sport, permette di raggiungere apici di piacere mai provati prima dalle donne”. Si è deliberatamente e scientemente sottaciuto “il lato oscuro dell’eros”: in Francia al museo d’Orsay di Parigi, si sono moltiplicate le iniziative per omaggiare il Marchese de Sade - autore di opere così oscene e di pratiche sessuali così spinte e crudeli che gli meritarono la galera e poi il manicomio - a duecento anni dalla morte. Tra le varie iniziative ricordiamo al Musée d’Orsay, la mostra “Sade, attaquer le soleil”, dove si poteva trovare il “Gabinetto delle perversioni”, spazio

La pornografia “soft” è più pericolosa di quella “hard”: pervade tutto e la sorbiscono tutti.


20 N. 33 - SETTEMBRE 2015 in cui ciascuno poteva dare libero sfogo alla “sua mania” personale, per citare le parole dei curatori. Le conseguenze dell’ipersessualizzazione della società si riscontrano nella vita affettiva e intima delle persone - e sono ancor più gravi quando ne siano vittime i bambini: instabilità psichica, depressione, insoddisfazione, assuefazione (sì: il sesso sfrenato è come una droga), impotenza, la ricerca di un piacere sempre più estremo fino alle perversioni e alle parafilie, fino alla violenza, non solo sessuale, fino alla nausea di sé, del proprio “genere” (oggi vanno tanto di moda anche gli a-sessuali, infatti). Le ricerche scientifiche e psicologiche che spiegano questi effetti sono molte e pubblicate da autori di prestigio in riviste scientifiche autorevoli. Per un’ottima introduzione e guida bibliografica si può leggere, ad esempio, “EROSi dai media”, di Mugnaini, Cantelmi, Lambiase e Lassi, edito da San Paolo. Ma questi dati non vengono certo divulgati. Anzi, i media continuano a celebrare il sesso come un toccasana per risolvere qualsiasi problema dalla depressione, ai chili di troppo. La pornografia, poi, è spesso considerata come arte pura. L’anno scorso ProVita e i Giuristi Per la Vita hanno denunciato l’oscena scultura dei fratelli Chapman esposta (come capolavoro) al Maxxi di Roma: Piggyback. I due “artisti” americani sono soliti ritrarre figure di preadolescenti dal sesso non definito, con organi sessuali maschili che fuoriescono, per esempio, dalla bocca o dall’ombelico: un insulto per le vittime dei pedofili e i loro genitori. E non parliamo dei film erotici sempre più spinti ed espliciti che sono annoverati tra le pellicole d’autore. E le fiction, le sit-com, perfino i cartoni animati sono infarciti di sesso usa e getta. Quanto alla letteratura, l’Amante di Lady Chatterly ormai si può leggere all’asilo, se in quarta ginnasio si legge Sei come Sei, della Mazzucco.

Jake and Dinos Chapman, H.M.S. Cock shitter

Le gemelle Kessler: negli anni ‘60 erano considerate scandalosamente provocanti!

I sostenitori dell’ideologia gender dicono di voler combattere gli stereotipi fonte di discriminazione. Purtroppo considerano stereotipati i bambini che giocano con le macchinine e le bambine che giocano con le bambole, o le mamme che preparano la cena: non si accorgono che i veri stereotipi sono i corpi perfetti che in ogni momento la pubblicità e i media pongono come modello. Sono frustranti per chiunque, soprattutto per le persone normali che non possono o non vogliono passare in palestra o dall’estetista il 90% del tempo libero. I corpi sono sempre proposti come appetibili sessualmente e votati principalmente se non esclusivamente a fare sesso. Se veramente si volesse combattere la violenza sulle donne e la discriminazione, bisognerebbe ripristinare una severa censura su tutte quelle immagini che mostrano le “donne oggetto”: finirebbero nel cestino quintali di pellicole, ore e ore di spot e anche un bel po’ di spettacoli presentati da Maria De Filippi… “Pudore”, “castità”, “temperanza” sono parole divenute sconosciute, ideali irrisi, quando non denigrati come nemici dell’uomo e della sua libertà. Oggi, se uno dicesse che il massimo piacere (vero piacere, anche fisico) in un rapporto sessuale si raggiunge quando c’è sintonia e affiatamento, tra due persone che si conoscono profondamente, che si frequentano quotidianamente - “nella gioia e nel dolore” - che si donano reciprocamente senza ricercare un immediato riscontro egoistico, in un rapporto tutt’altro che occasionale e sfrenato ma fatto di tenerezza, condivisione, fedeltà ... beh, questi sarebbe considerato un pazzo fuori moda. E se un altro dicesse che ci sono tanti piaceri della vita diversi e maggiori e più profondi dell’orgasmo, e che dell’orgasmo danno più soddisfazione... beh, quest’altro sarebbe considerato un Marziano. ■


