Nero su Bianco LX - marzo 2017

Page 1


In questo numero vi augurano buona lettura...

Editoriale Giare di carità di Francesca Grosso

Riflettendo Pag. 3

L’angolo del Don Trovare Dio in tutte le cose di Don Roberto Bianchini

Pag. 4

Parole Franche Vigilanti nella preghiera, operosi nella carità di Veronica Navobi Porrello Pag. 5

Cappellania Imperscrutabili, infinite sono le Sue vie di Mariella Di Pumpo

Pag. 6

Un viaggio lungo… una vita di Alice ed Erik Urzì

Pag. 16

Abbattete i muri, costruite ponti! di Fiorella Orofalo

Pag. 17

Là dove il ricordo si cristallizza di Maichol Gilio

Pag. 18

Resistenza esistenziale di Suor Chiara Cioli

Pag. 19

Cadere per vedere di Paola Mocella

Pag. 20

Scorci d’arte

Una passeggiata sull'Arno di Martina Ragone

Pag. 7

Il ‘sacro’ nell’arte futurista di Luca Mansueto

Coraggio, alzati, ti chiama di Valentina Gubitosi

Pag. 8

Consigli di lettura

Il futuro è presente: ritiro d’Avvento di Carmela Montrone

Quant’è bella giovinezza.. di Maria Francesca Tola

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 9

Ciak si gira La via pulchritudinis di Renata Maniscalco

Pag. 10

Non abbiate paura, missione compiuta! di Cecilia Aprile

Pag. 11

La Guerra di Arturo di Mickey Scarcella

Pag. 23

Tradizioni Chiacchere di Carnevale di Adriana Caccamo

Pag. 24

Missione Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo di Adriana, Alessia, Carmela, Cecilia di Chiara, Federica, Giulia, Maria Grazia

Pag. 12 Pag. 13

Fotografando di Francesca Grosso

2

Pagg. 14-15

Passatempo Cruciverba di Filippo Bardelli

Pag. 25

Bacheca di Francesca Grosso

Pagg. 26-27


GIARE DI CARITÀ

Se è già difficile, di volta in volta, rendere un proprio pensiero piccolo spunto di riflessione, lo è ancora di più provarci alle soglie di un nuovo inizio. Non importa quanto siamo maturi o risolti, perché i propositi e le aspettative, ad ogni nuovo anno, si affastellano nelle menti e nei cuori di tutti, tanto più dei giovani. Sanno di futuro, di novità, di desiderio, ma anche di cambiamento, incertezza, paura di perdere il sogno e con esso anche la capacità di inseguirlo. Tante volte il dubbio si insinua anche nel sogno, sconfitto dalla realtà a cui non è in grado di dare quella stabilità e quell’equilibrio che le sono necessari. E, ancora una volta, saremo probabilmente con le valige in mano, con un’altra casa sottratta, ma con più consapevolezza e un sorriso amaro, che non sa se dire addio o arrivederci. Lasceremo amici, amori, cammini o forse ci parcheggeremo ancora un po’, al sicuro; faremo tutto quello che ci capita per stare a galla e ponderare bene prima di scegliere, ma togliendoci, poi, anche il tempo di pensare; forse saremo fortunati e riusciremo a fare ciò che abbiamo sempre desiderato, con più o meno sacrifici, scoprendo strade che non avevamo mai considerato o prendendone altre e percorrerle fino in fondo; i nostri studenti potranno confermare o cambiare il loro percorso con più o meno entusiasmo, mentre altri, partiti sfiduciati, potranno scoprire davvero la loro forza e la loro identità in quella scelta che, all'inizio, sembrava così confusa. La verità è che possiamo tracciare un’idea delle nostre vite fino ad un certo punto e che nemmeno di quel tracciato possiamo essere sicuri. Levare l’ancora, acquisire un titolo, iniziare da qualche punto

perché da qualche punto pure si dovrà iniziare, non aiuta più ad indossare una fisionomia definita, ma chiede piuttosto di essere pronti a rifare tutto da capo. Di fronte alla bellezza e anche ai sacrifici che la grande sfida “futuro” richiede, mi sono chiesta in cosa stia la differenza del cristiano di fronte alla precarietà. La differenza di chi sa che ogni difficoltà che si trova a vivere è ammessa solo perché per lui c’è in serbo qualcosa di più grande. Di chi sa che Dio scommette sulla nostra vita anche se a noi, spesso, sembra insensata, senza né capo e né coda, non spesa per quello che abbiamo studiato, investito, creduto. La nostra verità è che Dio, se ci giochiamo davvero la vita per Lui, riempie di senso anche la nostra indefinizione, la mancanza di audacia, il timore. A noi non serve vedere al di là dell'istante che stiamo vivendo. Interrogarsi, giorno per giorno, su come possiamo fare per amare come Cristo ci ha amati, può bastare: Lui si occuperà del resto. In questo nuovo anno, in cui la fisionomia della nostra comunità cambierà come tutti gli anni, accogliendo e salutando, posso solo invitare a riempire le nostre giare di vera fiducia, anche di fronte alla crescita che affievolisce la spontaneità e la radicalità di quel totale abbandono che ha un bambino tra le braccia dei genitori. “E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi” (Lc 5, 37-38). Affidandoci a Maria, riempiamo le nostre giare di acqua, dando da bere; facciamoci carità e Lui trasformerà la nostra acqua in vino, le nostre briciole in pane, il nostro passaggio in profumo: e allora tutto prenderà ordine e definizione. Buon anno!

3


TROVARE DIO IN TUTTE LE COSE

Questa espressione mi è risuonata nel cuore per tutta la durata degli esercizi spirituali ed anche in seguito mi ha martellato la mente. Cercare Dio con tutto il cuore, cercarlo sempre e sperimentarne la presenza anche nella banalità di un quotidiano spesso non entusiasmante. Com’è possibile? Non facciamo fatica a pensare che l’unione con Dio possa essere il pane quotidiano dei veri contemplativi che sarebbero poi quelli rinserrati in monasteri inaccessibili dove conducendo vita penitente e ritirata contemplano il volto del Dio vivente. Ma noi? Mondani da mattino a sera, ingolfati in un ritmo pressante e spesso circondati da un contesto antievangelico; noi come facciamo a cercare Dio e trovarlo qui dove stiamo? Anzitutto dobbiamo coltivare la vita interiore. Come pensare di poter incontrare Dio nelle difficoltà se quando le cose vanno bene siamo anestetizzati ed indifferenti? Frequentare la Parola, gustare piccoli assaggi di silenzio, aprirci col padre spirituale (se ne abbiamo mai cercato uno), dedicarci gratuitamente ad un qualche servizio; sono tutte cose che ci allenano a sentire Dio nella normalità delle nostre giornate. Dobbiamo imparare a riconoscere l’azione di Dio nella nostra vita: Egli non è il grande assente, ma l’onnipresente. Noi però siamo spesso distratti. Dio è presente anche nelle difficoltà o addirittura nella sofferenza e nella morte. Non ci sono luoghi atei per i cristiani; Dio c’è sempre. Con il suo aiuto vogliamo sconfig-

4

gere la paura, la temibile nemica, che ci paralizza e distorce la realtà. Minaccia la speranza ed è la grande alleata del nemico. Ma Dio ci mostra come reagire attraverso Gesù che nel Getsemani non fugge, ma rimane al suo posto ancorandosi al Padre. Se è vero che la vita interiore è il grande allenamento per saper riconoscere Dio, è vero anche che la nostra preghiera deve essere adatta alla condizione in cui viviamo. Il suo testo non può che essere la nostra vita; per me il ministero, per gli studenti lo studio. Se io riempio la preghiera di temi astratti e classici che vanno bene per tutti ma per me non vogliono dire praticamente nulla, essa non mi sarà di alcun aiuto. Ma se faccio della mia agenda quotidiana il canovaccio della mia preghiera, offrendo a Dio il mio impegno nel non tardare a lezione, nel combattere la pigrizia, nel dedicare allo studio tot ore al giorno come fa chi lavora duramente nei campi o nelle fabbriche… Se metto davanti a Lui i volti delle persone che incontrerò nella giornata, gli chiedo di usare con tutti carità e pazienza, specie dove so che sarà difficile, gli domando di suggerirmi le parole più adatte a testimoniare il Vangelo. In questo modo cerco l’intensità come stato consueto e pongo le basi per la trasfigurazione della realtà che da nemica passa ad essere il luogo privilegiato, anzi unico, della ricerca e dell’incontro. E lo faccio non in ottica orizzontalista, cioè uniformandomi alla realtà, esaurendomi in essa, ma imparando guardarla con sguardo contemplativo, quello sguardo che vede Dio in ogni attimo, in ogni volto, in ogni cosa. ▪

La nostra preghiera deve essere adatta alla condizione in cui viviamo.


