ProVita Settembre 2017

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MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

Notizie

“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

“POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003

Trento CDM Restituzione

Anno VI | Settembre 2017 Rivista Mensile N. 55

TEMPO DI

A L O U C S

Per una riscossa educativa

Educare: diritto e dovere dei genitori

Vietato vietare bocciare

FILM: L’attimo fuggente

Guido Vignelli, p. 9

Pierluigi Bianchi Cagliesi, p. 13

Giuliano Guzzo, p. 24

Marco Bertogna, p. 30


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES Notizie

EDITORIALE

Anno VI | Settembre 2017 Rivista Mensile N. 55 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Federico Catani, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel G r aMunicipio, f i c a i l l u s3t r- a39040 t r i c e Salorno (BZ) Piazza www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089 Direttore responsabile FRANCESCA GOTTARDI Antonio g r a f iBrandi ca illustratrice Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica

Tipografia

Distribuzione

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Marco Bertogna, Pierluigi Bianchi Cagliesi, Federico Catani, Irene Ciambezi, Giuliano Guzzo, Teresa Moro, Enzo Pennetta, Giulia Tanel, Guido Vignelli

Tempo di scuola

LO SAPEVI CHE 4 ARTICOLI

Per l’accoglienza della vita nascente Irene Ciambezi

35,00 50,00 100,00 250,00 500,00

Sostenitore ordinario Promotore Benefattore Patrocinatore Protettore della Vita

Per contributi e donazioni a PROVITA ONLUS: • Bonifico banacario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina indicando: • Nome, Cognome, Indirizzo e CAP IBAN: T89X0830535820000000058640 • oppure c/c postale n. 1018409464

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PRIMO PIANO

Per una riscossa educativa

Educare: diritto e dovere dei genitori

13

Scuola a misura di famiglia

17

Una comunità educativa

20

Guido Vignelli

Pierluigi Bianchi Cagliesi

Teresa Moro

Giulia Tanel

9

Vietato vietare bocciare Giuliano Guzzo

24

La cultura non va (più) di moda

27

FILM: L’attimo fuggente

30

I nuovi diritti civili? Solo egoismi

32

Enzo Pennetta

Marco Bertogna

Federico Catani

Letture pro life 35

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13

27 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it

Toni Brandi

EDITORIALE

C

omincia un nuovo anno sociale. Vogliamo ripartire con ottimismo e con slancio, augurando a tutti entusiasmo e serenità, soprattutto ai bambini e ai ragazzi che ricominciano la scuola, ai loro genitori, ai loro insegnanti e a tutti coloro che per lavoro o per studio sono coinvolti nel mondo della scuola. Vorremmo augurare un buon inizio anche al Ministro e al Miur: riguardo al tema delicato e fondamentale dell’educazione delle nuove generazioni, ci piacerebbe che durante quest’anno il dialogo tra le autorità e le famiglie, che è cominciato con una certa fatica e con non pochi attriti, progredisse e trovasse compimento e attuazione concreta in provvedimenti operativi tesi a garantire la primaria funzione educativa della famiglia rispetto alle ingerenze statali, soprattutto su quelle materie sensibili attinenti alla morale, all’affettività e al sentimento religioso che si rivelano fondanti per la crescita psicofisica serena di bambini e adolescenti. È evidente che gli Stati come il nostro, che si definiscono improntati a valori democratici e al rispetto dei diritti umani, sono ormai compromessi da tendenze totalitarie. Tuttavia noi crediamo fermamente che l’azione popolare di cittadini di buon senso, adeguatamente formati e informati, possa arginare la deriva risultante e ricacciare nell’ombra le forze dei pochi che, muovendo le giuste leve (il denaro e la propaganda), hanno condotto a questo stato di cose. È questo il momento in cui, presenti e vigili, dobbiamo scendere in campo in prima persona. Per esempio, e innanzitutto, nel mondo della scuola: con il giusto impegno nella scuola pubblica (privata o statale), oppure nell’organizzazione di una scuola parentale. Dobbiamo riappropriarci dei nostri diritti e delle nostre prerogative di cittadini e di genitori: questo richiede impegno e dedizione e il sostegno di realtà associative come ProVita Onlus, che sono votate alla difesa dei diritti dei più deboli e di coloro che non hanno, da soli, sufficiente forza per far sentire la propria voce.


LO SAPEVI CHE...

4 N. 55

PILLOLE ABORTIVE E CONTRO LE DONNE

Qui in Italia le pillole abortive sono spacciate per contraccettive (con una contraffazione plateale dei foglietti illustrativi... veri “bugiardini”, anzi “bugiardoni”!) e si vendono anche alle ragazzine come fossero caramelle, senza dar peso agli effetti collaterali estremamente pericolosi. Effetti prodotti sia da Norlevo (“pillola del giorno dopo”), sia da ellaOne (“pillola dei cinque giorni dopo”), e anche da tutte le pillole anticoncezionali. Questo negare pervicacemente la realtà, questo voler far male alle donne, con l’illusione di “liberarle”, è uno degli scandali più mostruosi che si sta compiendo sotto gli occhi di tutti. E questo dagli anni Sessanta in qua, quando è stata inventata la pillola Pincus, che pure di effetti collaterali ne comporta parecchi e che – anch’essa – può avere effetto antinidatorio, cioè può provocare l’aborto, quando non funzionasse l’effetto anti-ovulatorio. Qualche femminista (assolutamente “laica”), come Holly Grigg-Spall e Holly Brockwell, qualche persona intelligente che non si fa incantare dalle sirene del politicamente corretto, qualche donna che ha davvero a cuore la salute delle donne ci ha provato, di tanto in tanto, a denunciare lo scandalo: è scattata immediatamente la censura mediatica, l’ostracismo e l’emarginazione culturale. Invece, una legge polacca promulgata di recente dal Presidente Duda prevede che la “pillola del giorno dopo” possa essere venduta solo dietro ricetta medica: nell’interesse per la salute delle donne.

SIAMO AL VOYERISMO DI STATO?

Ricomincia la scuola e vorremmo davvero sapere se ai nostri studenti adolescenti verrà somministrato il questionario sul sesso predisposto prima dell’estate dal Miur e dal Ministero della Sanità. Parlare di sesso agli adolescenti è utile e necessario, ma noi siamo fermamente convinti che certi temi “sensibili” siano di pertinenza dei genitori. Possono


sbagliare anche loro? Certo. Ma è molto più accettabile un errore da parte dei familiari, rispetto a quello degli insegnanti che – secondo le intenzioni del Miur – devono presenziare, spiegare, ma non interferire con i ragazzi che compilano il test. Ai ragazzi viene chiesto di svelare momenti molto intimi della propria vita di relazione. Si chiede ad esempio se hanno mai avuto rapporti sessuali: «Sì, completi (rapporto con penetrazione)», oppure «Sì, incompleti (accarezzarsi, toccarsi, baciarsi)»… Oltretutto, il parere eventualmente contrario dei genitori viene chiesto solo a cose fatte. Pare che il Ministero della Salute e quello dell’Istruzione abbiano pensato la cosa nell’ambito di uno “Studio nazionale sulla fertilità”. Ma per fare tale studio è determinante raccogliere informazioni sul sesso tra ragazzi adolescenti? Con un questionario che mette sullo stesso piano il rischio di malattie infettive e la gravidanza? Che usa un linguaggio di inaccettabile volgarità e che inserisce nell’elenco dei contraccettivi anche la “pillola del giorno dopo”? Con un questionario nel quale il sesso è inteso in ottica meccanicistica e ricreativa, senza alcuna preoccupazione educativa e affettiva? Tutto questo è una sorta di voyerismo di Stato, che entra nella sfera intima dei ragazzini adolescenti, violando il loro senso del pudore. Twitter censura i “contenuti scomodi” che “Il Grande Fratello” ritiene non conformi al Mondo Nuovo che si va realizzando (si perdoni il miscuglio di riferimenti a noti romanzi distopici, ma la situazione è questa): non gradisce i messaggi che promuovono il taglio dei fondi pubblici alla Planned Parenthood, né le immagini ecografiche di bambini nel grembo materno, le considera offensive. Nel mirino di Twitter è finita Live Action, una delle più grandi organizzazioni pro life americane, fondata e diretta da Lila Rose, che fin dal 2007 si è distinta per il giornalismo investigativo. Sono loro che da anni hanno mostrato al pubblico il vero volto di Planned Parenthood, quando viola le basilari regole igieniche, sanitarie, procedurali e legali nella fornitura dell’aborto. Twitter ha detto che i post di Live Action (come quello qui a fianco) violano la sua politica di annunci: incitano all’odio e alla «Io non sono un potenziale essere violenza, sono “disturbanti”, e umano; io sono un essere umano ha quindi bloccato l’account. con un potenziale»

TWITTER AL SERVIZIO DE “IL GRANDE FRATELLO”

