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UOMINI CHE AMANO LE DONNE ANNO X MARZO 2022 RIVISTA MENSILE N. 105
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p. 20
p. 24
Roberto Marchesini
Filippo Maria Boscia
Alex Schadenberg
Virilità tossica?
La vocazione del medico “gineco-logo”, tra scienza, cura, relazione
Ma la morte assistita è “dignitosa, rapida e indolore”?
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Notizie Pro Vita & Famiglia
marzo 2022
Editoriale
In occasione della Giornata mondiale della donna, lascio alla nostra Francesca Romana Poleggi il compito di presentare questo numero di Notizie Pro Vita & Famiglia. Toni Brandi
Per natura gli uomini amano le donne e hanno tanto bisogno d’essere riamati. Perché, nonostante la sua forza e la sua spavalderia, l’uomo senza una donna che lo ama è decisamente perso.
È bene che sia una donna a spezzare una lancia in favore degli uomini! Abbiamo titolato questa Rivista prendendo spunto - al contrario - dal film Uomini che odiano le donne (un thriller svedese del 2009 tratto dall’omonimo best seller di Stieg Larsson). Vorremmo, infatti, sfatare la propaganda femminista che da decenni cerca di inculcare nell’opinione pubblica l’idea che l’uomo sia per definizione un maschilista, sessista, stupratore, “femminicida”, da evirare (metaforicamente, ma non solo) per rendere giustizia e libertà alle donne. Questa retorica diabolica (cioè divisiva) ha preso piede già nel Sessantotto, con la critica spietata all’autorità, al padre, e a Dio, ed è confluita nella moderna
ideologia gender che nega la differenza sessuale e si serve dell’odio cieco di cui sono intrisi il femminismo radicale e la “cancel culture” per destrutturare definitivamente il maschio e distruggere, in ultima analisi, l’essere umano. Esistono, certo, i delinquenti (e le delinquenti) che meritano di essere severamente puniti. Ma, secondo la natura, gli uomini amano le donne e hanno tanto bisogno d’essere riamati. Perché, nonostante la sua forza e la sua spavalderia, l’uomo senza una donna che lo ama è decisamente perso. Siamo stati creati molto diversi, ma con la stessa somma dignità, e perfettamente complementari: gli uni senza le altre non si può stare, perché è nell’unione dell’uomo e della donna la massima espressione dell’immagine e somiglianza di Dio autore e fonte della vita: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen. 1, 26).
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Notizie Pro Vita & Famiglia
marzo 2022
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Editoriale
Lo sapevi che...
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Virilità tossica
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I diavoli (maschi) temono le donne…
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Uomini che amano le donne: la vocazione del medico ginecologo, tra scienza, cura, relazione
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Roberto Marchesini
Berlicche
Filippo Maria Boscia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello
Ma la morte assistita è “dignitosa, rapida e indolore”? Alex Schadenberg
A lezione di genetica: le cellule staminali Giandomenico Palka
Aborto: nuovi dati sui rischi per la salute delle donne Francesca Romana Poleggi
L’uso politico della droga
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N. 105 — Anno X MARZO 2022 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus
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Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione
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Lorenza Perfori, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel
La questione dell’ultimo letto: il pompiere, lo sportivo e il Covid Tommaso Scandroglio
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RIVISTA MENSILE
Roberto Marchesini
Piazza Don Bosco 11/A,
37
39100 Bolzano www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile
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Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Distribuzione
In cineteca
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Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di que-
In biblioteca
sto numero: Berlicche, Filippo Maria Boscia,
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Mirko Ciminiello, Roberto Marchesini, Giandomenico Palka, Francesca Romana Poleggi, Tommaso Scandroglio, Alex Schadenberg
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Notizie Pro Vita & Famiglia
marzo 2022
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Lo sapevi che...
I trans competono slealmente con le donne: ennesimi studi scientifici Uno studio pubblicato un paio di mesi fa dal Macdonald-Laurier Institute, un think tank canadese, sostiene che “non c’è né un intervento medico né un’argomentazione filosofica intelligente che possa rendere equo per i trans competere nello sport femminile”. I maschi che sopprimono con successo il testosterone per 12 mesi, perdono solo il 5% di forza muscolare. Conservano il vantaggio atletico acquisito in condizioni di testosterone elevato durante la pubertà, e conservano il vantaggio muscoloscheletrico. Anche Joanna
Suicidio assistito per i carcerati Se la morte assistita è legale, ed è un "bene", è giusto che sia concessa a tutti. Anche ai carcerati. Il bioeticista svizzero Yoann Della Croce, sulla rivista Bioethics, ne è convinto. Molti detenuti che l’hanno chiesta non sono stati accontentati. Per esempio, uno stupratore seriale e assassino belga, Frank Van Den Bleeken, che alla fine è stato trasferito in una struttura psichiatrica specializzata. Della Croce
ritiene invece che sia i prigionieri che sono malati terminali, sia quelli che cercano di sfuggire al “tedio carcerario”, se soffrono in modo insopportabile, dovrebbero essere esauditi. Certamente, però, la “morte assistita” in carcere diventa molto simile alla pena capitale: che ne dicono gli stessi radicali che sono in prima linea nelle battaglie pro eutanasia e contro la pena di morte?
Harper, un atleta transgender, medico presso l’Università britannica di Loughborough, aveva dichiarato a WebMD in un’intervista che non c’è assolutamente alcun dubbio sul fatto che i trans mantengono vantaggi di forza rispetto alle donne, anche dopo la soppressione del testosterone. Del resto non è solo questione di forza, c’è anche l’altezza. Negli sport come basket e pallavolo è un dato essenziale. Il Cio (Comitato olimpico internazionale) che consente ai maschi di competere con le donne sta sacrificando l’equità per “l’inclusività”.
Cosa accade dopo che si legalizza l’eutanasia? In una lettera al quotidiano The Herald, Gordon MacDonald, della associazione inglese Care not Killing Alliance (curare non uccidere), ha avvertito che le proposte di legge sulla eutanasia in discussione in Scozia fornirebbero una soluzione molto “economica” per il servizio sanitario nazionale, consentendogli, in particolare, di eludere le richieste insoddisfatte
di cure palliative. «Di fronte alla scarsità di risorse del sistema sanitario, al sovraccarico di lavoro per medici ed infermieri, anche a causa della pandemia, possiamo davvero fidarci dei politici per elaborare una legge che limiti davvero gli abusi in questa pratica?», si chiedono i britannici. Dovremmo chiedercelo seriamente anche noi.
Dare l’utero in affitto (gratis) a degli amici Una madre surrogata pentita racconta che è stata un’esperienza incredibilmente traumatica, tanto che ha dovuto essere curata per disturbo da stress post-traumatico. Non è stata informata in modo completo e trasparente delle procedure mediche che ha poi dovuto subire. Non le hanno detto che il suo ciclo naturale sarebbe stato interrotto chimicamente e che avrebbe dovuto assumere dosi massicce di ormoni sintetici. Durante la gravidanza ha
sperimentato la gelosia e la rabbia da parte della “madre” committente. Conclude che le donne non dovrebbero essere incoraggiate a mettere in pericolo la loro salute fisica ed emotiva per soddisfare il “bisogno” di chi vuole avere bambini. Le donne contano. La legge non deve facilitarne lo sfruttamento: né di quelle vulnerabili a causa della povertà, né di quelle che lo fanno per spirito altruistico: non c’è nulla di etico nella maternità surrogata.
Alcune università britanniche stanno abbandonando le lobby Lgbt L’Università di Edimburgo e l’Università di Glasgow, come l’University College di Londra, non hanno presentato la richiesta di esser inserite nella lista delle istituzioni “egualitarie e inclusive” tenuta dalla potente associazione
Lgbt Stonewall. Le preoccupazioni per la libertà accademica e di insegnamento, e l’impossibilità di un dibattito aperto e trasparente su ‘sesso e genere’ hanno indotto gli atenei a questo passo politicamente molto scorretto.
Club satanista alle elementari Il distretto scolastico di Moline-Coal Valley nell’Illinois ha difeso il diritto di libertà di pubblicizzare un After School Satan Club per i bambini delle elementari, sostenendo che va garantita la possibilità di organizzare incontri dopo la scuola a tutti i gruppi religiosi. Il distretto non discrimina e fornisce uguale accesso a tutti. Gli
studenti hanno bisogno, comunque, del permesso dei genitori per partecipare a qualsiasi evento dopo la scuola. La pagina del sito web del Satanic Temple intitolata «Educando con Satana», afferma che il programma del doposcuola promuove «l’educazione autodiretta» e sostiene «gli interessi intellettuali e creativi degli studenti».
Aiutatemi a ritrovare mia figlia Nel 1963, una bambina fu data in adozione nel Regno Unito. La madre biologica, che ora ha 80 anni, sta cercando di rintracciarla da decenni. Catherine Hanson aveva una relazione con un irlandese che lavorava a Liverpool e partorì presso il Sacred Heart Convent il 7 febbraio.
La piccola fu data in adozione a una famiglia a Wolverhampton. Su Facebook, i nipoti di Catherine stanno cercando di aiutare la nonna a ritrovare quella figlia: prima di morire prega di poter sapere che è felice, al sicuro e sta bene.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
marzo 2022
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Versi per la vita TREMENDA SITUAZIONE Da medico, ginecologo, vorrei condividere questa breve riflessione con i Lettori di questa Rivista. I bambini abortiti sono da considerarsi i veri e propri martiri di questa nostra contemporaneità post-umana. Martiri puri e senza peccato, santi o venerabili che siano, sicuramente dimostrano che il loro sacrificio non è stato vano perché di fatto oggi accende in noi riflessioni e ripensamenti: in realtà fanno più rumore di ogni altro nato. Facciamoci interrogare da loro e riflettiamo se abbiamo o no fatto di tutto per evitare la loro strage. Quanti Re Erode convivono con noi ? Mettiamoci in gionocchio davanti ai bimbi non nati e continuiamo a pregare. Filippo Maria Boscia, Presidente dell’Amci, Associazione Medici Cattolici Italiani
Tremenda situazione posta in gioco e noi facciamo proprio poco poco. Sterminio dei non nati è come un fiume per cui di luce non ce n’è un barlume. Sterminio planetario passato come aborto “volontario” e così ben descritto da diventar fermissimo diritto, essendo in verità la mera volontà di chi si è posto a fare il Padreterno in conto di progresso più moderno. Macabra ostentazione di fortezza. L’ abisso più profondo... Che tristezza!
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano,
Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
marzo 2022
La cultura della vita e della famiglia in azione
Il 18 gennaio, a Siena, ripartono sul territorio le affissioni di PVF contro l’eutanasia e il suicidio assistito #StopEutanasia. Grazie alla nostra volontaria Giovanna.
#AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello
Riportiamo in queste pagine il resoconto delle principali attività di Pro Vita & Famiglia, fino alla fine di gennaio. Come al solito, ci scusiamo se per motivi di spazio qualcosa non sarà stata riportata e qualcuno non sarà stato nominato. Ringraziamo sempre e comunque tutti i volontari che attraverso i nostri circoli sparsi in tutta Italia trasformano «la cultura della vita e della famiglia in azione».
Attività di carattere nazionale
Dai circoli territoriali
Il 12 gennaio è ripartita la campagna contro l’ipersessualizzazione dei minori sui media, realizzata in collaborazione con l’associazione Meter Onlus.
Il 2 gennaio, a Vigevano (PV), il nostro volontario Angelo allestisce un banchetto informativo su eutanasia e aborto, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni.
