BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO
Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013
Anno 2015 Numero 6 NOVEMBRE DICEMBRE
IL DURO MARMO NON È SCALFITO DA ALCUNA CRISI (a pag. 16)
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IL PUNTO Terrore in Europa e occasioni mancate
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UNICEF La grande semina
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ATTUALITÀ Il tassista del Cosmo
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Il Punto I conti con il terrore
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L’intervista Roberto Chiesa
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Expo/1 Progettare il dopo
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Expo/2 Il “cavallino” di Leonardo
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Unicef Emergenza minori
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Made in Italy Un business marmoreo
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Borsa Merci Commercio senza confini
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Clima Una nuova Kyoto
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Aerospazio Umbria in orbita
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Paola Santarelli Il bello degli affari
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Legge Un atto di fiducia
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Mezzogiorno La ricetta Confapi
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Fincantieri Il business crociere
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Massoneria Inno alla trasparenza
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Fisco Flat Tax
LE FRONTIERE DELLA MEDICINA a pag 4 Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale
Francesco Carrassi Direttore Responsabile
Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione
Katrin Bove Germana Loizzi
COSTUME & SOCIETA’
38 40 43 46 48 52 54 56 57 59 61 63 64
SANT’ANNA IN CAMPO IL TASSISTA DEI CIELI AUGURI, MAREVIVO! POP ART I FERRAGAMO AL TEMPO DEL JOBS ACT IL VINO IN ROSA L’ALTRO VULTURE CULTURA & AMBIENTE MODA IN RIPRESA LA NEVE NELL’OBIETTIVO QUALITÀ SIXTUS IL VERO GIUBILEO
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IL PUNTO del direttore
TERRORE & OCCASIONI MANCATE di Pietro Romano
L
e agenzie di informazione alternano grottescamente notizie dal regno del terrore e richieste di mance a categorie e territori che parlamentari (più o meno) anonimi chiedono di inserire nella Legge di Stabilità. Da un lato, il sangue sparso nel cuore dell’Europa. Dall’altro, “show must go on”, come se niente fosse. L’ennesima occasione mancata per la politica, cui non supplisce di certo la più volte fallimentare “società civile” invocata a colmarne le carenze, altrettanto impegnata nella pesca delle occasioni Intendiamoci. La Legge di Stabilità (che è poi la vecchia Finanziaria, di cui non ha perso nulla tranne il nome, nemmeno il rituale “assalto alla diligenza”) sarebbe migliorabile. Visto che nel nostro Paese con la scusa dell’Europa-che-ce-lo-chiede è stato giustificato ogni genere di efferatezza politico-economica, vogliamo dire che cosa ha detto Bruxelles della manovra? “Conti a rischio, Italia rimandata”, ha sintetizzato il Sole 24 Ore, solitamente misurato. E, vista la considerazione che in Italia si ha della stampa straniera, vogliamo andare a leggere il Financial Times? “Governo impreparato, l’Italia rischia”. Un giudizio francamente impietoso, ma certo non aiuta a capovolgerlo, a voler fare un solo esempio, il paragrafo “Mezzogiorno” della manovra. I fondi stanziati sotto questa voce sono quasi al centesimo quelli europei. E i quindici patti “per il rilancio” presentano solo un titolo, in attesa di essere riempiti, chissà quando, di contenuti. A chi poi andrebbe affidato questo “rilancio” non
è chiaro. Le regioni – si dice, ma non esponenti della variegata e ad assetto sempre è vero, basta prendere l’esempio variabile maggioranza), a fini di bottega della Puglia – hanno dimostrato di da associazioni imprenditoriali e sinnon essere in grado di dare vita a dacati. Quindi, c’è poco da discutere progetti realmente utili. Ma la centrala Legge di Stabilità: è l’unica che ablizzazione della spesa non è che stia biamo. E ce la teniamo. Anche se bifunzionando meglio. E’ il caso del sogna fare i conti con la Commissione Piano infrastrutture, dotazione miliareuropea. daria e cabina di regia ministeriale. A A Roma, e molto più a Bruxelles, semdue anni dal lancio della nuova tornata brano non essersi accorti che questo di fondi