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Un po’ di pornografia: che male c’è? Qui si parla dell’industria del porno “hard”, vietato ai minori. Ma in modo “soft” certi messaggi arrivano anche ai bambini attraverso cartoni, mode, spettacoli solo apparentemente innocui. di Antonio Morra “Pornografia” deriva dalle parole πορνεία (porneia) “prostituzione”, e γράφειν (graphein) “scrivere”: significa quindi descrizione scritta o grafica della prostituzione. La pornografia ha invaso il mondo e soprattutto internet. Chiunque conosca il web, volente o nolente, si è trovato a visualizzare pubblicità porno. Quello che però molti non sanno è che questa “presenza ovunque” ha portato milioni di persone a essere dipendenti. Una “tossicodipendenza” che produce effetti devastanti pari alle comuni droghe pesanti. La pornografia ha distorto l’immagine della donna, il vero significato di femminilità e mascolinità. La donna è considerata come oggetto di piacere e soddisfazione egoistica. Vogliosa di comportamenti violenti e incuranti. Uno sguardo ai numeri. Il sesso è il primo soggetto di ricerca su Google. I siti porno conosciuti sono più di quattro milioni – 2.500 sviluppati ogni settimana. Il 60% di tutti i siti internet è di natura sessuale. L’85% degli uomini e il 41% delle donne hanno ammesso di aver cliccato almeno una volta su un sito di natura pornografica. Un uomo su cinque e una donna su otto hanno ammesso di accedere a materiale pornografico durante le ore lavorative. I profitti della pornografia sono da capogiro, novantasette miliardi di dollari (l’unico mercato che triplica ogni anno… niente crisi). Un giro d’affari che supera Microsoft, Apple, eBay, Google e Amazon. Secondo YouPorn, uno dei siti porno più visitati, Milano e Roma sono in testa alla classifica mondiale del traffico del porno. Solo l’Italia ha visitato YouPorn 391,475,719 volte. Il 90% dei ragazzi dagli otto ai sedici anni ha visto almeno un video porno su PC o smartphone. Ogni secondo, 30.000 persone si collegano per guardare Aborto, pornografia e tratta provengono dallo stesso pozzo, bere dell’uno alimenta gli altri due.

Antonio Morra

Laureato in Teologia presso la FIRE School of Ministry, Concord, NC – USA. Diplomato in studi biblici del Nuovo Testamento presso l’Università delle Nazioni YWAM Int., è Presidente del movimento Generazione Senza Confini e Fondatore di Noi Siamo La Vita. Sposato felicemente con Teresa.

pornografia e sono spesi €140.000 al minuto. Ogni giorno l’utente medio riceve quattro email di natura pornografica. Questi dati dimostrano che il problema si allarga a macchia d’olio e colpisce tutte le generazioni. Stiamo parlando di una vera e propria epidemia! La pornografia sta uccidendo relazioni, amicizie, matrimoni, famiglie. Deruba le persone del loro valore e della capacità di raggiungere veri obiettivi; distorce e snatura il sesso; svigorisce il carattere e annienta la vera bellezza. Che cosa ha portato a una così veloce espansione del porno web? La risposta si trova in due attributi di Internet che cominciano con la lettera A. Accessibile: prima di Internet la possibilità di accedere alla pornografia era limitata a riviste, DVD, cinema a luci rosse, e si sperava di non essere visti da qualche amico, familiare o addirittura fidanzata/ moglie. Adesso nella privacy di casa, con un click del mouse, un mondo infinito e perverso si apre dinanzi a noi. Gli spacciatori del porno sono furbi e hanno capito che bisognava soddisfare i loro clienti creando un porno “categorizzato”. Il 90% dei siti porno divide i suoi contenuti per categoria, dalle più soft a quelle con contenuti oltre l’immaginazione. Questo modo di fare “stuzzica” il cervello, che è attirato da argomenti nuovi, sempre diversi. Chi inizi a curiosare è travolto

In questa società ipersessualizzata, l’industria del porno è miliardaria e ha tutto l’interesse a che l’ipersessualizzazione delle persone cominci dalla più tenera età.


22 N. 33 - SETTEMBRE 2015 dal vortice di vedere altro e altro ancora. Come per ogni droga il nostro cervello diventa velocemente assuefatto, si assuefà e quindi richiede immagini e video diversi. Il cervello richiede shock sempre più grandi, che combinino paura, violenza, perversione. Ho parlato spesso con ragazzi che si vergognavano di quello che avevano guardato per eccitarsi, cose che fino a poco tempo prima “odiavano” e per cui provavano repulsione. I pornografi sono così astuti che sono disposti a donare gratuitamente dei campioni del loro prodotto per poi avere un cliente a vita. Per questo internet è carico di materiale pornografico gratuito. Se riescono a prenderti da adolescente o addirittura da bambino, sarai un loro gradito cliente per anni. Anonimo: prima di Internet molte persone per non correre il rischio di essere scoperti si limitavano allo stesso materiale per mesi prima di cambiare. Oggi invece tutti possono avere accesso a quella che lo psicologo Tullio De Ruvo chiama “la droga invisibile”. Accendi Internet e ti droghi nella più completa privacy e segretezza. Quest’aspetto è quello che ha portato migliaia di persone, prese dalla curiosità, a entrare nel tunnel. Un’email, un messaggio privato e via nel baratro. Il porno uccide la sessualità. Il sesso che guardiamo nel porno non è reale. Quello che sembra sesso non è altro che un film. Riprese, pause, viagra e ancora riprese, impossibile nella vita reale. Nel libro “The Hardcore Truth”, Shelly Lubben, ex-pornostar, descrive una tipica giornata di lavoro sul set: “Tanto lavoro, posizioni strane e stressanti, che permettono alle telecamere di riprendere le angolature giuste. È sesso meccanico. Lo facevamo solo per soldi e fama, non mi piaceva per niente, iniziai a odiare il sesso in generale. Spendevo più tempo con una bottiglia di Jack Daniel’s che con i porno attori. Odiavo essere toccata da persone estranee che se ne fregavano altamente di me. Alcune ragazze vomitavano tra una ripresa e l’altra, altre fumavano senza controllo. L’industria del porno vuole farti credere che a noi piace; la verità è che ci sentiamo denigrate”. Non

