MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
Notizie
Trento CDM Restituzione
Anno VII| Marzo 2018 Rivista Mensile N. 61
“Nel nome di chi non può parlare”
POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
PERSONA: SOGGETTO DI RELAZIONE Donne e uomini, madri e padri
L’uomo, l’essere relativo
Relazioni virtuali
di Giulia Tanel, p. 8
di Emiliano Fumaneri, p. 16
di Enzo Pennetta, p. 38
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES Notizie
Anno VII | Marzo 2018 Rivista Mensile N. 61 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089 Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
EDITORIALE 3 NEWS 4 ARTICOLI 8 marzo per le madri, perché le madri sono donne
Women of the World
Donne e uomini, madri e padri
Giulia Tanel
Distribuzione
Hanno collaborato a questo numero: Marco Bertogna, Emiliano Fumaneri, Giuliano Guzzo, Miriam Incurvati, Teresa Moro, Enzo Pennetta, Gloria Pirro, Francesca Romana Poleggi, Clemente Sparaco, Giulia Tanel, Women of the World
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PRIMO PIANO
L’uomo, l’essere relativo
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Emiliano Fumaneri
La vocazione dialogica dell’uomo
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Clemente Sparaco
Famiglia, luogo di relazione, luogo di vera libertà
Giuliano Guzzo
La relazione coniugale è un bene per tutti
Francesca Romana Poleggi
Una relazione profonda, un legame eterno
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Gloria Pirro
Progetto e impaginazione grafica
Tipografia
6
Da due a tre: la relazione che genera
Teresa Moro
Regaliamo ai nostri figli un attaccamento sicuro
Miriam Incurvati
Relazioni virtuali
Enzo Pennetta
FILM: Quasi Amici
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34 38
42
Marco Bertogna
Letture Pro-Life
43
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38 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it
Toni Brandi
EDITORIALE
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Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una nuvola venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te»: così scrisse Ernest Hemingway. Ogni persona è tale in quanto soggetto di relazione: questa è la riflessione che vi offriamo nel presente numero di Notizie ProVita. Una riflessione urgente in un mondo in cui l’uomo percepisce il limite e la dipendenza come un ostacolo alla realizzazione di sé. In una società dove s’idolatra la cosiddetta “autodeterminazione” con l’illusione di bastare a se stessi, di poter davvero decidere tutto della propria vita e della propria morte, a prescindere dagli altri (e a prescindere dall’Altro…). Sarà bene invece riflettere sul fatto che non si può delineare un “sé” se non si confronta con “un altro da sé”. Sarà bene riconoscere che le relazioni umane sono essenziali per dare un senso alla vita, per completarci, confrontarci, migliorarci. Cercare una relazione stabile e duratura, procreare dei figli che legano e limitano la libertà di “fare quel che mi pare” non va più di moda: si idolatra la “singletudine” – e si cade in depressione – e le nazioni ricche, viziate, edoniste e secolarizzate hanno intrapreso la china del suicidio demografico. Nel Regno Unito è stato istituito il Ministero della Solitudine, in Svezia un quarto delle persone muoiono in casa da sole, senza che nessuno se ne accorga; tanto che è stata istituita un’agenzia statale per liberare le case dai morti, senza incomodare parenti (lontani). Zygmund Bauman, il filosofo che ha definito la nostra società come una “società liquida”, diceva: «La felicità non viene da una vita senza problemi, ma dal superamento delle difficoltà. L’indipendenza non è la felicità; alla fine porta a una completa, assoluta, inimmaginabile noia». Le relazioni con gli altri – e con l’Altro – , cari Lettori, sono il sale e il senso della vita…
IL NOSTRO PENSARE È, FIN DAL PRINCIPIO, UN COMUNICARE NON C’È VERA ANTROPOLOGIA, SE NON DOVE SIA RECUPERATA LA PIENEZZA DEL RAPPORTO CON ALTRI
La vocazione dialogica dell’uomo Solo nella dimensione dialogica si coglie la realtà non come dominio, ma come incontro di Clemente Sparaco
I
l pensiero ebraico del ’900 (Rosenzweig, Buber, Lévinas etc.) ha riscoperto, nel seno stesso della tradizione biblica, la vocazione dialogica dell’uomo e l’ha riproposta in alternativa al soggettivismo. In particolare il referente polemico di questa riscoperta è l’idealismo di Hegel, ossia il sistema più compiuto del razionalismo moderno.
