(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
Vogliono che il male diventi normale ANNO VII SETTEMBRE 2019 RIVISTA MENSILE N. 77
P. 10
Giacomo Rocchi
Licenza di uccidere
P. 12
P. 25
Francesca Romana Poleggi
Francesco Agnoli
Attenti all’eutanasia (non di nome, ma di fatto)
Gandhi: icona dei Radicali?
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio 17-18 settembre 2019
settembre 2019
Editoriale
Con un’ordinanza giudicata quanto meno irrituale da buona parte della dottrina, la Corte Costituzionale ha imposto al Parlamento di legiferare a proposito di suicidio assistito ed eutanasia entro il 24 di questo mese di settembre. Il caso vuole che in questo stesso mese, dal 2003, l’Onu celebri la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Ogni anno 800 mila persone si suicidano e circa 20 milioni tentano il suicidio: per questo più di cento Paesi organizzano eventi culturali e conferenze in sinergia con l’Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio (Aisp). «Le persone esposte al suicidio sono connesse a una comunità, a reti composte da colleghi, familiari o compagni di scuola», si legge sul sito dedicato dell’Onu. «Ogni membro della comunità può avere un ruolo fondamentale nel sostenere coloro che si trovano in difficoltà. Anche solo un minuto di tempo, la disposizione all’ascolto e alla condivisione di una storia possono cambiare il destino di una persona che
pianifica il suicidio, ma che molto spesso spera che qualcuno l’aiuti a fermarsi prima di compiere un gesto estremo». Infatti, persino il presidente di Exit Italia, Emilio Coveri, ammette che solo una minima parte di quelli che lo chiamano intraprende poi il viaggio per suicidarsi in Svizzera: tutti gli esseri umani amano la vita! Quindi, il mondo celebra la Giornata mondiale per la prevenzione e la Consulta vuole la legalizzazione del “suicidio assistito”... Le virgolette, poi, sono d’obbligo, perché se avrete la bontà di leggere queste pagine vedrete che ci sono buoni motivi per dubitare che la parola “suicidio” sia appropriata. Infatti, cari amici, quando leggi inique, come la nostra sciagurata legge sulle Dat del 2017, aprono la porta all’eutanasia, la prima cosa a essere calpestata è proprio quell’“autodeterminazione” della persona che tanto viene sbandierata per giustificare il processo in atto, teso a normalizzare ciò che è male.
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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Gandhi: icona dei Radicali? p. 26
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Fine vita Licenza di uccidere
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Attenti all’eutanasia (non di nome, ma di fatto)
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Laicamente «no» al suicidio
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La trappola della regolamentazione
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Giacomo Rocchi
Francesca Romana Poleggi
Don Francesco Capolupo
Luca Scalise
Suicidio assistito in California? Suicidio per modo di dire! Toni Brandi
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Famiglia e società Gandhi: icona dei Radicali?
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Il cammino del cavaliere
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Contro il politicamente corretto
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Francesco Agnoli
Giulia Tanel
Enzo Pennetta
Gender Povera voce
Francesco Avanzini
RIVISTA MENSILE N. 77 — Anno VII Settembre 2019 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Scuola ed educazione Una scuola controcorrente
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Giovani speranze pro vita
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Giulia Bianco
Chiara Chiessi e Florio Scifo
La cineteca
Il vizio della speranza
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In biblioteca
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Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Francesco Agnoli, Francesco Avanzini, Giulia Bianco, Toni Brandi, Don Francesco Capolupo, Chiara Chiessi, Silvio Ghielmi, Enzo Pennetta, Francesca Romana Poleggi, Giacomo Rocchi, Luca Scalise, Florio Scifo, Giulia Tanel.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Il primo istante di una persona Recentemente, un gruppo di ricerca guidato da Antonio Giraldez, del Dipartimento di Genetica dell’Università di Yale, ha pubblicato sulla rivista Developmental Cell la una scoperta che spiega come avviene il primo passo della vita umana. Cioè, che il Dna della nuova persona si formi con la fusione dei due gameti è acclarato: ma cosa è che “accende” il piccolo esserino? Che cosa dà alla nuova cellula l’input per prendere il controllo
del proprio sviluppo e organizzare il proprio progetto genetico? Sono necessarie due proteine per “attivare” il genoma: P300 e Brd4, entrambe prodotte dalla madre. Esse agiscono come una sorta di timer che sveglia il genoma al momento giusto per cominciare a “lavorare”: quella singola cellula allora comincia a moltiplicarsi e pian piano si fa strada nelle tube per arrivare a impiantarsi nell’utero.
Blasfemia pro contraccezione a scuola Alla conclusione dello scorso anno scolastico un gruppo di studenti dell’Istituto Giorgi-Woolf di Roma ha vinto il premio dell’iniziativa Informiamoci, promossa dalla Società medica italiana per la contraccezione (Smic) e dall’associazione culturale Lacelta, per aver realizzato uno spot che pubblicizza l’aborto con protagonisti
No all’eutanasia (per i cani) Recentemente un cagnolino chihuahua della California, nato con alcune malformazioni agli arti e alla mascella, è stato salvato dall’eutanasia, ovvero dalla soppressione. La notizia è stata accolta da applausi. Ma se a essere salvata da morte certa fosse stata una persona…? E cosa penseranno i genitori di Charlie Gard e di Alfie Evans?
l’Arcangelo Gabriele e la Beata Vergine Maria. Per questo “ameno” progetto è stato usato un dipinto di Botticelli, l’Annunciazione di Cestello, ma la cosa più inquietante è che l’angelo, invece di portare alla Vergine l’annuncio della nascita di Gesù, le porge una scatola di Ellaone, la pillola dei cinque giorni dopo.
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Malattie sessualmente trasmissibili tra i giovanissimi Durante il 24° Congresso mondiale di dermatologia (Wcd 2019), tenutosi a Milano lo scorso 10 giugno, il dermatologo tropicalista Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto Irccs San Gallicano di Roma, ha lanciato un serio allarme. Infatti, Morrone ha sottolineato che «grande preoccupazione» suscita l’incredibile diffusione delle «infezioni sessualmente trasmissibili tra i giovanissimi. Gli adolescenti sempre
di più fanno sesso precocemente, senza un’adeguata consapevolezza e conoscenza del proprio corpo: il 15% già tra i 13 e i 14 anni. L’incremento che si osserva tra questi ragazzi è dovuto anche alla promiscuità […]. E, purtroppo, molte ragazze sottovalutano il rischio che le infezioni sessualmente trasmesse possano determinare sterilità o diventare un fattore predisponente allo sviluppo di tumori».
Tentativo di aborto forzato nel Regno Unito Una giovane disabile con un ritardo mentale incinta da ventidue settimane era stata condannata dal giudice tutelare (la Corte di protezione) a subire un aborto forzato, ovviamente nel suo “miglior interesse”, nonostante la contrarietà della stessa donna incinta, della madre di lei e dell’assistente sociale. A seguito di una petizione popolare con 90mila firme, l’intervento di due Vescovi
e un ricorso in Appello la sentenza è stata ribaltata. Rimane purtroppo il precedente: cioè, se si possono uccidere i bambini, nel loro “miglior interesse”, si potrebbero anche costringere le donne ad abortire nel loro “miglior interesse”. Senza quella famiglia combattiva alle spalle, a quella ragazza e al suo bambino cosa sarebbe accaduto?
I medici americani contro il suicidio assistito L’Associazione medica americana (Ama), la più grande associazione di medici e studenti di medicina degli Stati Uniti, ha dichiarato la sua netta opposizione al suicidio assistito. La decisione è arrivata con un voto che ha segnato il 65 per cento delle preferenze contrarie appunto all’“assisted suicide”. L’Ama ha sostenuto in
modo schiacciante che «il suicidio assistito e l’eutanasia sono fondamentalmente incompatibili con il ruolo del medico». Inoltre, sarebbero delle pratiche «difficili o impossibili da controllare e comporterebbero seri rischi per la società».
Uomini col cancro al seno
Una App per “fare” figli
Secondo uno studio condotto da ricercatori del VU University Medical Center di Amsterdam, e pubblicato sul British Medical Journal, gli uomini che vivono in uno stato di confusione di “genere” e che fanno uso dell’ormone estrogeno per la transizione verso l’identità femminile vedono aumentare di più di 46 volte il rischio di sviluppare il cancro alla mammella.
Vuoi avere un figlio ma non intendi adottare? Desideri diventare genitore, ma non un genitore qualsiasi bensì il genitore di un figlio come si deve, e cioè con una base genetica che garantisca che possa essere bello, intelligente e affascinante? E, soprattutto, vorresti iniziare a realizzare questo tuo sogno con comodità e immediatezza, direttamente con il tuo smartphone? Non c’è problema: c’è la App Just A Baby, che mette in contatto tra di loro persone che vogliono, appunto, “fare” un bambino.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Nel numero di maggio ho letto con interesse un articolo, a p. 30, sull'uomo che è una persona e non un animale. Subito ho ripensato al disagio provato stamattina comprando una crema nel negozio di una nota catena di prodotti casa-igiene: vendono (e suggeriscono di acquistare) delle maschere di bellezza usa e getta, fatte a mo' di animale (pecora, tigre, cane, gatto…) : fa ridere? Che senso ha? Aggiungiamo la moda sfrenata dei tatuaggi esibiti come una carta di identità, come segno di appartenenza: servono a retrocedere alla vita tribale nella foresta? Del resto l’andazzo in questa società è segnato dall’indifferenza e dalla ferocia (basta leggere le pagine di cronaca nera). Mi chiedo se non sia in atto un regresso dell’uomo al livello animale. Regresso che per molti è bello e auspicabile... Maria Grazia
Cara Maria Grazia, c’era qualcuno che diceva «Considerate vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti...». Ma era un tipo piuttosto medievale… La Redazione
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Versi per la vita ABORTO IN SERIE L’aborto è un concentrato di miserie e si provvede a praticarlo in serie. L’aborto in serie è un fatto di programma, per tante donne frutto di un inganno inteso a mascherar la realtà di un dramma, che, dopo, lascia permanente affanno. Menzogna di conquiste e di “civili” norme, perché si tratta di un delitto enorme. Menzogna sistematica e suadente e genocidio della nostra gente.
ALBA E TRAMONTO L’alba e il tramonto della vita umana adesso è democratica questione come fu la sorte di Barabba. Ogni contraria forza è cosa vana già prevalendo pubblica opinione che, come è noto, è fatta dal padrone. Or, questa specie, un tempo, già sapiente, è mesta mandria docile e ubbidiente, in conto della scienza e del progresso. E chi dissente è dichiarato fesso.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Licenza di uccidere Giacomo Rocchi
L’Autore, magistrato di Cassazione, in un libro di facile e piacevole lettura spiega che la legge sulle Dat permette e favorisce l'uccisione non consensuale delle persone, assecondando la spinta mondiale verso l'eutanasia.
In tutto il mondo il riconoscimento del diritto di rifiutare le terapie salvavita e di ottenere un "suicidio medicalmente assistito" porta sempre all'uccisione di persone che non hanno chiesto di morire.
Quando il Comitato Verità e Vita mi ha chiesto un libro sulla legge 219 del 2017 sul consenso informato e le Dat, mi è venuto in mente il titolo del famoso film 007 - Licenza di uccidere, con Sean Connery che combatte il Dottor No, avendo, appunto, licenza di uccidere. Non avevo previsto che sarei stato superato dalla Corte Costituzionale: in effetti, ora il titolo giusto potrebbe essere Dovere di uccidere. Secondo la Corte, in certi casi lo Stato ha l’obbligo di somministrare, con i medici del Servizio sanitario nazionale, un “farmaco” (che in realtà andrebbe chiamato “veleno”) rapido e indolore per provocare la morte di una persona e i medici, a loro volta, devono essere obbligati a farlo, salvo che venga riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza. La fonte di questo inedito obbligo di uccidere – il nostro Paese nel 2007 ha definitivamente cancellato la pena di morte! – è la legge 219: la Corte finge di credere che sia davvero «finalizzata alla tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona»; il libro cerca di dimostrare che non è affatto così. In tutto il mondo, il riconoscimento del diritto di rifiutare le terapie salvavita e di ottenere un “suicidio medicalmente assistito” porta sempre all’uccisione di persone che non hanno chiesto di morire. Chi si illude che sia stato riconosciuto il “diritto di morire” non si accorge della spinta sociale, filosofica e normativa verso il “dovere di morire” di alcune categorie di persone, e che questa apparente autodeterminazione è lo strumento per legalizzare il fenomeno opposto: la decisione di altri sulle vite “inutili”. I testimonial sono Piergiorgio Welby o Fabiano Antoniani, ma i veri destinatari di queste norme sono Eluana Englaro, Charlie Gard, Alfie Evans, Vincent Lambert e, soprattutto, una schiera di soggetti anziani, fragili, disabili psichici, neonati prematuri e malati della cui morte non sentiremo parlare.