Il 13 gennaio, Pro Vita & Famiglia firma, assieme a circa 60 altre associazioni pro life e pro family, una protesta indignata per l’apertura a eutanasia e suicidio assistito da parte della rivista La Civiltà Cattolica. Il 19 gennaio, Jacopo Coghe modera il webinar “Ipersessualizzazione e iperdigitalizzazione: consigli di sopravvivenza per genitori”, organizzato da ProVita & Famiglia in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’associazione. Relatori: Antonio Morra, Costanza Miriano e Gabriele Di Marco. Il 25 gennaio, protesta davanti alla sede della Rai di Saxa Rubra contro la propaganda Lgbt le indecenze trasmesse in fascia protetta, senza alcun riguardo per la sensibilità religiosa, il senso del pudore del pubblico e la fragilità degli spettatori bambini.
Il 18 gennaio, a Bolzano, il nostro volontario Francesco organizza un’edizione locale del progetto “Un Dono per la Vita”, con cui ProVita & Famiglia consegna passeggini, culle, pannolini, ciucci e biberon a famiglie e mamme che stanno affrontando o hanno affrontato una gravidanza in difficoltà non solo economiche. Il 21 gennaio, a Rimini, rilancio sul territorio della campagna di affissioni di ProVita & Famiglia contro l’eutanasia e il suicidio assistito #StopEutanasia. Grazie al nostro volontario Simone. 19 gennaio, a Milano, grazie al nostro volontario Luca, denuncia di un progetto scolastico improntato alla propaganda dell’ideologia gender al Liceo “Manzoni”. Abbiamo sollecitato un intervento da parte del Dirigente dell’istituto e dell’Ufficio Regionale Scolastico.
Annuncio stampa quotidiani per l’evento in diretta streaming contro l’eutanasia
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21 gennaio - A Vibo Valentia, i responsabili del Circolo territoriale regionale di Pro Vita & Famiglia denunciano la presenza di Arcigay nel Liceo Statale “Vito Capialbi” all’interno della Settimana dello Studente.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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Virilità tossica? Roberto Marchesini
Non è la virilità in sé a far male alle donne: la virilità tossica è quella moderna, nella quale la forza non è al servizio del debole, ma diventa fonte del diritto. L’attore britannico Benedict Cumberbatch ha recentemente rilasciato un’intervista per la promozione dell’ultimo film che lo vede protagonista, intitolato “Il potere del cane”. In questa occasione ha espresso il suo pensiero a proposito della cosiddetta “mascolinità tossica”: «Dobbiamo aggiustare i comportamenti degli uomini. Penso sia più rilevante che mai farlo e in particolare in un mondo che sta andando incontro a dei cambiamenti, puntando finalmente l’attenzione su quanto siano inadeguati lo status quo e il patriarcato. C’è questa specie di aspetto legato alla ribellione, questo negare la situazione, una posizione piuttosto infantile che sostiene “non tutti gli uomini sono cattivi”. No, semplicemente dobbiamo tacere e ascoltare». Già la posizione pare problematica: se parla della mascolinità tossica, non tace. E poi: uno degli aspetti della “mascolinità tossica” non riguarda il fatto che gli uomini siano mutacici, cioè che si esprimano troppo poco? Quindi gli uomini devono tacere o devono parlare? O
devono parlare del fatto che devono tacere? Probabilmente, sono ragionamenti troppo sottili per un povero psicologo di campagna come me. Quello che so, è che quando la virilità ha trovato la sua pienezza e il suo compimento, anche le donne ne hanno tratto un gran giovamento. Sto parlando della cavalleria, massima summa delle virtù virili; un fenomeno che ha cambiato per sempre (fino a giorni nostri) i rapporti tra uomo e donna… a vantaggio della donna. È infatti in quel periodo che la donna diventa… donna. Donna, infatti, è la contrazione di domina, in latino: signora. Perché il cavaliere faceva il gesto dell’omaggio (cioè il dono dell’uomo, di sé stesso) al signore e alla signora. Da questo discendono alcuni gesti di cortesia (cioè tipici della corte) che fanno brillare gli occhi ad alcune donne: aprire la portiera, accomodare la sedia, aiutare a mettere o togliere il cappotto, il baciamano… Che significato hanno questi gesti, che mandano
Ma gli uomini devono tacere o devono parlare? O devono parlare del fatto che devono tacere?
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Benedict Cumberbatch è un attore inglese molto premiato e conosciuto. Tra le sue interpretazioni più famose c’è quella del celebre matematico Alan Turing in The imitation game. Le sue dichiarazioni, come quelle della maggior parte dei suoi colleghi di Hollywood, sono sempre politicamente molto corrette, come, per esempio, la sua critica radicale all’uomo maschio e alla virilità che l’omosessualismo e il femminismo contemporaneo pongono alla base del rovesciamento antropologico cui stiamo assistendo, grazie alla diffusione dell’ideologia gender.
in bestia le femministe? Semplice: il più forte, cioè il cavaliere, mette la sua forza a disposizione del più debole, cioè la donna. La forza dev’essere usata per servire, non per prevaricare. Questo è il grande insegnamento della cavalleria, oggi dimenticato (con le conseguenze che ben conosciamo).
Edmund Leighton, The accolade (L’investitura), 1901
La caratteristica principale della modernità è il rifiuto delle leggi morali e religiose. Solo che le leggi morali e religiose proteggono i deboli dai forti; eliminarle, significa abbandonare i primi in balìa dei secondi.
La cavalleria ha anche contribuito a creare una struttura sociale di regole che preservano la sessualità femminile. Così si legge nell’Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth: «Le dame cortesi non degnavano di ricevere l’amore di alcuno se per tre volte non si era cimentato nell’agone. Si serbavano quindi caste le dame, e i cavalieri per amor loro divenivano più nobili». Così sono le dame a motivare i cavalieri a diventare «più nobili», più coraggiosi; e a loro volta le dame conservano la castità a causa del legame con il loro cavaliere. Funziona ancora così. Jason e Cristallina Evert sono una coppia che gira per il mondo parlando della Teologia del corpo di Giovanni Paolo II. Jason è arrivato al matrimonio vergine, Cristallina ha avuto una vita sessuale disordinata prima di scoprire la castità. Ecco le sue parole a proposito: «Io non accuso nessuno. Non dico: “Voi ragazzi siete il problema”. Sono convinta che voi ragazzi sareste dei signori se noi donne lo esigessimo». Le donne medievali hanno preteso che i loro corteggiatori si comportassero in un determinato modo. E crearono la cavalleria. Tutto è cambiato con la modernità. La caratteristica principale della modernità è il rifiuto delle leggi morali e religiose. Solo che le leggi morali e religiose proteggono i deboli dai forti; eliminarle, ovviamente, significa abbandonare i primi in balìa dei secondi. Lo aveva previsto lucidamente il Marchese de Sade che, all’interno del suo romanzo blasfemo e pornografico intitolato La filosofia del boudoir, inserì un opuscolo intitolato Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani. In sostanza: non è sufficiente rovesciare le strutture politiche, per fare la rivoluzione; è invece necessario contravvenire a tutte le regole morali e religiose, comprese quelle che proibiscono la calunnia, il furto, lo stupro, la prostituzione, l’adulterio, l’incesto, la sodomia e l’omicidio. Eliminata ogni legge morale e religiosa – come abbiamo detto – resta la legge del più forte: «[…] è incontestabile che abbiamo ricevuto dalla natura il diritto di esprimere i nostri desideri indifferentemente a tutte le donne, è incontestabile anche che abbiamo il diritto di obbligarle a sottomettersi
Che significato hanno i gesti di cortesia, che mandano in bestia le femministe? Il più forte, cioè il cavaliere, mette la sua forza a disposizione del più debole, cioè la donna. La forza dev’essere usata per servire, non per prevaricare. Questo è il grande insegnamento della cavalleria, oggi dimenticato. a questi nostri desideri, non esclusivamente (mi contraddirei), ma momentaneamente. È incontestabile che abbiamo il diritto di promulgare leggi che le costringano a cedere al fuoco di chi le desidera; essendo la violenza stessa una conseguenza di questo diritto, possiamo impiegarla legalmente. La natura non ha forse provato che abbiamo questo diritto, accordandoci la forza necessaria a sottometterle ai nostri desideri?». Ecco, quindi, che, liberata dalle leggi morali e religiose, la virilità diventa dannosa: il suo scopo non è più proteggere, servire; bensì prevaricare, opprimere. La liberazione sessuale della donna si trasforma, tragicamente, in schiavitù. Ecco, quindi, l’insegnamento: non è la virilità in sé, ad essere tossica; non il modello patriarcale. La virilità tossica è quella moderna, nella quale la forza non è al servizio del debole, ma diventa fonte del diritto. Non ci piace la virilità tossica? Rifiutiamo la modernità e torniamo alla cavalleria. Facciamo in modo che la forza sia al servizio e a protezione del debole; che gli uomini facciano dono di sé alle donne. Rifiutiamo la legge del più forte, la legge della jungla, la lotta per la sopravvivenza. Avremo protezione per il nascituro, accudimento dell’anziano e del malato, rispetto per le donne.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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I diavoli (maschi) temono le donne… Berlicche
Anni fa un noto scrittore mise le mani su un plico di lettere scritte da un diavolo esperto a un giovane demonio tentatore. La trascrizione di quei fogli è nota come Le lettere di Berlicche, di C.S. Lewis. Recentemente, su un portatile portato a riparare da non si sa chi, sono state rinvenute alcune e-mail che sembrano avere la stessa fonte di quelle lontane missive…. sono le nuovissime e-mail di Berlicche, tra cui la seguente è pertinente con il tema di questa Rivista. Attenzione, quando leggete: scrive un diavolo! Quello che lui chiama il Nemico è Dio! Il blog di Berlicche (berlicche.wordpress.com) meriterebbe decine di milioni di followers. Caro Malacoda, mio demoniaco nipote, quanto tempo che non ci sentiamo! Certo, dato che io sono uno dei più potenti arcidiavoli infernali e tu solo un Tentatore di Terza Classe, ci sarebbe da stupirsi altrimenti. Qualcuno potrebbe dire che ho dedicato anche troppo tempo a correggere con i miei consigli i tuoi errori concettuali; ma non è sforzo sprecato, se questo sottrae anche una sola anima al Nemico-che-sta-Lassù. Mi sono disturbato a scriverti oggi solo perché ho saputo che ti hanno assegnato come consigliere spirituale a una giovane mortale. Quella che puoi esercitare su di lei è solo un’influenza, ma non devi sottovalutarne gli effetti; se tu riuscissi a convertirla alla nostra causa sarebbe una grande occasione per farti
Le donne sono come i diamanti, forti ma fragili.
