Anno VII| Aprile 2018 Rivista Mensile N. 62
Notizie
Trento CDM Restituzione POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES
“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
SOPRAVVISSUTI AL SESSANTOTTO DISCORSO ALLA MARCH for LIFE
DAL SOGNO HIPPIE ALL’INCUBO YUPPIE
ARDUIN IL RINNEGATO di Silvana De Mari
di DONALD J.TRUMP, p. 13
di ENZO PENNETTA, p. 15
di giulia tanel, p. 36
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES Notizie
EDITORIALE
3
NEWS
4
ARTICOLI ProVita in azione 6 Dillo a ProVita! 7 Ritratto di una donna
Anno VII | Aprile 2018 Rivista Mensile N. 62 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089 Direttore responsabile Antonio Brandi
Marciare per la Vita
Gloria Pirro
Discorso alla March for Life
Tipografia
13
Donald J. Trump
Enzo Pennetta
«Liberi, liberi!» 18
Clemente Sparaco
Droga: «Una delle più grandi e atroci idiozie della generazione del ‘68» 21 Giuseppe Fortuna
Un progetto culturale e politico fondato sulla psicoanalisi
Roberto Marchesini
Distribuzione
FILM: Hair
25 30
Marco Bertogna
Uno zigote, un bambino, una persona
Hanno collaborato a questo numero: Marco Bertogna - Giuseppe Fortuna - Virginia Lalli - Roberto Marchesini - Enzo Pennetta - Gloria Pirro - Francesca Romana Poleggi - Luca Scalise - Clemente Sparaco - Giulia Tanel
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PRIMO PIANO Dal sogno hippie all’incubo yuppie 15
Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica
9
Luca Scalise
34
Francesca Romana Poleggi
Arduin il rinnegato 36
Giulia Tanel
Uova d’oro
Virginia Lalli
LIBRI
38 43
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21 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it
Nel nostro Primo piano vi offriamo qualche spunto per riflettere su quella che è stata la radice e quello che è il frutto del Sessantotto. Vedremo che è stata una rivoluzione borghese che ha posto le premesse dell’antropologia liquida, materialista e consumista che affligge i nostri giorni. Una rivoluzione protesa al riconoscimento di falsi diritti e false libertà (sesso, droga e rock ‘n roll), che disconoscono e calpestano la dignità degli esseri umani. Una rivoluzione che davvero ha mandato in fumo le aspirazioni dei tanti giovani, finiti con il cervello spappolato dalle droghe, o morti ammazzati, o in galera per il terrore che ha caratterizzato i successivi “Anni di piombo”. Una rivoluzione che ha cominciato ad abbattere i valori – la religione (soprattutto quella cattolica), la famiglia, la Nazione, l’educazione (scolastica e non) – che oggi si sono assottigliati all’inverosimile… ma che hanno resistito. Sì, cari Lettori: siamo “Sopravvissuti al Sessantotto”. L’intellighenzia radical chic che detiene il potere globale, con i soldi di Soros & Co, ha fatto molti danni e ne continua a fare: basti pensare alle leggi mortifere e disumane – figlie del Sessantotto – che sono state approvate dagli anni Settanta ai giorni nostri (dal divorzio e dall’aborto, fino all’eutanasia). Ma contro questa élite rumorosa e illiberale, e nonostante la massa di individui indottrinati, soli e disperati, che le dà seguito, c’è ancora una comunità di gente sana, che ama e che lavora per il bene comune. Non siamo pochi. E anche se fossimo pochi, siamo un lievito potente, in grado di far fermentare tutta la farina. Lo possiamo – e lo dobbiamo – perché non siamo soli: Colui che ha già prevalso sul male e sulla morte è con noi e ci sosterrà sempre, fino alla vittoria. Toni Brandi
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EDITORIALE
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La guerra in Vietnam, la Primavera di Praga, il terremoto del Belice, l’assassinio di Martin Luther King… sono tanti gli avvenimenti storici che hanno avuto luogo nel 1968. Eppure “Sessantotto”, per antonomasia, è sinonimo del movimento studentesco che ha acceso fuochi rivoluzionari in America, in Francia e in tutta Europa. Fuochi rivoluzionari, certamente. Che però hanno fatto solo molto fumo e hanno confuso e annichilito le coscienze senza costruire, né gettare le basi per costruire, un futuro migliore.
NEWS ONU: (DIS)EDUCAZIONE SESSUALE GIÀ A 5 ANNI
Ricordate gli Standard per l’Educazione sessuale dell’Oms? Ebbene: l’Onu insiste con un nuovo documento dell’Unesco sull’educazione sessuale, che sembra sia stato scritto a quattro mani con il colosso dell’aborto Planned Parenthood, in particolare su ciò che riguarda l’educazione sessuale per i bambini. Il documento in questione si intitola Guida tecnica internazionale per l’educazione sessuale e raccomanda che le scuole comincino l’educazione sessuale a bambini di cinque anni; incoraggia spudoratamente il sesso promiscuo anche tra ragazzini, dipingendo la morale naturale come antiquata e sbagliata e spingendo i bambini a mettere in discussione i valori e le convinzioni dei loro genitori riguardo al sesso e al matrimonio; inoltre, promuove l’aborto: secondo l’Unesco è infatti compito degli Stati liberalizzare l’aborto al massimo.
TRANS SI FA OPERARE: PAGHIAMO NOI
Da Treviso era andato negli Stati Uniti per cambiare sesso, nel 2012. Si sentiva una donna imprigionata in un corpo di uomo e la cosa durava da troppo tempo. Era diventata un’urgenza diventare donna. L’uomo, che voleva la demolizione genitale e la contestuale vaginoplastica, dopo esser stato operato in California ha chiesto la condanna della sua Usl al pagamento di 21.500 dollari (costo dell’intervento) e di 15.000 dollari per costo del viaggio con accompagnatore. Le motivazioni che il giudice ha accolto? All’estero la nuova “donna” ha potuto disporre di migliori prestazioni e ottenere l’intervento in tempi più rapidi. Insomma: le spese gli verranno rimborsate dalla Regione Veneto. Cioè sono a carico di noi contribuenti.
4 N. 62
Uno studio pubblicato sulla rivista Infant and Child Development alla fine dello scorso anno dimostra che il genere è connesso al sesso biologico, ed è immutabile. Le differenze di sesso e di genere, tra maschi e femmine, non sono dunque fluide, come sostiene la teoria gender, e le preferenze di genere nei bambini non sono il frutto dell’ambiente in cui vivono e della loro educazione, ma sono intrinseche al loro sesso biologico. Dunque, i promotori dell’ideologia LGBTQQICAPF2K+, che sostengono il sesso irrilevante e il genere fluido, sbagliano.
LA BIOLOGIA PREVALE SULLA FOLLIA
Il clima in Irlanda è sempre più infuocato: è stato indetto a maggio un referendum per abrogare l’ottavo emendamento della Costituzione, che protegge la vita fin dal concepimento. La norma era stata introdotta nel 1983, sempre con un referendum: allora i due terzi degli irlandesi avevano votato a favore della vita. Recentemente i principali media irlandesi, cultori della morte e abortisti, ben foraggiati da Soros, sono stati costretti a rimangiarsi le notizie che hanno diffuso circa un sondaggio secondo il quale la maggior parte dei medici sarebbe a favore dell’aborto. I pro life, che da tempo hanno lanciato la campagna “Save the 8th”, sono lieti che il Journal e l’Irish Times abbiano corretto il loro errore, ma resta il fatto che un gran numero di irlandesi intanto ha letto qualcosa di completamente falso sul giornale del mattino, e purtroppo la menzogna si insinua e produce frutti anche se poi viene smentita.
IRLANDA – SBUGIARDATE LE FAKE NEWS DEI MEDIA PRO ABORTO
5 N. 62
ProVita in AZIONE 31 gennaio 2018, Conferenza Stampa a Roma per la fine della campagna di ProVita Onlus “Aiuta a far nascere il Bambino” e la consegna al Prof. Giuseppe Noia di un assegno con il ricavato raccolto
16 e 17 febbraio 2018, I Festival per la Vita a Verona
18 febbraio 2018, Gianna Jessen a Genova
22 febbraio 2018, Gianna Jessen a Padova 6 N. 62
21 febbraio 2018, Gianna Jessen a Prato
C
Dillo a ProVita
ominciamo, con questo numero di aprile, a dare spazio ad alcune delle vostre numerose lettere, cari Lettori. Non ci sarà possibile farlo con tutte, perché siete in tanti a scriverci, ma confidiamo che questo non vi scoraggi dal mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it, risponderemo a tutti molto volentieri. Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di Battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.
Sono venuta a conoscenza «Sono una lettrice del Vostro giornale. Grazie per quello che fate! i che distribuivano la rivista di Notizie ProVita per caso, facendo una piccola offerta ai ragazz ha aperto gli occhi su un fuori dalla Chiesa, una domenica. Bravi. Quello che scrivete mi golo più profondo, oscuro e mondo di dolore che avevo rigettato indietro, buttato nell’an potuto avere vivi, con me e dimenticato del mio animo: l’aborto di cinque figli che ora avrei me sono state indotte mio marito insieme a due fratelli! Tante donne sessantottine come un diritto, un bene per nell’errore, con false giustificazioni, di considerare l’aborto come o e soffriranno sempre per la la salute delle donne… ma non è vero. Esse, come me, soffron nati: come mi presenterò perdita di un figlio. Io penso a quando rivedrò in Cielo i miei figli non o nel rivedermi? Vivo con davanti a loro? Poveri! E loro mi perdoneranno? Mi abbraccerann avessi sempre lo sguardo queste dolorose domande ogni giorno della mia vita e, se non mi condurrei alla morte a fisso nello sguardo della Misericordia di Dio, io mi ammalerei, causa delle distruttive sofferenze del rimorso. Grazie ancora per quello che scrivete. ... A volte noi lettori abbiamo Grazie anche perché ci siete, perché leggete le nostre lettere insomma la carta stampata anale, settim e, la sensazione che il giornale, quotidiano, mensil essere pubblicata, letta, ad se interes solo sia una entità lontana da noi, una entità che ha sentire una lettrice e fatto ha mi a rispost ra conosciuta, per vendere più copie. Invece la vost una donna “esistente”. essere utile a qualcuno. Do il mio consenso a pubblicare la mia lettera, se questo può psicologiche.... Continuate a parlare di aborto e delle sue conseguenze anche rgomentazioni che hanno Prima di salutarvi, vi voglio raccontare, brevemente, una delle a aborti a me e ad altre dieci usato le persone, le donne e il dottore che hanno praticato gli no: «Non preoccupatevi, donne, in segreto, a casa mia, una volta, quarant’anni fa. Diceva o sono tenute in gabbia, non vi fate problemi morali se ora abortite... anche le galline, quand mangiando le uova, i loro sentendosi in difficoltà perché in piccoli spazi, praticano un aborto o abbiamo dei problemi…». figli. Dunque l’aborto è un fatto naturale, che si può fare, quand lieri: radicali, capitanati Ora io dico: «No, non è così!». Non perdonerò mai a quei cattivi consig erata alla stregua consid i averm per , dall’ormai defunto Pannella e tuttora da Emma Bonino di una gallina. lo, non siamo galline (e non Noi donne, noi esseri umani pensanti dotati di cuore e cervel mente all’aperto nelle allegra ggiano rumore che i ho nulla contro questi simpatici animal Io ne ho trovata una ni. soluzio tante trovare mo nostre campagne). Nelle difficoltà possia lettera, ricevere una una e scriver , ProVita Notizie e in più: leggere il Vostro giornale, legger risposta...».