europei a Bruxelles non è pranovembre impone, invece, altri passi ticamente arrivato ancora nulla. L’iter anche all’economia, per non dire alla sarebbe bloccato, si sussurra, perché i politica. Senza essere apocalittici, è finanziamenti più cospicui spettano probabilmente destinato ad avere gli alla portualità, ma a monte è necessario stessi effetti dell’11 settembre 2001, razionalizzare il sistema riducendo la ma in uno scenario ben diverso, dopo pletora di autorità portuali. I ras politici sette, otto anni di crisi solo in apparenza del nord, del centro, del sud, però, non ci stanno. Pensate a convincere il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, ad accettare che l’autorità di Salerno, della quale è stato sindaco, venga accorpata a quella di Napoli. O a voler unificare le autorità della Liguria, della Toscana, della Puglia, della Sicilia. Anatema! Eppure, nonostante le evidenti lacune, a questa Legge di Stabilità non c’è uno straccio di alternativa. Solo richieste di mance: a fini elettoralistici dai politici di opposizione (e, purL’8 dicembre ha inizio il Giubileo, massima allerta troppo, anche di tanti
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conclusa. Baloccarsi con i decimali in più o in meno nell’occupazione o la disoccupazione, nei consumi e nell’interscambio estero, in queste ore è, appunto, un divertimento da ragazzini. Fonti vicine alla più potente lobby europea, che è poi la Camera di commercio americana a Bruxelles, assicurano che il clima è da stato d’assedio. E non solo per motivi di sicurezza. Le riunioni si susseguono a ritmo continuato e i rappresentanti delle più grandi e potenti corporation d’oltre Atlantico fanno già i conti con le perdite prevedibili e con quelle imprevedibili. Si parla di Coca Cola, McDonald’s, Carnival, TwentyFirst Century Fox, per rendere l’idea.
Del resto, le stesse Borse hanno delineato lo scenario: salgono i titoli dell’energia e della difesa, calano gli altri, a cominciare dal trasporto, il turismo, il largo consumo. E dopo mesi al galoppo comincia a ridursi (benché su questo fronte gli attentati parigini non abbiano ancora avuto un ruolo) anche la crescita del settore automobilistico. Le notizie che arrivano dalla finanza lanciano un triplice allarme sulla fragile ripresa italiana. Se le Borse puntano sull’energia, vuol dire che petrolio e gas sono destinati a salire. Ma proprio il crollo dell’oro nero (con il ridimensionamento dell’euro rispetto al dollaro) è alla base dei “più” negli indicatori economici, a cominciare dalla bilancia dell’interscambio. Un’altra leva della nostra economia, il turismo, è quella che automaticamente finisce nel tunnel se cresce la paura. Infine, i numeri positivi della produzione industriale (e dell’export) si reggono principalmente sulle vendite di automobili, e sull’indotto della componentistica, che gli effetti degli scandali già avevano messo in crisi e la paventata riduzione dei consumi non potrebbe che danneggiare ancora. Che fare, allora? Ca-
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povolgere il tavolo è la prima reazione che ci viene in mente. Sarà istintiva, ma in questo momento più che la prudenza democristiana (benemerita in tanti casi) potrebbe essere necessaria la veemenza craxiana, altre volte fallimentare. Una veemenza che potrebbe dare frutti politici ed economici, per esempio, schierandosi senza se e senza ma, a costo di dissociarsi pubblicamente dall’Ue e dalla Nato, al fianco della Russia, partner economico privilegiato e da anni anche solida sponda politica dell’Italia. Su un altro versante ha pienamente ragione Massimo Mucchetti, giornalista prestato alla politica, che, dalle colonne della renzianissima “Unità”, è stato perentorio: “Il diritto alla sicurezza conta di più dei conti”. Se la Francia e l’Europa sono in guerra, i vincoli di finanza pubblica del Patto di stabilità perdono il loro già scarso senso. Se ci sentiamo in stato di guerra, sia pure asimmetrica, di tipo nuovo, non possiamo sperare di non sopportarne gli oneri. Ma, nel contempo, nessuno può chiedere ai cittadini dei grandi stati europei, Italia compresa, altri sacrifici in nome non del diritto alla vita, la nostra vita, ma di criteri astratti disegnati in un mondo che non c’è più. E che, per dirla tutta, avevano dimostrato ben prima del terrorismo che non valevano la carta su cui erano stati scritti. Come dimostra, se i sondaggi di opinione (perfino quelli ufficiali) hanno ancora un valore, lo scarso apprezzamento per l’euro che continua a farsi strada in tutta Europa e che, proprio in Italia, ha il suo picco.