notare e diventare quel Tentatore di Seconda Classe che so aspiri essere. Sono al corrente del fatto che finora i tuoi protetti sono stati tutti maschi; che la mortale che dovresti portare sulla nostra cattiva strada sia un’umana femmina è una novità che potrebbe confonderti. Non credere alla nostra stessa propaganda, che suggerisce che i sessi siano intercambiabili e opzionali: sarebbe un grave errore. Quando mai abbiamo suggerito qualcosa di corretto? Le tecniche che hai usato sui soggetti maschili sono spesso inapplicabili a quelli femminili, e viceversa. La donna può essere un avversario molto più formidabile dell’uomo. È decisamente più resistente alle tentazioni, e più fedele della sua controparte. A un uomo basta sventolargli davanti potere, soldi o una femmina per fargli ripensare le sue virtù, ma se offri alla donna potere, soldi oppure uomini molto spesso ti guarderà e ti chiederà “che me ne faccio?” Non è che non ne vengano attirate, lo sono in maniera differente. È difficile da capire per i maschi della loro razza, figurarsi per demoni come noi, che riescono a
malapena a comprendere come una creatura possa sacrificarsi per qualcosa che non sia il suo interesse. Eppure è così. Sarà per questo che il Nemico le ha sempre privilegiate. Chi ha creato per ultime? A chi ha affidato Suo Figlio? Chi c’era lungo la via dolorosa, mentre lo tormentavamo? Chi sotto la Croce? A chi è apparso per primo, dopo che Quello Là ci ha dato la fregatura di risorgere? I maschietti li vedi fuggire, mentre loro rimangono; magari piangenti, ma rimangono. Sono le femmine i lampioni della strada che i servi del Nemico seguono. Agli uomini ha dato il sacerdozio come premio di consolazione. Il Nemico si serve delle donne per insegnare agli uomini ad amare, così come si serve degli uomini per evitare che questo amore degeneri in possesso. Se riusciremo a distruggere questo rapporto tra uomo e donna che il Nemico ha ideato, niente di quello che ha costruito rimarrà in piedi. Uomini che amano le donne, e donne che amano gli uomini; dobbiamo spezzare questo circolo nauseante, rendendolo vizioso. Grazie alla lungimiranza di Nostro-Padre-Che-Sta-Quaggiù è proprio su questo tema che si sono concentrati i nostri sforzi negli ultimi secoli. Siamo riusciti a convincere le donne che il solo modo di essere realizzate era assomigliare agli uomini, e non a degli uomini qualsiasi: ai peggiori tra loro, coloro che trattano gli altri con maggior disprezzo. Le abbiamo condizionate a desiderare i lavori più lontani dalla loro natura, in maniera da renderle infelici una volta che li abbiano ottenuti, e farle sentire ancora più inadeguate. Abbiamo insegnato alle femmine umane a rifiutare tutto ciò che il Nemico aveva pensato per condurle alla pienezza: la maternità, la protezione della casa, la cura degli altri. Ci siamo serviti dei nostri migliori elementi per disprezzarle, confinarle, maltrattarle in maniera da fare loro
Caravaggio, La Madonna dei Palafrenieri, 1605, Galleria Borghese - Roma.
pensare che il sesso maschile sia irredimibile, e il disprezzo diventi reciproco. Dovevamo sradicare le donne dalle case, per poterci entrare noi. Ci siamo riusciti quando abbiamo mutato la natura del sesso – sì, sai, quella attività abominevole che gli umani usavano per immettere nel mondo altri umani - da procreativo a ricreativo. Un bello smacco per il Nemico: aveva pensato quell’atto per
Perché la donna rimanga da sola deve sentirsi più minacciata che protetta dal maschio della sua specie.
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marzo 2022
Clive Staples Lewis (1898 - 1963), scrittore e teologo britannico, anglicano, professore universitario, oltre ad aver scritto le “originali” Lettere di Berlicche, è noto anche per Le cronache di Narnia da cui sono stati tratti dei film fantasy. Era amico di JRR Tolkien, l’autore de Il Signore degli anelli.
generare traendone piacere, oggi le sue creature cercano il piacere cercando di non generare. La colpa è sua, del Nemico; avrebbe dovuto fare i piccoli umani meno fastidiosi e difficili da smaltire. In ogni caso, questo cambiamento ha fratturato la relazione tra uomo e donna, portando alla promiscuità gran cosa - e quindi al divorzio - altra gran cosa - e poi all’aborto e quindi alla distruzione della famiglia; la quale ha causato l’attuale caos nella società e la magnifica situazione corrente.
Capisci? Siamo riusciti a convincere la donna contemporanea che essere una concubina senza diritti, disposta a liberarsi di tutti i legami, figli compresi, per lavorare fino alla consunzione, fosse un ideale da perseguire. Insomma, mirare ad essere ciò che erano prima che il Nemico desse loro dignità. Abbiamo tolto alla donna ciò che la rendeva tale, proprio come stiamo togliendo all’uomo ciò che lo rendeva tale, facendo di lui un ambiguo insicuro che non è in grado di
Gli uomini trovano il Cielo negli occhi delle donne; se le farai guardare da un’altra parte, quello che essi vedranno sarà un riflesso dell’inferno. Così che gli uomini, guardandole, non sappiano più dove vogliono andare, e si perdano.
proteggere alcunché. Quel circolo di amore, grazie ai nostri sforzi incessanti, è quasi infranto. Ora capisci perché ti scrivo? È importante che tu riesca a convincere la tua protetta ad abbracciare il nostro punto di vista, in maniera che possa a sua volta diffonderlo. Riempila di orgoglio quando veste abiti succinti, quando mostra le sue grazie; falla sentire forte quando si rende un oggetto, sia pure di desiderio. Suggeriscile che è potente quando tratta a sua volta gli altri come oggetti; sfrutta la sua propensione al bello per entusiasmarla dell’effimero. Falla sentire non compresa dagli uomini; così si distaccherà da loro, e loro non potranno offrirle protezione quando ne avrà bisogno - le femmine umane sono come i diamanti, forti ma fragili. Lasciata sola, sarà facile frantumarla; e non c’è niente di più abrasivo del diamante frantumato. Perché rimanga da sola deve sentirsi più minacciata che protetta dal maschio della sua specie; falla concentrare sugli episodi brutti e ignorare tutto ciò che vede di bello, in modo che dimentichi il suo stesso desiderio. Prudenza, mi raccomando: procedi per piccoli passi, pronto a morderle il piede esposto per iniettarle il tuo veleno; ma attento a non farti
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Sono le donne i lampioni della strada che gli uomini seguono. Ai maschi è stato dato il sacerdozio come premio di consolazione. schiacciare la testa. Se riuscirai a renderla sola, senza legami stabili, il filo soprannaturale che la congiunge agli uomini e fa di una coppia una fortezza sarà spezzato, e nessuno riuscirà a riannodarlo, neanche il Nemico. Gli umani si spegneranno lentamente, e il mondo terreno diventerà nostro. Capisci quindi l’importanza del compito che ti è dato? Gli uomini trovano il cielo negli occhi delle donne; se le farai guardare da un’altra parte, quello che essi vedranno sarà un riflesso dell’inferno. Così che gli uomini, guardandole, non sappiano più dove vogliono andare, e si perdano. Ed è noto che tutti quelli che si perdono arrivano quaggiù da noi, dove li masticheremo in eterno. Tuo zio, l’arcidiavolo Berlicche
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Uomini che amano le donne: la vocazione del medico ginecologo, tra scienza, cura, relazione Filippo Maria Boscia
Siamo onorati di condividere con i nostri Lettori le riflessioni inviateci dal Presidente nazionale dell’Amci (Associazione Medici Cattolici Italiani), che è un grande medico, Direttore emerito del Dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro presso la Asl di Bari, e che è anche un grande uomo e un caro amico. Mi si chiede quale “mission” dopo 50 anni di professione: con convinzione posso ancora affermare, e lo faccio con gioia, di emozionarmi nel fare medicina. Pratico la ginecologia, l’ostetricia, l’andrologia e la medicina della procreazione. Sono da sempre vicino alle donne perché di loro mi interesso in ogni fase della loro vita. Pratico in modo specifico il campo della medicina che guarda con ammirazione e stupore l’origine della vita, il desiderio di “maternità-paternità” , il nascere oggi tra cultura e tecnologia. È una medicina coinvolgente, bellissima, emozionante, ma anche spesso drammatica perché incontra gli incerti confini tra vita e non vita, tra normalità e imperfezione, tra accettazione e rifiuto. Pratico in sostanza la medicina delle emozioni,
che per me è medicina della forza, del coraggio e della responsabilità, della consapevolezza, dell’incontro tra una fiducia e una coscienza, e lavoro in una società ipertecnologica nella quale sempre più spesso si può essere chiamati in responsabilità per eventi infausti malformativi per il solo fatto di non averli individuati, fermati o interrotti. Una medicina adombrata, ahimè, a volte anche dalle politiche di scarto. Io sono sempre per la medicina dell’accoglienza, per la medicina della care, cioè del prendersi cura, e da medico che accompagna la donna dal nascere all’estremo confine della vita, ho grande rispetto e ammirazione per questa nobile figura. Fra tutte le icone umane quella della donna madre è e resta il simbolo universale di un amore trionfale, insuperabile che al contempo celebra il rispetto della vita del nato e la
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Davvero la donna è l’ostensorio del dono più grande che il Signore ci ha riservato: la vita al suo esordio. Il nome invocato più spesso nella gioia e nel dolore, al momento della nascita e nel momento in cui la vita si spegne è e sarà sempre “mamma mia”. Questo è un permanente inno di lode e ringraziamento alla donna . Esprime lo stupore e lo stupore è soprattutto adorazione. Le mani portate alla bocca da un bimbo per segnalare il suo stupore sono il gesto più innocente e più bello che io conosco! Quello stupore i bimbi lo dedicano alla donna così come noi lo rivolgiamo ai santi: stupore e adorazione spiegano il perché della mia comparazione della donna all’ostensorio. funzione generativa femminile. Mi verrebbe da dire che la donna in gravidanza è il grande vero “ostensorio della vita”, da amare, esaltare, venerare, di fronte al quale tutti dovremmo inchinarci profondamente sino ad inginocchiarci. Di fronte a questo ostensorio, da maneggiare con cura e con amore proprio per la sua fragilità, io mi ritrovo tutti i giorni della mia vita. La donna da millenni vive l’intenso legame biologico naturale: gesto semplice per alcuni, ma di fatto tanto complesso perché espressione profonda di femminilità, di tenero amore e di generosa e fiduciosa accoglienza. La maternità coincide con il grande progetto dell’attesa, che è un esistere e un resistere senza lasciarsi sopraffare dall’indifferenza, dall’impazienza e dalla paura. È grande forza psicofisica, potenzialità di verità, creatività, vero immenso “labor produttivo” che evolve verso il parto, verso la nascita, verso nuove emozioni festose, ma spesso anche rischiose, tutte ineguagliabili. In questa mia riflessione voglio parlarvi della festosità della donna, che, quale prima casa della vita umana, offre al feto la sua prima Léon Bazile Perrault, Madre con bambino, 1894
discoteca festosa, la prima “spa”, salus per aquam, del nostro esistere. Gravi-danza! Danza del nostro esistere, primo travaglio della vita, primo sentire quotidiano delle emozioni e degli affetti semplici e complessi, ma anche delle emozioni cognitivoconcettuali, che pretendono teneri, caldi,
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trascendenza che nessun altro al mondo potrà così intimamente comprendere. Il bimbo, che è custodito nella pancia della mamma, prova sensazioni di protezione e piacere, è proteso all’ascolto della sua voce, dei suoni e dei canti, percepisce il calore di sua madre, del suo esistere, della sua accoglienza, delle sue emozioni, dei suoi affetti, semplici o complessi che siano, e che saranno sempre la forza di un embrione che diventa uomo. Ogni donna nel suo esistere è la grande dimora che sa ospitare e proteggere per dare accesso al futuro. Tutto questo, e molto altro ancora, mi rende fedele estimatore delle donne e quando incrocio il loro sguardo le ammiro, coltivando in me la speranza che esse continuino ad essere, nel loro ruolo, segno di aurora, di luce e di solare eredità per il mondo futuro.