cambia nulla anche per il “porno amatoriale”, quando introduci una videocamera (nascosta o no), essa snatura l’intimità e trasforma il rapporto da amore a performance. La realtà dei fatti è che più guardi porno e più sarai insoddisfatto delle “prestazioni” del tuo partner. Il tuo “appetito” per il sesso vero diminuirà mentre aumenterà per quello fantastico e irreale. Il porno uccide le donne. Il porno ci spinge a vedere le donne come oggetti di piacere e consumo. Navighiamo il web in cerca di quello che ci piace e soddisfa, proprio come in un negozio di scarpe. La donna diviene solo un corpo da categorizzare e classificare. Ignoriamo tutto quello che è sentimento, carattere e mente focalizzandoci solo su forme e prestazioni. Questa cultura “pornificata” ci rende stupidi e inadeguati per una vera relazione. Robert Jenses, nel suo libro “Getting Off”, dichiara che viviamo in una cultura dello stupro. “Il sesso è sexy solo perché gli uomini brutalmente dominano e le donne si sottomettono; il potere è erotizzato”. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone esposte alla pornografia sono meno sensibili verso le vittime di abusi sessuali. Il porno corrode il tuo modo di pensare. D’altro canto, le donne sono sempre sotto pressione per “competere” con le pornostar. Gli standard di sessualità e bellezza spinti dal porno sono inarrivabili per una donna che studia, lavora o accudisce i suoi figli. Questo ha prodotto in molte donne un odio verso il proprio corpo, problemi alimentari, bassa stima, depressione, ecc. Stiamo insegnando alle nostre ragazze che per essere accettate devono essere sexy, disinibite e aggressive, trasformando l’amore in una sporca performance. C’è un grosso collegamento tra pornografia e la tratta di esseri umani. Il 70% del traffico umano è generato per scopi sessuali, tante ragazze sono forzate a prostituirsi. Lou Engle, uno dei miei padri spirituali, una volta mi disse che aborto, pornografia e tratta provengono dallo stesso pozzo, bere dell’uno alimenta gli altri due. Una ricerca, su un campione di 854 prostitute in nove

I media insegnano alle nostre ragazze, fin da piccole, e non solo con messaggi tecnicamente “hard”, che per essere accettate devono essere sexy, disinibite e aggressive, trasformando l’amore in una “performance”.


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I bambini non vanno mai lasciati soli davanti a TV e Internet: “l’educazione” alla pornografia è subdola e comincia con programmi apparentemente innocui.

nazioni, ha dimostrato che il 50% di loro sono state filmate durante i rapporti a scopi pornografici. Tutti (almeno spero) condannano il traffico umano, ma ogni volta che si accende il PC per guardare pornografia, si alimenta quello che si dice di odiare. Il porno uccide la libertà. Studi neurologici hanno dimostrato che la pornografia crea dipendenza. Il nostro cervello diventa assuefatto e quindi richiede sempre più porno e sempre più estremo per portare all’eccitazione. La maggior parte delle persone con cui ho parlato, non iniziano con porno hard-core estremo, ma piano piano, iniziando da cose molto soft, si sono trovate a guardare cose che “odiavano” alcuni mesi prima. E TUTTI siamo predisposti, fin dall’infanzia, con spettacoli intrisi di immoralità, anche se tecnicamente non pornografici, a cui purtroppo non diamo peso. Il porno promette libertà ma in realtà ti schiavizza. Il porno promette soddisfazione ma richiede delle dosi sempre più pesanti. Il team di ricerca dell’Università di Padova capitanato dal Prof. Carlo Foresta ha rilasciato delle agghiaccianti statistiche riguardo ai giovani e il porno in Italia. Il 78% dei giovani è “navigatore” abituale di siti porno: di questi il 29% qualche volta al mese, il 63% più volte la settimana, l’8% ogni giorno. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista americana International Journal of Adolescent Medicin Health dopo oltre 10

anni di ricerca. Il 10% degli intervistati ha ammesso che dalla pornografia è ormai totalmente dipendente. Il 25% dei giovani che frequentano siti porno abitualmente ha notato un cambiamento drastico nei propri comportamenti sessuali. Le patologie della sessualità che emergono con maggiore frequenza nei frequentatori dei siti a sfondo sessuale, sono un’importante riduzione del desiderio, e un aumento delle eiaculazioni precoci, fino all’impotenza. Chi ha il coraggio di non chiamarla epidemia? ■

Questi sono i veri stereotipi da combattere: la donna bellissima, sempre desiderosa di sedurre e il macho che vive per il sesso ci vengono infilati in testa fin da bambini. Siamo così predisposti fin da piccoli a passare alla fruizione del porno.


