(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
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IL DOVERE DI MORIRE
ANNO IX OTTOBRE 2021 RIVISTA MENSILE N. 100
p. 13
p. 17
p. 37
Manuela Antonacci
Tommaso Scandroglio
Silvana De Mari
«La malattia del mondo»: intervista a Francesco Borgonovo
Il referendum dei radicali
La trappola mortale della “sofferenza” e della “volontà”
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Notizie Pro Vita & Famiglia
ottobre 2021
Editoriale
Ci duole dover presentare ancora una volta un numero dedicato al macabro tema del fine vita. L’abbiamo intitolato Il dovere di morire perché, se entreranno in vigore le nuove leggi eutanasiche - che al momento di andare in stampa sono ancora in fieri - non solo avremo tutti il “diritto” di morire, ma anche il dovere di toglierci di mezzo, quando saremo anziani, malati, improduttivi, infelici… insomma, quando saremo un costo “insostenibile” per la società (e magari anche per i familiari). La strada scivolosa che abbiamo intrapreso già dal 2017, con la legge 219 sulle Dat, conduce a questo “esito”. La prova provata è nella cruda realtà dei Paesi - pochi - che hanno già legalizzato il suicidio assistito, o eutanasia che dir si voglia (sia chiaro che la differenza è sostanzialmente inesistente:
Allegato a questo numero: scopri come puoi trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione per sempre…
è sempre morte procurata di una persona più o meno consenziente). Leggendo gli articoli dedicati, vedrete che dovunque la morte dilaga. Si diffonde rapidamente la mentalità utilitaristica-edonistica per cui i soggetti fragili sono destinati a soccombere (alla faccia dell’inclusività di cui tutti si riempiono la bocca). Non possiamo sapere se e in che termini passerà la legge sul suicidio assistito o che esito avrà il referendum radicale sull’eutanasia. Sappiamo bene, però, che è nostro dovere continuare a testimoniare a favore della bellezza della vita e della incommensurabile dignità di ogni essere umano, che merita sempre cura, sollievo e solidarietà, senza “accanimento terapeutico”, ma senza mai abbreviare il tempo che gli è stato dato da vivere. Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
ottobre 2021
Sommario
La malattia del mondo: in cerca della cura per il nostro tempo
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Editoriale
Il trionfo della morte
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Lo sapevi che...
Adi: Advanced directive implant
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Le fake news su eutanasia e suicidio assistito
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Manuela Antonacci
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Tommaso Scandroglio
Bradley Mattes
Lorenza Perfori
L’ennesimo inganno della neolingua 11
La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello
Francesca Romana Poleggi
Versi per la vita Silvio Ghielmi
La trappola mortale della “sofferenza” e della “volontà” Silvana De Mari
Gli psichiatri devono prevenire il suicidio, non fornirlo Alex Schadenberg
Memento mori, per vivere bene Giulia Tanel
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PRO VITA E FAMIGLIA ONLUS: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina IBAN: IT89X0830535820000000058640 indicando: Nome, Cognome, Indirizzo e CAP
N. 100 — Anno IX OTTOBRE 2021
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Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM)
Perché il suicidio?
Roberto Marchesini
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RIVISTA MENSILE
Come a Bibbiano Giuliano Guzzo
Giambattista Vico e la sacralità della vita alle origini della civiltà
Codice ROC 24182
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Redazione Lorenza Perfori, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi,
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Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it
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Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
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Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero:
Clemente Sparaco
Manuela Antonacci - Mirko Ciminiello Silvana De Mari - Silvio Ghielmi Giuliano Guzzo - Roberto Marchesini
In cineteca
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Bradley Mattes - Lorenza Perfori Giuseppe Piffari - Francesca Romana Poleggi Tommaso Scandroglio - Alex Schadenberg
In biblioteca
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Clemente Sparaco - Giulia Tanel
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Notizie Pro Vita & Famiglia
ottobre 2021
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Lo sapevi che...
Aborto legale e letale: i “femminicidi” che non contano
“Cambiare sesso” a 16 anni
La disabilità non è una disgrazia
Il tribunale di Lucca ha autorizzato un ragazzino di 16 anni a cambiare nome e “genere” sui suoi documenti, in attesa dell’operazione per “cambiare sesso”. «Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire
Le indagini hanno accertato che Sarah Louis Dunn, l’anno scorso, è morta di sepsi per un aborto legale, aveva 31 anni. A parte la Blackpool Gazette, i media l’hanno completamente ignorata. Non ci sono state veglie a lume di candela, né tweet arrabbiati contro i “femminicidi”, né discorsi appassionati di influencer più o meno influenti. Dato che Sarah Louise Dunn è morta dopo un aborto, nessuno vuole saperlo. Del
alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico», scrivono i giudici, i quali, ancora una volta si mostrano asserviti all’ideologia cieca che non vede, ad esempio, il dramma vissuto dai tanti che dopo qualche anno si rendono conto dell’errore commesso. Un errore che di rado è rimediabile.
Spiegare ai bambini che l’aborto è normale Bisogna insegnare ai bambini che l’aborto è una bella cosa. In America sono stati prodotti libri per bambini che normalizzano la soppressione dei bambini nel grembo, con la scusa falsa e menzognera che non siano anche loro esseri umani. Esistono associazioni come Shout Your Abortion (Grida ai quattro venti del tuo aborto) che appoggiano tali progetti editoriali. Il messaggio per i
bambini è che la gravidanza non coinvolge un bambino ma un “forse bambino”, quindi l’aborto va bene. Una ragazza di 17 anni, anche lei autrice di un libro del genere, spiega che pensava che l’aborto fosse sbagliato, fino a quando sua madre, che ha abortito, l’ha convinta del contrario e conclude: «Oh, gli aborti sono normali da morire!». Già, proprio da... morire.
Libri coraggiosi Brave Books (libri coraggiosi) è una casa editrice statunitense, che sta creando libri per bambini che affrontano la propaganda Lgbtqia(...) a testa alta, in modo divertente e facilmente comprensibile. In Gli elefanti non sono uccelli, per esempio, si spiega l’ovvia differenza e la confusione che riesce a generare con le sue bugie l’Avvoltoio Cultura. Il fondatore dell’organizzazione, Trent Talbot, vuole aiutare i genitori a rifondare
valori veri e sano realismo nei figli, «i valori di cui hanno bisogno per lavorare sodo, prendersi cura dei più deboli, apprezzare la libertà». La grande marcia di distruzione intellettuale prosegue, lo aveva profetizzato Chesterton cento anni orsono, è ora il tempo di affermare con ancora più forza che due più due fa quattro, le foglie sono verdi d’estate e gli elefanti non volano.
Ha risposto così a Interris, Giusy Versace, che ha perso le gambe a 28 anni per un incidente stradale, quando le hanno chiesto se sia possibile vivere una vita felice e piena anche nella disabilità: «Assolutamente sì, la disabilità non è una disgrazia. La vita è difficile per tutti, non solo per chi ha un handicap. Conosco persone ricchissime ma che non sono felici. Anche la salute spesso la diamo per scontata, ma non lo è. La vita è difficile e non fa sconti a nessuno, ma al contempo è bellissima, perché regala occasioni, opportunità, incontri, sorrisi ogni giorno. Non posso piangermi addosso; anche se lo facessi, non mi ricrescerebbero le gambe! Per me è invece
resto, i media e la propaganda hanno impiegato decenni per inculcare l’ingannevole narrativa secondo cui l’aborto legale è sicuro. Anzi è necessario per salvare la vita delle donne. Quindi, le donne come Sarah Louise vanno cancellate. E sono tante. Ma non sapremo mai davvero quante sono, anche perché le loro morti sono di solito rubricate sotto altra voce.
importante cercare di cogliere le occasioni che la vita mi dà ogni giorno. La vita è un grande dono – questo l’ho capito soprattutto dopo l’incidente, prima la davo un po’ per scontata – che affronto col sorriso, perché è il modo migliore per ringraziare Dio delle tante opportunità che mi ha date e per il fatto che, anche con due protesi, riesco a fare un sacco di cose, come vincere i Campionati Europei di atletica, partecipare e vincere una gara di ballo "pazzesca" come Ballando con le Stelle, interpretare l’Aquila al Carnevale di Venezia… mi manca solo di andare sulla Luna!».
Il più grande nemico dei trans? La famiglia Due esempi. Jules Joanne Gleeson, attivista trans molto noto, scrittore e coauture del libro Trans Marxism, insiste sul fatto che il nucleo familiare è uno strumento che genera transfobia, quindi deve essere sostituito con legami queer, non convenzionali e «non controllati»: la famiglia è «plasmata dalla supremazia bianca», e dal «capitalismo e razzismo sistemico». Gleeson, che è anche uno di quelli che sostiene che debbano essere abolite pure le prigioni, dice che nemmeno le «famiglie queer» sono perfettamente in grado di non far danni: devono proprio essere aboliti i «nuclei familiari privati»: abolire la
famiglia significa lasciare che i rapporti che sbocciano spontaneamente siano incontrollati. In un video creato il giorno della festa della mamma, il ciclista canadese Veronica Ivy (che è maschio e gareggia - e vince - con le donne), già noto come Rachel McKinnon, consigliava ai ragazzi trans di andarsene di casa: lì fuori c’è la comunità trans pronta ad accoglierli. E i Paesi “inclusivi” e “democratici” continuano ad approvare norme che permettono ai minori di iniziare l’iter di “cambiamento del sesso” all’insaputa dei genitori o senza il loro consenso, tanto che i servizi sociali possono sottrarli alle famiglie.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Carissimo Brandi, buongiorno. Non lo sapevo. Non sapevo della vicinanza sua alla carissima Chiara Corbello. E, francamente, un po’ la invidio. Lei è stato accanto a una testimone di fede vissuta nella carne. San Paolo chiede a noi, tiepidi e distratti: «Imitatores mei estote sicut et ego Christi» (siate miei imitatori come io lo sono di Cristo). E come non condividere la perentoria condanna di una civiltà che si consegna docile e indolente ad una consuetudine abortiva ed eutanasica. «Gargarismi», li ha definiti Houellebecq. E se è vero che all’uomo, preso nella sua singolarità, si deve rispetto, come non desiderare la distruzione di un’idea malefica e ripugnante! Singolare constatazione. Sono per lo più i laici, alcuni anche apertamente agnostici, a condannare i Demoni del Bene [è il titolo di un saggio di Alain De Benoist che mette in luce il “nuovo ordine morale”, l’ideologia gender, ecc., ndR]. Come fu un agnostico, un filosofo “disordinato” come Paul Feyerabend, in Addio alla ragione, a dire che lo spirito di Auschwitz è ancora in mezzo a noi. Fu un’ubriacatura scientista che non si esaurì nemmeno a guerra conclusa. E quando Feyerabend affigge essere lo spirito di Auschwitz ancora in mezzo a noi, proclama il fallimento della pedagogia della Storia. È scomparso in noi il concetto di peccato. Sia in senso etico (perché si nega l’esistenza del diritto naturale), sia in senso religioso. E le coscienze, singolarmente irretite dal serpente tentatore, portano all’apoteosi lo smisurato orgoglio degli esseri umani, commune peccatum ad omnia (peccato comune a tutti i peccati). A nulla è servita la terrificante esperienza della storia novecentesca e il suo «spirito di Auschwitz», che non fu insufflato nei popoli da una minoranza diabolica. No, fu
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«C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta» (Walter Benjamin, Angelus Novus, tr. it. Einaudi 1961, p. 80).