Da medico che accompagna la donna dal nascere all’estremo confine della vita, ho grande rispetto e ammirazione per questa nobile figura. amorevoli e transilluminati abbracci. La donna in sé incardina la prima scuola di vita, la mamma è il primo supremo docente di quella prima grande università della nostra esistenza, nella quale si insegnano e si apprendono le scienze affettive, tutte le più intense e profonde emozioni e tutti i più sublimi linguaggi, che includono armonie e melodie. Sì, cari Signori, nell’ovattato silenzio del corpo della donna, si celebra la prima grande lezione di vita e la mamma è il primo supremo docente. Io come medico ginecologo sono testimone di questo legame, di questo bonding, di questa unità affettiva, relazionale, nutrizionale, di questa salutare comunicazione affascinante, che silenziosamente dura nove mesi per poi andare oltre. L’utero dapprima e le mani della madre in un secondo momento, offrono rugiada ai primi giorni della vita. Benedetta è quella donna, quella casa che si offre senza onere, benedette quelle mani che coltiveranno quella suprema pianta alla quale sarà concessa oltre alla vita, affettività, memoria ed eredità. A chi oggi vuole oscurare il ruolo della donna, noi anteponiamo la madre dell’attesa, che è madre di un volto, di un corpo, di mani, e madre di quello sguardo, di quei movimenti, di quel pianto e di ogni possibile sogno e segno che è e sarà sempre il corpo del bambino. Solo la madre sa quanto pesa una ciglia del suo bambino essendo stata abitata da una Raffaello Sanzio, Madonna del Belvedere, 1506.
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La maternità coincide con il grande progetto dell’attesa, che è un esistere e un resistere senza lasciarsi sopraffare dall’indifferenza, dall’impazienza e dalla paur La maternità coincide con il grande progetto dell’attesa, che è un esistere e un resistere senza lasciarsi sopraffare dall’indifferenza, dall’impazienza e dalla paura
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Ma la morte assistita è “dignitosa, rapida e indolore”? Alex Schadenberg
Il suicidio assistito non è né indolore né dignitoso. Può esser simile alla morte per annegamento. Ho pubblicato sul mio blog, Euthanasia Prevention Coalition, diversi articoli sulla ricerca del dottor Joel Zivot, riguardanti i risultati delle autopsie di persone morte per iniezione letale. Il dottor Zivot è un professore di anestesiologia presso la Emory University School of Medicine di Atlanta. È fortemente critico rispetto alla legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia. E, con la sua esperienza, si oppone anche alle esecuzioni capitali con iniezione letale, in America. Egli è certo che il suicidio assistito non sia indolore, pacifico o dignitoso. Infatti, nella maggior parte dei casi, è una morte molto dolorosa. La pena di morte non è la stessa cosa della morte assistita, ovviamente. Le esecuzioni devono essere punizioni; l’eutanasia invece dovrebbe essere un sollievo dalla sofferenza. Eppure, sia per l’eutanasia che per le esecuzioni, vengono utilizzati preparati simili, in dosi sufficientemente elevate, che provocano la paralisi del paziente, il quale non può muovere un muscolo, non può esprimere
alcun segno esterno o visibile di dolore. Ma questo non significa che sia libero dalla sofferenza. Nel 2014 Zivot ha assistito all’iniezione letale di Marcus Wellons in una prigione della Georgia. L’uomo, a 59 anni, era stato condannato a morte per lo stupro e l’omicidio di una sua vicina di casa quindicenne, India Roberts, nel 1989. Il medico notò che le dita di Wellons erano legate con del nastro adesivo alla barella, il che aveva poco senso, dato che il suo corpo era già trattenuto da pesanti cinghie. E si chiedeva perché. Ha studiato l’argomento e si è imbattuto in un rapporto sull’esecuzione di un altro condannato a morte, Dennis McGuire, cinque mesi prima. Durante quei 24 minuti, nella prigione dell’Ohio, McGuire strinse i pugni. Forse era un’ultima, futile dimostrazione di sfida. Forse era una manifestazione esteriore di dolore. Con le dita bloccate, Wellons non ha potuto fare neanche quel gesto. Sulla base delle autopsie, inoltre, Zivot ha dimostrato che la morte per iniezione letale, che si tratti di esecuzione, eutanasia,
Quando i pazienti aiutano (possono aiutare) i medici a cambiare “farmaci” I medici esperti in sedazione e cure palliative hanno dovuto (e potuto) constatare che certi farmaci che prima si usavano regolarmente per calmare i pazienti, come il Diazepam in dosi massicce, e il Flunitrazepam, erano assolutamente da evitare. Molti pazienti, finito l’effetto della sedazione hanno testimoniato che l’uno non leniva l’angoscia e il panico per cui era stato somministrato: all’esterno egli sembrava calmo, ma “dentro” si sentiva malissimo, solo che il Diazepam gli impediva di manifestare il suo disagio. Quanto al Flunitrazepam il paziente – anche lì esteriormente calmo e sopito – in realtà soffriva di incubi e allucinazioni mostruose che lo facevano stare malissimo (senza poterlo mostrare). Perciò molti medici hanno bandito l’uso di queste sostanze: perché qualcuno – dopo averne sperimentato l’effetto – ha spiegato quali fossero gli inconvenienti. Quelli che invece sperimentano i veleni che si usano per l’eutanasia non hanno mai avuto la possibilità di testimoniare se e quanto la morte sia stata “bella” e indolore.
o suicidio assistito, è simile alla morte per annegamento. Nel 2017 ha ottenuto una serie di autopsie di condannati a morte, che hanno confermato le sue peggiori paure. Anche l’autopsia di Wellons ha mostrato che i polmoni erano profondamente congestionati, pieni di liquido, erano circa il doppio del peso normale dei polmoni sani. Aveva sofferto un edema polmonare: era annegato nelle sue stesse secrezioni. Eppure, lo sguardo clinico del
medico non aveva rilevato alcun segno di angoscia o di sofferenza nel momento dell’esecuzione. L’edema polmonare era stato causato dall’iniezione di pentobarbital. In Oregon, secondo Zivot, i quattro quinti dei suicidi assistiti si praticano con pentobarbital o sostanze molto simili. Secondo l’eutanasista Shavelson non è vero. Forse non sarà vero in Oregon, ma nei Paesi Bassi è tuttora il prodotto più usato. Se si eseguisse un esame
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A sentire i racconti sull’agonia di Terri Schiavo, di Eluana Englaro, di Charlie Gard e di Alfie Evans, sappiamo bene che chi muore per fame, per sete o per distacco del respiratore non muore senza dolore. Anzi. post mortem, è molto probabile che si trovi nei malcapitati “suicidati” con quella sostanza un analogo edema polmonare. Tra l’altro le leggi sul suicidio assistito di solito prevedono che il morente assuma il veleno da solo, senza anestesia, quindi. La morte sopraggiungerà esattamente come quella dei condannati: saranno paralizzati, non mostreranno segni di dolore, e intanto
muoiono affogati. Zivot ha trovato conferma della sua teoria con la morte per suicidio assistito della zia di Linda Van Zandt, uno degli innumerevoli esempi di persone che hanno scoperto quanto possa essere tremendo, doloroso e angosciante guardare i loro cari morire in quel modo. Linda Van Zandt ha aiutato la zia, affetta da sclerosi laterale amiotrofica, a morire in California. Ha dovuto somministrare 100 pillole polverizzate in un drink a una donna «che riusciva a malapena a ingoiare acqua», ma che «ha dovuto bere tutto il preparato in meno di cinque minuti per essere sicura che facesse effetto». Conclude: «La giornata è stata tesa e spaventosa... mentre mia zia soffriva. Questa era morte con dignità?» Zivot afferma anche che, quando sono state fornite le informazioni su come avviene la morte per iniezione letale, tre condannati a morte hanno preferito la sedia elettrica. I sostenitori della morte assistita hanno il dovere nei confronti del pubblico di essere sinceri sui dettagli dell’uccisione e del morire.
Una morte assistita in Colorado Molto raramente i media riportano la cronaca degli ultimi momenti di vita di chi sceglie la morte assistita. Quando lo fanno, normalmente descrivono una famiglia in lutto ma serena attorno al letto di una persona cara che beve un drink letale, si addormenta dolcemente e muore rapidamente. Il tutto condito di dolcezza e di amore. Tuttavia, una vedova del Colorado ha raccontato al Denver Post la morte di suo marito, ai sensi dell’End-of-Life Options Act, in un modo molto diverso. Kurt Huschle aveva un cancro incurabile del dotto biliare e non riusciva a controllare il dolore con i farmaci. Chiese, quindi, a sua moglie Susan di aiutarlo a morire. Hanno svolto le pratiche burocratiche necessarie e hanno ottenuto il veleno, consegnato il giorno prestabilito da un’infermiera che ha verificato che Kurt volesse ancora morire. La moglie ha preparato il miscuglio letale e lo ha dato a Kurt. Ma il poveretto ad ogni sorso sembrava soffocare e tossiva dolorosamente. Dopo 20 minuti, ha iniziato ad ansimare, e più di quattro ore dopo aver preso il preparato, era ancora vivo. Spaventata e sconvolta, Susan ha chiamato un medico e ha chiesto aiuto. Intanto, ha avuto l’idea che Kurt potesse essere ancora parzialmente cosciente e in grado di ascoltarla. Solo alle 20:15, più di otto ore dopo che aveva assunto il miscuglio letale, l’uomo si è alzato seduto sul letto, ha vomitato e ha smesso di respirare. La moglie è rimasta sconvolta. È impossibile sapere con quale frequenza si verificano tali eventi. Il Colorado, come la maggior parte delle regioni dove è consentita l’eutanasia, non raccoglie informazioni su quanto tempo impiegano le persone a morire.
Il dottor Joel Zivot
Anche a detta di Ezekiel Emanuel, un celebre oncologo e bioeticista americano, molte cose possono andare male nel corso di una morte procurata. Molti pazienti vomitano o comunque non prendono abbastanza veleno e si svegliano invece di morire (come si spiega anche in queste pagine).
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contribuito a creare l’American Clinicians Academy on Medical Aid in Dying, gestisce anche un forum in cui i medici si confrontano per stabilire le migliori pratiche per “suicidare” le persone. Il che vuol dire che il problema della morte non molto pacifica e dignitosa sussiste! E così si scopre che le stesse malattie di cui soffrono i pazienti possono rendere i veleni meno efficaci. Le persone con cancro gastrointestinale, ad esempio, non li assorbono bene. Gli ex consumatori di oppiacei mostrano spesso resistenza ad alcuni preparati. I giovani e gli atleti tendono ad avere un cuore più forte e possono sopravvivere più a lungo... «Stiamo imparando», dice Shavelson. «Ipotesi, dati e conferme. Questa è la scienza. Il nostro compito è fermare il cuore; questo è quello che vogliono che facciamo». E quindi, si siede al capezzale della persona che sta morendo annotando i veleni, i dosaggi, i livelli di
Tempo fa il Kaiser Health News ha promosso un nuovo cocktail di droghe della Valeant Pharmaceuticals (non dimentichiamo che anche dietro all’eutanasia c’è un bel business per le case farmaceutiche e per le cliniche-ammazzatoi): l’articolo spiega alcuni dei dettagli orribili associati con gli attuali veleni in uso per il suicidio assistito. Le persone che vogliono morire meritano di sapere che potrebbero finire per annegare, il che non è la stessa cosa che addormentarsi. Quando Zivot ha esposto le sue conclusioni alla commissione del Senato canadese che esaminava il disegno di legge sull’eutanasia, i suoi avvertimenti sono stati semplicemente ignorati, sulla base delle affermazioni di chi diceva che le esecuzioni capitali e la morte assistita sono cose diverse. È vero che sono cose diverse, ma i preparati usati sono simili e danno lo stesso risultato.