Antonia
7 N. 62
Dillo a ProVita dolore che ho provato quando «Vorrei dare la mia testimonianza. Vorrei spiegare il disagio e il gemelli. ho saputo che mia madre aveva abortito due miei fratelli, due a un’emorragia per giorni Già avevo visto, in prima persona, una mia zia stare male, in preda cadaverica, con dolori orribili e dopo un aborto: non riusciva ad alzare la testa dal letto, pallida devastata mentalmente e moralmente... o: due gemelli, maschi, anche Poi mia mamma mi ha confessato che anche lei aveva abortit tato dello choc subito per aver leggermente oltre la data consentita per la legge. Mi ha raccon umani, gambe, braccia. Mi ha visto il dottore tirare fuori dal suo grembo dei pezzi di esseri che fossero così completi e detto – straziata – che perfino il ginecologo non s’immaginava re, mentre faceva a pezzi quei formati. A un certo punto pure il dottore si era messo a piange poveri martiri mai nati. un grosso trauma, soprattutto Da allora mia madre non è rimasta più incinta e si porta dietro morale. del mondo, quando abbiamo Noi, fratelli fortunati, quelli che sono riusciti a vedere la luce , sentendomi in colpa: perchè saputo di questa tragedia, siamo rimasti scioccati. Io ho pianto Quale era la loro colpa? E mi io sì e loro no? Cosa avevano quei due bambini in meno di me? gemelli, se non fossero stati immagino ogni tanto come sarebbero diventati oggi i miei fratelli ammazzati nel grembo. Mi sento in colpa per essere viva. o in qualche modo addosso Sono convinta che il peccato di quell’assasinio, il peso, lo portiam figli… anche noi, i figli nati, e lo porteranno anche i nostri figli, e i figli dei ità, un corpo sociale: se un Se mi taglio un dito, tutto il corpo ne soffre. La famiglia è una comun ri. membro sbaglia, soffre, muore, ne risentono tutti gli altri memb o a pregare, ma non è stata Mia madre è andata a chiedere un aiuto spirituale e ha provat vergogna o forse perchè ha il costante. Forse perchè è sopraffatta dal senso di colpa, dalla ente non le piace parlarne, cuore intrappolato ed accecato dal peso di questo peccato. Sicuram subito diventa nervosa ed irritata. Ho già chiesto perdono per Ma io in chiesa prego sempre per lei e per i miei fratellini mai nati. nze. lei al Signore, e a questi piccoli fratelli miei, ho fatto digiuni e penite che quelle creature non sono Il problema è che la gente per generazioni è stata convinta di un insetto. Perciò, quando le esseri umani, non sono nulla, e che le loro vite valgono meno ettendo un omicidio vero. donne vanno a fare l’aborto, non hanno coscienza che stanno comm ne è resa conto solo quando Penso che sia questo il punto da chiarire per tutti. Mia madre se pancia. Ora pare che facciano ha visto dei pezzi di braccini e di gambette uscire dalla sua che succede a quelle creature l’anestesia totale alle donne, così che non vedano, non sappiano innocenti. popolo. Di fatto, le associazioni Uccidere i bambini non nati vuol dire uccidere il futuro di un una battaglia impari. Mi pare come ProVita stanno combattendo contro il mondo intero – mondo e quindi il mondo perfettamente in linea con quel che diceva Cristo: non siamo di questo ci detesta. e tira fuori qualcosa di buono Ah sì, però una cosa positiva è accaduta: è vero che il Signor fatto abortire mia madre, ovunque, perfino nelle situazioni più orribili. Il dottore che aveva si è pentito ed ha cominciato a dopo quella esperienza tremenda, ha smesso di fare aborti, bambini». Caterina convincere le mamme che andavano da lui a tenere in vita i loro
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Ritratto di una
DONNA di Luca Scalise
Vogliamo ricordare santa Gianna Beretta Molla, della quale, alla fine di aprile, ricorre il 56° anniversario di morte «Amore e sacrificio sono così intimamente legati, quanto il sole e la luce. Non si può amare senza soffrire e soffrire senza amare». Moglie, madre e medico, ma soprattutto donna, santa Gianna è stata in grado di incidere queste parole nel suo cuore, oltre che sul suo diario, e di renderle visibili attraverso quanto di più nobile esista al mondo: il dono della vita. Giovane pediatra, si convinse sin da subito che la missione del medico «non finisce quando le medicine non servono più», perché ogni uomo ha valore a prescindere dalla “qualità” del suo stato di salute e perché, quando le cure non recano più miglioramenti, l’amore può fare ancora tanto. «SE DOVETE DECIDERE FRA ME E IL BIMBO, NESSUNA ESITAZIONE: SCEGLIETE – E LO ESIGO – IL BIMBO. SALVATE LUI»
E questo amore lo ha testimoniato nella sua tenera relazione con Pietro Molla, l’uomo con cui, nel matrimonio, ha dato pieno compimento alla sua vocazione. Fin qui potremmo ritrarla come nelle classiche immagini da “santino”, tra le nuvolette e con un’aura speciale intorno… ma è nella quotidianità del suo essere donna che la giovane Gianna è stata santa ed eroica, non in un qualcosa di etereo, astratto, lontano da noi. Mi piace ricordarla sorridente come in quelle foto scattate durante le sue gite in montagna con Pietro e i suoi bambini, oppure sulla neve, intenta a posizionare i piccoli sulla slitta per farli giocare, felice di poter passare un po’ di tempo con la famiglia dopo un’impegnativa settimana di lavoro. E così ha condotto la sua vita, nello spendersi per gli altri e nel costante abbandono alla Provvidenza, quell’abbandono amorevole e filiale che non è
«NON SI PUÒ AMARE SENZA SOFFRIRE E SOFFRIRE SENZA AMARE» venuto meno neanche quando, incinta della quarta figlia, le hanno diagnosticato un grosso fibroma uterino. Sapeva bene che un intervento poteva salvarla ma, al contempo, poteva anche uccidere la vita che portava in grembo. Dunque, lo rifiutò. «Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui». Ha dato, così, alla luce la piccola Gianna Emanuela, iniziando quel calvario che l’ha portata a morire pochi giorni dopo, il 28 aprile 1962 per una peritonite settica, senza mai tirarsi indietro di fronte al sacrificio e senza mai tradire il suo essere donna, tanto che, fino all’ultimo, sfogliava riviste di moda per capire come farsi bella per il marito. L’estrema e disarmante semplicità di Gianna, mista al suo eroismo, fanno della sua vita un’esaltazione della femminilità e un esempio di coraggio per tutte le donne di oggi. 9 N. 62
Marciare per la vita Tra un mese si terrà la Marcia per la Vita a Roma: che senso ha, a quarant’anni dalla 194? di Gloria Pirro «Ma a cosa serve la Marcia per la Vita? L’aborto è legge dal 1978. Che ci vai a fare a Roma, dico io? È una perdita di tempo. Tanto non cambierà niente. E poi, voglio dire, dovresti sapere che l’aborto è stato una conquista per le donne. Tornare sui nostri passi? Ridicolo. Il progresso mica si ferma. Per carità, rispetto la tua idea, anche se secondo me stai facendo una cosa inutile. Però, fai tu eh…». Questo è quello che un Signor Chiunque potrebbe dirci alla notizia che il 19 maggio abbiamo intenzione di andare a Roma per partecipare alla Marcia per la Vita. E in parte potrebbe avere ragione. O forse no. 1. Il mondo ha bisogno di testimonianze Un bellissimo passo dell’Ecclesiaste ci insegna che c’è un tempo per tutto: un tempo per tacere e un tempo per parlare, un tempo per la guerra e uno per la pace. Questo è il tempo per parlare. Il mondo di oggi ha bisogno di testimonianze: ha bisogno di capire che una certa etica non è morta, che c’è ancora chi si batte 10 N. 62
contro una legge ingiusta, senza alcun rispetto per la dignità delle donne e per la vita delle loro creature. Sembra impossibile che le cose possano cambiare? Negli Stati Uniti, a gennaio, il presidente Trump, ha tenuto un discorso in diretta dalla Casa Bianca in occasione della March for Life di Washington e ha istituito il 22 gennaio come “Giornata della celebrazione della sacralità della vita umana”. Per 44 anni migliaia di uomini e donne hanno continuato a marciare per difendere la vita, anche se nessuno sembrava ascoltare la loro voce: finalmente, un Presidente ha raccolto la loro voce e si è schierato al loro fianco. E dire che sembrava impossibile…
Il giorno stesso la Camera ha approvato il Born-Alive Abortion Survivors Protection Act (HR 4712), che garantisce ai bambini sopravvissuti all’aborto di avere le stesse cure mediche di tutti gli altri (una cosa che negli Stati Uniti non era per nulla garantita: i bambini sopravvissuti “per sbaglio” all’aborto venivano normalmente lasciati morire… Gianna Jessen ne sa qualcosa!).
DOPO 44 ANNI DI MARCE, IL PRESIDENTE TRUMP HA ISTITUITO IL 22 GENNAIO COME “GIORNATA DELLA CELEBRAZIONE DELLA SACRALITÀ DELLA VITA UMANA”
Inoltre il Presidente ha istituito una nuova divisione del Dipartimento della salute e dei diritti umani, per la “Conscience and religious freedom”, per proteggere la libertà religiosa e i diritti di coscienza, così come aveva promesso in campagna elettorale. Intendiamoci: ognuno di noi può avere le sue idee su Donald Trump e la sua strategia politica, ma non si può negare che egli sia sceso in campo e abbia preso una posizione – scomoda – che pesa enormemente, per l’influenza degli Stati Uniti nel panorama mondiale, sul resto del mondo. Al signor Chiunque che ci ammonisce ricordandoci che è impossibile che le cose cambino possiamo quindi parlare del gesto di Trump e della sua politica prolife. Diceva uno scrittore spagnolo: «Il difficile è ciò che si può fare subito; l’impossibile è quello che richiede un po’ più di tempo». 2. Restare uniti
«IL DIFFICILE È CIÒ CHE SI PUÒ FARE SUBITO; L’IMPOSSIBILE È QUELLO CHE RICHIEDE UN PO’ PIÙ DI TEMPO»
divergenze e lottare per ciò che è giusto, è l’unica cosa da fare. Non ci sono puri o impuri: ci sono uomini e donne che marciano per la vita, senza compromessi. C’è anche chi storce il naso di fronte ai preti in talare, alle suore, o alle mani che stringono rosari: è una Marcia aperta a tutti, quindi bisogna evitare tutti i simboli identitari di partiti politici, ma talari, rosari e croci sono simboli della vita! È vero che la Marcia è aperta a tutti: è anche vero che chi è presente è spesso cattolico e come tale, ha il diritto di sgranare il rosario e di pregare. È aperta a tutti: perciò anche ai sacerdoti e alle religiose. Essere aperti non vuol dire essere privi di un’identità: l’identità cattolica della Marcia esiste, ma ciò non impedisce a chi non lo è di parteciparvi, senza
che debba sentirsi offeso dalla voce di qualcuno che mormora preghiere. «Divide et impera» è un motto che si usa per descrivere la strategia romana di conquista di nuovi territori: con grande sagacia, i romani avevano capito che alimentando le tensioni interne di un popolo o di una nazione si poteva assoggettarla più facilmente. Tanti piccoli gruppi impegnati a combattersi tra di loro non sarebbero mai riusciti a creare un’entità forte, capace di opporsi a Roma. Restare uniti sul fronte comune della difesa della vita non vuol dire che l’indomani non si potrà discutere sulle altre differenze: significa metterle da parte per un giorno e mostrare al signor Chiunque che, nonostante tutto, in molti credono ancora nella sacralità della vita.