concepito, esposto e diffuso da eminenti scienziati e reso “commerciabile” da un sentire comune. La Germania non arriva al sistema concentrazionario ed eliminazionista per un accidente storico. No. È la naturale destinazione del tradimento ippocratico di un allegro e spensierato stuolo di sedicenti medici “umanisti”, ben più antichi del Nazionalsocialismo. La degenerazione razziale/biologica, unita a una considerevole passione per l’eugenetica razziale, irretì la comunità scientifica americana. Riflesso Galtoniano [sir Francis Galton (1882-1911) è stato un esploratore, antropologo e climatologo britannico e patrocinatore dell’eugenetica, termine da lui creato], espressione di un solido convincimento "scientifico". L’Università di Heidelberg conferì, nel 1936, lauree ad honorem ad Harry H. Laughlin, assistente di Davenport a Cold Spring Harbor: un medico che sosteneva l’opportunità di uccidere i bambini ritardati. Surrettiziamente, oggi, s’avanza perentorio lo stesso spirito. Le menti si consegnano, pur in un momento di presunzione cognitiva, alla deriva eugenetica. Lo stesso scientismo pervasivo e fraudolento si inalbera e viene, a dosi tossiche, somministrato a una popolazione insulsa, e acritica e spensierata. E così, tutt’oggi, esasperati da una pletora di esperti che vengono al proscenio, rileggiamo I medici nazisti, di Robert Jay Lifton, che sulla base di interviste a vittime e carnefici dei lager, indaga sui motivi psicologici che hanno reso possibile nei medici nazisti la sostituzione del dovere di guarire con quello di uccidere. Uomini normali sono divenuti capaci di compiere atti disumani: «I progetti di genocidio richiedono la partecipazione attiva di professionisti colti - medici, scienziati, ingegneri, capi militari, avvocati, professori
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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di università e altri insegnanti - i quali uniscano i loro sforzi per creare non solo la tecnologia del genocidio ma gran parte della sua giustificazione ideologica, del suo clima morale e del suo processo organizzativo». È già accaduto. Non ha insegnato nulla. Konrad Lorenz si vide assegnare il Nobel nel 1973 dopo avere scritto le aberrazioni che scrisse. Per esempio: «Contro la sovrappopolazione l’umanità non ha mai intrapreso nulla di sensato. Si potrebbe perciò avere una certa simpatia per l’Aids. È una minaccia che potrebbe decimare l’umanità e impedirle altre imprese minacciose». Lorenz era uno che aveva equiparato le oche agli esseri umani e che sperava «[...] che il Nazionalsocialismo portasse qualcosa di buono, in particolare alla preservazione dell’integrità biologica dell’uomo… Che dicendo “eliminazione della degenerazione” o “selezione”, la gente intendesse “omicidio”, questo allora io non lo ho mai creduto. Così ingenuo, così stupido - usi il termine che vuole - ero in quel periodo». Ecco il criterio con il quale la comunità scientifica assegna il Nobel. L’ingenuità frammista a una sesquipedale stupidità. Benno Müller-Hill, biologo e scrittore tedesco (1933-2018), scrive: «È anche troppo conseguente che, dopo la caduta del Nazionalsocialismo, egli - Konrad Lorenz - abbia continuato a scrivere come se nei suoi scritti precedenti non vi fosse nulla da correggere. Il premio Nobel a lui assegnato mi pare sia anche il coronamento, tipico del mondo occidentale, di questa influenza scientifica». In America era stata da poco “ridimostrata” la stupidità genetica dei negri (1969). Nel 1965, l’antropologo tedesco Hans Weinert, in Handbuch der Biologie, scriveva: «E molto di ciò che ha reso gli Ebrei odiati o spregevoli agli occhi dei popoli che li ospitavano va addebitato anche agli aspetti somatici esterni di questi ebrei orientali». Lo stesso aveva scritto nel 1934: «Ci troviamo all’inizio di una nuova epoca, l’uomo stesso riconosce le leggi del vivente che lo modellano individualmente e collettivamente; e lo Stato nazionalsocialista si è dato il diritto per quel che è in suo potere, d’influenzare il divenire umano come esigono il benessere del popolo e dello Stato». Eviterò citazioni di tribunali “democratici” che a guerra conclusa assolsero molti di quei demòni. La Storia, ignorata, si ripete. Io termino, da cattolico, con Paul Feyerabend, che cattolico non era: «[…] Tuttavia, la legge è ancora invadente, l’idea di una ricerca libera ed indipendente è una chimera… È un peccato che la Chiesa di oggi, spaventata dal clamore universale sollevato dai lupi scientifici, preferisca ululare insieme a loro invece di educarli alle buone maniere». Cordialmente, Giuseppe Piffari
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La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello
Poiché questo numero di ottobre va in stampa i primi di settembre, possiamo dar conto solo delle principali attività estive, che non sono state descritte nel numero scorso. Ringraziamo tutti i nostri volontari che in tutta Italia, anche d’estate, hanno dedicato il loro tempo e le loro energie per trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione. 24 e 25 luglio - A Trapani, Palermo, e Pescara il nostro volontario padre Bruno, coadiuvato dai referenti di vari Circoli siciliani, e la nostra Carola, srotolano il Bandierone da 600 mq con la scritta “Restiamo liberi” contro il ddl Zan. Il 28 luglio, grazie al nostro volontario Francesco, abbiamo allestito un’edizione di “Un dono per la vita” a Bologna. Il 31 luglio, a Fidenza (PR), il nostro volontario Domenico distribuisce materiale di PVF durante un gazebo informativo sul ddl Zan, con volantinaggio e raccolta firme per varie petizioni. Il 1 agosto, a Marina di Grosseto (GR), Jacopo Coghe partecipa al convegno: “Ddl Zan. Il pericolo di pensare, il pericolo di parlare”. Il 2 agosto, a Bologna, il nostro volontario Francesco organizza un incontro con S.E.R. Cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo metropolita, per presentargli PVF e la futura campagna contro la sessualizzazione dei minori sui media.
Il 7 agosto, a Cesenatico (FC), nuova campagna di affissioni contro il ddl Zan, organizzata dai referenti di PVF Emilia-Romagna in collaborazione con Associazione Culturale San Michele Arcangelo, il Comitato Difendiamo i Nostri Figli Bologna, il Centro Culturale G.K. Chesterton e il MpV Cesena. La campagna viene estesa a Ravenna, Rimini, Cesena, Forlì, Bologna e Cervia-Milano Marittima (RA). Il 14 agosto, a Schio (VI), con il contributo dell’imprenditore Roberto Brazzale e dell’Associazione Maria Regina dell’Amore, si è tenuta un’altra edizione di “Un dono per la vita”; e il 15 agosto, sempre a Schio, la nostra volontaria Luisa ha allestito, assieme al Movimento Con Cristo per la Vita, un banchetto per la Vita e la Famiglia, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. Stessa cosa, il 21 agosto, a Genova, è stata organizzata dal nostro volontario Gianrenato, assieme alle Sentinelle in Piedi. Il 22 agosto, a Milano, volantinaggio contro l’eutanasia da parte del nostro volontario Angelo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
ottobre 2021
La malattia del mondo: in cerca della cura per il nostro tempo
Versi per la vita SUICIDIO PROGRESSIVO Questa vecchiaia inerte dà fastidio per progressivo cumulo di spese, pertanto vien proposto il suicidio, legale, disinvolto e anche cortese. Quei nascituri bimbi in Paradiso ora ci guarderanno con sorriso. Non possono fornire contributi, furon costretti a mantenersi muti. In fondo, poi, non c’è grande divario, tutto l’insieme è detto volontario ed è beato chi la beve e crede che tutto questo è fatto in buona fede essendo ineluttabile processo di mesta assuefazione e di progresso.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano,
Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
Intervista a Francesco Borgonovo Manuela Antonacci
Abbiamo chiesto al vicedirettore del quotidiano La Verità di parlarci del suo ultimo libro, edito dalla Utet In questo periodo di emergenza sanitaria che sembra non finire mai, insieme ai virologi, dalle cui dichiarazioni sibilline (spesso contrastanti) sembra dipendere la nostra sorte, un ruolo chiave l’ha sicuramente rivestito il mondo dell’informazione, che ha avuto un compito non facile e una responsabilità non piccola e che non sempre ha avuto la lucidità di sottrarsi, anche in questo campo, a una visione “politicamente corretta” di quanto si stava manifestando, a prescindere dalla ricerca della verità. Con Borgonovo abbiamo voluto soffermarci sulla radice morale e filosofica di quanto ci sta accadendo, e che si manifesta più che mai in questa condizione di vulnerabilità globale, emersa con il Covid. «Il coronavirus ha smascherato tutta la fragilità del modello di società, economia, politica che sembrava poter dominare incontrastato il nostro mondo», scrive
Borgonovo. Una delle cause di tale vulnerabilità è l’abbattimento dei confini: il confine della specie, il cosiddetto “spillover” termine che ha costituito il titolo anche del best seller di David Quammen in cui viene spiegata l’origine della prima grande epidemia di Sars agli inizi del 2000, ma anche l'abbattimento di confini geografici che hanno portato il virus a diffondersi dalla Cina, in Germania, fino all’Italia. Con la disgregazione dei confini è arrivata la morte; con l’imposizione del limite, del confine, anche spaziale e territoriale, si tutela la vita. Per salvarci la pelle abbiamo dovuto ripristinare i confini, rinchiudendoci in casa e, l’autore sottolinea, «abbiamo continuato, ora dopo ora, a disinfettare, pulire la pelle, cioè il primo confine che ci separa dal mondo esterno». «La pelle racchiude il corpo, i limiti del sé». Quindi abbiamo protetto la pelle, un confine.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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Lei ad un certo punto accenna anche al ruolo della Chiesa in tutto questo e ha voluto individuare il superamento di un confine che ha minato l’identità stessa della Chiesa, il superamento del suo ruolo “trascendente”. Questa dinamica trascendenza-immanenza che si sta affermando quasi nei termini di una lotta all’interno della Chiesa, è una lotta tra confini?
«Il coronavirus ha smascherato tutta la fragilità del modello di società, economia, politica che sembrava poter dominare incontrastato il nostro mondo»
demonizzato e trattato come un pazzo».
Ci sembra di capire che la tesi di fondo del suo libro (passando per la disamina del sano concetto di “limite” inteso sia come confine fisico, ma anche come “argine” a tutto ciò che può essere dannoso) sia che la fragilità che ha mostrato, e sta mostrando, la nostra società nell’affrontare la pandemia derivi in ultima analisi dall’eliminazione dei confini morali del buonsenso, è così? «Sì, più che altro dall’eliminazione dell’ordine verticale della tradizione e dei valori che contraddistinguono questa tradizione, in qualche modo ci siamo lasciati trascinare da tutte le malattie della modernità. Un esempio è il modo in cui abbiamo innalzato la scienza a nuova religione, anche lì fatichiamo a ragionare con la nostra testa. Pensiamo al green pass, in cui si ripropone quello che sta avvenendo col gender: chi non è d’accordo, è
Per quanto riguarda l’abbattimento dei confini territoriali, Lei parla di “ideologia talassocratica” del confine sempre aperto, con la contraddizione che poi, durante la prima pandemia, i cittadini italiani si sono visti limitati anche negli spostamenti attorno a casa... «Il cittadino che fa due passi non porta alcun profitto», sottolinea, «il migrante che arriva sul barcone può essere immesso nel circuito dell’accoglienza che ancora garantisce affari a molti». Non è forse l’effetto visibile dell’azione devastante della desovranizzazione capitalistica che, a lungo andare, può segnare la fine della democrazia? «Sicuramente l’effetto della globalizzazione, della forza propulsiva della globalizzazione così come l’abbiamo organizzata, è stato il neoliberismo, che prevede che non ci siano confini, perché si basa sulla libera circolazione di uomini e di merci. Ma poi succede anche che gli uomini diventino merce e finisce male. In realtà i confini non scompaiono, così come non scompaiono le identità, perché è un’illusione, la globalizzazione. Ci sono delle necessità fortissime nell’essere umano, che non possono essere cancellate, al massimo possono essere sostituite o simulate. Ad esempio vogliamo cancellare la religione e ci siamo ritrovati con la religione della scienza. Vogliamo cancellare i confini, ma li abbiamo semplicemente ristretti. I confini, oggi, siamo noi: come se fosse una barriera sempre più
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L’autore del libro, Francesco Borgonovo
ristretta che, durante il primo lockdown, si è chiusa intorno alle nostre case, adesso si è chiusa intorno a noi stessi: si è creato un lasciapassare per andare in giro, alcuni potranno entrare nei luoghi pubblici, altri no. Ma soprattutto tendiamo a essere isolati, a essere soli, anche quello è un confine. Il confine è sempre casa tua, perché dove ti porta questa ideologia è a chiuderti in te stesso, a rompere i legami sociali, a stare isolato. Il confine c’è ma è meno visibile. È un confine imposto, eppure è entrato in vigore il green pass, ma continua l’immigrazione di massa, ci sono delle forti contraddizioni in tutto questo».