24 N. 33 - SETTEMBRE 2015

Tommaso Scandroglio

Docente di Etica e bioetica e Antropologia filosofica presso l’Università Europea di Roma, svolge seminari attinenti alla filosofia morale e alla filosofia del diritto presso il Politecnico di Milano e tiene conferenze o partecipa a convegni e dibattiti in tutta Italia. Scrive per diverse testate scientifiche e divulgative.

Dopo il “marriage pour tous” arriva anche la “mort pour tous”

L’eutanasia va somministrata a tutti coloro che la vogliono, senza “discriminazioni”. Che poi la vogliano davvero o no, questo importa poco. di Tommaso Scandroglio Tirare in ballo la “discriminazione” serve agli ideologi di ogni bandiera come grimaldello contro la vita, la famiglia, la libertà religiosa, l’educazione e molto altro ancora. Per esempio, in nome della lotta alle “discriminazioni” si vorrebbe far considerare come “famiglie” le coppie omosessuali che altrimenti sono “discriminate” (dalla natura): anche se non possono generare (non sono neanche “sterili”, non sono proprio idonee alla generazione, neanche in potenza) in nome della parità e dell’uguaglianza devono poter comprare figli “sintetici” al mercato della provetta e dell’utero in affitto: è una questione di “uguaglianza”. Poi, si vanno ampliando, in modo sempre più preoccupante, le fattispecie in cui può praticarsi legalmente l’eutanasia. Il medico olandese Theo Boer ha sottolineato in più circostanze il pericolo della deriva del piano inclinato: da strenuo sostenitore dell’eutanasia e del suicidio assistito ha ammesso di aver sbagliato. Ha dichiarato che non è possibile che le leggi di un paese civile e progredito aprano il benché minimo spiraglio alla disponibilità della vita umana: “Una volta che il genio è uscito dalla bottiglia, non è possibile rimettercelo dentro.”

I pazienti affetti da disturbo depressivo resistente al trattamento e capaci di intendere e volere, dovrebbero ricevere uguale trattamento rispetto agli altri pazienti affetti da patologie croniche.

L’effetto disastroso del piano inclinato viene poi amplificato dalla suddetta fallace interpretazione del principio di non discriminazione, cui si accennava sopra. Ad esempio il bioeticista canadese Udo Schuklenk – favorevole tra l’altro all’infanticidio – e Suzanne van de Vathorst, docente del corso Qualità della fase finale della vita e della morte all’Università di Amsterdam. Hanno scritto un articolo dal titolo Pazienti con grave disturbo depressivo resistenti alle terapie e morte assistita, che è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of Medical Ethics. Nell’abstract possiamo leggere: «I pazienti affetti da disturbo depressivo resistente al trattamento e capaci di intendere e volere, in merito all’accesso alla pratica della morte assistita, dovrebbero ricevere uguale trattamento rispetto agli altri pazienti affetti da patologie croniche che in modo permanente rendono la loro vita non degna di essere vissuta. Gli ordinamenti giuridici che stanno prendendo in considerazione, o che lo hanno già fatto, di depenalizzare la morte assistita, discrimineranno ingiustamente i pazienti che soffrono di depressione resistente a ogni trattamento, se li escluderanno dal novero dei cittadini che hanno diritto di ricevere l’assistenza a morire». In buona sostanza, si legge nel prosieguo dell’articolo, che è irragionevole e dunque discriminatorio permettere, laddove è giuridicamente legittimo, al malato terminale di cancro di accedere all’eutanasia e invece escludere da questa pratica la persona sana fisiologicamente, ma depressa o afflitta da qualche altro disturbo psichico. E dunque Tizio può essere fisicamente sanissimo, ma se a suo insindacabile giudizio la propria vita merita di essere buttata nel cestino avrebbe tutto il diritto di farlo. Coerentemente con questa conclusione, in Belgio, una giovane di 24 anni, in perfetta salute fisica, ma depressa, ha ottenuto il “diritto” a porre fine alla sua


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Dall’autodeterminazione del paziente, siamo arrivati al suo rovesciamento, all’eterodeterminazione, cioè alla decisione che tu devi morire perché – tu non lo sai, ma altri sì – la tua vita non vale più nulla.