Bisogna, oggi più che mai, restare uniti. Alla Marcia sono sempre stati presenti gruppi variegati ed eterogenei, uniti però su fronte comune: la difesa della vita. Mettere da parte le 11 N. 62
Discorso alla March for Life
di Donald J. Trump
È la prima volta, dopo 44 anni, che un Presidente degli Stati Uniti parla ai prolife che si radunano a Washington per la Marcia Nazionale per la Vita «Oggi [19 gennaio 2018, N.d.T.] sono onorato e davvero orgoglioso di essere il primo presidente a partecipare con voi alla 45ª Marcia per la Vita. Decine di migliaia di famiglie, studenti, cittadini vengono da tutti gli USA per una bella causa, per costruire una società nella quale la vita è celebrata, protetta e amata. La Marcia per la Vita è un movimento nato per amore: amore per la famiglia, per il prossimo, per la nazione, per ogni bambino nato e non nato, perché credete che ogni vita sia sacra, che ogni bambino sia un dono prezioso di Dio. Sappiamo che la vita è il miracolo più grande di tutti. Lo vediamo negli occhi di ogni nuova madre che culla quel meraviglioso, innocente e glorioso neonato tra le sue braccia amorevoli. Voglio ringraziare ogni persona qui oggi e in tutto il nostro Paese che lavora con un cuore grande e devozione instancabile per 12 N. 62
assicurarsi che i genitori abbiano il sostegno premuroso di cui hanno bisogno per scegliere la vita. Grazie a voi, decine di migliaia di americani sono nati e hanno dato alla società il loro contributo, secondo il piano di Dio. Siete testimoni viventi di quello che è stato scelto come tema per la marcia: «L’amore salva la vita». Come tutti sapete, la sentenza Roe vs. Wade ha introdotto una delle normative più permissive del mondo, in tema di aborto. Ad esempio, gli USA sono uno dei sette Paesi che consentono l’aborto fino alla nascita: sullo stesso piano di Cina, la Corea del Nord e pochi altri [come il Canada, N.d.T.]. In questo momento, in un certo numero di Stati federati, le leggi consentono a un bambino di essere abortito nel grembo di sua madre fino al nono mese. È sbagliato. Bisogna cambiare. Gli americani sono sempre
OGNI BAMBINO È UN DONO PREZIOSO DI DIO più a favore della vita: solo il 12% dei cittadini USA sostiene l’aborto su richiesta in qualsiasi momento. Sotto la mia amministrazione, difenderemo sempre il primo diritto sancito dalla Dichiarazione d’Indipendenza, e questo è il “diritto alla vita”. Domani sarà esattamente un anno da quando ho prestato giuramento. E direi che il nostro Paese sta andando davvero bene. La nostra economia è in fase di grande ripresa. Guardate i numeri del lavoro, delle aziende che tornano nel nostro Paese, guardate il mercato azionario ai massimi storici, la disoccupazione ai minimi degli ultimi 17 anni, anche tra gli afroamericani, gli ispanici, le donne: siamo a livelli minimi che non si toccavano da dieci, vent’anni.
L’AMORE SALVA LA VITA
Siamo davvero orgogliosi di quello che stiamo facendo. E durante la mia prima settimana in carica, ho ripristinato una politica messa in atto dal Presidente Ronald Reagan, la politica di Città del Messico. Ho fortemente appoggiato la proposta di legge per vietare l’aborto dei bambini dalle 20 settimane (quando già sentono dolore): invito il Senato ad approvarla e mandarla presto sulla mia scrivania per la firma [Al Senato l’ostruzionismo del Partito Democratico poi ha prevalso, ma i prolife non demordono: presto o tardi la legge arriverà sul tavolo di Trump, N.d.T.]. Nel National Day of Prayer, ho firmato un ordine esecutivo per proteggere la libertà religiosa. Sono molto orgoglioso di questo. Abbiamo appena emanato una nuova proposta per proteggere i diritti di coscienza e la libertà religiosa di medici, infermieri e altri operatori sanitari. Ho anche semplicemente ribaltato la politica della precedente amministrazione per indirizzare i finanziamenti del Medicaid lontano dalle strutture per l’aborto che
violano la legge [Obama aveva emanato una direttiva per impedire agli Stati Federati di tagliare i finanziamenti pubblici alla Planned Parenthood, Trump l’ha cancellata, N.d.T.]. Stiamo proteggendo la santità della vita e della famiglia come fondamento della nostra società. Ma questo movimento può avere successo solo con il cuore, l’anima e la preghiera della gente. Qui con noi oggi è Marianne Donadio di Greensboro, North Carolina. Dov’è Marianne? Ciao, vieni qui su Marianne. Marianne aveva 17 anni quando scoprì di essere incinta, ma ha scelto coraggiosamente la vita e ha dato alla luce suo figlio. Lo ha chiamato Benedict, che significa benedetto. Marianne è stata grata ai suoi genitori che l’hanno amata e sostenuta e si è sentita chiamata a servire coloro che non erano così fortunati come lei. Si è unita ad altri nella sua comunità e ha fondato una casa per prendersi cura delle donne senzatetto incinte. È fantastico. L’hanno chiamata “Room at the Inn”. Oggi Marianne e suo marito Don sono i genitori di sei bellissimi bambini. E il loro figlio maggiore, Benedict, e loro figlia Maria sono qui con noi.
Negli ultimi quindici anni, Room at the Inn ha fornito alloggi, assistenza all’infanzia, consulenza, istruzione e formazione professionale a più di 400 donne. Ancora più importante, ha dato loro speranza. Ha mostrato a ogni donna che non è stata dimenticata, che non è sola e che ora ha un’intera famiglia di persone che la aiuteranno a farcela. Quella speranza è il vero dono di questo incredibile movimento che ci riunisce oggi. È il dono dell’amicizia, dell’incoraggiamento, dell’amore e del sostegno. Queste sono parole bellissime e sono dei bei regali. E, soprattutto, è il dono della vita stessa: è per questo che siamo in Marcia, è per questo che preghiamo, ed è per questo che dichiariamo che il futuro dell’America sarà pieno di bontà, pace, gioia, dignità e vita per ogni figlio di Dio. Grazie alla Marcia per la vita, persone speciali, speciali. Siamo con voi fino in fondo. Che Dio vi benedica e che Dio benedica gli USA. Grazie. Grazie». IL PRIMO DIRITTO SANCITO DALLA DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA È IL DIRITTO ALLA VITA 13 N. 62
A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei
piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.
VUOI RICEVERE I PIEDINI, IL BAMBINO IN PLASTICA O IL PORTACHIAVI? Scrivi alla Redazione collegandoti a www.notizieprovita.it/contatti specificando il numero di pezzi che desideri ricevere (fino a esaurimento scorte). Offerta minima consigliata (più spese di spedizione): spillette 100 spillette – 100€ 50 spillette – 75€ 10 spillette – 20€
14 N. 62
“Michelino” portachiavi 2€ 2€
di Enzo Pennetta
Dal sogno hippy all’incubo yuppie Il Sessantotto ha segnato la fine della società tradizionale e della scuola orientata alla cultura
In occasione del cinquantenario è possibile guardare il Sessantotto a distanza e giudicare in modo obiettivo i motivi della protesta giovanile di quegli anni e le profonde conseguenze che ne hanno fatto lo spartiacque tra un “prima” e un “dopo” di due mondi diversi. Qualcuno ha sintetizzato quel che è accaduto dicendo che si è trattato di “una risposta sbagliata ad una domanda giusta”: per capire quale fosse la domanda bisogna tenere presente il fatto che il movimento ebbe inizio negli USA come protesta contro la guerra del Vietnam; furono infatti le proteste nei Campus statunitensi a innescare quel movimento che in Europa sarebbe poi sfociato nel maggio francese. Le proteste di Parigi furono almeno inizialmente osteggiate dal Partito Comunista Francese, in quanto portate avanti principalmente dai giovani della Primo piano
borghesia, ed è questo il punto che permetterà di comprendere quello che è accaduto in seguito. La protesta, lungi dal rivendicare i diritti e i bisogni del proletariato, si avviò quindi a chiedere maggiori – e spesso totali – libertà per le giovani classi borghesi: se la Rivoluzione francese del 1789 aveva portato al potere la borghesia contro la nobiltà, quella del Sessantotto in nome di una pretesa lotta all’oppressione capitalista avrebbe rivendicato per la nuova
borghesia una libertà totale nei costumi. In quel momento lo Stato e la famiglia vennero visti come avversari, e non come valori unificanti e ricchezza collettiva da difendere.
IL MOVIMENTO DEL SESSANTOTTO FU UN MOVIMENTO BORGHESE VOTATO ALLA CONQUISTA DELLA TOTALE LIBERTÀ NEI COSTUMI
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IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE FU TRASFORMATO IN DIRITTO ALLA PROMOZIONE Dalla giusta richiesta di un diritto all’istruzione e a un rapporto più umano con i docenti si passò presto al richiedere il diritto alla promozione. Imprescindibile per capire quegli anni è la figura di Don Milani e il suo Lettera a una professoressa del maggio 1967, con il quale chiedeva sostanzialmente un’istruzione per tutti, e che finì per essere strumentalizzato e fatto proprio da chi invece proponeva un diploma per tutti. Chi ha vissuto gli anni Settanta ricorda che circolavano storie su esami dati all’università con la P38 sulla cattedra e la diffusa idea del diritto a un “sei politico”, termine rimasto in uso ancora oggi per indicare una promozione dettata da motivazioni ideologiche. E infatti, mentre l’università veniva scossa da dinamiche che ribaltavano il sistema dei cosiddetti “baroni” con un eccesso di segno opposto dove imponevano la loro logica i collettivi studenteschi, l’esame di maturità veniva stravolto con l’assurda formula delle quattro materie sorteggiate e delle due sulle quali si sarebbe stati effettivamente interrogati. La rivoluzione del Sessantotto, essendo una rivolta interna al 16 N. 62
mondo borghese, non tardò a mostrare i propri frutti, trasformandosi in una pretesa di avere “tutto e subito” e imponendo l’elevazione della giovinezza, con le sue illimitate potenzialità di scelta, a ideale di vita. Questo non poté che sfociare in un’esaltazione del liberismo, oltre che del libertarismo, di un sistema economico sempre più refrattario all’esistenza di limiti al comportamento, con l’affermazione di sempre più pretesi nuovi diritti individuali. E così dopo essere partiti come movimento di ribellione verso il modello borghese e capitalista, il movimento del Sessantotto finì con il mettere in crisi la classe borghese, ma senza colpire il capitalismo, anzi l’indebolimento della cultura borghese portò a una perdita di controllo sui desideri che, così liberati, vennero a dare ancor maggior
La bandiera dello Youth International Party
IL MOVIMENTO DI RIBELLIONE VERSO IL MODELLO BORGHESE E CAPITALISTA FINÌ COL METTERE IN CRISI LA CLASSE BORGHESE, MA SENZA COLPIRE IL CAPITALISMO
consistenza alla mentalità consumistica e la perdita di inibizioni sessantottina sarebbe diventata una potente alleata del consumismo capitalista.