«È una lotta per mantenere la propria forma nel mondo liquido, dove tutte le forme si sciolgono. Io credo che la Chiesa abbia ceduto un po’ a questa tendenza. Ha messo da parte la trascendenza, nel momento in cui viene prima la difesa del corpo fisico, allora c’è un enorme cambiamento anche nei cattolici. Eppure noi abbiamo avuto esempi di santi che recuperavano lebbrosi, che consideravano più importante della salvezza fisica, quella dell’anima. In tutto ciò la Chiesa non ha mai trascurato il corpo, attenzione: pensiamo a papa Giovanni Paolo II e alla sua teologia del corpo. Però l’anima è sempre venuta prima del corpo, invece adesso viene prima la difesa del corpo, è anche una forma di paura, un culto degli idoli, perché l’idolo è un corpo, perché non hai più nulla che lo trascenda». Lei scrive: «Nei giorni del coronavirus, la polizia del pensiero antirazzista richiedeva veri e propri atti di fede a giornalisti e intellettuali: per evitare l’accusa infamante di razzismo bisognava dare prova d’amore verso i cinesi». Questa è una forte contraddizione... «È una contraddizione fortissima che ha delle radici storiche. In nome della tolleranza
«Tendiamo a essere isolati, a essere soli, anche quello è un confine. Il confine è sempre casa tua, perché dove ti porta questa ideologia è a chiuderti in te stesso, a rompere i legami sociali, a stare isolato»
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Il trionfo della morte Tommaso Scandroglio
Nella prossima primavera potrebbe essere indetto un referendum promosso dai Radicali per la legalizzazione dell’eutanasia (attiva): si compirà così del tutto il “trionfo della morte” iniziato dalla legge sulle Dat e dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale
e dell’eguaglianza, sono secoli che vengono commesse in Occidente delle atrocità. Paradossalmente il razzismo vero, ideologico nasce dallo stesso ambiente progressista che oggi è diventato antirazzista. Nasce dallo sviluppo della scienza, dalla divisione in razze, che oggi si è tramutato in
altre forme di razzismo che oggi non è più su base etnica ma su base ideologica, cioè quello di destra va discriminato, il cattolico va discriminato, a meno che non aderisca a certe posizioni, i presunti no vax vanno discriminati. Cioè è molto più violento l’antirazzismo di oggi».
«L’anima è sempre venuta prima del corpo, invece adesso viene prima la difesa del corpo; è anche una forma di paura, un culto degli idoli, perché l’idolo è un corpo, perché non hai più nulla che lo trascenda»
Qual è il quadro giuridico in Italia sul tema eutanasia? Possiamo dire che ad oggi sono tre i personaggi principali di questo quadro a tinte fosche. Il primo personaggio è la legge 219/2017, che permette l’eutanasia tramite il mancato avvio o l’interruzione di qualsiasi trattamento vitale, tra i quali idratazione e nutrizione assistita (e implicitamente anche la ventilazione assistita), oppure tramite la sedazione continua profonda. Trattasi, come vedremo meglio in seguito, di condotte che possono essere configurate nella fattispecie giuridica dell’omicidio del consenziente ma ormai non più sanzionabili, quindi legittime. Il secondo personaggio è la sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 che, fino a quando non ci sarà una legge ad hoc, legittimerà il suicidio assistito in presenza di quattro condizioni. A questo proposito citiamo la stessa sentenza: la Corte «esclude la punibilità di chi […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario
nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». Il terzo personaggio è un disegno di legge dal titolo “Rifiuto dei trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”. In buona sostanza si tratta di legittimare il suicidio assistito nel rispetto delle medesime condizioni previste dalla Corte: è la sentenza della Corte fattasi legge. Il disegno di legge nasce dall’invito della Consulta a legiferare in materia. Il quadro giuridico però potrebbe arricchirsi - o meglio: impoverirsi - con l’arrivo di un quarto personaggio: un referendum che prevede l’abrogazione di parte dell’art. 579 del Codice penale, che sanziona il reato di omicidio del consenziente, al fine di legittimare l’iniezione letale. A questo referendum sta lavorando Marco Cappato, in collaborazione con l’Associazione “Luca Coscioni” e con il Comitato promotore di cui fanno parte il Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, +Europa, oltre ai Radicali Italiani. Il referendum popolare potrebbe svolgersi nella primavera del 2022. L’art. 579 oggi così recita: «Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto;
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Il trionfo della morte di Pieter Bruegel il Vecchio è una tempera e olio su tavola del Cinquecento, conservato al Museo del Prado di Madrid
contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno». Il referendum mira ad eliminare da questo articolo le parole «la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo
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61». In sintesi l’esito sarebbe il seguente: uccidere una persona con il suo consenso non sarà più reato, eccetto nel caso in cui la vittima sia un minore o un incapace o nel caso in cui il consenso sia stato estorto in qualsiasi modo. Se questo articolo venisse così modificato, non solo il medico non finirebbe più in galera per avere praticato una iniezione letale con il benestare del paziente, ma chiunque avesse ucciso un’altra persona con il suo consenso in qualsiasi modo: usando una pistola, un coltello, una corda, del veleno. La proposta referendaria radicale è la
A seguito dell’assoluzione di Marco Cappato per l’uccisione di Dj Fabo, la Corte Costituzionale, usurpando i poteri del Parlamento (e quindi la sovranità popolare), ha sancito che il suicidio assistito non è reato
conclusione logica di un percorso iniziato con la legge 219 prima menzionata (in realtà un percorso iniziato ben prima con i plurimi interventi di una magistratura assai proeutanasia). Questa legge sostanzialmente permette l’eutanasia tramite il distacco di alcuni macchinari grazie ai quali il paziente è tenuto in vita. Vero è che anche il paziente oncologico potrebbe avvalersi di tale norma al fine di poter morire, chiedendo ad esempio una sedazione continua profonda, senza ricorrere all’iniezione letale. Ma l’iter sarebbe troppo macchinoso e poi, per i radicali, non solo è importante il risultato pratico, ma anche il risultato giuridico e l’orientamento culturale che, tramite le leggi, si imprime alla coscienza collettiva. Ecco allora le battaglie legali sul caso Dj Fabo che hanno portato dapprima alla già ricordata sentenza della Consulta e poi al disegno di legge sul suicidio assistito. Dopo il distacco dalle macchine, la sedazione profonda e il suicidio assistito dove il medico consegna al paziente un preparato letale, mancava l’iniezione letale fatta dal medico stesso. Ecco quindi un referendum per chiederla. Il tutto ha una sua logica: se è legittimo procurare la morte dell’innocente tramite le modalità prima ricordate, non si vede il motivo di vietare un’altra modalità di uccidere, ossia l’iniezione letale. D’altronde anche interrompere la nutrizione e l’idratazione assistite ex lege 219 è una modalità di praticare l’omicidio del consenziente. Se è permesso l’omicidio del consenziente in un caso, non si vede il motivo di vietare le altre modalità per ottenere lo stesso risultato. E dunque, accettato il fine - è legittima l’eutanasia -, non si possono che accettare tutti i mezzi per soddisfare questo fine. Accettate le premesse non si possono che accettare anche le relative conclusioni. In caso contrario cadremmo nell’irragionevolezza, Il trionfo della morte, di autore sconosciuto, è un affresco della metà del Quattrocento conservato a Palazzo Abatellis, a Palermo
Già nel 2017 la legge 219, quella sulle Dat, ha introdotto l’eutanasia “passiva”, attraverso la sospensione di cure, cibo, acqua e ventilazione nella discriminazione tra pazienti, tra situazioni. E infatti l’Associazione Luca Coscioni cosa scrive sul suo sito nella pagina dedicata al referendum? «Proprio al fine di non creare discriminazioni tra tipi di malati, emerge l’esigenza di ammettere l’eutanasia a prescindere dalle modalità della sua esecuzione concreta (attiva od omissiva)». Torniamo a come muterebbe radicalmente l’art. 579 cp, se il referendum avesse successo: se i radicali vincessero, l’omicidio del consenziente sarebbe legittimo sempre e comunque. Infatti la norma che sopravvivrebbe ai tagli del referendum non prevederebbe nessuna condizione per rendere illegittimo l’omicidio del consenziente. Su questo punto però la già menzionata Associazione Luca Coscioni così si esprime: «Con questo intervento referendario
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Per i radicali non solo è importante il risultato pratico, ma anche il risultato giuridico e l’orientamento culturale che, tramite le leggi, si imprime alla coscienza collettiva l’eutanasia attiva sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”. […] La Corte, essendo intervenuta nella sentenza Cappato sull’art. 580 cp, può fare ricadere la disposizione come abrogata in una cornice normativa già delineata dalle sue pronunce in materia. La norma che residua, infatti, ha al suo interno l’espressione “col consenso di lui”, il cui significato risulta coordinato
alle leggi dell’ordinamento e agli interventi della Corte». I radicali ci stanno dicendo: attenzione, se passa il referendum non potrete uccidere chi volete semplicemente con il suo consenso, occorrerà rispettare anche le condizioni previste dalla legge 219 e quelle indicate dalla Consulta. Ma le cose non staranno così perché la legge 219 prevede un certo iter e alcuni vincoli ma non in riferimento a tutti i casi di omicidio del consenziente e così pure la sentenza della Corte costituzionale. Affinchè si debbano applicare le condizioni all’omicidio del consenziente richiamate dai radicali occorrerà o una modifica in tal senso della legge 219 oppure una legge ad hoc o un altro intervento della Consulta che ha ormai da tempo rivestito i panni del legislatore. I radicali danno per scontato che la Corte nel momento in cui abrogherà parzialmente l’art. 579 cp inserirà questi vincoli, ma la cosa non è certa. Quello che è certo è che i radicali vanno per la loro strada, una strada che prevede l’eutanasia sempre, per tutti e con qualsiasi mezzo.
Il trionfo della morte di Buonamico di Martino, detto Buffalmacco, eseguito nella prima metà del Trecento, si trova al Camposanto di Pisa
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Adi: Advanced directive implant Bradley Mattes
Il direttore esecutivo del Life Issues Institute ci presenta il chip per “la morte assistita”, o meglio l’“impianto per direttiva anticipata” che, senza troppi giri di parole, dovrebbe uccidere al momento giusto, quando certi parametri vitali raggiungono certi livelli indesiderati. [Traduzione con adattamenti, non rivista dall’Autore, a cura della Redazione]
I sostenitori dell’eutanasia hanno promosso a suo tempo le direttive anticipate di trattamento (Dat o testamento biologico), presentandole come un aiuto per rispettare le decisioni sanitarie dei pazienti durante le cure di fine vita. Ora è stata avanzata una proposta nuova e inquietante. È una sorta di testamento biologico high-tech, un nuovo modo per uccidere i pazienti affetti da demenza. La cosa è illustrata in un articolo di Margaret Battin e Brent M. Kious intitolato Ending One’s Life in Advance, pubblicato sulla rispettabile rivista di bioetica The Hastings Center Report. Lo chiamano un “impianto di direttiva anticipata” (Adi), un chip programmabile che verrebbe inserito sotto la pelle di un paziente con demenza. L’Adi è programmato per erogare farmaci letali al rilevamento di un avanzamento predeterminato della malattia. Quando attivato, l’impianto causerebbe la morte immediata del paziente. Gli autori affermano che il dispositivo «eviterebbe di gravare i parenti del malato da cure pesanti e scelte moralmente dolorose». È da notare questo fatto: l’obiettivo è alleviare il “peso” che graverebbe su coloro che prestano
assistenza, i caregiver. Gli autori asseriscono che la tecnologia non è ancora attualmente disponibile, ma credono che sia all’orizzonte. Infatti, i chip che rilasciano farmaci sono stati ideati fin dagli anni Novanta. Un pensatore critico potrebbe compilare un lungo elenco di potenziali abusi associati a un Adi. Per esempio, potrebbe essere inserito in altre circostanze oltre alla demenza, in condizioni croniche non terminali come il lupus, la depressione o altri problemi di salute mentale, l’asma, l’artrite… Potrebbe essere utilizzato come arma di coercizione, o senza il consenso dell’individuo. Gli stessi autori dell’articolo riconoscono che ci possono essere situazioni in cui l’Adi
Un Adi è un chip che può essere impiantato all’inizio della demenza e programmato per attivarsi secondo la prognosi della malattia
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Gli autori comprendono che le risposte alla loro idea potevano essere anche contrarie: a chi dice che la loro idea è disgustosa essi ricordano che «il “fattore schifo” funziona in entrambi i sensi: basta guardare un paziente con l’Alzheimer» potrebbe essere mezzo di abuso. Allora, raccomandano il sistema di suicidio assistito dell’Oregon come esempio di normativa sicura e favorevole al paziente, in base alla quale si potrebbe usare tranquillamente l’Adi. In Oregon, la legge dal 1997 consente ai medici di prescrivere farmaci letali a determinati pazienti. Uno dei requisiti è che il paziente sia “terminale”. Ebbene, secondo il rapporto ufficiale del 2020, i pazienti che si sono qualificati come tali nel 2019 erano anche quelli con diabete e artrite, e molte altre
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condizioni debilitanti ma non terminali. Il rapporto ha anche rivelato un altro fatto preoccupante: solo l’1% dei pazienti che hanno ricevuto i farmaci letali è stato sottoposto a una valutazione psichiatrica. In Oregon, inoltre, non c’è alcuna supervisione statale: basta un’autodichiarazione dei medici che sono pagati per uccidere i loro pazienti. Se un medico rifiuta la richiesta di un paziente per la prescrizione letale, deve indicare un altro medico che la accolga. In tutti i luoghi dove sono state introdotte norme sul fine vita, la morte è dilagata, e a più riprese le categorie di persone sacrificabili sono state ampliate. I Paesi del nord Europa hanno già esteso l’eutanasia ai bambini sotto i 12 anni e alle persone non in grado di esprimere un consenso. L’esperienza mostra in modo certo che le garanzie e i paletti inizialmente posti a tutela dei pazienti più fragili servono solo a smussare l’opposizione. Chi come me ha sopportato di dover dare un lungo e crudele addio a una persona cara malata di demenza, comprende chiaramente il sacrificio richiesto ai familiari di queste persone. Ma amarli e prendersene cura fino alla fine è un onere onorevole, che alla fine vale la pena di sostenere. Uccidere con il pretesto della “misericordia” è un atto ipocrita e malvagio, che deve essere completamente e radicalmente vietato.