VIGILANTI NELLA PREGHIERA, OPEROSI NELLA CARITÀ Estratti dai pensieri di Papa Francesco

La povertà sta nel cuore del Vangelo. Colui che ha tutto non può sognare! La gente, i semplici, sono andati da Gesù perché sognavano che li avrebbe curati, liberati, serviti: ed essi lo seguirono. La vita così è bella, anche nelle peggiori situazioni: questa è dignità! La stessa che ha avuto Gesù che è nato e vissuto povero. Molte volte avrete incontrato chi avrà voluto sfruttare la vostra povertà, ma la dignità vi ha salvati dalla schiavitù. Povero sì, schiavo no! La povertà è nel cuore del Vangelo per essere vissuta. La schiavitù non è nel Vangelo per essere vissuta ma per essere liberata. Sempre incontriamo persone più povere di noi, la capacità di essere solidali è uno dei frutti che ci dà la povertà. La pace per noi cristiani è iniziata da una stalla, da una famiglia emarginata: la pace che Dio vuole per ciascuno dei suoi figli. La guerra si fa tra ricchi, per avere di più, per aver più territorio, più potere, più denaro. Abbiamo bisogno di pace nel mondo! Abbiamo bisogno di pace nella Chiesa; tutte le religioni hanno bisogno di crescere nella pace. (Incontro con i senza dimora nell’aula Paolo VI, 11 novembre 2016) Quali sono gli atteggiamenti che io devo avere per incontrare il Signore? Come devo preparare il mio cuore per incontrare il Signore? La Liturgia ci segnala tre atteggiamenti: vigilanti nella preghiera, operosi nella carità ed esultanti nella lode. Cioè, devo pregare con vigilanza; devo essere operoso nella carità. La carità fraterna non è solo dare un’elemosina, ma anche tollerare la gente che mi dà fastidio, tollerare a casa i bambini quando fanno troppo rumore, il marito o la moglie quando ci sono difficoltà, o la suocera: tollerare. Sempre la carità, ma operosa. E anche la gioia di lodare il Signore. Così dobbiamo vivere questo cammino, questa volontà di incontrare il Signore per incontrarlo bene. Non stare fermi. E incontreremo il Signore. Lì, però, ci sarà una sorpresa, perché Lui è il Signore delle sorprese. Anche il Signore ha detto: «Non sto fermo» e sempre ci precede nell’incontro. Questa è la grande sorpresa dell’incontro con il Signore. Lui ci ha cercato per primo. Lui fa il suo cammino per trovarci. (S. Messa nella casa di S. Marta, 28 novembre 2016) La speranza cristiana non delude mai. L’ottimismo delude, la speranza no! Ne abbiamo tanto bisogno in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano, davanti al dolore di tanti nostri fratelli. Ci vuole speranza! Ci sentiamo infatti smarriti e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che questo buio non debba mai finire. Ma non bisogna lasciare che la speranza ci abbandoni perché Dio con il suo amore cammina con noi. Io spero perché Dio è accanto a me. Una delle cose, delle prime cose che accadano alle persone che si staccano da Dio è che sono persone senza sorriso. Forse sono capaci di fare una grande risata, ne fanno una dietro l’altra; una battuta, una risata, ma il sorriso manca. Il sorriso lo dà la speranza. E’ il sorriso della speranza di trovare Dio. (Incontro con i fedeli di tutto il mondo nell’aula Paolo VI, 7 dicembre 2016)

"La povertà sta nel cuore del Vangelo. Colui che ha tutto non può sognare!"

5


IMPERSCRUTABILI, INFINITE SONO LE SUE VIE Per

quanto tutte le strade, pare,

portino a Roma, ognuno ha la SUA da percorrere. Sono approdata alla Cappella Universitaria, cinque anni or sono, dopo ennesima disfatta navigando in acque tempestose. Ribelle, sorda alle infinite sollecitazioni dello Spirito, è, alfine, giunto il momento di deporre arco e frecce: arrendermi. Un giovanotto, Andrea, che veniva spesso nella mia erboristeria per... evangelizzarmi, aveva accennato a codesto luogo. Nel corso di una prima 'indagine' sono stata, all'istante, conquistata dalle voci del coro diretto da Marta; catturata dalle omelie del rettore, Don Roberto, ironico e quasi sempre sulle righe, per quanto si definisca tradizionalista. Capita ch'egli, commentando la liturgia del giorno si avvalga dell'intercalare 'fesso' seppur non nel senso latino del termine (fessus cioè stanco, vecchio) scaturendo da me un sorriso, che potrebbe diventare risata argentina se il luogo e la situazione non imponessero contegno. Ben presto quelle casualità si sono trasformate in necessaria impellenza e una sera il 'DON' (così lo definiscono affettuosamente i giovani che frequentano la Cappella), che mi scrutava, si è avvicinato incuriosito: abbiamo chiacchierato brevemente. Successivamente ho fatto amicizia con le suore, che coordinavano le iniziative ed assolvevano, con Don Roberto, all'estenuante lavoro in Cappella: suor Lilia, Elisa, Onorina (ciascuna a suo modo indimenticabile). Dopo tanto smarrimento mi sono sentita finalmente 'a casa'. La varietà cronologica del pubblico, i piccoli che

6

scorrazzano in lungo e in largo, come in un parco giochi, pur non arrecando disagio alla celebrazione, come se fossero parte integrante, inscindibile, imprescindibile del panorama, fanno della Cappella U. un virtuale speciale luogo nel quale interrogarsi, allontanarsi e paradossalmente avvicinarsi... ritrovarsi. Ero convinta che si possa pregare ovunque, a tu per tu con il cielo, ma per quanto la preghiera sia intimità con lo Spirito Buono dell'Universo, affinché s'innalzi deve divenire anche comunione con l'altro dal momento che siamo radici di un'immensa foresta: non possiamo crescere senza interconnetterci incontrandoci. Ora so che prece è parola e ascolto perché consente di parafrasare il linguaggio di Dio, potenzialmente accessibile a chiunque, ma misterioso, fatto di segni, che attraverso gli eventi si esprimono; un linguaggio assolutamente ermetico, che cela e al contempo rivela, rendendo manifesto il suo intento. La preghiera mi ha insegnato l'arte dell'attesa nella pacatezza della speranza, piuttosto che nell'ansia e lo smarrimento di uno sguardo perso nel vuoto. Certo, continuo a pormi interrogativi relativamente a ciò che chiamiamo Dio; la Ragione me lo impone. Eppure quando varco la soglia della sua casa, qualsiasi dubbio si dissolve; ogni paura, disarmata, abbassa lo sguardo e capita ch'io mi conceda a un pianto sommesso, dettato da emozioni per le quali non ho parole. In quel mentre riecheggia in me la dolcezza del salmo 23: “Il Signore è il mio pastore... Ad acque tranquille mi conduce...”. Ripenso a una scena del film di Castellitto sulla vita di Padre Pio, nella quale il frate così si racconta: «Quando ero davanti a Lui sapevo che se gli avessi chiesto qualcosa con tutto il cuore, Egli me l'avrebbe concessa». ▪

“Dove due o pìù sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt, 18)


UNA PASSEGGIATA SULL'ARNO Gita d'amicizia a Firenze

Il

5 novembre si è svolta la tanto

attesa gita d'amicizia. Meta Firenze, la meravigliosa patria di Dante. Nonostante il maltempo è stata una giornata all'insegna della bellezza dell'arte e della preghiera comunitaria. Prima tappa: la chiesa di Ognissanti. Edificio Barocco costruito nel medioevo, racchiude in sé meravigliosi tesori artistici: il dipinto di Sant'Agostino di Botticelli e di San Girolamo di Domenico Ghirlandaio, entrambi ritratti in tipici studi quattrocenteschi. Ad un lato del transetto un Gesù illuminato sulla Croce richiama lo sguardo del visitatore, anche se il crocifisso che mi ha colpito maggiormente è quello custodito nella chiesa di S. Spirito, seconda tappa del nostro percorso artistico-spirituale. Attribuito ad una fase giovanile del celebre artista Michelangelo Buonarroti, è di legno policromato, molto semplice nell'esecuzione rispetto agli altri suoi lavori, eppure rispecchia un Cristo esile nella fisionomia ma molto teso e forte, in atto di donare la sua vita all'umanità per la Salvezza. Il progetto della chiesa è iniziato nel 1444 da Brunelleschi, ma a causa della morte dell'architetto prima che l'edificio fosse terminato, questo fu più volte modificato fino al 1482, anno del termine dei lavori. Ogni spazio è organizzato secondo il più stretto rigore geometrico, con colonne tutte uguali e scelta di pochi colori. A mezzogiorno ci siamo diretti verso il seminario maggiore arcivescovile “Cestello”, in cui ci ha accolto un gruppo di seminaristi. Dopo la celebrazione della messa e un pranzo comunitario, abbiamo visitato la struttura. I seminaristi ci hanno illustrato varie e meravigliose opere d'arte: un affre-

sco di Bernardino Poccetti, raffigurante la Cena di Gesù dopo il digiuno nel deserto; la cella della Santa protettrice del seminario, S. Maria Maddalena de' Pazzi, una grande mistica del Seicento, e il chiostro più grande, di San Bernardo, con la statua del santo che calpesta il demonio. Nel pomeriggio si è svolta la visita del Museo dell'Opera del Duomo che raccoglie opere d'arte provenienti dal complesso sacro del Duomo di Firenze, Battistero e Campanile di Giotto. Grazie alla profonda cultura artistica e religiosa della nostra guida, Don Timoty Verdon, abbiamo avuto la possibilità di orientarci bene tra i vari monumenti, statue e quadri conservati nel Museo. Impressionante la Maddalena di Donatello, colta nella sua bruttezza e magrezza, ma nella sua grande fede e dedizione e la Pietà Bandini di Michelangelo. Quest'ultima è stata realizzata nella fase finale della vita dello scultore, quando ormai stava perdendo il suo brillante dono artistico. Numerose sono le imperfezioni, tra cui la mancata realizzazione di una gamba di Cristo, ma in compenso l'opera mostra un particolare: oltre al corpo della madre che si ricongiunge al figlio quasi a formare un tutt'uno, vi è la presenza di un terzo uomo che li abbraccia in piedi dall'alto, forse un autoritratto dello stesso artista. Nonostante questa Pietà sia meno nota delle altre, mi ha emozionato maggiormente proprio per la coesione dei corpi che trasudano di amore profondo e illimitato. Dopo una passeggiata sotto la pioggia siamo tornati a Siena entusiasti di questa esperienza in una città affascinante, tra opere d'arte commoventi e ricche di storia che ci hanno fatto rivivere in maniera più intensa la fede nel nostro Salvatore. ▪

