36 metodologie espositive a confronto orientamenti delle mostre pubbliche a milano
Martina Ganino
metodologie espositive a confronto orientamenti delle mostre pubbliche a milano Piero Manzoni, Linea m 7200, 1960, inchiostro su carta, cilindro di zinco ricoperto da fogli di piombo; cm 96x66, Heart, Herning.
Emilio Scanavino, Scultura, 1968, bigoli in terra cotta smaltata e uovo dorato a 3° fuoco, dimensioni variabili.
Molte le mostre organizzate e proposte dalla città in questo periodo, esposizioni diverse per temi e soggetti coinvolti, ma che rientrano tutte nel palinsesto della Primavera di Milano, un progetto del Comune dedicato alla città ed alle sue eccellenze storico artistiche e culturali, per provare a rendere la nostra metropoli una capitale culturale. Una di queste è la retrospettiva dedicata a Piero Manzoni, allestita a Palazzo Reale e curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo, che con oltre centotrenta opere descrive la vicenda artistica di uno dei protagonisti dell’arte italiana degli anni cinquanta. La mostra racconta il percorso artistico di Manzoni, attraverso una selezione di pezzi chiave che accostati gli uni agli altri vogliono mostrare il mutare e l’evolversi delle tecniche sperimentate dall’artista. Dai primi quadri, scuri e materici, segnati dalla presenza in silhouette di oggetti forse simbolici come le chiavi, agli Achrome, con sovrapposti strati di gesso spatolato, tela grinzata e caolino, che si evolvono negli anni con la sovrapposizione di cotone idrofilo, polistirolo espanso, sassolini, fibra sintetica e carta compressa. Le Linee, che nascono dalla riflessione sul tempo, lo spazio, il segno e la carta, costituite da un segno grafico continuo tracciato all’infinito su un rotolo di carta bianca, tagliato a metri e inscatolato, con tanto di etichetta che ne dichiara al pubblico il contenuto, cui si affiancano i Corpi d’aria, sculture pneumatiche preparate e confezionate in serie dall’artista affiancate dalla variante del Fiato d’artista. Le Uova firmate da Manzoni con la sua impron-
ta digitale, la Base magica, all’origine delle Sculture viventi e delle relative Carte d’autenticità, fino alla da tutti conosciuta Merda d’artista. Fa da corollario un nucleo di documenti d’archivio, cataloghi, fotografie e manifesti, che raccontano l’artista e il momento culturale che lo vide protagonista. Una mostra interessante che, attraverso la selezione delle opere esposte, permette di cogliere l’evoluzione e il procedere dell’arte di Manzoni, se pur con qualche difficoltà dovuta ad un allestimento che se sembra pensato e strutturato in maniera cronologica, nella realtà risulta mescolare le diverse tipologie di opere esposte, confondendo sugli effettivi sviluppi del suo fare artistico. Alla Fondazione Stelline è allestita Nascenza, personale di Emilio Scanavino. Curata da Elisabetta Longari in collaborazione con l’Archivio Scanavino, la mostra è costruita come un percorso di rilettura di alcune opere dell’artista, che è stato uno degli indiscussi protagonisti dell’informale italiano. Un allestimento semplice che rende protagoniste le sculture, le installazioni ed un nucleo di disegni inediti, selezionati per l’occasione, che nella sala con volta a botte in mattoni rossi della Fondazione trovano la loro perfetta collocazione, come fossero posti dentro un’ideale incubatrice. Guardando le opere esposte sembra emergere un fare arte che ha alla sua origine alcune forme semplici e pulite, primordiali, da cui l’artista continuamente riparte, declinandole lungo percorsi creativi di volta in volta diversi. L’uovo, le mani, i nodi, sono simboli del fare e del creare, che da una materia primordiale nascono e si sviluppano evolvendosi e trasformandosi lentamente. Le mani rappresentano un punto di partenza materiale, in quanto strumenti del fare, e insieme creativo: sono loro che plasmano la terra dandole quella forma paradigmatica che le è propria, ma al contempo sono emblema di un fare artistico che per Scanavino è un fare artigianale. L’uovo è qui me-
meta osservatorio
