ProVita Dicembre 2017

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Trento CDM Restituzione

Anno VI | Dicembre 2017 Rivista Mensile N. 58

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

Notizie

“Nel nome di chi non può parlare”

“POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003

Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

Ma chi è l’uomo?

Intervista ad Antonio Socci

di Francesco Agnoli, p. 14

di Giulia Tanel, p. 18

Attrazione per lo stesso sesso di Paolo Gulisano, p. 32


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

EDITORIALE 3

Lo sapevi che...

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Educare per edificare

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Anno VI | Dicembre 2017 Rivista Mensile N. 58

Perché il mondo ci odia

Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182

PRIMO PIANO

Redazione Toni Brandi, Federico Catani, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel G r aMunicipio, f i c a i l l u s3t r- a39040 t r i c e Salorno (BZ) Piazza www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089

Notizie

Direttore responsabile FRANCESCA GOTTARDI Antonio g r a f iBrandi ca illustratrice Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica

Walter Salin

Luca Scalise

10

Ma chi è l’uomo?

14

FILM: Il paradiso per davvero

17

I tornati dall’Aldilà

18

Coscienza oltre la vita

22

Esperienze di pre-morte e suicidio

24

Francesco Agnoli Marco Bertogna Giulia Tanel

Teresa Moro Eliseo Corsi

Le NDE nel pensiero della Chiesa

Francesco Agnoli

28

Tipografia

Distribuzione

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Francesco Agnoli, Marco Bertogna, Eliseo Corsi, Andrea Torquato Giovanoli, Paolo Gulisano, Cecilia McCamerons Piazza, Teresa Moro, Walter Salin, Luca Scalise, Giulia Tanel

Attrazione per lo stesso sesso

32

Con la bocca piena di farfalle

34

Meravigliosa normalità

36

Paolo Gulisano

Andrea Torquato Giovanoli

Cecilia McCamerons Piazza

Letture Pro-life 39

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14

32 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con regolarità? Contatta la nostra Redazione per segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono

Intanto, chi sa che la «fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi» (Dante, Paradiso XXIV, v. 64; cfr. Eb 11,1) chiederà a Gesù Bambino che accresca nel mondo la fede, cioè la certezza dell’immortalità che si spera, la prova dell’Aldilà che non si vede… ma che forse qualcuno ha intravisto.

Buon Santo Natale!

state scaricate legalmente da www.pixabay.it

Toni Brandi

EDITORIALE

È

di nuovo Natale: una festa laicizzata e consumistica ma che, per molti, costituisce ancora un’occasione per fermarsi e vivere del tempo di qualità con la propria famiglia e con le persone care. E poi, alla fine dell’anno, siamo tutti portati a fare un bilancio della nostra situazione esistenziale e a interrogarci sul senso della vita e del tempo che scorre veloce e inesorabile. A questo proposito, da quando esiste, l’uomo s’interroga sul “dopo” e sul senso della vita. Per alcuni non c’è niente: tutto finisce con l’ultimo respiro, o con quella che chiamano “morte cerebrale”. Invece, per le persone di fede, ma non solo, “dopo” c’è “il tutto” e “il meglio”. E la fede e la ragione non hanno necessariamente bisogno di prove scientifiche dell’immortalità dell’anima, che sola dà un senso alla “fatica” della vita terrena. Ma la scienza, anche in questo campo, comincia a interrogarsi su quella che appare una residua attività cerebrale non misurabile con l’elettroencefalogramma, dopo la morte conclamata. Per indagare su questo aspetto offriamo ai nostri Lettori una serie di articoli sulle “esperienze di pre-morte” di innumerevoli persone che – dopo il coma, l’arresto cardiaco, la “morte cerebrale” o altre circostanze clinicamente estreme – sono “tornate” e raccontano quell’assaggio di Paradiso – o di Inferno – che hanno vissuto e che ha cambiato il loro modo di affrontare la vita. Ed è positivo che si parli di questo tema, perché da un tale dibattito discendono conseguenze importanti quando poi si affronta il tema dell’eutanasia, del prelievo di organi a cuore battente e – in generale – della tutela della vita umana.


LO SAPEVI CHE...

4 N. 58

MEDICI CORAGGIOSI SALVANO LA VITA

Paolo, bergamasco, a seguito di un incidente in montagna ha subito un’emorragia molto consistente, con la perdita di ben tre litri di sangue. I medici, andando contro ogni protocollo, hanno deciso di attaccare il ragazzo all’Ecmo, la macchina che si sostituisce al cuore e ai polmoni e permette la circolazione extracorporea e che non andrebbe utilizzata in caso di emorragia perché contemporaneamente bisognerebbe somministrare l’eparina, che serve per rendere il sangue fluido e non rischiare trombosi. Il rianimatore Luca Lorini ha affermato: «Abbiamo fatto l’esatto contrario di quello che si insegna ai medici di tutto il mondo. Un grande rischio, ma l’alternativa era vederlo morire senza potere fare nulla». Ebbene, non solo il giovane ha avuta salva la vita, ma è stata anche provata una nuova tecnica, fino a oggi sconosciuta alla letteratura scientifica.

ARRIVARE VERGINI AL MATRIMONIO?

Sono sempre di più le testimonianze che vanno verso una rivalutazione della castità prima del matrimonio. E questo non tanto, o non solo, per motivi legati alla religione e alla morale, ma perché ci sono dati oggettivi che dimostrano come questa sia la scelta migliore: favorisce un dialogo profondo con il partner e una maggiore conoscenza reciproca, e le coppie che arrivano vergini al matrimonio hanno una probabilità maggiore di rimanere assieme tutta la vita. Ci sono anche una serie di personaggi del mondo dello spettacolo che hanno fatto questa scelta di castità prima del matrimonio e che lo testimoniano al mondo come un valore aggiunto nel loro rapporto, come il calciatore Kakà. In USA, si sono dichiarati casti Ciara e Russel Wilson, Julianne Hough e Brooks Laich, Sean Lowe e Catherine Giudici, Jessica Simpson e Nick Lachey, Kevin Jonas e Danielle Deleasa, Mariah Carey e Nick Cannon, Evan Spiegel e Miranda Kerr, Adriana Lima e MarKo Jaric, DeVon Franklin e Meagan Good, Ali Landry e Alejandro Monteverde.


La World Medical Association (Wma) raduna 109 associazioni mediche e conta dieci milioni di membri: si è schierata apertamente a favore della vita, contro l’eutanasia. In occasione della sua 53esima assemblea a Washington, la Wma ha emanato un documento finale in cui «riafferma la sua forte convinzione che l’eutanasia è in conflitto con i principi etici basilari della pratica medica» e «incoraggia con forza tutte le associazioni mediche nazionali e i medici ad astenersi dal prendere parte all’eutanasia, anche se la legge nazionale lo consente o depenalizza questa condotta a certe condizioni». Già nel 2013, in Francia, la Wma aveva dichiarato l’eutanasia «non etica» in quanto «atto che pone fine deliberatamente alla vita di un paziente, anche se a chiederlo è il paziente stesso o i suoi congiunti».

I MEDICI DEL MONDO CONTRO L’EUTANASIA

Juan Manuel De Prada, nato nel 1970 nei Paesi Baschi, è un romanziere apprezzato e tradotto nel nostro Paese. Non tradotta, però, è la sua raccolta di articoli di giornale intitolata La nueva tiranìa. El sentido común frente al Mátrix progre (La nuova tirannia. Il senso comune di fronte al Matrix progressista), attraverso la quale lo scrittore basco denuncia l’ascesa di un nuovo ordine politico, economico, culturale che sembra ormai avere imposto una mentalità egemonica capace di omologare gli schieramenti politici sotto l’egida del politicamente corretto e di un pensiero unico edonistico-relativistico. La «nuova tirannia» si presenta in veste chic, dal volto umano, che vuol apparire ludica, amabile e iper-libertaria. Agisce in primo luogo attraverso la pratica di «svincolamento» (désvinculación) dell’individuo. Si tratta di eliminare quella ricca trama di legami e appartenenze (la famiglia in primis, ma anche la nazione, la comunità) che danno spessore all’essere umano, rendendolo una persona unica e irripetibile, irriducibile agli schemi del potere.

LA NUOVA TIRANNIA

Recenti studi confermano che le persone LGBTQIA(…), e soprattutto i trans, sono particolarmente soggette all’autolesionismo. Il rapporto statistico che lancia l’allarme è stato redatto dell’associazione Stonewall, una delle più prominenti nella battaglia per i diritti LGBTQIA(…). La relazione, stilata di concerto con l’Università di Cambridge su più di 400 studenti LGBTQIA(…), mostra che il 96% dei giovani trans pratica l’autolesionismo (idem il 60% degli omosessuali). Il rapporto ha anche rilevato «livelli incredibilmente elevati» di problemi di salute mentale tra i ragazzi trans: si cerca di dare la colpa di questo al bullismo o agli errori (colpevoli o incolpevoli) che commette la gente nel rivolgersi ai trans con il pronome sbagliato, eppure la percentuale di suicidi nella popolazione trans (circa il 50%) è molto più alta dei suicidi tra le persone non LGBTQIA(…), anche in Paesi decisamente non omofobi come quelli della Scandinavia.

AUTOLESIONISMO LGBTQIA(...): PERCHÉ?

5 N. 58


A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei

piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.