Primo piano
Jerry Rubin, una delle figure più rappresentative del movimento hippy, avendo fondato il VDC (Vietnam Day Committee) e co-fondato con Abbie Hoffman lo Youth International Party (la cui bandiera presenta il fondo nero dell’anarchia, la stella rossa della rivoluzione e la foglia di marijuana), negli anni Ottanta
Jerry Rubin, una delle figure più rappresentative del movimento hippy, negli anni Ottanta divenne pioniere e precursore del movimento degli yuppies
LO STATO E LA FAMIGLIA VENNERO VISTI COME AVVERSARI E NON COME VALORI UNIFICANTI E RICCHEZZA COLLETTIVA DA DIFENDERE Primo piano
divenne pioniere e precursore del movimento degli yuppies (Young Urban Professional), i giovani rampanti alla ricerca del successo e dei soldi facili delle speculazioni in borsa. Questo tipo umano era il figlio nascosto della generazione hippy ed è stato rappresentato da Martin Scorzese nel film The wolf of wall street, dove il broker newyorkese Jordan Belfort, interpretato da Leonardo Di Caprio, impersona in definitiva proprio la mutazione antropologica avvenuta in seguito al Sessantotto. Il movimento hippy non si è dunque dissolto per fallimento o per esaurimento come si potrebbe credere, bensì si è evoluto e trasformato in una cultura di massa che, rigettati i valori tradizionali, ha assunto quelli del successo economico come unica vera e massima forma di libertà e realizzazione. Inevitabilmente anche la formazione scolastica non avrebbe potuto fare altro che seguire il mutamento sociale adeguandovisi, anche se con tempi sfasati e più lenti. Al di là delle dichiarazioni di convenienza, la considerazione per la cultura andava declinando nella coscienza delle persone, lasciando sempre più spazio a considerazioni materiali relative alle prospettive lavorative ed economiche legate al titolo di studio: sarebbe stato
necessario aspettare la fine degli anni Novanta per vedere il cambiamento concretizzarsi in una elaborazione vera e propria, che vide la luce infine nel febbraio 2000 con la riforma Berlinguer. Significativamente è stato un ex comunista ad aver consegnato la scuola al capitalismo. E significativamente sarà il Governo Berlusconi attraverso il ministero Moratti ad attuare i principi contenuti nella riforma Berlinguer dopo averla abrogata formalmente, ma riproposta nella sostanza. Sarà il momento delle “tre i”: Internet, Inglese, Impresa. Internet ha assolto la funzione del trip allucinogeno, dato che i principali attori della rivoluzione informatica affondano le radici in quella psichedelica; l’inglese è passato attraverso la cultura pop divenendo cultura nazionale; e infine l’impresa, intesa come la ricerca della ricchezza, ha rappresentato la realizzazione del sogno di libertà impersonata da quella economica. Il Sessantotto ha segnato la fine della società tradizionale e della scuola orientata alla cultura, ma la nascita del sogno hippy altro non era se non la preparazione dell’incubo yuppie, e così la scuola nata nel Sessantotto con il sogno della libertà e della rivoluzione ha avuto invece come figlia la scuola asservita al mercato. 17 N. 62
di Clemente Sparaco
«Liberi, liberi!» Le battaglie per l’emancipazione e la libertà del Sessantotto
Cosa resta oggi, cinquant’anni dopo, del Sessantotto? Slogans, miti, retorica a parte, se volessimo tracciare un bilancio politico, dovremmo rispondere: poco. Tuttavia, proponendoci di evidenziare piuttosto quelli che furono gli effetti sul piano etico e culturale, dobbiamo riconoscere che esso ha inciso molto, innescando processi che con i loro sviluppi toccano anche noi. I termini con cui si approcciano oggi tematiche di grande interesse bioetico, quali l’eutanasia, la fecondazione artificiale, le unioni omosessuali sono, infatti, di derivazione sessantottina. L’ideale individualista e libertario impronta, oggi come allora, le campagne laiciste. Il mito dell’emancipazione appare, oggi come allora, un mantra che non si può infrangere o violare.
la pillola s’impose all’opinione pubblica nel Sessantotto, associandosi alla «libertà di scindere procreazione e sessualità» (J. Ratzinger, La via della fede). I metodi naturali di controllo delle nascite – quello Ogino Knaus, prima, e quello Billings, più tardi – per quanto perfezionati e sempre più efficaci, risultarono superati. La pillola sembrava affrancare da ogni restrizione o impegnativa ottemperanza. Pareva il modo più pratico e diretto e, in anni di consumismo già pervadente, di più facile consumo.
Essa segnò, quindi, la prima delle emancipazioni in tema sessuale, sull’onda d’urto di un principio, l’autodeterminazione, che avrebbe di lì a poco travolto altri argini morali.
LA SUPER-ESALTAZIONE DELLA LIBERTÀ PORTA ALLA DISTRUZIONE DELLA LIBERTÀ STESSA
Emblematica, da questo punto di vista, resta la questione, sollevata e discussa fervidamente quell’anno, dell’uso della pillola anticoncezionale. Diffusa in Europa già da qualche anno, 18 N. 62
Primo piano
Si era in piena contestazione. Un vocabolario corrosivo e una retorica eccessiva s’imponevano. «Fate l’amore, non fate la guerra», si urlava nelle piazze, come se fosse esistito un nesso diretto fra la violenza della guerra e le norme morali o, peggio ancora, come se anche queste fossero violente. Il mito dell’amore libero travolgeva molto di più del perbenismo ipocrita. Il «Sì» per sempre del matrimonio era marcato come una catena, una coercizione insopportabile e limitante. Si bandivano come sorpassate l’innocenza e l’incanto dell’ingenuità. Ci s’immetteva in un crinale sdrucciolo, che avrebbe portato non solo alla crisi della famiglia, con il conseguente tracollo della natalità, ma anche allo “sballo” erotico o da stupefacenti. Da quel glossario ideologico sarebbero scaturite le “battaglie civili” per il divorzio e per l’aborto degli anni Settanta. Il divorzio (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”), ovverosia la legge Fortuna-Baslini, fu introdotto nell’ordinamento italiano il 1 dicembre 1970. Al referendum abrogativo, Primo piano
La pillola Pincus è stata spacciata come un simbolo di libertà ed emancipazione delle donne, senza curarsi dei gravi effetti collaterali sulla salute, sulla morale e sul tessuto sociale.
promosso dai cattolici, una maggioranza schiacciante si pronunciò per il «No», ossia per la conservazione della legge. Da allora la dissoluzione del matrimonio come istituzione e valore sarebbe proceduta spedita, fino allo smarrimento della sua specificità giuridica e sociale con le legislazioni sempre più permissive in materia di divorzio e, da ultimo, con l’equiparazione a esso di altre forme di “unioni civili”, comprese quelle omosessuali. Quanto all’aborto, l’individualismo libertario proclamava l’autodeterminazione della donna in modo unilaterale. «Io sono mia!» era lo slogan delle femministe, come se l’essere non si distinguesse dall’avere, bensì ne conseguisse.
Si affermava l’emancipazione della donna dal frutto delle sue viscere, in deroga alla relazione fisica e biologica inscindibile che nella gestazione lega il concepito alla madre e questa a quello. La conflittualità era portata nel grembo materno. Il significato profondo della vita umana era sospeso a una rivendicazione, dove la frase gridata si sostituiva alla ponderazione e al giudizio.
«FATE L’AMORE, NON FATE LA GUERRA», SI GRIDAVA: MA CON L’ABORTO LA GUERRA VIENE PORTATA DENTRO IL GREMBO MATERNO 19 N. 62
«Liberi, liberi!», cantava Vasco Rossi vent’anni dopo, forse con rifermento al Sessantotto. E si domandava: «[...] però liberi da che cosa, chissà cos’è?». Perché la domanda è: che libertà è quella implicata nell’emancipazione da tutto e da tutti, in quella pretesa della coscienza di dire «Io sono mia»?
L’IDEALE INDIVIDUALISTA E LIBERTARIO RADICALE, DEL QUALE OGGI COGLIAMO I FRUTTI AMARI, AFFONDA LE SUE RADICI NEL SESSANTOTTO
Allora, nel Sessantotto, una nuova generazione formata dall’esperienza «del boom economico che era seguito al conflitto, con l’allargamento delle possibilità sociali che aveva comportato […] si ribellava contro l’autocompiacimento del progresso industriale e dell’opulenza, rivendicando un senso e un significato per la propria vita» (Heller A., Fehér F., La condizione politica postmoderna). Contestava il sistema liberal-capitalistico, che lasciava inalterate le sacche di povertà e di disuguaglianza. Contestava la società, che giudicava ingessata, e il costume, che giudicava repressivo. Contestava il sistema educativo, la famiglia e la scuola innanzi tutto, che giudicava autoritario e coercitivo. Guardava «all’intero svolgimento della storia […] come a un errore e un insuccesso» (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, ieri, oggi, domani). Ma oggi, passati quei fervori, sembra non bastare l’autenticità di quelle istanze per validare
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quella libertà emancipata dalla verità, dalla responsabilità e dalla storia. Ridotta, infatti, nei termini di una determinazione meramente soggettiva dell’agire, la libertà perde ogni riferimento di responsabilità, nonché la direzione verso gli altri. Lo si vede sempre più nell’educazione che piega in questa direzione. Lo si vede nelle relazioni umane, che si sono fatte sempre più liquide. Il rischio paradossale, che si vede oggi ma che allora nemmeno si sospettava, è che la super-esaltazione della libertà porti alla distruzione della libertà. Se, infatti, la libertà viene interpretata in termini assoluti, diventa una forza disgregatrice della convivenza sociale e dell’uomo stesso. Cosicché oggi ci troviamo a diagnosticare una sorta di metastasi cancerosa della libertà, che pervade ogni ambito, destrutturando, destabilizzando e devastando. Avremmo piuttosto bisogno di credere nella verità, ma il nichilismo imperante non ce lo concede. «Cosa diventò che cos’è che ora non c’è più, cosa diventò, cosa diventò quella voglia che avevi in più, cosa diventò, cosa diventò e come mai non ricordi più», concludeva la canzone di Vasco.
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di Giuseppe Fortuna
DROGA:
«Una delle più grandi e atroci idiozie della generazione del Sessantotto» Il processo di legalizzazione della droga, che pian piano si va realizzando, ha radici lontane: era uno degli “ideali” del Sessantotto «Io sono a favore della cannabis e sono laureata. Bisogna superare il pregiudizio per cui se sei in gamba non puoi essere a favore della cannabis». Sono le parole di un “volto nuovo” del promettente mercato della marijuana in California, legale anche a scopo ricreativo da gennaio 2018. «In fondo crea meno dipendenza dello zucchero o della caffeina e può aiutarti a liberarti dalla dipendenza da oppioidi». Inoltre, si percepisce, permette allo Stato di guadagnare in un settore in cui ancora non riesce a esprimere a pieno tutto il suo potenziale, a differenza di alcol, tabacco e gioco d’azzardo.
In alcuni Stati USA la Cannabis per uso terapeutico è legale già da diversi anni. Solo recentemente si è aggiunta la finalità ricreativa. Ancora una volta ciò che era considerato impensabile solo pochi anni fa oggi sta diventando sempre più largamente accettato. E il meccanismo è sempre lo stesso: la demonizzazione del “pregiudizio”, il tentativo di screditare chi contesta la repentina rivalutazione di comportamenti ritenuti fino a poco tempo fa dannosi e ora magicamente considerati indice di progresso e benessere.
