39 dall'individuazione alla vaghezza sulla biennale di venezia
Rosanna Ruscio
dall'individuazione alla vaghezza sulla biennale di venezia
Koki Tanaka: Of Walking in Unknown, 2017 (Padiglione della Terra).
Se il titolo Viva Arte Viva scelto per la 57° edizione della Biennale di Venezia (a cura di Christine Macel), sottintende già di per sé l’impegno di rendere in qualche modo omaggio alla vastità dell’arte, i sottotitoli dei vari padiglioni ribadiscono un impegno, quello di sottrarre la storia che si sta per narrare alla confusione con altri destini, con altre vicissitudini, come quello di pensare all’arte come intrattenimento o semplice abbellimento. “L’arte di oggi di fronte ai conflitti e ai sussulti del mondo - ha dichiarato la curatrice – testimonia la parte più preziosa dell’umanità, in un momento in cui l’umanesimo è messo in pericolo. Essa è il luogo per eccellenza della riflessione, dell’espressione individuale e della libertà, così come degli interrogativi fondamentali. L’arte è l’ultimo baluardo, un giardino da coltivare al di là delle mode e degli interessi specifici e rappresenta anche un’alternativa all’individualismo e all’ indifferenza”. Ecco che così dall’incipit dell’arte intesa come mezzo attraverso la quale rintracciare le forze attive nel mondo, fanno seguito i ragionamenti svolti nei singoli padiglioni, raggruppati in testimonianze indistinte e dai titoli assai suggestivi, il più delle volte anche belli: il Padiglione degli artisti e dei Libri, delle Gioie e delle Paure, dello Spazio Comune, della Terra, delle Tradizioni, degli Sciamani, del Tempo e dell’Infinito, altre invece semplicemente scontati: il Padiglione Dionisiaco e il Padiglione dei colori. Nonostante il punto di partenza ambizioso di volere esaltare le potenzialità illimitate dell’uomo creando una sorta di “poema epico” composto da nove episodi, “nel quale a ciascuna opera singolarmente, è lasciato il compito di impegnare il visitatore con la sua vitalità”. Via via che si passa la soglia
dei singoli padiglioni, si ha l’impressione di entrare in altri mondi, tra loro separati e spesso lontani dal modello indicato. E così all’incipit dell’individuazione, quella bene espressa nei titoli, finisce con il contrapporsi l’incipit della vaghezza e della distrazione. Anche in questo caso, è stato riconosciuto come un valore l’inclusione di artisti meno noti ma comunque attivi già negli anni settanta, quando, guarda caso, gran parte delle tematiche proposte nei padiglioni costituivano oggetto di parecchie riflessioni ed incontri. Vediamo assieme a molti video, un trionfo di opere tessute e di carta, tante opere in cui la manualità sembra di nuovo costituire un punto di forza. “Il bricolage è fondamentale nel pensiero dell’uomo”, aveva scritto Claude Lévi Strauss nel 19621, ma di questa perduta riflessione, qui non resta, forse non necessaria, che una affabulazione sommaria. Tuttavia, se è vero che sorprendono alcune facili semplificazioni, come includere nel Padiglione Terra le opere meno significative di Michel Blazy, in altri casi lo sguardo di alcune opere da sole riescono a colmare l’indeterminatezza di molti spazi. È il caso del video del giapponese Koki Tanaka che documenta il suo viaggio a piedi verso la più vicina centrale nucleare. Di Maria Lai, tra i cinque artisti italiani presenti alla rassegna (assieme a Giorgio Griffa, Riccardo Guarneri, Irma Blank, Michele Ciacciofera e il giovane Salvatore Arancio) le cui trame ed orditi tessuti, conservano un’energia poetica assai commovente, ed ancora di Ernesto Neto, Edith Dekyndt e i meno noti Hajra Waheed e Tibor Hajas. L’indistinta vaghezza didascalica che avvolge l’intero percorso espositivo che si snoda nei sette Padiglioni dell’Arsenale, trova una migliore precisazione nel Padiglione centrale ai Giardini. Sarà per la capienza compatta degli spazi, per l’astuzia dei temi, oppure semplicemente perché è da qui che la curatrice ha ipotizzato di cominciare il suo racconto, sta di fatto che in questo Padiglione dedicato agli Artisti e ai Libri, l’interrogazione sulle ragioni positive o negative di fare arte si sostanziano di ragionamenti densi e stimolanti, ed i temi quali l’ozio e l’azione, la pigrizia e l’operosità, emergono vestiti d’ogni determinazione individuale negli interventi di Olafur Elliason, Hassan Sharif, Kiki Smith, Franz West e John Latham. Tuttavia, se la lista dei temi qui sembra disperdersi in un moltiplicarsi di digressioni talvolta un po’ deboli, diversamente visitando il Padiglione Italia (curato da Cecilia Alemanni), si ha l’impressione di come il potenziale implicito di un tema e di uno spazio, possa essere svolto in una soluzione di immagini compiute, dove la densità di concentrazione si riproduce nell’inventiva delle singole
meta esposizioni
Rosanna Ruscio
Anne Imhof, Faust (part. della performace al Padiglione tedesco).