Norplant è un chip che si mette sotto la pelle e rilascia l’anticoncezionale levonorgestrel. Si accende e si spegne con un telecomando. I chip sottocutanei che rilasciano farmaci sono stati ideati negli anni Novanta.
Le fake news su eutanasia e suicidio assistito Lorenza Perfori
I paladini dell’eutanasia e del suicidio assistito fondano la propria narrazione su una serie di affermazioni che vengono spacciate per verità sicure, ma, se sottoposte a un’analisi più attenta che ne scrosti la patina ideologica, esse rivelano la loro autentica natura di fake news confezionate ad arte per la realizzazione della propria agenda di morte La maggior parte delle persone è favorevole alle pratiche eutanasiche Secondo i radicali, i sondaggi mostrerebbero una maggioranza di persone favorevoli alle pratiche eutanasiche. Spesso, però, i quesiti di queste rilevazioni utilizzano un linguaggio molto tecnico, poco chiaro per la maggior parte delle persone, che spesso hanno solo una vaga idea di ciò che queste leggi affermano e permettono. Sondaggi del genere non sono attendibili. Un’altra tecnica utilizzata per orientare i risultati dei sondaggi è quello di usare volutamente un linguaggio fuorviante in modo da indurre una risposta favorevole. Una domanda del tipo: «Secondo lei, se una persona ha una malattia incurabile allo stadio terminale e sperimenta un dolore incontrollabile, dovrebbe il medico essere autorizzato dalla legge ad aiutare il paziente a suicidarsi, se lo desidera?» è non solo strumentale, ma anche ingannevole perché ignora volutamente che oggi, grazie ai progressi della medicina palliativa, il dolore di
una malattia terminale può essere alleviato. Parrebbe inoltre che tali pratiche siano ormai legali nella maggior parte dei Paesi del mondo, ma le cose non stanno affatto così. Negli Usa, per esempio, sono solo 10 su 51 gli Stati che negli ultimi trent’anni hanno introdotto leggi sul suicidio assistito e, tra questi, solo 3 (Oregon nel 1994-1997, Washington nel 2008-2009 e Colorado nel 2016) lo hanno fatto dopo referendum. Nel 2017 sono stati ben 26 gli Stati in cui gli americani hanno detto NO al suicidio assistito: la maggior parte delle persone è contraria. In Vermont, nel 2013, in California nel 2015, nel Distretto di Columbia nel 20162017, alle Hawaii nel 2018-2019, nel Maine e New Jersey nel 2019, in Nuovo Messico nel 2021, la legalizzazione è stata fatta da parlamenti statali a maggioranza Democratici. 41 Stati federati hanno invece mantenuto i propri divieti e, in alcuni casi, i divieti e le sanzioni sono stati persino ampliati. In Europa, su un totale di 47 Stati, sono solo una manciata (Olanda, Belgio, Svizzera, Lussemburgo e Spagna) quelli
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Le persone chiedono di morire perché si sentono sole o si sentono un peso per gli altri il malato abbia un’aspettativa di vita non superiore a 6 mesi. In realtà, la previsione dell’aspettativa di vita non è una scienza esatta. Quando aveva 18 anni, John Norton ricevette una diagnosi di Sla e gli fu detto che sarebbe progressivamente peggiorato fino a rimanere paralizzato e che sarebbe morto entro i successivi 3-5 anni. Accadde invece che la malattia si fermò in maniera spontanea: «Se negli anni Cinquanta avessi avuto a disposizione il suicidio assistito o l’eutanasia, avrei perso la mia vita e quella che avevo ancora da vivere», ha dichiarato Norton a 74 anni di età.
che disciplinano il suicidio assistito e/o l’eutanasia. Il motivo principale è il dolore incontrollabile Secondo i sostenitori delle pratiche eutanasiche, il motivo principale per cui le persone le richiedono è perché non riescono a tollerare il dolore insopportabile derivante da una malattia terminale. Ciò è smentito proprio dai malati che ottengono la prescrizione dei veleni. Per esempio, nell’ultimo report del 2020 dell’Oregon, dei 245 pazienti che hanno chiesto il suicidio assistito, il 94,3% era preoccupato per il fatto di essere «meno capace di dedicarsi ad attività piacevoli», il
Sono solo una manciata gli Stati che hanno legalizzato eutanasia o suicidio assistito
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Può anche accadere che i medici sbaglino le previsioni, interpretando male i risultati degli esami o effettuando diagnosi o prognosi inesatte, come documenta uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista scientifica PLoS One, condotto su pazienti di un hospice di Chicago. I risultati mostrano che su 468 previsioni, solo il 20% sono risultate corrette. E può anche verificarsi che le cure portino al recupero della salute, come nel caso dell’oregoniana Jeanette Hall che nel 2000 decise di richiedere il suicidio assistito dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro. Grazie al suo medico, che la convinse a sottoporsi alle cure, Jeanette riuscì a sconfiggere la malattia: «Sono passati 17 anni dalla mia diagnosi di cancro, se il mio medico avesse creduto nel suicidio assistito sarei stata eliminata». L’inattendibilità del requisito di terminalità emerge dagli stessi report annuali degli Stati, i quali riportano i giorni intercorsi tra la richiesta della prescrizione letale e la morte
93,1% aveva paura di «perdere la propria autonomia», il 71,8% di «perdere la propria dignità» e il 53,1% lo ha fatto perché sentiva di essere «un peso per i familiari/amici/ sanitari». Delle 1.905 persone che si sono uccise con il suicidio assistito in Oregon dal 1997 al 2020, solo il 27,4% ha indicato tra le motivazioni il «controllo inadeguato del dolore, o preoccupazione per esso». I report di Washington riportano percentuali simili, confermando che il dolore è una ragione marginale nell’ambito della richiesta di suicidio assistito. Tra le motivazioni più frequenti nel rapporto del 2018 spiccano la perdita di autonomia (85%), la ridotta capacità di dedicarsi ad attività piacevoli (84%), la perdita di dignità (69%) e sentirsi un peso per la famiglia (51%). I medici sono in grado di dire quanto tempo ti rimane da vivere Tutte le leggi degli Stati Usa sul suicidio assistito prevedono come requisito che
La previsione dell’aspettativa di vita non è una scienza esatta
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del malato. Nel 2020 in Oregon 8 pazienti hanno superato la prognosi di 6 mesi e alcuni hanno vissuto per circa 3 anni (1.080 giorni). In quello Stato, di fatto, le persone non terminali ricevono prescrizioni letali. Infine può accadere che il requisito di terminalità diventi una profezia che si autoavvera. Le leggi di Oregon e Washington parlano di aspettativa di vita di 6 mesi «senza trattamenti» e, tra le condizioni per accedere al suicidio assistito, comprendono anche le patologie croniche (sclerosi multipla, morbo di Parkinson, diabete mellito) che comportano una dipendenza da farmaci: un diabetico insulino-dipendente può avere decenni di vita grazie all’insulina, ma senza vivrà meno di un mese e, perciò, è idoneo a ricevere la prescrizione letale. Idem, poiché ormai anche cibo e acqua sono considerati trattamenti, per un anoressico e per quelli in stato di minima coscienza. Dall’ultimo report dell’Oregon risulta che 5 suicidi assistiti sono avvenuti a seguito di malattie endocrino - metaboliche come, appunto, il diabete. La legge fornisce garanzie adeguate contro gli abusi Diversi sono gli aspetti che fanno sì che i malati non siano affatto tutelati contro gli abusi. In Oregon e a Washington la legge consente al paziente di assumere la dose letale in privato, senza supervisione: quand’anche all’ultimo si opponesse, chi lo verrebbe a sapere? I veleni possono essergli somministrati anche a sua insaputa. È inoltre previsto che siano i medici prescrittori dei veleni a fare le eventuali segnalazioni allo Stato. Ma essi, per ovvi motivi, hanno tutto l’interesse a minimizzare i
Le leggi vigenti non impediscono che le persone vengano “suicidate” contro la loro volontà
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problemi che si dovessero presentare. Un altro aspetto che favorisce gli abusi è il fatto che le leggi stabiliscono che come causa di morte sia riportata la malattia di base (per es. cancro) e non l’avvelenamento. Dal punto di vista legale ne consegue l’impossibilità di incriminare un medico negligente o chi abbia commesso un vero e proprio omicidio. Dall’ultimo report dell’Oregon emerge che su 370 prescrizioni di veleni emesse nel 2020, in ben 80 casi la loro ingestione risulta sconosciuta e, addirittura, di 44 persone non si sa nemmeno se siano vive o morte. Dal report risulta inoltre che alcuni suicidi sono stati approvati da medici che conoscevano i pazienti da meno di una settimana e che solo 3 pazienti su 345 deceduti sono stati sottoposti a una valutazione psicologica o psichiatrica per verificare se alla base della richiesta vi fossero problemi di salute mentale come la depressione. L’eutanasia è una “bella morte” Che la morte con i veleni non possa essere affatto “dolce”, lo dimostra una ricerca pubblicata nel 2017 sul Journal of Law and the Biosciences di Sean Riley. Una delle cause è la penuria dei veleni (Secobarbital e Pentobarbital) che ha fatto lievitare enormemente i costi: prima del 2012 i pazienti pagavano circa 500 dollari per una dose. Ma dal 2016 i prezzi sono aumentati fino a raggiungere i 25.000 dollari. Questo ha spostato la domanda verso sostanze fabbricate dai farmacisti. Ma, spiega Riley, con il rapido aumento dei “farmaci” cd. “composti” sono aumentate anche le morti fallite perché i principi attivi possono essere insufficienti a svolgere la loro azione o, al contrario, super-potenti o persino contaminati. Un articolo del 2016 del Seattle Times di Washington, spiega che uno di questi mix letali aveva bruciato la bocca e la gola dei pazienti facendoli urlare di dolore, un altro aveva prolungato l’agonia fino a 31 ore. Altri mix letali risultano invece molto amari e, perciò, devono essere accompagnati dall’assunzione preventiva di antiemetici per evitare che il paziente li vomiti. Anche
Sono documentate numerose complicazioni e problemi di malfunzionamento dei veleni sia per gli aspiranti suicidi che per i condannati a morte: l’agonia a volte dura ore e addirittura giorni riguardo la pena capitale, Riley osserva che è «difficile definire cosa sia un’esecuzione finita male, ma gli ultimi momenti di vita di alcuni detenuti sono stati davvero strazianti». I dati dell’Oregon dal 1998 a oggi indicano tra le complicazioni rilevate: difficoltà di ingestione, nausea, vomito, rantoli, convulsioni, attacchi epilettici e risvegli dallo stato di incoscienza ore o giorni dopo la dose letale. Il tempo tra l’ingestione e il decesso può andare da un minuto a oltre 4 giorni, con diversi casi di agonia durata 8, 21, 31, 47 e 104 ore. Se poi si considera che, in media, nel 54% dei casi non vi è alcun medico ad assistere il paziente, se ne ricava che per la metà dei suicidi assistiti in Oregon le complicazioni rimangono sconosciute. Uno studio condotto in Olanda, pubblicato sul New England Journal of Medicine, evidenzia problemi analoghi: nei suicidi assistiti ci sono state complicazioni nel 7% dei casi e problemi di “completamento” (tempi di decesso più lunghi, fallimento nell’indurre il coma, risveglio del paziente) nel 16% dei casi; nei casi di eutanasia ci sono state complicazioni nel 3% dei casi e problemi di completamento nel 6%.
spesso proprio i membri della famiglia, come osserva l’avvocato Sara Buscher dell’Euthanasia Prevention Coalition. Ogni anno negli USA - spiega Buscher - sono 5 milioni gli anziani oggetto di atti abusanti o sfruttati economicamente, per un ammontare di circa 2,6 miliardi di dollari, e solo 1 su 5 di questi reati viene scoperto. Il 90% degli abusatori sono membri della famiglia o persone di fiducia. Un familiare gravemente malato può costituire una situazione molto stressante e foriera di sentimenti ambivalenti per i congiunti i quali, da un lato vorrebbero che il malato viva, ma dall’altro che la situazione finisca il prima possibile. Questo può rendere il malato vulnerabile e spingerlo, spontaneamente o forzatamente, al suicidio assistito. In molti casi, ci sono motivi economici e ereditari. Le attuali leggi sul suicidio assistito consentono di realizzare il “delitto perfetto”, ovvero di uccidere il malato ed entrare in possesso dei suoi averi senza paura di essere incriminato.