LA DIFFUSIONE DELLA DROGA È STATA UTILE PER EVITARE CHE LE PROTESTE SESSANTOTTINE SFOCIASSERO IN RIVOLUZIONI RAGIONATE E POLITICAMENTE EFFICACI: IL DEGRADO MORALE HA RESO INNOCUI GLI INTELLETTUALI
Questo è ciò che abbiamo visto in un servizio di SKY TG 24 il primo febbraio scorso, presentato al pubblico in un periodo in cui in Parlamento è stata in discussione l’ennesima legge “progressista” regalataci da una maggioranza che evidentemente puntava a raccattare i voti di una certa parte del suo elettorato, a discapito della salute pubblica. Primo piano
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Chiunque torni indietro con la memoria non farà difficoltà a ricordare come queste discussioni non siano dopotutto una trovata recente. Anche questa è una battaglia che i Radicali portano avanti da decenni (ricordo i vari arresti di Pannella – al quale oggi intitoliamo vie e piazze – per aver distribuito gratuitamente spinelli all’uscita dalle scuole). Ma se facciamo un ulteriore sforzo di memoria, giungiamo al periodo che per antonomasia ha rappresentato il punto di svolta del pensiero “progressista” in tal senso. Parliamo chiaramente dei movimenti del Sessantotto, nati con peculiarità diverse nelle diverse zone del mondo, ma sfociati in un unico slogan, la cui eredità è forse l’unico perdurante segno di quell’epoca: «Vietato vietare».
per una generazione che stava sostituendo gli obiettivi iniziali, difficili da raggiungere, con traguardi più immediati, intimistici e personali. La politica fu ben contenta di assecondare tali richieste, considerate decisamente meno “preoccupanti” per chi deteneva il potere. E così una schiera di giovani, istruiti ma sprovveduti, fu comprata dalla generazione che essa stessa combatteva, che, per opportunismo, decise di sbarazzarsi di una cultura millenaria nel giro di qualche anno.
DA UNA GENERAZIONE DI ILLUSI, LA DIFFUSIONE DELLA DROGA E DEL LIBERTARISMO SESSUALE ERANO CONSIDERATI UNA “VITTORIA”
Se, infatti, da un lato il malcontento nasceva da situazioni di oggettivo disagio, dall’altro è fin troppo evidente che la protesta assunse presto connotati ben diversi. Alle lotte contro l’autoritarismo, sordo e antiquato, si sostituì presto un attacco violento alle istituzioni che veicolavano i valori tradizionali: scuola, famiglia, Chiesa ma anche politica. La sacralità della vita, l’indissolubilità del matrimonio, il rispetto del proprio corpo e di quello altrui furono bersagli facili 22 N. 62
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L’illusione di aver vinto la battaglia portò i rivoluzionari a trastullarsi in atteggiamenti spregiudicati, sempre più tollerati. Droga e libertarismo sessuale erano il simbolo di quella presunta vittoria e la loro comune accettazione sembrava confermare che la vittoria era ormai diventata schiacciante. Contraccettivi, aborto, divorzio furono ovvie concatenate conseguenze. Ecco come in pochi anni si concretizzarono le leggi più impensabili e moralmente inaccettabili, necessario compromesso per celare la verità sulle battaglie sociali intraprese, delle quali nessuna si era conclusa nella maniera sperata. L’astuzia della classe dirigente fu aiutata poi dalla supina accettazione da parte della vecchia generazione, troppo intimidita dalla portata della protesta e troppo timorosa di vedere la propria famiglia disgregarsi sotto la scure del “progresso”. Primo piano
Ma di quegli anni e di quelle trasgressioni non tutto fu sdoganato immediatamente. Sulla droga la resistenza era ancora forte. I padri e le madri non erano ancora pronti ad accettare che i propri figli si facessero anche del male fisico, oltre che morale, per cui nessuna droga fu legalizzata. Ma anche così i disastri causati dalla semplice tolleranza verso quel modo di “divertirsi” provocò non poche vittime, spesso proprio fra i giovanissimi. Vittime non solamente annoverabili nel computo di morti da overdose, dovuto al boom nei consumi di eroina nei primi anni Settanta (e poi si sostenga che non c’è nessun legame fra uso di droghe “leggere” e “pesanti”…), ma anche e molto più diffusamente ricercabili nelle conseguenze sociali che la cultura del “piacere a tutti i costi” provocò: giovani allo sbando, senza il desiderio di costruirsi un futuro, privo di valori autentici, sostituiti da effimere illusioni, disagi sociali più profondi di quelli che si era cercato di combattere, fratture familiari e generazionali divenute insanabili.
IL RETAGGIO DEL «VIETATO VIETARE», OGGI È LA “DITTATURA DEL DESIDERIO”
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Negli anni a seguire il competitivo contesto economico e sociale (che decretava ufficialmente il fallimento degli ideali sessantottini) non consentiva distrazioni e probabilmente portò più di qualcuno degli ex-manifestanti ad interrogarsi sull’opportunità di continuare una guerra ormai persa. Non sfuggiva che la presunta “libertà” si era pian piano trasformata in una “dittatura del desiderio” che rendeva schiavi delle proprie pulsioni. Non sorprende però che oggi, in una nuova ondata di malcontento sociale e di “male di vivere”, ancora una volta la collettività si faccia incantare dal falso mito della libertà, che passa attraverso rivoluzioni culturali che non sanano i disagi ma regalano l’illusione del cambiamento. E così ci si ritrova a discutere di legalizzazione della cannabis, corredando tale dibattito con tutti gli ammennicoli che abbiamo ormai imparato a riconoscere come propedeutici per far digerire di tutto alla nostra coscienza, immemori dei danni provocati solo pochi anni fa. Pare strano citare a tal proposito proprio un esponente della coalizione che in questi giorni si batte in tal senso. Eppure Vincenzo De Luca, governatore 24 N. 62
della regione Campania, all’inaugurazione del Giffoni Film Festival, ci tiene ad affermare perentoriamente, in relazione alla rivoluzione sessantottina, che «quella grande utopia s’è rivelata un grande fallimento storico, che negli anni Settanta ha dato luogo per un verso alle Brigate Rosse, per un altro verso a un estremismo inconcludente e parolaio che non ha cambiato di una virgola il nostro Paese e il mondo». E ancora: «Da quegli anni è partita una moda, che sembrava allora un atto di trasgressione e di ribellione. Ma la droga è stata una delle più grandi e atroci idiozie della generazione del Sessantotto». Chissà se lo farà presente anche ai suoi colleghi di partito.
QUELLA GRANDE UTOPIA S’È RIVELATA UN GRANDE FALLIMENTO STORICO, CHE NEGLI ANNI SETTANTA HA DATO LUOGO ALLE BRIGATE ROSSE
E sempre De Luca continua mettendo in guardia le nuove generazioni dall’abuso della tecnologia, nella quale «non scoprirete mai il sentimento di un essere umano, non leggerete mai quello che potete leggere negli occhi di una donna». Una frase non a caso inserita in questo contesto. I social media sono oggi la variante tecnologica della droga sessantottina: un mezzo per evadere dalla realtà, per sentirsi deresponsabilizzati nei rapporti umani, per tentare di riempire il vuoto valoriale; un diversivo con effetti collaterali seri sull’intero tessuto sociale di una generazione sempre meno interessata a raggiungere obiettivi di medio-lungo termine. Eppure, chiudendo con una battuta (neanche tanto distante dalla realtà), il retaggio sessantottino, con le sconcertanti scelte legislative che ne sono scaturite, potrebbe essere da solo la prova più evidente che le droghe, anche quelle “leggere”, possono fare davvero male. Primo piano
UN PROGETTO CULTURALE E POLITICO FONDATO SULLA PSICOANALISI di Roberto Marchesini
Oltre a droga e sesso libero, alle origini del Sessantotto va posta anche la psicanalisi
La percezione che la maggior parte delle persone ha del Sessantotto è che sia stato un fenomeno spontaneo; o, perlomeno, la reazione altrettanto spontanea a una società borghese repressiva e ingessata. Eppure adesso abbiamo abbastanza elementi per dire che non fu così: è molto probabile che il Sessantotto fu l’esito di un progetto culturale e politico. Fu così negli Stati Uniti. Non fu certamente spontaneo il cosiddetto “movimento dei diritti civili degli afroamericani”; né fu spontaneo il suo riflusso. Nel giro di pochi anni il modello identificativo dei giovani neri statunitensi passò da quello dell’uomo elegante, religioso, colto e impegnato politicamente (Martin Luther King, Malcolm X...) al pimp Primo piano
volgare, violento, dedito alla droga della Blaxploitation (che ancora identifica la gioventù afroamericana). Non fu spontanea la diffusione di LSD: sappiamo che influenza ebbero la CIA e la solita aristocrazia britannica (Aldous Huxley su tutti) sulla massiccia produzione e distribuzione di questa potentissima droga allucinogena (cfr. Mario Arturo Iannaccone, Rivoluzione psichedelica. La CIA, gli hippies, gli psichiatri e la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, Sugarco, Milano 2008).
IN GERMANIA IL SESSANTOTTO FU GUIDATO DAGLI INTELLETTUALI DELLA “SCUOLA DI FRANCOFORTE”
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L’ESTASI SESSUALE È IL MOTIVO FONDAMENTALE DELL’ESPLOSIONE DI LSD E DROGHE ALLUCINOGENE
E quando parliamo di LSD parliamo di sesso. Ce lo garantisce Timothy Leary, il guru della rivoluzione psichedelica: «L’impatto sessuale è, ovviamente, il segreto di Pulcinella dell’LSD, del quale nessuno di noi ha mai parlato negli ultimi anni. […] In questo momento mi sento libero di dire quello che non abbiamo mai detto prima: l’estasi sessuale è il motivo fondamentale per questa esplosione di LSD. Il dottor Goddard, capo della Food and Drug Administration, ha dichiarato in una audizione al Senato che il dieci per cento dei nostri giovani universitari assume LSD. Ti sei mai chiesto perché? Certo, stanno scoprendo Dio; certo, stanno scoprendo loro stessi; 26 N. 62
ma davvero avete pensato che il sesso non fosse la causa di questa impetuosa impennata giovanile? Non si può fare ricerca sull’LSD e ignorare il sesso, così come non puoi fare ricerca con il microscopio sui tessuti e ignorare le cellule» (Playboy interview: Timothy Leary, in “Playboy”, settembre 1966). Fu così in Polonia. Proprio così: il paese schiacciato da un regime socialista, isolato dal mondo occidentale dalla cortina di ferro, visse il suo 1968. Facciamo un passo indietro e torniamo al giugno 1967: Israele attaccò e sconfisse in soli sei giorni Egitto, Siria, Giordania, Iraq e Repubblica Araba Unita. Mosca – che probabilmente ebbe qualche ruolo nello scoppio del conflitto – interruppe ogni rapporto diplomatico con Israele; così
fece anche la Polonia. A questo punto gli ebrei polacchi (in Russia non sarebbe mai stato possibile) cominciarono una serie di azioni contro il governo sovietico. Una di queste iniziative vide protagonisti due giovani ebrei trotzkisti, Adam Michnik e Jacek Kuroń: denominatisi “kommando”, i due tentarono di suscitare una rivolta studentesca contro il governo. Li troveremo, qualche anno più tardi, a capo del KOR (Comitato di Difesa degli Operai), organizzazione che si pose a capo di Solidarnosć e ne influenzò l’azione. Per mettere fine a queste continue azioni a vari livelli, il 19 marzo 1967 il Segretario del Partito Comunista Władysław Gomułka pronunciò un celebre discorso che ebbe il suo culmine nelle seguenti parole: «A coloro che considerano Israele la loro patria, siamo pronti a rilasciare il passaporto per l’emigrazione». Primo piano
Circa 15.000 ebrei polacchi partirono per Israele. Gli eventi del 1968 vengono ancora oggi ricordati come esempio del presunto eterno antisemitismo polacco. Fu così in Germania, dove il Sessantotto fu guidato dagli intellettuali della “Scuola di Francoforte”. Fondata a Francoforte da un gruppo di facoltosi ebrei marxisti con il nome di Istituto per la Dottrina Sociale, nonostante l’esplicita appartenenza comunista si trasferì negli anni Trenta a New York, dove fu affiliata niente meno che alla Columbia University. Lì i membri della Scuola ebbero modo di collaborare con l’Office of Strategic Service (OSS), precursore della CIA. Negli anni Cinquanta tornarono a Francoforte e cominciarono a lavorare per preparare il Sessantotto. Fu così in Italia, per farla breve; e probabilmente anche in Francia.