La Morte sul Cavallo Bianco, di Gustave Dorè.

vita “intollerabile”: ha tentato più volte il suicidio perché soffre da sempre – secondo quello che riportano i media – di un insopportabile male di vivere, una sofferenza psicologica indicibile. I medici che la seguono hanno dato parere positivo e pare che parenti e amici la sostengano: saranno davvero “contenti” per lei? Così sembrerebbe a leggere gli articoli dei giornali necrofili che riportano la vicenda con serietà e comprensione, premurandosi di sottolineare quanto la giovane fosse calma, composta, serena ed equilibrata nel rilasciare queste dichiarazioni. Perciò a questa stregua chiunque potenzialmente potrebbe chiedere l’eutanasia: il fidanzato lasciato dalla fidanzata, la moglie tradita dal coniuge, la madre che ha il figlio tossicodipendente, l’imprenditore che attraversa un periodo di crisi economica, il disoccupato, il ragazzo che ha preso un brutto voto a scuola. Se il principio cardine è il giudizio personale sulla qualità della propria vita, le maglie dell’eutanasia si allargano a dismisura. Torniamo all’articolo. I due autori nero su bianco così scrivono: «Condizioni di malattia incurabile che nella maggior parte dei casi non si possono far confluire nella definizione di “stadio terminale della malattia”, possono comunque rendere la vita delle persone non degna di essere vissuta». Salta quindi il criterio per accedere all’eutanasia, presente in molte legislazioni, che fa riferimento

Chiunque potenzialmente potrebbe ottenere l’eutanasia: il fidanzato lasciato dalla fidanzata, la moglie tradita dal coniuge, la madre che ha il figlio tossicodipendente…

alla “malattia terminale”. Schuklenk e de Vathorst, infatti, citano un report di una commissione di bioetica canadese: «La commissione raccomanda di non utilizzare l’espressione “malattia terminale”, come condizione preliminare per la richiesta di assistenza (a morire). Non esiste una scienza esatta che ci può fornire una prognosi di una malattia terminale, indicandoci un determinato periodo di tempo in cui la persona sarà ancora in vita. Gli operatori sanitari non sono in grado di essere sufficientemente precisi, e se le leggi o l’ordinamento giuridico non indicano un tempo specificato allora la condizione “malattia terminale” diventa una locuzione a spettro troppo ampio. Ci sono molte persone la cui vita, secondo loro, non è più degna di essere vissuta, persone a cui non è stata diagnosticata una malattia terminale. Possono soffrire molto e in modo permanente, ma non versano in stato di imminente pericolo di morte. Non vi è alcun motivo per escluderli dal suicidio assistito o dall’eutanasia volontaria». Poste alcune premesse assai erronee – la vita è un bene disponibile – l’argomentazione non fa una grinza. Il malato terminale può accedere all’eutanasia non tanto perché ha poco da vivere, ma perché soffre molto e giudica la sua vita non più degna di essere vissuta. Questo è il vero motivo. E tale motivazione può essere benissimo spesa anche da coloro i quali non sono malati terminali, in primis i depressi. Gli autori hanno cura di specificare che il richiedente però deve assumere questa decisione in modo libero. Ma chi è depresso è realmente in grado di prendere decisioni libere? Non è forse vero che è la depressione a scegliere al posto suo? Infatti, chi è sereno di certo non pensa di ammazzarsi. In Olanda, il numero delle decine di pazienti psichiatrici morti per eutanasia va moltiplicandosi di anno in anno. Alcuni l’hanno scelta in prima persona, per altri hanno deciso i parenti. Infatti, dove l’eutanasia è legale, si mandano a morte anche persone non consenzienti: pazienti in coma o afflitti dalla sindrome a-relazionale, malati di Alzheimer, dementi, etc. Questo perché già si argomenta così: «Se fossero coscienti giudicherebbero la loro vita non degna di essere vissuta». Il famigerato best-interest, che secondo i giudici italiani permise di uccidere Eluana Englaro. E quindi dall’autodeterminazione del paziente che deve essere rispettata sempre e comunque, essendo un totem sacro intoccabile, eccoci arrivati al suo rovesciamento, all’eterodeterminazione, cioè alla decisione che tu devi morire perché - tu non lo sai, ma altri sì - la tua vita non vale più nulla. Volenti, ma più spesso nolenti, molti di noi saranno ricoperti in futuro dal sudario dell’eutanasia. ■


26 N. 33 - SETTEMBRE 2015

Renzo Puccetti

Medico internista, bioeticista, socio fondatore della società Medico-Scientifica Interdisciplinare Promed-Galileo, dell’associazione Scienza & Vita, e di Vita è, membro della Research Unit dell’European Medical Association, docente universitario, collabora con diverse testate e ha pubblicato diversi libri, soprattutto sugli effetti deleteri della contraccezione.

Dispositivo intrauterino, comunemente chiamato “spirale”.