VUOI RICEVERE I PIEDINI, IL BAMBINO IN PLASTICA O IL PORTACHIAVI? Scrivi alla Redazione collegandoti a www.notizieprovita.it/contatti specificando il numero di pezzi che desideri ricevere (fino a esaurimento scorte). Offerta minima consigliata (più spese di spedizione): spillette 100 spillette – 100€ 50 spillette – 75€ 10 spillette – 20€ “Michelino” portachiavi 2€ 2€


Vasco Rossi è l’autore di Vita spericolata («Voglio una vita maleducata, una vita che se ne frega di tutto…»)

EDUCARE per edificare di Walter Salin

Un’azione rivolta a genitori e insegnanti per difendere i giovani dalla dittatura del pensiero unico “Guardare” senza “vedere” equivale a “sentire” senza “ascoltare”, il che sostanzia l’esaltazione della distrazione: il farmaco sociale di massa che evita a persone, famiglie e popoli interi di esercitare il sacrosanto diritto di pensare, valutare, scegliere e agire per cercare insieme la via possibile verso la gioia e il buon esito della sfida esistenziale.

ESISTONO DITTATURE EVIDENTI E ALTRE SILENTI, RIVESTITE CON I PANNI DI UN APPARENTEMENTE SANO PROGRESSISMO CHE RIESCE A INIBIRE IL PENSIERO PENSANTE E A SOSTITUIRLO CON UN PENSIERO GIÀ PENSATO

Paroloni? No! Soltanto un’ipotesi per evitare di subire impotenti gli indotti liberticidi di un sistema che appare malato e inadeguato. “Subire” è un vocabolo che connota ogni forma di dittatura e di solito va a braccetto con “imporre”… Esistono dittature evidenti e altre silenti, rivestite con i panni di un apparentemente sano progressismo che riesce

a inibire il pensiero pensante e sostituirlo con un pensiero già pensato. Esse sono meno facili da riconoscere e quindi molto pericolose poiché emanano, attraverso l’opera rigorosa e implacabile di un esercito di esecutori più o meno consapevoli, i progetti voluti dalle categorie “alte”, quelle poco note che hanno la forza e i mezzi per imporre dogmi, ideologie e indotti creati ad arte per surrogare la vera libertà con il libertarismo e la menzogna. Così, di giorno in giorno, vengono imposti programmi, protocolli, informazioni, reti burocratiche, opportunità pilotate e molto altro capaci di realizzare l’evidente handicap sociale di un popolo omologato, che appare come 7 N. 58


una sorta di minestrone ribollente dalla cui superficie emergono gli ingredienti a ogni rimestata: burattini illusi, opinionisti presuntuosi, maestri di vita autoreferenziati che nuotano accanto agli arrabbiati, ai pacifisti, ai teorici del nulla, agli pseudoriformisti che illudono il villaggio globale di cambiare tutto per poi peggiorare in modo esponenziale ogni aspetto della vita sociale, politica e religiosa, speranzosi di fissare la propria immagine sulla scia delle autostrade mediatiche. E i risultati sono: regresso economico, globalizzazione, degrado etico e valoriale, sfruttamento, aumento degli illeciti penali e civili, corruzione politica, aumento del consumo di alcool e droga, disimpegno professionale, abusi, mobbing, bossing, baronato, ricatto, inquinamento culturale, ambientale e intellettuale, pedofilia, destabilizzazione, depressioni, confusione... e ancora confusione.

LA DISTRAZIONE È IL FARMACO SOCIALE DI MASSA CHE EVITA A PERSONE, FAMIGLIE E INTERI POPOLI DI ESERCITARE IL SACROSANTO DIRITTO DI PENSARE 8 N. 58

Eppure tutti nel profondo del cuore desideriamo vivere nella pace e nella gioia, nessuno vuole «una vita spericolata e piena di guai, una vita maleducata, una vita che se ne frega di tutto, dove ognuno in fondo è perso dentro i fatti suoi», come dicono le

parole di una nota canzone che ha venduto milioni di copie e che mantiene vivo il ricordo di una pedagogia riduttiva, firmata da una persona che sta invecchiando tra dubbi, incertezze e milioni di euro. Quanto sopra accennato è materia di bonifica da parte degli adulti educatori, chiamati a liberare le menti e le coscienze dei giovani, oggi i più esposti ai pericoli. Famiglia e scuola procedono mano nella mano per evitare la fine ingloriosa di una civiltà che poteva essere migliore ma che ancora si può riscattare, se solo lo volesse veramente. Il problema sta tutto qua: cosa fare per valorizzare l’esperienza educativa genitoriale e scolastica e produrre una riflessione feconda, idonea a fornire ai ragazzi gli strumenti utili per una crescita autentica? Che fare per non ridurre l’azione educativa all’ansia di dover concludere il programma ministeriale, compilare verbali, registri, permessi e ottemperare alle altre mille incombenze che oggi allontanano sempre più l’insegnante dal mondo e dalle vere esigenze dei propri studenti? Che fare allora per conoscere un po’ meglio i nostri figli e figlie ed entrare in sintonia con loro?


Credo si debba cominciare a prendersi del tempo per ascoltare, ascoltare e ancora ascoltare, poiché i nostri ragazzi hanno molte cose da dire e da chiarire, anche se sembra che sappiano tutto o che si trincerino dietro le apparenti sicurezze di un bagaglio di informazioni che non hanno nulla a che fare con le conoscenze e le competenze richieste oggi per non essere schiavizzati o manipolati dai vari “lupi del sistema” che si aggirano instancabilmente a caccia di prede, che riescono a convincere la gente dall’alto dei loro pulpiti costruttivisti o demagogici, o ideologici, o… Ascoltare per capire e farlo con onestà e affetto, che non significa buonismo, o rinuncia all’esercizio delle funzioni educative e didattiche, significa piuttosto capacità di offrire un elemento umano e culturale che diventi presupposto inalienabile al raggiungimento di una comunicazione vera e produttiva. La parola “affetto” deriva dal latino adficere, verbo composto da ad e facere, che significa “fare qualcosa per”: quindi è la parola-chiave che dà senso all’azione degli educatori, fare per amore e gratuitamente.

Occorre studiare a fondo la situazione, e nel contempo cominciare a parlare un’altra lingua partendo dalla lettera “A”, la prima di un alfabeto nuovo per un linguaggio nuovo: “A” di accoglienza, di anticonformismo, di apprendimento valoriale, di alternativa alle costrizioni, di allerta e, non ultima, la “A” di amore, il principio che sta alla base di ogni ragionevole felicità, gemello all’innocenza e alla virtù, quella che i greci chiamavano aretè, cioè quella disposizione d’animo volta a fare il bene. «Tutti i vizi, quando sono di moda, passano per virtù», dichiara Molière; e Tolstoj scrive: «La virtù […] è naturale nell’uomo!… Dio ne ha posto i germi nel cuore dei mortali. Le virtù di Platone partivano dalla temperanza, e attraverso il coraggio e la saggezza giungevano sino alla giustizia; le virtù cristiane partono dall’abnegazione, e attraverso la dedizione alla volontà divina giungono

all’amore». È possibile adottare comportamenti virtuosi nella misura in cui ogni educatore riesce a esercitare la volontà di giungere alla conoscenza intelligente della verità, dove per intelligenza s’intende la capacità di intelligere (intuslegere), cioè leggere dentro e oltre le apparenze per poter comprendere e testimoniare il vero bene, insegnandolo con autorevolezza, con coerenza, con un comportamento esemplare e con una capacità di giudizio finalizzata a premiare e a correggere. Solamente così possiamo sperare di realizzare un iter formativo capace di sviluppare la virtù in noi e nei nostri giovani, aiutandoli ad alzare lo sguardo verso orizzonti veramente nuovi, che profumano di speranza e gioia. 9 N. 58


La testimonianza di un giovane controcorrente, che ha fatto una scelta di fede anche se rischia l’odio del “mondo”

Perché il mondo

CI ODIA

di Luca Scalise «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me». Scegliere di compromettersi con Cristo non è facile e Lui lo sa bene, ecco perché ci mette in guardia con queste parole. Non lo fa tanto per scoraggiarci, quanto per farci capire dalla parte di Chi stiamo. Gesù è veritiero e vuole che chiamiamo ogni realtà con il proprio nome. A tal proposito è necessario fare le dovute presentazioni. Il soggetto della frase è il mondo e, di esso, Gesù ha un concetto 10 N. 58

molto chiaro, basti pensare che, nel Vangelo di Giovanni, «principe di questo mondo» è un appellativo del Menzognero. Ma per capire più nel concreto quali siano la natura e le caratteristiche di questo mondo che ci odia, basterebbe che affermassimo pubblicamente di credere in una qualsiasi realtà evidente, come il fatto che maschio e femmina sono diversi. Subito ci troveremmo attorniati da urla, minacce e rischieremmo il linciaggio. È questa l’occasione propizia per fare esperienza di quella scelta,

di ignaziana memoria, delle due bandiere. Quale bandiera seguire? Quella di Cristo, dietro la quale ci aspettano una serie di persecuzioni e la vita eterna, o quella del Menzognero che, in cambio di piaceri e approvazione sociale, ci ruba il senso della vita e la salvezza stessa? Di certo la scelta “mondana” è la più facile da seguire, mentre chi segue Cristo andrà incontro a ciò che affermano le Sue parole: «Sarete odiati da tutti a causa del Mio nome, ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».