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Ma che c’entra il Sessantotto con la psicoanalisi? La radice di questa vicinanza (se non coincidenza) si deve proprio alla Scuola di Francoforte.
PERCHÉ IN GERMANIA, INVECE DEL SOCIALISMO MARXISTA, SI È AFFERMATO IL SOCIALISMO NAZIONALISTA DI HITLER?
La domanda principale di Horkheimer (uno dei principali esponenti e secondo presidente della Scuola) era la seguente: secondo l’analisi di Marx, il Paese più adatto all’instaurazione del socialismo era la Germania. Perché dunque, invece del socialismo marxista, si stava affermando il socialismo nazionalista di Hitler? Perché le masse tedesche avevano preferito l’autoritarismo nazionalsocialista alla “libertà” marxista? La spiegazione doveva essere di tipo psicologico, non economico; e gli intellettuali francofortesi rivolsero la loro attenzione alla “psicologia delle masse” di Freud. Freud divenne quindi, accanto a Marx, un pilastro della Scuola di Francoforte.
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Per adattarlo al marxismo, tuttavia, Horkneimer e i suoi operarono una rivisitazione di Freud. Innanzitutto, il medico viennese riteneva che il progresso della società poteva essere ottenuto sublimando gli istinti pulsionali e rafforzando l’Io delle persone, ossia la parte della personalità che cerca un accomodamento con le esigenze del vivere comune; per Horkheimer e i suoi l’unico modo per opporsi al SuperIo (non di origine familiare, come affermava Freud, bensì sociale) era rafforzare l’Es, ossia gli impulsi primari. Secondariamente, Freud aveva individuato come impulsi primari la pulsione sessuale e quella distruttiva; l’idea che l’uomo avesse in sé, originariamente, una pulsione distruttiva cozzava con l’ottimismo antropologico marxista (secondo il quale sarebbe bastato modificare – attraverso l’economia – la 28 N. 62
società per eliminare ogni distruttività). La Scuola di Francoforte cominciò quindi a considerare le pulsioni di morte come secondarie, ossia come il risultato della repressione sociale sulla pulsione sessuale (che divenne l’unica pulsione originaria). Queste riflessioni trovarono forma compiuta in un saggio di Herbert Marcuse (altro esponente di spicco della Scuola) intitolato Eros e civiltà: «La concezione dell’uomo che emerge dalla teoria freudiana è il più irrefutabile atto d’accusa della civiltà occidentale – ed è al tempo stesso, la difesa più incrollabile di questa civiltà. Secondo Freud, la storia dell’uomo è la storia della sua repressione. La cultura impone costrizioni non solo alla sua esistenza nella società, ma anche alla sua esistenza biologica, e non solo a settori della sua esistenza umana, ma alla sua struttura
Herbert Marcuse (1898-1979) istintuale stessa. Ma queste costrizioni sono la condizione preliminare del progresso. Lasciati liberi di perseguire i loro obiettivi naturali, gli istinti fondamentali dell’uomo sarebbero incompatibili con ogni duratura associazione e conservazione: distruggerebbero perfino ciò che abitualmente uniscono. L’Eros sfrenato è altrettanto funesto del suo antagonista, l’istinto di morte. La loro forza distruttiva deriva dal fatto che essi tendono a una soddisfazione che la cultura non può concedere: alla soddisfazione come tale e fine a se stessa, in qualsiasi istante. Gli istinti devono quindi essere deviati dalla loro meta, ed essere inibiti nel loro scopo. La civiltà comincia quando si è rinunciato efficacemente all’obiettivo primario – alla soddisfazione integrale dei bisogni» (op. cit., p. 59). Primo piano
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In altri (e più semplici) termini: liberando la sessualità dalle norme morali, la società avrebbe eliminato l’autoritarismo (identificato con il Super-Io), e quindi quella forma di pensiero alla base – secondo Marcuse – del nazionalsocialismo e del fascismo. In sintesi: «[...] non ci può essere rivoluzione sociale senza una rivoluzione sessuale, […] la liberazione e lo sviluppo della vita sessuale è la base della felicità umana; […] tale liberazione non contraddice ma anzi promuove la fioritura e il raffinamento della civiltà» (Luigi Di Marchi, Vita e opere di Wilhelm Reich, Volume primo, Il periodo freudianomarxista (1919-1938), Sugarco, Milano 1981, p. 15).
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Tuttavia: «A questa fase della nostra interpretazione, anziché tentare di conciliare i due aspetti contraddittori della sessualità [la tendenza ad unire e la tendenza a distruggere], consideriamo che essi rispecchino l’intima tensione inconciliata della teoria di Freud: contro la sua nozione dell’inevitabile conflitto «biologico» tra principio del piacere e principio della realtà, tra sessualità e civiltà, parla l’idea del potere unificatore e apportatore di soddisfazione dell’Eros, incatenato e logoro in una civiltà ammalata. Quest’idea implica che l’Eros libero non ostacola rapporti civilizzati duraturi nella società – ma rifiuta soltanto l’organizzazione iperrepressiva dei rapporti umani in una società dominata da un principio che è la negazione del principio del piacere» (Ibidem, p. 86).
La Scuola di Francoforte divenne quindi il principale propulsore della rivoluzione sessuale; e Freud uno dei suoi totem.
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di Marco Bertogna
FILM
Hair
Titolo: Hair Stato e Anno: Stati Uniti, 1979 Regia: Milos Forman Durata: 121 min. Genere: Drammatico, Musicale
Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.
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Siamo sul finire degli anni Sessanta, negli Stati Uniti. È la storia di Claude Bukowsky, un giovane dell’Oklahoma che lascia la sua terra per rispondere alla chiamata alle armi a New York e prepararsi così alla guerra del Vietnam. Claude, passeggiando a Central Park viene attratto da alcuni giovani hippies; nello stesso momento incontra Sheila, giovane altolocata della quale si innamora. La vicinanza dei nuovi amici lo porta a sperimentare alcune droghe e, in generale, ad avere un nuovo atteggiamento nei confronti della vita, dell’amicizia, dell’amore, della guerra; verrà messo in prigione, insieme ai suoi nuovi amici, per una scazzottata in una festa dove si erano intrufolati senza essere stati invitati. Infine Claude raggiunge la caserma in Nevada per iniziare l’addestramento, e gli amici lo raggiungono. Qui Berger, l’amico più intraprendente, lo sostituisce nella camerata per dargli la possibilità di stare qualche oretta con Sheila, ma proprio in quel lasso di tempo vengono imbarcati i militari per il Vietnam e Berger si ritrova così ad andare a combattere per una guerra in cui non crede e a morire insieme a tanti altri giovani americani. Hair è un film del 1979 diretto da Milos Forman, tratto da un musical in scena nei teatri americani dal 1967, ed è imperniato sulla
colonna sonora con i successi che hanno caratterizzato il “mitico” Sessantotto. Se però oltrepassiamo la vivacità e l’euforia della musica e dei balletti che caratterizzano il film, ci imbattiamo nella debolezza, goffaggine e poca costanza del nostro protagonista e nella stereotipizzazione dei personaggi, che ci propongono il triste contraltare alle lotte e manifestazioni di quel periodo (la libertà dalla guerra, l’amore libero, la droga, l’uguaglianza...). È un po’ imbarazzante, alla luce delle verifiche scientifiche sui danni provocati dalla droga, vedere l’uso che ne viene fatto nel film e pensare che, nelle intenzioni degli autori, questa fosse una proposta positiva e nuova per i giovani. Non basta la musica per rendere “mitico” un periodo, non bastano slogan come «Fate l’amore, non fate la guerra» per accettare in toto un periodo denso come quello Sessantottino. Hair è un film che può farci riflettere e discutere sui principi che hanno mosso molti giovani di quegli anni e sulle modalità con le quali sono stati portati avanti questi principi stessi. Il film è denso di esempi da non seguire e ideologie ambigue e/o false: anche se a suo tempo è stato un grande successo, ha contribuito alla propaganda dei disvalori sessantottini... non è davvero un film ProVita. Primo piano
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di Francesca Romana Poleggi
UNO ZIGOTE, UN BAMBINO, UNA PERSONA
Quando uno spermatozoo feconda un ovocita, si forma una nuova cellula, chiamata zigote
Lo zigote rappresenta il primo stadio nella vita di un essere umano. Questo individuo, se tutto va bene, si sviluppa attraverso la fase embrionale (prime otto settimane) e fetale (dall’ottava settimana fino alla nascita) e poi attraverso l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta e la cosiddetta “terza età”. Quattro caratteristiche del nascituro (sia esso zigote, embrione oppure feto) sono molto importanti: è un organismo, è autonomo, è vivo, è umano.
LO ZIGOTE È UN ORGANISMO, È AUTONOMO, È VIVO, È UMANO
È un organismo. Lo zigote è già un organismo (non un semplice organo o tessuto), un individuo le cui parti lavorano insieme per il bene del tutto. Guidato da un codice genetico completo (46 cromosomi), ha bisogno solo del giusto ambiente e nutrimento per svilupparsi attraverso le diverse fasi della vita (prima e dopo la nascita) come membro della specie umana. È autonomo. Il nascituro ha un DNA e un corpo distinti da sua madre e da suo padre. Sviluppa in modo organizzato le braccia, le gambe, il cervello, il sistema nervoso, il cuore e così via. È lui, come un piccolo “direttore d’orchestra”, che gestisce il tutto. La madre gli offre solo nutrimento e protezione. E, a pensarci bene, continuerà a farlo anche per molti anni dopo che sarà nato. È vivo. Lo zigote soddisfa i criteri che la biologia considera necessari per identificare una forma di vita: cresce
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riproducendo e moltiplicando le proprie cellule. Trasforma le sostanze nutritive in energia attraverso il metabolismo. E risponde agli stimoli. È umano. Il nascituro ha il codice genetico della specie umana. Del resto, proviene da genitori umani, e gli esseri umani possono generare solo altri umani. Questi sono fatti. Dati reali, riconosciuti dalla scienza (embriologia e biologia dello sviluppo).