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Con la scusa di garantire un’apparente autodeterminazione si legalizza il potere di alcuni di decidere la soppressione di altri le cui vite sono considerate "inutili" esplicitamente (come per i minori e gli incapaci), altre volte in maniera occulta (come per le Dat). Viene anche evidenziato lo stravolgimento della figura del medico, non più alleato del paziente, ma esecutore, anche di disposizioni di morte. Sono poi i “protagonisti” di alcuni episodi di eutanasia (Piergiorgio Welby, Patrizia Cocco, Diane Pretty, Eluana Englaro, Alfie Evans e Fabiano Antoniani) a farci comprendere a fondo come funzionerà questa legge e quali sono le possibili evoluzioni, prima fra tutte quella disegnata dalla Corte Costituzionale. Si tratta, però, di un libro pratico: dimostra che la legge permette e favorisce l’uccisione non consensuale delle persone, assecondando la spinta mondiale verso l’eutanasia. Dopo avere indicato gli strumenti utilizzati per aggirare l’ostacolo alla sua legalizzazione in Italia, costituito dalle norme penali sull’omicidio volontario, l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio, svelando l’operazione culturale, di linguaggio e giuridica tenacemente proseguita negli anni, si esamina il contenuto della legge, i suoi principi ispiratori – la dignità non più inerente ad ogni essere umano, ma attribuita o negata – e le norme pratiche: si scopre che il potere di rifiutare i sostegni vitali e le terapie salvavita, con la conseguente morte dei malati e dei disabili, è tutt’altro che “libero” e “informato” e viene, in realtà, attribuito ad altri, talvolta
Non si tratta di un testo giuridico, “neutrale” e tecnico (quindi noioso): credo nel contributo dei giuristi pratici alla democrazia, con la spiegazione del reale contenuto e dell’effettivo funzionamento delle leggi; credo anche che, in questo caso, molti non avevano compreso che il Parlamento stava discutendo della legalizzazione piena dell’eutanasia. Non sono neutrale, perché credo che ogni uomo, dal concepimento fino alla morte naturale, ha una dignità che è il fondamento stesso della democrazia: come tanti altri, ho saputo riconoscere che una disabile in stato di incoscienza era stata uccisa perché la sua vita non era più ritenuta “degna”; spiego che questa legge permette, anzi promuove, altre uccisioni di persone innocenti e che è una legge integralmente iniqua.
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Attenti all’eutanasia (non di nome, ma di fatto)
Francesca Romana Poleggi
Non facciamoci ingannare dalle astuzie e dai giochi di parole con cui i cultori della morte cercano di farci accettare che la nostra vita debba essere terminata quando, secondo loro, non è più “degna di essere vissuta”. Come Orwell aveva profetizzato, chi detiene il potere economico e mediatico globale usa il linguaggio per farci assimilare in modo subdolo dei concetti che – se fossero espressi in modo chiaro ed esplicito – sarebbero rifiutati e respinti dalla generalità dei consociati. Per esempio: «I vecchi, i malati e i disabili costano e danno fastidio, quindi bisogna fare in modo di eliminarli». Pure i malati di mente – fossero anche giovani – è bene che tolgano il disturbo. Ma attenzione: bisogna che questo bel repulisti avvenga il più “democraticamente” possibile. Tutti questi “pesi” per la società devono essere tolti di mezzo “per il loro bene”, nel loro “miglior interesse”, nel rispetto della loro libertà e “autodeterminazione”. Anzi, deve sembrare che siano loro stessi che si uccidono (e perciò hanno inventato il “suicidio assistito”). Un caso emblematico è stata la morte della diciassettenne olandese Noa Pothoven, anoressica e depressa. È avvenuta pochi mesi fa, con grande clamore mediatico. L’Associazione dei medici del Regno d’Olanda (Knmg) ha dichiarato che la ragazza
ha deciso di smettere di mangiare e di bere per suicidarsi, il che nei Paesi Bassi non è considerato né eutanasia, né suicidio assistito. «C’è molta incomprensione sulla nostra legislazione sull’eutanasia», ha detto alla Cnn Dyck Bosscher, dell’Associazione per la terminazione volontaria della vita (Nvve). «Sembra che sia facile ottenere l’eutanasia, ma in realtà non lo è: Noa non l’aveva ottenuta, infatti». Non stiamo qui a rivangare la tragica storia della giovane, che purtroppo è diventata una celebrità perché voleva morire – e poiché era una celebrità, doveva morire (è stato come se la folla urlasse «Salta! Salta!» a una ragazza spaventata aggrappata a un cornicione). Vorremmo riflettere sull’obiezione del Knmg: smettere di mangiare e di bere sotto controllo medico non è suicidio assistito? Ecco un bell’esempio di neolingua. La morte di Noa è così ben nota nella letteratura medica che ha un suo acronimo: Vsed (Voluntary stop eating and drinking, arresto volontario del mangiare e bere). Compassion and Choices, la principale organizzazione americana pro eutanasia, la pubblicizza come se fosse un’alternativa al
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suicidio assistito dal medico, ma in realtà è suicidio assistito! La povera Noa Pothoven, come i suoi genitori hanno riconosciuto, è stata assistita dai medici: perché la morte per fame e per sete è atroce ed è necessario quindi l’intervento medico per evitare i tormenti che essa comporterebbe. Un’altra forma di eutanasia mascherata con le parole è quella che viene chiamata sedazione terminale profonda e che a volte chiamano palliazione terminale, creando confusione con le sacrosante cure palliative che non accorciano la vita del paziente, ma gli consentono di affrontare la morte senza quelle “atroci sofferenze” che sono agitate come uno spauracchio da chi vuole la legalizzazione dell’eutanasia. Secondo i dati riportati da The Guardian il numero degli olandesi che sono stati sottoposti a eutanasia crescono rapidamente. Per esempio, sono passati da meno di 2.000 nel 2007 a quasi 6.600 nel 2017. Ma questi numeri non tengono conto delle 32 mila persone morte a seguito di sedazione palliativa: ufficialmente sono decedute a causa della malattia che avevano, ma in pratica sono morte per disidratazione, mentre versavano in stato di incoscienza indotta dai farmaci, come la povera Noa. Nel Regno Unito, dove i bambini come Charlie, Alfie ed Isaiah vengono fatti fuori nel modo che purtroppo ben conosciamo, l’eutanasia “tecnicamente” non è legale: insomma si fa, ma non si dice. Poi, però, dopo aver provocato la morte, si tenta di esorcizzarla preservando il cadavere dalla decomposizione e consentendo a genitori e parenti di continuare ad “accudirlo”. Ci sono hospice e ospedali dove i piccoli cadaveri vengono conservati in speciali bare refrigerate, le cuddlecot, in cui i genitori possono portarli a spasso, cambiargli vestitini e pannolini… uno «straziante prolungarsi di un funerale senz’anima, una lugubre e raccapricciante veglia», dice Tommaso Scandroglio, su La Nuova Bussola Quotidiana. Prima si uccide, poi si “fa finta” che non sia successo.
«Non praticatemi l’eutanasia»: questo vuol dire il tatuaggio ritratto nella foto. Se lo è fatto fare un signora canadese di 82 anni, Christine Nagel, che ha intenzione di vivere “fino a che Dio vuole” e crede che la risposta giusta e pietosa alla sofferenza siano la com-passione (nel senso etimologico di “condivisione”), il sostegno sociale, emotivo e spirituale, nonché le cure adatte a lenire il dolore (ma tutto questo costa, in termini di tempo e di denaro…). La signora Nagel spera però che sia veramente rispettata la libera volontà del paziente e perciò si è fatta tatuare questa scritta.
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Questa reclame invita a raccogliere soldi per regalare a un ospedale una cuddlecot, una culla refrigerata che consente di conservare il corpicino di un bambino morto di modo che i genitori possano stare assieme al cadavere, anche portarlo a spasso, per diversi giorni dopo la morte.
Nota ancora Scandroglio: «Se i genitori, pur non potendo giustificare la loro scelta, trovano alcune attenuanti nel loro dolore annichilente, per i medici e per chi ha inventato queste macabre culle non ci può essere comprensione alcuna. Qui si tratta di una forma sofisticata di necrofilia, di passione malata della morte. Nel celebre film Psyco di Hitchcock, il protagonista, Norman, teneva in casa il cadavere ormai mummificato della madre. Ora questo avviene nelle corsie degli ospedali. L’orrore dell’infanticidio si perpetua nell’agghiacciante – è proprio il caso di dirlo – rito della crioconservazione dei corpicini delle piccole vittime. Sono ormai le coscienze ad essere state ibernate». Un altro capitolo vergognoso sulle capriole che fa la cultura della morte per farci assecondare la sua cupidigia di profitto potrebbe essere aperto a proposito della pratica della donazione degli organi associata all’eutanasia. Prossimamente approfondiremo la questione e rifletteremo su cosa è biologicamente la “morte”. Qui basti accennare al fatto che dove l’eutanasia è legale, è ormai uso che la squadra attrezzata per il prelievo degli organi attenda fuori dalla porta che i medici (ma forse andrebbero chiamati “boia”) che praticano l’eutanasia (o che “suicidano” i pazienti) abbiano fatto il loro. In Belgio si fa già da tempo. In Canada gli intellettuali di settore caldeggiano
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Sarco: un elegante e funzionale modo per suicidarsi. Il designer e creatore di Sarco, Alexander Bannink, assicura alle persone che sono sul punto di entrarci che troveranno tutto molto funzionale e intuitivo. L’utente ha tutto sotto controllo: dovrà solo ottenere un codice per attivare la macchina, in modo da mostrare a una terza persona di essere sano di mente, quindi idoneo per una morte pacifica. Vicino al pulsante “muori” c’è il pulsante “stop”: quindi è un prodotto “sicuro”. È possibile anche l'attivazione tramite movimento oculare o la voce, per i disabili. Il dispositivo non viene prodotto in serie, ma viene venduto il progetto, in modo che le vittime possano produrlo e assemblarlo da soli, tramite macchine da stampa 3D.
tale pratica. Possiamo immaginare la pressione psicologica che subiscono vecchi e malati (depressi!) quando si dà loro la possibilità di “togliere il disturbo” e – donando gli organi – di salvare bambini innocenti malati... Anche ai detenuti è data la possibilità di donare gli organi, prima di farsi eutanasizzare. In Canada, infatti, da due anni il sistema carcerario può agire come “facilitatore” della morte (bella espressione della neolingua!) dei detenuti. Anche ai detenuti può essere “concessa” «assistenza medica nella morte (Maid)»: traducendo dalla neolingua, i carcerati possono chiedere il suicidio assistito, il che vuol dire che possono essere uccisi con il loro consenso (vedete che andrebbe tradotta dalla neolingua anche l’espressione “suicidio assistito”: si tratta nella maggior parte dei casi di “omicidio del consenziente”). Notate anche che l’acronimo appena citato “Maid” è la parola inglese per “domestica, cameriera, fanciulla”: una parola dolce che evoca cura servizievole… A pensarci bene però viene un dubbio: che, per caso in Belgio e Canada si sta reintroducendo la pena di morte? Tutte le associazioni, di tutti gli orientamenti politici, ma specialmente radicali, che si battono perché venga riconosciuta anche ai detenuti la dignità umana intrinseca a ogni essere umano, cosa ne pensano? Amnesty International e Nessuno tocchi Caino che cosa dicono?