Come mai, però, tutto quest’odio da parte del mondo? Ho iniziato a capirci qualcosa quando, nei vialetti dell’università La Sapienza di Roma, ho avuto modo di confrontarmi con chi la pensava diversamente da me in materia di difesa della vita nascente. In occasione di un aperitivo pro-life organizzato dal gruppo Universitari per la Vita, in collaborazione con le Voci del Verbo, ci siamo imbattuti in un corteo di protesta indetto da altri studenti. Dopo i primi momenti critici – in cui si temeva che gli oppositori urlanti giungessero alle mani – alcuni, più civili, si fermarono a discutere con noi circa l’argomento della questione. Ho conosciuto gente profondamente infelice. Mi tornano alla mente le parole di un ragazzo, nato in provetta, che proclamava ad alta voce che la vita non ha un senso e che quella umana è al pari di quella di un girasole. Ancora ricordo una coppia che, dopo avermi chiesto se facessi uso di mezzi contraccettivi e aver scoperto che vivo in castità, preoccupata che fossi frustrato, esordì dicendo: «Ma tranquillo! Guarda che anche tu sei un animale come noi!». E infine un ragazzo che, pur di giustificare le sue teorie,

arrivò a dubitare dell’esistenza storica di Napoleone Bonaparte. Certo, non sono tutte così le persone che contrastano il diritto alla vita. Ci sono anche coloro che, provando ad avanzare qualche argomento meno assurdo, ritengono che una ragazza rimasta incinta dopo uno stupro starebbe meglio se abortisse; oppure c’è chi crede che l’aborto debba essere legale per evitarne la pratica clandestina. Ma perché tutti costoro ci odiano? Sono certo che di risposte ve ne sono svariate. Ciò che ho notato negli occhi e nei discorsi di coloro che ho incontrato è una profonda mancanza di amore. Tanti restavano sbalorditi quando semplicemente prospettavamo loro, come alternativa all’aborto, di portare a termine una gravidanza e dare il figlio in adozione. Questo perché essi stessi ammettevano di non aver mai avuto al proprio fianco qualcuno che li facesse sentire curati nelle loro difficoltà, amati nei loro difetti, che li facesse sentire desiderati e non un peso. Ed è proprio in questo loro sconvolgimento che si trova la chiave di volta per comprendere la natura delle loro reazioni ostili nei

NON MERAVIGLIAMOCI SE, IN UN MONDO SCHIAVO DEL RELATIVISMO, CHI DIFENDE LA VERITÀ È OSTACOLATO 11 N. 58


che Non dimentichiamoci che an osti quei perfetti sconosciuti nasc nel grembo materno hanno dignità e rilevanza sociale nostri confronti. È nel fatto che, come afferma San Paolo, Dio ha scelto «ciò che è niente per ridurre a niente le cose che sono». Ed è nostro dovere amare e prenderci cura di questo “niente”, così potente da sconvolgere tutto il resto.

sguardo compassionevole verso chi ci ostacola, perché anche la loro vita è sacra come ogni altra e quindi usare misericordia nei loro confronti – senza per questo giustificarne le teorie – è il modo migliore per testimoniare loro quanto valgono.

Non meravigliamoci dunque se, in un mondo schiavo del relativismo, chi difende la verità è ostacolato. Né se una società dichiaratamente antinazista condivide con il nazismo i criteri selettivi dell’eugenetica, pretendendo, mediante essi, di misurare la dignità di una persona. Non scoraggiamoci quando vediamo che sono sempre i più forti ad avere la meglio sui più deboli. In una società in cui “farsi un nome” equivale a ricercare il consenso dei potenti, non dimentichiamoci che anche quei perfetti sconosciuti, nascosti nel grembo materno, hanno dignità e rilevanza sociale.

A questo punto, però, non resta altro che chiedersi perché e per Chi vale la pena subire persecuzioni. In fin dei conti, secondo una logica puramente mondana, non faremmo altro che rovinarci la vita a passare il nostro tempo a difendere i più deboli, ostacolati da tutti. Ed è proprio qui che si snoda la questione: «Chi ama la sua vita in questo mondo, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna». È forse, questo, un invito di Gesù al masochismo? Direi proprio di no. E non si tratta neanche di sminuire il valore della vita umana. Anzi, è l’esatto opposto! Gesù dice queste parole perché vuole farci capire che la nostra vita deve avere una prospettiva alta, non scendere a compromessi con il

Infine, difendere la vita deve anche portarci ad avere uno 12 N. 58

potere, il piacere e il possesso mondano bensì innalzarsi «ai carismi più alti». Gesù vuole farci capire che ogni vita è preziosa in ogni momento, sia quella del neonato che non è chiamato a vivere più di qualche minuto, sia quella dell’anziano o del malato ormai immobile. Ma soprattutto, attraverso le storie di chi si è fidato di Lui, vuole mostrarci che ogni vita, in ogni condizione, è in grado di cooperare al grande progetto di bene che Dio ha sull’umanità intera. Basti pensare a ciò che affermava una di essi, la Serva di Dio Chiara Corbella Petrillo, e che è anche inciso sulla sua lapide: «L’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare». In tutte queste difficoltà, chi ama la vita combatte ogni giorno, ma con una serenità e una felicità profonde perché ricorda le parole che il Maestro ripete a chiunque Lo segue: «Avrete tribolazioni nel mondo, ma non abbiate paura: io ho vinto il mondo!».


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MA CHI È L’UOMO? La morte, e con lei le esperienze di pre-morte, ci portano a riflettere su chi siamo e su quale sia il nostro compito di Francesco Agnoli Nel Primo Piano di questo numero di Notizie ProVita si affronta un tema non da poco: le esperienze di pre-morte, infatti, ci interrogano, in un modo nuovo, sulla classica immortalità dell’anima umana e dell’uomo.

LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE CI RAFFORZANO NELLA CONVINZIONE CHE L’UOMO SIA UNA CREATURA UNICA, SPECIALE, PICCOLA E IMMENSA NELLO STESSO TEMPO 14 N. 58

Sembrerebbe un tema troppo inattuale, se non fossero appunto la medicina e le neuroscienze a suggerirci che non è affatto così. A qualcuno verrebbe forse da pensare: «Ma chi crede di essere, l’uomo, per ritenersi immortale?». Giacomo Leopardi, che pure vedeva nella “noia”, tipica solo dell’uomo, un segno della sua grandezza, e che non poteva fare a meno di scrivere L’infinito e di parlare con la Luna e con gli astri nel Cielo, dimostrando così la sua apertura alla grandezza del Mistero, scriveva anche che credersi immortali è solo presunzione. Effettivamente siamo ben piccola cosa. Anche la Bibbia, che pure ci vuole «a immagine e somiglianza di Dio», lo ricorda spesso: siamo anche polvere,

dice il Genesi; mentre i Salmi recitano così: «L’uomo: come l’erba sono i suoi giorni! Come un fiore di campo, così egli fiorisce. Se un vento lo investe, non è più, né più lo riconosce la sua dimora. Ma l’amore del Signore è da sempre» (Salmo 103,15-16); «Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa» (Salmo 144,3-4). Sì, è vero, scriveva alcuni secoli orsono il grande fisico, matematico e filosofo Blaise Pascal, siamo un puntino nell’immensità degli spazi e un istante nella durata dei tempi. Eppure questo puntino e questo istante hanno una caratteristica straordinaria, perché l’uomo pensa, l’uomo vuole, l’uomo ama, mentre tutto l’universo intero non sa di esistere, non sa di morire, e non sa produrre un solo pensiero, un solo atto di carità! È sempre Pascal a ricordarci che l’uomo è contenuto nell’universo, quanto Primo piano


alla sua materialità, ma contiene l’universo, nel suo pensiero. Egli infatti «supera se stesso infinitamente perché è sempre in cammino verso la pienezza infinita». Cosa insegnava un teologo come Sant’Agostino, che pure era passato attraverso una visione materialistica? Che il nostro cuore è inquieto, insoddisfatto, sino a che non trova pace in Dio, cioè che nel piccolo uomo c’è un desiderio di infinito che supera la nostra natura animale, che la mantiene sempre in tensione. L’uomo, ricorda Battista Mondin riallacciandosi alla grande filosofia e teologia cattolica, «non è mai pago di se stesso, è sempre insoddisfatto, si spinge sempre più avanti per conseguire mete più elevate», per auto-trascendersi; egli è un “tutto aperto”, “capace di Dio”, “capace” – secondo la definizione di San Tommaso che verrà ripresa dal padre della teoria degli insiemi, Georg Cantor – “di Infinito”. Primo piano

Oggi, secoli dopo queste considerazioni, non è cambiato nulla. Anzi, le conoscenze scientifiche ci rafforzano in questa visione dell’uomo come creatura unica, speciale, piccola e immensa nello stesso tempo. Siamo unici per mille motivi, anche materiali: il nostro cervello è una macchina infinitamente più complessa e ricca di tutto l’universo messo insieme! E poi siamo unici, speciali, per la nostra natura spirituale: solo gli uomini non devono adattarsi all’ambiente, ma adattano l’ambiente, dimostrandosi superiori alla natura stessa; solo l’uomo indaga e conosce la natura, penetrando le sue intime leggi,

nell’immensamente grande (i cieli) e nell’immensamente piccolo (le particelle subatomiche); solo l’uomo seppellisce da sempre i suoi morti, immaginando dunque per sé un aldilà e un giudizio; solo l’uomo ha un linguaggio creativo, con parole e suoni materiali finiti ma con possibilità e combinazioni infinite; solo l’uomo possiede una capacità di amore, che gli scienziati chiamano “altruismo”, tale da permettergli di andare persino, se lo vuole, contro i suoi stessi interessi materiali, di donare la propria stessa vita biologica per altri, persino sconosciuti! Un uomo che muore per la Giustizia, Cristo che muore per i suoi “amici”, Madre Teresa che lascia