Ovulo circondato da spermatozoi
«Lo sviluppo umano inizia dalla fecondazione quando lo spermatozoo si fonde con un ovocita per formare una nuova singola cellula, lo zigote», spiega il manuale The Developing Human: Embriologia orientata clinicamente. «Questa cellula altamente specializzata e totipotente segna l’inizio di ognuno di noi come un individuo unico». «Lo sviluppo di un essere umano inizia con la fecondazione – osserva Langman’s Medical Embriology –, un processo mediante il quale lo spermatozoo dal maschio e l’ovocita dalla femmina si uniscono per dar vita a un nuovo organismo, lo zigote». Obiezioni: - La vita è continua Alcuni abortisti eccepiscono che lo zigote sia vivo come sono vivi lo spermatozoo e l’ovocita, che non sono esseri umani. È vero: la vita, in senso lato, è continua (si estende fino all’inizio della vita sulla Terra). Quindi non è accurato, affermano, dire che la vita “inizi” al momento del concepimento. È vero che la vita in generale è continua, ma la vita di un singolo essere umano non è continua. Ha un inizio e una fine. L’inizio è chiamato concepimento, la fine è la morte (e la conseguente decomposizione).
Spiega il manuale Embryology & Teratology: «La fecondazione [...] è un punto di riferimento fondamentale perché, in circostanze ordinarie, si forma un nuovo organismo umano geneticamente distinto». Un “originale”, un “pezzo unico” e irripetibile. - Tutte le cellule sono vive Lo spermatozoo, l’ovulo e tutte le altre cellule del corpo umano sono cellule vive. Sono cellule che in laboratorio – in alcuni casi – possono anche riprodursi, ma formano “ammassi di cellule”: la pelle resta pelle. Lo zigote invece si sviluppa e sviluppa pelle, ossa, sangue, nervi...
- Organismo o parti dell’essere vivente? Lo zigote è un intero organismo – un singolo membro della specie –, mentre le cellule del corpo umano sono solo semplici parti dell’essere vivente. Quindi lo zigote non solo “ha” vita e umanità come attributi, ma “è” vita e umanità in senso sostanziale. Nessuno di noi è mai stato un rene, o una cellula della pelle, o uno spermatozoo. Ma ognuno di noi è stato uno zigote. LO ZIGOTE NON SOLO “HA” VITA E UMANITÀ COME ATTRIBUTI, MA “È” VITA E UMANITÀ IN SENSO SOSTANZIALE
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- Mancanza di unità Alcuni dicono che le cellule di un embrione non sono sufficientemente unificate perché si possa considerarlo come un essere umano individuale. L’embrione, dicono, è più simile a una massa, a un grumo di cellule. Ma lo zigote, o meglio la morula – che è composta da più cellule che si moltiplicano esponenzialmente – già mostra chiaramente le caratteristiche comportamentali di un organismo auto-integrato e auto-diretto, piuttosto che un semplice grumo di cellule. Ecco perché da essa si sviluppano tessuti e organi diversi. «Dal momento della fusione dello spermatozoo con l’uovo – scrive l’embriologo Maureen L. Condic, dell’Università dello Utah – uno zigote umano agisce come un tutto completo, agisce in modo orchestrato per generare le strutture e le relazioni necessarie per continuare a svilupparsi verso il suo stato maturo». 34 N. 62
Philip Dick (1928-1982): dai suoi libri sono stati tratti film famosi come Blade Runner, Minority Report o Paycheck. Una sua novella, intitolata Le Pre-persone, descrive una società da incubo in cui i bambini si possono “abortire” fino a dodici anni. Il limite, all’inizio, era di dodici settimane, ma poi, pian piano... - I gemelli C’è chi obietta: entro i 14 giorni dopo il concepimento, alcuni embrioni si dividono in due gemelli identici, pertanto prima di questo momento non erano individui. Tuttavia, il fatto che un organismo possa dare origine a due individui non significa che non sia un organismo individuale. Un verme piatto, osserva Patrick Lee, può essere tagliato per produrre due vermi piatti separati, e ciò non significa che un verme piatto non sia un verme piatto. Gli embrioni umani, allo stesso modo, sono organismi unitari e individuali, anche se in seguito si possono sdoppiare.
UN ORGANISMO È UN INDIVIDUO LE CUI PARTI LAVORANO INSIEME PER IL BENE DEL TUTTO
Ovulo fecondato: zigote
- Il parallelo con la morte cerebrale La cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali indica la morte di un essere umano. Alcuni sostengono, quindi, che la vita di un essere umano non possa iniziare finché non inizia l’attività cerebrale. A parte il fatto che ci sono parecchi problemi nel definire la morte cerebrale, che non è questo il luogo di approfondire, la ragione per cui la morte cerebrale è considerata la fine dell’individuo è che il corpo non può più funzionare come un tutto integrato, anche se alcune cellule e tessuti sono ancora vivi. Il cervello, negli adulti, è essenziale per questo scopo. Invece, prima dello sviluppo del cervello, lo zigote funziona comunque come un organismo e dirige la propria crescita (compreso lo sviluppo del cervello). Quindi, mentre un paziente cerebralmente morto è un cadavere, un embrione è un individuo che vive e cresce.
- Scienza e morale Chi dice che lo zigote non è “umano” e non può negare il dato scientifico, si pone dal punto di vista etico (filosofico o religioso) perché sostiene che egli non ha valore o non ha diritti umani. Vuol dire che il piccoletto non ha ancora certe caratteristiche, per esempio l’autocoscienza o l’apparenza fisica, che rendono persona una vita umana. Quindi, allo stadio embrionale, l’essere umano è un essere umano, ma non è una persona, quindi non ha diritti e non ha diritto a vivere. Allora, il problema di fondo è: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», come recita l’art. 3 della Costituzione, oppure no?
Gli abortisti sono evidentemente per il «No»: chi si trova nel grembo materno è un essere umano di serie B, una prepersona. Ma, allora, chi decide da quando – e fino a quando – un essere umano è una persona? Per quale motivo un neonato è persona e un’ora prima di nascere non lo è? Perché lo stabilisce la legge? Eppure la legge (art. 1, secondo comma, Cod. Civ.) “riconosce” anche i diritti del concepito, se nasce. E se invece la legge ammettesse la schiavitù? E se la legge considerasse quelli di una certa razza “non persone” per via del colore della pelle? La verità è che ogni appartenente alla specie umana è persona, e come tale deve essere considerato. Altrimenti si aprono scenari da incubo, da far impallidire persino Adolf Hitler.
[Traduzione non rivista dall'Autore, con adattamenti, da: Paul Stark, Fetus, Embryo or Baby. No Matter What You Call an Unborn Child, Science Confirms She’s a Human Being, LifeNews.com, 29 dicembre 2017]
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di Giulia Tanel
Arduin il Rinnegato Il medico e scrittore fantasy Silvana De Mari è tornata in libreria con una storia d’amore e di coraggio Lo scorso autunno Silvana De Mari è tornata in libreria con un nuovo, avvincente fantasy: Arduin il Rinnegato. Il nuovo romanzo è, per traccia temporale e contenuti, il preprequel de L’ultimo Elfo, cui si lega attraverso l’elemento della Profezia, quella in cui «in uno dei futuri possibili, un orco salva gli uomini. E una volta successo questo, allora diventa possibile il seguito della storia».
Arduin il Rinnegato affronta il tema del libero arbitrio e tratta anche di problemi reali, quali la tragedia dei bambini soldato e dei bambini terroristi suicidi, oppure le violenze sulle donne e dei bambini… ma il fulcro del libro è l’amore, un amore totale che inevitabilmente veste i panni del sacrificio.
Ma è anche il pre-prequel, per traccia temporale, di Io mi chiamo Yorsh, con il quale al contempo corre in parallelo, formando una narrazione “a forcella”, poiché in quest’ultimo la parte contenutistica segue una sottotrama, che pure si rinsalda al romanzo L’ultimo Elfo.
Arduin (o, meglio, Arduink) è infatti un orco che – al contrario dei suoi simili – combatte a favore degli uomini, affinché non possa più succedere che i bambini siano torturati e uccisi e affinché la giovanissima principessa che ama possa vivere.
Da Arduin, infatti, si dipana l’albero genealogico di Rankstrail e di Rosalba, indimenticati protagonisti della saga; a Yorsh si collega invece l’albero genealogico del suo omonimo, il quale sarà anche l’ultimo essere appartenente alla specie elfica. 36 N. 62
L’AMORE TOTALE INEVITABILMENTE VESTE I PANNI DEL SACRIFICIO
LA DE MARI, CON I SUOI LIBRI, PORTA AVANTI UN MESSAGGIO CONTROCORRENTE, ASSOLUTAMENTE FUORI DAL CORO Infatti, la De Mari fa crescere di pagina in pagina il legame profondo che si viene a creare fra Giada e Arduin, fra quest’ultimo e il popolo degli uomini. Lo fa saldando il fantasy con la medievale narrazione cavalleresca, l’unicità dei suoi personaggi con una superiore comprensione di quanto l’altro da sé non sia mai il vero nemico. Spesso il vero oppositore, infatti, alberga nelle idee cui ci hanno abituato a credere in maniera acritica. Arduin il rinnegato è dunque l’ennesima conferma della capacità di De Mari nell’imbastire trame complesse e nel proporre personaggi dalla psicologia sfaccettata. È qui, in questo riflesso fantastico della nostra realtà, in questo mondo cruento eppure umanissimo, che l’Autrice delinea “la spirale” metafisicamente evolutiva che lega i quattro popoli del suo universo fantastico. Un mondo che cade nell’oscurità e che da essa risorge ciclicamente, anche se «ha bisogno di un salvatore per rialzarsi». È qui che, secondo De Mari,
«la Grazia irrompe sulla scena. La Grazia è un orco ragazzino invincibile e visionario che non permette guerre dove vengono sacrificati bambini». I bambini, il futuro del mondo che, fuori dalla metafora testuale, sono anche quelli del nostro mondo. E non sorprende il fatto che nel testo la De Mari tocchi anche il tema dell’aborto eugenetico: quando la più piccola delle figlie di Arduin viene al mondo, storpia e con un braccio malformato, Arduin pensa che la sua sia una vita inutile, che sarebbe giusto sopprimere, come si farebbe tra gli orchi. Invece, imparerà ad amare la bambina e scoprirà quanto la sua vita sia preziosa. La dottoressa De Mari non è nuova al tema dell’aborto: ne L’ultimo orco e in Hania aveva infatti parlato di una gravidanza dopo lo stupro. E in entrambi i libri abbiamo una madre che rifiuta di uccidere il frutto di uno stupro e la creatura che nasce diventerà il guerriero che salva il mondo.
Questa è un’ulteriore conferma rispetto all’unicità di scrittura della De Mari, che va ben oltre la piacevolezza dei suoi testi e la loro capacità di coinvolgere il lettore in una trama mai scontata e banale. La De Mari, con i suoi libri, porta avanti un messaggio controcorrente, assolutamente fuori dal coro… e che dà molto fastidio ai grandi. Ma questa opposizione ideologica conta poco di fronte alle recensioni entusiastiche di ragazzi e adulti, che continuano a leggerla libro dopo libro, immergendosi in sempre nuove avventure e uscendone ogni volta più ricchi.