La critica alla compiutezza del sistema hegeliano è svolta da M. Buber in nome del recupero del valore dell’esteriorità, nella convinzione che la dialogicità, ossia il rapportarsi al Tu, sia costitutiva del soggetto: «Non è mediante il rapporto con il proprio “sé”, ma è mediante il rapporto con un altro “sé” che l’uomo potrà raggiungere la completezza. Questo altro “sé” può essere limitato e relativo quanto a se stesso, ma è in questo essereinsieme-con-l’altro che si rende possibile l’esperienza dell’illimitato Primo piano
e dell’incondizionato» (Il principio dialogico). Non c’è vera antropologia, se non dove sia recuperata la pienezza del rapporto con altri; se non dove, a una visione del soggetto come autarchico, si sostituisca una visione in cui la comunicazione si ponga come essenziale per il soggetto stesso. Solo così la prigionia dell’io è infranta e si coglie la realtà non come dominio, bensì come incontro. La relazione interpersonale esprime, quindi, la struttura originaria dell’essere, la profondità ontologica per la quale l’uomo non è solitudine, ma costitutiva apertura all’altro. «All’inizio è la relazione», scrive Buber in Io e Tu. La coscienza si situa all’interno di un’anteriorità che la precede, fatta di relazioni significative con persone e di contesti, nella quale si
inserisce e struttura. Questo è immediatamente percepibile nel fatto che la nostra identità fisica e mentale è frutto di una relazione di coppia. Nel bambino c’è infatti fisicamente la compresenza genetica dei genitori, a loro volta portatori di un’ereditarietà che richiama altre relazioni essenziali con persone vissute in precedenza. Nello sviluppo personale si riflette, poi, l’attuarsi di un progetto educativo a due (è drammatico quando per motivi diversi esso è impedito!).
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Il nostro pensare è così, fin dal principio, un comunicare, almeno fin da quando il bambino richiama con il suo piangere l’attenzione e la cura della mamma. L’identità personale è frutto di relazioni affettive significative, nonché di esperienze e influenze provenienti dall’esterno. Il nostro essere non è, quindi, un modello di autosufficienza. L’essere dagli altri e per gli altri è il presupposto ovvio di ciò che siamo. Anche la considerazione che possiamo avere di noi stessi, il nostro individuarci, è sempre in funzione di modelli identificativi che ci hanno
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segnato profondamente. Il pensare, più in generale, non è una costruzione meramente individuale, perché è un’esperienza vitale, condivisa con gli altri con cui si entra in comunicazione. Da questo punto di vista si può affermare che si appartiene sempre a un mondo, all’orizzonte intenzionale e affettivo, in cui si è posti. Né questa relazione con il mondo esterno e con gli altri smette mai di arricchirci e di provocarci. Un pensiero che pensa se stesso è una pura astrazione filosofica! Tutto questo non significa che la persona sia priva di una sua sussistenza individuale, ma che essa non può definirsi solo sul registro dell’essere per sé, ma deve sostanziarsi su quello dell’essere correlata ad altri. La persona umana è sussistenza individuale che, conservando la sua specificità e superando la sua solitudine ontologica, è strutturalmente in tensione ad aprirsi all’altro e alla totalità dell’essere. La persona, in quanto consistenza della propria singolarità, rifiuta ogni forma di oggettivazione che non la rispetti nell’interiorità e ogni forma di massificazione e manipolazione. Tuttavia, la persona
è anche comunicazione e relazione. «La prima esperienza della persona è l’esperienza della seconda persona: il tu […]. Quando la comunicazione si allenta o si corrompe, io perdo profondamente me stesso: ogni follia è uno scacco al rapporto con gli altri: l’alter diventa alienus, e io a mia volta divento estraneo a me stesso, alienato. Si potrebbe quasi dire che io esisto soltanto nella misura in cui esisto per gli altri, e, al limite, che essere significa amare», ha scritto E. Mounier. L’amore realizza, quindi, la forma di comunicazione più profonda, che supera la distanza che ci divide dall’altro e, nello stesso tempo, dilata il nostro io al di là del proprio mondo chiuso. Nell’amore l’altro diventa il “nostro tu personale”, che ci chiama a fare esodo dal nostro egoismo, a superare le barriere dell’incomunicabilità e della diffidenza. E, dal momento che noi siamo il “suo personale tu”, occorre farsi prossimo, avendo la capacità di infrangere la prigionia della propria individualità. Perché «il mondo – come è scritto nel Talmud (il testo della riflessione teologica ebraica) – comincia da due».