5 N. 55


Si moltiplicano le iniziative della Comunità Papa Giovanni XXIII a favore della vita, e in particolare della vita nascente

Per della l’accoglienza

VITA NASCENTE

di Irene Ciambezi

LA COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII HA PORTATO LA VOCE DEI NASCITURI IN SENATO 6 N. 55

Mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra le femministe chiedono un’ulteriore liberalizzazione delle modalità di accesso all’aborto volontario nel primo trimestre, in Italia tra i vari gruppi per la vita che promuovono iniziative per la vita nascente e accolgono le mamme sole davanti al dubbio se abortire o meno c’è anche la Comunità Papa Giovanni XXIII, che anche questa estate non è andata in vacanza e ha continuato instancabilmente a dare voce a chi voce non ce l’ha: i nascituri. Mettendoci la vita 365 (o 366) giorni all’anno, 24 ore su 24. La Comunità Papa Giovanni XXIII lo scorso 31 maggio a Roma, alla Commissione

del Senato riunita per parlare di “violenza di genere”, ha consegnato un documento che spiega come l’istigazione all’aborto sia comunque una violenza di genere. Franca Franzetti, mamma in casa famiglia, referente del servizio Maternità Difficile e Vita ha riportato i dati raccolti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, secondo cui 1 donna su 4 ha ricevuto pressioni dal partner o dai familiari e 1 su 3 decide di portare avanti una gravidanza quando riceve un aiuto adeguato. Su 499 donne prese in carico in tutta Italia per una maternità difficile, il 12% ci hanno contattati tramite il nostro numero verde gratuito, e di


queste 319 (64%) erano incinte, le altre avevano figli piccoli fino a tre anni e per lo più si trovavano in situazioni di grave difficoltà economica. Tra le gestanti incontrate, il 55% erano incerte se abortire o meno. Di alcune (48) non sappiamo cosa abbiano deciso alla fine. Delle altre sappiamo che il 62% ha scelto di continuare la gravidanza. La Comunità Papa Giovanni XXIII, con le sue case-famiglia e famiglie affidatarie, si prende cura e accoglie non solo le mamme che non riescono da sole a portare avanti la gravidanza, ma anche dei bambini non riconosciuti alla nascita negli ospedali. I Servizi Sociali li affidano temporaneamente a famiglie, in attesa della loro collocazione definitiva presso la famiglia adottiva. Sono famiglie affidatarie che svolgono una funzione di “ponte”, per dare ai bimbi un contesto familiare nell’attesa dei tempi giuridici per concretizzare l’adozione. Molti bimbi abbandonati negli ospedali però sono portatori di una disabilità; in questo caso i percorsi adottivi si complicano e, spesso, si interrompono.

Per un bimbo disabile una famiglia disponibile all’affido familiare o all’adozione spesso non c’è. Ecco che diventa importante la disponibilità della Comunità Papa Giovanni XXIII all’accoglienza di questi piccoli con handicap, scampati all’aborto. Nell’intervento è stata dunque proposta anche una nuova legge che garantisca lo stipendio alle mamme fino al terzo anno di vita dei loro figli. Inoltre, proprio nel decimo anniversario della morte di don Oreste Benzi, è continuata durante l’estate, costantemente, la preghiera per la vita davanti agli ospedali – nei giorni e negli

orari in cui si effettuano gli aborti – a Cuneo, Modena, Bologna e Rimini. Tra i tanti Vescovi che sostengono la preghiera anche Mons. Castellucci, Vescovo di Modena, che in occasione della quarta fiaccolata per la vita nascente svoltasi a fine marzo, con più di quattrocento persone presenti, ha affermato: «Esiste, nella nostra società, un affievolimento della coscienza su questo tema; è possibile contrastarlo in modo evangelico attraverso la testimonianza e la preghiera. Il grado di civiltà di una società non è dato dal progresso tecnico ma dal rispetto della vita, specialmente quando è debole, indifesa e innocente». 7 N. 55


cietà o s a n u i d tà il iv c i d o «Il grad ico, n c te o s s e r g o r p l a d non è dato » a it v a ll e d o tt e p is r l a ma d E ha infatti colpito la testimonianza di una giovane mamma italiana che per gravi problemi di salute – un intervento chirurgico al rene – avrebbe rischiato di scegliere l’aborto se non avesse trovato il coraggio di fidarsi del proprio istinto materno. Andando controcorrente – rispetto ai tanti familiari, medici e amici che le suggerivano la via apparentemente più facile, l’aborto – ha deciso di portare a termine la gravidanza: «La nascita della mia creatura – ha spiegato – mi ha dato il coraggio per andare avanti in tutte le difficoltà della mia vita. Quando scegli la vita e non la morte, tutto può cambiare. E, grazie ai volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII, non sono mai rimasta sola in questa scelta difficile».

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La novità di questa fiaccolata, fatta propria da una trentina di associazioni ecclesiali della Diocesi di Modena dal 2016, è che per la prima volta è stata una preghiera ecumenica. «Una modalità – spiega Andrea Mazzi, referente per la Comunità Papa Giovanni XXIII del Servizio Famiglia e Vita in Emilia – che ci ha fatto scoprire che l’essere uniti in preghiera rende più efficace e credibile questa invocazione, che deve crescere per superare le tante resistenze umane che ancora ostacolano la piena accoglienza della vita nel suo germoglio». Molto apprezzate le parole di padre Constantin Totolici, della Chiesa ortodossa rumena: «La vita è il più grande dono che abbiamo da Dio, a Lui appartiene. Perciò la scelta che un bambino viva o muoia non appartiene alla madre o al padre, ma solo a Dio. Infatti, il dono di un bimbo nel grembo viene dall’alto, non l’hanno creato solo i genitori».


a v i t a c u ed Per una riscossa

ucativa r rispondere alla sfida ed

Tre punti fermi pe del nostro tempo

Quello di educare i figli è uno dei maggiori doveri del nostro tempo, ma è anche uno dei maggiori problemi. Per risolverlo, a mio parere, bisogna tenere ben presenti alcuni punti fermi che qui riassumo, avvalendomi della ventennale esperienza avuta in Italia come direttore del Progetto SOS Ragazzi.

PRIMO PUNTO

Il professor Vignelli è intervenuto in questi termini al convegno internazionale sulla Scuola Parentale a Roma, promosso da ProVita Onlus venerdì 19 maggio 2017.

Primo piano

Bisogna essere ben consapevoli che oggi la libertà di educare è gravemente impedita dai pubblici poteri: sia da quelli istituzionali, come lo Stato, il Governo, la Magistratura, la Scuola pubblica; sia da quelli non istituzionali, come i partiti, i sindacati, i mass-media, le lobby, le associazioni professionali, le organizzazioni nongovernative. Per impedire alle famiglie di educare

di Guido Vignelli

liberamente la loro prole si possono usare due metodi: quello repressivo e quello oppressivo. Il primo metodo, quello repressivo, consiste nel riservare allo Stato il monopolio dell’educazione, vietando ai privati la possibilità di organizzare scuole indipendenti dal potere e dall’ideologia dominanti. Secondo questa impostazione, i figli appartengono non ai loro genitori ma alla collettività e quindi possono essere educati solo dallo Stato – o piuttosto dal partito che lo domina – in base all’ideologia del regime. Questo metodo repressivo è usato dai regimi dittatoriali o totalitari, come le defunte Repubbliche socialiste sovietiche. Il secondo metodo, quello oppressivo, consiste nel permettere l’esistenza di scuole private, ma nell’ostacolarne praticamente l’esercizio, rendendolo estremamente difficile e comunque inefficace. Ciò 9 N. 55


può essere fatto, ad esempio, rendendo economicamente costosa, fiscalmente perseguitata e burocraticamente complicata la libera educazione, la quale quindi finisce relegata in pochi ghetti isolati, sottomessi ai ricatti politici e ininfluenti sulla società civile. In tal modo, un finto “libero mercato” dell’educazione in realtà assicura il prevalere del concorrente più forte, ossia del semi-monopolistico regime statale, o para-statale, o tecnocratico. Questo regime tiranneggia le scuole imponendo propri programmi ministeriali, insegnanti, dirigenti, ispettori, testi di studio, corsi di aggiornamento e di perfezionamento, fino ad arrivare a prevedere “lezioni di pluralismo” impartite a genitori e docenti ritenuti arretrati. Questo metodo oppressivo è usato da certi regimi detti democratici o liberaldemocratici o socialdemocratici, come quello italiano. Per giunta, il regime scolastico contemporaneo aggrava questo suo dominio sull’educazione, imponendo agli istituti privati