“Ha dato a noi l’eterno Padre, per sua misericordia, questa parola del suo Verbo Unigenito per nostro nutrimento. E non manca il Verbo di nutrirci con la parola del Santo Evangelio.” (S. Maria Maddalena de' Pazzi)

7


CORAGGIO, ALZATI, TI CHIAMA

Settimana uggiosa e buia di metà novembre. I giorni passano con le attività quotidiane di studio e lavoro ma il weekend stavolta sarà diverso. Ebbene sì. Diverso anche per i veterani degli esercizi spirituali della cappella, visto che nel primo pomeriggio del venerdì arrivano veloci i messaggi di cambio location. Quei messaggi, necessari per informare chi ancora è a casa o a lavoro, sembrano essere un ulteriore richiamo a chi ha già accettato la chiamata a partecipare. Sembra diffondersi una gioiosa ansia di cominciare. L’arrivo ci vede tutti un po’ spaesati nel nuovo accoglientissimo luogo ma ben presto anche questo diventa una riflessione: il weekend degli esercizi non è una 3 giorni fuori porta, ma l’opportunità di entrare in contatto con Dio. Non è importante quindi dove sei fisicamente ma dove è l’anima. E Dio intende sorprenderti. Vuole parlarti, ma prenderti sempre alla sprovvista, perché tu non sia pronto a catalogare anche la sua chiamata tra i mille pensieri, ad analizzarla, ma piuttosto sia costretto a rispondergli solo di sentimento. Dio vuole educarci alla sorpresa, perché ci chiama all’avventura: la più bella, la più emozionante, la vita nel suo amore. Sembra chiaro l’invito ad abbandonare le abitudini oziose per darsi al coraggio di osare nell’amore. Padre Narciso Sunda e il suo simpatico accento sardo ci accompagnano nello spegnimento di cellulari

8

e pensieri. Cosa è più difficile? Per i primi esiste un tasto, per i secondi...gli esercizi spirituali. Padre Narciso paragona questo weekend ad una brusca frenata. La velocità della vita quotidiana è stata improvvisamente ridotta e se in macchina il piede sul freno lancia gli oggetti contro il parabrezza, il corrispettivo nella metafora sono tanti pensieri che si fanno avanti e si affollano nella mente. A questo punto dobbiamo lasciare che tutto si assesti. Non pensare ma sentire. Perché il nostro Dio ci parla con parole d’amore, e in amore conta quello che senti. Come Bartimeo, il cieco di Gerico che non vede ma sente. Prima sente le voci, la folla, capisce che c’è Gesù e sente il coraggio nascere dentro di lui da quella profonda voglia di ‘guarire’. Il coraggio lo porta ad urlare finché Gesù non lo sente. Bartimeo osa, desidera così fortemente il ‘cambiamento della sua condizione’ che va anche oltre l’ammonimento dei discepoli a fare silenzio. Gesù premia il suo osare, lo chiama e lui si lancia seppur ignaro. Risponde, va perché ha fede, ama e si lascia ‘amareguarire’. Coraggio, alzati ti chiama. Non pensare “dove?” “a fare cosa?” pensa che qualcuno che ami profondamente, che non pensavi conoscesse il tuo nome, ti chiama, ti cerca. Non c’è da pensare c’è solo da sentire la voglia di alzarsi, il coraggio di andare, lasciarsi andare all’emozione dell’amore: amare e lasciarsi amare. Dio è pronto a sorprenderti, coraggio, lascialo fare! ▪

Abbandona l’ozio, sii pronto all’avventura dell’amore.


IL FUTURO È PRESENTE: RITIRO D’AVVENTO L’appuntamento annuale del ritiro di Avvento, una delle tante soste di riflessione della Cappella Universitaria, ci ha riuniti, lo scorso sabato 10 Dicembre, presso il monastero delle Benedettine Vallombrosane, a San Gimignano. Guidati alla riflessione da madre Roberta Lanfredini, attorno ad un fuoco ardente e scaldante, abbiamo percorso numerosissime tappe bibliche dell’Antico e del Nuovo Testamento alla ricerca del nostro prodigioso passato (presente e futuro) di salvezza. Centrale è stato il tema della profezia di Isaia (11,1): “un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. Il “germogliare” presuppone che qualcuno o qualcosa agisca. Nel caso specifico della profezia l’agente è Dio, che si manifesta in maniera comprensibile e meravigliosa assieme. Questo ossimoro era ben noto nel deserto: appariva miracoloso che, nel bel mezzo della siccità, una improvvisa pioggia bastasse per far fiorire tutto in una notte. È proprio per mezzo dell’acqua che Dio benedice fa crescere, ma con l’acqua può anche distruggere quando il peccato interrompe la comunione con Lui. La pioggia feconda è inoltre l’origine della speranza: l’acqua fa rivivere ciò che sembrava rinsecchito, morto, proprio come accade all’uomo per mezzo del battesimo.

In effetti Dio, dopo aver scelto Davide, uomo giusto e seguace della Sua Parola, non permette che sia spento il vigore e lo zelo nella sua progenie. La discendenza di Davide non è caratterizzata da uomini giusti (fatta eccezione per Ezechia e Giosia), ma è proprio la pianta morta che Dio rende nuovamente feconda, facendo germogliare dalla stessa radice di Iesse un nuovo virgulto: Gesù. Gesù non è ancora al tempo di Isaia, è il futuro della profezia, ma si realizza in essa stessa come momento già presente, in quanto affonda le radici nel passato dei suoi predecessori. Anche noi cristiani siamo chiamati a considerare il nostro futuro di salvezza già presente – e lo vediamo nell’Eucarestia - perché cominciato nel passato con la morte e la risurrezione di Cristo. Questa consapevolezza deve essere per noi motivo di gioia: nessun momento della storia sussiste senza la partecipazione lieta dell’uomo al progetto divino, la sua gioia è “passiva” perché viene donata dallo Spirito e colta dall’anima che si pone in ascolto della Parola; si rende attiva con l’annuncio del Vangelo che è, infatti, “lieta novella”. La gioia dell’annuncio può essere minata dalla persecuzione, dalla sofferenza, dall’angoscia, dalla morte o dall’incomprensione stessa delle dinamiche con cui il progetto si attua, ma la sua fiamma viene rinvigorita dall’Amore. Ogni cristiano è chiamato a farsi “fiore del deserto”, a fiorire, cioè, nelle difficoltà e a spandere il suo profumo. ▪

In quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa (Isaia 11,10).

9


LA VIA PULCHRITUDINIS

Il 29 ottobre 2016 il gruppo Pietre Vive, opera di apostolato ed evangelizzazione ignaziana, ha compiuto il suo primo servizio nella Cattedrale di Siena. Dopo tanti incontri di preghiera e formazione artistica, dopo aver sognato e in parte temuto quel giorno (non ci si sente mai pronti a cominciare!), ecco che arriva il momento di dare il via a questa avventura: un itinerario estetico ma soprattutto di fede, nel luogo di culto più importante della nostra città. L'esperienza di guida Pietre Vive si muove con delicatezza attraverso 3 grandi misteri: Dio, l'uomo e la bellezza, da intendersi come esperienza privilegiata di incontro col trascendente di cui l'arte è messaggera. "La Chiesa ha bisogno dell'Arte e degli artisti, maestri nel rendere comprensibile e commovente il mondo dello Spirito" (Paolo VI, nella messa degli artisti il 7 maggio 1964): senza, il suo ministero sarebbe "incerto" e "balbuziente". Una domanda mi pesava sul cuore: come farò a dire che Dio è bellezza e che queste pietre sontuose sono la testimonianza che l’incarnazione di Cristo, pietra angolare scartata dai costruttori, è possibile e reale? Rinuncio a rispondermi, inizia la visita. Non dimenticherò mai gli occhi dei primi pellegrini accolti, sguardi dapprima imbarazzati e pieni di interrogativi in cui mi specchiavo ritrovando il mio sguardo. In quel momento li ho sentiti molto vicini a me: anch’io ero in cammino come loro, pellegrina tra mille marciatori, e ho avuto la chiara percezione che dovessimo fare un tratto di strada insieme; breve, forse, il tempo di una visita, ma bello come un dono inaspettato. Così, mentre provavo ad accogliere le per-