OMO, ’U L , E R E S S E I D E D E R MA CHI C TALE? R O M IM I S R E N E IT R R PE 15 N. 58


tutti i beni materiali per stare vicina a poveri ed emarginati che non conosce sono sufficienti, come scrive il grande genetista Francis Collins, a scardinare ogni determinismo materialista! Oggi, mentre questa unicità umana è sempre meno chiara a livello di massa, anche a causa della continua strumentalizzazione del concetto di evoluzione, essa è, al contrario, sempre più evidente a chi sappia leggere i dati della scienza (si veda: www. filosofiaescienza.it). Commentando la dimensione infima della Terra rispetto al cosmo (solo nella Via Lattea ci sono duecento miliardi di stelle e le altre galassie pare siano duemila miliardi), il celebre astrofisico Paolo de Bernardis nota che il «pensiero, è una facoltà meravigliosa, che ci distingue in modo netto» e aggiunge che per la comparsa nel cosmo della vita e dell’uomo sono necessari «alcuni miracoli (ma preferisco chiamarli eventi a bassissima probabilità) che fanno funzionare l’universo… Più in generale, basterebbe che i valori di alcune costanti cosmiche fossero diversi, anche di poco, per mutare la struttura dell’universo e impedire la 16 N. 58

vita. È stupefacente apprezzare quanto improbabile sia la nostra esistenza…». Oggi sappiamo bene che la nostra esistenza non appare affatto casuale, figlia di un lancio di dadi; che l’universo non è per nulla ostile o estraneo all’uomo, ma anzi calibrato affinché la vita sia possibile; che tutta la storia evolutiva cosmica – che il sacerdote Georges Edouard Lemaître è stato il primo a comprendere, teorizzando l’espansione delle galassie e il Big Bang ai primi del Novecento – appare proprio in funzione della comparsa dell’uomo, cioè dell’unica creatura che dice «Io», che dà senso al cosmo intero, il quale altrimenti non saprebbe neppure di esistere. Uomo che è l’ultimo venuto, ma che ricapitola in sé ogni cosa che lo precede, essendo composto di “polvere di stelle”, ma anche di vita e di ragione. Oggi l’Universo appare sempre più, per usare l’immagine di un celebre fisico, come una pianta di cui l’uomo è il fiore; come una “donna incinta”, come scriveva secoli or sono Sant’Agostino, «che porta in sé la causa delle cose che verranno alla luce in futuro». L’unicità umana e il suo legame con il cosmo ci portano a formulare un principio cosmologico

antropico che dimostra come la visione biblica dell’uomo – creatura, ma anche re del creato – sia assolutamente la più ragionevole. Infatti: 1) il cosmo, benché ciò non sia affatto probabile a priori, è atto ad ospitare la vita e l’Uomo; 2) l’evoluzione biologica culmina nell’uomo, l’unica creatura in grado di trascenderla; 3) l’evoluzione cosmica, l’evoluzione biologica e l’evoluzione umana sono collegate strettamente tra loro, offrendo così l’immagine di una armonia stupefacente tra realtà diverse; 4) l’evoluzione biologica, come nota tra gli altri l’astrofisico Alberto Masani, non solo culmina con l’uomo, ma non può che fermarsi con lui; 5) l’uomo legge l’evoluzione cosmica, cioè le leggi della fisica: c’è una sintonia tra la razionalità del cosmo, alla cui origine non può che esserci, logicamente, la Razionalità somma di Dio, e la razionalità dell’uomo, il cui linguaggio, così unico e peculiare, è in grado di “riflettere” il “linguaggio” della natura. È dunque evidente che l’uomo non è né figlio del caso, né soltanto materia: premessa necessaria per ben collocare il senso dei prossimi articoli.

Primo piano


FILM

IL PARADISO PER DAVVERO di Marco Bertogna Cosa c’è dopo la morte? Esiste il Paradiso? E l’Inferno?

Titolo: Il paradiso per davvero (Heaven is for Real) Regista: Randall Wallace Stato e Anno: Stati Uniti, 2014 Durata: 99 min. Genere: Drammatico

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.

Sono probabilmente tra le domande più diffuse al mondo. Sono domande che si pongono tutti: credenti e non, cattolici, protestanti, musulmani, etc. Sono domande la cui incertezza determina una base comune per tutto il genere umano. A questo punto ci chiediamo: può un film rispondere a queste domande? Se è tratto da una storia vera, se c’è un riscontro non solo verosimile ma veritiero, se i protagonisti di questa storia la possono raccontare… allora sì: Il paradiso <esiste> per davvero. Un film che non risponde a tutte le domande, ma che porta una testimonianza attendibile. Facciamo un passo indietro: la storia vera di cui stiamo parlando è quella di Cotton Burpo, un bambino che all’età di quattro anni, nel 2003, venne portato d’urgenza in ospedale e operato per una peritonite acuta. Incredibilmente si salvò, ma la cosa ancora più incredibile fu il racconto che il bambino fece ai suoi genitori

dopo essersi risvegliato: Cotton raccontò di essere stato in Paradiso, di aver incontrato Gesù, di aver parlato con Dio, di aver visto gli angeli cantare per lui, di aver incontrato il nonno e la sorellina che non aveva mai conosciuto, perché morta poco prima del parto. La storia di Cotton s’intreccia con un’altra storia vera: quella di Akiane Kramarik, una bambina prodigio di origini lituane, che all’età di quattro anni ha cominciato a disegnare benissimo sotto ispirazione divina il volto di Gesù; questo disegno, con il volto di Cristo, fu confermato dallo stesso Cotton quando lo vide in televisione. Akiane è ora una ragazza prodigio che disegna benissimo, suona il pianoforte, parla molte lingue e queste capacità non trovano un’origine razionale. Questo, e molto altro, è Il paradiso per davvero: un film da vedere.

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I tornati DALL’ALDILÀ Abbiamo intervistato lo scrittore e giornalista Antonio Socci, che ha scritto un libro sulle esperienze di pre-morte

Antonio Socci

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«Dall’Aldilà non è mai tornato nessuno», dice una frase popolare. Eppure è noto – non solo e non tanto in ambito cristiano, forse, ma soprattutto nel mondo scientifico – che le persone tornate dall’Aldilà sono molte, anzi moltissime… Io non so come si possano inquadrare dal punto di vista soprannaturale le esperienze di pre-morte: come è sua consuetudine, fino ad ora la Chiesa ha sospeso il giudizio sul tema, in attesa di un parere della scienza. E proprio da quest’ultima arrivano segnali importati. Per anni gli scienziati hanno sostenuto che le esperienze di pre-morte avevano una spiegazione biologica (si riteneva non fossero altro che immagini prodotte dai neuroni che stavano morendo nel cervello). Negli ultimi anni, invece, la comunità scientifica ha rilevato come la spiegazione non sia in realtà questa, dal momento che si è di fronte a casi di morte cerebrale.

di Giulia Tanel

Personalmente mi pare di intuire che ci troviamo di fronte alla rilevazione clinica dell’esistenza di un “io” – chiamiamolo anima o coscienza – che va oltre la vita biologica del corpo, quindi – di fatto – all’immortalità dell’anima. Questo trova conferma anche nel fatto che tante persone che hanno vissuto esperienze di pre-morte hanno visto dall’esterno il loro corpo e hanno ricostruito quanto avveniva attorno a loro, e non solo quello che veniva detto (che si potrebbe anche spiegare), ma anche quello che avveniva attorno. Un caso, documentato addirittura dalla televisione, aveva come protagonista una persona cieca, che ha descritto quanto aveva visto da una “collocazione” esterna al corpo. Non so come giudicare questo fenomeno, ma di certo si tratta di esperienze che pongono molte domande. Fino ad ora sapevamo solo delle esperienze dei mistici (per esempio Santa Caterina da Siena, Santa Teresa Primo piano


d’Avila) o dei veggenti (per esempio i pastorelli di Fatima, che hanno visto l’Inferno), mentre ora abbiamo anche le attestazioni della scienza sui casi di pre-morte. Vedremo quello che la Chiesa dirà, se riterrà di pronunciarsi. Perché ha deciso di scrivere un libro sulla pre-morte, Tornati dall’Aldilà? Ho deciso di farlo per motivi personali. L’esperienza di mia figlia – che ha avuto un’ora di arresto cardiaco – mi ha fatto toccare con mano la fragilità della nostra vita: basta che il cuore si fermi per un battito e siamo morti. Tolkien sosteneva che la realtà è come una cortina di pioggia, al di là della quale c’è il mondo dell’eternità. Invece noi siamo abituati a pensare che le cose reali, di tutti i giorni, siano solide… non sono altro che un velo di cipolla. La vita vera è dopo, ed è ben più solida di quella che viviamo sulla terra. Con le esperienze di pre-morte abbiamo dunque la prova scientifica dell’esistenza dell’anima e della sua vita fuori dal corpo? Sì, in effetti sembra che le cose stiano così. Peraltro, questa percezione del nostro “io” che è più grande e sopravvive alla vita biologica è un’acquisizione filosofica della ragione e anche un’intuizione poetica; si pensi Primo piano

al Canto notturno di un pastore errante dell’Asia o al Sopra il ritratto di una bella donna di Leopardi: emerge chiaramente la fragilità della vita umana, in contrasto con l’infinità dei desideri della nostra anima… «Natura umana, or come, /se frale in tutto e vile, /se polve ed ombra sei, tant’alto senti?». Chi ci ha dato un “io” proiettato all’infinito, se la vita è finita? Come mai siamo programmati per una felicità infinita che sulla terra non c’è? Significa che l’oggetto della felicità è altrove…

invece questo cammino di riabilitazione messo a punto dagli Istituti Doman funziona e dà veramente speranza a tante persone e famiglie. Oltretutto, in sessant’anni di attività Doman ha elaborato una visione complessa e complessiva della persona e anche un approccio pedagogico veramente interessante: la riabilitazione, infatti, da certi punti di vista altro non è che una sorta di (ri) educazione della persona.

Recentemente ha pubblicato un altro libro, dal titolo La casa dei giovani eroi. Potrebbe riassumerne i contenuti? Si tratta di un libro che fotografa il cammino di rinascita di mia figlia dopo che è uscita da una serie di esperienze molto gravi (arresto cardiaco, coma…). Abbiamo scoperto un metodo americano di riabilitazione legato a Glenn Doman, che è estremamente promettente per tutte le malattie cerebrali. In Europa – e in Italia in particolare – di fronte ai casi di queste persone si tende a dire che non c’è nulla da fare, CHI CI HA DATO UN “IO” PROIETTATO ALL’INFINITO, SE LA VITA È FINITA?