Anche il direttore di BioEdge, Michael Cook, solleva la scomoda questione in un articolo pubblicato su Mercatornet. Rileva che in Oregon, dove si raccolgono statistiche sulla modalità di morte, il tempo medio di morte in 23 anni di vigenza della legge è di 30 minuti, con picchi di quattro giorni e 8 ore. Il tempo medio per perdere conoscenza è di cinque minuti, con picchi di 6 ore. E, negli Stati Uniti, i medici che praticano i suicidi assistiti sono consapevoli di questi problemi. Il dottor Lonny Shavelson, che ha
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Sia per l’eutanasia che per le esecuzioni, vengono utilizzati veleni simili, in dosi sufficientemente elevate, che provocano la paralisi del paziente, il quale non può muovere un muscolo, non può esprimere alcun segno esterno o visibile di dolore. Ma questo non significa che sia libero dalla sofferenza.
ossigeno, il battito cardiaco e la respirazione. In questo modo «si stanno riducendo drasticamente l’incidenza di morti lunghe, faticose e strazianti». Quindi ci sono «morti lunghe, faticose e strazianti»? E com’è che non ne parlano mai i promotori della “morte assistita”? Poco è stato scritto su questo problema, ma abbastanza per far suonare i campanelli d’allarme. Anche un articolo pubblicato sul British Medical Journal Open lo scorso anno ha rilevato che sono comuni le complicazioni «che possono causare disagio al paziente, alla famiglia e al “fornitore” [di morte, ndR]»: su 163 rapporti, 40 hanno descritto tali complicazioni: difficoltà nell’ottenere o mantenere l’accesso endovenoso, il paziente che muore troppo lentamente o non muore, il paziente che muore troppo rapidamente, difficoltà a iniettare il veleno, dolore durante l’iniezione, necessità di un kit di backup, sostanze che si rivelano inappropriate. Per la somministrazione orale, le complicazioni sono la durata prolungata del processo di morte, vomito, convulsioni, disgusto nell’assumere il veleno, necessità di un’iniezione endovenosa
per porre fine all’agonia. Un articolo pubblicato su USA Today nel febbraio 2017 riportava gli esperimenti che sono stati fatti sulle persone per trovare un cocktail letale più sicuro ed economico. Alcune sostanze si sono rivelate troppo dure: bruciano la bocca e la gola dei pazienti, fanno urlare di dolore alcuni. Un altro mix di sostanze, utilizzato 67 volte, ha portato a morti che si sono protratte per ore in alcuni pazienti, fino a 31 ore in un caso. Anche un articolo di Lisa Krieger pubblicato da Medical Xpress l’8 settembre 2020 riportava che alcuni pazienti hanno impiegato sei o nove ore per morire; altri, più di tre giorni. Nessuno ha capito il perché. «Il pubblico pensa che tu prendi una pillola e il gioco è fatto», ha detto il dottor Gary Pasternak, capo ufficiale medico del Mission Hospice di San Mateo. «Ma è più complicato di così». Persino la Acamaid (citata nel riquadro) consiglia di avvisare in anticipo il paziente che potrebbe esserci bruciore. Soprattutto a causa dell’amitriptilina. Bisogna garantirgli che qualsiasi disagio è piuttosto breve, e che in genere dura solo pochi minuti prima dell’analgesia e dello stato di incoscienza. Bisogna inoltre informare con calma il paziente che interrompere l’ingestione a metà non fa che peggiorare la situazione creando un’esposizione mucosale più prolungata all’amitriptilina. Bisogna incoraggiare il paziente a continuare a deglutire per ottenere sollievo. Il suicidio assistito e/o eutanasia non può garantire una morte “pacifica, senza dolore e dignitosa”. La “morte assistita” è davvero una soluzione compassionevole?
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A lezione di genetica: le cellule staminali Giandomenico Palka
Il professor Palka, già Ordinario di Genetica Medica dell’Università G. D’Annunzio di ChietiPescara, ci offre un’altra delle sue lezioni. Questa volta ci spiega cosa sono le cellule staminali. Il termine “staminale” deriva dal tedesco stammzelle. Fu lo zoologo tedesco Ernst Haekel a coniare questo termine nel 1868. Nell’uomo le prime staminali furono scoperte nel midollo osseo nel 1961. Le staminali embrionali invece furono rilevate negli embrioni di topo nel 1981 e negli embrioni umani nel 1998. Si definiscono staminali le cellule che hanno elevata capacità moltiplicativa e che si differenziano in tutti i tipi di cellule di un organismo. Per queste caratteristiche si è ritenuto che le cellule staminali avessero grandi potenzialità terapeutiche. Le cellule staminali si classificano in totipotenti, pluripotenti, multipotenti, oligopotenti e unipotenti. --Staminali totipotenti : sono cellule capaci di formare un intero organismo. Sono lo zigote e i primi 2-4 blastomeri (cioè cellule che costituiscono la blastula, ossia un embrione molto “giovane”); --Staminali pluripotenti : sono cellule che hanno un’elevata attività moltiplicativa e
capacità di formare tutti i tipi di cellule. Queste staminali si trovano nelle blastule embrionali di una settimana e per questo sono chiamate anche Embrionic Stem Cells (Esc); --Staminali multipotenti : sono cellule che hanno buona capacità moltiplicativa e differenziativa ma inferiore a quella delle Esc. Queste cellule staminali si trovano in tutti i tessuti e organi. Sono chiamate anche Adult Stem Cells (Asc). Staminali di questo tipo si trovano anche nel cordone ombelicale, nel liquido amniotico, nei villi coriali e nei feti. Queste Asc si possono ottenere anche attraverso un processo di riprogrammazione cellulare; --Staminali oligopotenti : sono cellule capaci di differenziarsi in pochi tipi cellulari come le staminali nervose che formano i neuroni, gli astrociti, le cellule gliali (cellule nervose che occupano certi spazi nel cervello); --Staminali unipotenti : sono cellule che si differenziano in un solo tipo cellulare. Un
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esempio sono le cellule sessuali capaci di formare solo spermatozoi e ovocellule. Cellule staminali embrionali Circa 20 anni fa queste cellule fecero pensare che per le loro caratteristiche potessero cambiare la sofferenza umana. Infatti si riteneva che le Esc fossero capaci di riparare tessuti e organi, potessero ricostruire organi malati, fossero in grado di costruire organi interi. A seguito di queste possibilità, molti Paesi aprirono agenzie di controllo e svilupparono numerose linee guida per l’uso di queste cellule. Tra queste vanno ricordate la Fda (U.S. Food and drug administration), l’Ama (Australian Medical Association), la nostra Aifa. Questi enti hanno ritenuto che l’uso delle Esc non deve sollevare problemi etici, non deve comportare rischi spropositati per i pazienti, non deve determinare modifiche nel genoma; le Esc devono essere in numero adeguato a curare una malattia, devono avere una integrazione di lunga durata nel paziente e una provata efficacia terapeutica. Si sono fatti numerosi esperimenti sugli animali con le Esc che hanno dato risultati anche confortanti. Se si introduce in un topo un virus, che provoca la degenerazione dei motoneuroni del midollo spinale, il topo non cammina più, è paralizzato. Se si introducono nel punto della lesione Esc orientate a formare i motoneuroni, il topo torna a camminare, segno che la lesione è stata riparata. Questa evidenza si è osservata anche in altri disordini patologici provocati negli animali. Per questi risultati la Fda ha consentito anche alcuni trials clinici su pazienti con lesioni spinali, con diabete di tipo 1 e con cecità da degenerazione retinica. I risultati però ancora non ci sono ovvero sono inconcludenti. In altre parole la terapia con Esc è ancora
sperimentale mentre i rischi del loro uso sono ben noti. Le blastule sono già organismi con un preciso corredo genetico e con una precisa identità immunologica. Quando vengono introdotte in un organismo provocano una forte reazione immunologica che può essere letale per il paziente. Le Esc per le modalità della loro moltiplicazione quando introdotte in un altro organismo provocano teratomi, cioè tumori. Il loro numero in una blastula di una settimana è di circa 150 cellule, ma per curare una qualunque lesione o patologia ci vogliono miliardi di cellule. Nessuna ditta investirebbe un solo euro rebus sic stantibus. Qualche ricercatore temerario ha pensato di poter fare con le Esc linee cellulari immortali da cui prendere miliardi di cellule per curare una lesione o una patologia.
L’uso delle cellule staminali non dovrebbe sollevare problemi etici, non dovrebbe comportare rischi spropositati per i pazienti, non dovrebbe determinare modifiche nel genoma.
Il problema riguarda il fatto che realizzare linee cellulari non è facile e inoltre durante la loro formazione sembrano determinarsi lesioni cromosomiche e genetiche che ne mettono in dubbio il loro uso terapeutico. Infine, poiché le manipolazioni in laboratorio sono numerose, non possiamo non pensare che potrebbero insorgere anche infezioni da Prioni (proteine che causano diverse malattie, come per esempio la cd.”mucca pazza”). Alcuni anni fa, un medico americano, che si allenava al Central Park, ebbe la brillante idea di superare il problema immunologico delle Esc mediante la clonazione. Egli dichiarò esplicitamente che non voleva clonare un uomo ma voleva clonare le cellule somatiche di un paziente per correggerle e curare così la sua malattia. Non mi posso dilungare su questo problema. Per mio conto le cellule di un paziente sono le ultime che sceglierei per la cura perché non sono normali dato che hanno già causato la malattia nel paziente. Potrebbero andare bene solo per curare le lesioni traumatiche. Lasciatemi concludere questo capitolo sulle
Esc con alcune considerazioni etico-morali. Le cellule embrionali vengono prese da blastule che sono derivate da fecondazioni artificiali o da fecondazioni programmate per sperimentazioni. L’uso di queste cellule comporta sempre la soppressione dell’embrione e quindi della persona che non sarà mai più. Il problema della manipolazione dell’embrione non è un problema che riguarda solo l’Italia o il mondo cattolico, è un problema mondiale. Sopprimere embrioni, anche se con l’intento di curare malattie, è immorale e incompatibile con la dignità umana. D’altra parte la produzione di embrioni partenoti (cioè cellule uovo che attraverso un elettroshock sono state indotte a dividersi e a riprodursi come un embrione, ma senza l’intervento di uno spermatozoo), di cellule riprogrammate, di cellule ibride, di linee cellulari rappresentano i tentativi dei ricercatori per superare il problema etico-morale della distruzione degli embrioni. Cellule staminali adulte Tra i vari tipi di cellule staminali adulte, quelle che più comunemente vengono
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malattie del sangue come le leucemie, i linfomi, le emoglobinopatie, le immunodeficienze, ma non per curare le malattie nervose o cardiache. Le mesenchimali cardiache vanno bene per curare le patologie del cuore ma non quelle renali. Sono in corso numerosi trials che fanno uso delle Msc per curare diverse malattie ma i follow up sono ancora troppo brevi per discutere i risultati. Tuttavia le speranze sono molte anche se devo dire che con queste cellule non si possono curare tutte le malattie. Sono molto efficaci per curare le malattie del midollo osseo, un po’ meno per le malattie cardiache; per l’ictus si dovrà attendere, mentre per la colite ulcerosa non vanno bene. Comunque con le Msc si sono curate più di 70 malattie e i risultati conseguiti ci fanno ritenere che queste cellule siano più idonee delle Esc per curare le malattie. Shinya Yamanaka, nato a Osaka nel 1962, ha ricevuto il premio Nobel 2012 per la medicina. A proposito del suo lavoro, il sito del Premio Nobel scrive: «La nostra vita inizia quando un ovulo fecondato si divide [cioè entro 24 ore dalla fecondazione, n.d.R] e forma nuove cellule che, a loro volta, si dividono anch’esse».
usate per curare le malattie sono le cellule staminali mesenchimali (Msc) che si trovano soprattutto nel midollo osseo dove hanno funzione ematopoietica (producono cellule del sangue). Queste cellule hanno il vantaggio di non sollevare nessun problema etico, hanno una buona capacità moltiplicativa e differenziativa, anche se inferiore alle staminali embrionali. Si trovano in tutti i tessuti dove hanno la funzione di rimpiazzare le cellule che muoiono e di riparare le piccole lesioni. Le cellule
La terapia con cellule staminali embrionali è ancora sperimentale mentre i rischi del loro uso sono ben noti.