“Colorado song”

La diffusione della contraccezione non diminuisce il numero degli aborti. I dati parlano chiaro. Anche dopo l’esperimento in Colorado, riportato dai media con ipocrita trionfalismo. di Renzo Puccetti Uno dei luoghi comuni a favore della cultura della morte è quello che dice che la diffusione massiccia della contraccezione riduca o addirittura elimini l’aborto. Sappiamo che ciò è smentito dai principi fondamentali della scienza del calcolo delle probabilità: il senso di sicurezza, moltiplica i comportamenti a rischio e quindi alla fine si genera quell’“effetto compensazione” che rende inutile il sistema profilattico. In proposito un mio studente mi segnala che in Colorado, in appena sei anni, gli aborti tra le adolescenti sarebbero diminuiti del 35% grazie ad un programma di diffusione di contraccettivi a lunga durata (LARC è l’acronimo inglese) costituiti da impianti ormonali sottocutanei e dispositivi intrauterini (spirali o IUD). Family Planning Initiative (FPI) è il nome del programma finanziato dalla Susan Thompson Buffett Foundation, di Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del pianeta, con un patrimonio stimato in dieci miliardi di dollari. La fondazione è stata da lui creata in memoria della moglie. Essa spicca per scarsa trasparenza su come ottenga i finanziamenti: visitare il

Una simile riduzione degli aborti tra gli adolescenti è avvenuta nello stesso periodo in tutti gli Stati. In alcuni senza distribuzione di contraccettivi - è stata anche maggiore.

sito web è inutile, è un vicolo cieco risibile. Risulta, comunque che, solo nel 2011, ha elargito 40 milioni di dollari alla sola Planned Parenthood, l’organizzazione numero uno quanto a cliniche per aborti. L’anno prima 21 milioni di dollari erano stati devoluti al National Abortion Federation Hotline Fund. Secondo il capo del dipartimento della salute del Colorado, avere distribuito gratis a circa trentamila donne i contraccettivi ormonali sottocutanei e le spirali ha determinato una riduzione delle gravidanze delle adolescenti del 40% nel periodo 2009-2013 e degli aborti pari al 35% nel periodo 2009-2012. Come da programma i titoli dei media nostrani non potevano che essere entusiastici: “L’Italia impari la lezione del Colorado: educazione sessuale per decidere, contraccettivi per non abortire!” “Colorado sperimenta anticoncezionali gratis, crollano gli aborti tra le adolescenti”. Due membri dello staff del dipartimento della salute del Colorado avevano pubblicato nel 2014 alcuni dati provvisori sulla rivista Perspectives on Sexual and Reproductive Health, uno dei periodici del Guttmacher Institute, braccio scientifico della Planned Parenthood. Il quadro che ne risultava era idilliaco: uso dei LARC quasi quadruplicato, riduzione delle gravidanze del 29% tra le ragazze di età tra 15 e 19 anni e un meno 34% per quanto riguardava gli aborti. Quello studente che mi aveva segnalato la notizia aveva da pochi mesi frequentato un mio corso dove gli era stata presentata una quintalata di dati che indicavano l’esatto contrario: la diffusione della contraccezione non riduce gli aborti. Ero stato un cattivo maestro? In realtà qualsiasi pro-life è felice quando gli comunicano dati che indicano una riduzione degli aborti. E invece i numeri di cui vi ho appena dato conto vanno esaminati con più attenzione. Anzitutto hanno un loro lato oscuro: registrare un numero inferiore di aborti non significa


Scienza e Morale necessariamente avere un numero inferiore di esseri umani ammazzati se il risultato è stato ottenuto almeno in parte attraverso un incremento dell’uso di un mezzo come la spirale che ha tra i propri meccanismi d’azione anche quello cripto-abortivo, cioè l’impedimento dell’annidamento dell’embrione nella cavità uterina della madre. Sappiamo bene che dal momento della fecondazione il patrimonio genetico del nuovo essere umano è completo. E quel piccolo “grumo di cellule” comincia a dialogare autonomamente con l’organismo della madre, per farsi strada nella tuba e perché il sistema immunitario materno riconosca come “amico” anche il materiale genetico appartenente al padre. Ma, soprattutto, la riduzione degli aborti è avvenuta davvero a causa della distribuzione dei contraccettivi a lunga durata? Il fatto che un fenomeno si verifichi dopo una determinata azione non significa necessariamente che sia stato prodotto proprio da quell’azione. Un modo abbastanza semplice per verificare le cose è confrontare l’andamento degli aborti del Colorado con altri Stati laddove il programma non è invece stato applicato. L’ho fatto per voi verificando le cifre ufficiali fornite dagli Stati e quelli che vedete nei grafici riportati in questo articolo dimostrano che la riduzione degli aborti tra gli adolescenti è avvenuta nello stesso periodo in tutti gli Stati; in almeno quattro Stati la riduzione degli aborti è stata superiore a quella registrata in Colorado senza alcun programma di dispensazione gratuita dei LARC. Leggendo con attenzione lo studio su Perspectives, si osserva la mancanza di una differenza statisticamente significativa tra il numero degli aborti nelle contee dove il programma FPI era stato applicato rispetto alle contee dove invece ciò non era stato fatto; meno 34% nelle prime, contro meno 29% nelle seconde: nessuna differenza statistica. In realtà i fattori che possono avere influito sul risultato sono molti. Al congresso mondiale di Natural Family Planning