Siamo dunque di fronte a bambini, giovani, genitori, famiglie ferite dalla vita, messe alla prova. Pensando alle diverse situazioni viene spontaneo esclamare: «Io al loro posto non resisterei». Cosa può dirci, anche in base all’esperienza con sua figlia Caterina? Questo è uno degli errori che sottostanno alle Dichiarazioni Anticipate di 19 N. 58


Glenn Doman

Trattamento (DAT): pensare in astratto a una grave malattia futura e identificare la persona con la sua malattia. Identificare anche se stessi con l’eventuale malattia futura, cosicché oggi in astratto - si sente che non si sopporterebbe quell’eventualità terribile. In realtà abbiamo immense risorse che emergono proprio quando il problema capita a te. Bisogna guardare a se stessi e agli altri in modo diverso per capirlo. Bisogna guardare le persone come le guarda una madre. Una mamma non dirà: «Lui è Down…», bensì dirà: «Lui è Mario e sta lottando per risolvere dei problemi». Nessuno di noi è la sua malattia o il suo problema: siamo persone, cioè siamo molto più “grandi”. Inoltre, quando ci si ritrova in queste situazioni si scopre il tesoro della persona che si ha vicino e si comincia a vedere in maniera diversa anche noi stessi: quando si dice «Io al loro posto non resisterei», si parla pensando al problema. Invece quando ti 20 N. 58

ci ritrovi te, sei te e lotti per non essere schiacciato dalla malattia. Purtroppo c’è anche un altro problema nella mentalità oggi diffusa: la tentazione di rimuovere il malato per rimuovere la malattia. Viviamo in una società che ha fatto propria la “cultura dello scarto” e che ha, in fondo, enorme paura della sofferenza e della morte. Cosa si sente di dire rispetto alla proposta di legge sulle DAT? Spesso chi ha fatto le DAT in passato non si riconosce in quelle dichiarazioni al momento della malattia. Quando si è sani si vedono le cose in modo astratto e si rimane ipnotizzati dalla paura, ma quando vi ci si ritrova dentro è diverso. La mia esperienza personale è questa. Chiaramente se una persona è sola, rischia di rimanere schiacciata dalla dura prova; ma quando ci si sente guardati con amore si possono affrontare tante battaglie. Primo piano


Mia figlia Caterina, per esempio, è piena di vita, di energia, d’ironia, di letizia: è questa la grandezza. In queste situazioni il buon Dio, se lo invochi, ti riempie di Grazia e fa emergere il meglio di ognuno di noi. Ritengo infatti che la dimensione vera dell’uomo venga fuori nell’eroismo: lo si vede per esempio nei genitori, che sono degli eroi nella quotidianità. È la dimensione dell’amore, che per forza di cose è eroico. Dobbiamo opporci al rattrappimento piccolo-borghese di una vita ripiegata su se stessa. Come vivere queste prove di sofferenza e malattia in famiglia senza essere schiacciati? Servirebbero più aiuti? È difficile vivere certe situazioni da soli: da un lato servirebbero quindi maggiori aiuti da parte dello Stato, che non deve lasciare sole le famiglie; dall’altra, serve anche una fraternità vissuta all’interno della Chiesa: serve una comunità che si stringa in Primo piano

un abbraccio. Oggi vediamo che le persone di chiesa sono sparite dagli ospedali, che sarebbero un grande luogo di evangelizzazione. Perché? Nella mia esperienza in tanti ospedali in questi anni ho visto come basti una tonaca di un frate per portare speranza in quei corridoi bianchi… Siamo fatti di anima e corpo. O, per essere più onesti circa le priorità delle persone del Terzo millennio, di corpo e (forse) anima. Si tratta di una dicotomia inconciliabile, oppure questi due aspetti possono trovare, anche oggi, un’integrazione generativa? Nel cristianesimo non c’è alcuna dicotomia tra anima e corpo. Il cristianesimo è l’unica religione che ci parla dell’immortalità dell’anima e della risurrezione del corpo. Quanto siano importanti entrambi gli aspetti lo capiamo anche dal fatto che è la Chiesa ad aver inventato gli

ospedali: la Chiesa ha fatto suo lo sguardo pietoso di Gesù verso i malati e i sofferenti, insegnando ai popoli a prendersi cura di chi è in croce. E, appunto, la Chiesa dà un valore immenso al dolore umano, che è una conformazione a Cristo crocifisso e che è quindi una via privilegiata di “divinizzazione”. Questa unione tra anima e corpo è una cosa vertiginosa perché apre alla divinizzazione del corpo: l’uomo è sacro anche nel suo aspetto corporeo, e questo ancora di più quando il corpo è malato. Il malato è visto come Cristo crocefisso e la Chiesa ha a cuore la nostra anima e ci ha insegnato ad amare anzitutto gli ammalati. 21 N. 58


Pim van Lommel è il massimo esperto di NDE (Near Death Experiences): sul fenomeno ha realizzato uno studio mondiale

COSCIENZA

oltre la vita di Teresa Moro

Quando si affronta il tema della pre-morte (NDE - Near Death Experience) non si può non citare il cardiologo olandese Pim van Lommel, che da trent’anni studia e approfondisce questo tema e che per primo ha realizzato uno studio mondiale, pubblicato su The Lancet nel 2001.

LE PERSONE CHE VIVONO UNA NDE SONO PORTATE A INTERROGARSI SULLA VITA, SUL SUO SENSO E SULLA MORTE 22 N. 58

Van Lommel è altresì autore di Coscienza oltre la vita. La scienza delle esperienze di premorte, la cui recente pubblicazione in lingua italiana è stata un ottimo pretesto affinché anche i media nostrani s’interessassero di questo argomento, solo apparentemente “di nicchia”. Infatti, come spiegava lo stesso medico a La Repubblica nella primavera del 2017: «[…] secondo una recente indagine randomizzata, circa il 4% della popolazione occidentale sembra averle sperimentate [le NDE, Ndr], sarebbe a dire 2,5 milioni di italiani». Un numero

che si prevede in costante crescita, date le moderne tecniche di rianimazione e il miglioramento delle cure per chi subisce un trauma cerebrale. Ma che cosa sono le NDE? Lasciamo nuovamente la parola allo studioso: «Un’esperienza di pre-morte (o NDE - “Near Death Experience”) può essere definita come il ricordo di una serie di impressioni vissute durante uno speciale stato di coscienza, fra le quali si trovano diversi elementi “universalmente presenti”, come un’esperienza fuori dal corpo, sensazioni piacevoli, la visione del tunnel, della luce, dei propri cari defunti, il passare in rivista la propria vita, e il ritorno cosciente nel corpo. Tra le circostanze di una NDE abbiamo l’arresto cardiaco (morte clinica), uno shock a seguito di emorragia, la conseguenza di un colpo apoplettico, un quasi affogamento (un caso più frequente nei bambini!) o asfissia, ma anche malattie gravi dove la minaccia Primo piano


di morte non è immediata, o addirittura durante episodi di depressione, isolamento o meditazione, e persino senza una ragione evidente. Come a dire che non c’è sempre bisogno, a quanto pare, di avere un cervello fuori uso per vivere e poi raccontare una NDE» (La Stampa, 26.03.2017). Un’esperienza, quella della pre-morte, che segna nel profondo le persone che la vivono, le quali sono portate a interrogarsi sulla vita, sul suo senso e sulla morte e che – afferma ancora il cardiologo – rafforza anche la capacità intuitiva. Per alcuni, a oggi, le NDE non sono altro che una residua attività cerebrale non misurabile con l’elettroencefalogramma, e comunque da indagare. Van Lommel ha tuttavia, negli anni, elaborato una sua teoria, che vede in campo due forze differenti: il cervello e la coscienza. Cervello e coscienza che non sempre coincidono, dal momento che la seconda talvolta opera – afferma ancora il medico – «al di là del tempo e dello spazio», superando quindi la mera materialità. Si tratta di ipotesi grandi, che sfidano in maniera netta il razionalismo scientista e, di certo, saranno necessari ancora anni di studi prima di giungere a una definizione certa e condivisa del Primo piano

fenomeno. Se mai sarà possibile giungerci. Per intanto, tuttavia, è positivo che questo argomento inizi a trovare il dovuto spazio negli ambienti della scienza e della cultura, anche per via delle benefiche influenze che le NDE potrebbero apportare nel campo della discussione sul tema dell’eutanasia e della tutela della vita in generale. «Le ricerche sulle NDE – dichiarava in proposito Van Lommel a La Stampa – vertono sulla possibilità di esperire stati di coscienza potenziati durante un arresto cardiaco, il coma o un’anestesia generale. Certamente se ci fosse una maggiore conoscenza dei risultati di queste ricerche e della possibilità che la coscienza continui dopo la morte, l’impatto sulla medicina sarebbe significativo, in quanto ispirerebbe una diversa visione di come occorra trattare i pazienti in coma o terminali.

Certamente farebbe la differenza rispetto alle procedure di accanimento terapeutico all’inizio o alla fine della vita, all’eutanasia, o all’espianto di organi a cuore battente, quando il corpo è ancora caldo ma è stata diagnosticata la morte cerebrale. Le ricerche sulle NDE non sono solo rilevanti per i professionisti della salute, lo sono anche per i pazienti vicini alla morte e i loro cari. Dovrebbero essere tutti consapevoli delle straordinarie esperienze coscienti che possono avvenire durante la morte clinica o il coma, intorno al capezzale di un morente (esperienze di fine vita), o persino dopo la morte (comunicazione post mortem). Quindi approfondire la conoscenza della non-località della coscienza può cambiare il nostro punto di vista circa l’impatto dell’eutanasia sulla nostra coscienza, e anche la nostra concezione della morte e del morire». 23 N. 58


Le testimonianze dei cosiddetti “ritornati”, che hanno avuto esperienze di pre-morte dopo aver tentato il suicidio

Esperienze di pre-morte di Eliseo Corsi

e suicidio

Molti testi di medici americani, inglesi, olandesi e italiani che si occupano di esperienze di pre-morte (NDE) riportano un fatto: i cosidetti “ritornati”, in qualche caso persone che avevano tentato il suicidio, raccontano non solo di aver visto in faccia la morte e “la vita oltre la vita”, ma anche di aver compreso che questa vita terrena è un “compito da assolvere” cui non ci si può sottrarre, mentre il suicidio è un gesto che all’uomo non è permesso.