I familiari sono sempre benevoli e premurosi
Gli standard sanitari futuri non ne risentiranno
La realtà dimostra che coloro che si approfittano, compiono abusi o sfruttano economicamente gli anziani sono
L’Oregon Health Plan invia regolarmente lettere ai malati, con ridotta aspettativa di vita, in cui comunica che il medicaid pagherà
Le attuali leggi sul suicidio assistito consentono di realizzare il “delitto perfetto”, ovvero di uccidere il malato ed entrare in possesso dei suoi averi senza paura di essere incriminato
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Dove vigono leggi eutanasiche, gli studi e le ricerche sulle malattie e sul miglioramento della qualità della vita dei disabili subiscono una battuta d’arresto. Perché continuare a studiare rimedi contro la Sla o la demenza, se i malati si possono eliminare?
i “farmaci” per il suicidio assistito, ma non per le cure. Barbara Wagner e Randy Stroup si sono visti negare il pagamento della chemioterapia: il suicidio assistito era una soluzione indolore e più economica. Analogamente, la legislazione del Vermont prevede che ogni persona alla quale sia stata diagnosticata una malattia terminale sia informata del fatto che può ottenere una prescrizione di veleno. Due anni dopo la legalizzazione del suicidio assistito in Canada Roger Foley, affetto da una patologia neurodegenerativa, si è visto rifiutare la copertura per i servizi di assistenza per una vita autonoma, ricevendo come soluzione l’offerta gratuita di suicidio assistito. Dal report del 2020 sui suicidi assistiti in Canada, emerge che il 15% dei malati che aveva richiesto cure palliative non le ha ricevute, così come non ha ricevuto alcun sostegno alla disabilità il 3,8% dei malati disabili che aveva chiesto un aiuto. In conclusione, la realtà dimostra che la legalizzazione delle pratiche eutanasiche influenzano eccome gli standard sanitari futuri: le persone più vulnerabili saranno indotte a terminare anzitempo la propria vita.
Neanche un anno dopo la legalizzazione del suicidio assistito in California Stephanie Packer si è vista negare dal medicaid i farmaci sperimentali per la sua malattia, ottenendo in cambio la copertura per l’acquisto del veleno
Il suicidio assistito ha effetti solo sui singoli che lo chiedono La legalizzazione delle pratiche eutanasiche influisce di fatto sull’intera società, con l’aumento del numero delle persone che le richiedono, con le pressioni nei confronti dei soggetti più vulnerabili e con l’aumento dei suicidi nella popolazione generale. Negli Stati che le hanno legalizzate si è assistito, anno dopo anno, a un incremento drammatico delle pratiche eutanasiche. I 16 suicidi assistiti registrati il primo anno (1998) in Oregon, sono diventati 71 del 2011, 191 nel 2019 e 245 nel 2020: un incremento del 1.500% in 23 anni; a Washington sono stati 36 i suicidi assistiti nel 2009 e 203 nel 2018 (il 560% in più in 10 anni); In Olanda sono state 1.815 le eutanasie del primo anno (2003), 3.136 nel 2010 e 6.938 nel 2020 (il 382% in più in 18 anni); il Belgio ha registrato 259 eutanasie nei primi 15 mesi (2002-2003) di entrata in vigore della legge, che sono diventate 1.432 nel 2012 e 2.656
nel 2019 (il 1.025% in più in 18 anni); in Svizzera i suicidi assistiti sono stati 43 nel 1998, 356 nel 2012 e 1.176 nel 2018 (il 2.730% in più in 21 anni). In Europa si è partiti con l’eutanasia consensuale in caso di gravi patologie terminali, per poi arrivare ad escludere il requisito di terminalità e persino il consenso del paziente. Anno dopo anno, sono aumentate le cause per cui si può eliminare il malato: malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson, Sla, demenze), malattie polmonari croniche e reumatiche, sordità, cecità, disabilità varie, malattie psichiatriche (depressione, disturbi dell’alimentazione, schizofrenia), fino a comprendere anche chi, seppur sano, sia semplicemente «stanco di vivere» o ritenga
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di «aver completato la propria vita». Negli ultimi rapporti dell’Oregon, sono specificate le “altre” condizioni per ottenere il veleno: «Neoplasie benigne e incerte, altre malattie respiratorie, malattie del sistema nervoso (compresa la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson e il morbo di Huntington), malattie muscolo-scheletriche e del tessuto connettivo, malattie cerebrovascolari, altre malattie vascolari, diabete mellito, malattie gastrointestinali e malattie epatiche». Questa deriva eutanasica influenza senza dubbio la comunità, sia con pressioni psicologiche nei confronti dei malati e delle loro famiglie, per non far ricadere sulla collettività i costi sanitari delle cure, sia cambiando la visione che la società ha nei confronti delle persone più vulnerabili (malati, anziani, disabili). Un sondaggio realizzato in Inghilterra su 500 disabili, dall’istituto demoscopico ComRes, ha rilevato che il 70% temeva che l’introduzione del suicidio assistito avrebbe spinto i pazienti vulnerabili a porre anticipatamente fine alla propria vita, il 56% riteneva che la legalizzazione avrebbe influito negativamente sulla visione che la società ha delle persone con handicap e il 3% era preoccupato che una tale legge avrebbe messo loro stessi sotto pressione per togliersi la vita. C’è inoltre il fenomeno del “contagio da suicidio”, ovvero l’aumento anche dei suicidi in generale. Uno studio del 2015, pubblicato sul Southern Medical Journal, ha
I “farmaci” che si usano per il suicidio o l’eutanasia e per le esecuzioni capitali non sono “farmaci”, che curano, ma sono veleni (che uccidono). E non assicuurano affatto una “dolce morte”
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Michael Cook, “Assisted Suicide is no peaceful death. Some patients regurgitate, have seizures, or wake up days later”, www.lifenews.com, 9 ottobre 2017.
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analizzato i tassi di suicidio non assistiti, tra il 1990 e il 2013 in Oregon e a Washington, confrontandoli con quelli degli Stati senza una legge. I ricercatori concludono che la legalizzazione del suicidio assistito è associata a un aumento del tasso dei suicidi in altri individui. Un report dell’Oregon Health Authority evidenzia nel Paese un tasso di
suicidi del 40% più elevato rispetto alla media nazionale. Secondo un rapporto del 2017 del Centers for Disease Control and Prevention, dal 2000 in America i tassi di suicidio sono aumentati, dopo decenni di diminuzione: ora il suicidio rappresenta negli Usa la decima causa di morte, con oltre 44.000 persone che ogni anno si tolgono la vita.
La deriva eutanasica influenza senza dubbio la comunità, sia con pressioni psicologiche nei confronti dei malati e delle loro famiglie, per non far ricadere sulla collettività i costi sanitari delle cure, sia cambiando la visione che la società ha nei confronti delle persone più vulnerabili (malati, anziani, disabili)
Alex Schadenberg, “Washington state assisted suicides jump 25%, many patients experience long and painful deaths”, www.lifenews.com, 2 agosto 2019. Diane Coleman, “Shocking Oregon assisted suicide report shows law is rife with abuse”, www.lifenews. com, 5 ottobre 2016. Nancy Valko, “Six things you need to know about Physician-Assisted Suicide”, www.lifenews.com, 26 dicembre 2017. Sean Riley, Navigating the new era of assisted suicide and execution drugs, Journal of Law and the Biosciences, Volume 4, Issue 2, August 2017, Pages 424–434, https://doi.org/10.1093/jlb/ lsx028. JoNel Aleccia, “Death with Dignity doctors thwart drugmaker’s price hike with new medication”, The
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L’ennesimo inganno della neolingua Francesca Romana Poleggi
Dat, palliazione terminale, suicidio assistito, eutanasia attiva e passiva: una pletora di espressioni che insinuano sterili distinzioni su un dato reale incontrovertibile: qualcuno uccide qualcun altro - più o meno consenziente - con il pretesto di porre fine alle sue sofferenze Dopo gli interventi del Parlamento, della Corte Costituzionale e le diverse performance di Marco Cappato & compagni, che ci vengono chiaramente illustrate da Tommaso Scandroglio a p.17, ci troviamo nel pieno di una deriva eutanasica che porterà al dilagare della morte. Non ci stancheremo mai di ripetere che “i casi in cui” il Parlamento vorrebbe consentire il suicidio assistito e quelli in cui il referendum vorrebbe legalizzare l’eutanasia lasciano il tempo che trovano. I paletti salteranno de facto come sono saltati in tutti i luoghi dove erano stati messi. E la morte verrà somministrata a piene mani a chi dice di volerla, a chi si presume che la voglia e alla fine anche a chi non la vuole. I paletti saltano, inevitabilmente, perché se si riconosce il “diritto di morire” e la morte diventa quindi un “bene”, un interesse protetto dalla legge, allora, per il famoso principio di uguaglianza, esso va riconosciuto a tutti. La cosa è inequivocabile. Basta guardarsi intorno. In Canada, la legge sull’eutanasia è in vigore da 5 anni. I casi di “Maid”, cioè le persone uccise perché sofferenti (vedete bene che a dire le cose con le parole vere cambia tutto), sono state
1.018 nel 2016 e 21.589 nel 2020 (dati ufficiali del Governo). E loro la chiamano “Maid”, che sta per “medical aid in dying”, cioè aiuto medico a morire, un acronimo che è un capolavoro di neolingua: in inglese la parola maid vuol dire cameriera, fanciulla. È una parola quanto mai rassicurante. Come lo sono “aiuto” e “medico”. Si tratta invece di morte procurata. Anche “suicidio assistito” ad alcuni sembra più accettabile che “eutanasia”. Sarebbe bene, invece, che imparassimo a non usare più queste espressioni false e falsificanti, che modificano la nostra mente e il nostro modo di pensare. Impariamo a usare le parole vere che servono a descrivere la realtà, perché se ci scolliamo dalla realtà e dalla verità perdiamo automaticamente la nostra libertà e quindi la nostra umanità: saremo marionette che si muovono a comando di chi ha le leve della comunicazione e del linguaggio. Del resto George Orwell, in 1984, lo ha spiegato molto chiaramente più di settant’anni fa. Abbiamo mai riflettuto sul fatto che se il suicidio deve essere “assistito”, vuol dire che quella persona da sola non ce la fa a uccidersi? Quindi, chi lo aiuta, di fatto, lo uccide. Se gli mette in
mano un bicchiere col veleno, o glielo avvicina alle labbra o glielo mette in bocca, alla fine - in sostanza - che cosa cambia? La stessa parola “eutanasia” letteralmente vuol dire “bella morte”, ma la morte non è bella, né buona. Né possiamo esser certi che i veleni che si usano nelle varie pratiche eutanasiche garantiscano una “bella morte”. Anzi, abbiamo buoni motivi per dubitarne (altrimenti non cambierebbero in continuazione la composizione dei cocktail letali; vedete p. 23). Si tratta sempre e comunque dell’omicidio di una persona più o meno consenziente, motivato dal fatto che bisogna fargli un “favore”, bisogna "porre fine alle sue sofferenze". Il che è certamente più semplice e più sbrigativo rispetto alla cura, all’accompagnamento, al
sollievo, alla prossimità con chi soffre. Tra l’altro, perché ci prodighiamo da secoli a prevenire i suicidi, a soccorrere gli aspiranti suicidi? Esiste addirittura una branca specializzata della psichiatria, la suicidologia, e una serie di associazioni dedicate che ogni anno la prima domenica di settembre celebrano la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Dicono gli psichiatri specializzati che l’aspirante suicida in realtà non vuole morire, vuole smettere di soffrire: con le leggi eutanasiche (vigenti e in fase di elaborazione) eliminiamo il sofferente invece di lenire la sofferenza. Istighiamo al suicidio. E se l’istinto di conservazione protesta, viene in “aiuto” il Cappato di turno o - peggio - il “medico” che di fatto fa il boia.