mesenchimali non provocano tumori e sono poco immunogeniche, quindi ben tollerate dall’organismo che le riceve. Esplicano la loro funzione in due modi : si moltiplicano e si differenziano in cellule che riparano la lesione e producono fattori come le citokine e le leukine che hanno funzione antinfiammatoria. Le Msc hanno anche svantaggi. La loro capacità moltiplicativa e differenziativa si riduce con gli anni ed è per questo che i donatori non devono avere un’età maggiore di 40-45 anni. Inoltre questa riduzione è legata anche alle abitudini di vita del donatore se è un fumatore, se beve alcolici, se mangia a dismisura e così via. Questo ostacolo potrebbe essere superato utilizzando le mesenchimali fetali, che sono giovani e con poca storia epigenetica. Per ottenere queste cellule è necessario l’aborto e questo non è accettabile sul piano etico-morale. Altri problemi riguardano il loro numero, che è esiguo, la loro estrazione che è difficile e il loro uso che non è efficace per tutte le malattie. Le mesenchimali del midollo osseo vanno bene per curare le
Cellule staminali del cordone ombelicale Il cordone ombelicale contiene cellule staminali simili a quelle del midollo osseo. Sono quindi cellule mesenchimali che hanno la funzione di formare globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Sono cellule che possono collocarsi come staminalità tra le Esc e le Asc. Non sono molto numerose ma sono poco immunogeniche per cui sono ben tollerate. Vengono usate per la cura di malattie del midollo osseo come leucemie e linfomi, ma
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Le cellule staminali mesenchimali hanno il vantaggio di non sollevare nessun problema etico e hanno una buona capacità moltiplicativa e differenziativa.
anche per trapianti con donatore compatibile. Possono essere conservate in bio-banche anche per 30 anni. Cellule staminali da liquido amniotico Anche queste cellule sono mesenchimali, come quelle midollari. Anche queste staminali si collocano in una via di mezzo tra le Asc e le Esc. I pregi sono l’elevata proliferazione, la capacità di differenziarsi in vari tipi cellulari, la scarsa immunogenicità, l’attività antinfiammatoria e inoltre non provocano tumori. I difetti riguardano la non facile reperibilità perché la donna deve essere incinta e sottoporsi all’amniocentesi con un rischio di aborto dello 0.5-1% (Fig3).
La cellula uovo fecondata dallo spermatozoo comincia a dividersi e a moltiplicarsi (morula). Quando nel mezzo delle cellule si forma del liquido la morula si è trasformata in blastula.
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Cellule staminali indotte La scienza riteneva che le cellule mature o differenziate non potessero essere riprogrammate, cioè non si riteneva potessero tornare ad essere embrionali. In altre parole una cellula muscolare, nervosa, epiteliale non poteva tornare indietro e diventare nuovamente cellula embrionale (Esc). Nel 2006 Yamanaka e Takahashi abolirono questo dogma perché riuscirono a riprogrammare a Esc una cellula cutanea di topo. I due ricercatori ottennero questo risultato mettendo dentro un retrovirus alcuni geni la cui funzione si svolge solo negli embrioni. La cellula riprogrammata era capace di moltiplicarsi e differenziarsi in cellule con specifiche funzioni. Il limite della tecnica consisteva nel fatto che la moltiplicazione della cellula riprogrammata era lenta. Sopperirono a questo difetto aggiungendo alla miscela il gene Myc, che induce la proliferazione cellulare. Per questa scoperta Yamanaka ebbe il premio Nobel nel 2012. Non ci sono dubbi che le cellule riprogrammate hanno vantaggi straordinari perché si sono dimostrate capaci di formare cellule mesenchimali da cui poi si sono ottenuti differenti tipi cellulari quali cellule epatiche, pancreatiche, cardiache, muscolari, epiteliali. Il loro uso non comporta problemi
Nel cordone ombelicale ci sono cellule staminali simili a quelle del midollo osseo. Vengono usate per la cura di malattie come leucemie e linfomi e per trapianti. Possono essere conservate in bio-banche anche per 30 anni.
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etici perché non si distruggono embrioni, non creano problemi immunologici perché la cellula riprogrammata deriva dal paziente che si vuole curare. Tuttavia, sebbene negli animali con queste cellule si siano curate numerose malattie, nell’uomo il loro uso non è consentito perché ci sono numerosi problemi. Le cellule riprogrammate, al pari delle embrionali, provocano tumori. Per riprogrammare la cellula somatica occorrono virus che veicolano all’interno della cellula geni embrionali specifici. I virus vanno ad integrarsi casualmente nel Dna e quindi possono determinare lesioni genomiche con insorgenza soprattutto di leucemie, come purtroppo è accaduto. La frequenza delle lesioni dovrebbe essere intorno al 20%. La riprogrammazione della cellula somatica matura non è mai completa. Gli studi condotti hanno dimostrato che ci sono zone nel genoma come i telomeri e i centromeri dei cromosomi che non si riprogrammano, la metilazione delle cellule riprogrammate non è uguale a quella delle cellule embrionali. Inoltre studi recenti hanno dimostrato che nel processo di riprogrammazione si determinano delezioni e duplicazioni del Dna e anche anomalie cromosomiche. È chiaro che tutto questo rende problematico il loro utilizzo a scopo terapeutico. Studi futuri ci diranno se queste problematiche potranno essere superate.
La questione dell’ultimo letto: il pompiere, lo sportivo e il Covid Tommaso Scandroglio
Se rimane un solo letto in terapia intensiva e vi sono due pazienti che necessitano di quel letto, a chi darlo? L’unico criterio possibile in casi di scelte tragiche come questa deve essere la probabilità di successo della terapia, senza discriminazioni in relazione alle qualità e agli attributi dei soggetti interessati. Da quando è scoppiata la pandemia è ricorrente in ambiente medico il seguente quesito di carattere etico: se rimane un solo letto in terapia intensiva e vi sono due pazienti che necessitano di quel letto, a chi darlo? Chi ha la priorità? La Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), la Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) e il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) hanno indicato come criterio quello dell’efficacia: assegniamo il letto a chi, tra i due pazienti, ne potrà beneficiare maggiormente, ossia, in termini più pratici, a chi ha maggiori probabilità di salvarsi grazie alla terapia intensiva. Il principio è intuitivo: se due persone stanno affogando e ho un solo salvagente, devo lanciarlo a chi, tra i due, ha maggiori possibilità di salvarsi, a chi userà quel
salvagente in modo più efficace. Agendo così, non si vuole la morte di uno dei due, bensì la salvezza almeno di un naufrago, tollerando la morte dell’altro. In giro per il mondo e anche qui da noi in Italia (vedi Siaarti ad inizio pandemia) c’è chi contesta questo criterio preferendone altri: l’età, la presenza di patologie, etc. Criteri che sono validi solo se calati nella situazione concreta, ossia se contribuiscono a far comprendere nello specifico quale paziente beneficerà maggiormente della terapia intensiva. Criteri quindi non validi a priori – decido prima ad esempio che tutti gli over 70 non potranno essere ricoverati in terapia intensiva – bensì validi a posteriori – questo paziente settantaduenne a motivo della sua età e del suo quadro clinico avrà minori speranze di salvarsi rispetto a quest’altro paziente quarantanovenne che non presenta nessuna comorbilità.
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Di recente, è stato proposto un altro criterio che dovrebbe scalzare quello di efficacia: la vaccinazione. C’è chi sostiene che tra un vaccinato e un non vaccinato occorre preferire il vaccinato qualora versassimo in stato di necessità, ossia ci trovassimo in una condizione di penuria di risorse (il famoso unico letto disponibile in terapia intensiva). Questo non perché il non vaccinato abbia sempre meno chances di farcela, ma perché non se lo merita. Doveva vaccinarsi e così scampare alla terapia intensiva. Insomma se l’è cercata, si è esposto volutamente ad un rischio che poteva evitare. Giusto quindi
C’è chi vorrebbe passare dal criterio dell’efficacia al criterio della vaccinazione.
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- così si argomenta - assegnare quell’unico letto a chi ha fatto di tutto per evitare conseguenze gravi, a chi si è comportato da bravo cittadino. Ovviamente questo criterio meritocratico – esempio eccellente di moralismo sanitario – è errato perché il medico, sotto l’aspetto morale, deve curare la persona al di là dei suoi meriti e – in questo caso – presunti demeriti. Il medico deve fare il medico, non il giudice o il confessore. Se seguissimo questa logica, laddove scarseggiassero le risorse sanitarie, non dovremmo curare i malati di tumore al polmone se fumatori, gli incidentati a seguito di guida pericolosa, i sovrappeso perché incapaci di resistere alle sirene del frigo, i disinvolti della bottiglia qualora il loro fegato minacciasse rappresaglie e così via. Sarebbe una discriminazione di carattere morale inaccettabile. A sostenere la validità del criterio della buona condotta oltre al dottor Mario Riccio, direttore del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Casalmaggiore, componente
del Consiglio Generale dell’Associazione “Luca Coscioni” di Roma e medico che aiutò Piergiorgio Welby a morire, troviamo anche la Consulta di Bioetica, di cui Riccio è Tesoriere, che non deve essere confusa con il Comitato Nazionale di Bioetica. La Consulta di Bioetica, tanto per inquadrare l’organismo, è un’associazione culturale iperlaicista, a favore di aborto, eutanasia, contraccezione, fecondazione artificiale, etc. Insomma, un’associazione nemica giurata dei principi non negoziabili. A metà gennaio la Consulta ha inviato una lettera al direttore del giornale Quotidiano Sanità. Nella missiva si poteva leggere che, sebbene la situazione allora attuale in Italia non configurasse scenari in cui occorreva scegliere chi curare e chi lasciare morire, sarebbe stato bene prepararsi al peggio. «In queste situazioni di scelta tragica scrivevano i 15 firmatari della lettera - la regola generale è di dare la priorità a chi ha più probabilità di farcela, privilegiando l’accesso alle terapie intensive a chi ha maggiori possibilità di avvalersene. Ma questa
regola vale sempre o a volte richiede di essere qualificata? Prendiamo un esempio: supponiamo di avere un solo mezzo disponibile, e di ricevere la richiesta urgente di elisoccorso per soccorrere un appassionato di sport estremo o un pompiere che si è ferito mentre stava facendo il proprio dovere. Sappiamo che, se soccorsi subito, sia l’uno che l’altro hanno eguale probabilità di farcela: dove mandare l’elicottero? Gli sport estremi sono leciti e nulla da dire al riguardo, ma chi li pratica sa di esporsi a rischi maggiori: sceglie di affrontarli, sa che cosa ciò comporta e se ne deve assumere la responsabilità. L’unico elisoccorso disponibile va mandato a chi è stato ferito mentre stava compiendo il proprio dovere, e non a chi si è volontariamente esposto a rischi maggiori». In realtà il caso prospettato è semplicistico e irreale. Infatti è sempre possibile applicare il principio di efficacia, anche in quella situazione. Non è realistico pensare che l’infortunio capitato ad entrambi sia identico e abbia provocato uguali danni. Fosse così, non è realistico pensare che le condizioni
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forse è un medico, un virologo, un ricercatore o un pompiere lui stesso. Perciò, se tratto in salvo, lo sportivo potrebbe salvare più vite di quelle che potrebbe salvare il vigile del fuoco. Inoltre il primo, dopo questo incidente, potrebbe ravvedersi e persuadere sui social moltissime persone a non cimentarsi negli sport estremi. Di contro il vigile del fuoco
dei pazienti – al netto dell’infortunio – siano identiche. Ma ammesso che entrambi, ad esempio, fossero in ottime condizioni prima dell’incidente, è difficile pensare che abbiano anche la stessa età, aspetto che ha un suo peso in merito all’efficacia delle cure. Ma anche nell’ipotesi che tutte queste e tre condizioni – utili per comprendere a chi maggiormente gioverà l’elicottero – fossero identiche nei due casi, l’elicottero dovrebbe recarsi dall’infortunato che si trova più vicino, perché la vicinanza e dunque la tempestività di intervento incidono sulle probabilità di sopravvivenza. Inoltre appare assai inverosimile che, congiuntamente a tutte queste condizioni, capiti anche il caso di ricevere contemporaneamente la richiesta di soccorso da parte di entrambi. E nel caso in cui l’elicottero sia già partito alla volta ad esempio dello sportivo, quel mezzo
Il medico deve fare il medico, non il giudice o il confessore.