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Laicamente «no» al suicidio Don Francesco Capolupo
Nel mese di settembre, ogni anno, “laicamente” si celebra la giornata mondiale della prevenzione del suicidio: non serve, infatti, la religione per spiegare perché il suicidio non è mai un’accettabile via d’uscita al dolore e ai problemi della vita.
La delicata vicenda della legge sulla fine della vita ha rilanciato la questione del suicidio, almeno sotto il profilo della disponibilità o indisponibilità della propria vita, e della giustificazione dell’una o dell’altra posizione su basi filosofiche o viceversa religiose. L’illiceità morale del suicidio è una prova razionale della completa indisponibilità della propria vita, che si vuole sostenere in rapporto al problema del “fine vita”. Filosofi antichi e moderni, asserendo l’illiceità di levar la mano contro se stessi, hanno confermato la tesi dell’indisponibilità assoluta della propria vita. Muovendoci in un quadro antropologico storicamente modulato, nell’antichità spesso il suicidio era accettato: per esempio da varie scuole ellenistiche, dagli stoici (Zenone, Crisippo, Cleante e i seguaci romani dello stoicismo), da Epicuro (almeno secondo la testimonianza di Seneca) e diversi personaggi, presenti numerosi nella Bibbia e nella storia
“profana”, lo hanno praticato: Saul, Achitofel, Seneca, Catone Uticense, etc. Ma anche tra i filosofi “laici”, antichi e moderni, ce ne sono molti che hanno considerato negativamente il suicidio, per esempio Aristotele, Plotino, Kant e Schopenhauer. Mi riferisco in particolare ad Aristotele e a Kant, che hanno affrontato il tema sotto un profilo umano e filosofico sicuramente interessante e, forse, inaspettatamente innovativo. Aristotele, in un passaggio dell’Etica Nicomachea, si mostra contrario al suicidio, ma non perché il suicida commetta ingiustizia verso se stesso (e neppure verso gli dei, problema che qui è taciuto), ma verso la legge e la città: «Colui poi che per ira scanna se stesso compie ciò contro la retta ragione e fa cosa che la legge non permette. Quindi commette ingiustizia. Ma rispetto a chi? Forse alla città e non a se stesso? Egli infatti subisce volontariamente, e nessuno riceve ingiustizia volontariamente. Perciò anche la città lo punisce, e vi è una
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certa infamia per chi si dà la morte, in quanto commette un’ingiustizia riguardo alla città». Anche se da un lato per i Romani sembra che il suicidio divenisse banco di prova del coraggio e della virtus, i giuristi romani punivano il suicidio perché appunto era di danno ad altri: ai privati, come nel caso del servo che con il suicidio si sottrae alla proprietà del padrone; alla repubblica, nel caso di un militare; al fisco, nel caso di chi con il suicidio intendeva sottrarsi alla confisca dei beni. L’aspetto sottolineato da Aristotele può risultare ancora oggi degno di considerazione, nel senso che il suicida, escludendosi dalla società civile, si sottrae indebitamente ai compiti del bene comune: un elemento da valorizzare nelle società liberali, quali sono in genere quelle occidentali, segnate dall’emersione dell’individuo, e dall’indebolimento del legame sociale e della responsabilità verso di esso.
Raffaello Sanzio, Scuola d’Atene, 1510, Musei Vaticani, Roma
Il coraggio, la forza d'animo, la potenza di cui è dotato un uomo è superiore ai più imperiosi impulsi sensibili e dovrebbe essere un forte motivo per non autodistruggersi.
Kant, che lascia fuori i doveri di religione o verso Dio dall’ambito della filosofia morale pura, mantiene invece l’esistenza di doveri verso se stessi, che anzi possiedono in lui uno statuto primario, in quanto sono alla base dei doveri verso gli altri. Egli legge il suicidio come un atto contro la propria persona abbassata a mezzo e dunque come violazione della legge morale e dei doveri verso se stessi. L’uomo è chiamato a rispettare la dignità dell’umanità nella sua persona, agendo secondo principi morali e non secondo le sue inclinazioni. È interessante la critica che il filosofo prussiano formula, a partire dalle posizioni legittimistiche di Seneca. Kant non cita alcun passo preciso
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nessuna autorizzazione». Se per gli Stoici il saggio può scegliere il suicidio con animo tranquillo nel momento in cui riconosce di non essere più di alcuna utilità per questo mondo, per Kant il suicidio è un’azione che urta contro l’eticità, «[...] un abbassare l’umanità nella propria persona (homo noumenon), alla quale invece la conservazione dell’uomo (homo phaenomenon) era affidata».
da Seneca, ma si limita a riferirsi alla sua biografia. Il riferimento può essere integrato con il rinvio a qualcuno dei testi in cui egli affronta esplicitamente l’argomento. Per esempio, nella Consolazione a Marcia Seneca dice che la morte è un dono che la vita ci offre. «Non ha nulla di penoso la schiavitù, se basta solo un passo per entrare nella libertà, qualora ci si sia stancati di obbedire» (XX, 2-3). Due sono le critiche di Kant. È una contraddizione accordare al saggio «il diritto di agire così liberamente come se per questa azione non avesse bisogno di
Per concludere, seguendo le parole di Schopenhauer, potremmo tenere in considerazione, dal punto di vista razionale, questa osservazione: «Chi è oppresso dal peso della vita, chi vorrebbe e afferma la vita, ma ne aborre i tormenti, e soprattutto non riesce a tollerare più a lungo il duro destino, che proprio a lui è capitato: questi non deve sperare una liberazione dalla morte, e non può salvarsi col suicidio; solo con un falso miraggio lo attrae l’oscuro, freddo Orco, come porto di quiete. La terra si volge dal giorno verso la notte; l’individuo muore; ma il sole arde senza interruzione in eterno meriggio. Alla volontà di vivere è assicurata la vita: la forma della vita è un presente senza fine; non importa che nascano e periscano nel tempo gli individui, fenomeni dell’idea, simili a sogni fugaci. Il suicidio ci appare già da questo come un’azione inutile e quindi stolta: quando saremo proceduti più oltre nella nostra indagine, ci si presenterà in una luce ancor più sfavorevole». (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 54)
Il suicida, escludendosi dalla società civile, si sottrae indebitamente ai compiti del bene comune
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La trappola della regolamentazione Luca Scalise
Regolamentare i fenomeni criminali equivale a legalizzarli; equivale a spingere un corpo su un piano inclinato... Molti invocano la regolamentazione di fenomeni illegali “per uscire dal Far West”, per mettere ordine. L’esperienza, invece, insegna: dalla prostituzione all’aborto, dalla fecondazione artificiale all’utero in affitto, o alla droga, la legalizzazione di ciò che andrebbe vietato e basta non serve ad arginare il fenomeno, anzi. Lascia poi, comunque, ampio margine alla zona d’ombra dell’illegalità: la legge dovrà comunque prevedere “certi casi”, quindi in tutti gli altri l’illegalità e il sommerso continueranno a prosperare non come prima, ma più di prima. “Regolamentare” per combattere i fenomeni illeciti è una pia illusione o, più probabilmente, una strategia ben congegnata per favorire la inesorabile diffusione di quello stesso fenomeno su ampia scala. È stato dimostrato in Italia dalla legge sul divorzio, sull’aborto, sulla fecondazione artificiale; è ampiamente dimostrato all’estero dalle leggi che “regolamentano” la prostituzione, l’uso della cannabis, l’eutanasia: i paletti cadono inesorabilmente a uno a uno; la malavita prospera (e ringrazia, si veda la foto qui di fianco) nella gestione dell’illecito ai confini del lecito.
“Regolamentare” per combattere gli illeciti è una pia illusione o – più probabilmente – un'abile strategia per sdoganarli...
Il compianto giudice Paolo Borsellino (1940-1992), che di mafia se ne intendeva, spiega molto chiaramente che la legalizzazione delle droghe “leggere” serve solo a fare un favore alla criminalità organizzata. Basta cercare su YouTube il video per sentirlo dire dalla sua viva voce.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Molti sostengono che la legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia servirà a impedire che coniugi, parenti o amici siano “costretti” ad “aiutare” le persone a morire illegalmente. Del resto la vicenda CappatoDJ Fabo rientra proprio in questa casistica: con la legalizzazione il buon Cappato e chi per lui potrà aiutare a morire tutti quelli che vuole “alla luce del sole” (eppure la morte di DJ Fabo è avvenuta sotto i riflettori dei mass media, o no?). Michael Cook, direttore di BioEdge, ci riferisce che nel blog della Good Death Society (Società della buona morte) la
presidentessa di Final Exit Network, Janis Landis, afferma che qualsiasi legge che permetta il suicidio assistito (come quelle dell’Oregon o della California), indipendentemente da quanto sia interpretata liberamente, inevitabilmente escluderà alcune persone dal ”diritto” a “essere suicidate”. Ecco perché le associazioni come la sua saranno sempre necessarie. Anzi: «Con l’auspicabile espansione delle leggi sul suicidio assistito [la neolingua le chiama leggi Pad: la solita sigla apparentemente innocua per indicare Physician Assisted
Il dottor Randy Hillard (qui ritratto vicino alla senatrice statunitense Debbie Stabenow) è uno psichiatra americano che nel 2010 aveva pianificato nel dettaglio di andare in Svizzera per farla finita: gli avevano diagnosticato un cancro allo stomaco al 4° stadio e lui, da medico, sapeva bene cosa volesse dire (il tasso di sopravvivenza con quella malattia è del 18%). Era tutto pronto. Aveva lucidamente organizzato, oltre al suicidio, anche il suo funerale. All’ultimo momento il suo oncologo gli ha proposto un nuovo farmaco, l’Herceptin, che poteva allungargli la vita di circa un anno. L’uomo ha accettato, non molto convinto. Nel 2013 Hillard è stato dichiarato guarito. Da allora – ha detto – ogni mattina si sveglia con la sensazione meravigliosa di essere vivo. E ha cominciato una nuova vita, viaggiando in tutto il mondo come testimone nella lotta contro il cancro allo stomaco.
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Death, ossia morte assistita da un medico (che poi vuol dire morte procurata da un medico), ndA], la necessità dei nostri servizi sarà ancora maggiore. E, naturalmente, la nostra missione, cioè fornire informazioni a coloro che cercano opzioni di fine vita, rimane urgente più che mai. Infatti, tutte le leggi Pad richiedono una prognosi di morte entro sei mesi. Chi soffre per malattie neurologiche come la Sla o il Parkinson non si può avvalere di tali leggi. E ciò è particolarmente crudele per loro perché le celebrazioni per il varo di queste normative hanno dato loro una speranza La legge del piano inclinato è inesorabile. [di poterla fare finita, ndA], che è poi stata tradita quando le rigide limitazioni previste dalla legge sono state chiarite. che possa essere approvata facilmente Rimaniamo l’unica organizzazione che aiuta nei tempi previsti dal diktat della Corte a morire con dignità negli Stati Uniti e che Costituzionale. A noi, per i motivi suesposti, fornisce informazioni a questi individui una tale soluzione fa paura: sarebbe una resa, disperati. Quindi c’è ancora posto per il una sconfitta della ragione e del buon senso, Fen nonostante il varo di nuove leggi Pad? una vittoria della morte. Se vogliamo che queste leggi abbiano un I molti di cui sopra obiettano che se il significato pratico, se vogliamo incoraggiare Parlamento non interviene, interverrà la il miglioramento del modello legislativo Consulta: ebbene, questa ipotesi ci spaventa esistente e se vogliamo raggiungere coloro meno di una legge di compromesso. che sono esclusi dalla legge, la risposta è un Siamo convinti – e lo sostengono anche sonoro “Sì”. Siamo l’unica organizzazione che giuristi insigni, come Giovanna Razzano, fornisce la metà mancante della pagnotta. professoressa associata di Diritto Pubblico Senza di noi la legge rimane, per la maggior all’Università La Sapienza di Roma, che parte, un’illusione crudele, inapplicabile e/o ha partecipato alle audizioni del maggio fuori dalla portata di molte persone che scorso – che la Corte non è insensibile al cercano effettivamente di fruirne». parere dottrinale dei giuristi italiani: molti Cook sottolinea che i membri del Fen hanno criticato l’ordinanza-ultimatum non sono stati più volte accusati di fornire non solo e non tanto per i contenuti, ma per la “informazioni”, come dicono loro, bensì la forma e la procedura davvero atipiche e morte. E in questa dichiarazione è palese irrituali. Ancor più lo sarebbe un intervento l’intenzione di continuare a “suicidare” le “creativo” della Consulta, a proposito di persone sofferenti al di fuori dei canoni della eutanasia. E poi, tra i quindici giudici che legalità. Tutto ciò ai signori che siedono la compongono non c’è compattezza di al Parlamento e ai giudici della Consulta intenti e di vedute in materia, né per quanto dovrebbe essere chiaro, perché avranno riguarda la forma, né per quanto riguarda certamente accesso a queste informazioni: la sostanza. Viceversa, se venisse emanato basta uno smartphone. un testo legislativo, la Corte costituzionale avrebbe la possibilità di intervenire su di Mentre questa rivista va in stampa, ancora esso, snaturandolo completamente, come ferve il dibattito sul tema e molti auspicano già accaduto con la legge 40/2004 sulla che Lega e Movimento 5 Stelle addivengano fecondazione artificiale. a una proposta di legge condivisa in materia,
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Suicidio assistito in California? Suicidio per modo di dire! Toni Brandi
Il vero suicidio è solo quello che tragicamente commette chi si uccide. Quando qualcuno viene “assistito” la famosa “autodeterminazione” del morituro non è affatto garantita.