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emici «Nessuna libertà pebreirtnà» della (nostra) li maximilien de robespierr

non solo di rispettare le leggi statali e propagandare l’ideologia dominante, ma anche di attenersi ai progetti e ai metodi educativi decisi dal regime stesso. E così, se ieri la “pubblica educazione” fascista fu abbassata a mera “pubblica istruzione” democratica, oggi questa viene ulteriormente abbassata a “pubblica diseducazione permissiva”. Infatti, oggi lo Stato osa ostacolare la libera cultura e la libera educazione, anzi perfino la libera richiesta formativa quando sono basate su valori o programmi o metodi ritenuti contrastanti con l’ideologia ufficiale dominante. Com’è noto, questa ideologia ormai mira a imporre il famoso modello di una “civiltà meticcia”, ossia di una società e di un’educazione detta “multietnica, multiculturale e multireligiosa” (e ormai anche “multisessuale”).

e

Per imporre questo modello alle scuole, i poteri statali applicano una forma di censura mediante procedure inquisitoriali promosse da mass-media, lobby, accademie, sindacati, organizzazioni professionali e Organizzazioni Non Governative nazionali e internazionali. All’insegna del motto: «Nessuna libertà per i nemici della (nostra) libertà» (Robespierre), oggi accade che pubbliche autorità condannino la colpa di dissidenza ideologica, fino a valutarla come un reato di opinione sancito da sentenze giudiziarie e punito con multe, carcere e/o sottrazione dei figli. Primo piano


Bisogna assicurare ai genitori la concreta libertà di una sana educazione, organizzando il più possibile scuole private – particolarmente quelle parentali – rendendole sempre più diffuse, efficaci e influenti. Ma, per passare dalle buone intenzioni e buone volontà all’azione efficace e ai risultati duraturi, ci vuole l’impegno di una élite di genitori, insegnanti e dirigenti, che siano capaci di usare strategie, metodi e mezzi al fine di riorganizzare quanto di buono rimane nella società civile e religiosa. Ciò significa che non bisogna accontentarsi di scarsi risultati, magari consolandosi con lo slogan «Piccolo è bello»: non bisogna restare pochi e deboli, tantomeno si può tendere all’isolamento o addirittura rifugiarsi nelle catacombe, rinunciando ad agire nella società. Bisogna invece sforzarsi di crescere fino a rendersi capaci di affrontare e risolvere il problema. Anche il fanciullo Davide cominciò a combattere con una semplice fionda; tuttavia, una volta cresciuto, si armò adeguatamente per guidare l’esercito israelita, vincere il nemico e fondare il Regno di

Primo piano

Gerusalemme. Se vogliono promuovere una riscossa vincente, se vogliono costruire un futuro per le nuove generazioni, le associazioni di genitori, i ceti insegnanti e gli organismi educativi devono avere innanzitutto lo spirito che aveva Davide – ossia fede, fiducia, combattività e spirito di sacrificio –, ma devono anche avere una precisa strategia per fare vasti progetti e realizzarli, dotandosi di competenze, alleanze, metodi, organizzazioni e mezzi (anche economici, ovviamente). Inoltre, le scuole parentali devono aspirare a costituire una sorta di corporazione capace di proporre un esempio che diventi una forza motrice, che smuova associazioni più grandi e più potenti. Se questo non è momentaneamente fattibile, le scuole parentali devono almeno coordinarsi fra loro, in modo da costituire una fitta rete di élites educative capace d’influenzare la società. Ad esempio, è opportuno che le scuole parentali non si isolino dalle istituzioni, ma stringano rapporti con quelle autorità o poteri locali il cui aiuto può salvare le buone iniziative e il cui boicottaggio può invece sopprimerle.

LIBERTÀ DI EDUCAZIONE

SECONDO PUNTO

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TERZO PUNTO Bisogna rendersi conto che la scuola privata parentale non potrà risolvere da sola il vasto e grave problema di educare le nuove generazioni. Per quanto l’iniziativa privata possa rafforzarsi ed estendersi, essa resterà pur sempre minoritaria e non potrà mai esaurire la domanda educativa, sostituendosi al ruolo svolto dalla Chiesa e dallo Stato. Pertanto le famiglie non devono cedere alla tentazione di rinunciare a risanare la scuola pubblica, abbandonando la maggioranza dei ragazzi in balìa della (dis)educazione statale. Anche coloro che s’impegnano nella battaglia per la buona scuola privata parentale devono fare pressioni sulle autorità nazionali e locali per costringere lo Stato a rispettare i suoi obblighi verso quella cittadinanza che lo finanzia mediante le tasse. Bisogna far sì che le autorità politiche ritornino a promuovere il bene comune, i valori sociali e la “normalità”, intesa come

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conformità all’ordine naturale e razionale e alle leggi che lo tutelano, in modo tale da favorire le virtù sociali e a combattere i vizi sociali. In particolare, lo Stato deve tutelare pubblicamente la buona fama dei valori educativi (sia etici, sia civili) espressi dalla famiglia, impedendo quella diffamazione sistematica e capillare che finora è avvenuta anche con la complicità e i finanziamenti delle pubbliche istituzioni e strutture. Anche la politica culturale deve promuovere e difendere il ruolo educativo svolto dalla famiglia e dalla società civile. Si può farlo, da una parte diffondendo e difendendo i valori che rendono possibile la nascita e la crescita delle virtù domestiche, dall’altra parte combattendo i disvalori che offendono ed estinguono quelle virtù.

Primo piano


E

ducare di Pierluigi Bianchi Cagliesi

Diritto e dovere dei genitori

Le scuole parentali familiari e le scuole parentali private: cosa sono e quali opportunità offrono

L’educazione parentale è l’istruzione impartita ai figli dagli stessi genitori o da altre persone scelte dalla famiglia. Si può coinvolgere nell’educazione chiunque abbia la voglia e la capacità di trasmettere conoscenze e abilità, sfruttando tutte le competenze disponibili nell’ambiente circostante la famiglia. Nella realtà attuale – ancora minoritaria in Italia, molto più sviluppata all’estero – alcune famiglie preferiscono seguire orari giornalieri prestabiliti, utilizzando testi e programmi scolastici, mentre altre optano per un apprendimento più naturale e spontaneo, che assecondi i bisogni, l’interesse e le capacità dei figli. Chi sceglie di educare a casa è sottoposto solo alla legislazione statale (non quindi a norme regionali o provinciali) e in teoria uno studente può svolgere l’intero percorso di studi (fino all’università) senza mai mettere piede in aula. Primo piano

Negli Stati Uniti i ragazzi educati a casa sono all’incirca due milioni, mentre sono circa settantamila in Inghilterra, sessantamila in Canada, tremila in Francia e duemila in Spagna, in base ai dati relativi al 2012. In molti Paesi si è già arrivati alla terza generazione di Homeschoolers. In Italia non si hanno statistiche precise, ma le famiglie che rifiutano la scuola sono all’incirca un migliaio. Il trend è in continua crescita e anche i college più prestigiosi guardano con favore coloro che sono stati educati tra le mura domestiche. Più di novecento università nel mondo accettano le iscrizioni degli Homeschoolers, e tra queste si annoverano Harvard, Cornell, Princeton, Dartmouth e Yale.

In Inghilterra, negli Stati Uniti e in altre nazioni, i ragazzi homeschoolers possono accedere ai corsi universitari anche prima dei loro coetanei scolarizzati.

liaio le ig m n u a c ir c o n o s a In Itali ropri p i o n o c is u tr is e h c e famigli oma figli in maniera auton 13 N. 55


La scuola italiana, tradizionalmente, è stata sempre al centro dell’attenzione e della considerazione internazionale per l’alto livello qualitativo del suo modello di insegnamento. Un modello in grado di trasmettere una formazione organica e completa agli studenti, senza modalità particolarmente complesse e onerose di apprendimento e capace di mantenere, oltretutto, un perfetto equilibrio tra studio e vita familiare nell’utilizzo del tempo extra-scolastico. Ma, soprattutto negli ultimi trent’anni, si è assistito a una sua profonda trasformazione, sotto la spinta di élite politiche e culturali che hanno dapprima messo in discussione, e successivamente addirittura sovvertito, il paradigma precedente. Con il pretesto di svecchiare un modello formativo ed educativo scolastico considerato obsoleto e superato, ormai inadeguato di fronte alle spinte e alle sollecitazioni di una società moderna e in continua evoluzione, si è realizzata una vera e propria rivoluzione che ha trasformato alla radice l’intero sistema scolastico. 14 N. 55

In realtà, quanto accaduto va esaminato con attenzione, perché dietro la spinta dell’auspicato aggiornamento, ritenuto necessario per fornire ai giovani strumenti moderni e competitivi specie nel settore informatico e tecnologico, si è dispiegato un piano che ha stravolto un modello tradizionale di insegnamento, consolidatosi positivamente negli anni. Un modello di indubbio successo, anche in confronto con quello degli altri Paesi. Questo processo ha subìto un impulso e un’accelerazione durante gli ultimi dieci anni,

nel corso dei quali una serie di riforme ha letteralmente snaturato e ridisegnato la scuola italiana – dalla scuola dell’infanzia, alle superiori – con risultati davvero preoccupanti, poiché allo smantellamento dell’edificio culturale precedente si è associata l’introduzione d’insegnamenti discutibili, quando non decisamente inaccettabili, rispondenti a ideologie di matrice ateista, laicista, materialista. La propaggine estrema di queste aberrazioni si concreta nella penetrazione della teoria del gender attraverso Primo piano