PARLA IL PRESIDENTE DELLA SICVE
MALATTIE VASCOLARI, I PROGETTI Katrin Bove
I
l professor Roberto Chiesa, ordinario di Chirurgia vascolare all’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore dell’unità operativa di Chirurgia vascolare all’ospedale San Raffaele, è presidente della Società italiana di chirurgia vascolare ed endovascolare (Sicve). Membro delle più prestigiose Società nazionali e internazionali di Chirurgia vascolare, nel 2013 è stato presidente della Società francese di Chirurgia vascolare. Professor Chiesa, la Sicve ha tenuto da poco il suo congresso, in occasione dell’Expo. Che cos’ha significato per la Società italiana di chirurgia vascolare ed endovascolare? L’Esposizione Universale di Milano 2015 ha avuto come tema principale “nutrire il pianeta”. Le malattie cardio-cerebro-vascolari rappresentano la prima causa di mortalità e morbilità nel mondo, sono in costante aumento e sono strettamente correlate ai fattori di rischio alimentari e ambientali nonché allo stile di vita. La coerenza tematica di un congresso incentrato sulla malattie cardio-cerebro-vascolari con Expo 2015 è pertanto totale e la possibilità di organizzazione il XIV Congresso nazionale della Sicve nell’ambito di Expo 2015 è stata un’occasione pressoché irripetibile. Grazie all’appoggio e al patrocinio della Regione Lombardia, abbiamo potuto riunire nella sede esclusiva di Palazzo Lombardia a Milano quindici Società scientifiche impegnate nel settore che si sono confrontate non solo sugli aspetti strettamente clinici e tecnici del trattamento delle malattie ma anche sulle politiche socio-sanitarie e culturali mirate alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle malattie vascolari. In questa operazione sono state accolte anche le indicazioni e i consigli delle associazioni e degli stakeholder, ai quali è stato offerto largo spazio. Quali sono i principali obiettivi che si pone la sua presiProfessor Roberto Chiesa denza?
Durante quest’anno di presidenza, assieme al consiglio direttivo della Società e a quattro specifiche commissioni, focalizzate sul registro nazionale delle attività assistenziali, sui rapporti con il Miur, con il ministero della Salute e con Società scientifiche straniere ci si è dedicati a quattro punti principali. Il primo è senz’altro quello di investire sui giovani cercando finanziamenti per i loro progetti di ricerca più innovativi, offrendo la possibilità di collaborazioni e stage nei centri internazionali più prestigiosi e promuovendone l’attività nelle principali Società di chirurgia vascolare europee e anche d’oltre Oceano con specifici percorsi, per esempio nell’ambito della Società di chirurgia vascolare americana. Io sono direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia vascolare presso l’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano e parlando di giovani non posso non parlare di medici specializzandi. Troppo spesso nel nostro Paese la Scuola di specializzazione non ha rappresentato un reale percorso formativo in grado di rendere i giovani medici professionisti completi e autonomi. Troppo spesso i nostri giovani hanno poi dovuto “imparare realmente il mestiere” solo dopo la Scuola di specializzazione, una volta catapultati nella realtà ospedaliera. Requisiti formativi ben circostanziati, numero di procedure, di interventi, di attività clinica e diagnostica ben documentata devono essere garantiti da ogni Scuola di specializzazione e lo specializzando deve avere la possibilità di svolgere tutto ciò e disporre degli strumenti per tutelarsi qualora tali requisiti non siano soddisfatti. Un’azione di monitoraggio, verifica e tutela dell’attività svolta dai medici specializzandi nelle varie Scuole è un punto cruciale dell’attività della nostra Società. Quali sono gli altri punti qualificanti della vostra attività? Promuovere la meritocrazia negli ospedali e nelle università. Questa operazione, con attività costanti di verifica e monitoraggio sul territorio, risulta fondamentale nella ottimizzazione delle risorse da investire, sempre più