Lonny Shavelson, medico in pensione, non appena la California ha varato la legge sull’eutanasia è ritornato in servizio per dispensare prescrizioni letali. Si badi bene: Shavelson lavorava in pronto soccorso: non ha alcuna specializzazione, non è neanche psichiatra, quando invece sono spesso problemi psichiatrici e psicologici alla base di una richiesta di suicidio. Egli ammette di aver “assistito al suicidio” di 89 persone e spiega l’importanza che i veleni siano assunti tutti, uno dopo l’altro, entro due minuti, altrimenti possono “fallire”. Ciò significa che le persone non muoiono, e quindi possono cambiare idea e decidere che non vogliono più uccidersi. Nel suo libro Chosen Death (La morte per scelta), Shavelson racconta per esempio la storia di Gene, un vedovo depresso per la solitudine, che contattò la Hemlock Society (l’associazione mortifera, finanziata da George Soros, che ha poi cambiato il suo nome in Compassion and Choices).
Lonny Shavelson
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Sarah, l’incaricata dall’associazione, si recò a casa di Gene per preparare e dispensare l’intruglio micidiale. Era abituata a questo tipo di assistenza. La definiva come «l’esperienza più intima che si può condividere con una persona... Più del sesso. Più della nascita... Più di ogni altra cosa». Shavelson racconta che Sarah teneva la testa di Gene sulle sue ginocchia mentre gli somministrava i farmaci per il “suicidio”. Quando l’uomo ha cominciato ad addormentarsi, Sarah gli ha messo un sacchetto di plastica sopra la testa e gli ha detto: «Vai verso la luce». Ma il veleno ha fallito. Gene si è svegliato e ha cominciato a dimenarsi e a urlare. Shavelson descrive così cosa è successo dopo: «La mano destra di Gene cercava di strappare il sacchetto di plastica. Sarah gli ha bloccato il polso. L’uomo ha cercato di alzarsi. Lei gli si è appoggiata sulle spalle per impedirglielo. E poi, dondolandosi avanti e indietro e bloccandogli i movimenti, con le dita torceva la busta di plastica per chiuderla più ermeticamente intorno al collo di Gene e ripeteva: “La luce, Gene, va’ verso la luce”. Il corpo di Gene ha spinto per un’ultima volta contro quello di Sarah. Poi ha smesso di muoversi». Mentre andiamo in stampa, in Oregon, dove la legge prevedeva un periodo di riflessione di 15 giorni tra la richiesta di suicidio assistito e l’esecuzione del delitto, hanno promulgato una nuova normativa che ha soppresso questo termine di attesa: evidentemente non bisogna ripensarci. E, allora, questo è “suicidio” assistito? Eppure, un caso come quello di Gene è perfettamente legale: una volta che la persona richiede il suicidio assistito, la legge (in California, ma anche in altri Paesi le regole sono simili) presume che tutti – il medico, il “facilitatore del suicidio”, i familiari, i lavoratori ospedalieri – agiscano con le più pure intenzioni per assecondare la sua “libera volontà”.
I veleni che si usano per l’eutanasia (e per il “suicidio assistito”) possono fallire. Da un lato – e capita più spesso di quanto si creda – possono dar luogo a una morte molto dolorosa, dall’altro l’aspirante suicida ha modo di ripensarci: quest’ultima eventualità è una vera sciagura per chi “l’assiste”!
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A differenza degli altri casi di suicidio (i suicidi veri, cioè quelli non assistiti), le forze dell’ordine non indagano per determinare la causa della morte o se la persona sia stata forzata o indotta. Nel referto medico la malattia di base – non il suicidio – è indicata come causa della morte, il che significa che i medici e i coroner devono mentire sul certificato di morte. La legge californiana non consente proprio l’uso della parola “suicidio”. E se un medico fosse stato negligente nel fare la diagnosi iniziale o la prognosi, nessuno lo saprà mai, perché risulterà dagli atti che la persona è morta a causa di quella presunta malattia. Il veleno può essere chiesto anche da “una persona interessata”, magari qualcuno che beneficia economicamente dalla morte dell’aspirante suicida: Shavelson afferma che la maggior parte delle chiamate alla sua associazione provengono da membri della famiglia, non da colui che dice di voler morire. Recentemente, The British Medical Journal ha pubblcato uno studio, Pressure in dealing with requests for euthanasia or assisted suicide. Experiences of general practitioners (Pressioni nel trattare le richieste di eutanasia o di suicidio assistito. Esperienze dei medici generici), in cui risulta che almeno la metà dei dottori si sono sentiti costretti a praticare l’eutanasia dai parenti della vittima. Sulla stessa Rivista si rileva che nel 2015 in Olanda ci sono stati 431 casi di eutanasia non consensuale. Del resto, le leggi più “moderne”, come quella della California, prevedono che qualsiasi medico
o osteopata possa prescrivere il veleno. Non è richiesta alcuna precedente relazione medicopaziente con chi vuole “essere suicidato”. Non è richiesta alcuna valutazione della sua salute mentale, anche se la maggior parte delle persone interessate soffre di depressione. In pratica, le leggi sul suicidio assistito sembrano fatte appositamente per facilitare il delitto perfetto. E, contemporaneamente, anche per il suicidio, come per il divorzio, l’aborto, la droga, la legalizzazione serve alla banalizzazione del male: il suicidio diventa un’opzione, una scelta tra le altre. Del resto sono gli stessi fautori della “morte per tutti” a dichiarare – come Shavelson – che il suicidio assistito serve ad abolire gli ospizi e le case di riposo… Sarà il caso di smettere di parlare di “suicidio assistito”. La Corte Costituzionale dovrebbe abrogare, sì, abrogare proprio del tutto, l’art. 580 del Codice Penale, che prevede il reato di «istigazione o aiuto al suicidio»; basta la norma contenuta nell’articolo precedente, a comprendere ogni fattispecie possibile: l’art. 579 c.p. che punisce l’omicidio del consenziente… ammesso e non concesso che sia “consenziente” per davvero.
In Oregon, una nuova legge ha soppresso il periodo di attesa di 15 giorni tra la richiesta di suicidio assistito e l'esecuzione del delitto: evidentemente non bisogna ripensarci!
La bella Marylin Monroe (1926-1962) con “alta probabilità” è morta per un suicidio dovuto a un'overdose di barbiturici. L'incerta ricostruzione degli eventi di quella notte e alcune incongruenze nelle dichiarazioni dei testimoni e nel referto autoptico hanno dato adito a molteplici interpretazioni sulle cause della scomparsa dell'attrice.
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Gandhi: icona dei Radicali? Francesco Agnoli
Mahatma Gandhi viene presentato dai libri di scuola come un’icona pacifista e antioccidentale. I Radicali ne abusano nella loro iconografia. Ma lo sanno cosa pensava Gandhi sui temi etici per cui essi si battono da decenni?
Su La Verità di qualche tempo fa scrivevo che «la cultura progressista ama coltivare una sorta di razzismo culturale al contrario, per il quale la civiltà europea è colpevole di ogni ignominia nella storia dell’umanità. Dai tempi del mito del buon selvaggio, soprattutto nella versione di Denis Diderot, sono stati sistematicamente demonizzati personalità e fatti della storia europea e della religione cristiana per santificare, nel contempo, figure, culture, religioni proprie di altre popolazioni e continenti». E così è avvenuta la mitizzazione e la strumentalizzazione di personalità presentate a tutti come emblematiche dello scontro tra buoni (gli altri) e cattivi (noi, gli europei, i cristiani, i “bianchi”…). Tra le tante anche la figura celeberrima di Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), considerato il “padre della nazione indiana” per il ruolo avuto dalla sua azione non violenta che ha portato l’India, colonia inglese divenuta ufficialmente parte dell’Impero britannico con la regina Vittoria nel 1877, all’indipendenza, nel 1947.
Gandhi ha combattuto la follia materialista della civiltà occidentale a lui contemporanea, in nome dei valori spirituali che l’Europa ha prima posseduto, poi smarrito.
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Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948)
La lotta per ridare dignità a milioni di intoccabili intrapresa da Gandhi è figlia del suo incontro non con il socialismo e il comunismo, dottrine che ha disprezzato per il loro ateismo e la loro violenza, bensì con la Cristianità, ed era una lotta già cominciata, in India, proprio da alcuni europei.
Gandhi, però, è stato un figlio dell’India ma anche, per moltissimi aspetti, un figlio dell’Europa, ribelle a molte idee e convinzioni religiose del suo popolo. Tant’è vero che è stato assassinato non da un inglese, ma da un induista radicale, Nathuram Godse. A un certo punto della sua vita, inoltre, Gandhi ha cominciato a combattere “la follia materialista moderna” della civiltà occidentale a lui contemporanea, in nome dei valori spirituali che l’Europa ha prima posseduto, poi smarrito. Egli ritiene che la mentalità atea degli occidentali contemporanei sia all’origine della brama di ricchezze e di sfruttamento degli inglesi, così come dello spazio lasciato alla lussuria dall’invenzione degli anticoncezionali, che distruggono il dominio di sé e la necessaria ricerca e conquista dell’“autocontrollo” (favorito, secondo lui, da una mentalità meno consumistica e da una rigida dieta a base soprattutto di frutta essiccata al sole e noci).