10

sone con l’entusiasmo dell’adolescente che accoglie nella propria camera un amico molto caro, mettendolo a parte del proprio mondo, ecco che l’empatia si era già creata, gli sguardi erano più sereni e i volti meno tirati. Dentro la chiesa ogni opera ci parla di colui che la abita e che ci abita, e ce ne parla in pienezza: se si trascura questo aspetto la pietre rimangono tali, bellissime ma non vivificate dal Principio che le ha ispirate. Ho incontrato persone molto diverse, ma in tutte ho riconosciuto la stessa fame e sete che mi abitano e che accompagnano l’uomo da sempre. L’incontro che desiderano fare è lo stesso che io desidero per me. Col tempo si affina la capacità di comunicare l’esperienza di fede e si punta dritti al cuore: il discorso artistico resta in filigrana e quasi diventa un meraviglioso pretesto per parlare di Dio. Le persone che incontriamo non aspettano altro che di essere accolte, ascoltate ma anche interrogate e persino provocate di fronte a quel Mistero più profondo di cui già sono parte. Mi metto anch’io alla ricerca, proviamo a capire, ci apriamo e insieme ci scopriamo meno soli di fronte a vissuti alle volte dolorosi: è il lato più umano, fragile e bello del servizio, una grande ricchezza e onore. Siamo tutti come pietre, smussiamo le nostre spigolosità per incastrarci bene fra noi e diventare vivi strumenti adatti a costruire il Regno di Dio, il destino ultimo verso cui marciamo a volte con passo incerto. “L'autentica bellezza schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di amare, conoscere, di andare verso l’Oltre da sé” (Benedetto XVI). E, aggiungo, ci conduce a comprendere come questo Oltre sia già nel nostro orizzonte e ci stia venendo incontro. È così vero che dà una vertigine. È la via pulchritudinis. ▪

La bellezza è l’ombra di Dio sulla terra (Raffaello Sanzio da Urbino).


NON ABBIATE PAURA, MISSIONE COMPIUTA! «La tua fede ti ha salvato, vedi di nuovo!» (Lc 18,42): tutti eravamo stati chiamati da questa vocina ad aprire i nostri occhi e stavamo lì, immobili, increduli ma desti. Quell’urlo di quel cieco bisognoso della misericordia di Dio era stato esaudito e con esso il nostro. Lo strano timore nel gridare come il cieco «Gesù figlio di Davide abbi pietà di me!» (Lc 18,38-39) adesso era scomparso e con un gesto simbolico ognuno di noi aveva acquistato la vista. Era l’incontro formativo in vista della settimana della missione (18-23 ottobre 2016) organizzata in occasione del venticinquesimo anno dalla fondazione della cappella universitaria di Siena. Timore, paura, ma di cosa? In fondo siamo quotidianamente circondati da tanti stimoli affidati al controllo del nostro efficientissimo sistema di “attacco e fuga” che a volte non ci rendiamo neanche conto che quella fuga che mettiamo in atto, altro non è che la fisiologica reazione del nostro organismo a quei pericoli che il nostro corpo ha percepito come tali. Eppure sentiamo di perdere il controllo e diamo voce alle nostre paure con “non ce la faccio, non ci riesco” “Non abbiate paura” diceva il flyer preparato per l’evento, riportando le parole di papa Giovanni Paolo II in occasione della GMG del 2000; forse proprio un profondo desiderio di dare un nome a quelle paure che ci attanagliano e ci rendono spettatori passivi della nostra vita, mi aveva spinto, quel giorno, a partecipare all’incontro. Ma perché fare la missione? Fu uno dei tre punti su cui frate Francesco ci aiutò ad interrogarci quel giorno insieme al quesito

«qual è la parola che senti di annunciare?» e «chi vorresti incontrare?» “Coinvolgersi, esserci totalmente e agire”: avevo fatto di quelle parole che aveva detto il frate la mia risposta al perché di questo annuncio; sarebbe stata, scrissi su un foglio di carta, una preziosa occasione per sentirci veramente cristiani! Avrei annunciato il non essere mai soli, la presenza di un amore che supera ogni nostra fragilità, e avrei voluto incontrare innumerevoli cuori chiusi e induriti dall’orgoglio di potercela fare da soli. Quel giorno credo di aver trovato risposta al perché mi trovassi lì! La giornata passò in fretta, ci saremmo rivisti il 18 ottobre, per l’inizio della Missione! Ogni giorno cresceva in me l’attesa di questa fatidica data e, come tutte le attese, quel giorno arrivò. Quella settimana così intensa e piena di appuntamenti mi ha vista in gioco fino alla fine, a testimoniare nelle scuole durante l’ora di religione, ad invitare agli eventi della settimana gli studenti nelle biblioteche e nelle aule studio. Ho incontrato volti più o meno recettivi, più o meno interessati, ma tutti bisognosi di un sorriso e di spiegazioni a dubbi e paure che rendono fragile il nostro vivere. Ho scambiato “abbracci gratis” e mi sono lasciata abitare da quel ritmo di gioia che non è il non avere difficoltà, il non attraversare quotidianamente dissidi interiori, ansie, paure e preoccupazioni, ma avere la consapevolezza di non essere mai soli, di essere pervasi da una luce che rischiara e che riscalda anche passando per la più piccola ferita del nostro cuore. Ho raccolto la gioia di sentirmi veramente cristiana, accolta dalla comunità e la consapevolezza che “non abbiate paura” dovremmo avere il coraggio di gridarlo ogni giorno! ▪

“Non siete voi a parlare, ma lasciate che sia lo Spirito Santo a parlare per mezzo di voi!”(Monsignor Antonio Buoncristiani, nell’invito missionario ai giovani)

11


APRITE, ANZI..

Per me è stato un altro banco di prova per affidarmi a Lui e continuare a crescere. Non mi aspettavo di riuscire ad espormi, fisicamente e interiormente, ad affidarmi e ad obbedire, ma tutto questo mi ha fatto sperimentare davvero che si può dare solo se prima si è centrati in qualcuno di più grande da cui cercare l’energia e la forza. È stato un continuo alternarsi tra ricevere e “restituire” amore : in un volto incontrato per caso, negli occhi di quei ragazzi con cui ci siamo confrontati. È chiaro che la leva che mi ha mosso è stata azionata da Lui! Mettendomi in gioco mi sono portata a casa il desiderio infiammato di Amarlo sempre di più, e soprattutto un meraviglioso GRAZIE stampato nel mio cuore!

Durante il tempo della missione ho sperimentato la grazia di essere io stessa evangelizzata, testimoniando la presenza consolatrice di Cristo nella mia vita. Mi sono sentita, infatti, accolta e riscaldata dal forte abbraccio del Padre. Ho avuto la possibilità di benedire la mia storia e il mio passato proprio grazie all’incontro di sguardi alla ricerca dell’Amore vero.

L’esperienza della missione mi ha pro-vocata: chiamata ad uscire fuori dalla monotonia nella quale tante volte può precipitare la quotidianità. Ripercorrendo la mia storia personale e condividendola con gli altri ho compreso che nelle situazioni di difficoltà, fisica e mentale, l’unico modo per rialzarsi è reinventarsi e che tutto quello che a noi può sembrare debolezza è per l’Alt(r)o punto di forza a partire dal quale risollevarci.

“Va e porta questo annuncio con la tua gioia e la tua paura insieme!” Dio quel giorno mi ha dato quella “dose di coraggio” per annunciare il Suo amore .“Coinvolgersi, esserci totalmente e agire” per essere “giocatori titolari in campo, non riserve!”. E così, ho giocato una partita chiamata Missione CapUnisi. Spero di aver portato la gioia che nasce dall’amore di un Dio che viene ad aprire le porte delle nostre vite, ad incontrare i nostri sguardi timorosi, che ci invita ad essere protagonisti della nostra vita e a non avere paura ogni giorno!

12


..SPALANCATE LE PORTE A CRISTO

Paura. Vuoto. Sensazione di non essere all’altezza.

Io, e perché mai? No, domani partecipo

alla missione CapUnisi, ma solo un giorno, non uno di più. Ma mi sbagliavo di grosso: è stata una delle settimane più intense della mia vita. Ricca di emozione, di sguardi autentici e di parole scritte nei cuori di chi ascoltava. Una settimana in cui ci siamo messi a nudo, con gli altri, ma prima con noi stessi. La Sua luce ci ha pervaso e ci ha dato la forza di farlo. Gioia. Libertà. Meraviglia. Amicizia. Fede. Questo invece ciò che la missione mi ha lasciato.

Intrapresa con mille dubbi e incertezze, l’avventura della missione ha cambiato il mio modo di vedere le cose, facendomi capire che Gesù, nonostante la mia incostanza, è sempre lì ad aspettarmi e ad accogliermi fra le Sue braccia. Ho incontrato persone speciali da cui ho ricevuto sorrisi, parole e piccoli gesti che mi hanno aperto il loro cuore e hanno preso un pò del mio, insegnandomi che, con accanto Lui, possiamo davvero smettere di avere paura.