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limitate, che non possono essere distribuite indiscriminatamente. Quindi, trovare politiche che permettano realmente alle donne di competere con gli uomini ad armi pari in un mondo che vede ancora troppo raramente figure femminili ai vertici ospedalieri e universitari. Infine, sensibilizzare le istituzioni per una revisione aggiornata dei sistemi di rimborso regionali agli ospedali. Rimangono notevoli, infatti, le discrepanze tra procedure. La razionalizzazione e il riequilibrio di questi aspetti di rimborso deve rientrare tra le priorità delle moderne società scientifiche. In tempi di tagli, non sempre selettivi, alla spesa pubblica quali conseguenze possono avere queste politiche di revisione sulla sanità in generale? Uno dei rischi che più mi preoccupa nell’ambito di politiche che riducano gli investimenti nella sanità è la perdita di competitività di ospedali, università, medici. In un mondo sempre più piccolo e veloce non ci si può permettere di rimanere indietro, pena l’esodo dei nostri professionisti migliori all’estero e, con loro, di tanti pazienti italiani che non trovino “know how” e strutture adeguate nel nostro Paese. E, sempre in tema di tagli, si preoccupa di conseguenze sulla ricerca e sulle Società scientifiche? Bisogna comprendere che le risorse impiegate nella ricerca e nella formazione non sono costi ma investimenti. Se noi creiamo le premesse perché scienziati e medici possano formarsi e crescere al meglio, il tornaconto, in termini di salute dei pazienti e di produttività di ospedali e atenei, non tarderà ad arrivare.
Le polemiche, più o meno pretestuose, sulla malasanità e l’irruzione nel settore, in stile telefilm americano, di legali e associazioni può avere conseguenze sulla sanità? Temo, soprattutto, che possano minare uno degli elementi fondamentali dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente: la reciproca fiducia. Quando viene a mancare questo rapporto di fiducia, c’è il rischio che il medico possa cominciare a muoversi nell’ambito della cosiddetta “medicina difensiva”, ovvero di mettere in essere una serie di comportamenti clinico-diagnostici eseguiti o prescritti non perché si ritengano realmente utili per il paziente bensì perché potrebbero riuscire utili qualora il medico si trovasse coinvolto in qualche procedimento legale. Da parte del paziente, la perdita di fiducia, la mancanza di quella preziosa empatia che si deve creare tra chi ha bisogno di essere curato e chi deve somministrare le cure, può avere effetti anche più gravi. Svariate ricerche indicano che un terzo dei malati non si attiene alle indicazioni terapeutiche e, in molti casi, proprio per una carenza di fiducia: nella medicina, nel medico, nei farmaci. Allora i pazienti non possono difendere i propri diritti in campo terzo? Fermo restando l’imprescindibile diritto di ognuno alla tutela di fronte a un errore medico, la promozione di una politica di ostilità e diffidenza nei confronti del mondo della sanità dovrebbe tener conto dei potenziali danni che potrebbe creare se andasse avanti incontrollata senza opportuni e autorevoli strumenti di monitoraggio e verifica.
LA SANITÀ E NUOVA FINANZA
N
el 2016 la nostra rivista, sensibile a tutto il mondo economico e ai riflessi diretti e indiretti sull’economia e nell’interesse generale, dedicherà una serie di iniziative sulla sanità. La nostra redazione ha già varato un “palinsesto” che prevede rubriche dedicate ai vari settori della medicina con indicazioni che abbiano come obiettivo il risparmio in questo delicato settore della vita pubblica, cercando di non
far venir meno la qualità dei servizi a favore della collettività. Per questo motivo coinvolgeremo, tra gli altri, anche la società di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare ed altre eccellenze universitarie e ospedaliere. Siamo sicuri che il progetto editoriale di Nuova Finanza potrà dare un nuovo contributo alla discussione che porterà alle scelte di una Sanità sempre più al passo con i tempi.