Governo italiano hanno il loro motore nelle lobbies omosessualiste che, attraverso una rete di organizzazioni autogestite, forniscono un supporto didattico e pratico per l’attuazione dei loro programmi nelle scuole di ogni ordine e grado. Programmi peraltro vincolanti e obbligatori sia per gli studenti, sia per i docenti, e che esautorano le famiglie del loro fondamentale compito educativo e impongono loro, de facto, un vero e proprio allineamento a modelli “culturali” falsi e perversi, elaborati in sede sovranazionale. programmi volti, a partire dalle scuole dell’infanzia, a mettere in discussione l’identità biologica e sessuale della persona. Si mira a ridisegnare la fisionomia dell’uomo, imponendo un modello finto e artefatto che travalica la natura e il dato oggettivo; e a introdurre, attraverso l’educazione sessuale obbligatoria, una visione pansessualista dell’esperienza umana. Queste iniziative, volute e promosse dall’Unione Europea, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Primo piano

Ultimo aspetto, ma non meno importante, cui si tratta di porre rimedio, è l’aumento impressionante dell’impegno di studio richiesto ai giovani, a fronte di un insegnamento sempre più culturalmente scadente. Una pletora di libri di testo spesso inutili, concepiti con criteri irrazionali, pieni di suggestioni ideologiche e di veri e propri errori, costituisce il materiale di riferimento di eserciti di studenti e di docenti. Quando, sino agli anni Settanta, nelle scuole elementari si avevano in dotazione esclusivamente due libri di testo: il sussidiario e il libro di lettura.

NEGLI ULTIMI TRENT’ANNI ABBIAMO ASSISTITO ALLO SMANTELLAMENTO DELL’EDIFICIO CULTURALE PRECEDENTE. NEGLI ULTIMI DIECI SI È AGGIUNTA L’INTRODUZIONE DI INSEGNAMENTI DISCUTIBILI, QUANDO NON DECISAMENTE INACCETTABILI, RISPONDENTI A IDEOLOGIE DI MATRICE ATEISTA, LAICISTA, MATERIALISTA

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Queste premesse spiegano le ragioni per cui si è pensato di lanciare un progetto che promuova – inizialmente nel Nord-est e nel centro di Italia, poi auspicabilmente nel resto del Paese – la creazione di scuole parentali o familiari, al fine di ricreare le condizioni necessarie di una sana e retta istruzione, in grado di trasmettere alle nuove generazioni quei fondamenti culturali che hanno fatto la scuola italiana del passato una scuola di eccellenza.

e di garantire una maggiore qualità dell’insegnamento. Con il termine “scuole parentali” o “scuole familiari” si indica un percorso didattico autonomo, gestito direttamente dalle famiglie in strutture proprie, in grado di formare i figli attraverso un insegnamento consono e rispondente ai propri criteri educativi. Al termine dell’anno scolastico gli studenti devono sostenere l’esame di Stato, come qualunque altro studente privatista.

Si tratta di un progetto basato sull’esperienza di un insegnamento consolidato ed efficace, in grado di semplificare i tortuosi e complessi percorsi formativi della scuola attuale

Per superare difficoltà legate soprattutto alle capacità e alle concrete possibilità delle famiglie di affrontare l’impegno formativo, si ricorre alle scuole private-parentali, ispirate ai

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medesimi criteri ma allargate ad altri studenti e che si avvalgono del contributo di docenti qualificati. Questa modalità presenta il vantaggio, rispetto alla precedente, di costituire una scuola vera e propria, pur del tutto autonoma, con notevoli vantaggi connessi, tra i quali quello di non dover ricorrere annualmente all’esame di Stato, bensì soltanto al termine di ogni ciclo scolastico, come per ogni scuola statale o parificata. Essa può inoltre essere iscritta a un apposito Albo Regionale delle scuole private, per poter accedere ad agevolazioni e sgravi fiscali previsti dalle normative vigenti. Le scuole parentali sono previste dal Ministero dell’Istruzione, che ne riconosce la legittimità e ne regolamenta la disciplina, autorizzandole in base alla rispondenza e a requisiti specifici e a competenze culturali e didattiche basilari dei richiedenti. L’esperienza delle scuole private-parentali all’estero, soprattutto negli Stati Uniti d’America e in Francia, costituisce per noi un patrimonio prezioso, considerato anche il successo di questo modello di scuola, guardato con favore dai più prestigiosi poli universitari. Primo piano


La scuola parentale è una sorta di “comunità educante”, dove viene prestata fede al primato dei genitori anche rispetto all’istruzione dei propri figli

Scuola

A MISURA DI FAMIGLIA di Teresa Moro

Il mondo della scuola non smette di far parlare di sé. In continua evoluzione, da sempre la scuola svolge un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona, con implicazioni che colorano tutta la gamma dei vissuti, positivi o negativi. Ogni attore coinvolto – gli alunni, gli insegnanti, i genitori, i dirigenti, il personale ausiliario, i nonni... – ha una propria visione della scuola, ognuno vive e racconta un’esperienza diversa, anche qualora si faccia riferimento al medesimo contesto.

L’istruzione familiare è promossa e tenuta in vita dai genitori, non dallo Stato, e questo sia economicamente, sia sotto il profilo didattico-educativo Primo piano

Data la sua importanza nella vita personale e comunitaria, la scuola dovrebbe essere curata nei minimi dettagli, con strutture, programmi e docenti di primo livello sia sotto il profilo didattico, sia sotto quello educativo. Eppure

vediamo che spesso non è così: abbiamo schiere di docenti con scarse competenze e soprattutto senza motivazione, strutture fatiscenti, programmi ministeriali sempre più scadenti... Questa situazione genera inevitabilmente un aumento delle famiglie sfiduciate. Ecco quindi che i genitori vanno in cerca di un’alternativa: c’è chi decide di investire nella scuola paritaria (spesso erroneamente definita “privata”), chi si affida alle scuole private-parentali, chi decide di intraprendere la coraggiosa e innovativa scelta dell’istruzione familiare (anche detta “educazione parentale”, o “scuola familiare”, o “scuola parentale”) e chi, ancora, sceglie di istruire autonomamente i propri figli a casa. 17 N. 55


Vediamo qui più da vicino cosa è e come si organizza la cosiddetta “scuola parentale”. In premessa è importante tuttavia chiarire che l’istruzione familiare trova varie declinazioni e può essere di estrazione confessionale, oppure no. Questa modalità si regge sul fatto che vi è una struttura adibita a scuola, con dei docenti direttamente scelti dai genitori e con alunni divisi per età, o in pluriclasse, che svolgono un normale orario scolastico e che alla fine dell’anno sostengono un esame presso una struttura indicata dallo Stato.

L’ALLEANZA SCUOLA/FAMIGLIA La prima – e più importante – differenza con la scuola cosiddetta “pubblica”, dalla quale discendono a catena le altre, è nell’impostazione di fondo: l’istruzione familiare è promossa e tenuta in vita dai genitori, non dallo Stato, e questo sia economicamente, sia sotto il profilo didatticoeducativo. Nell’istruzione familiare, come si evince già dal nome, i genitori sono attori attivi e partecipi della vita scolastica. In certi casi vi può essere la delega a uno o 18 N. 55

più insegnanti che curano la didattica, tuttavia la selezione dell’insegnante è diretta. Molto agile e frequente è anche il dialogo tra docenti e famiglie nel corso dell’anno scolastico, senza i limiti imposti dal calendario delle udienze dei docenti. Oltre ad avere questo ruolo di supervisione diretta, nell’istruzione familiare alcuni genitori possono anche decidere di essere

loro stessi gli insegnanti di una determinata materia e/o di condurre un laboratorio. I genitori possono anche intervenire per accompagnare i bambini e ragazzi durante una gita, o per organizzare delle uscite didattiche. Quanto si va dunque a configurare è una sorta di “comunità educante”, dove viene prestata fede al primato dei genitori rispetto all’istruzione dei figli. Primo piano


L’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA Direttamente legata al ruolo centrale assunto dalla famiglia, vi è l’impostazione dell’organizzazione scolastica, che solitamente prevede un orario scolastico ridotto alla sola mattina, cui talvolta possono aggiungersi dei momenti pomeridiani facoltativi, per favorire ulteriori esperienze oppure momenti di studio comunitario e/o di gruppo. Questo implica una grande disponibilità da parte della famiglia: intraprendere la strada dell’istruzione familiare comporta una ben precisa scelta anche a livello lavorativo per i genitori, o comunque richiede la presenza di nonni o altre figure di fiducia che possano sostenere la famiglia nella gestione della quotidianità. Un’altra grande differenza a livello organizzativo è l’assenza di compiti a casa, sulla cui opportunità e utilità la comunità pedagogica è impegnata in annose discussioni. I ragazzi lavorano seriamente al mattino, mentre sono liberi di socializzare e fare altre esperienze nel pomeriggio. Primo piano