Quale prova più grande può esserci del confrontarsi con le proprie paure? A Dio non potevano bastare le mie preghiere, la diligenza, l'osservanza? No, perché “il cristianesimo non è né perbenista né elitario, ma esige la missione”. Come un neopatentato ancora impacciato e timoroso sono stata chiamata a salire in macchina, mettere in moto e percorrere strade dissestate con la certezza che voltandomi verso il lato passeggero c'era sempre mio Padre pronto a sussurrarmi ''fidati di me''.

“Cosa hai trovato in Dio rispetto a quello che avevi prima?” mi è stato chiesto in un incontro a scuola. Io posso dire di aver trovato la fedeltà alla promessa che Gesù è venuto “per dare la vita e darla in abbondanza”, e di fronte a questa pienezza non puoi che rispondere con la gratitudine e il servizio. Siamo stati parte di una vera famiglia, in cui ciascuno ha lanciato il cuore più lontano di ogni paura.

13




UN VIAGGIO LUNGO… UNA VITA Nel corso della nostra vita di coppia abbiamo avuto la fortuna di viaggiare e visitare splendidi posti: bellezze italiane, mete oltreoceaniche e caraibiche, città polacche e gelidi paesaggi svedesi. Senza dubbio però il viaggio più speciale è stato quello che ci ha condotto alla mèta tanto attesa a cui abbiamo dato un nome: Francesco, nostro figlio. Un viaggio un po' particolare, dove i bagagli non si preparano prima ma crescono durante il percorso, quando tra un'ecografia e l'altra ci si rende sempre più conto di quanto quel piccolo fagiolino si stia trasformando in un batuffolino bisognoso sì di vestitini, creme e mille altri sconosciuti oggetti (un giorno ci piacerebbe chiedere a chi li propina come indispensabili come abbiano fatto intere generazioni prima di noi a farne a meno e sopravvivere ugualmente...) ma soprattutto di amore incondizionato. Il dono della paternità e maternità fisica ci ha fatto riflettere su come un figlio non sia una proprietà privata, ma una creatura affidataci dal Padre affinché la accompagniamo in questo cammino terreno. Inoltre ci fa con gioia constatare e sperimentare come l'affetto che si è riversato sulla nostra coppia a partire dal nostro fidanzamento prima e col matrimonio poi coinvolga ora come in un circolo virtuoso anche Francesco e riempia le nostre giornate, i nostri cuori, la nostra vita. Ovviamente come in ogni viaggio che si rispetti non sono estranei tratti più in salita che comportano maggiore fatica, fisica e non solo, a partire da una

16

laurea che il nostro Francesco ha ottenuto honoris pancia all'ottavo mese di gestazione; scolasticamente parlando promette bene dunque. E così in una notte d'agosto, dopo una splendida domenica di relax trascorsa tra piscina e coccole gastronomiche, il piccolo principe decide che il momento è arrivato. Momento che si è fatto attendere ancora un paio di giorni, dopodiché la gioia nel vedere quel visino ha cancellato tutta la fatica e il dolore dalla mente (della mamma, il papà risulta ancora provato dal parto ma presto si riprenderà). Quello è stato il momento in cui abbiamo toccato con mano come ogni bimbo che viene alla luce sia un miracolo di fronte al quale non ci resta che contemplarne con gratitudine il prodigio e la bellezza e come aprirsi e abbracciare la vita arricchisca davvero non di soldi ma d'amore. E se durante quei nove mesi di attesa chiudevamo gli occhi sognando questo epilogo del nostro viaggio, adesso sogniamo ad occhi aperti in questa splendida avventura di vita insieme, a tre, consapevoli del fatto che la nascita è solo la prima tappa di un percorso lungo e affascinante. In questi primi sei stravolgenti mesi con Francesco ci sentiamo di ringraziare Dio per il dono dei suoi sorrisi, dei suoi versetti e delle sue 'chiacchierate', per il suo inconfondibile odore di bambino, ma soprattutto per averci fatto scoprire un amore nuovo e averci resi capaci di emozioni ed energie che non immaginavamo nemmeno di possedere. 'A chi nasce ogni giorno e comincia il suo viaggio [...] che sia benedetta, per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta'. Viva la vita, sempre! ▪

Ogni bimbo che viene alla luce è un miracolo di fronte al quale non ci resta che contemplarne con gratitudine il prodigio e la bellezza.


ABBATTETE I MURI, COSTRUITE PONTI! Muri,

filo spinato, recinzioni. A

cosa vi fanno pensare? A me, nata alla fine del secolo scorso, in tempi di pace, solo a lontani conflitti studiati ripetutamente sui libri di scuola. In realtà sono gli unici rimedi che i nostri governanti prospettano (o vogliono conservare) di fronte al caos geopolitico globale che ci vede tutti coinvolti. Dopo le due guerre mondiali, la risposta politica e istituzionale più forte a non avere conflitti e a far perdurare la pace tra i popoli fu la nascita dell’Unione Europea. Costruzione lenta e mai completa, che oggi scricchiola sotto i colpi della paura indiscriminata e dell’angoscia per il futuro. Ma nonostante il suo cammino incerto, l’integrazione europea è stata la nuova opportunità. Questa può essere messa a frutto solo con la cooperazione e la sinergia tra i popoli, a partire da un confronto culturale approfondito e dinamico. Ed è questa l’ispirazione di fondo con cui noi giovani, prima di tutto, siamo chiamati a rispondere a nuove sfide globali che richiedono sempre maggiore attenzione e impegno. Progetti erasmus, volontariato, scambi di studi ed esperienze sono i nuovi ponti ideali. Cementare i legami, non le paure. I conflitti armati, ormai, non squarciano soltanto interi territori, ma la quotidianità che ogni uomo ha diritto a vivere in piena libertà e rispetto dell’altro. Tutti siamo coinvolti. Purtroppo abbiamo acquisito maggiore consapevolezza di questa responsabilità solo quando nostri connazionali sono caduti vittima del terrorismo internazionale, all’interno del nostro “inespugnabile” continente di pace. Ma questi eventi non devono farci barricare dietro

cortine di odio e discriminazione. Piuttosto dobbiamo impegnarci a (ri)stabilire nuovi rapporti. Ce lo insegnano studenti come noi: Giulio Regeni, Valeria Solesin, Fabrizia Di Lorenzo…appartenenti alla generazione cosiddetta dei Millenials, un'espressione il più delle volte utilizzata per indicare una generazione stigmatizzata nel gesto del selfie e nella costruzione di una felicità virtuale, ma in realtà in prima linea in aree di crisi e attenta ai diritti umani. Siamo chiamati a lottare per una società trasparente, inclusiva, pacificata con “armi” capaci di costruire e non distruggere. Infatti gli strumenti con cui costruire un futuro di pacifica convivenza sono la parola, il confronto, la conoscenza, la virtuosa mitezza che vuol dire fare un passo indietro anche se si ha ragione. A dispetto di piccoli uomini che ci danno istruzioni su come meglio rinchiuderci dentro le nostre miserie ce ne sono degli altri che invece ci incitano al più umano abbraccio globale. Pensiamo all’insegnamento di papa Bergoglio, che si fa messaggero di pace e inclusione per tutti e ci invita all’esuberanza della misericordia. Sì, perché lo slancio di tenerezza e compassione nei confronti di chi ha perso casa e famiglia sono il primo mattone di un rifugio accogliente, la risposta più efficace a coloro che dicono che “nulla si può cambiare!”, sottilmente chiamati dal papa “quietisti”. Bisogna allora dire basta a un cinico voyerismo degli eventi. Questo significa farsi sottrarre il meglio di noi stessi. Appassionarsi alla vita, lanciarsi all’avventura di costruire ponti con l’ascolto, la mano tesa e lo sguardo in alto può essere l’occasione per risanare questo mondo ferito e operare per l’unità tra i popoli. ▪

“Dobbiamo impegnarci a (ri)stabilire nuovi rapporti. Ce lo insegnano studenti come noi: Giulio Regeni, Valeria Solesin, Fabrizia Di Lorenzo…”

17


LÀ DOVE IL RICORDO SI CRISTALLIZZA Lunedì

23 Gennaio, nel corrente

anno, ho intrapreso un viaggio diverso da tutti gli altri. La mia meta infatti non era la solita capitale europea, né il solito museo. Il mio viaggio partito da Firenze mi ha condotto in una terra lontana, la Polonia. Il 24 mattina il treno sul quale viaggio giunge nella città di Oświęcim. «Che nome strano» penso. Scendo dal treno e la guida ci accompagna al campo di concentramento di Auschwitz 2 o Birkenau. Quello che si schiude davanti ai miei occhi è un paesaggio surreale. Tutto è vuoto, tutto è spento, il silenzio avvolge ogni cosa. La neve cade e non fa rumore, il vento soffia, ma non si sente. In quel momento, in quella desolazione bianca penso che le caratteristiche di quel luogo devono, in qualche modo, somigliare alla morte, al nulla. La guida parla, le immagini si susseguono, vivide come non mai. L’unica cosa che durante la ‘visita’ mi tiene ancorato alla realtà è la sensazione di calore che qualcosa mi provoca mentre mi scivola sulle guance, fino alla barba ispida, ma non so di cosa si tratta, la mia mente è concentrata su quel dolore soffocante che, ad Auschwitz, sale dalla terra e pretende d’essere ascoltato e tu non puoi ignorarlo. Ignorare quel dolore è quasi come provocarlo nuovamente a chi l’ha già subito e nessun uomo può accettare una cosa simile. Dopo aver visto ciò che non avrei mai voluto vedere, perché ciò che ho visto non avrebbe mai dovuto essere, è nata in me una coscienza nuova. Mi sono accorto che c’è un male che supera la ragione e si colloca dove il raziocinio non può giungere. In quel