LA VITA TERRENA È UN “COMPITO DA ASSOLVERE” 24 N. 58

Lo scriveva già il medico e filosofo Raymond A. Moody jr. nella postfazione al suo celebre La vita oltre la vita, il testo che per primo sollevò la questione NDE: «Di particolare importanza sono stati i resoconti di esperienze di pre-morte legate a tentativi di suicidio… Tutti, in una parola,

dichiarano che le angosce alle quali avevano voluto sfuggire con il suicidio erano presenti, e in modo più tempestoso, anche dopo la “morte”» (Raymond A. Moody jr, La vita oltre la vita, Mondadori, Milano, 1977). Analogamente, la studiosa Paola Giovetti afferma che la maggior parte di NDE negative, infernali, quelle in cui si sperimentano vuoto, terrore e solitudine assoluta sono, nella sua esperienza e nelle sue indagini, successive a un tentato suicidio (Paola Giovetti, NDE - Near-Death Experiences: Testimonianze di esperienze in punto di morte, Mediterranee, Roma, 2014). La Giovetti nota inoltre che queste NDE – che iniziano, come si è detto, in modo negativo – gradualmente si trasformano, cosicché allo spavento iniziale subentra un Primo piano


senso di sollievo, come se fosse concessa una seconda possibilità, come se al “ritornante” venisse suggerito: «Rischiavi la perdizione, ma ti è data un’altra chance». Quanto allo studio di Pim van Lommel, del quale si è parlato nell’articolo precedente, il medico olandese ricorda che «almeno il 20% dei suicidi falliti riporta una NDE, che può avere un impatto profondo, e talora positivo, sulle vite future di questi pazienti che sono spesso gravemente depressi. La NDE insegna loro che togliersi la vita non risolve affatto i problemi da cui cercavano di fuggire… ritentare un suicidio dopo una NDE è un evento estremamente raro…» (Pim van Lommel, Coscienza oltre la vita, Amrita, Torino, 2016). Il tema suicidio-NDE ci porta a una breve riflessione sull’eutanasia, o suicidio assistito. La propongo attraverso la storia di Umberto Scapagnini, autore de Il cielo può attendere (2011), nel quale egli stesso raccontava, seppur brevemente, di aver vissuto un’esperienza di pre-morte. Chi era Scapagnini? Era un uomo di mondo, in ogni senso: medico personale di Silvio Primo piano

Berlusconi alla ricerca dell’“elisir di lunga vita”, per l’uomo di Arcore e per sé medesimo, amante della bella vita e delle donne, del successo e dei soldi, parlamentare, europarlamentare, due volte sindaco di Catania e neuroscienziato di fama mondiale (con cattedre in Italia, Belgio, California, al Mit di Boston, consulenze alla Nasa…). Tutto, insomma, tranne che un mistico. Fino al tumore, scoperto nel 2007, e alla citata NDE. Così lo ricordava, dopo il

suo decesso nel 2013, l’amico e giornalista Pierangelo Buttafuoco: «Beato lui che ebbe l’intuizione dell’immortalità per via di medicina… Beato lui che viaggiò tanto, nei luoghi incontaminati del mondo… Apprezzato nella comunità dei ricercatori e invitato a tutte le più belle feste, dovunque ci fosse la bellezza e la gioia di vivere, ci arrivò lui e perciò sempre beato lui. Beato lui che praticò tutti gli sport… Beato lui che ebbe accanto le donne tutte alte di calcagno…». E, soprattutto: «Beato lui che, 25 N. 58


UMBERTO SCAPAGNINI ERA A FAVORE DELL’EUTANASIA: DOPO UNA NDE SOSTENNE CON FORZA CHE LA VITA NON È IN POSSESSO DELL’UOMO E CHE IL COMPITO DEL MEDICO È FUGGIRE OGNI FORMA DI DOMINIO SU DI ESSA un giorno, nel pieno del coma profondo – colpito da un tumore, quindi sfasciato da un terribile incidente automobilistico – si ritrovò accanto padre Pio. Il santo gli strinse forte la mano, lo rimbrottò a proposito di qualcosa e lo riportò alle giornate sue» (Il Foglio, 2 aprile 2013). Rientrato in parlamento, dopo la NDE, nel 2009 Scapagnini si trovò a dibattere su un disegno di legge sul testamento biologico: lui, che in precedenza si era dichiarato a favore dell’eutanasia e della morte di Eluana Englaro, sostenne con forza – prima davanti ai suoi colleghi, poi sui giornali – che la vita non è in

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possesso dell’uomo, e che il compito del medico è sfuggire ogni forma di dominio su di essa, cioè sia l’accanimento terapeutico, sia la tentazione dell’eutanasia. Così dichiarò, tra l’altro, alla giornalista di Tempi Benedetta Frigerio, nell’aprile 2011: «Sicuramente la visione che ho avuto durante il coma – mia madre e padre Pio che mi hanno detto che la vita vale la pena di essere vissuta fino in fondo e che si vive per fare la volontà di Dio – mi ha dato forza e mi serve ora per vivere una vita più vera di quella che facevo prima. Però se medici e parenti mi avessero “lasciato andare”, che ne sarebbe stato di me?… senza l’amore dei miei cari e il miracolo che ho ricevuto non sarei qui, ma sarei morto; anche se i medici avessero sospeso le cure o l’alimentazione e l’idratazione. Insomma, se il malato non lo consideri come un mistero ma come un morto solo perché non parla, non puoi curarlo bene, non usi bene la scienza: ammettere che chi hai di fronte non è fatto solo di materia è più ragionevole e professionale».

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LE NDE NEL PENSIERO

della Chiesa

Cosa dice la Chiesa

delle esperienze di pre-morte? C’è già una posizione ufficiale? Troviamo la risposta nel saggio Sorella morte corporale di Francesco Agnoli (Lindau, 2014)

Ricordiamo le costanti delle NDE: l’esperienza è definita come ineffabile, fuori del corpo, segnata dalla luce, dalla conoscenza intuitiva e immediata e dall’amore (da un amore infinito e pervasivo). E cambia spesso la vita di chi la ha sperimentata, che s’impronterà maggiormente all’amore e al servizio al prossimo. È interessante confrontare il contenuto delle NDE con il Catechismo ufficiale della Chiesa cattolica e il pensiero di una mistica come santa Teresa del Bambin Gesù.

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1) Nelle NDE vi è una separazione tra anima e corpo, tra mente e corpo. Vediamo la definizione di anima immortale del Catechismo ai punti 365366: «L’unità dell’anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l’anima come la «forma» del corpo; ciò significa che grazie all’anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell’uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un’unica natura. La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da

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Dio – non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale: essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale». Vediamo invece S. Teresina: «Per chi serve Dio mi pare che morire debba essere facilissimo perché in un attimo si esce da questo corpo e si sale al riposo: uscire l’anima dal corpo ed entrare al possesso d’ogni bene non mi pare dissimile da quei voli di spirito o rapimenti (estatici) nei quali Dio ci svela tante ed estasiate meraviglie» (Teresa del Bambin Gesù, Pensieri, OCD, Roma, 2002, p. 31). 2) Nelle NDE il morente affronta un giudizio personale, nella forma di un esame retrospettivo della propria vita Scrive Moody: «L’essere di luce dirige quasi immediatamente un pensiero al morente alla cui presenza è apparso. Le persone con le quali ho parlato cercano di tradurre il pensiero in una domanda. “Sei preparato alla morte?”, “Sei pronto a morire?”, “Che cosa hai

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fatto nella tua vita che tu possa mostrarmi?”». A ciò segue un esame del morente su tutta la propria vita: il ricordo dei fatti e delle azioni della propria vita è “istantaneo”, “con un unico sguardo mentale”, eppure “vivido e reale”. E al morente è chiaro di essere giudicato, o di essere aiutato a giudicarsi su quanto ha fatto, in bene o in male, su quanto ha saputo, o meno, amare. Ancora Moody: «Spesso appare ovvio che l’essere può vedere l’intera vita dell’individuo morente e non ha bisogno di alcuna informazione. Vuole soltanto provocare in lui una riflessione» (preliminare a una vita diversa, dopo il ritorno?). E ora la descrizione del Catechismo, al punto 1021, di quello che la tradizione cristiana chiama da sempre il “giudizio particolare” post mortem: «La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva

dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone così come altri testi del Nuovo Testamento parlano di una sorte ultima dell’anima, che può essere diversa per le une e per le altre “Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”...». Un giudizio analogo, non relativo al giudizio particolare finale, ma a un giudizio personale esercitato su se stessi, come preludio a quello divino, è così descritto da S. Teresa: «Pretendere di entrare in cielo senza prima entrare in noi stessi per meglio conoscerci e senza prima considerare la nostra miseria, per vedere il molto che dobbiamo a Dio e il bisogno che abbiamo della sua misericordia, è una vera follia»; quanto al giudizio finale: «Al tribunale di Dio si vedranno le cose come sono, anche quelle che qui non possiamo giudicare senza offendere il Signore» (Teresa, op. cit., p. 51 e p. 106).

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ciò generi mai un esaurirsi della conoscenza stessa.