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Per avere idea di ciò che Gandhi pensava della iper-sessualizzazione della nostra società, degli anticoncezionali e dell’omosessualità basta leggere il suo celebre Antiche come le montagne, pubblicato a seguito di una decisione dell’Assemblea generale dell’Unesco del 1956, dove scrive testualmente: «Tutto il ragionamento che sta alla base del controllo delle nascite è erroneo e pericoloso». Il Lettore consideri bene che Gandhi è vissuto nella prima metà del Novecento, quando ancora la propaganda di certa ideologia femminista e omosessualista era in embrione. Egli spiega: «Si fa rintronare nelle orecchie della gente che la soddisfazione dell’impulso sessuale è un obbligo grave come l’obbligo di saldare i debiti legalmente contratti, e che il non farlo comporterebbe la pena della decadenza intellettuale. Questo impulso sessuale è stato isolato dal desiderio di prole; e i fautori dell’uso di anticoncezionali affermano che la concezione è un accidente che si deve evitare, salvo quando le parti desiderano avere bambini. Oso insinuare che questa è la dottrina piú pericolosa che si possa predicare, tanto piú in un paese come l’India, dove la popolazione maschile della classe media è diventata imbecille per l’abuso della funzione creativa. Se la soddisfazione dell’impulso sessuale è un dovere, il vizio contro natura e parecchi altri modi di godimento sarebbero lodevoli. Sappia il lettore che perfino personalità eminenti sono note per aver approvato quella che generalmente si chiama perversione sessuale. Si può rimanere colpiti da questa affermazione. Ma se in un modo o nell’altro essa acquista un marchio di rispettabilità, verrà di moda tra i ragazzi e le ragazze soddisfare il proprio istinto con persone dello stesso sesso. Per me, l’uso di anticoncezionali non è molto diverso dai mezzi ai quali la gente ha ricorso finora per soddisfare il desiderio sessuale con i risultati che pochissimi conoscono. So quale rovina il vizio segreto ha recato, tra gli studenti e le studentesse. L’introduzione di anticoncezionali in nome della scienza e con l’imprimatur di noti capi della società ha complicato le cose
L’incendio di Notre Dame de Paris, del 15 aprile 2019. Gandhi la nomina come modello della civiltà occidentale.
ancora di piú, e ha reso quasi impossibile per il momento il compito di riformatori che operano per la purezza della vita sociale... Il matrimonio perde la santità quando si pensa che il suo scopo e il suo motivo piú alto siano la soddisfazione della passione animale, senza che si contempli il risultato naturale di tale soddisfazione». Quanto all’aborto e al matrimonio, nello stesso testo Gandhi riporta nella sostanza una lettera che gli era stata inviata da un giovane. E si intravede anche l’alta concezione della donna e della parità dignità fra i sessi che lui aveva:
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circoscritta discussione pubblica della questione non mi pare fuori luogo. Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto sarebbe un crimine. Innumerevoli mariti sono colpevoli dello stesso fallo di questa povera donna, ma nessuno mai li accusa. La società non solo li scusa, ma non li censura nemmeno. Per di piú, poi, la donna non può nascondere la sua vergogna, mentre l’uomo può benissimo tener celato il suo peccato. La donna in questione merita pietà. Sarebbe sacro dovere del marito allevare il bimbo con tutto l’amore e la tenerezza di cui è capace e rifiutare di seguire i consigli del padre. Se debba continuare a vivere con sua moglie, è una questione delicata. Le circostanze possono giustificare la separazione. In tal caso dovrebbe essere tenuto a provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e aiutarla a condurre una vita pura. Né vedrei alcunché di sbagliato se egli ne accettasse il pentimento, purché sincero e genuino. Anzi, dico di piú, posso concepire una situazione in cui sarebbe sacro dovere del marito riprendere con sé la moglie traviata che ha completamente espiato e riscattato il suo errore».
«Sono sposato. Ero partito per l’estero. Avevo un amico nel quale sia io sia i miei genitori riponevamo la massima fiducia. Durante la mia assenza sedusse mia moglie, che ora è rimasta incinta di lui. Mio padre insiste perché la ragazza ricorra all’aborto; altrimenti, dice, la famiglia sarebbe disonorata. A me sembra ingiusto far cosí. La povera donna è rosa dal rimorso. Non si cura di mangiare né di bere, e piange sempre. Vuol avere la gentilezza di dirmi qual è il mio dovere in questo caso?». Il Mahatma risponde: «Come tutti sanno, casi simili non sono affatto rari nella società. Perciò una
Un altro aspetto poco conosciuto di Gandhi, è che in una prima fase della sua vita ha visto nell’Impero britannico e in generale nella cultura europea un fattore di civilizzazione e di emancipazione, e che anche nelle sue critiche alla moderna civiltà occidentale delle macchine non può non riconoscere che esse, così come la medicina “europea” e gli ospedali, invenzione dell’Europa cristiana, possono essere molto utili anche agli altri popoli, indiani compresi. Studiando in Europa, Gandhi ha incontrato una nuova visione del mondo, soprattutto attraverso due testi che lo hanno affascinato: il Vangelo, di cui ammira soprattutto il Discorso della Montagna, e un libro dell’autore russo Tolstoj, In voi è il regno di Dio. Questo contatto con il mondo cristiano lo ha spinto a contrapporre l’Europa del passato, quella che ha prodotto cattedrali come Notre Dame di Parigi, a quella, spiritualmente misera, del presente. Scrive infatti Gandhi:
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«La stupenda struttura di Notre Dame e la elaborata decorazione dell’interno con le sue meravigliose sculture non si possono scordare: sentii allora che coloro che avevano speso milioni per erigere quelle cattedrali divine non potevano non avere nel cuore l’amore per Dio. Avevo letto molto sulle mode e le frivolezze di Parigi, che erano visibili ovunque per strada, ma le chiese rappresentavano delle oasi: entrando in una di quelle chiese si dimenticavano il rumore e il trambusto esterno, si cambiava atteggiamento, ci si comportava con dignità e riverenza passando accanto a qualcuno inginocchiato davanti a un’immagine della Madonna…». Poi, commentando la Torre Eiffel, Gandhi riporta, condividendola, la critica fatta da Tolstoj a un «monumento alla pazzia dell’uomo, non alla sua saggezza», perché quella Torre «non ha nulla di artistico», è solo una novità attraente, con lo stesso valore che ha per un bambino un «giocattolo nuovo» (Gandhi, La mia vita per la libertà, Newton, 2008, p. 68). Se il passato dell’Europa serve a Gandhi per fare un processo al suo presente, ciò che vi ha visto e imparato, soprattutto nelle sue relazioni con alcuni cristiani europei, gioca un ruolo decisivo nella sua critica alla propria stessa civiltà. Pur rimanendo induista, infatti, egli
comprende, alla luce del Vangelo, che il sistema indù delle caste, e in particolare il disprezzo e la severità verso i cosiddetti “intoccabili” (condannati all’emarginazione, ad “attività contaminanti”, a lavori infimi come cremare cadaveri, pulire le fogne…), non ha ragione d’essere, ed è una colpa grave dell’induismo stesso. Arriva ad affermare che occorre una «rivoluzione totale nel pensiero indù: lo sradicamento di questa dottrina terribile e vergognosa della disuguaglianza innata degli uomini che ha avvelenato l’induismo e sta minando lentamente la sua stessa esistenza». La lotta per ridare dignità a milioni di intoccabili intrapresa da Gandhi è figlia del suo incontro non con il socialismo e il comunismo, dottrine che disprezza per il loro ateismo e la loro violenza, bensì con la Cristianità, ed era stata già cominciata proprio da alcuni europei. Inoltre, Gandhi, sempre grazie al confronto con la civiltà europea, riconosce che c’è qualcosa di sbagliato nella concezione induista della donna, ritenuta in tutto e per tutto inferiore all’uomo, così come nelle tradizioni delle mogli bambine, della prostituzione sacra, dell’annegamento di bambini nei fiumi sacri, etc. La critica più o meno radicale di Gandhi a questi costumi propri del mondo indiano richiama alla memoria altri influssi europei e cristiani destinati a mutare, piano piano, la
«Il matrimonio perde la santità quando si pensa che il suo scopo e il suo motivo più alto siano la soddisfazione della passione animale»
I radicali abusano dell’immagine di Gandhi per la loro propaganda: il Mahatma, se fosse vivo, non ne sarebbe affatto contento perché il suo pensiero dista anni luce dalle idee di Bonino&Co.
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«Tutto il ragionamento che sta alla base del controllo delle nascite è erroneo e pericoloso» mentalità e la vita degli indù, segnandone la storia anche dopo la colonizzazione. Un esempio è la pratica del sati: per secoli le donne indiane sono state seppellite vive, oppure bruciate sul rogo, insieme ai loro mariti defunti; se oggi questo avviene ormai sempre più raramente, è merito dell’influsso dei costumi europei su quelli indiani, e della battaglia condotta dai missionari cristiani che cercarono nella storia indiana attestazioni di una opposizione locale a questa consuetudine feroce. Vogliamo concludere ricordando anche che la celebre “non violenza” di Gandhi, strumentalizzata dai Radicali nostrani, non appartiene alla cultura indù, perché «i nazionalisti indù facevano riferimento a un passato differente, un passato guerriero, in cui gli antenati indù si erano distinti per la loro virilità, le lotte e il ricorso alla forza». Gandhi scriveva: «I versetti evangelici: “Ma io vi dico, accettate il male: a chi vi colpirà sulla guancia destra, offrite anche l’altra, e a colui che vi prende il mantello, date anche la cappa”, mi incantarono oltre ogni dire» (Christine Jordis, Gandhi, Feltrinelli, 2006, p. 17 e p. 38).
Il mausoleo del Mahatma Gandhi, il Raj Ghat, è uno dei luoghi più visitati di Nuova Delhi.
«Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l'aborto è un crimine»
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Solo chi è libero può combattere e vincere; e solo chi non è schiavo delle passioni è libero
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Il cammino del cavaliere Giulia Tanel
Abbiamo rivolto qualche domanda a Roberto Marchesini, a proposito del suo Le virtù - Il cammino del cavaliere, pubblicato recentemente da Sugarco.
L’Ulisse di Dante nel XXVI Canto dell’Inferno dice ai suoi compagni di viaggio che lo scopo della vita degli esseri umani, a differenza dei “bruti”, delle bestie, è quello di «seguir virtute e canoscenza»: roba da “sfigati medievali”, secondo taluni. Ma è veramente così? Il Medioevo è stato un periodo “buio”? Non sembrerebbe, quantomeno a leggere il titolo di una delle ultime fatiche dello psicologo e psicoterauta, nonché apprezzata penna, Roberto Marchesini: Le virtù - Il cammino del cavaliere. Lo abbiamo raggiunto per rivolgergli alcune domande in proposito. Dottor Marchesini, ci può spiegare che differenza c’è tra i “principi non negoziabili” e i “valori”? E tra i “valori” e le “virtù”? Cosa siano i “principi non negoziabili” l’ha spiegato il cardinale Ratzinger nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002). Essi sono «fondamenti veri e solidi» della vita sociale. Essendo fondamenti, va da sé che i principi non siano negoziabili. Potremmo paragonare la vita sociale a una costruzione con delle fondamenta (i principi non negoziabili): ristrutturando, possiamo cambiare il tetto, rifare gli impianti, sostituire i serramenti…
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ma non possiamo mettere in discussione le fondamenta della costruzione. Equivarrebbe a demolirla. I valori sono… cose che valgono. Il tetto, i serramenti e gli impianti sono senz’altro dei valori, ma non sono i fondamenti. So che qualcuno ha cercato di negare la non negoziabilità dei principi indicati da Benedetto XVI sostituendo la parola “principi” con “valori”, e dichiarando assurda la non negoziabilità di alcuni valori, sostenendo che sarebbe ingiusto nei confronti degli altri valori. Non voglio ora discutere la democrazia e la gerarchia dei valori; sottolineo soltanto che esiste una bella differenza tra questi e i principi. Infine, le virtù. Che differenza c’è tra valori e virtù? Semplice: i valori non costano nulla. La famiglia, l’ambiente, la democrazia sono dei valori, ma sostenere questi valori non è una fatica. Le virtù, invece, costano fatica. La conquista delle virtù e il loro esercizio richiede uno sforzo continuo, una ascesi, un lavoro su di sé. I valori sono “fuori di me”, le virtù fanno parte di me. Ma siamo certi che la virtù dia la felicità? Perché coltivare certi vizi, obiettivamente, sembrerebbe dare molte più soddisfazioni! È sicuramente colpa del mio osservatorio
È la ragione che sceglie liberamente le virtù come cammino di crescita e perfezione personale.