18

posto oscuro risiede il lato ‘mostruoso’ dell’uomo, quello che nasce “dal sonno della ragione”, come ci dice il caro Goya. Quando la ragione smette di vigilare, l’uomo erige in se stesso il primo muro: quello dell’indifferenza. Indifferenza che al suo stadio parossistico conduce ad azioni impensabili quali uccidere e discriminare un’altra persona per il suo ‘essere diverso’, ma diverso da chi e soprattutto da cosa, penso che in pochi saprebbero dirlo. Dopo aver ‘visitato’ il campo di Auschwitz 2, tutti noi partecipanti al viaggio siamo condotti nel cinema-teatro di Cracovia, dove possiamo interagire con alcuni sopravvissuti ai Lager. La verità che loro ci hanno consegnato è un fardello molto pesante: «il mondo tende sempre a sminuire e a distorcere quello che è stato. La percezione degli eventi da lontano è debole e per questo la memoria rischia di divenire una mera ‘commemorazione’. Il rischio del formalismo è proprio quello di allontanare dalla realtà. «Proprio per questo noi siamo qui oggi – ci dicono – la nostra vita ormai sta per volgere al termine ed è per questo che noi consegnamo a voi questo mandato: da oggi sarete voi i nuovi testimoni! Pensate con le vostre teste ragazzi, leggete, apritevi alla cultura e alle differenze! Abbiate l’intelligenza di superare i luoghi comuni e gli stereotipi, guardate oltre quello che avete davanti agli occhi, superate l’ovvio e concentratevi sul vero!! Questo è quello che noi vi chiediamo di fare per non rendere nullo il sacrificio di milioni di persone. Ricordate al mondo che questo è stato e, proprio perché è stato, non dovrà più essere.» Noi, oggi, di Auschwitz conserviamo nel cuore la neve. Una neve che non è formata da cristalli di ghiaccio, ma dalla cristallizzazione del ricordo. ▪

Ricordate al mondo che questo è stato e, proprio perché è stato, non dovrà più essere.


RESISTENZA ESISTENZIALE

Etty Hillesum. Un nome tra i migliaia di nomi stroncati dal feroce e folle odio nazista. Muore a 29 anni, nel 1943 ad Auschwitz. Nasce a Middelburg da una coppia di ebrei, nel 1914. Il ritrovamento del suo diario è la testimonianza di un’intensa maturazione umana e interiore, anche se molto breve. Vissuta in tempi bui, Etty parla, nel suo diario, di “resistenza esistenziale”, affinché la barbarie del nazismo non intacchi l’anima anche di chi nazista non è. Ella è convinta che il male esterno non deve prendere spazio in noi e che il modo primario e più importante per agire nella storia è lavorare su se stessi. Questa convinzione è ben radicata nel suo essere: nonostante tutte le violenze e sofferenze atroci che vive e vede, la sua priorità rimane quella di perseverare nel lavoro interiore al punto da affermare che nessuno ha il diritto di giudicare inumano l’altro, perché ognuno di noi porta in sé l’aguzzino e la vittima. La nostra autrice scrive: “ricordati che sei un uomo anche tu […]. Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, e non vedo nessuna altra soluzione, […] che quella di raccogliersi in noi stessi e di strappar via il nostro marciume”. Le radici del male, dunque, si nascondono nel cuore della nostra esistenza. Anche il fragore delle guerre più lontane e ignote prorompe perché ognuno di noi coltiva di più l’odio verso il suo vicino anziché l’amore. Chi legge queste poche righe di commento può invece pensare: cosa c’entro io con quello che accade nel mondo? Eppure, le guerre che stanno accadendo fuori di noi, narrate quotidianamente dai giornali, sono in realtà attive e operanti anche in noi. Etty scrive: “A ogni

nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto d’amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi”. L’ottica stravolgente dell’autrice evidenzia come salvarsi, non soccombere, per la maggior parte delle persone significhi non morire, mentre per lei sia piuttosto mantenere intatto lo spazio interiore per l’amore: salvare la propria vita, ma essere pieni di odio, vuol dire in realtà lasciarsi uccidere. Qual è il lavoro da fare dentro ciascuno di noi per trasformare noi stessi e il mondo? Etty ci dice che è necessario stare “davanti al duro steccato della vita. Davanti alla sua ossatura, libera da qualsiasi costruzione esterna”: si tratta di accogliere e guardare il dolore per redimerlo da ciò che l’io vi costruisce sopra; questo io che cavalca la bellicità in tutti noi in modo più o meno subdolo, rendendo il mondo sempre più “inospitale e inabitabile”. Etty sa bene che è possibile disarmare il male non negandolo, ma sottraendo ad esso il potere di decidere che cosa è la vita. Un forte senso di compassione le fa percepire che siamo una sola umanità, dove il “dentro” e il fuori” sono profondamente collegati: “La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come unico, potente insieme”. È importante scoprire di essere attraversati da una corrente sotterranea che è nel profondo di noi, la stessa corrente che anima il mondo e la storia e che, nonostante tutto, ci fa sperimentare quanto la vita è bella e ricca di significato. Mettiamoci dunque a lavoro, in noi stessi, perché la pace fuori si realizza nella misura in cui la conquistiamo dentro di noi, one by one. ▪

“Una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un'unica, lunga passeggiata.“ Etty Hillesum. Cfr. M. Deriu, “La resistenza esistenziale in Etty Hillesum”, in «Alfazeta», n.60,1997, pp.8-15

19


CADERE PER VEDERE

“Mi

stringevano funi di morte/

ero preso dai lacci degli inferi/ ero preso da tristezza e angoscia” recita il Salmo 114 : chi di noi non cade, chi di noi non si smarrisce? Numerose sono le molle che ci spingono a rinnegare quello in cui abbiamo sempre creduto, molti gli eventi che ci mettono in crisi. In cosa crediamo? Perché crediamo? A cosa serve la fede? Credere ci aiuta? Spesso un turbine di domande irrisolvibili, eppure così radicate in noi, sembrano destinate a gettarci in un baratro di disperazione. Eppure, una cosa è certa: dubitare implica aver già preso in considerazione una possibilità di scelta. Il dubbio è terra fertile: sta a noi decidere cosa seminare. E cos’è il dubbio se non la crisi stessa? Dubitare, entrare in crisi è segno che qualcosa si muove in noi, un desiderio più grande, più affamato di Verità. Cadere può essere l’unica occasione per ritrovarci in ginocchio: il dubbio può essere l’occasione di una forte crescita. Ciò che può essere visto nell’ottica umana come una disgrazia, nella Sua ottica è un dono, qualcosa che ci viene offerto per capire cosa sia davvero importante, per dare profondità a ciò che viviamo. Non a caso il termine “crisi” deriva da krinein, che in greco vuol dire “scegliere”. Come possono risultare ben accetti un problema in famiglia, una delusione lavorativa, un rifiuto, la scoperta di una malattia? Si tratta di occasioni, occasioni da cogliere al volo, occasioni dolorose e irripetibili per far nascere un fiore tra le pietre. È nella ferita

20

aperta dal dolore che Dio fa penetrare la Sua Luce. “Ero misero ed Egli mi ha risollevato” recita ancora il Salmo 114. Non guardiamo alla miseria con i nostri occhi: sforziamoci di guardarla con gli occhi di Cristo, che ha fatto del suo dolore, della sua crisi sul Golgota la più importante occasione per l’umanità. Ogni morte è solo apparente perché nasconde dentro di sé una rinascita, un venire al mondo più luminosi di prima perché quella Verità, quella Luce Vera oramai vive in noi, in ognuno di noi ha trovato la sua dimora. Basti pensare alla Conversione di san Paolo che Caravaggio dipinge all’interno della Basilica di Santa Maria del Popolo: Paolo è disarcionato, immobile, accecato. Cosa lo acceca? Si potrebbe azzardare che ciò che lo acceca non è che la Luce della Verità che ora abita in lui, è una luce tutta interna che lo abbaglia e lo fa risplendere di una nuova aura di santità. Ma la cecità di Paolo non è che temporanea, passeggera: è la cecità di colui che per la prima volta vede davvero; e allora tutti i colori appaiono tanto luminosi e brillanti da rendere quasi insostenibile la loro visione. “Cadere per vedere”: questa è l’essenza dell’esperienza di San Paolo, così intensamente riassunta da Don Luigi Maria Epicoco durante la sua testimonianza durante la Missione, organizzata dalla Cappella Universitaria di Siena dal 18 al 23 ottobre 2016. L’occasione colta da San Paolo è quella che siamo chiamati a cogliere anche noi: siamo chiamati a cadere per rialzarci più forti, più determinati, più coraggiosi di prima. Siamo chiamati a cadere, perché solo col buio possiamo vedere più chiaramente la bellezza delle stelle. ▪