La nostra Corte Costituzionale, che evidentemente incarna da tempo la “cultura della morte”, non aspetta altro che abbattere i “paletti” contenuti nelle norme vigenti e future, sostituendosi sfacciatamente al legislatore (che dovrebbe essere tale in quanto rappresentante del popolo sovrano - e il silenzio del Presidente della Repubblica sulla questione è imbarazzante)
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Perché il suicidio?
Se non impariamo a fare chiarezza con le parole, e nella nostra mente, verremo ingannati dalla neolingua, perderemo il contatto con la realtà e con la verità e quindi perderemo la nostra libertà: il libero arbitrio che ci distingue dagli animali schiavi degli istinti e dalle marionette nelle mani del burattinaio Se non impariamo a fare chiarezza con le parole, e nella nostra mente, ci troveremo impantanati in sterili distinguo: il suicidio assistito, su cui sta legiferando il Parlamento per adeguarsi al diktat della Corte Costituzionale (intervenuta oltre i limiti delle sue competenze), l’eutanasia del referendum radicale e la morte per fame e per sete possibile grazie alle Dat, sono la stessa cosa. La deriva, dicevamo è inarrestabile. A meno che si trovi una volontà politica seria e apertamente pro vita (che nel Parlamento attuale non c’è sicuramente) che avesse il coraggio di abrogare la legge 219 del 2017 e di investire seriamente nella cura di chi soffre, degli anziani e dei disabili. Dal suo canto, la nostra Corte Costituzionale, che evidentemente incarna da tempo la “cultura della morte”, non aspetta altro che abbattere i “paletti” contenuti nelle norme vigenti e future: sostituendosi sfacciatamente al legislatore (che dovrebbe essere tale in quanto rappresentante del popolo sovrano - e il silenzio del Presidente della Repubblica sulla questione è imbarazzante), imporrà la morte per tutti.
Roberto Marchesini
Chi cerca il suicidio non lo fa perché “vuole morire”, bensì perché soffre ed è solo, depresso e non vede altra uscita dalla sua condizione di male di vivere
La signora Christine Nagel, 81 anni, nel 2017 si è fatta tatuare sul braccio «Do not euthanize me» («Non mi eutanasizzate»), visto l’andazzo del “suicidio” assistito in Canada: non era passato neanche un anno dall’entrata in vigore della legge
In Canada, l’incapacità di controllare il dolore o di risolvere altri disagi è stato il motivo per la richiesta di morte in oltre la metà di tutti i casi di Maid: ci sono pochi medici e operatori sanitari specializzati nella palliazione e nella riabilitazione. E da quando è stata legalizzata l’eutanasia il numero di costoro è andato vieppiù scemando. In Italia, oggi, solo il 30% dei malati oncologici ha accesso alle cure palliative. E nel settore pediatrico è anche peggio. Potrà migliorare la situazione dopo l’introduzione dell’eutanasia (o suicidio assistito, che dir si voglia)? Ovvio che no. Si abbia il coraggio di dire, senza l’ipocrisia della neolingua, che gli anziani, i disabili, i malati e - in genere - gli “infelici” danno fastidio: eliminarli serve a potersene andare in vacanza spensieratamente, a risanare i conti pubblici e a risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione.
Qualche mese fa, in una radiosa giornata di sole, ho incontrato L. Mi aveva scritto diverse mail; alcune, a dire la verità, piuttosto sconclusionate. E finalmente eravamo riusciti a incontrarci nel mio studio. Ci ha messo un po’ a salire le scale, con le stampelle e il suo enorme sovrappeso; però, finalmente, eravamo l’uno davanti all’altro. Mi ha raccontato una vita di sofferenze psicologiche e fisiche, dall’adolescenza fino al momento attuale: una solitudine spaventosa, difficoltà familiari e una lunghissima teoria di problemi di salute che gli hanno reso la vita molto difficile. Nel corso del racconto lascia cadere una frase, come se niente fosse: sta aspettando una risposta da una associazione svizzera. Scusi, chiedo io: quale associazione? Quella associazione. L’associazione che aiuta le persone a uccidersi in modo legale. Gli ho fatto notare che mi sembrava una contraddizione, cercare un aiuto psicologico e, contemporaneamente, contattare una associazione eutanasica. E lui, con pazienza, mi ha spiegato. Non c’è alcuna contraddizione: se non è possibile avere un aiuto nella sofferenza, cos’altro rimane? L. mi ha spiegato, in poche parole, il punto di vista di chi pensa al suicidio. Che non è una risposta alla sofferenza: è la mancanza di risposte, è il nulla, il vuoto.
Questo nostro colloquio avveniva mentre era in corso la raccolta di firme per introdurre anche in Italia l’eutanasia legale. E mentre in Parlamento si discute la legalizzazione del “suicidio assistito”, che in buona sostanza è la stessa cosa. Che, se introdotta, significherebbe la rinuncia a fornire alle persone sofferenti un minimo di conforto, vicinanza, compagnia, un motivo per vivere. È risaputo: chi desidera morire non lo fa tanto a causa di sofferenze fisiche insopportabili, quanto a causa della solitudine, della depressione, della mancanza di un motivo per vivere. La soluzione sarebbe semplice: la cura, la prossimità, uno sguardo metafisico sulla vita. Ricordo che la storica francese Régine Pernaud ha spiegato in termini inoppugnabili come nel Medioevo, un’epoca profondamente religiosa, il suicidio fosse sconosciuto o rarissimo; che il cardinale Danneels (sì, proprio quello della «mafia di San Gallo») ha scoperto che il male di vivere si diffonde solo in epoca moderna; che il mio collega Viktor Frankl, dopo l’esperienza del lager, aveva capito che, per vivere, serve un motivo (alle stesse conclusioni, nella medesima situazione, era arrivato anche il nostro Giovannino Guareschi). Eppure la nostra società non riesce a far altro
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Se non è possibile avere un aiuto nella sofferenza, cos’altro rimane oltre alla morte? che ripetere: non c’è alternativa, non c’è nulla da fare. L’unica soluzione alla sindrome di Down è l’aborto; l’unica soluzione alla solitudine e alla sofferenza è l’eutanasia; l’incertezza e la paura di fronte a una gravidanza hanno un’unica soluzione, sempre l’aborto. C’è qualcosa di perverso nella nostra società che sembra offrire solo morte: eutanasia, aborto, sterilità e contraccezione. Qualcosa che va al di là di Malthus e del «siamo (cioè siete) troppi su questa terra».
Tornano in mente le parole di Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae (25 marzo 1995, n.28): «Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte a uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte”, ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita».
La trappola mortale della “sofferenza” e della “volontà” Silvana De Mari
«La morte è un diritto: se tu non la vuoi non la chiedere, ma perché vuoi impedire a me di averla?»
La risposta al male di vivere sarebbe semplice: la cura, la prossimità, uno sguardo metafisico sulla vita
Il suicidio assistito e l’eutanasia entrano neanche tanto in punta di piedi nel nostro ordinamento. Per far accettare l’inaccettabile occorrono tre elementi: il terrore, la redenzione, la colpa. Il terrore di essere inchiodato alle sofferenze, costretti a subirle. La redenzione dalla sofferenza con la semplice e lineare soluzione: la morte. La colpa dei reprobi che vogliono inchiodarti al dolore (quando ho parlato di questo argomento sono stata sommersa da mail di ingiurie). Il terrore del dolore è un terrore ovvio e fisiologico. I paladini dell’eutanasia offrono la morte come unica alternativa al restare inchiodati a una sofferenza insopportabile: «Chiunque abbia la volontà di porre fine alle sue sofferenze dovrebbe avere il diritto di farlo». Detto così suona logico, in realtà ci sono due parole della frase che sono due trappole mortali, mortali nel senso letterale del termine. Una è la parola sofferenza, l’altra è la parola volontà.
Sofferenza e dolore non sono sinonimi. Il dolore è una sensazione fisica, mediata dai fasci spino-talamo-corticali e su cui si può intervenire sempre: esiste una terapia del dolore ogni anno più completa e complessa. Nel libro Contro l’eutanasia, Lucien Israel, non credente, racconta che nella sua esperienza pluridecennale di oncologo nessun paziente ha mai chiesto l’eutanasia. Nessun paziente la chiede se si sente amato, se sente che il medico tiene a lui. I mezzi attuali ci danno la capacità di contrastare il dolore. È dove i pazienti sono seguiti male che compare il desiderio dell’eutanasia. Ma dove esiste la possibilità dell’eutanasia la qualità delle cure crolla, come è stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio dal terribile caso del bimbo Alfie Evans. Una volta destinato alla morte, nessuno ha più verificato se i bambino era in grado di respirare da solo. Sarebbe stato in grado di respirare da solo, come ha dimostrato nel momento in cui è stato estubato, quindi è stato sottoposto per mesi a una intubazione inutile e quindi inutilmente dolorosa e dannosa. I tubi erano sporchi, le
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Per far accettare l’inaccettabile occorrono tre elementi: il terrore, la redenzione e la colpa medicazioni mal fatte, come ha dimostrato il padre con terribili fotografie. La sofferenza è invece mentale: la sofferenza può spingere a desiderare di morire anche una persona senza menomazioni fisiche. Le persone amate, che amano e che credono tollerano meglio il dolore e possono risolvere la sofferenza. È un’informazione biochimica: amando, sentendosi amati e pregando si fabbricano endorfine che, oltre che potenziare il sistema immunitario, leniscono sia la sofferenza sia il dolore, come dimostrato dalle enormi statistiche riportate dai neuropsichiatri Seligman e Servain Shreber nei loro libri. Il pneumo-oncologo Enzo Soresi, nel suo libro Il cervello anarchico, scrive di aver personalmente osservato un fenomeno ben
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conosciuto: gli effetti benefici sul dolore e sulla sofferenza della preghiera a distanza. Se non senti nessun amore forte su di te, se nessuno si batte per te, se non credi in Dio, la sofferenza può essere insopportabile. La sofferenza può essere curata e lenita. O anche aumentata: dall’indifferenza, dal sentire che sei un peso. Curare e lenire la sofferenza è difficile, richiede tempo ed energia. Richiede competenze tecniche che non si improvvisano. Ho visto all’opera i Comici Camici, bravissimi psicologi travestiti da clown che consolano i bambini del reparto oncologico dell’Ospedale Bambin Gesù e i loro genitori. Mi spiegavano come la priorità sia, sempre, contenere la collera. E per consolare un malato terminale, occorre ripetere innumerevoli volte che lo amiamo e che la sua vita è un valore immenso. I discorsi sulla “sofferenza inutile” (nell’ateismo la sofferenza è sempre considerata inutile), i discorsi sulla “necessità” di evitarla sembrano logici, ma non c’è nessuna logica. Un malato deve essere consolato, non ucciso. L’altra parola trappola è la parola volontà. La volontà umana non è un monolite, ma un
riflesso di luce sull’acqua, cambia di istante in istante, cambia a seconda di chi ci ha parlato, come ben sanno i pubblicitari e gli esperti in propaganda politica. L’istinto di sopravvivenza è l'istinto primario. Voler morire è sempre una scelta parziale, c’è sempre una parte di noi che urla «No, voglio vivere!», che cerca disperatamente qualcuno che ci consoli, che ci dica «la tua vita è preziosa, anche così, tu sei prezioso». Il paziente che dice «piuttosto che vivere così meglio morire», in realtà sta cercando qualcuno che migliori la sua vita, non qualcuno che lo aiuti a morire. Il signor Fabiano Antoniani è chiamato dai media col nomignolo Dj Fabo, così da inchiodarlo al mestiere di Dj come unica possibile identità. Una volta reso incapace di fare quel lavoro, la sua vita non può avere senso. Nel tragitto che il signor Cappato e il signor
Fabiano Antoniani hanno fatto insieme fino alla cosiddetta clinica in Svizzera (in realtà uno squallidissimo appartamento), Cappato ha detto al signor Fabiano Antoniani che lo amava, che la sua vita era preziosa? Lo ripeto perché è importante: chiunque abbia seguito pazienti terminali, il signor Fabiano Antoniani non lo era, o anche pazienti cronici e pazienti gravi, sa che quando un paziente dice «voglio morire», in linguaggio cifrato vuol dire: «Vi prego consolatemi, fatemi sentire amato». Il signor Cappato ha ricordato al signor Fabiano Antoniani tutto quello che si può fare anche in condizioni di cecità e di tetraplegia? Si può amare, si può essere amati, si può meditare, si può pregare, si può cercare Dio e Lo si può trovare, anzi in condizioni così estreme è molto più facile trovarlo. Si può pensare una Divina Commedia e la si può dettare. Si può continuare ad
La volontà umana non è un monolite, ma un riflesso di luce sull’acqua, cambia di istante in istante. L’istinto di sopravvivenza è l’istinto primario
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Sofferenza e dolore non sono sinonimi: il dolore è una sensazione fisica, la sofferenza è invece mentale
amare la musica, la si può ascoltare e si potrebbe, scrivere musica. Nelle sue ultime ore di vita, il signor Fabiano è stato in presenza di qualcuno che lo ha consolato? «Se tu non vuoi, puoi non farlo», ce lo hanno detto anche per l’aborto e il divorzio. Se qualcuno divorzia però è coinvolto anche il partner che non ne voleva sapere, i figli, è coinvolta tutta la società per cui il matrimonio perde valore e nella quale sposarsi diventa sempre più difficile. L’aborto coinvolge anche un bambino non consenziente e lascia strascichi dolorosi in tutti i soggetti coinvolti, oltre la madre. Dove l’eutanasia è permessa, diventa obbligatoria anche per i non consenzienti, pazienti che avevano lunghe aspettative della loro piccola vita che qualcun altro ha giudicato “senza dignità”. Ogni essere umano ha dignità. E soprattutto, dove l’eutanasia è ammessa, nessuno si faccia illusioni, il livello di cure crolla, crolla molto in basso, crolla per tutti. Il libro Il diritto di essere uccisi: verso la morte del diritto, a cura del professor Mauro Ronco, spiega che siamo immersi in condizionamenti emotivi e mediatici, e tutta questa infernale macchina si muove su condizionamenti emotivi e mediatici, in un campo dove è necessario al contrario essere lucidi. In realtà ogni persona, per il mero fatto di essere tale, «concorre al progresso materiale o spirituale della società». Nelle necropoli dell’età della pietra troviamo scheletri che denunciano patologie gravissime e croniche, e quindi la tenerezza infinita dell’accudimento. La ruota potrebbe essere stata inventata dal padre di un figlio incapace di camminare.