LA METODOLOGIA DI LAVORO Per quanto riguarda la metodologia di lavoro, l’istruzione familiare spesso presenta il vantaggio dei numeri, nel senso che i gruppi classe non sono quasi mai eccessivamente numerosi. I docenti – siano essi retribuiti o genitori – possono quindi lavorare in piccoli gruppi, favorendo la partecipazione diretta di ogni alunno e lo scambio di ruoli e competenze tra pari. Inoltre, il diretto rapporto di fiducia con le famiglie e il numero ridotto di alunni favorisce una didattica maggiormente improntata sull’esperienza attiva, limitando le lezioni frontali in momenti temporalmente ridotti. Questo metodo, oltre a facilitare l’acquisizione di competenze pratiche, permette un maggior consolidamento delle conoscenze, che non rimangono astratte e impartite dall’alto, ma diventano frutto di una manipolazione del reale, di un incontro con problemi veri, di ricerca di soluzioni sul campo e di altro ancora.

L’ALUNNO

Nell’istruzione familiare a ogni alunno viene riservata un’attenzione individualizzata. Le dimensioni numeriche favorevoli e la stretta alleanza tra scuola e famiglia permettono infatti una presa in carico dell’alunno con riguardo alle peculiarità di ognuno, valorizzandone i talenti e/o lavorando sugli aspetti più problematici/di immaturità. Da questo discende anche una valutazione d’impostazione meritocratica, che non punta a un livellamento verso il basso ma che anzi mira all’eccellenza. Infatti, alunni e docenti sanno che ogni anno si troveranno a sostenere gli esami finali con una commissione composta da professori sconosciuti. Inoltre, il fatto di sapere e volere valorizzare le capacità di ognuno favorisce il processo di socializzazione delle conoscenze, di scaffolding tra pari, per cui chi è più competente si mette al servizio di chi è in difficoltà, approfondendo in tal modo il proprio sapere. 19 N. 55


Una comunità

EDUCATIVA Intervista a Maria Bonaretti sull’esperienza scolastica Immaginache, che opera nella zona di Reggio Emilia

di Giulia Tanel

L’educazione parentale è un’alternativa alla scuola pubblica o paritaria che trova oggi in Italia diversi (ma ancora rari) esempi: abbiamo la Scuola Chesterton nelle Marche, la Scuola Hobbit nel senese, l’esperienza scolastica Immaginache a Reggio Emilia e la Scuola di Schio, in Veneto... cui vanno ad aggiungersi altre esperienze che 20 N. 55

si distaccano da una matrice antropologica di stampo cristiano. In questa sede diamo voce all’esperienza legata alla Comunità di famiglie Familiaris Consortio. Presente sul territorio fin dal 1983, l’offerta scolastica di Immaginache – gestita dalla Cooperativa sociale don Pietro Margini – si sviluppa Primo piano


NON VOGLIAMO SOTTRARRE I BAMBINI TROPPO TEMPO ALLE FAMIGLIE. IL NOSTRO È UN RUOLO DI SUPPORTO, NON DI SOSTITUZIONE AL PRIMATO EDUCATIVO DEI GENITORI su diversi ordini di scuola: l’istruzione familiare primaria “Lola Sacchetti”, a Sant’Ilario d’Enza; l’istruzione familiare secondaria di primo grado “Mariachiara”, nata nel 1988 a Sant’Ilario; e l’istruzione familiare secondaria di primo grado “Rolando Rivi”, nata nel 2013 a Reggio Emilia. A queste esperienze si lega – pur rientrando nell’alveo delle scuole paritarie – il Liceo scientifico e delle scienze umane “San Gregorio Magno”, evoluzione dell’istituto magistrale attivo sin dal 1981. Di seguito l’intervista che ci ha gentilmente rilasciato la referente del Liceo San Gregorio, Maria Bonaretti. L’istruzione familiare è, per una famiglia, una scelta impegnativa e controcorrente. La scuola pubblica non è sufficiente? L’impegno c’è, ma quello che più ci preme è il dare vita a una comunità educante che coinvolga – per quanto possibile – famiglie, insegnanti e altre realtà educative. Inoltre, nel nostro specifico di Scuole Immaginache, abbiamo anche a cuore un’educazione cristiana dei ragazzi, secondo i valori del Vangelo. Primo piano

Questa motivazione è sufficiente per spingere le famiglie a una scelta che comporta dei costi annuali e un’implicazione di tempo ed energie per contribuire alla vita scolastica? Il fatto di essere “familiare” anche nella struttura fa sì che la famiglia sappia fin da subito di “dover venire scuola”, di essere coinvolta nel processo educativo e di apprendimento, di poter/ dover partecipare alla vita della scuola: il patto educativo condiviso non è un foglio, bensì una realtà. Scherzava una mamma (spagnola e appartenente a un altro Movimento), in merito alla festa finale della scuola: «Ci credo che siete le scuole del Movimento: ci tenete davvero sempre in movimento, ci fate “ballare”». I nostri genitori apprezzano la qualità educativa e didattica della scuola e, lo sappiamo, i bambini tengono alle cose cui tengono i genitori: se, come genitore, la scuola mi interessa e mi lascio implicare e coinvolgere, anche a mio figlio interesserà, si applicherà e si lascerà coinvolgere. Come mai avete deciso di proporre un tempo scolastico ridotto? Non vogliamo sottrarre i bambini troppo tempo alle

famiglie. Il nostro è un ruolo di supporto, non di sostituzione al primato educativo dei genitori. I genitori. Oggigiorno li si vede spesso disorientati nel crescere i figli, non hanno punti di riferimento. Siete attrezzati per un supporto anche in tal senso, con incontri di formazione ad hoc e colloqui personali con gli insegnanti? Certamente. Diamo la possibilità sia di colloqui frequenti – soprattutto nei casi più difficili –, sia di incontri plenari per genitori, oppure delle singole classi o in gruppi più grandi. Inoltre non va tralasciato il fatto che nell’educazione dei figli aiutano moltissimo anche il confronto, la collaborazione e l’amicizia con altre famiglie: vedere e sperimentare l’esempio e la vicinanza di altri genitori previene tanti problemi. Qual è l’approccio pedagogico cui fate riferimento? Il nostro riferimento di fondo è l’antropologia cattolica, con un approccio che ha a cuore ogni singolo alunno, considerato nella sua specificità; nel fare questo prestiamo fede al 21 N. 55


concetto di comunità educante condivisa e diffusa, puntando molto sulla creazione di rapporti interpersonali significativi con compagni e insegnanti. Per quanto riguarda invece la didattica, investiamo su un insegnamento attivo e con molte attività laboratoriali. Da questa attenzione al singolo discende un’attenzione particolare a sviluppare i diversi talenti, anche in ottica vocazionale? Certo, ognuno ha la propria vocazione nel mondo. In ottica cristiana, siamo creati per amare e servire Dio nella gioia, assieme ai fratelli. L’educazione nelle nostre scuole è dunque tutta in chiave vocazionale ed è orientata ad aiutare i ragazzi a comprendere cosa il Signore li chiama a fare da grandi, per la loro gioia e per la gioia e il bene delle persone che sono loro accanto e alle quali li manderà. Talvolta i vostri docenti o le persone che conducono dei laboratori sono genitori o nonni degli alunni. L’eventuale parentela docente-alunno non influisce in maniera negativa sulla didattica? Sono sempre i genitori a decidere liberamente se desiderano o meno entrare 22 N. 55

nella classe di loro figlio. Per quanto riguarda i progetti o le attività laboratoriali, di solito è un’esperienza molto positiva: si ha la possibilità di vedere il proprio bambino o ragazzo all’interno del contesto classe e anche il figlio percepisce che per i genitori la scuola è importante, se dedicano ad essa tempo, energie e soldi. Per le scuole elementari avete scelto di non avere la figura dell’insegnate unico. L’intento è quello di favorire l’integrazione di approcci educativo-didattici differenti? Il nostro fondatore, Mons. Pietro Margini, diceva che lo stile è la comunità, e questo

cerchiamo di portare avanti. Nelle nostre scuole funziona come in una famiglia: in quest’ultima ci sono una mamma e un papà che educano in modo differente – in quanto maschio e femmina, con diverse indoli – ma in accordo e con gli stessi principi, e questo genera ricchezza. Avere diverse figure educanti è meglio rispetto ad avere un solo genitore/ educatore. La grande sfida è riuscire a rendere un gruppo di insegnanti una comunità educativa significativa. La didattica è fortemente incentrata su una metodologia di apprendimento esperienziale e che punta sui cosiddetti “compiti di realtà”.