Michelangelo Merisi da Caravaggio: Conversione di San Paolo (1600-1601). Roma, Santa Maria del Popolo


IL ‘SACRO’ NELL’ARTE FUTURISTA

divino bensì “la concezione religiosa deve essere rappresentata al di sopra della realtà vissuta ed ogmato a rappresentare il ‘sacro’ deve gettiva” (Fillìa, Spiritualità futurista, in “Oggi e Docompiere una riflessione interiore mani”, Roma, 26 ottobre 1931). ed un gesto culturale: riflettere Il 1931 è l’anno decisivo per la precisazione dell’imquindi sulla propria sensibilità, sulpegno futurista nell’arte sacra: a marzo Fillìa scrive la capacità di saper tradurre in imSpiritualità futurista, un saggio nel quale la sua visiomagine ciò che neppure la mente ne del trascendente appare chiara, come anche nelle riesce a concepire secondo ragione; scavare nella sue opere sacre dense di simboli, immaterialità della propria coscienza disponendosi con umiltà e chiadivinità. Il 23 giugno 1931 appare il Manifesto rezza di fronte al sacro. dell’Arte Sacra Futurista, dapprima firmato dal solo Nella complessa e variegata vicenda futurista ha un Marinetti su “La Gazzetta de Popolo” di Torino, firsuo spazio il discorso dell’Arte Sacra Futurista. I mato da Fillìa quindici giorni primi scritti, che non toccano dopo. Si legge l’esaltazione quasi mai direttamente fede e del genio futurista in grado di religiosità, mitizzano ogni immaginare inferni, esprimeforma di materialità innovare “il fascino abissale e le tratrice la cui esistenza e presparenze beate dell’infinito”, gnanza, invece, si sviluppano rappresentare con la simultanelle elaborazioni della metà neità e “con adeguate compedegli anni Venti. Il mito della netrazioni di tempo-spazio, i macchina finisce per assumedogmi simultanei del culto re con Fillìa (Luigi Colombo) cattolico, come la Santa Triniil valore di ‘sacro’ e tà, l’Immacolata Concezione e ‘religioso’, motivo di trascenil Calvario di Dio”. denza. Per Gerardo Dottori la Il Manifesto codifica una natura e la macchina, colte Gerardo Dottori, Madonna e Bambino (1924). realtà esistente: gli artisti Perugia, coll. priv. nella loro essenza e signifihanno già elaborato un’Arte cato trascendente, non meraSacra (Futurista) con scritti e opere, la prima delle mente raffigurativo, costituiscono veicoli di elevaquali è la Crocifissione di Dottori del 1927. Quest’ozione spirituale, anche religiosa. Così l’iconografia pera, caratterizzata da tagli di luce, trasparenze cofuturista di Cristo e della Madonna si esprime per me quella di Cristo evanescente, è avvolta da lucisimboli o per trasfigurazioni, compenetrazioni e sibagliori e percorsa da un vento impazzito che scuomultaneità, soprattutto in Dottori. te gli alberi plasmando le figure avvolte da un’aura Fillìa pubblica nel 1925 Alfabeto spirituale, testo che divina. I temi affrontati da Fillìa sono quelli cari accompagna una mostra a Torino, La pittura spirituaall’iconografia cristiana: la Natività, la Sacra Famiglia, le e Arte Sacra meccanica, apparsi sulla rivista l’Annunciazione, la Passione. Tutti rivisti secondo una “L’Impero” (15 marzo 1925 / 19-20 luglio 1925). Nel particolarissima interpretazione che, sconfitte le ap1926 Dottori teorizza la necessità di un rinnovamenparenze del reale, spinge a riflettere sul significato to dell’arte sacra coniugandola al Futurismo, senza spirituale del tema trattato. ▪ ritrarre oggettivamente la realtà e umanizzando il

Ogni qualvolta un artista è chia-

“Soltanto gli aeropittori futuristi, [...] possono esprimere plasticamente il fascino abissale e le trasparenze beate dell’infinito” (Manifesto dell’Arte Futurista, art. 2).

21


QUANT’È BELLA GIOVINEZZA..

C’è

sempre qualcosa di rapace

nelle donne dei romanzi brevi di Irène Némirovsky: così è anche per Gladys Eysenach, la protagonista di Jezabel. La scrittrice, un’ebrea ucraina passata quasi indifferente nel panorama culturale del suo tempo, è stata riscoperta solo di recente, diventando un vero e proprio fenomeno letterario. Nata a Kiev nel 1903 ed emigrata in Francia, ha scritto numerosi libri negli anni ’30; nel 1942 è morta in un campo di concentramento nazista. I suoi manoscritti, spesso incompiuti, sono stati fortunosamente ritrovati e pubblicati in anni recenti. Jezabel è ambientato nella Parigi anni ’30: inizia dalla fine, nell’aula del tribunale di Parigi in cui si svolge il processo alla bellissima Gladys Eysenach, accusata di aver ucciso il ventenne Bernard Martin. È inutile che la difesa si sforzi di trovare delle attenuanti e non serve che l’accusa martelli di domande Gladys - diafana e sempre bella nonostante la reclusione - per capire quale fosse il suo rapporto con l’uomo a cui ha sparato: Gladys tace, ammettendo solo di aver sparato a Bernard Martin, e sperando che finisca tutto presto. A questo punto la storia si riavvolge su se stessa mediante un’analessi, dando un ordine a tutte le vicende: la protagonista cresce con la madre; si trasferisce a Londra per un breve periodo; si sposa giovanissima; vive il dramma della morte dell’unica figlia; si risposa ma ha numerosi amanti; viaggia in tutto il mondo; infine conosce e frequenta Bernard, un giovane che tutti sospettano essere suo amante (anche se “il loro letto non appariva mai sfatto”). Gladys Eysenac è una donna sola, ossessionata dal

22

potere che esercita sugli uomini, a costante riprova della sua bellezza e del suo fascino: e Gladys ha bisogno di questa prova perché, come Narciso, è innamorata solo di se stessa. Legare a sé un uomo, vederlo ai suoi piedi, è secondario: la cosa più importante è vedersi riflessa in tutto il suo splendore negli occhi degli uomini. Non c’è sguardo, parola, gesto di Gladys che non sia libero dall’assillo costante della vecchiaia, intesa come l’età della vergogna, della solitudine e della fine del potere esercitato dalla propria bellezza, unico vero scopo della sua vita. Con una prosa essenziale e piacevolissima, l’Autrice costruisce una protagonista dalla psiche cristallina, dotata di un’intensa carica realistica, al punto che molti critici sostengono sia stata ispirata dalla madre e dal rapporto tra le due. Gladys è un personaggio estremamente individualista, molto moderno e attuale, ed esercita la sua allucinata coerenza fino alla follia finale. Jezabel infatti racconta l’egoismo sfrenato di una donna e tutta la miseria della sua persona, non lontani da quelli delle donne che oggi sfoggiano lineamenti di plastica nei salotti televisivi e per le quali l’apparenza è tutto: una profezia dal passato che espone in vetrina i vizi ed i limiti oltre i quali l’ossessione per la giovinezza e per l’apparenza possono spingersi. La penna di Irene Nemirovsky conferma il motivo della sua attuale riscoperta: l’abilità e la finezza con cui tratteggia i suoi personaggi, la sospensione leggera che inserisce nelle vicende per farle terminare con un finale sorprendente, la padronanza e la sottigliezza del linguaggio fanno di lei una grande e godibilissima scrittrice. Da scoprire o riscoprire. Buona lettura! ▪

Non s'ingannava. Sapeva che non era amore... Non aveva mai provato altro che la sete insaziabile di essere amata, la pace divina dell'orgoglio soddisfatto.