opere dalle colorature eterogenee e complesse. L’ipotesi enunciata in questo progetto intitolato Mondo magico, prende spunto dall’omonimo libro dell’antropologo Ernesto de Martino, scritto nel secondo dopoguerra2 in polemica con lo “storicismo pigro” considerato, incapace di aprirsi alla comprensione di ciò che era situato oltre i confini della civiltà occidentale nel dare forma al mondo. Considerazioni, ancora attualissime e di certo ancora riconducibili alla nostra contemporaneità storica buia e controversa. E proprio attorno a questo tema che si è formato un campo di analogie, di simmetrie e contrapposizioni messe in scena dagli artisti Adelita Husni Bey, Giorgio Andreotta Calò e Roberto Cuoghi. Artisti che, nonostante le loro sottintesa differenza stilistica, hanno condiviso la stessa fascinazione per il potere trasformativo dell’immaginazione, come strumento di conoscenza e come identificazione con l’anima del mondo. Nell’organizzazione di questo materiale che non è solo visivo ma anche concettuale è intervenuta la necessità di dare un senso coerente allo sviluppo della storia. Le tre installazioni sono imponenti, a tratti grandiose e si offrono allo sguardo dello spettatore sollecitando un’infinità di sforzi ai quali è difficile sottrarsi: dall’ oscurità densissima dell’ambiente all’esperienza urticante del percorso fatto di interruzioni, deviazioni, salite e discese. Si comincia con il suggestivo sepolcro labirintico allestito da Roberto Cuoghi nel quale l’immagine umana si sostanzia della simbologia sacra dell’Imitato Christi e si conclude con la scenografica impalcatura di Giorgio Andreotta Calò Senza titolo (la fine del mondo) che offre una visione speculare del mondo, quella definita dalla bassa infilata di tubi da ponteggio e quella suggerita dalla piattaforma superiore fatta di legno, nel
quale lo sguardo si perde, affonda nel riflesso della poca acqua alla ricerca del mondo capovolto. A ben vedere, non è una forzatura rintracciare in questa congestione di spazi ed oscurità, tutto lo scetticismo in cui annega il nostro periodo storico, e non sorprende constatare che pure in questa circostanza il riconoscimento del Leone d’oro non sia andato all’introversione cupa dell’Italia ma invece, all’installazione potentissima rappresentata da Anne Imhof per il Padiglione tedesco, la cui scelta rigorosa di oggetti, corpi, immagini e suoni per quanto in “grado di generare uno stato di ansia“ , conserva una vitalità assertiva, fisica e muscolare, di nitidezza algida ma pur sempre cristallina. Note 1 C. Lévi Strauss, La pensée sauvage, 1962 (trad. in ital. 1964). 2 Ernesto de Martino (1905-1965) pubblicò Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo, nel 1948 per la casa editrce Einaudi.
Robert Cuoghi, Imitazione di Cristo (Padiglione italiano).