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Dove le persone fragili e deboli sono soppresse, la civiltà si ferma. Una volta saltata la diga della sacralità della vita, tutto può essere travolto. La ricerca medica si fermerà. Perché curare le demenze, le paralisi, la cecità? Ogni vita umana, in altre parole, è una risorsa preziosa e imperdibile per l’intera umanità. Una risorsa che ci ha permesso di inventare la ruota, oppure più modestamente l’idromassaggio (fu inventato da un idraulico,
il signor Jacuzzi, per stimolare il figlio cerebroleso) e insegnerà a noi “forti” la tenerezza e la pazienza. La dignità è intrinseca a ogni essere umano. Non è accettabile confondere il concetto di dignità con il differente concetto di qualità della vita. La qualità della vita è un concetto che non tiene conto della capacità principe della creatura umana: l’adattabilità. All’interno di un corpo malato la mente e
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Non è accettabile confondere il concetto di dignità con il differente concetto di qualità della vita
l’anima si adattano in nuovi equilibri, che sono incomprensibili a chi guarda da fuori, rinchiuso nel proprio pregiudizio che nessuna gioia sia possibile. Nessuno si faccia illusioni. Finiti i discorsi aulici, dopo le parole “autodeterminazione” e “libertà”, ci sono i quattrini, l’infinito fiume di quattrini che si risparmieranno se le vite dei malati cronici verranno soppresse. È necessario un fiume di solidarietà umana e di umana simpatia per riempire di serenità anche le vite dei malati cronici, sono necessari specialisti, terapisti, insegnanti: una fiala endovena è molto più semplice e dannatamente più economica. In tutti i Paesi dove il suicidio assistito è permesso, si è scivolati con simpatia e rapidità all’eutanasia del non consenziente, nel giro di poco tempo, come è ovvio che sia. Tutto questo avviene mentre si sta imponendo a tutta la popolazione l’inoculazione di dubbi sieri sperimentali [contro il Covid-19, ndR] che potrebbero avere effetti devastanti a lungo termine, e che già ne stanno avendo di micidiali a breve. Il cittadino non è più padrone del suo corpo. Le sole libertà riconosciute sono abortire e morire.
Dove l’eutanasia è permessa, è diventa obbligatoria anche per i non consenzienti
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Gli psichiatri devono prevenire il suicidio, non fornirlo Alex Schadenberg
Il direttore esecutivo dell’associazione canadese Euthanasia Prevention Coalition ci illustra le posizioni dei professionisti della salute mentale che si ribellano al diktat della cultura della morte che imperversa in America, pubblicate sulla rivista Psychiatric Times qualche tempo fa, ma sempre attuali Cynthia Geppert, è professoressa di psichiatria e medicina presso la School of Medicine dell’Università del New Mexico; Mark Komrad fa parte della facoltà di psichiatria della Johns Hopkins, dell’Università del Maryland e della Tulane University; Ronald Pies è professore emerito di psichiatria e docente di bioetica e scienze umane alla Suny Upstate Medical University, professore di clinica psichiatria alla Tufts University School of Medicine e caporedattore emerito di Psychiatric Times;
È compito degli psichiatri compiere ogni sforzo per prevenire il suicidio, non favorirlo
Annette Hanson della Forensic Psychiatry Fellowship presso l’Università del Maryland. Questi quattro scienziati hanno levato forte e chiara la loro voce contro il coinvolgimento degli psichiatri negli atti di eutanasia e suicidio assistito: è compito degli psichiatri compiere ogni sforzo per prevenire il suicidio, non favorirlo. Come - del resto - qualsiasi medico è chiamato alla guarigione dei malati, ove possibile. E dove non è possibile la guarigione, è sempre possibile curare e perseguire un miglioramento della qualità di vita del malato. Se anche tutti i sondaggi dicessero che la maggioranza degli Americani è favorevole alla morte procurata da un medico, l’etica ippocratica non può cambiare. La deontologia professionale non è questione “democratica”. Altrimenti si apre il campo a una sorta di relativismo postmoderno che cancella il concetto stesso di professione medica. L’etica non è una sorta di banderuola, mutevole al cambiare del vento e delle opinioni.
Non è la formulazione letterale del giuramento di Ippocrate, ma il successivo sviluppo di quei valori che ha fornito una bussola morale alla professione medica cresciuta intellettualmente ed esperienzialmente legata a valori religiosi universali. Cambiano i costumi sociali, cambiano le mode, sostenute da celebrità, intellettuali, politici, influencer più o meno qualificati. Ma i valori fondanti la deontologia professionale non possono cambiare. Consideriamo l’esempio storico della psichiatria sovietica, utilizzata per isolare i dissidenti. Chi oggi avrebbe il coraggio di difenderla? In Cina, quelli che chiedono la democrazia vengono rinchiusi in temibili ankang, i manicomi criminali, perché la psichiatria cinese considera la “voglia di democrazia” una malattia mentale. La deontologia medica è perciò cambiata in tal senso? I medici statunitensi, in particolare gli psichiatri, hanno partecipato con entusiasmo ai programmi di sterilizzazione forzata ispirati
all’eugenetica dei malati di mente negli Stati Uniti... Tutto questo non elimina gli assoluti morali che la professione medica dovrebbe difendere, nonostante le pressioni legislative o popolari. L’antropologa Margaret Mead ha sottolineato che i seguaci di Ippocrate erano completamente dediti alla vita, in ogni circostanza, indipendentemente dal grado, dall’età o dall’intelletto del paziente: la vita di uno schiavo, di un imperatore, di un uomo straniero, di un bambino malato. . . Questa è un’eredità inestimabile che non possiamo permetterci di offuscare. Ma la società ha ripetutamente tentato di trasformare il medico in un assassino: è nostro dovere proteggere i medici da tali richieste. Geppert, Komrad, Pies e Hanson sostengono la verità. I medici non devono uccidere i loro pazienti. Gli psichiatri impediscono il suicidio, non lo forniscono.
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Memento mori, per vivere bene Giulia Tanel
Morire fa paura. È normale sia così. Ma oggi viviamo una situazione paradossale: per contrastare questo sentimento, di fatto si finisce per non vivere La morte fa paura, non è certo una novità degli ultimi anni. Eppure è innegabile che qualcosa ultimamente sia cambiato, e questo con ogni probabilità va posto in relazione con il venir meno di una certa concezione di fede cristiana socialmente diffusa che un tempo animava il pensiero popolare e che oggi invece è andata sempre più perdendosi. Ma andiamo con ordine. Il dato di fatto è che oggi la morte è un argomento tabù: non si hanno più le parole e l’umanità per starle di fronte, per viverla come un passaggio sì doloroso e obbligato, ma anche importante del cammino della vita. A vincere oggi sono o un acceso sentimentalismo che, passate le lacrime, lascia solo una sensazione di vuoto, oppure il tentativo di “annullare” questa realtà, e questo sia accanendosi in maniera talvolta eccessiva pur di ritardare la morte, sia
La morte in sé è considerata priva di senso, per non parlare della sofferenza fisica e spirituale
vivendo come se si fosse eterni. Rispetto alla tematica della morte, questi mesi di cosiddetta "pandemia" di Covid-19 sono stati per certi versi rivelatori: da un lato si è giocato in maniera ossessiva sulla paura della morte, con il prossimo diventato quasi esclusivamente possibile fonte di contagio, cosa che ha spinto molti a non vivere, pur di non morire: isolamento, distanziamento, relazioni sociali pressoché solo virtuali… sono la cifra che ha contraddistinto, e ancora contraddistingue, la realtà quotidiana di molti, con conseguenze a livello individuale e comunitario che è impossibile quantificare; dall’altra, le persone sono spesso decedute in piena solitudine, senza alcun conforto umano e spirituale, per poi essere trasformate pressoché istantaneamente in meri numeri, da snocciolare per alimentare ancora di più il circolo vizioso della paura, con poca o nulla considerazione sul piano strettamente individuale. Anche la propaganda pro eutanasia che in questi ultimi mesi, complice la raccolta firme promossa da Marco Cappato in vista di un referendum sul tema e il sostegno dei media mainstrem, è nuovamente aumentata in intensità, si muove in questa direzione: la morte in sé è considerata priva di senso, come anche la sofferenza fisica e spirituale, e in quanto tale può essere un momento da
pianificare a proprio piacimento nei tempi e nei modi, in maniera tale che faccia meno paura e sia quanto più rapida possibile. La nostra società si muove quindi su un piano tanto inclinato, quanto paradossale: per paura della morte concepita come la fine di tutto, sta rinunciando a vivere. E questo si concretizza da un lato nelle prospettive cui si è fatto cenno, ma apre anche a una riflessione più ampia, di stampo metafisico. Il “rinunciare a vivere”, infatti, può anche essere inteso come un “vivacchiare” fine a se stesso: se la vita è solo qui ed ora, perché non godersela il più possibile, andando «al massimo» come suggerito da Vasco Rossi, senza troppe preoccupazioni? In effetti, il ragionamento non fa una piega. Eppure, la realtà ci rimanda che questo modo di vivere alla lunga non appaga, non conferisce quella felicità che si va così ossessivamente cercando. Di contro, coloro che conducono la propria esistenza alla luce di un «memento mori» concepito in ottica cristiana, motto che apre alla prospettiva che c’è una vita dopo la morte, conducono un’esistenza più piena, più appagata. Come mai? Semplicemente perché hanno modo di inserire la propria vita - e con essa le proprie azioni, i propri
Il dato di fatto è che oggi la morte è un argomento tabù: non si hanno più le parole e l’umanità per starle di fronte
sentimenti umani, le proprie sofferenze, etc. - dentro una prospettiva più ampia, che non è destinata a esaurirsi nell’arco di pochi anni: a discapito del proprio ego, e in favore di valori e virtù più alte. Certo, in questo, oggi come un tempo, ci sono sempre gli eccessi: chi si flagella e conduce una vita di sofferenze e di regole fini a se stesse per “conquistarsi” il dopo, sbaglia tanto quanto chi sperpera i propri giorni nell’oggi. Non si tratta quindi né di vivere in un eterno presente che non contempla prospettive future, né di sacrificare l’oggi in vista del dopo. La giusta via sta nel mezzo: vivere appieno il presente nella prospettiva della vita eterna, nella consapevolezza che l’oggi informerà il nostro “dopo”. Per sempre.