Martina Ganino tafora della nascita, della nascenza citata nel titolo della mostra, ma è anche simbolo di uno sviluppo che segue le leggi della natura, che se pur materialmente è creato dall’artista, una volta germogliato segue una propria libera evoluzione. Nei disegni, che possono essere forse letti come fasi del ciclo di sviluppo di alcune delle opere esposte, in un’ottica del fare arte per la quale tutti i diversi mezzi espressivi concorrono alla produzione artistica, emerge con forza questa trasformazione della forma archetipica secondo un percorso proprio. La Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente dedica invece la propria esposizione a quegli artisti milanesi per nascita o per adozione nati esclusivamente tra il 1930 e il 1939 e quindi appartenenti, anagraficamente, alla generazione di Manzoni, che protagonista della mostra di Palazzo Reale diviene qui punto di partenza per tracciare una mappa di quel periodo. La mostra curata da Elena Pontiggia e Cristina Casero è certamente un’occasione per restituire lustro ad una storica istituzione milanese, attraverso un percorso che vede protagoniste cinquantasette opere, una per ognuno degli artisti presenti, selezionate tra quelle della stagione artistica successiva al realismo, all’informale, al realismo esistenziale. Certo si può contare chi manca, chi è stato escluso, ma i criteri alla base della mostra sono ben chiariti dalle curatrici nel catalogo. Apre l’esposizione Dangelo, seguito da un monocromo bianco di Castellani e uno rosso di Bonalumi. C’è una splendida Superficie magnetica di Boriani e tutto il Gruppo T al completo; c’è il gruppo del Cenobio, senza Vermi di un paio d’anni troppo giovane; ci sono i colori forti e i soggetti fumettistici di Adami e la riflessione sulla società contemporanea di Mariani vicino alle opere antiamericane di Baratella e Spadari. Federica Galli e Iros Marpicati, Forgioli, Pericoli, Vago e Ossola, un Libro cancellato di Emilio Isgrò e un collage di Gini. Ampio spazio è poi dato, fortunatamente, alla scultura, con opere allestite al centro della sala, all’interno di una struttura costruita come una sequenza continua di vani. Da Staccioli a Pardi, da Spagnulo a Pomodoro Fabro e Bodini, con opere selezionate in primis tra quelle facenti parte delle collezioni della Permanente stessa, che ben raccontano le ricerche cruciali del periodo. Infine Aligi Sassu e Nino Franchina. Opere su carta nella Milano degli anni Trenta, la mostra curata da Valentina Raimondo e allestita nelle due sale espositive della Fondazione Corrente lungo un percorso che vede affiancati disegni per lo più inediti e rari materiali d’archivio, che è stata realizzata grazie al prestito delle opere concesso rispettivamente dalla Fondazione Helenita e Aligi Sassu e dall’Archivio Nino Franchina. I due autori provengono da esperienze artistiche di-
verse, sia dal punto di vista geografico che da quello più strettamente espressivo; se Sassu guarda da un lato al futurismo mentre dall’altro studia la pittura dell’ottocento francese, che lo influenzerà nella declinazione dei temi indagati nelle sue opere e nella chiave di lettura usata per guardare all’arte precedente, Franchina si forma all’Accademia di Palermo e realizza le sue prime opere a partire dagli stilemi del Novecento, guardando poi all’espressionismo francese. Dall’ottobre 1936 all’aprile 1937 lo scultore siciliano e il pittore milanese di origini sarde condividono non soltanto lo studio di Sassu in via Sant’Antonio, ma anche le amicizie, la vita e la ricerca. I contatti con il mondo artistico e culturale della Milano degli anni Trenta sono stretti per entrambi e comuni; risulta inevitabile la reciproca influenza, che sembra nascere anche dall’esigenza di produrre un’arte che sia, col procedere dei giorni, sempre più eticamente motivata. Emerge una ricerca comune che vede protagoniste le figure umane, studiate nei volti e nella declinazione dei corpi, uomini, donne ma anche pugili e cavalli, che se appartengono, quest’ultimi, al mondo proprio di Sassu, diventano ora protagonisti anche degli studi di Franchina. Guardando le opere in mostra si vede chiaramente la comunione di soggetti, mezzi e sviluppi espressivi, tanto che talvolta risulta quasi difficile distinguere le due diverse mani; questo non nell’ottica di un copiare l’uno i tratti nell’altro, ma nel parallelo sviluppo formale delle soluzioni disegnative proprie della loro comune indagine artistica.
Aligi Sassu, Disegno 6, Senza titolo (Figura femminile), acquarello su carta, mm 330x244, 1934, Fondazione Helenita e Aligi Sassu.
Luciano Fabro, De Italia, 1972, pelle piegata, cm 110,5x110.