Primo piano
di Miriam Incurvati
REGALIAMO AI NOSTRI FIGLI un attaccamento sicuro Un bambino con un attaccamento solido cresce nell’autostima e nella sicurezza interiore
L’ATTACCAMENTO È QUEL PARTICOLARE LEGAME CHE SI STRUTTURA CON LA FIGURA PRINCIPALE CHE SI PRENDE CURA DEL BAMBINO SIN DAL MOMENTO DELLA NASCITA
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La teoria dell’attaccamento prende le forme a partire dagli studi di J. Bowlby a metà del ‘900. L’attaccamento è quel particolare legame che si struttura con la figura principale che si prende cura del bambino sin dal momento della nascita. Vari studi hanno dimostrato come esista una predisposizione biologica del piccolo verso la figura che gli assicura la sopravvivenza, occupandosi di lui. Dunque tutte le figure che si prendono cura del bambino, ma in modo particolare le persone più vicine. La mamma, innanzitutto, assume un ruolo centrale. Sin dal tempo gestazionale il piccolo impara a riconoscerla: sente la sua voce non solo attraverso le pareti esterne, come tutti gli altri suoni, ma dall’interno. La voce della mamma riecheggia esattamente come il battito del suo cuore, che compone una meravigliosa sinfonia insieme al ritmo del cuore del bambino.
E poi, alla nascita, finalmente il piccolo ha modo di conoscere la sua mamma anche attraverso la vista e, soprattutto, l’olfatto. Di lì in poi il legame cresce, si arricchisce e si consolida. Anche il papà assume un ruolo fondamentale, come dimostrano numerosi studi tra i quali quello di Main e Weston (1981). Il padre non solo può essere di supporto alla compagna, ma soprattutto può costruire lui stesso un attaccamento diverso da quello della mamma, e quindi funge da risorsa e modello di relazione affettiva. Così, nella relazione di cura quotidiana, genitori e bambino coltivano il legame.
Primo piano
Come spiegava bene la volpe de Il Piccolo Principe: «Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, io dalle tre io comincerò a essere felice. Con il passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro comincerò ad agitarmi e inquietarmi: scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... ci vogliono i riti» (A. De SaintExupéry). È infatti attraverso le routines di ogni giorno che i genitori possono dimostrare la loro disponibilità ad ascoltare, ad accogliere, ad amare. È la pazienza nei risvegli notturni immotivati, sono la costanza e l’incoraggiamento dimostrati nel seguire i figli mentre studiano, è la dedizione nell’accompagnare i bambini al parco nonostante una stancante giornata lavorativa, è la capacità di cogliere il bisogno del piccolo e di soddisfare quando possibile le sue necessità: sono queste piccole azioni che aiutano il bambino a costruire un legame solido. Primo piano
Nei primi tre anni di vita la mamma diventa una Base Sicura che assicura protezione, ma è anche un punto di partenza per esplorare e poi crescere nell’autonomia. La letteratura in materia distingue diverse tipologie di attaccamento. Semplificando molto i termini a scopo esplicativo, si può distinguere lo stile “sicuro” da quello “insicuro”. Nel primo caso il bambino costruisce una fiducia nella disponibilità e nella comprensione da parte del genitore e struttura una rappresentazione positiva di sé, quale persona degna di amore. Di conseguenza, il bambino segnala apertamente le emozioni, non nasconde lo stress. Diversamente, nell’attaccamento insicuro il bambino impara a minimizzare o a intensificare l’emozione
LA LETTERATURA DISTINGUE DIVERSE TIPOLOGIE DI ATTACCAMENTO: SEMPLIFICANDO MOLTO, SI PUÒ DISTINGUERE LO STILE “SICURO” DA QUELLO “INSICURO”
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e la manifestazione dei propri bisogni psicologici per mantenere la vicinanza con l’adulto. Il genitore non rappresenta una vera e propria base sicura per lui e per questo egli tende a non fare riferimento a lui o, al contrario, a esserne fortemente dipendente. I benefici di un attaccamento sicuro sono numerosi. Un clima familiare unito e relazioni affettive significative permettono di costruire una configurazione sicura intorno al bambinoragazzo, che gli permetteranno di crescere nell’autostima e nella sicurezza interiore. Tuttavia, è altresì vero che non si può affermare che la carenza di adeguate cure segni il bambino in modo indelebile. Non si può essere così categorici e, 36 N. 61
soprattutto, non si può ridurre un fenomeno tanto complesso quale il benessere di una persona lungo l’arco della vita a un unico fattore. I più recenti dati forniti dalle neuroscienze, e in particolare dall’uso di Functional Neuroimaging, dimostrano come anche altre relazioni affettive possano essere determinanti per la persona, purché significative: il rapporto con un’insegnante, amicizie importanti, una storia d’amore, un percorso psicoterapeutico sono in grado di riscrivere le connessioni cerebrali relative alle esperienze passate. Pertanto, nulla è mai perso: per ogni situazione, seppure difficile, c’è un rimedio.
Primo piano
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