3) Nelle esperienze di premorte esiste quasi un assaggio di quella che la teologia cattolica chiama «la visione beatifica» «La visione beatifica» è un bagno di luce, pace, amore, in cui l’individuo non scompare, ma vive in misura somma una pienezza personale. E conosce e ama in modo immediato e intuitivo, in modo sovrabbondante, ma senza che 30 N. 58

La visione beatifica cristiana è così sintetizzata nel Catechismo: «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” (1 Gv 3,2), “faccia a faccia” (1 Cor 13,12)… Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva (punti 1023-1024) Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, Paradiso: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9). A motivo della sua trascendenza, Primo piano


Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa “la visione beatifica”» (punti 1027-1028). 4) Tra le esperienze di premorte non mancano i racconti di visioni infernali I racconti di visioni infernali sono statisticamente sono meno numerosi delle visioni positive. Non è chiaro quale sia il motivo. Forse perché i “ritornati” temono spesso di essere giudicati “pazzi”, e per questo di solito tendono a non raccontare ciò che hanno visto? Chi ha visto “l’inferno” avrebbe certo ottimi motivi per tacere. Perché ha visto e vissuto non la luce, l’amore, la pace, ma l’oscurità, la paura, il terrore, l’incontro con creature sofferenti, e un senso profondo di disperazione e di solitudine totale. Ha scritto una “ritornata dall’inferno”: «Mi sentii irrimediabilmente sola. Una disperazione ed un dolore atroce si impadronirono di me. Di tutto quello che avevo amato non restò ben presto più nulla. Dunque tutto era vano. Non si Primo piano

poteva contare su niente. Dunque tutto era assurdo» (Patrice Van Eersel, La sorgente nera, Mursia, Milano, 1988, pp. 261-262). Il Catechismo definisce l’inferno anzitutto come un luogo di separazione, di privazione, di solitudine, di distacco da Dio (pena del danno) e da tutti; come un luogo di non comunione e non amore: «Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: “Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna” (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”» (punto 1033). 31 N. 58


Attrazione

PER LO STESSO SESSO Accompagnare la persona era la missione di Padre Harvey, fondatore dell’associazione Courage

di Paolo Gulisano

32 N. 58

È sempre più raro prendere un giornale o guardare la TV senza imbattersi nel tema dell’omosessualità. Eppure, se da un lato lo stile di vita gay e la rivendicazione dei cosiddetti “diritti omosessuali” guadagnano terreno, dall’altro vi sono sempre meno dibattiti approfonditi sulle implicazioni sanitarie, psicologiche o morali che questo comporta. È semplicemente vietato e sanzionato avere qualcosa da obiettare sugli atti omosessuali o, per meglio dire, sul fenomeno dell’attrazione per lo stesso sesso, come la definisce con esattezza scientifica padre John F. Harvey, americano, per una vita professore di teologia morale e tra i fondatori dell’associazione Courage. Nata a New York nel 1980 e ora

diffusa in quasi tutto il mondo, ha come scopo quello di fornire un accompagnamento pastorale alle persone che provano un’attrazione per lo stesso sesso. Padre Harvey, mancato nel 2010, vede ora diffuso il suo pensiero anche in Italia grazie alle Edizioni Studio Domenicano, che hanno opportunamente pubblicato il prezioso volume: Attrazione per lo stesso sesso. Accompagnare la persona. Il libro di padre Harvey rappresenta un aiuto fondamentale per chiarire le idee, in un contesto culturale come quello attuale dove la questione omosessuale è affrontata in un modo prevalentemente emotivo e per lo più senza rigore scientifico ed etico.


Vi è nell’opinione pubblica una diffusa confusione sulla natura, le cause, le dinamiche e la moralità dell’attività omosessuale. Padre Harvey risponde esponendo delle chiare considerazioni di ordine psicologico e morale, proponendo al termine del suo opuscolo un progetto di vita spirituale per quanti, pur provando un’attrazione omosessuale, desiderano vivere secondo l’insegnamento di Cristo e della sua Chiesa. Si potrebbe dire che la via indicata da padre Harvey risponda all’ormai celeberrima affermazione fatta da papa Bergoglio in una chiacchierata in aereo con un gruppo di giornalisti: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Padre Harvey per trent’anni ha concretamente aiutato questo tipo di persone. Non le ha giudicate, ma tantomeno le ha giustificate.

Le ha aiutate. Questo è il compito del pastore, ma si potrebbe dire di qualunque cristiano. Harvey l’ha fatto su precise basi scientifiche e morali. Operando anche essenziali distinzioni, a partire dall’aggettivo «omosessuale». Per lo studioso statunitense anziché parlare di «persona omosessuale», sarebbe molto meglio parlare di «persona con attrazione per lo stesso sesso». Non si tratta di una distinzione meramente accademica: con il primo termine infatti si rischia – almeno implicitamente – di considerare l’omosessualità come la caratteristica essenziale della persona, mentre riferendoci a uomini e donne con attrazione verso persone dello stesso sesso potremmo osservare la condizione omosessuale in una prospettiva più chiara. Una persona infatti è più che un insieme di inclinazioni sessuali, e i ragionamenti sull’attrazione verso persone dello stesso sesso si fanno più confusi se pensiamo agli “omosessuali” come a una categoria a parte di esseri umani, che è l’obiettivo ad esempio di tutta l’ideologia gender. Non si possono classificare le persone sulla sola base di una tendenza affettiva. Il libro quindi affronta anche una serie di situazioni

concrete: la necessità per una persona che scopra di avere dell’attrazione per l’altro sesso di non essere sola, di essere accompagnata in un progetto di vita, di coltivare amicizie buone, di essere sostenuto da una comunità. Ci sono anche preziosi consigli per i genitori che si trovano con un figlio, magari adolescente, che rivela tendenze omoerotiche. Consigli per situazioni particolari, come quando queste tendenze si rivelino in persone che sono magari già sposate, e infine per i seminaristi e i sacerdoti. Non ci si stupisce che il nome dell’associazione alla quale padre Harvey ha per lungo tempo dedicato tanto tempo ed energia si chiami Courage, ovvero “coraggio”. Il coraggio non è mancato a questo lucido teologo, che non teme di proporre con chiarezza, nelle pagine del libro, la via della castità. Una via che, oggi, per la cultura dominante è impossibile da praticarsi ed è oggetto di dileggio e di derisione, ma che rimane la soluzione più autenticamente umana. Il volume è corredato anche da alcuni documenti del Magistero della Chiesa sul tema dell’omosessualità, oggi per lo più dimenticati, che fanno di questo agile libretto uno strumento davvero prezioso. 33 N. 58


FARFALLE Con la bocca piena di

e quotidiana, una riflession Da un siparietto di vita paternità profonda sul senso della di Andrea Torquato Giovanoli

LA MATERNITÀ È IL DARE LA VITA PER LA PROLE; PARIMENTI, IL RUOLO DEL PADRE È QUELLO DI CHI SA DI «DOVER DIMINUIRE AFFINCHÉ L’ALTRO CRESCA»

34 N. 58

L’altra sera eravamo a tavola tutti e cinque insieme e sia io, sia la piccolina ci attardavamo a finire il nostro piatto di farfalle in bianco, quando i due maschi, che invece avevano già consumato la loro razione, hanno iniziato a incitare la sorella a fare una gara con me per chi finisse prima la pasta. Spronata dai fratelli, la pargoletta ha accettato con entusiasmo e così anch’io mi sono lasciato trascinare nel gioco. Da noi la regola per tali tipi di eventi sportivi è che vince non chi pulisce per primo il piatto, ma chi per primo ingoia l’ultimo boccone, tanto che il motto consolidato è divenuto ormai: «Bocca vuota vince». Preso dall’agone della mia bimba, mi sono messo d’impegno nel trangugiare la mia porzione e, mentre mi abbuffavo a gran bocconi, vivevo intanto un dibattimento tutto interiore tra

la consapevolezza che avrei agevolmente vinto quella gara e il dubbio che forse invece avrei fatto meglio a lasciar vincere la mia figliola. Poi però il bambino che è in me ha preso il sopravvento e con una scrollata di spalle mi sono accanito sul piatto. Ma proprio mentre uscivo da questi alti pensieri, quando ancora avevo un paio di forchettate di pasta da consumare, sono stato sorpreso dalle grida giubilanti dei miei maschietti, che esultavano alla vista della sorella che, in piedi sulla sua Stokke verde chiaro, con le posate ancora in mano, a braccia alzate, col piatto vuoto e la bocca spalancata dimostrava a tutta la famiglia di aver finito per prima la sua cena. Lì per lì sono rimasto sinceramente stupefatto per quel risultato inatteso: avevo dato per scontata la mia vittoria, giudicando a priori che mia figlia non avrebbe avuto chances contro di me, se mi fossi impegnato sul serio. Ma, smentito da quel fagottino di


tre anni, mi sono ritrovato a gioire di cuore di aver perso e, sinceramente entusiasmato dal suo piccolo trionfo, ho iniziato a esultare con lei assieme ai miei due maschi. E il mio orgoglio di padre per l’esito di quella puerile contesa a favore della mia bambina era tanto che mi sono ritrovato a cercare di coinvolgere nell’enfasi anche l’amata consorte, che di solito è sommessamente contraria a questo tipo di iniziative a tavola, ma che questa volta si è lasciata contagiare dall’allegria famigliare, complimentandosi con trasporto con la piccola vincitrice, la quale da questa spicciola esperienza ha senz’altro guadagnato in autostima e confidenza nelle proprie capacità. Ecco: è stato proprio davanti a quel festoso siparietto domestico che mi sono reso conto di come davvero il senso della vocazione paterna si estrinsechi nel saper

morire affinché l’altro viva. Così come la declinazione naturale della maternità è il “dare” la vita per la prole, parimenti il ruolo del padre è quello di chi sa di «dover diminuire affinché l’altro cresca» (cfr. Gv 3,30): saper accogliere anche il proprio discapito, per guadagnare all’amato la maturazione di un bene maggiore. Anche con una sana contesa, magari, e in maniera maschia, senza fare sconti, senza quel gioco al ribasso che è sempre perdente, ma altresì senza indietreggiare davanti al sacrificio di se stessi, perché con l’esempio s’insegni come il morire al proprio egoismo sia realmente seme di vita nuova. Che poi, esercitando la paternità

in questa chiave, finisci per sorprenderti travolto da una gioia piena per il successo di coloro che ami, pure se ciò comporta il tuo fallimento: un fallimento che tuttavia non è affatto una sconfitta, bensì una vittoria, poiché ultimamente guadagna all’altro il suo vero bene, donando a te, per contro, un’opportunità di comunione profonda con quel Padre che, nel Figlio, si lascia sorprendere dall’inattesa fede del centurione (cfr. Lc 7,9) o della cananea (cfr. Mt 15,28), e con rinnovato slancio ti stimola a metterti ancor più in gioco, facendo il tifo affinché vinca l’altro. 35 N. 58


