Io, Luca Vitone • o il manifesto del monumento impossibile - Nuova Meta 39

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39 IO, LUCA VITONE o il manifesto del monumento impossibile

Lisa Andreani


IO, LUCA VITONE

o il manifesto del monumento impossibile La retrospettiva presentata in questi giorni al PAC di Milano ha la forma di cartografie antiche e cartografie dell’oggi che, nell’intento di trovare una risposta, si interrogano su che cosa definisca un luogo. Per rispondere, la ricerca socio-politica e teorica viene, nella forza della praxis di Luca Vitone, lasciata in sospeso per dare al mettersi in ascolto un ruolo centrale. In questo tendere l’orecchio, allora, i saggi polifonici si impastano tra di loro tessendo e consolidando un legame di appartenenza con ciò che per primo ci lega a un luogo: la lingua parlata e il suo tono nelle relative cadenze dialettali. Dapprima, in una delle sale del PAC incontriamo in Sonorizzare il luogo. Europa (1989-1993) lo spazio del quel che si potrebbe definire (sempre restando in termini di linguaggio più “volgare”) il far caciara. In realtà, nello sgretolarsi della sovrapposizione delle voci, si rende comprensibile il lavoro su livelli che ci porta a restare per identificare la lingua di una delle minoranze presenti negli stati delle mappe neutre, di cui solo i confini appaiono tratteggiati. La sovrapposizione si ripresenta poi nella performance Trallalero (2017) realizzata in occasione del-

Nulla da dire solo da essere, 2004. 21 bandiere in tessuto di lana, tiranti in acciaio.

la giornata del contemporaneo. Il canto genovese tesse insieme toni e timbri diversi e insieme ad essi una relazione affettiva e personale con le origini dell’artista. Manifesto delle migrazioni contemporanee è, invece, l’audio che incontriamo ai Chiostri di San Eustorgio. Rappresentazione di una memoria individuale, ogni singola voce parlante, alla ricerca di un sentire capace di ripristinare il ricordo del paese delle proprie origini, viene rispolverata per comprendere come potrebbe risultare un possibile ritorno. Un rispolverare e scoprire che, in Futuro ritorno (2008), sancisce la crisi di quella che l’artista definisce una “perdita topologica”. Nell’incertezza e paura che il pendolo di Il centro non comunica la perdita (1988) si possa in qualche modo trasfigurare nella nostra immagine, questa possibilità sta alle porte. Luca Vitone, tuttavia, mette in luce uno spiraglio di possibilità quando ci permette di leggere i tratti geografici della mappa circolare come indistinti e forse ancor più spaesanti. Nel proseguire della narrazione, il discorso verte poi sulle possibilità di traduzione del monumento da eroico elemento di rappresentanza a oggetto fragile e precario


meta osservatorio

Lisa Andreani in cui la padronanza della sua ufficialità crolla ai piedi di una chiara vergogna. Stiamo chiaramente parlando di Souvenir d’Italie, smascheramento di cospiratori antidemocratici in una lista di nomi e in una targa che rappresentando il simbolo della loggia P2 evidenzia una storia oscurata, piuttosto che l’emblematica battaglia passata in cui qualcuno si è sacrificato in nome di una vittoria per il bene comune. Successivamente il trenino in procinto di deragliare è l’immagine di un incidente già presentato e che continua a ripresentarsi. L’avanzare del potere che annulla i tratti distintivi di un popolo a favore di una automatica rappresentazione generica di cui le bandiere sarebbero il simbolo. Per questo Vitone sceglie di dar loro i colori dell’anarchia e la ruota delle popolazioni Rom e Sinti; unisce due pensieri molto diversi ma in realtà molto vicini, l’anarchia e il nomadismo, per costruire una riflessione sulle costrizioni categoriche che provengono dall’alto. La flessibilità del concetto di monumento è allora in atto e continua in seguito nelle fotografie di quegli alberi, perfetti sostituti di una scultura equestre, che danno sostanza con forme e carattere etereo alla frase enigmatica che si trova sotto di loro. L’anagramma del nome di un caro amico e collega nasconde la rivelazione della profondità e forza di un legame. Cammin facendo, le tracce e segni di ciò che abbiamo attorno si danno a vedere in modo sempre più marcato: da un lato in Stanze (Pac Milano) (2017) le pareti perfettamente white accolgono i residui di ciò che in un luogo si deposita, dall’altro

la planimetria Padiglione d’Arte Contemporanea (2017) apparentemente neutrale con quelle eccessive misure poste in ogni dove ci costringe ad una quantificazione che riecheggia un possibile valore economico di ogni metro quadrato presente. Il tappeto aritmetico di numeri cede il posto al Museo del Novecento al progetto di mappatura di luoghi in cui le maggioranze migranti si raccolgono. Il progetto Wide city proposto in occasione di una mostra avvenuta nel 1998, in quella stessa sede attuale che al tempo era un Openspace per giovani artisti, si espandeva e offriva molto di più al di fuori di quelle mura. E che cosa offriva? Cartine geografiche di una Milano interculturale che, invece di segnalare come punti importanti i classici monumenti che ogni turista non può perdere, rimarcava la necessità di porre attenzione ai centri culturali, associazioni, mercati, luoghi di culto di popoli migranti. L’artista aveva inoltre organizzato per l’occasione delle visite guidate che permettevano nel girare lungo nuovi itinerari nella città di aprire il proprio sguardo e le proprie capacità di accoglienza. Ad oggi una disposizione quasi cartografica di fotografie sulle pareti illustra i punti e le strade attraversate alla ricerca di quei luoghi assolutamente da segnalare, mentre la domanda che ritorna è sempre la stessa: che cosa definisce un luogo? Probabilmente nelle sue Previsioni del tempo (1974-1994), il piccolo Vitone aveva già compreso la risposta. A noi, invece, lascia spazio ancora alla riflessione, alla costruzione di sovrapposizioni che non siano cancellazioni di nomi, di voci e tradizioni.

Ultimo Viaggio, 2005. Automobile, sabbia, 8 oggetti, mensola, 5 fotogra e a colori cm 50x77 ciascuna, 1 fotogra a in bianco e nero cm 50x77. Dimensioni ambientali. Collezione Nomas Foundation, Roma.


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