professionale (sono psicologo psicoterapeuta), ma non sono d’accordo. Incontro quotidianamente persone la cui vita è dominata dai vizi, e posso assicurare che le soddisfazioni sono molto poche. Perché il punto è semplice: chi lascia dominare la vita dalle passioni è uno schiavo, non è libero. È libero solamente chi sottomette le passioni alla ragione e lascia che sia quest’ultima a guidare la propria vita. È la ragione che ha il compito di discernere il bene dal male; e che ci permette di orientare la propria vita al bene, rifuggendo il male. È la ragione che sceglie liberamente le virtù come cammino di crescita e perfezione personale. La cosiddetta “libertà sessuale”, tanto per fare un esempio, è in realtà una “schiavitù sessuale”, che ha reso le persone schiave dei propri vizi. Ma le sembra possibile proporre “il cammino del cavaliere” oggi, soprattutto a giovani e giovanissimi che nascono e crescono imbevuti di sesso, droga e rock’n roll? Anzi, rap e trap... Non solo mi sembra possibile, ma lo faccio continuamente. E l’argomento più convincente è proprio quello della libertà. I ragazzi hanno la netta percezione di non essere liberi: non riescono a interrompere certi comportamenti, non sono in grado di
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raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati… non sono padroni della loro vita, sono eterodiretti, vivono guidati dalle passioni. Lo sanno, ne hanno la netta percezione. Purtroppo sono il frutto maturo della nostra società, che invita (obbliga) a seguire le passioni, mettendo a tacere la ragione; praticamente, sforna schiavi a getto continuo. Gli esempi sono parecchi… La pornografia è un mercato, giusto? Chi la produce ci guadagna milioni. E allora perché è gratuita? In che modo è stato soffocato il Free Speech Movement, negli USA, negli anni Sessanta? Inondando gli ambienti giovanili di sesso, droga e rock’n roll. Trasformando i giovani in zombie, il problema politico è cessato immediatamente. Cosa ha fatto l’esercito israeliano appena entrato in Ramallah, nel 2002? Ha occupato la sede della televisione e ha cominciato a trasmettere pornografia non stop… Così ha risolto il problema della resistenza. La Bibbia ci racconta le storie di Giuditta e Oloferne, di Dalila e Sansone: grandi guerrieri resi imbelli dai loro vizi. Esistono anche esempi contrari. Cosa hanno fatto i leader dello sciopero nei cantieri navali di Danzica nel 1981? Hanno proibito di introdurre nei cantieri la vodka: sapevano che solo chi è libero può combattere e vincere, e solo chi non è schiavo delle passioni è libero. La cosa più bella è che tutta la città ha smesso di vendere vodka! Tutta la città si è unita
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alla lotta dei cantieri, rinunciando alle passioni. E hanno vinto. Ripeto: i ragazzi sono molto coscienti di quanto siano poco liberi. Le virtù indicano loro una strada per riappropriarsi della loro vita. Come possiamo proporre per esempio la temperanza in un mondo dove i bambini fin da piccolissimi sono bombardati da ogni parte (non solo in Tv e in internet, ma purtroppo anche a scuola) da messaggi “sexy”, cioè da pornografia soft (perché questa società ipersessualizzata ha evidentemente sposato il motto “sex by eight or it’s too late”...)? Se consideriamo le passioni come un fiume possiamo gestirlo in due modi: costruendo una diga (la continenza) o degli argini (la temperanza). La diga blocca le passioni, ma – la storia ce lo insegna – c’è il rischio che il fiume esondi, rompa la diga e faccia dei danni maggiori. Gli argini non bloccano il fiume: lo indirizzano dove è utile e non fa danni. Le passioni, dunque, non vanno bloccate, bensì indirizzate, poste al servizio della ragione e del bene che essa indica. L’onnipresente pornografia non aiuta la temperanza, e nemmeno la continenza: per continuare il paragone del fiume, trasforma la nostra vita in una palude, dove è impossibile coltivare alcunché.
Qualcuno ha cercato di negare la non negoziabilità dei principi indicati da Benedetto XVI sostituendo la parola “principi” con “valori” e dichiarando assurda la non negoziabilità di alcuni valori, sostenendo che sarebbe ingiusto nei confronti degli altri valori.
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Contro il politicamente corretto Enzo Pennetta
L’Autore ci presenta il saggio che ha scritto a quattro mani con Ettore Gotti Tedeschi: Contro il politicamente corretto. La deriva della civiltà occidentale. Un testo utile per uscire da meccanismi linguistici e culturali che portano, in ultima analisi, al lavaggio del cervello. “Politicamente corretto” è un termine ormai familiare ma il cui reale significato è spesso poco compreso. Sappiamo che si tratta di un pensiero che viene imposto dai grandi media, sia nella forma della carta stampata che dalle televisioni, ma ancor più importante è sapere come funziona. Dato il metodo impiegato per diffonderlo, possiamo dire che si tratta in fondo di una sofisticata operazione di marketing e condizionamento che è riconducibile alla discussa tecnica della Programmazione Neuro Linguistica (Pnl), che viene usata dagli anni Sessanta per indurre convinzioni e comportamenti nei soggetti che vi sono inconsapevolmente sottoposti. Nel caso del politicamente corretto
Stiamo subendo da anni una sofisticata campagna di marketing e condizionamento che è riconducibile alla discussa tecnica della Programmazione Neuro Linguistica (Pnl), che viene usata dagli anni Sessanta per indurre convinzioni e comportamenti nei soggetti che vi sono inconsapevolmente sottoposti.
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«Il pensiero politicamente corretto è uno strumento moderno per obbligare al consenso senza l’uso della forza fisica, è quello dell’epoca descritta da Nietzsche e da lui definita “dell’ultimo uomo”, dove esiste un solo gregge e nessun pastore e dove chi ha un diverso sentire “va da sé al manicomio”. Il politicamente corretto è nato proponendosi come un modo per rispettare le diversità e le sensibilità altrui, ma è diventato presto un modo per imbrigliare nell’accusa di intolleranza e odio qualsiasi parere contrario a quello che i pensatori di riferimento impongono come modello culturale. Parafrasando Orwell, se nell’epoca dell’inganno dire la verità è un atto rivoluzionario, nell’epoca del politicamente corretto esprimere pensieri politicamente scorretti è il primo e più potente atto sovversivo». (Dal sito dell’editore, Giubilei Regnani)
i messaggi da inserire nella visione del mondo di chi ascolta sono veicolati all’interno di concetti preesistenti e largamente accettati, un esempio è il riferimento ai “diritti” e alla “difesa delle minoranze”. La tecnica della Pnl, a sua volta, si fonde spesso in modo molto efficace con il concetto di “finestra di Overton”, la ormai nota teoria sulla tecnica di diffusione di principi e comportamenti inizialmente condannati dal senso comune. Ricordiamo brevemente che nella finestra di Overton si passa da una fase iniziale nella quale essa viene aperta su una determinata idea definita “impensabile” a quella finale in cui la situazione è ribaltata e una larga maggioranza di persone infine approva tale idea mentre una residua minoranza ancora la rifiuta e per questo viene messa in cattiva luce. Il primo passo della finestra di Overton verso un pensiero politicamente corretto possiamo identificarlo sui media, ed è quello in cui essa viene aperta; l’occasione viene spesso offerta dalla diffusione di una notizia che parla negativamente del comportamento da “sdoganare”: in questo primo momento esso viene fortemente criticato, esattamente come farebbe la maggior parte dell’opinione pubblica. In questo modo i lettori e gli ascoltatori saranno rassicurati dal fatto che le testate giornalistiche o le televisioni siano in sintonia con loro, questo fa sentire rappresentati e protetti: siamo davanti al primo indispensabile passo della Pnl, conquistare la fiducia dell’interlocutore mettendosi dalla sua parte.
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Successivamente accadrà che qualche esperto invitato in un talk show o in una rubrica su quotidiani e settimanali spiegherà che in particolari circostanze però quel comportamento è da considerarsi tollerabile, facciamo ad esempio il caso pratico della pedofilia che verrà ovviamente condannata ma facendo notare che però essa è stata accettata in situazioni storiche passate e da tutti stimate per la loro cultura come ad esempio nell’antica Grecia. Quando l’argomento sembrerà stabilizzarsi sarà la volta di alcuni esponenti dello star system che cominceranno a mostrare delle aperture verso tale possibilità, inizialmente potranno anche apparire come accusati, vedi il caso di Asia Argento o di Michael Jackson (postumo), che pur condannati dall’opinione pubblica iniziano però ad essere difesi da altri esponenti del loro mondo, come accaduto ad esempio nel marzo 2019, quando la cantante e attrice premio Oscar Barbara Streisand ha detto riguardo a Michael Jackson: «I suoi bisogni sessuali erano i suoi bisogni sessuali, provenienti da qualunque infanzia avesse avuto o qualunque Dna avesse». In queste parole si assiste a un ribaltamento della situazione, l’accusato assume improvvisamente il ruolo di vittima, non è più la pedofilia la colpa ma il non ammettere che Jackson avesse i suoi “bisogni”, e tali bisogni, come ogni bisogno, presto diverranno dei diritti, a maggior ragione se si tira in ballo il Dna, fatto che rende naturale la tendenza in questione. Ribaltato il concetto di colpa si passa poi a personaggi più trasgressivi, che sposteranno la finestra di Overton in una zona più avanzata dichiarando pubblicamente i loro comportamenti. Di non molto tempo fa è il caso dell’attrice Emanuela Tittocchia, che su Mattino 5 ha dichiarato apertamente di avere una relazione “speciale” con un quindicenne; la dichiarazione ha ovviamente innescato una serie di critiche, ma come abbiamo imparato questo fa parte del gioco, sono critiche sempre meno convinte. In questa fase l’effetto cercato è quello di trasformare l’eccezionalità in normalità, passare da idee di pochi e trasgressivi rappresentanti dello spettacolo divenuti modelli di riferimento, a convinzioni di massa fatte proprie da parte dei fan.
Capiamo da questo percorso come la tecnica del politicamente corretto passi attraverso un coinvolgimento di fasce sempre più larghe di popolazione che verranno ad identificarsi con le posizioni dei testimonial dell’idea da far passare come politicamente corretta. Il meccanismo è sempre l’identificazione rassicurante tra il pensiero della persona comune e quello del giornalista o del personaggio dello spettacolo. Il caso preso in esame della pedofilia non è solo accademico in quanto è attualmente in corso; altri esempi reali sono quello ormai andato largamente a buon fine dell’accettazione della cannabis, mentre in pieno svolgimento
Fasce sempre più larghe di popolazione andranno a identificarsi con le posizioni dei testimonial dell’idea da far passare come politicamente corretta: ciò che era “un male” diventa “normale”.
La cantante e attrice premio Oscar Barbara Streisand ha detto, riguardo alle accuse di pedofilia rivolte a Michael Jackson: «I suoi bisogni sessuali erano i suoi bisogni sessuali, provenienti da qualunque infanzia avesse avuto o qualunque Dna avesse».
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è la promozione dell’utero in affitto tramite i casi di testimonial come Cristiano Ronaldo, Ricky Martin o Nicky Vendola. Da questi si sta passando alla gente comune, come è avvenuto il 7 aprile 2019 quando su tutti i media campeggiava la notizia della gravidanza di una tale Cecile Edge del Nebraska, che a 61 anni ha fatto il “gesto di amore” di portare a compimento una gravidanza per il figlio omosessuale. Politicamente corretta è ad esempio anche la battaglia contro i cambiamenti climatici che, al di là delle diatribe scientifiche, veicola istanze neomalthusiane non direttamente dichiarabili. In questo caso un metodo innovativo di imposizione di un pensiero politicamente corretto ha visto l’impiego come testimonial di una ragazzina individuata nel personaggio di Greta Thunberg, un’adolescente con la sindrome di Asperger. Si trattava di rendere inattaccabile un argomento pensato e voluto in circoli come quello di Davos e l’immagine di Greta ha
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permesso di troncare ogni critica e accusare di linguaggio di odio verso una bambina, per di più malata, chiunque avesse voluto mettere in discussione i motivi della manifestazione giovanile globale contro i cambiamenti climatici. Come vediamo, tutto il politicamente corretto si gioca sulla manipolazione mediatica delle parole e dei significati, una tecnica che solo padroneggiando a nostra volta il linguaggio è possibile fronteggiare; un’operazione che, in un’epoca in cui l’insegnamento scolastico è messo in crisi, diviene tra l’altro sempre più difficile. Al riguardo sarebbe necessaria l’apertura di una riflessione sulle cause e le motivazioni del declino dell’istruzione scolastica. Conoscere i metodi del pensiero “politicamente corretto” è un esercizio non solo utile ma assolutamente necessario per uscire dai meccanismi linguistici e culturali che portano all’accettazione e all’assimilazione su larga scala di idee e comportamenti prestabiliti.