«SE COME GENITORE LA SCUOLA MI INTERESSA, MI LASCIO IMPLICARE E COINVOLGERE, ANCHE A MIO FIGLIO INTERESSERÀ, SI APPLICHERÀ E SI LASCERÀ COINVOLGERE...» Primo piano


Potrebbe illustrare meglio questo aspetto e fornire qualche esempio ai nostri Lettori? Faccio subito qualche esempio. Per favorire un approccio con la scrittura, ad esempio, favoriamo la partecipazione a concorsi letterari di vario tipo. Inoltre, lo scorso anno scolastico alcune classi hanno anche scritto un libro, uno dei quali anche tradotto in spagnolo, del quale hanno seguito tutti i processi fino alla pubblicazione. Nella scuola media, poi, siamo soliti far imparare e poi preparare lezioni di scienze per i bambini delle elementari, oppure imparare la Divina

Commedia o i miti greci per la recita di fine anno. Nel triennio della scuola primaria di secondo grado puntiamo molto sul teatro, più che negli altri gradi scolastici. Ogni anno abbiamo anche la “settimana laboratoriale”, con attività di vario tipo: dalle scienze, all’informatica, alla fotografia legata alla poesia, all’arte e allo sport... Nel fare questo si vanno a sviluppare le competenze non cognitive degli alunni: lavori di gruppo, a coppie, assumersi piccole responsabilità, imparare a parlare in pubblico, risolvere problemi… Inoltre, ogni anno abbiamo la “settimana verde”: andiamo in montagna a fare

scuola, imparando sul campo. Alla fine di ogni anno scolastico gli alunni di entrambi i gradi sostengono un esame. Questo “obbligo”, apparentemente gravoso, può invece essere visto come un’opportunità? Sì, e lo è sia sotto il profilo didattico, in quanto permette un ripasso generale degli argomenti svolti, sia sotto il profilo educativo perché stimola la responsabilità rispetto all’impegno scolastico, portando i ragazzi a capire che sono loro i protagonisti del loro imparare e che devono dare ragione del loro impegno scolastico. Gli esami di fine anno sono anche un banco di prova per gli insegnanti, che vedono giudicato da persone terze il proprio lavoro con gli alunni. Da loro, come viene vissuto questo momento? I nostri insegnanti, dopo gli esami, chiedono e ascoltano volentieri le osservazioni dei commisari che esaminano i ragazzi per vedere se ci sono cose da aggiustare, approfondire, migliorare: anche questo crea un bel circolo di confronto ed è uno stimolo a fare sempre meglio per il bene degli alunni.

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di Giuliano Guzzo Giuliano Guzzo

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabora con diverse riviste e portali web fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo : www.giulianoguzzo.com

Oggi le statistiche dicono che la percentuale di promossi all’Esame di Stato è oltre il 99%

VIETATO

vietare

BOCCIARE

Anna Maria Pacchiotti

Anna Maria Pacchiotti, presidente dell’associazione “Onora la Vita onlus”. : www.onoralavita.it

Giulia Tanel

MATURITÀ ESAME DI STATO

Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. Collabora con libertaepersona.org e con altri siti internet e riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli - L’irruzione del soprannaturale nella storia (Ed. Lindau).

La “maturità” non si chiama più così da parecchi anni: si chiama Esame di Stato, perché la “maturità”

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degli studenti non è oggetto sindacabile da parte dei professori. Inoltre, chi pratica le circolari ministeriali e capisce il “didattichese”, sa bene che agli esami non si devono valutare le «conoscenze» dei ragazzi, che si presume siano state vagliate nello scrutinio d’ammissione, ma le loro «competenze e abilità»… Non stupisce che nella scuola siano la stragrande maggioranza gli insegnanti favorevoli all’abolizione totale della pagliacciata risultante, che molti continuano a chiamare “esame di maturità”. Il fatto che l’esame abbia un minimo di senso e di serietà dipende esclusivamente dalla buona volontà e dallo spirito di sacrificio dei singoli docenti coinvolti.

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Prima di cominciare un nuovo anno scolastico è bene guardare al bilancio di quello appena concluso. Bilancio che sembra indicare un quadro molto chiaro e, fino a non molti anni fa, per nulla scontato: oggi, alla fine del ciclo di studi, gli studenti vengono tutti promossi, o quasi. Sono davvero rari, infatti, i casi di coloro che non superano l’Esame di Stato. Di più: sono statisticamente sempre meno, quasi una razza in via di estinzione. Lo affermano i dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione, secondo i quali oltre il 99% dei maturandi, in Italia, ottiene la promozione. In parole povere, la “maturità” oggi è poco più di una formalità, mentre invece un tempo non era affatto così. Proprio per nulla. Basti pensare alle incontenibili e leggendarie tensioni notturne cantate da Antonello Venditti in Notte prima degli esami. Tutti ricordi, tutte cose passate. Introdotta per la prima volta nel 1923 da Giovanni Gentile (1875-1944), inizialmente la maturità registrava una percentuale di promossi attorno al 60%. Una quota

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già non bassa evidentemente, ma che è lievitata al 70% negli anni Sessanta, per poi giungere poco sopra il 90% già negli anni Ottanta, mentre oggi – come si diceva – si avvicina sempre più al 100% tondo, riducendosi a una sostanziale e avvilente ratifica. Certo, dai dati più recenti emerge una diversificazione curiosa sul numero delle eccellenze – in Puglia sono stati promossi con il massimo dei voti 934 studenti, mentre in Lombardia appena 300 –, ma ciò che soprattutto rileva, come si diceva poc’anzi, è la quasi totalità dei promossi tra i maturandi. Studenti sempre più bravi, dunque? Si può anche essere ottimisticamente portati a crederlo. Anche se l’ipotesi, a ben vedere, non regge

più di tanto. Soprattutto se si considera come, parallelamente al numero dei sempre più numerosi promossi, è cresciuto, specie negli ultimi anni, un altro fenomeno: quello dei ricorsi alla magistratura da parte degli studenti bocciati. In base a quanto riportato da diverse fonti, infatti, nel corso del tempo il numero di richieste al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) sembra essersi moltiplicato in maniera esponenziale. Insomma, i già pochi bocciati – all’Esame di Stato, come al passaggio dell’anno successivo – non ci stanno. Il punto che sconcerta, specie gli insegnanti, è che quasi sempre costoro vedono riconosciute le proprie

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istanze, a differenza di quanto accadeva, quando difficilmente i giudici accoglievano i ricorsi dei genitori degli alunni. Il che talvolta, anzi sempre più frequentemente, conduce a esiti francamente grotteschi e dal sapore tragicomico. Molto emblematica, a questo riguardo, è la vicenda toccata qualche anno fa ad uno studente romano. Costui, bocciato con ben tre sonore e rilevanti insufficienze – in matematica, fisica e storia dell’arte – non si è rassegnato, ha fatto ricorso e lo ha addirittura vinto. Il giudice, infatti, gli ha dato ragione riconoscendo le sue come insufficienze su «materie non essenziali». Chissà, forse il TAR avrà pensato che per questo ragazzo, come cantava il già citato Venditti, «la matematica non sarà mai il suo mestiere…». Battute a parte, disponiamo già di elementi a sufficienza, credo, per sviluppare un paio di considerazioni sulla crescente difficoltà – verrebbe da dire quasi l’impossibilità – per gli studenti d’essere bocciati 26 N. 55

in generale ma, soprattutto, all’Esame di Stato. La prima concerne la decadenza non solo dell’esame in questione, ma dell’impalcatura scolastica che detto fenomeno implica. Se infatti il momento per eccellenza di verifica dell’apprendimento di contenuti e della maturazione del candidato – cosa che l’esame di maturità è sempre stato e teoricamente pure oggi, a ben vedere, dovrebbe continuare a essere – scade in mera formalità, significa che la scuola, in buona parte, rinuncia al proprio ruolo, che non è solo quello educativo e formativo ma anche, appunto, quello di verifica dell’apprendimento. Il che non può non avere conseguenze e, soprattutto, non può non risultare demotivante per gli studenti, ai quali passerà in definitiva l’idea che nella vita – oltre che a scuola – tutto sia dovuto. Un’idea con delle implicazioni tragiche. La seconda e ultima considerazione concerne il fatto che, nella misura in cui le promozioni di massa alla maturità così vicine al “6 politico” di sessantottina

memoria sono gradite a scuola, genitori e perfino magistratura, significa che si è perso totalmente il significato stesso della “maturità”. Maturità, chiaramente, intesa non tanto in termini didattici ma umani. In effetti, sotto molti punti di vista la nostra non pare affatto una società matura, anzi. Chiaramente lo snaturamento dell’esame di maturità non è la causa, semmai un effetto di tutto ciò. Ma è un effetto che lascia più amarezza di altri e conferma la crescente necessità di un ritorno alle regole, con tanto di sanzioni (bocciature) per chi non le osserva. Perché…

… in un mondo dove tutti vengono promossi, è la società intera che alla fine viene bocciata! Primo piano


Le riforme scolastiche che si sono susseguite negli ultimi anni hanno portato a un calo del livello di istruzione dei nostri giovani. Cambiare rotta è ancora possibile?