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UOVA D’ORO
di Virginia Lalli
L’eugenetica, il grande affare della salute riproduttiva e la nuova bioschiavitù femminile Assistiamo oggi a una illegittima dilatazione dei diritti, che sta letteralmente fagocitando l’idea medesima di essere umano: tutto va consentito, perché tutto ha un prezzo, purché si paghi. Ogni desiderio genera una pretesa, una pretesa protetta da leggi ingiuste diviene diritto e quest’ultimo crea un ricco mercato che fattura miliardi. La genitorialità è sempre più gestita con modalità tecnologiche, il figlio è un oggetto che serve alla soddisfazione del cliente: se non c’è e lo voglio, ci deve essere per forza. Se invece c’è, ma non lo voglio, me ne sbarazzo. E se il figlio diventa un prodotto, è inevitabile che anche la madre segua lo stesso destino di “cosificazione”. Si è creata una nuova categoria di donne, donne di seconda categoria, appunto,
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le “breeders” – letteralmente “fattrici”, termine mutuato dagli allevamenti degli animali, le quali o vendono i propri ovuli oppure partoriscono figli per conto di terzi. I Lettori potranno chiedere alla Redazione di ProVita Onlus il documentario intitolato appunto Breeders, prodotto dalla CBC e sottotitolato e distribuito in Italia da ProVita: donne schiavizzate e “figli artificiali” comprati, che – quando nascono sani e ben accetti – si ritrovano catapultati nei quadri familiari più disparati. Si chiama “multigenitorialità”. In questo quadro in cui “love is love”, nessuno pare preoccuparsi delle ricadute di queste “geometrie variabili” sulla psiche del nascituro. Di questo agghiacciante sfruttamento delle donne nel mercato dei gameti e degli uteri parla anche Uova d’oro.
Il documentario Breeders, donne di seconda categoria si può ordinare su internet, in cambio di un contributo alle spese di traduzione e spedizione, digitando www.notizieprovita.it/contatti/
L’eugenetica, il grande affare della salute riproduttiva e la nuova bioschiavitù femminile, un libro di Giorgia Brambilla e Fabio Faggioli. Gli Autori trattano il tema a tutto tondo, a partire dal business degli anticoncezionali, fino a quello della crioconservazione degli ovuli, passando per la fecondazione artificiale e l’utero in affitto. La possibilità di scindere chimicamente la riproduzione dalla sessualità ha creato, per gli anticoncezionali, un mercato stimato nel 2013 in circa 15,7 miliardi di dollari che si ritiene possa raggiungere, nel 2020, i 19,6 miliardi. Viste le cifre, pensare che in cima alla lista delle priorità di queste aziende figuri effettivamente la tutela dei diritti e della dignità delle donne richiede una certa dose di candore. E per di più in Usa, ad esempio, almeno
il 51% di tutte le gravidanze è imprevista, segno che il prodotto venduto – alla fine – non è così efficace. Quanto agli effetti collaterali, secondo l’Agenzia francese per la sicurezza del farmaco, ogni anno le pillole anticoncezionali provocano in media 2.529 episodi tromboembolici nonché 20 decessi, dei quali almeno 14 attribuibili alle pillole di terza e quarta generazione. Tuttavia, secondo i rappresentanti delle vittime delle pillole contracettive, i decessi annui sarebbero per lo meno stimabili attorno ai 200, in quanto i dati ufficiali francesi non considerano, ad esempio, né gli episodi “trombo-embolici arteriosi”, né quelli “vascolari cerebrali”.
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sono stati conservati per essere “donati”, mentre circa 5.900 sono stati usati a fini di ricerca. Il costo medio di un solo ciclo di fecondazione artificiale è di circa 4.000 sterline.
Quanto al mercato dei gameti e dei bambini, invece, le statistiche ufficiali inglesi del 2012 dimostrano che almeno la metà degli embrioni utilizzati in sede di fecondazione in vitro sono stati “gettati via” prima o dopo le procedure. Per cui, stando ai dati della Human Fertilization and Embriology Authority, dall’agosto 1991, anno in cui sono iniziate le registrazioni, sono stati prodotti almeno tre milioni e mezzo di bambini in vitro dei quali circa 1.400.000 embrioni sono stati trasferiti in utero. Di questi, solo 235.480 si sono impiantati con successo, cioè meno del 17% (il che significa che le gravidanze andate a buon fine sono ancora meno). 1.700.000 bambini sono stati direttamente scartati, senza che ne sia stato fatto alcun uso; 840.000 sono finiti in surgelatore, mentre 23.480 sono stati scartati dopo essere stati scongelati; 2.000 40 N. 62
Negli Stati Uniti il giro d’affari della riproduzione in vitro viene stimato in circa 3 miliardi di dollari. Un segmento di questo business in espansione è la crioconservazione degli ovuli femminili, per consentire alle donne di rimandare la gravidanza a tempo indeterminato. Questa industria milionaria fornisce lavoro non solo a cliniche e medici, ma anche ad agenzie intermediarie. A coloro che vendono i propri gameti, e alle donne povere in particolare, arrivano solo le briciole. Le donne che vendono gli ovuli, poi, sono sottoposte alla pericolosissima iperstimolazione ovarica: per alcune settimane, quotidianamente, si devono iniettare ormoni per stimolare i follicoli. Arrivato il momento giusto, gli ovuli sono aspirati tramite un ago inserito nelle ovaie, in anestesia generale.
Per stimolare le ovaie, uno dei medicinali più usati è il Lupron, che si usa per il tumore della prostata in stato avanzato, per i fibromi e per l’endometriosi. Inibisce nelle donne la produzione di estrogeni, inducendo, in pratica, una menopausa artificiale. I numerosi effetti collaterali dovrebbero risolversi in sei mesi da quando cessa l’assunzione del medicinale: caduta dei capelli, amnesia, dolori generalizzati, decalcificazione delle ossa. Ma il rischio più grave è la sindrome da iperstimolazione ovarica, che può causare il cancro, l’infarto e la morte. Uno studio del 2013 pubblicato sul Journal of the American Medical Association ha segnalato che, almeno nel 40% dei casi, si riesce a far produrre alle donatrici più di 21 ovuli. Nell’altro 60% tra gli 11 e i 20.
TUTTO VA CONSENTITO, PERCHÉ TUTTO HA UN PREZZO, PURCHÉ SI PAGHI
Rammentiamo che in condizioni naturali la donna produce un solo ovulo al mese. Ironia della sorte, poi, stando ai dati della Società europea di riproduzione umana ed embriologia, il tasso di fallimento della riproduzione assistita si aggira, a livello mondiale, intorno al 77%. Quanto all’utero in affitto, i nostri Lettori sono già ben documentati. Rapidamente ricordiamo che il libro di Brambilla e Faggioli spiega che con frequenza vengano prodotti più bambini di quanti ne hanno ordinati i genitori, perché molti impianti non attecchiscono.
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Ma quando ne sopravvivono di più di quelli richiesti dai committenti, i bambini soprannumerari vengono abortiti. Del nascituro si può selezionare il sesso, si possono ordinare dei gemelli, si possono perfino fecondare gli ovociti con lo sperma di più donatori. Per l’enorme giro di affari che c’è dietro l’utero in affitto, le agenzie intermediarie tendono a insediarsi e ad affittare uteri in Stati con governi deboli e dove non esiste un’adeguata tutela contrattuale del contraente debole (la donna). Secondo l’International Journal of Gynecology and Obstetrics il mercato internazionale della riproduzione industrializzata ha bisogno che l’utero venga considerato una merce quindi “staccato” dalla donna che lo possiede: il grembo diventa fungibile, le madri surrogate diventano merci. In tale mercato non contano più neanche i diritti e la sicurezza delle “lavoratrici”.
riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere vietata e trattata come questione di urgenza nell’ambito della tutela dei diritti umani».
Il Parlamento europeo, il 17 dicembre 2015, ha condannato la pratica dell’utero in affitto, «che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento
Si va sviluppando sempre di più una sorta di hybris genitoriale, che porta a voler padroneggiare il mistero della nascita. L’ingegneria genetica offre il figlio perfetto e lo ottiene mediante la strumentalizzazione del figlio stesso, stravolgendo alla base ogni rapporto di uguaglianza tra gli uomini.
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E infine, il libro di Brambilla e Faggioli parla del nuovissimo business della crioconservazione degli ovuli. Il flash-freezing, altrimenti detto “vetrificazione”, e la conservazione degli ovociti a -196 gradi centigradi, offrono anche a donne relativamente giovani (di età inferiore ai 38 anni) scarse possibilità che al momento dello scongelamento dall’ovulo possa nascere un bambino: “tra il 2% e il 12%”. Eppure, sempre più donne in carriera vi ricorrono, illuse di poter sconfiggere la natura che ha stabilito l’orologio biologico della fertilità per i suoi ovvi buoni motivi.
IL BUSINESS DEGLI ANTICONCEZIONALI, DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE, DELL’UTERO IN AFFITTO E DELLA CRIOCONSERVAZIONE DEGLI OVULI È TUTTO SULLA PELLE DI DONNE E BAMBINI
Esiste un’assonanza tra l’eugenetica e l’attenzione ossessiva che certi genitori pongono al successo dei figli imponendo parametri di perfezione (a livello scolastico o fisico) tali da rivelare che non considerano più il figlio come dono e come persona libera. Come dice Habermas, il figlio sottoposto a manipolazioni “in vitro” non è più un “fine in sé”, ma è uno strumento, una cosa, che deve raggiungere quel fine che i genitori hanno stabilito per lui tramite tali manipolazioni. Se poi per “produrlo” bisogna usare delle donne calpestandone la dignità, a chi possiede tale mentalità certamente non importa.
Letture Pro-life Massimo Gandolfini e Stefano Lorenzetto
L’ITALIA DEL FAMILY DAY Marsilio
Il leader del Comitato Difendiamo i Nostri Figli parla del suo passato “rivoluzionario” con Stefano Lorenzetto: poteva finire arruolato nelle Brigate rosse o in Prima linea. Ma il 14 maggio 1977 a Milano partecipò al corteo di protesta in cui il poliziotto Antonio Custra, 25 anni, fu ucciso con una rivoltellata da un manifestante che aveva il volto coperto da un passamontagna. Davanti al sangue che scorreva sull’asfalto, lo studente universitario prossimo alla laurea cominciò a diventare l’uomo che è oggi. E lo descrivono come oscurantista, omofobo, retrogrado, reazionario… Il sottotitolo di questo libro è “Un dialogo sulla deriva etica cui stiamo assistendo”, ma è anche un modo per conoscere più a fondo un personaggio caro a tutti i pro life.
Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni
SCIENZIATI IN TONACA. DA COPERNICO, PADRE DELL’ELIOCENTRISMO, A LEMAÎTRE, PADRE DEL BIG BANG
La Fontana di Siloe
All’origine della scienza sperimentale moderna vi sono essenzialmente uomini religiosi per i quali studiare la natura è cercare di leggere il libro scritto dal Creatore. Senza nessuna presunzione di possedere ogni verità, di ridurre la causa prima alle cause seconde, di trasformare la scienza sperimentale in una fede, di farne una metafisica onnicomprensiva. Numerosi sacerdoti hanno contribuito con il loro lavoro alla nascita della citologia, della biologia, della genetica, della cristallografia, della geologia, dell’astronomia. Nomi a tutti noti, come quello di Gregor Mendel, e meno noti, come quello di Georges Lemaître, padre del Big Bang, o del tutto dimenticati come quelli dell’Abbé René Just Hauy, di padre Corti, di padre Venturi o di padre Bertelli.
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