«Non per tutti, purtroppo, la pedofilia, la pedopornografia, gli abusi sui minori sono un crimine, ancora oggi. In alcune nazioni non è ancora reato e potenti lobby vogliono normalizzarla e giustificarla», ha detto il presidente di Meter, don Fortunato Di Noto, al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona. L’ingegneria sociale per ottenere questo aberrante risultato è all’opera. Fateci caso: per il politicamente corretto la pedofilia è un abominio solo quando è praticata da sacerdoti cattolici...
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Museo Musicalia di Villa Silvia, a Cesena.
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Povera voce Francesco Avanzini
Un medico foniatra e vocologo, di fronte al dramma dei pazienti transessuali che gli chiedono aiuto per cambiare anche la voce, riflette sul rapporto esistente tra questa e l’io. «Povera voce di un uomo che non c’è», recita il primo verso della omonima canzone della grande cantautrice Adriana Mascagni. L’uomo c’è ancora, eccome, con tutto il suo corredo di cromosomi, con tutta la sua dignità di persona e con tutta la sua psiche di uomo. Ma a un certo punto si rompe qualcosa, irrompe un impulso interiore che non gli fa più accettare la sua natura. Sto parlando delle cosiddette famose disforie di genere. Ricordo una semplice definizione delle due eventualità che si presentano: nel caso del trans-gender la persona non accetta più il concetto di sessualità binaria (maschio/femmina) e non si identifica in modo permanente con nessuno dei due generi sessuali, mentre nel caso del trans-sessuale l’individuo si riconosce appartenente a un genere diverso dal sesso biologico con cui è nato. Ci sono tre tipi di transizione: quella sociale, in cui il transgender o il travestito si atteggiano, vestono e si comportano come individui del sesso non biologico; quella medica, in cui si attuano terapie farmacologiche, sostanzialmente a base di ormoni; e quella chirurgica, per la quale sono previsti una serie di interventi chirurgici allo scopo di modificare varie parti del corpo, in modo da modificare i caratteri sessuali secondari. Sono in genere i transessuali che intraprendono il cosiddetto percorso di transizione chirurgico per “passare” da un sesso all’altro. In questo ultimo caso il cambiamento della voce è il provvedimento finale del percorso, lungo e faticoso. «Dottore, non ce la faccio più a essere scambiata per un uomo al telefono»; «La prego mi aiuti a cambiare questa voce che non sopporto più»: sono queste le frasi che più spesso mi rivolgono con tono sofferente queste persone. Come medico foniatra e vocologo mi trovo di fronte a queste problematiche, e ciò mi ha indotto ad approfondire il rapporto che intercorre tra la voce e l’io. Non voglio qui “travestirmi” da psichiatra o psicologo, ma solo fornire un piccolo contributo a questo scottante, e talvolta drammatico, tema. È necessario premettere che la problematica interessa in modo quasi esclusivo i maschi che vogliono “diventare” femmine, perché nel caso opposto bastano abbondanti dosi di testosterone, l’ormone sessuale maschile, per cambiare anche la voce. In entrambi i casi tuttavia i soggetti “transitanti” devono sottoporsi a un numero considerevole di sedute di terapia logopedica, oltre che a tutti i supporti di tipo psichiatrico o psicologico. Questo apre la porta a una serie di considerazioni, che vorrei fare alla luce della mia esperienza clinica.
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Il tema della transizione di genere è un tema complesso, che prevede la valutazione di aspetti fisiologici, psico-sociali e culturali, anche perché spesso si tratta di soggetti di paesi o continenti e culture diversi. La voce è un fenomeno estremamente complesso, al di lá della sua apparentemente facile produzione e della rappresentazione che ne abbiamo. È in realtà un fenomeno molto difficile da delimitare e inquadrare, dato che ha a che fare con una dimensione molteplice e variegata ma ricondotta a una unitá che è la persona. Tanto è determinante la voce per la costituzione dell’io che i latini riconducono il termine persona (etimologicamente deriva da per-sonare) a un fatto acustico, qual è appunto la voce. E lo dico con una frase tratta da Matteo, 12: «La bocca parla della pienezza del cuore», a significare che quello che esprime la voce è ciò che di più intimo c’è nella persona. Potremmo spingerci a dire che l’io è la sua voce. Più la si studia e più ci si accorge che la voce è un prodotto cui tutto il
corpo concorre. E qui ci troviamo subito di fronte ai primi dilemmi dei transessuali: una voce che deve coincidere con il corpo modificato e che non corrisponde al corredo biologico dell’individuo; un secondo aspetto riguarda il fatto che abbiamo a che fare con un desiderio, una esigenza e quindi in questo caso con una aspettativa forte del soggetto, che quando non è soddisfatta genera la disforia. Che soddisfare questo desiderio sia un diritto oppure che tutto ciò che è possibile sia lecito, sarebbe un altro tema da discutere. Come è pure da discutere che il costo di tutti gli interventi necessari, che ammontano a parecchi euro, sia a carico del Servizio sanitario nazionale. Se non si può considerare la disforia come un disturbo da trattare, come sostengono le associazioni Lgbtq, allora non si capisce perché le cure debbano essere rimborsate alla stessa stregua di malattie o di interventi chirurgici curativi. I livelli di questo desiderio di trasformazione di identità sono diversi e attraversano una gamma che dal fisiologico
La voce è determinante per la costituzione dell’io.
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può arrivare al patologico, con il comparire di vere e proprie psicosi. Ma a differenza dello psicotico, tale desiderio si manifesta sul piano della realtà e questo per noi vocologi costituisce una sfida: la sfida di trasformare una voce quale è in una voce “come se”. Dal mettere in dubbio l’identità che ho (non so chi sono) alla ricerca di una identità, anche o forse soprattutto, sociale. Da qui nasce la tensione del desiderio: o trova spazio nella nuova identità o non può che sfociare in psicosi. Ciò solo per dire a quale livello si deve tentare di rispondere alla sfida che non può limitarsi certamente ad accorciare le corde vocali e fare sedute di logopedia e porsi quindi come obiettivo una voce semplicemente più acuta, femminile. Allora, per andare più nello specifico della mia professione, è necessario chiedersi: come si esprime il desiderio? Con una domanda. Ma ciò si trova inscritto nella storia della nostra voce: dobbiamo osservare la storia della voce nelle varie tappe della vita, dal pianto del neonato, che rappresenta una continua domanda, di aiuto o anche solo di rapporto, alla rivoluzione della muta vocale alla pubertà, fino all’età senile, sia dal punto di vista fisiologico che patologico (come nel morbo di Parkinson). Perché questa sottolineatura? Perché con questo tipo di indagine possiamo rinvenire le prime tracce di un disagio che si esprime “a voce”. Ecco perché quando mi sono trovato a elaborare il primo questionario europeo di autovalutazione della voce del trans, ho dovuto considerare una serie di parametri che prendessero in considerazione l’universo vocale. Rimane un grande buco nella letteratura del settore. Al di là della fisicità, la letteratura scientifica non ci dice nulla su che cosa ne sia del vero io vocale del trans o su che tipo di esperienza realmente compia.
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E questa non è poca cosa: sarebbe come dire «Cambio colore agli occhi, ma poi non so dire com’è la mia rappresentazione del mondo». Ma il problema, nel caso del questionario, non è consistito tanto nel pur faticoso lavoro di effettuare una revisione della letteratura, cercare una corrispondenza tra esigenze del soggetto, il suo comportamento vocale e il suo vissuto, quanto nella risposta. Una volta effettuato l’intervento chirurgico il transessuale scompare dai radar, a meno che non giudichi il risultato insoddisfacente. Dei primi 20 questionari distribuiti prima dell’intervento, ho avuto un solo riscontro post-operatorio. È doloroso constatare come un uomo possa ridurre tutto il grave problema della disforia alla richiesta di interventi medici e chirurgici, spesso devastanti, oppure a una nuova carta di identità e non affrontare il grande quesito della ricerca invece di una identità perduta, non di carta ma di mente, carne e spirito che, seppure non riconosciuta, varrebbe la pena tentare di recuperare. Quando poi l’età avanza e l’effimero fascino svanisce, l’individuo diventa uno scarto sociale che finisce per essere accolto dalle strutture caritative o, peggio, quando rifiuta altri tipi di aiuto, pone fine alla sua esistenza. Che cosa ho imparato da questa esperienza? Ho sperimentato che il problema esiste, che il transessuale è una persona, che il suo valore e la sua dignità non sono merce da contraffare, che la risposta a un grande bisogno non può passare dal tentativo di sostituzione di sé e che solo in un rapporto umano vero forse il disagio si può superare. Come in altre occasioni, la grande questione è il dramma della libertà umana e di Chi è in grado di corrispondere a essa.
La voce è un prodotto cui tutto il corpo concorre.
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Una scuola controcorrente Giulia Bianco
Per i cattolici che credono che il dovere di educare i giovani sia anzitutto della famiglia, poi della società civile, ma anche della Chiesa; visto che in Parlamento c’è chi propone di eliminare l’ora di religione dalle scuole statali (peraltro facoltativa), presentiamo ai nostri Lettori un progetto scolastico davvero controcorrente, una scuola cattolica di nome e di fatto che ha sede nei dintorni di Roma: la Scuola San Pancrazio.
Non c’è bisogno di troppe parole per descrivere lo stato in cui versa la scuola italiana ai nostri tempi, da diversi decenni ormai in balìa di una dittatura del pensiero liberale e marxista, un’ideologia assolutamente anti cristiana. Se venissimo poi a descrivere la perversione morale che viene oggi non solo legalizzata ma addirittura imposta da normative europee (si vedano ad esempio le direttive dell’Oms del 2010 sul tema della sessualità), ci sarebbe da rimanere attoniti: teoria del gender e deviazioni, sponsorizzazione delle droghe, libertarismo imperante e simili sono le ultime tappe verso la scristianizzazione della scuola e dell’educazione, nonché dell’ipersessualizzazione dei fanciulli. A tutto questo un genitore non può restare sordo, e deve correre ai ripari; ma, per farlo, ha bisogno di una alternativa. Il dovere dell’educazione dei figli è proporzionalmente suddiviso tra le tre società di cui è parte l’uomo e il cristiano: la famiglia, la società civile e la Chiesa (come scriveva Pio XI nell’enciclica Divini illius Magistri). Errato sarebbe dunque considerare, alla stregua del cattolicesimo liberale, che la Chiesa debba occuparsi dell’insegnamento del Catechismo, delegando totalmente l’istruzione delle altre
discipline (scientifiche e umanistiche) ad altre istituzioni “più competenti”: essa al contrario possiede tutte le capacità e le competenze per una formazione integrale, e per giunta pienamente bilanciata e centrata sul fine ultimo dell’uomo. Non dimentichiamo che la Chiesa (e la famiglia), oltre ad essersi sempre occupata dell’educazione dei giovani, storicamente ha cominciato a farlo molto prima dello Stato. Cosa accade quando lo Stato, avocando a sé il controllo completo dell’educazione dei bambini, devia dai principi che la Chiesa insegna? Pio XI, nel testo citato, mette in guardia da un funesto pericolo che, purtroppo, è più che mai presente oggi: quello del naturalismo pedagogico. Con questo termine ci si riferisce infatti a quei sistemi che «si appellano a una pretesa autonomia e libertà sconfinata del fanciullo e che sminuiscono o anche sopprimono l’autorità e l’opera dell’educatore, attribuendo al fanciullo un primato esclusivo d’iniziativa e una attività indipendente da qualsiasi legge superiore naturale e divina, nell’opera della sua educazione». E veniamo ora al modello ideale, quello cui un’istituzione scolastica dovrebbe tendere, sia
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I genitori dovrebbero guardarsi dal naturalismo pedagogico, cioè da quei sistemi che si appellano a una pretesa autonomia e libertà sconfinata del fanciullo e che sminuiscono, o anche sopprimono, l'autorità e l'opera dell'educatore.