La testimonianza di una neo-mamma, che offre la sua esperienza di “parto positivo”

MERAVIGLIOSA NORMALITÀ di Cecilia McCamerons Piazza

Aspetto un bambino... e adesso cosa devo fare?!? Qualcuno faccia qualcosa! E via con l’elenco dei consigli, degli appuntamenti e delle visite da fissare, dei libri da leggere, dei contatti da prendere con ostetriche-ginecologi-medici, del corso pre-parto da prenotare, degli incontri in ospedale da segnare in calendario, del corso di rilassamento-di ginnastica-di acquaticità cui pre-iscriversi, del corredino da comprare, del set fotografico da prenotare, degli integratori da prendere, della cameretta da arredare, etc.

IL PARTO È UN PROCESSO INVOLONTARIO: L’OBIETTIVO È NON DISTURBARLO 36 N. 58

Stop. Fermi tutti. Non tutto insieme. Non “devo” fare un bel niente, e soprattutto non devono fare niente gli altri per me (a meno che non si tratti di cucinare-stirare-lavare-riassettare la casa...).

Tutta questa ansia da prestazione mi fa contrarre l’utero e questo no che non va bene. Calma, una bella espirazione lunga e, sì, sono mamma! Io non ho avuto una grande ansia organizzativa: vuoi per carattere; vuoi per la casa piccola; vuoi per aver conosciuto – grazie a un giro al Pronto Soccorso – il Percorso Nascita (un caso? No, una DIOincidenza!) che mi ha permesso, avendo una gravidanza fisiologica, di essere seguita lungo i nove mesi solo da un’ostetrica, evitando una medicalizzazione superflua; vuoi per il corso pre-parto sereno... Eh sì, il corso pre-parto, quanto bene può fare! E quanto male, se invece si concentra sugli interventi


medici, sui protocolli per l’epidurale, sull’elenco delle patologie... non mettendo la neo mamma al timone, bensì lasciandola passiva e piena di paure. Il mio corso, realizzato in un ambiente accogliente e composto di venti lezioni da due ore ciascuna, era tenuto per un numero limitatissimo di mamme da un’ostetrica libera professionista, con molti anni di esperienza in ospedale. Ci sono stati degli incontri dove era prevista la partecipazione del papà: credo sia molto importante la sua presenza, senza forzature, in modo che anche lui condivida una parte del percorso, che sia consapevole di cosa sta accadendo e accadrà: mio marito è stato fondamentale per me in travaglio. Durante gli incontri ci sono stati momenti di formazione scientifica: le varie fasi del travaglio, la fisiologia di utero e affini, gli ormoni che entrano in gioco; momenti di confronto tra mamme e con l’ostetrica e domande personali; momenti di esercizi di respirazione, rilassamento e ginnastica dolce; momenti dedicati alla coppia mamma-papà.

stato il blog Il Parto Positivo (un’altra DIOincidenza!). Parole come “onda”, “data presunta”, “parto dolce”, “eccessiva medicalizzazione” le ho scoperte grazie a loro... e il mio sguardo è cambiato eccome! «Non c’è nulla di più meravigliosamente normale di una nascita. Preserviamo la normalità. Preserviamo la meraviglia», scrivono nel blog Cecilia, filosofa, e Silvia, neuroscienziata, e io sono sempre più d’accordo con loro. Il blog è rivolto a tutte le neo mamme, e mette «a disposizione strumenti affinché ogni parto sia un’esperienza da ricordare con gioia e su cui costruire una famiglia felice». Ho scoperto che l’attivazione della corteccia cerebrale non aiuta il progredire del travaglio, anzi! Quindi le parole, le interruzioni, le domande intralciano, come ho potuto sperimentare anch’io. Leggendo il blog scopro che «il parto è un processo

involontario e non si può aiutare un processo involontario. L’obiettivo è non disturbarlo». Ma quanto è difficile non fare nulla quando è necessario non fare nulla...! Mi riferisco a una eccessiva medicalizzazione, un’intrusione che si verifica in alcune sale parto dove sembra che più che assistere una partoriente ci sia in corso un’operazione chirurgica. Quando una partoriente si reca in ospedale non è malata, ci hai mai pensato? Si tratta di una rivoluzione nella prospettiva: una donna incinta non è una malata da curare, ma una paziente da seguire. Se sei una mamma incinta non leggere-ascoltare-guardare fatti e racconti negativi sul parto perché il sistema limbico del nostro cervello non è ironico, e se pensi di non farcela non ce la farai, e il bambino che porti in grembo ascolta (e anche lui contribuisce attivamente alla sua nascita!). Quindi solo informazioni utili e positive:

La vera scoperta, tuttavia, l’incontro che ha cambiato la mia prospettiva e il mio modo di approcciarmi al fatidico evento del travaglio-parto è 37 N. 58


tua vita. la e r e iv v i ue modi d iracolo. «Ci sono d m n u è e t n are che nie s n e p acolo» ir è m a n n u U è a s he ogni co c e r a s n e p L’altra è instein) (Albert E

in internet si trovano bellissimi video di parti rispettati e dolci (io ne feci una scorpacciata ritrovandomi sempre coi lacrimoni a pensare che avrei voluto accogliere alla luce mia figlia proprio così). Arriviamo al dunque: il mio parto? Non lo racconterò per filo e per segno perché credo sia un evento personale e sacro, che porta alla luce una nuova creatura, carne della tua carne, e che rimane inciso nell’intimo. Il mio parto è stato un’esperienza forte e piuttosto bella, in ospedale. Ricordo un gran affollamento in sala d’aspetto e in ginecologia, quella mattina di venerdì 5 agosto. Nell’ospedale, certificato amico dei bambini, la sala travaglio coincide con la sala parto: che meraviglia non doversi spostare e cambiare stanza in un posto già di per sé sconosciuto. Le ostetriche che mi hanno seguito sono state carine, è sempre stato presente mio marito, che in modo improvvisato ma naturale mi 38 N. 58

ha aiutato a bilanciare le “onde” e, senza che io me ne rendessi conto, ha informato parenti e amici del progredire dell’evento. Ricordo che ci sono stati dei momenti di stress: un ginecologo scortese, viavai nella stanza, luci forti accese, domande, scadenze, il monitoraggio continuo, posizioni scomode. Ricordo che a un certo punto ho smesso di accorgermi del tempo che passava e gli occhi erano sempre socchiusi come in una specie di estasi (grazie endorfine!), e che il vocalizzare mi ha aiutato molto. Ricordo che parlavo a Teresa, mia figlia: «Dai tesoro che tra un po’ ci abbracciamo, dai rompi le acque che altrimenti ce le rompono loro e non voglio, la mamma non vede l’ora di vederti!». Ricordo che, dopo gli ultimi momenti, la gioia e la quiete hanno preso il sopravvento (ancora grazie endorfine!). Eccoti qui sul mio petto, piccolo batuffolo rosso: «Benvenuta, sono la tua mamma e ti amo tanto».


Letture Pro-life «La lettura è per la mente quel che l’esercizio fisico è per il corpo» (Joseph Addison)

Dale O’Leary

LA GUERRA DEL GENDER

Rubbettino Editore

Una lettura illuminante, che mette a fuoco il nuovo volto della rivoluzione marxista ma questa volta in chiave antropologica. Accantonata, momentaneamente, la lotta di classe dei lavoratori, la battaglia per l’uguaglianza andava combattuta contro la discriminazione delle minoranze oppresse in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere, passando per la ridistribuzione del potere tra il genere maschile e quello femminile. Perciò occorre smantellare la famiglia naturale, che tende a perpetuare gli stereotipi del passato (maschio/femmina, naturale/innaturale, morale/immorale, eterosessuale/omosessuale) e le donne devono essere strappate alla famiglia e immesse sul mercato del lavoro a competere con gli uomini per i posti di potere, indipendentemente dalla loro vocazione.

Arturo Mariani

VITA NOVA. Il momento che ha cambiato tredici personaggi Gruppo Albatros Il Filo

Nino Benvenuti, Luca Parmitano, Renato Vallanzasca, Alex Zanardi, Monsignor Domenico Pompili e Maria Falcone sono solo alcuni dei tredici personaggi che Arturo Mariani ha incontrato in un viaggio all’interno del momento di svolta della loro vita. Un viaggio che ha portato Arturo a esplorare l’animo umano, in particolare quel confine interiore con cui ogni uomo, prima o poi, dovrà confrontarsi, scegliendo di superarlo per scoprire cosa c’è oltre e per invitare chiunque a guardare oltre la sofferenza, oltre ogni limite, perché ognuno può trasformare la propria esistenza in una nuova vita. Il giovane Autore, nato senza una gamba, tenacemente, con fiducia e con grande senso di responsabilità, s’impegna ogni giorno nel superamento dei propri limiti e nella ricerca della libertà. Una ricerca che può riguardare tutti e che ha portato Arturo verso importanti conquiste: prima di tutto quella di essere se stesso.


Scrivici: redazione@notizieprovita.it

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