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che si è svolto a giugno a Milano, ho tenuto una relazione specificamente dedicata al tema. Anche per l’Inghilterra il calo delle gravidanze e degli aborti tra gli adolescenti registrato negli ultimi 4-5 anni è stato inizialmente attribuito ai programmi di diffusione dei LARC, ma come ha poi dimostrato l’economista dell’Università di Nottingham David Paton, l’effetto della contraccezione a lunga durata è stato minimo. La riduzione dell’abortività è con la riduzione del consumo di alcool e il miglioramento della resa scolastica che mostra il maggiore grado di associazione statistica. Negli Stati Uniti si deve poi considerare l’effetto delle leggi pro-life volte a proteggere la salute della madre e del bambino che a loro volta riflettono un incremento del consenso degli americani per il fronte pro-life. A questo punto posso tranquillizzare quel mio studente. Ma, infine, a margine, mi chiedo: nella distribuzione dei LARC sono state informate le donne circa gli effetti collaterali? L’informazione fornita alle donne è stata obiettiva quanto a possibili eventi avversi? L’inserimento della spirale determina in un caso su cento una contaminazione, con conseguente sviluppo di una malattia infiammatoria pelvica (PID), a sua volta possibile causa d’infertilità. Sono inoltre riportati casi di perforazione uterina e di espulsione del dispositivo. Dolore pelvico con sanguinamento intermestruale sono effetti abbastanza comuni che concorrono in circa un caso su cinque ad interrompere la spirale, mentre per gli impianti sottocutanei gli effetti progestinici su vari apparati (nausea, vomito, cefalea, sanguinamento uterino più o meno accentuato) conducono la metà delle donne ad interrompere il metodo entro i primi due anni. Ma certo. Sicuramente le donne sono state adeguatamente avvertite di tutto questo: ogni paziente ha il sacrosanto diritto al consenso informato e per le donne in particolare tutti dicono che va tutelato come fondamentale il “diritto alla salute sessuale e riproduttiva”. O no? ■

Registrare un numero inferiore di aborti non significa necessariamente avere un numero inferiore di esseri umani ammazzati: la spirale è un sistema antinidatorio, quindi abortivo.



Famiglia ed Economia

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Attacco alla famiglia: è una questione di soldi Sappiamo bene che dietro ai presunti “diritti” civili LGBT si cela la massima espressione del capitale mondiale. di Luca Tolchien Ne abbiamo parlato molte volte su Notizie ProVita, ma il tema resta sempre di stretta attualità. Dietro l’apparente apertura buonista da parte di alcuni governi, tanto repentina quanto inaspettata, ai “diritti” civili per le coppie omosessuali, c’è ben altro rispetto a quello che loro chiamano “progresso”. Questo presunto progresso porta nelle casse degli Stati “gay friendly” centinaia di milioni di euro, con località specializzate in turismo omosessuale e multinazionali che lucrano sulla celebrazione di matrimoni tra persone dello stesso sesso, spesso benestanti e raffinate. E’ da tempo che il potere finanziario cerca di minare alle fondamenta la famiglia, sostenendo cause come ad esempio divorzio e aborto. Lo fa perché il sogno del capitalismo estremo è avere individui soli e bisognosi di consumi che solo il libero mercato può assicurare mentre le famiglie tradizionali non sono bravi

consumatori: risparmiano, dividono, erogano assistenza e fungono da ammortizzatori sociali naturali. Dietro a tutta questa apertura mentale verso le unioni tra persone dello stesso sesso c’è dunque, come spesso accade, il dio denaro, con i relativi oscuri burattinai che muovono i fili della politica al fine di renderla servile al libero mercato. A spiegarcelo è lo stesso mondo dei burattinai, per mezzo di Paul Donovan, economista della potentissima Unione delle Banche Svizzere, che senza batter ciglio afferma che la legalizzazione dei matrimoni gay è una delle priorità del sistema finanziario, dato che questo favorirebbe la immigrazione di persone LGBT che andrebbero a costituire nuova forza lavoro nel Paese ospitante: una mobilità di fattori produttivi estremamente congeniale alla crescita macroeconomica. Nessuna apertura mentale dunque, nessun progresso e nessuna voglia di difendere i “diritti” omosessuali per ragioni filantropiche dunque, ma per denaro.

Geoge Soros, ultimo a destra, alla 48 a Conferenza di Monaco sulla sicurezza: da sinistra Mario Monti, Josef Ackermann (Deutsche Bank), Robert B. Zoellick (Banca Mondiale), Peer Steinbrück (uomo politico di spicco, tedesco).