LA CULTURA

non va (più) di moda di Enzo Pennetta

Siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico ma non è uno come tanti altri. Anzi, da un po’ di tempo nessun anno è come quelli prima: si somigliano come i gradini di una scala, appaiono tutti uguali, ma li distingue il fatto di essere su un diverso livello, e in questo caso la direzione è una discesa. Voltandoci indietro vediamo che è così da circa vent’anni. In questo tempo ogni anno scolastico ha rappresentato un ritocco verso il basso del livello d’istruzione delle nuove generazioni e da quel che leggo sembra che qualcuno lo chiami «progresso», il che etimologicamente potrebbe anche essere corretto significando Primo piano

«camminare in avanti», senza però specificare se davanti c’è qualcosa di buono oppure no. Ed effettivamente questo cammino in avanti sembra proprio avere tutte le caratteristiche di una discesa: si va verso livelli di preparazione e formazione culturale sempre più approssimativi. La domanda è se questo sia l’obiettivo prefissato. Voluti o no, di tentativi di indebolire la preparazione scolastica se ne sono visti molti negli ultimi decenni, se però dovessimo individuare un momento preciso in cui la cosa è diventata sistematica, potremmo prendere come riferimento la riforma Berlinguer attuata nel 1997 sotto il primo governo Prodi e riguardo alla quale,

«Occorre tornare a rivendicare l’insegnamento della cultura» 27 N. 55


sul sito della Treccani, leggiamo quanto segue: «[…] il ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer fece suoi i principi enunciati da Attilio Monasta, pedagogista fiorentino, in un Documento di discussione del gennaio 1997, che conteneva il cardine concettuale della riforma: cioè il superamento dell’impianto gentiliano e idealista della s. italiana – quello che aveva resistito al fascismo e formato la generazione degli antifascisti –, fornendo a ciascun soggetto del sistema educativo, insegnante o studente, il 28 N. 55

“controllo” del processo formativo erogato o ricevuto». Si trattava dunque di una riforma particolare: con essa si andava a intaccare l’impianto stesso di un sistema d’istruzione che fino ad allora aveva formato generazioni di italiani, persone in grado di comprendere la complessità del reale, e quindi anche delle ideologie, e di rapportarvisi in modo consapevole e da uomini liberi. Al contrario, da quel non lontano 1997, con la riforma Berlinguer ha iniziato a Primo piano


prevalere un’altra impostazione, quella che vedeva «la necessità – si legge su Wikipedia – di superare la distinzione, tipica del sistema formativo italiano tradizionale, fra cultura e professionalità e, quindi, fra formazione culturale e formazione professionale». Con quella riforma iniziava dunque la subordinazione della scuola al sistema economico e produttivo, anziché alla missione formativa della persona. Le riforme che si sono succedute negli anni seguenti non hanno toccato questo orientamento, che ha infine raggiunto il suo punto più estremo con la riforma detta “La buona scuola” del Governo Renzi, con la quale si è introdotta l’alternanza scuola-lavoro in tutti gli indirizzi (negli istituti professionali era stata introdotta sotto il governo Berlusconi dalla riforma Moratti del 2003). L’alternanza scuola-lavoro è quindi un evidente passo Primo piano

di avvicinamento dei licei tradizionali alle scuole di formazione professionale, un proseguimento ideale delle linee ispiratrici della riforma Berlinguer che da quel momento hanno unito tutti i governi successivi, a prescindere dal loro colore. Ma l’azione di svuotamento culturale non si è esaurita con la subordinazione agli interessi del mondo del lavoro: una denuncia del febbraio 2017 di 600 docenti universitari lamenta un analfabetismo che riguarda innanzitutto le basi della formazione, e nello specifico la lingua italiana. Al tempo stesso si è avuto uno spostamento dell’attenzione verso le lingue straniere, che ha generato una “ipertrofia” del ruolo svolto dall’inglese proprio in quanto lingua “commerciale”. Il caso più estremo è rappresentato dalla proposta dell’insegnamento denominato CLIL, cioè dell’autentica pretesa di insegnare le materie scolastiche direttamente in lingua inglese, ottenendo inevitabilmente come risultato un forte indebolimento nelle stesse discipline insegnate. Una parte difficilmente quantificabile, ma non irrilevante, dell’indebolimento dell’istruzione è stata

svolta anche da un uso distorto e scorretto delle attenzioni verso specifiche problematiche e necessità individuali, che – con un’efficace espressione – il prof. Giorgio Israel indicava come «medicalizzazione della scuola». Altro punto in questione è la formulazione controversa dei test di valutazione INVALSI, che spingono le scuole a lavorare specificamente per il loro superamento, trasformandoli da semplici test di valutazione a veri e propri obiettivi didattici. Infine, la novità più recente è costituita dalla tendenza a ridurre da cinque a quattro gli anni di studio per i licei. L’anno che va ad iniziare certamente sarà ancora una volta un anno diverso dagli altri, ma se vogliamo potrebbe esserlo in un modo inatteso. L’insegnamento per sua natura è libero e nessuna riforma o disposizione ministeriale può entrare nelle aule scolastiche a stabilire quali parole dirà il docente... potrebbe allora accadere che, inaspettatamente, in tanti di noi smettano di scendere i gradini e, voltandosi, riprendano a salirli, rivendicando semplicemente l’insegnamento della cultura. 29 N. 55


L’attimo

fuggente Siamo nel 1959 e la Welton Academy è uno tra i più prestigiosi, severi e tradizionalisti college del New England. Un gruppo di ragazzi si ritrova a ricominciare l’anno scolastico con una novità: l’insegnante di letteratura inglese (Robin Williams). Il professor Keating, con il suo metodo d’insegnamento innovativo, trasmette ai suoi alunni la passione per la poesia e li invita a inseguire i loro sogni, nella costruzione della loro identità. Subito catturati dalla sua personalità, i ragazzi ricreano la cosiddetta “Setta dei poeti estinti”, viva quando il professor Keating era a sua volta studente del college, e iniziano a riunirsi clandestinamente di notte per leggere e comporre poesie. Dead Poets Society (La setta dei poeti estinti) USA, 1989 Regia: Peter Weir Durata: 128 minuti Genere: drammatico

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.

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La pellicola si concentra quindi su Neil, ragazzo molto brillante ma succube della volontà paterna. Il giovane capisce che la sua passione più vera è quella del teatro: vuole fare l’attore. In un primo momento tiene nascosto al padre il provino per uno spettacolo al quale vuole partecipare e, una volta ottenuta la parte, falsifica la domanda di partecipazione pur di non confrontarsi con i genitori, nonostante anche il professor Keating lo avesse incoraggiato a esprimere al padre questa sua passione per la recitazione.

Purtroppo Neil questo discorso al padre non lo farà mai e la sera della rappresentazione, dopo aver raccolto gli applausi e aver assaporato la gioia del palcoscenico, dovrà subire l’ennesima ramanzina paterna, unita alla decisione di lasciare il college per un’altra università e all’obbligo di dire addio ai suoi sogni da attore. Quella stessa notte Neil si suiciderà e, dopo un’inchiesta interna all’istituto, la colpa verrà attribuita al professor Keating, che viene allontanato dal college. È in questo momento che si concretizza la scena divenuta famosa: il saluto degli studenti al loro «Capitano, mio capitano!» (così il professor Keating amava farsi chiamare), alzandosi in piedi sui banchi e “assolvendo” così agli occhi del preside l’operato del loro professore. Gli ingredienti di questa sceneggiatura da Oscar (Miglior sceneggiatura originale a Tom Schulman nel 1990) ci sono tutti: un gruppo di ragazzi con i loro sogni e le loro fragilità; una scuola molto rigida, tradizionalista e conservatrice; genitori autoritari o, al contrario, assenti e distratti. È in questo contesto che si inserisce il «Carpe diem» del professor Keating, in questo spazio vuoto che la famiglia non dovrebbe mai lasciar scoperto, ovvero lo spazio dove c’è la possibilità per ogni ragazzo di esprimere le proprie passioni, in continuità e armonia con i valori con cui sono stati cresciuti dai genitori.

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A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza

dei piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Indossare questa spilletta, oppure attaccarla a uno zaino o a una borsa, può servire a sensibilizzare le coscienze anestetizzate dalla cultura della morte.