di soccorso indispensabile per salvargli la vita è già nel possesso dello sportivo, possesso da predicarsi non nella prospettiva legale, bensì in quella del diritto naturale (per diritto naturale sono nostri i mezzi necessari per vivere), e quindi non può essere sottratto al suo “proprietario”. Diverso discorso se lo sportivo può aspettare l’elicottero e quest’ultimo, partito alla volta del luogo dove si è incidentato lo sportivo, poi vira per andare a salvare una persona che ha più urgenza di essere soccorsa: applicheremmo nuovamente il criterio di efficacia. Sarebbe poi errato applicare il principio di efficacia non limitatamente agli effetti prossimi delle cure, ma a quelli remoti, ossia non limitatamente agli effetti terapeutici, ma agli effetti di diversa natura. In altri termini qualcuno potrebbe così argomentare: salvo il vigile del fuoco perché il suo lavoro è più utile (più efficace) dell’attività dello sportivo. Applicare questo criterio ha un effetto boomerang. Infatti nulla esclude, dato che si guarda agli effetti futuri a lunga scadenza, che lo sportivo salvi più vite di quelle del pompiere. Anche lo sportivo potrebbe svolgere un lavoro di grande utilità sociale:
potrebbe in futuro commettere errori fatali nel proprio lavoro e quindi provocare il decesso di colleghi o civili. Insomma, non si può salvare Tizio o Caio facendo un calcolo di probabilità in merito ai benefici pratici che recheranno le esistenze future dell’uno e dell’altro. Dunque l’esempio proposto dalla Consulta bioetica è meramente pretestuoso e cerca in ogni modo di giustificare il criterio, proprio di un razzismo etico, che vede solo la persona virtuosa, o presunta tale, meritarsi le cure.
Dovremmo rifiutarci di curare i malati di tumore ai polmoni se fumatori?
Mario Riccio, direttore del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Casalmaggiore, componente del Consiglio Generale dell’Associazione “Luca Coscioni” e medico che aiutò Piergiorgio Welby a morire, è tesoriere della Consulta di Bioetica presieduta da Maurizio Mori, che, nella prima fase del Covid, sosteneva che il dilemma dell’ultimo letto andasse risolto in senso strettamente utilitaristico: non bisognava salvare più vite possibili, ma il maggior numero di anni di vita. Quindi, i più giovani avrebbero dovuto comunque prevalere a priori sui meno giovani.
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Aborto: nuovi dati sui rischi per la salute delle donne Francesca Romana Poleggi
Toccante testimonianza, quella di Patti Giebink: una ginecologa abortista pentita, che si è resa conto di quanto l’aborto faccia male alle donne. Eppure, la cultura della morte continua pervicacemente a negarlo. Anzi, invoca una sempre maggiore diffusione della Ru486 e dell’aborto “a domicilio”. Nel suo libro di memorie Unexpected Choice, l’ex ginecologa abortista Patti Giebink ha spiegato come l’aborto danneggia gli organi riproduttivi femminili: se l’utero viene raschiato troppo forte si formerà tessuto cicatriziale; se viene raschiato troppo delicatamente e resta qualche residuo dei tessuti del bambino o degli annessi, si rischiano emorragie ed infezioni. C’è anche il rischio che l’utero venga perforato. Secondo i dati riportati dalla dottoressa, l’8% degli aborti praticati con aspirazione
L’aborto può danneggiare gli organi riproduttivi femminili e provocare emorragie e infezioni.
avvengono in modo incompleto. La rivista Contraception dice che il 30% delle morti per aborto sono causate da infezioni. Il tasso di infezioni post aborto è del 5,8% se la donna assume antibiotici e del 9,4% in caso contrario. Secondo uno studio britannico, dice sempre la Giebink, tra il 5 e il 10% delle donne che abortiscono contraggono infezioni. Le infezioni post aborto possono avere un impatto sulle gravidanze future: il tasso di bambini nati morti aumenta del 379%. Se invece l’aborto provoca la formazione di tessuto cicatriziale nell’utero, questo può impedire in futuro l’impianto di un uovo fecondato e causare infertilità (sindrome di Asherman). Il rischio di sviluppare questa sindrome di Asherman dopo un aborto è del 13%. Se gli aborti sono ripetuti il rischio aumenta al 39%. Secondo altre fonti citate nel libro, il 42,4% delle donne con sindrome di Asherman ha avuto precedentemente almeno
un aborto. Un’altra conseguenza dell’aborto, può essere l’insufficienza cervicale che causerà aborti spontanei o parti prematuri nelle successive gravidanze. Inoltre, il libro spiega il pericolo della cd. “placenta previa”, cioè davanti al bambino, che richiede un parto cesareo e può causare gravi emorragie. Infine, la Giebink afferma che le cliniche per l’aborto sono riluttanti a riconoscere questi rischi e ammettere queste complicazioni. Spesso, quindi, le pazienti vengono mandate a casa nonostante siano in pericolo. Quando poi queste pazienti finiscono per chiamare un’ambulanza e vanno in ospedale, dove i medici del pronto soccorso non sanno cosa è successo, spesso neanche dicono di aver abortito. Oppure, lo dicono, ma vengono registrate all’accettazione come “emorragie”, o “infezioni”, o altro, senza alcuna menzione dell’aborto. La cultura della morte abortista non ammette
che l’aborto possa essere pericoloso per le donne. Continua con pervicacia a negarlo. Continua con cieca furia ad attaccare e imbavagliare chi, come ProVita & Famiglia, si adopera per sollevare la spessa coltre di omertà che è stata da mezzo secolo - ormai distesa sul problema. Anzi. È ormai diffusa e martellante a livello internazionale (e quindi anche qui da noi) la propaganda sull’aborto
la propaganda a favore della Ru486 promuove l’aborto casalingo, l’aborto fai-da-te, che moltiplica in modo esponenziale i rischi per le donne.
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I nostri Lettori sanno bene che l’aborto non è solo un problema per la salute delle donne: la prima vittima è il bambino, l’essere umano più innocente e indifeso che nonostante sua unicità e somma dignità, viene ucciso, dimenticato, cancellato.
chimico, a favore della Ru486 (il “pesticida umano”, la chiamava Jerome Lejeune). Non solo se ne vuole estendere e ampliare l’uso, ma si vuole sempre più promuoverne l’uso casalingo, l’aborto fai-da-te, che moltiplica in modo esponenziale i rischi per le donne. Il numero di denunce, di complicazioni causate dalla pillola abortiva che richiedono visite ospedaliere, nel Regno Unito rispecchiano i dati statunitensi. In Italia, l’ultima Relazione del ministero della salute, a p. 55 spiega: «Dal 2015 (...) non è ancora possibile riportare questo dato in tabella perché alcune Regioni stanno ancora aggiornando i loro sistemi di raccolta dati a tal fine». Sei anni di tempo non sono bastati. Allora, limitiamoci a ragionare sui dati inglesi e americani. In fin dei conti le sostanze per indurre l’aborto (mifepristone e prostaglandine) usate qui e lì sono sempre le stesse. Quasi il sei per cento delle donne che prendono la Ru 486 per abortire devono recarsi - con urgenza - a sottoporsi ad un
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raschiamento per completare l’aborto o per far fronte ad altre complicazioni (emorragie e infezioni). Questi sono i dati del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America. I dati del Regno Unito sono stati pubblicati di recente da Kevin Duffy, ex direttore dello sviluppo globale delle cliniche Msi Reproductive Choices (già Marie Stopes International, l’omologo inglese della Planned Parenthood americana). Duffy afferma che il tasso di complicanze registrato è coerente con i dati riportati in un rapporto del 2020 pubblicato da Marie Stopes Australia che registrava complicanze dell’aborto chimico nel 6,37% delle quali il 4,95% consistevano in aborti incompleti. Sottolinea Duffy, però, che è probabile che le donne si rechino in ospedale per il raschiamento dicendo di aver avuto un aborto spontaneo, quindi dette complicanze possono essere sottostimate. È anche possibile che le donne con complicazioni derivanti dalla Ru486 presentatesi nelle cliniche Msi siano state registrate sotto altra voce. Del resto, il Dipartimento della salute e dell’assistenza sociale (Dhsc) non registra i casi di fallimento dell’aborto farmacologico. Tra il 2019 e il 2020, Duffy ha scoperto che le chiamate di emergenza per le cure di follow-up dopo un aborto chimico sono
Patti Giebink, ostetrica ginecologa in una clinica Planned Parenthood del Sud Dakota, ha dovuto constatare che l’aborto fa male alle donne. Che le donne hanno maggiori probabilità di avere un parto prematuro dopo un aborto volontario. Che hanno maggiori probabilità di cadere in depressione e di tentare il suicidio. Alcune non superano mai il trauma post abortivo. Le donne, in fondo, sanno bene che il bambino che hanno in grembo è un essere umano unico e irripetibile. Non è solo un “grumo di cellule”, come lei stessa, ammette, aveva sempre loro raccontato.
aumentate del 54%. Inoltre, le risposte delle ambulanze a chiamate per complicazioni post aborto chimico sono aumentate del 19%. Duffy ha anche provato con i dati del Servizio sanitario nazionale inglese, Nhs, che le complicazioni da pillola abortiva sono in realtà cinque volte maggiori di quanto riportato dal Dipartimento per la salute e l’assistenza sociale. Come dicevamo, i dati del Regno Unito rispecchiano i dati degli Stati Uniti. Secondo uno studio sponsorizzato da Gynuity Health Projects (Ghp), un gruppo finanziato da organizzazioni con profondi
legami storici con il movimento eugenetico americano, il tasso di fallimento dell’aborto chimico è del 5%. Anche in Usa, però, la legge e i regolamenti sanitari non richiedono di registrare le segnalazioni degli effetti avversi della Ru486. Le aziende produttrici, Danco Laboratories e GenBioPro sarebbero tenute a segnalare solo i decessi. Ma gli ultimi dati pubblicati sulle morti per Ru486 risalgono a tre anni fa e nonostante le ripetute richieste delle associazioni prolife, il Governo, cioè la Fda (Food and Drug Administration), non ha ancora aggiornato il dato e non sa quando lo farà.
Non sapremo mai davvero quante donne soffrono e muoiono per l’aborto, perché il sistema è organizzato per non raccogliere i dati che sono quindi costantemente sottostimati.