30 N. 33 - SETTEMBRE 2015 Uno dei segnali evidenti dell’apporto dei poteri finanziari occidentali all’ideologia di genere e ai movimenti omosessualisti, viene dal sostegno economico a fondo perduto che gran parte delle oligarchie economiche elargiscono a beneficio di queste cause. Ha fatto addirittura scalpore il fatto che grandi fondazioni bancarie come Goldman Sachs e JP Morgan, nomi tristemente legati alla recente crisi economica che ha messo sulla strada centinaia di migliaia di famiglie e ridotto all’indigenza una grossa fetta della popolazione occidentale, abbiano brindato pubblicamente alla decisione della Corte Suprema Usa favorevole alla legalizzazione dei matrimoni gay, insieme a qualche centinaio di altre grosse multinazionali. Tra i potenti finanziatori delle lobby omosessualiste non poteva mancare un nome importante, sempre facente parte delle oligarchie economiche mondiali: George Soros. Questo nome, sicuramente già noto ai più, è presente ovunque ci sia qualcosa da colpire e destabilizzare al fine di trarne uno spaventoso profitto. Non si è mai fatto scrupoli di sorta se c’era da innescare una sanguinosa rivolta o se c’era da levare il cibo dalla bocca di milioni di persone, visto che l’importante è sempre stato, per quelli come lui, generare profitto. Dagli anni ’90 si distingue come un maestro della speculazione finanziaria; è infatti ricordato per aver contribuito al collasso della sterlina inglese nel 1992 quando nemmeno la Banca d’Inghilterra fu in grado di contrastarlo. Contribuì pure allo scoppio della crisi finanziaria nel Sud Est Asiatico, nel 1998, nella quale le valute di oltre dodici paesi crollarono ed era parte attiva anche nel default della Russia sempre nel 1998. In epoca più recente lo ricordiamo soprattutto come il finanziatore delle cosiddette rivoluzioni colorate, ovvero i movimenti non-violenti di persone che soprattutto negli stati post-sovietici ma non solo, cercavano di destabilizzare i governi ritenuti “autoritari” al fine di ottenere un’implementazione della democrazia e, manco a dirlo, un’economia basata sul libero mercato. Anche qui, nessun intento democratico, nessuna difesa di popoli a sua detta “oppressi”, nessuna filantropia, solo ed esclusivamente il dio denaro come valore massimo. Qual è dunque il legame tra questo oscuro personaggio che risponde al nome di George Soros, l’ideologia di genere ed il matrimonio omosessuale? Soros, tramite una delle sue fondazioni, la Open Society Foundation attiva in 27 Paesi, devolve parecchi milioni di dollari a lobby omosessualiste e governi al fine che vengano approvate aperture sui “diritti” per le coppie omosessuali con lo scopo dichiarato di aiutare le nazioni a conseguire obiettivi positivi di progresso (vedete la cattura di schermata del sito della Open Society). Recentemente, ha anche “oliato” con parecchi milioni di dollari alcuni deputati americani del Partito Repubblicano, il cui elettorato ricordiamo è per il 90% contrario ai matrimoni gay, affinché smussassero le proprie posizioni tanto dure in materia.

Visto il suo ruolo di speculatore internazionale e di destabilizzatore di contesti governativi a lui non favorevoli, che interesse potrebbe avere dunque nel veder approvati in sempre più stati i matrimoni omosessuali e nel veder progredire l’ideologia di genere? La risposta non è scontata ma è di abbastanza semplice intuizione. Come detto precedentemente, lo scopo del capitalismo sfrenato, del quale Soros è uno “stregone”, è quello di avere individui soli e “bisognosi”: dunque la famiglia in questo contesto è un bell’impiccio considerando che per forza di cose deve ridurre al minimo i consumi e contare sulla solidarietà interna rivolgendosi il meno possibile a quello che è il mondo del mercato. La famiglia è l’espressione massima di quella che possiamo definire una “comunità solidale” dove gli individui si relazionano tra loro all’interno della stessa secondo criteri opposti alla logica mercantile, diventando involontariamente una delle ultime poche opposizioni al dilagare del capitalismo. Non c’è da stupirsi dunque se i colossi della finanza supportino movimenti LGBT e facciano pressioni sui politici per approvare leggi sui “diritti civili delle coppie omosessuali”, ed è bene sapere che dietro a questi presunti “diritti” si cela in realtà la massima espressione del capitale. La politica, spesso incapace e malata di “politicamente corretto”, non vuole capire questa astuta mossa dei potenti della finanza e continua a non opporsi, salvo rari casi, alla distruzione della famiglia, credendo in un “progresso” finto che con queste condizioni porterà alla dissoluzione della società come la intendiamo noi, in nome del dio denaro. La famiglia è uno degli ultimi baluardi della civiltà occidentale su cui si fonda lo Stato, dunque distruggerla sarebbe funzionale a chi gli Stati vorrebbe controllare per speculare finanziariamente. Uno Stato senza fondamenta, con individui servi della pubblicità e del mercato, con costumi sessuali depravati e magari anche con individui consumatori di droghe è senz’altro preda molto più facile di un tiranno che vuole usare uno Stato come personale miniera d’oro da svuotare senza curarsi della sorte di ■ milioni di esseri umani.


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Michel Schooyans Evoluzioni demografiche: tra falsi miti e verità ESD C’è realmente sovrappopolazione nei Paesi poveri? L’Europa si sta spopolando? La Terra ha delle risorse insufficienti? Qual è la piramide di cui parlano i demografi? Cosa è l’età media della popolazione e cosa è la speranza di vita? Chi pagherà le nostre pensioni? Per rispondere a queste domande con un linguaggio semplice e concreto, illustrato da numerosi esempi. (Traduzione di Giorgio Maria Carbone)

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