LA GUERRA DI ARTURO

Pif

stupisce ancora una volta e

scredita i critici del suo lavoro cinematografico con un’altra storia d’amore che si intreccia con la realtà storica del nostro Paese: In Guerra per Amore—questo il titolo del suo secondo film— interseca la storia di un amore travagliato con lo sbarco americano in Sicilia durante il secondo conflitto mondiale. Arturo, giovane italiano squattrinato, partito alla volta del Nuovo Mondo in cerca di fortuna, conosce Flora, nipote del proprietario del ristorante nel quale il ragazzo fa il cameriere. Tra i due scocca l’amore, ma sorge un problema: la ragazza è promessa sposa di un ragazzo molto vicino alla famiglia mafiosa capeggiata da Lucky Luciano. Flora sa che l’unico modo di rompere quel fidanzamento sarebbe chiederla ufficialmente in sposa al padre che vive nel suo piccolo paesino in Sicilia. Arturo, innamorato follemente della ragazza, ma senza una lira, decide di arruolarsi nell’esercito americano che stava organizzando in quei giorni lo sbarco in Sicilia, in modo così da riuscire a trovare il padre di Flora e suggellare l’accordo. Pif, come nel suo primo film, è abile a fondere la storia fittizia di un amore con degli avvenimenti storico-politici che cambiarono per sempre il volto del nostro Paese: la mafia è sempre il cardine del suo racconto, ma se precedentemente ne racconta solo la brutta pagina vissuta in Sicilia a cavallo tra gli anni '60 e '90 del secolo scorso, in questa seconda opera ne racconta la genesi, ovvero come le famiglie mafiose d’oltreoceano, tramite un accordo con lo stato americano, concedettero all’esercito degli Stati Uniti

un’agile via dalla Trinacria per la risalita della nostra Penisola. Il regista, con la sua solita leggerezza, tratta temi e valori di una certa caratura con la freschezza della commedia e dell’ingenuità dei suoi personaggi che non si accorgono di come il mondo cambi attorno a loro. Nel finale lancia sempre il solito messaggio forte allo spettatore: la mafia è frutto delle prese di posizione della politica e del popolo e, in un tempo non molto lontano dal presente, ha trovato terreno fertile nell’omertà di questi soggetti e le conseguenze di ciò si pagano ancora oggi. Per chi lo ha apprezzato e ne è rimasto stupito in maniera positiva dal suo esordio cinematografico con La Mafia Uccide solo d’Estate, nel suo secondo lavoro ritrova un Pif abile narratore, come in precedenza, ma più cosciente nei suoi mezzi e nelle sue qualità da regista: certo i tratti della sua fortunata serie tv, Il Testimone, emergono sempre, ma si può dire sia ormai il suo carattere distintivo, quel modo spicciolo e senza veli di raccontare la realtà del nostro Paese che lo ha fatto conoscere ed apprezzare dal pubblico italiano . In conclusione In Guerra per Amore è un bel film, nel quale il regista mette ancora una volta in evidenza l’amore per la sua terra da sempre travagliata e lasciata alla mercé di questo cancro che ormai, da tempo immemore, l’affligge: il messaggio che si coglie è quello di prendere coscienza di ciò che è stato e ciò che è l’associazionismo mafioso, affinché ci si possa assumere la responsabilità e il coraggio di denunciarne gli oltraggi commessi e riuscire a debellarlo in un futuro non tanto lontano da noi. ▪

Tenente Catelli: "Ma qui è così importante quello che pensa la gente?" Arturo: "Lieutenant, se la gente viene a sapere che a me non interessa cosa pensa la gente, cosa può pensare la gente di me?"

23


CHIACCHERE DI CARNEVALE

Una chiacchera per regione, e non solo. C’è chi le chiama bugie, chi frappe, chi frittole, chi cenci. Per qualcuno sono le lattughe, per altri le gale. Regione che vai, nome che trovi. Su una cosa tutti nel Belpaese sono concordi: le chiacchere sono le regine dei dolci di Carnevale. Questo nome venne dato dal cuoco della regina Margherita di Savoia ai biscotti che dovevano accompagnare le conversazioni della sovrana nei suoi salotti. L’origine del dolce, però è ben più antica e risale all’epoca romana; in quel periodo venivano fatti dei dolcetti a base di uova e farina chiamati ”frictilia”, fritti nel grasso del maiale e preparati dalle donne romane per festeggiare i Saturnali (festività che corrisponde al nostro carnevale). Si era soliti farne grosse quantità, perché dovevano durare per tutto il periodo della Quaresima. Questo dolce veniva servito alla folla che si recava in strada per festeggiare il carnevale e, poiché era semplice da preparare, se ne potevano fare grandi quantità in breve tempo e a un basso costo. La tradizione dei frictilia è sopravvissuta fino ad oggi, apportando solo piccole modifiche alla ricetta di base a seconda delle varie tradizioni regionali, anche se è sempre più raro trovare in giro chiacchere o cenci fritti nello strutto. Anzi, sulla scia del salutismo e delle manie delle diete, è più facile trovarle fritte nell’olio o cotte al forno.

Ingredienti: 200 g di farina 00; 1 uovo; 25 g di burro; 100 g di zucchero; 1 limone; 1 bustina di lievito per dolci; 1 pizzico di sale; zucchero a velo q.b.; 1 lt di olio di semi di girasole.

Procedimento: Preparare la base impastando insieme farina, lievito, burro ammorbidito, uovo intero, zucchero, scorza di limone e il pizzico di sale: una volta che l’impasto è omogeneo e liscio, spolverarlo con della farina e lasciarlo riposare per 15 minuti. Stendere l’impasto con un matterello piccolo fino a quando non abbia raggiunto un’altezza di 3 mm. Ritagliare delle strisce lunghe quanto la lunghezza dell’impasto steso. Tagliarle ancora a metà nel caso in cui siano eccessivamente lunghe. Scaldare l’olio per friggere e, una volta caldo, immergere le singole strisce di pasta. Farle rosolare, scolarle su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso e quindi, una volta tiepide, cospargerle con zucchero a velo. ▪

24

“Leva a' taverna 'a nanze 'a carnevale.” (“Evita le tentazioni se sai di non poter resistere”, dialetto napoletano)


CRUCIVERBA 1

2

3

4

5

6

7

14

15

18

19

23 29 35

46

48

43

49

54 59

64

65 68

69

34

39 45

51

52

56 60

53

57

61

62

66

63

67

70

71 73

76

81

33

44 50

72 75

27

38

55

58

13

22

37 42

12

32

36

47

11

17

26

31

41

10

21 25

30

9

16

20

24

28

40

8

77

78

82

74 79

80 83

ORIZZONTALI 1 Fu Presidente della Repubblica tra il 1978 e il 1985, 7 L'opera di Saviano, 13 Sovrano, 14 Un verbo che dovrebbe essere sconosciuto ai cristiani, 15 Bologna, 16 La bomba sganciata su Hiroshima, 18 Costa, 19 Il padre della macroeconomia, 22 La città eterna, 23 Lo grida il torero, 25 Nel mezzo dell'anta, 26 Quella su Roma è del 1922, 28 Il giornalino della Cappella Universitaria, 33 Appartiene a me, 35 Esprime stupore, 36 Titolo aristocratico dell'Etiopia, 37 La casa delle api, 39 Un ragazzo di Londra, 40 Ascoli, 42 A te, 44 Con la “cruna” nel primo romanzo di Ken Follet, 45 Indirizzo internet, 46 Che riguarda tutto il mondo cattolico, 51 La Yoko della musica, 52 Azienda ospedaliera pisana, 54 Cornice inglese, 55 Obbliga a fermarsi, 56 Lecce, 58 La scritta sulla croce, 60 Articolo maschile, 61 Agli estremi degli alberi, 62 De André ne canta la guerra, 64 America on line, 65 Salsa a base di senape, 67 Prefisso che indica uguaglianza, 68 Sono pari nei mesi, 70 Il più noto è quello delle Amazzoni, 71 Le “merengues” di Madrid, 72 L'antica Ilo, 73 Forma di scambio, 75 È fatta a intreccio, 77 La realizzazione del bomber, 79 Varietà di giallo-bruno, 80 Siracusa, 81 Antipatico, 82 Profeta dell'Antico Testamento, 83 Né tue né sue.

VERTICALI 1 Fu invasa dai nazisti, 2 Impresa di costruzioni, 3 Il verbo...che fa bene alla salute, 4 Uno dei principali concetti del pensiero cinese, 5 Simbolo dell'iridio, 6 Cantautore italiano che ha ritrovato la fede a Medjugorje, 7 Abito da donna, 8 Più...spagnolo, 9 In mezzo alla dote, 10 Quella Sacra è il tribunale della Santa Sede, 11 Roma, 12 Associazione per la ricerca sul cancro, 13 Grosso cucchiaio concavo, 15 In inglese indica l'autore, 17 Antica università portoghese, 20 Quella del vicino è sempre più verde, 21 Il vulcano della Sicilia, 24 Sassari, 26 Vasta regione tra Russia e Cina, 27 La donna colpevole, 29 Il Nobel 2016 per la Medicina, 30 La capitale dell'Impero, 31 Ente con personalità giuridica, 32 Lo dice la rana, 34 Gli estremi dell'okay, 38 Particella atomica, 41 Tiene unite due parti mobili, 43 Immagine sacra, 47 Il principe dei mostri, 48 Messina, 49 Sono dispari nel naso, 50 Ordine Pubblico, 53 Apre la via agli altri, 54 Regione del Belgio, 57 Esprime allegria, 59 Un undici genovese, 61 Il fiume caro a Manzoni, 62 Nessuno volle scagliare la prima, 63 Il re dei venti, 66 Congiuntivo di essere, 69 Imposta sul reddito delle società, 71 La matrice che assegna le responsabilità, 73 Si sostituisce a un lungo e noioso discorso, 74 Una federazione americana di wrestling, 76 Secondo Freud rappresenta la voce della natura dell'uomo, 77 Le iniziali dell'avvocato Agnelli, 78 In mezzo al polo, 80 Lo dicono gli sposi. Le soluzioni sono disponibili all’indirizzo: http://www.capunisi.it/index.php?option=com_content&view=category&id=14

25


26




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.