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L’uso politico della droga Roberto Marchesini
È molto più facile governare un popolo drogato, infiacchito e sballato. Alcune “coincidenze” sul traffico di droga internazionale e vicende geopolitiche recenti fanno pensare. Di droga se ne parla fin dagli anni Settanta; e non si è mai venuto a capo di niente. Quindi perché dedicare a questo argomento un nuovo articolo? Per tentare di affrontare l’argomento da un punto di vista insolito; dall’idea, cioè, che la droga non sia altro che la continuazione della politica con altri mezzi (parafrasando, ovviamente, von Clausewitz). Partiamo da un romanzo celeberrimo che i gentili Lettori avranno sicuramente in mente: Il mondo nuovo, di Huxley. Nella distopia dell’elitista britannico, le persone erano tenute schiave tramite una droga, il Soma, distribuita dal governo; ogni volta che una persona “pensava” o mostrava irritazione o scontentezza per una situazione, interveniva il Soma a ridare serenità e docilità al potere. Curiosamente ma non troppo, Soma era anche il nome di una bevanda sacrificale che, secondo le religioni vediche, aveva il potere di unire alle divinità. Fatto sta che Huxley ha dedicato gran parte della sua vita a studiare e diffondere sostanze psicotrope che, nelle sue
intenzioni, avrebbero permesso all’umanità di compiere un ulteriore salto evolutivo. Tra i suoi interessi, ad esempio c’era l’uso dell’Lsd, la sostanza che mise fine al Free Speech Movement statunitense, ossia al movimento che contestava il potere politico e la guerra del Vietnam. Forse qualcuno ancora non sa che fu sicuramente la Cia a inondare di questa sostanza le comunità universitarie americana; era infatti l’agenzia a detenere il monopolio di fatto sull’Lsd. Abbiamo citato il Vietnam: forse giova ricordare che la produzione di oppio in questo paese aumentò vertiginosamente dopo che l’Inghilterra ne assunse il controllo nel 1886, esercitando il monopolio della sostanza dal 1910, con l’Opium Act. Nel secondo dopoguerra, la situazione del sudest asiatico divenne incandescente proprio per il controllo del traffico di droga; in quel contesto, si inserirono gli Stati Uniti. Ma cosa se ne facevano gli inglesi (e chi gli succedette, tra francesi e statunitensi) di tutto quell’oppio?
Proviamo ad affrontare l’argomento da un punto di vista insolito; dall’idea, cioè, che la droga sia la continuazione della politica con altri mezzi (parafrasando, ovviamente, von Clausewitz).
Beh, ad esempio serviva a inondare di droga gli stati che volevano depredare, per esempio la Cina. Se qualcuno ha sentito parlare di “Guerre dell’Oppio” dell’Ottocento, sa che ci riferiamo esattamente a questo: la Cina imperiale si oppose alla depredazione economica e alla riduzione in schiavitù (per dipendenza dall’oppio) della maggior parte della popolazione da parte dei britannici; gli inglesi reagirono brutalmente (seguiti da Francia e Stati Uniti) ed ecco le guerre. In seguito a questi conflitti, Hong Kong divenne una colonia britannica fino al 1997. Nel nuovo millennio la produzione di oppio si è spostata dal Triangolo d’Oro (Myanmar, Laos e Tailandia) alla Mezzaluna d’Oro (Afghanistan, Iran e Pakistan). Da quando, di preciso? Casualmente, da quando gli Stati Uniti hanno occupato l’Afghanistan. Nel 2001, quando i primi soldati americani misero piede in quel paese, la produzione di oppio si estendeva su circa 8.000 ettari; vent’anni dopo, quando gli ultimi di loro se ne andarono, era di 224.000. A proposito: come mai, dopo vent’anni di guerra per esportare la democrazia in quel paese così straordinariamente vocato per la produzione di eroina, gli americani se ne sono andati? Forse perché l’ossicodone (nome
commerciale OxyContin), ufficialmente un miracoloso antidolorifico, è stato soppiantato da una nuova droga, il Fentanyl. L’OxyContin è un oppiaceo prodotto dalla casa farmaceutica Purdue Pharma, della famiglia Sakler (patrimonio stimato: 13 miliardi di dollari); il Fentanyl, invece, prodotto in Cina, è completamente sintetico. A voler pensare male, si direbbe che, a questo punto, non vale più la pena di occupare militarmente l’Afghanistan, visto che si può produrre ottima droga senza oppio… Ah, mi sono dimenticato di citare l’ultima coincidenza: la Purdue ha annunciato la chiusura proprio nel 2020.
La produzione di oppio si è spostata dal Triangolo d’Oro alla Mezzaluna d’Oro. Da quando, guarda caso, gli Stati Uniti hanno occupato l’Afghanistan.
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Il Fenantyl è la nuova droga sintetica, che si produce senza oppio.
E vogliamo parlare dello scandalo IranContras [lo scambio di armi con ostaggi che ha coinvolto gli Usa, l’Iran e i Contras in Nicaragua, NdR]? No, rischieremmo di diventare noiosi. Ma torniamo un attimo alla morte del Free Speech Movement quando, cioè, giovani intellettuali contestatori sono stati soppiantati da una marea di hippy sballati e completamente innocui dal punto di vista politico. Facile, governare i movimenti politici. Basti pensare a ciò che è rimasto al movimento per i diritti civili dei neri dopo le morti (per mano di pazzi isolati, ovviamente) di Malcolm X e Martin Luther King. Dopo la loro morte ci pensò Hollywood a fornire ai giovani neri un nuovo modello: il pappone, che sfrutta le donne nere (ma ha una fidanzata bianca), consuma e spaccia droga, ascolta disco-music, si veste in modo sgargiante e kitsch, si muove ciondolando e adora la auto veloci. Questo è, infatti, il ritratto dei protagonisti delle
Restiamo in Italia, dove, da anni, i radicali si battono per liberalizzare la droga. Lascio al lettore ricostruire genesi e ascendenze del Partito Radicale; per ora occupiamoci di questa loro campagna. L’argomento principale (oltre a quello filosofico-liberale, per cui non esistono né bene né male e ognuno è libero di fare ciò che gli pare e piace) è questo: liberalizzando (attenzione alle parole...) la droga si toglie quel monopolio alla malavita organizzata. E chi si prenderebbe questa fetta di mercato che vale decine di miliardi di euro? Le aziende farmaceutiche, non sazie dei guadagni dei vaccini? Almeno pagherebbero le tasse, si risponde. Beh, non in Italia, certamente. E poi… cosa cambierebbe, per la società? A proposito di mafie… chi ricorda che Falcone e Borsellino furono uccisi quando cominciarono a capire che la mafia non era un fenomeno locale ma con moltissimi
La droga è certamente un male, ma anche una «struttura di peccato».
collegamenti internazionali e guidato da «menti raffinatissime»? In somma e in conclusione: molti danno una lettura della storia moderna e contemporanea alla luce della ricerca e controllo delle risorse energetiche, petrolio in primis. Forse è il caso di ampliare quella visione introducendo anche il mercato della droga e il suo uso politico. Perché la droga è certamente un male; ma, forse, è anche una «struttura di peccato», secondo la definizione che ne ha dato Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis (30 dicembre 1987).
serie cinematografiche Shaft e Superfly, che rappresentano l’inizio e il vertice più alto (o più basso) della cosiddetta blaxploitation: (genere cinematografico sullo sfruttamento dei neri) Terminato questo fenomeno cinematografico, verso la fine degli anni Settanta, la comunità nera fu sommersa da un’ondata di crack, una droga pericolosa e di bassa qualità, derivata dalla cocaina, particolarmente accessibile ai giovani neri. Incidentalmente: almeno di quest’ultima calamità che si abbatté sulla comunità nera la responsabilità ricade sull’Fbi e sulla sua operazione Cointelpro (Counter Intelligence Program). E la marea di eroina che si diffuse in Italia negli anni Settanta, e che fu la pietra tombale del cosiddetto Sessantotto? Secondo un documentario RaiStoria, anche questa era un’operazione targata Usa: operazione Bluemoon. Il documentario completo è disponibile su YouTube.
Perché gli Americani se ne sono andati dall’Afghanistan?
Il crack è una sostanza stupefacente nata in America e diffusasi a partire dagli anni ottanta. Provoca psicosi, stati paranoici, schizofrenia aggressività e alienazione. È stata originariamente concepita e sintetizzata come sostituto della cocaina, perché si può fumare e non si deve necessariamente inalare.
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In cineteca
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Lo scafandro e la farfalla
Ora pro Nobis. Storia di Ussari alati Silvana De Mari
Titolo originale: Le scaphandre et le papillon Regia: Julian Schnabel Genere: drammatico, biografico Produzione: Francia, Stati Uniti d’America Durata: 112’ Anno: 2007 Jean-Dominique Bauby, redattore di successo della nota rivista Elle, a seguito di un ictus, a soli 42 anni, si risveglia su un letto d’ospedale, dopo tre settimane di coma, impossibilitato a comunicare. Resta completamente paralizzato. Muovendo solo una palpebra riesce a scrivere un libro da cui è tratto questo film che ha ricevuto numerosi premi e candidature agli Oscar. Il corpo come uno scafandro lo imprigiona, gli impedisce qualsiasi movimento. Ma come il battito d’ali di una farfalla la sua palpebra lo mantiene vivo e gli consente di comunicare. Dopo un iniziale abbattimento morale, prende coraggio per andare avanti. Nei momenti più tristi, evade dalla realtà che lo circonda usando la sua immaginazione e la sua memoria, ricordando i momenti del suo passato più felici, le cose che avrebbe voluto fare, le persone che ha trascurato per cui ora si pente di non aver trascorso più tempo con loro, fino al litigio
In biblioteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
F. Picchi Editore
con suo padre. La sua mente gli consente di ricordare, di amare, di essere comunque incredibilmente - un uomo libero. Viene alla mente una frase che Shakespeare fa dire ad Amleto, nel secondo atto della tragedia: «O God, I could be bounded in a nutshell and feel myself the king of the universe» (O Dio, potrei essere sigillato dentro un guscio di noce e sentirmi lo stesso il re dell’universo). La sua vita da prigioniero è durata 16 mesi ed è finita il 9 marzo 1997, dieci giorni dopo la pubblicazione del suo libro. L’essere umano di fronte a un'improvvisa, terribile tragedia scopre il senso più profondo della vita, che vale la pena di essere vissuta, in ogni circostanza.
È una storia di guerra e d’amore, che ha inizio nella Grande Polonia di metà Seicento e finisce il 12 settembre 1683 davanti alle mura di Vienna, dove l’esercito cristiano – contro ogni logica e previsione, se non forse quella del Beato Marco d’Aviano – sconfisse l’esercito turco, salvando così l’intera Europa da un’invasione rovinosa. Un romanzo storico, quindi, ma con elementi comuni al genere fantasy caro alla De Mari: regni antichi, eroi generosi, il nemico sanguinario, un popolo indifeso da proteggere e un bambino salvato che diventerà salvatore. Un bambino a cui è stato permesso di nascere, che qualcuno si è rifiutato di abortire. Non per amore, magari, ma perché era giusto. Perché non si uccidono gli innocenti. Mai.
Pastor et defensor Cardinale Carlo Caffarra E-book
Il libro qui proposto è un e-book scaricabile gratuitamente dal sito www.totustuus.it e raccoglie quasi 6.000 pagine tra omelie, relazioni, interviste del compianto Cardinale Carlo Caffarra (1938 - 2017), un “combattente culturale” per la Verità. A partire dagli anni Settanta, a causa delle violente contestazioni all’enciclica di Paolo VI Humanae vitae, è stato un difensore del matrimonio, della famiglia e in particolare della procreazione umana. Il teologo Caffarra ha combattuto senza sosta, intrepido, spesso unica voce teologica fedele: deriso, calunniato, offeso, eppure nel 1995 divenne arcivescovo di Ferrara, suscitando un incredibile numero di vocazioni al sacerdozio, e nel 2004, divenne arcivescovo di Bologna.
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