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ottobre 2021
Come a Bibbiano
«Tutti i diritti fondamentali si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» (Corte Cost. n. 85/2013)
Giuliano Guzzo
Famiglia e principio di sussidiarietà in pericolo a causa degli emendamenti proposti dal Pd sulla riforma della giustizia I bambini di Bibbiano sono tutti tornati alle famiglie di origine: l’inchiesta cominciata nel 2018, nota col nome di “Angeli e Demoni”, ha confermato che i servizi sociali e i consulenti dei comuni della Val d’Enza hanno agito fuori dalla legge e per anni hanno tolto i bambini ai loro genitori - in modo abusivo - consegnandoli alle “cure” di case famiglia (o di coppie omosessuali!) amiche di amici. Anche il tribunale dei minori di Bologna, che pur aveva avallato quegli allontanamenti, ha fatto retromarcia. Dopo le violente polemiche seguite agli arresti del luglio 2019, sul processo in corso a Reggio Emilia è calato il silenzio mediatico. In Parlamento l’ostruzionismo di altri amici di amici ha impedito l’avvio della Commissione d’inchiesta sugli affidi illeciti e sulle case famiglia fino al maggio di quest’anno. Confidiamo che si faccia
«Garantire che la bigenitorialità non possa mai prevalere sul principio del preminente del minore»
chiarezza sull’emergenza minori: il “sistema Bibbiano” sembra diffuso anche in Piemonte e in Toscana, come evidenziato anche dall’inchiesta portata avanti dalla Procura di Massa Carrara, che ha visto l’arresto di 8 persone, fra le quali il sindaco di Villafranca in Lunigiana. Tutto fa brodo pur di lottare contro la famiglia: pure la riforma della giustizia. Questo è quanto ha denunciato il quotidiano La Verità il 28 luglio scorso, raccontando di due emendamenti aventi come prima firmataria la senatrice Pd Valeria Valente, ma sottoscritti pure da vari altri esponenti dem, che, se approvati in Senato, potrebbero avere effetti drammatici. Vediamole per capire il perché della pericolosità di queste proposte. La prima introduce per «il giudice civile o minorile» l’obbligo di accertare con «urgenza e senza formalità» situazioni di «violenza» domestica «segnalate o riferite». Ora, apparentemente trattasi di disposizione sacrosanta. Peccato che basta riflettere su tale emendamento - che andrà a incidere nei casi di separazione e di affido condiviso - per capirne la pericolosità. Per un motivo semplice: consegna al giudice almeno due strumenti concettuali vaghi e che ne alimentano l’arbitrio; in primo luogo, quello della «violenza» - termine a cui finora il
nostro ordinamento ha preferito quelli, ben più precisi, di percosse, maltrattamenti o lesioni -, e a seguire quello di violenze «riferite». Basterà perciò una segnalazione pure anonima sulla presunta «violenza» agita da un genitore su un figlio per dare alla magistratura facoltà di intervenire anche drasticamente. Dal punto di vista pratico, ciò da un lato infliggerà uno scossone all’istituto degli affidi condivisi - dato che, lo si ripete, basterà un’accusa «riferita» a creare ombre su un genitore, che rischierà di essere quasi sempre il padre -, e, dall’altro, per la stessa ragione, rischia, quando le supposte «violenze» dovessero riguardare ambedue i genitori, di determinare impennate di affidamenti alle case famiglia. Le storie sconvolgenti legate allo scandalo di Bibbiano - sul quale si sta celebrando un processo con decine di imputati - rischiano quindi, con tale emendamento, di moltiplicarsi. Neppure la seconda proposta, promossa sempre dalla senatrice dem Valente, è più convincente, anzi. Con essa, infatti, si stabilisce un principio generale, e cioè che «garantire che la bigenitorialità non possa mai prevalere sul principio dell’interesse preminente del minore». Ora, chiaramente nessuno dubita - ci mancherebbe altro dell’importanza di considerare «il principio dell’interesse preminente del minore» ma, posta in questi termini, la questione
pone varie criticità. Anzitutto essa dà una lettura conflittuale degli interessi in gioco in famiglia, come se il «preminente interesse del minore» sia valore opposto alla «bigenitorialità». In secondo luogo, il contenuto di tale emendamento, strutturato in un’ottica gerarchica, si pone in conflitto con la sentenza n. 85 del 2013 con cui la Consulta ha segnalato che «tutti i diritti fondamentali si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». Questo perché, ha stabilito un’altra sentenza - la n. 264 del 2012 -, la tutela di detti diritti deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro». Infine, tale emendamento, ponendo diritti fondamentali in conflitto, favorisce spinte disgregatrici a danno di relazioni familiari oggi già vulnerabili. Ecco che allora le due proposte del Pd non solo non c’entrano nulla con la riforma della giustizia - approvata alla Camera a inizio agosto e al momento di andare in stampa ancora all’esame del Senato -, ma c’entrano poco con le stesse priorità delle famiglie; l’unica cosa cui sono funzionali è la frantumazione di quella che, quando se ne capiva il valore, era chiamata la «cellula fondamentale della società».
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ottobre 2021
Giambattista Vico e la sacralità della vita alle origini della civiltà Clemente Sparaco
Per il filosofo napoletano sono tre gli «umani costumi» che elevano gli uomini Giambattista Vico, il grande filosofo napoletano autore della Scienza nuova, ha rintracciato l’origine della civiltà in tre umani costumi: la religione, i matrimoni, le sepolture. «Osserviamo tutte le Nazioni così barbare, come umane, quantunque per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane divisamente fondate», scrive nel suo capolavoro, «custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione; tutte contraggono matrimoni solenni; tutte seppelliscono i loro morti…». Ora, cosa accomuna questi tre costumi, se non il rispetto della sacralità della vita? Pertanto, per Vico, l’uomo diventa umano nel momento in cui si palesa quel rispetto. In particolare, esce dallo stato di ferinità quando emerge il senso religioso: «… ‘l mondo civile cominciò appo tutti i popoli
«… il mondo civile cominciò appo tutti i popoli con le religioni»
con le religioni», scrive. La religione instaura un sacro timore che è primizia del sentimento d’impotenza dal quale, come diretta conseguenza, origina il rispetto delle leggi e, quindi, il vivere ordinato. Dal vivere ordinato scaturiscono, poi, le istituzioni che umanizzano l’agire e l’operare. La prima è il matrimonio, che rende stabile l’esistenza grazie alla formazione della famiglia. I matrimoni, scrive il filosofo, «furono il seminario delle famiglie, come le famiglie lo sono delle repubbliche». «Al coperto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie», aggiunge, dove è diretto il collegamento fra l’istituzione familiare (naturalmente eterosessuale) e la stabilità che garantisce il diritto e la protezione della generazione (certi figliuoli). La seconda istituzione è la sepoltura, «per la quale», osserva Vico, «a’ latini “humando” “seppellire” prima e propriamente vien detto “humanitas”». L’umanità nasce dall’humare i morti, cioè dal rispetto che si stabilisce nei confronti della memoria del defunto, rispetto che passa per la custodia delle sue spoglie mortali. Questa acutissima osservazione
Nel momento in cui sorgono quei tre umani costumi all’agire puramente naturale dell’uomo subentra l’agire illuminato da un’idea mostra come Vico retrodati alle umane istituzioni del matrimonio e dell’inumazione dei defunti, anziché alle humanae litterae (come invece avevano inteso gli umanisti), il sorgere della civiltà umana. L’umanità è, quindi, direttamente collegata al rispetto e alla preservazione della vita, dall’inizio fino alla fine. Nel momento in cui sorgono quei tre umani costumi «all’agire puramente naturale dell’uomo subentra l’agire illuminato da un’idea», scrive Aniello Montano, ovverossia sorge l’agire secondo principi, per cui l’uomo si eleva oltre la dimensione bestiale. Ecco allora, aggiunge Montano, «la Provvidenza, cui rivolgersi “nel terribile frangente della morte”, il pudore, in quanto distacco dell’individuo dalla sua animalità, l’immortalità, come consapevolezza che il cadavere “è stato sede di qualcosa che al cadavere è superiore”» (A.
Montano, I testimoni del tempo. Filosofia e vita civile a Napoli tra ‘700 e ‘900). La civiltà resta poi tale nella misura in cui continua a preservare quel rispetto: «… e perciò si debbano santissimamente custodire da tutte; perché ’l Mondo non s’infierisca, e si rinselvi di nuovo», scrive Vico sempre nella Scienza nuova. Ciò indica che il filosofo napoletano ha ben presente il rischio che la libertà possa corrompersi nella «sfrenata libertà de’ popoli liberi», ossia nella licenza delle passioni, del lusso, dell’avarizia, dell’invidia, della superbia e del fasto, che importano il disordine nel vivere e del vivere con il decadere di quel rispetto fondativo per la vita. Perché, per Vico, a differenza che per gli altri pensatori moderni, la storia non è una galoppata trionfale sulla via del progresso e c’è sempre la possibilità del ricorso, ossia della decadenza di una civiltà.
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In cineteca
ottobre 2021
Il diritto di essere uccisi: verso la morte del diritto?
Un Dio vietato Titolo originale: Un Dios prohibido Paese di produzione: Spagna Anno: 2013 Durata: 133 min. Genere: drammatico, storico Regia: Pablo Moreno Questo film, disponibile in dvd, anche su Amazon, narra del sacrificio eroico di alcuni dei martiri della guerra civile spagnola: 51 frati barbaramente uccisi dal Fronte Popolare in odio alla fede cattolica. Siamo nell’agosto del 1936, a Barbastro, un borgo della provincia aragonese di Huesca. 51 Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, detti “clarettiani”, non rinnegarono la loro fede in cambio della libertà e, perdonando i loro carnefici, vanno incontro alla morte cantando e gridando: «Viva Cristo Re!» e «Viva il Cuore di Maria!». Il sito Film garantiti ci spiega che i martiri cattolici della Guerra civile spagnola sono molti di più. Si parla di 6.832 morti, dei quali 4.184 erano membri del clero secolare, fra cui 12 vescovi (di cui 9 già beatificati) e un amministratore apostolico; 2.365 erano i
In biblioteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Mauro Ronco G. Giappichelli editore
religiosi, 283 le religiose. Dei laici cattolici uccisi per motivi religiosi non esistono statistiche certe, ma siamo nell’ordine delle diverse centinaia. Il 70% delle chiese del Paese vennero distrutte e profanate. I 51 clarettiani di cui parla il film sono stati canonizzati da Giovanni Paolo II. Altri 522 martiri sono stati beatificati da papa Francesco lo scorso anno.
«La dolorosa questione dell’eutanasia è uno degli ambiti nei quali chi giudica deve essere ben consapevole dei propri limiti, e deve essere capace di superare suggestioni e condizionamenti emotivi e mediatici»: sin dalla presentazione a cura di Alfredo Mantovano, vice presidente del Centro Studi Rosario Livatino, è chiaro l’intento del ponderoso volume, che si pone, a tutti gli effetti, come un vero e proprio strumento utile per superare con argomenti solidi e ben motivati le suggestioni e i condizionamenti che da più parti occupano i commenti e le riflessioni sul delicato tema del fine vita.
La donna a una dimensione. Femminismo antagonista ed egemonia culturale Alessandra Nucci Marietti
Genesi e funzione del nuovo femminismo, elaborato a tavolino da un’élite intellettuale e diffuso nel mondo da istituzioni e associazioni tese a promuovere una società pianificabile, fatta di una moltitudine atomizzata di persone poco interessate ad appartenersi l’una all’altra e dunque poco interessate a riprodursi. Perché le donne non si facciano strumentalizzare, ma prendano in piena libertà le decisioni delle proprie vite, occorre portare alla luce gli scopi e i meccanismi di persuasione messi in campo da quella che è diventata oggi una filiera educativa mondiale, sempre più potente, ramificata e coesa.
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Dal 1962 approfondimenti, inchieste, notizie e molto altro. Scoprilo in edicola tutti i mercoledì Diretto da Maurizio Belpietro