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Intervista a don Maurizio Patriciello, che mette in guardia dalla violenza esercitata da chi, sentendosi parte discriminata, si fa portatore di intolleranza

I nuovi diritti civili? SOLO EGOISMI Don Maurizio Patriciello è un sacerdote che i mass media potrebbero definire «prete di strada», uno avvezzo alle Federico periferie, parroco a Caivano, Catani tra Napoli e il casertano, nel bel mezzo della Terra dei fuochi. È un prete che da anni si batte in prima linea contro la criminalità organizzata e per riscattare soprattutto i giovani che vivono nei quartieri più problematici e disagiati. Sa bene quindi cosa significhi educare e formare. Non solo: ha preso anche coraggiose posizioni contro il clima culturale dominante, nel quale ogni piacere sembra dover diventare un diritto. Per questo lo abbiamo intervistato.

di Federico Catani

«Bisogna fare attenzione agli scimmiottamenti dell’amore, le cui conseguenze poi si pagano care» 32 N. 55

Don Maurizio Patriciello

Don Maurizio, da tempo ormai si è consapevoli che abbiamo un problema nell’educazione delle nuove generazioni. Papa Benedetto XVI parlava ad esempio di «emergenza educativa». Nella sua esperienza, Lei cosa sta constatando? Abbiamo smarrito l’idea dell’imparare. Mi spiego. Insegnare è un’arte e oggi purtroppo mancano i testimoni di cui parlava Paolo VI. Pertanto sembra proprio che non abbiamo più la capacità di passare il testimone con gradualità. La famiglia, che è la prima agenzia educativa, sta venendo meno e tutti conosciamo i problemi della scuola. I ragazzi sono spesso lasciati a se stessi e ai loro smartphone. E, sebbene questo avvenga ormai un po’ ovunque, è pur vero che in alcuni luoghi tutto ciò si avverte di più. Da quanto osservo e vedo in prima


persona, oggi per certi versi i giovani diventano adulti molto presto (e lo fanno tutti allo stesso modo, tanto da sembrare fatti con lo stampino), ma in realtà sono uomini e donne “mutilati”, perché manca loro la prudenza, manca l’essenziale. Lo si vede soprattutto nel momento in cui cercano di costruire una famiglia. Quello che dico sempre ai miei ragazzi è che bisogna fare attenzione agli scimmiottamenti dell’amore, le cui conseguenze poi si pagano care.

egoismi in diritti. Il modello della finestra di Overton e la manipolazione del linguaggio ci stanno facendo accettare ciò che non può esserlo. Le famiglie arcobaleno, ad esempio, non esistono. Nessuno ha diritto a comprare un bambino, e non mi si venga a fare il paragone con l’adozione, perché si tratta di una realtà profondamente diversa. Nell’adozione sono gli adulti che aprono il cuore e aiutano un bambino rimasto, per vari motivi, senza genitori,

«NON ESISTE IL

DIRITTO

AL FIGLIO»

Eppure, nella nostra società, con la parola «amore» si giustifica di tutto, dalle unioni omosessuali, alla pratica dell’utero in affitto. Non tutto è amore. Il caso dell’utero in affitto è lampante. Con la scusa del presunto “diritto al figlio” ci siamo dimenticati dei bambini. Quando si parla di questi temi, chiedo sempre: «Nel caso della cosiddetta maternità surrogata, chi è il soggetto debole, emarginato e discriminato? Il bambino ovviamente!». Il bambino infatti vuole, e ha bisogno, di un papà e di una mamma. Come trascurare il legame strettissimo che si instaura tra il piccolo e sua madre? Come trascurare l’importanza del contatto fisico con chi lo ha partorito? Tutto il resto – lo voglio dire con molta chiarezza – è menzogna. Non esiste il “diritto al figlio”. Quello cui stiamo assistendo è la trasformazione degli 33 N. 55


ma non creano e non inventano, non fabbricano appositamente un figlio. Su questo bisogna essere chiari, senza timore di dire la verità. Però Lei sa bene che avere queste idee per molti significa essere “omofobi”, e discriminare le persone omosessuali... Vede, qui ci troviamo di fronte ad una vera e propria forma di violenza. E la violenza mi spaventa sempre, da qualsiasi parte provenga. Io sarei pronto a dare la vita per difendere e salvare un fratello omosessuale, o di colore, o comunque bisognoso di aiuto. Questo però non significa accettare una particolare ideologia. Le faccio un esempio di cui sono stato testimone diretto. Ero su un treno regionale e nel mio stesso vagone viaggiava anche un ragazzo di colore senza biglietto. Quando il controllore se ne è accorto, gli ha chiesto di scendere e subito il giovane ha inveito contro di lui definendolo razzista. Ma questo è folle: il controllore ha fatto semplicemente il suo lavoro! È davvero increscioso quando le parti che si ritengono offese iniziano a offendere e a esercitare violenza sugli altri. Che poi è quello che avviene, come ho detto, nella 34 N. 55

pratica dell’utero in affitto. O ad esempio a scuola, con l’indottrinamento gender. Confondere i bambini attraverso insegnamenti fallaci è una forma subdola e grave di violenza. Siamo tutti maschi o femmine e la lotta all’ingiusta discriminazione, o l’educazione al rispetto e alla tolleranza non possono prescindere dalla realtà delle cose. Prendiamo anche il triste caso dell’omicidio del povero Luca Varani, avvenuto a Roma nel marzo 2016. Il tutto è avvenuto nel contesto di un festino gay, ma i media hanno fatto di tutto per minimizzarlo e tenerlo ben nascosto. Perché? Perché sottacere la verità? Lo stesso si può dire dell’aborto, che è un omicidio, però ormai viene considerato un diritto della donna. Senza dubbio. Pensiamo anche al tentativo di non far lavorare (ovvero di discriminare) i medici obiettori e di conculcare il diritto all’obiezione di coscienza. Chiaramente anche qui c’è una mistificazione del linguaggio e della realtà. L’aborto non è un diritto, perché i veri diritti non pregiudicano nessuno. In questo caso invece,

portando all’estremo il principio dell’autodeterminazione delle donne, si giustifica l’eliminazione fisica addirittura del proprio figlio. Peggiore poi è l’aborto chimico, perché lascia la donna ancora più sola e le toglie ogni possibilità di ripensamento. Del resto, viviamo in un mondo che non vuole più che la gente si ponga problemi, pensi, rifletta. E spesso è perdendo la capacità di riflessione che nascono le tragedie, anche all’interno delle famiglie. Allude al tema del “femminicidio”? No, parlo di violenza in generale. La parola “femminicidio” non mi piace, perché la violenza è sempre violenza, a prescindere da chi la esercita e da chi ne è la vittima. E prima di tutto quindi bisogna tornare a usare la ragione e imparare a essere prudenti, come dicevo all’inizio. Se fosse sempre così, molti drammi si eviterebbero. Inoltre, lo ribadisco ancora, bisogna spiegare ai giovani (e a tutti) che l’amore non è il sentimento passeggero che si prova per una persona o l’attrazione fisica di un momento. Se si fosse consapevoli di questo, non avremmo lo sfascio della famiglia cui stiamo assistendo.


Letture pro life «La lettura è per la mente quel che l’esercizio fisico è per il corpo» (Joseph Addison)

Leandro Aletti

CARNE, OSSA, MUSCOLI E TENDINI In difesa della vita nascente Gribaudi

Leandro Aletti è un ginecologo che – dopo quarant’anni di professione – racconta gli anni Settanta e Ottanta, vissuti e combattuti in prima persona alla Mangiagalli di Milano: erano gli anni della battaglia tra favorevoli e contrari all’aborto. A tutti questo libro offre una provocazione e una riflessione. Si narrano storie di madri ingannate, di cosiddetti “aborti terapeutici” su bimbi sanissimi, di genitori terrorizzati da campagne mediatiche costruite ad arte, di medici che hanno tradito la loro professione e di uomini che hanno lottato, giocandosi tutto. La testimonianza di Aletti – caratterizzata dall’impegno a difesa della vita nascente, non solo alla Mangiagalli – è davvero preziosa.

Emiliano Fumaneri

UNA SPADA PER LA VITA

Alla riscoperta della virilità cristiana Edizioni Croce-Via

L’ultima fatica di Emiliano Fumaneri, noto ai Lettori anche con lo pseudonimo Andreas Hofer, si sostanzia in una raccolta di scritti “di battaglia”, pubblicati al tempo dei due Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio 2016 e dunque inevitabilmente condizionati dalla tensione febbrile che si respirava in quei giorni. Tanti i temi trattati nei vari capitoli, nei quali vengono citati con nome e cognome alcuni dei più noti rappresentanti del pensiero contrario alla legge naturale. Fumaneri parla delle “colonizzazioni ideologiche” dei nostri giorni (l’ideologia del gender, l’aggressione al matrimonio e alla famiglia, la cultura della morte, le biotecnologie, etc.), ma anche, soprattutto nella seconda parte, del tema oggi negletto della virilità cristiana, dal cui oblio – sostiene l’Autore – derivano molti dei mali che affliggono la cattolicità.

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