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La Chiesa possiede tutte le capacità e le competenze per una formazione integrale, e per giunta pienamente bilanciata e centrata sul fine ultimo dell’uomo, e i cattolici dovrebbero saperlo e apprezzarlo. essa retta da religiosi o ecclesiastici, oppure organizzata da famiglie e associazioni cattoliche. La scuola, dicevamo, deve raggiungere un delicato equilibrio tra un’adeguata formazione intellettuale e una solida educazione morale. Non c’è ragione infatti per non considerare come adatto alla competenza di insegnanti cristiani il fatto di istruire i giovani alunni in tutte le discipline che ogni ordine e grado scolastico, tanto nella formazione classico-umanistica che in quella tecnico-scientifica; infatti, un buon educatore e professore saprà dare ai suoi studenti un’adeguata preparazione che non prescinda dai principi della sana dottrina ma che anzi vi si conformi. Questa volta è Papa Leone XIII, nell’enciclica Militantis Ecclesiae, che lo afferma: «È necessario che non soltanto in determinate ore si insegni ai giovani la religione, ma che tutta la restante formazione olezzi di cristiana pietà»; e, ancora, nell’enciclica Inscrutabili: «L’insegnamento stesso, e nelle lettere e nelle scienze, sia in tutto conforme alla fede cattolica, massime poi nella filosofia, dalla quale in gran parte dipende il retto indirizzo delle altre scienze». Infine, una scuola cattolica degna di questo nome avrà a cura la formazione morale individuale dei suoi studenti, in conformità alla legge di Dio e ai precetti della Chiesa. Sulla base di queste premesse, cinque anni fa è nato il progetto di istruzione parentale cattolica della Scuola San Pancrazio, fondato sulla collaborazione di un gruppo di genitori con i sacerdoti della Fraternità San Pio X, per la
formazione scolastica dei propri figli, nel quadro dei diritti garantiti dalla Costituzione italiana (art. 30) e dalla successiva legislazione (Dlgs 76/2005). La scuola, sita ad Albano Laziale, nella zona dei Castelli Romani, si avvale della collaborazione di professori di verificata integrità morale e di comprovata competenza, offrendo il migliore dei percorsi di studio, per tutti e tre gli ordini scolastici: elementare, media e superiore. Per venire incontro alle esigenze delle famiglie che vivono lontano da Roma, la Scuola San Pancrazio ha attivato il convitto, dove i ragazzi risiedono durante l’anno scolastico; grazie ai fine settimana a casa, gli studenti non sono mai troppo a lungo lontani dai genitori. Il convitto permette loro di fare amicizia e di sperimentare la vita di comunità, in un’atmosfera di gioia e carità. Le lezioni sono intervallate con lo sport e l’attività all’aria aperta, nel vasto parco della scuola; i ragazzi inoltre possono coltivare i loro hobby e a valorizzare le loro potenzialità. I laboratori di latino vivo, teatro e calligrafia e la scuola calcio completano l’offerta formativa scolastica. La cura della formazione, la spiritualità, le gite frequenti, la presenza disponibile e costante dei sacerdoti, fanno di questa scuola la vera alternativa per i genitori interessati al futuro dei loro figli. Sul sito http://scuolaparentalesanpancrazio.it si possono trovare tutte le informazioni e i contatti della scuola.
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Giovani speranze pro vita Chiara Chiessi e Florio Scifo
Da qualche anno sono nati e operano gli Universitari per la Vita. Ora sono stati affiancati anche dai Liceali per la Vita: saranno i giovani a trainare il movimento pro vita in Italia! Gli Universitari per la Vita sono una giovane realtà studentesca diffusa in molte città d’Italia, nata circa due anni fa dalla Marcia per la Vita romana. Organizzano e partecipano a corsi di formazione con esperti, realizzano manifestazioni e iniziative culturali (concerti, convegni...). Agli studenti che incontrano forniscono volantini informativi e mostrano i famosi “Michelini” (modellini di bambini concepiti da 11 settimane, come quelli che hanno suscitato tanto clamore al Congresso di Verona). Di recente, hanno realizzato degli opuscoli dettagliati su aborto ed eutanasia e sono attivi nei Consigli di facoltà per far sì che le studentesse in gravidanza abbiano più agevolazioni, cosicché la maternità sia tutelata anche nell’ambito universitario.
Gli Universitari per la Vita sono stati messi insieme dall’amore e dal desiderio di difendere la vita innocente, dal voler combattere le leggi ingiuste presenti nella società, dal coraggio di dire la verità nella sua integrità e senza compromessi.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Hanno incontrato il ministro Fontana e a breve incontreranno anche il ministro dell’istruzione, Bussetti, per parlargli di come sia difficile entrare in Università (non c’è infatti libertà d’espressione per gli studenti pro vita: quando devono chiedere un permesso per un’iniziativa, in molti casi questo viene ingiustificatamente negato o la burocrazia per loro si complica). Possiamo dire che gli Universitari per la Vita sono stati messi insieme dall’amore e dal desiderio di difendere la vita innocente, dal voler combattere le leggi ingiuste presenti nella società, dal coraggio di dire la verità nella sua integrità e senza compromessi. Tra le fonti d’ispirazione c’è certamente Mario Palmaro, docente e bioeticista, scomparso alcuni
anni fa, il quale ha sempre difeso la vita, senza compromessi. Per quanto riguarda la formazione, il loro testo guida è proprio una sua pubblicazione, Aborto & 194, fenomenologia di una legge ingiusta, caratterizzato da chiarezza e semplicità nell’esposizione. Poi, certamente importante è l’esempio del primo presidente della March for Life americana, Nellie Gray, l’instancabile combattente per i non nati, il cui motto era «prolife senza eccezioni» e, tra le figure dei Santi cristiani, oltre a S. Giovanni Paolo II, grande fonte d’ispirazione è Santa Giovanna d’Arco perché, seppur giovanissima e analfabeta, ha coraggiosamente guidato l’armata francese contro quella inglese, riportando una vittoria clamorosa. Questo ci dimostra che Dio si serve degli strumenti più piccoli per compiere le imprese più grandi. E nel mondo pro vita questo è evidente: noi siamo Davide e combattiamo contro Golia. Recentemente, sull’esempio degli Universitari per la Vita, il giovane Raffaele Manicardi, studente liceale di Bologna, ha dato vita al gruppo dei Liceali per la Vita. Proprio come gli UpV, anche i Liceali per la Vita si propongono programmaticamente di «essere voce dei senza voce», diffondendo la cultura pro vita nelle scuole, come si legge nel volantino informativo. A tal proposito, Raffaele ha dichiarato: «Cari amici e amiche, vogliamo far partire da Bologna, dalla città e dalla regione rossa da settant’anni, il movimento Liceali per la Vita. È un’idea nata dal bisogno impellente di far nascere l’amore per la Vita nei licei. Ci siamo mossi al fine di formare i giovani di oggi per creare l’Italia di domani! Viva la vita e i giovani!». E, ancora: «Un liceale oggi deve difendere la vita per il suo interesse prima di tutto: la vita rappresenta speranza, amore e futuro; futuro di
Anche i “neonati” Liceali per la Vita si propongono programmaticamente di «essere voce dei senza voce», diffondendo la cultura pro vita nelle scuole.
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tutti ma soprattutto dei liceali che sono i giovani, i protagonisti del domani. Un liceale oggi deve combattere con noi per il suo futuro e per quello degli altri; infatti non c’è nulla di più nobile che combattere per una causa giusta per gli altri oltre che per se stessi». Un compito tutt’altro che semplice, se si considera che negli Istituti superiori di ogni genere la propaganda anti-vita è spesso ancora più martellante che non nelle Università, complice un (purtroppo) generale disinteresse dei ragazzi per queste tematiche in controtendenza. Appare pertanto evidente la già rimarcata necessità per il gruppo di acquisire un’adeguata formazione, che poi, con coraggio e determinazione, i Liceali per la Vita trasformeranno in informazione per i loro coetanei. Solo così sarà possibile superare il
velo di accondiscendenza e scarsa consapevolezza che protegge da anni l’ingiustizia della pratica eugenetica. Ovviamente, gli Universitari per la Vita si impegnano a non lasciare mai soli i Liceali in questa grande sfida che hanno accettato e che, senza ombra di dubbio, arriverà a produrre degli ottimi risultati. Come è evidente dall’esempio americano, sono i giovani che stanno trainando il movimento pro vita e deve essere così anche da noi. I giovani portano speranza e ottimismo, che è ciò di cui abbiamo bisogno oggi; si rendono conto dell’importanza del dono della vita e del fatto che, se la 194 fosse stata applicata nei loro confronti, non sarebbero vivi oggi. Chiunque avesse interesse ad unirsi a loro, può contattarli all’indirizzo licealiperlavita@gmail. com, oppure tramite la loro pagina Facebook.
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In Cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Il vizio della speranza Titolo: Il vizio della speranza Produzione: Italia — 2018 Regia: Edoardo De Angelis Durata: 90 min Genere: Drammatico
Questo film è ambientato a Castel Volturno, in un luogo che sembra abbandonato da Dio. Certamente è abbandonato dallo Stato: nessuno raccoglie le immondizie e la scuola, la chiesa, la posta sono chiuse… Qui Maria conduce una vita da disperata, tra droga, pazzia e violenza. Per guadagnare qualcosa traghetta prostitute nigeriane da una riva all’altra del Volturno. Tra di loro ci sono anche le nuove schiave, donne che vengono usate come incubatrici per dare figli – come cose – a chi può comprarseli. In questo contesto orripilante il regista Edoardo De Angelis riesce a far nascere la speranza. La vita di Maria a un certo punto cambia, incontra una ragazza ancora più disgraziata di lei e un giostraio con cui riesce a vedere le cose da una prospettiva finalmente umana.
Sarà determinante una gravidanza inattesa, saranno – nel degrado più totale – la vita e la maternità a dare coraggio e a infondere speranza. Gli attori sono davvero bravi: Pina Turco (Maria), Massimiliano Rossi (Pengue), Marina Confalone (Zi’ Mari) e poi Cristina Donadio, Odette Gomis, Juliet Esey Joseph, Maria Angela Robustelli, Jane Bobkova, Yvonne Zidiouemba, Marcello Romolo, Demi Licata, Nancy Colarusso, Imma Mauriello; ciascuno di loro merita una menzione, visto che poco vengono celebrati – di norma – quelli che recitano in film che davvero vale la pena vedere. È certamente un film per adulti, ma è un film – cosa rara oggigiorno – che consente di riscoprire i valori che fondano l’umanità anche nel contesto più impensabile.
settembre 2019
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In biblioteca La Crisi del dono. La nascita e il no alla vita Claudio Risé San Paolo
Sei il problema e la soluzione di te stesso Arturo Mariani
Per sconfiggere l’aborto e i suoi orrori, legalizzati o illegali, bisogna prendersi la responsabilità di rifiutare la tentazione regressiva, egoista e onnipotente, della conservazione dell’esistente, bisogna aprirsi al nuovo che ogni giorno nasce e ci chiede accoglienza e amore. Significa accettare di sacrificarci per lui, per il bimbo che viene nel mondo, anziché sacrificarlo al nostro piacere. E soprattutto rinunciare al nostro potere (del tutto immaginario) su un esistente, sulla realtà, che invece nella sua incessante trasformazione ci oltrepassa e ci trascende, in ogni momento.
Arturo Mariani è nato a Roma nel 1993 e vive a Guidonia (Rm). Ha praticato diversi sport. Nel 2014 ha partecipato ai campionati del mondo con la Nazionale Italiana di Calcio Amputati del Csi. Impegnato nel volontariato in parrocchia e alla Caritas, è autore e speaker di Radio Giovani Arcobaleno. In questo suo terzo libro, dopo Nato Così e Vita Nova, senza pretendere di insegnare nulla, dà uno sguardo agli ostacoli che ci bloccano ma che, in verità, sono poca cosa, visto quanto siamo grandi noi. «Siamo tutti responsabili delle soluzioni che troviamo nella vita ai problemi che siamo noi stessi a creare».
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