Seguiremo la ricerca e tutte le sue scoperte e seguiremo soprattutto la preparazione dei nuovi medici che dopo la specializazione avranno la possibilità, affiancati dai nostri luminari, di mettere in pratica tutto quello che hanno appreso in lunghi anni di studi. Per quanto mi compete, come Direttore Editoriale della rivista, cercherò di andare oltre agli impegni che ci siamo prefissi. Francesco Carrassi
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LA SFIDA È STATA VINTA
DOSS
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IL CANTIERE DEL DOPO EXPO Sandro Neri*
«L
a sfida di Expo è stata vinta. È l’inizio di un nuovo impegno civico». Con queste parole il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiuso l’Expo di Milano, poco prima che i fuochi d’artificio, in una sarabanda di colori, sulle note di «Volare», illuminassero il cielo sopra i padiglioni e una folla record. Il bilancio, in termini di visitatori, chiude a quota 21 milioni (21,5 milioni i biglietti venduti), in attivo sulle previsioni della vigilia (20 milioni di ingressi). Gli stranieri sono stati 6,5 milioni. «Abbiamo dimostrato che siamo in grado di accogliere e stupire il mondo - ha aggiunto dal palco dell’Open Theatre di Expo durante la cerimonia di chiusura il commissario di Expo, Giuseppe Sala
- È stata l’Expo della gente». Mentre iniziano i lavori di smantellamento dei padiglioni che si chiuderanno a giugno, è il momento dei bilanci. L’affluenza sul sito di Expo è cresciuta con il passare dei mesi: a maggio gli accessi sono stati 2,7 milioni, 3,4 milioni a giugno, 2,7 a luglio, 3,4 ad agosto, oltre 4 a settembre e 5 a ottobre. Sabato 10 ottobre con 272.785 accessi è stato il giorno record. E gli studenti che hanno visitato Expo grazie agli accordi per i biglietti scontati tra Expo Spa e ministero dell’Istruzione sono stati 2 milioni. Mentre Ferrovie dello Stato ha portato a Milano 14 milioni di viaggiatori, di questi 6 milioni hanno scelto le Frecce e un milione è arrivato direttamente alla stazione di Rho Fiera Milano Expo. Secondo un’indagine di
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Coldiretti gli italiani hanno speso complessivamente 2,3 miliardi per visitare l’Esposizione universale tra viaggio, alloggio, ingresso e consumazioni all’interno. Circa 570 milioni di euro - sempre secondo le stime di Coldiretti - sono stati spesi per mangiare. E ne avrebbe beneficiato anche il turismo: secondo i dati dell’Osservatorio regionale Travel sono cresciute anche le presenze turistiche a Milano e in Lombardia: +9,6 per cento arrivi e +10,3 per cento nelle presenze tra giugno e luglio. «Un grande successo per l’Italia, la Lombardia, la città di Milano e per tutti i Paesi che hanno preso parte all’Esposizione - spiega il segretario del Bie, l’ente intergovernativo che si occupa delle Esposizioni universali, Vincente Loscertales - Expo 2015 è riu-
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scita a incoraggiare sfide e discussioni sul tema della nutrizione globale del pianeta, rendendo Milano un posto speciale per presentare le proprie idee». Mentre per verificare l’impatto di Expo sull’economia italiana (stimato in 10 miliardi di Pil da uno studio dell’Università Bocconi nel 2013) serviranno alcuni anni intanto le esportazioni agroalimentari italiane sono in crescita. L’obiettivo di ministero delle Politiche Agricole e industriali è arrivare a 50 miliardi entro il 2020: per ora le esportazioni sono aumentate dell’11,8 per cento sui mercati extraeuropei e del 3,8 per cento nei Paesi Ue nei sei mesi della manifestazione. L’Esposizione universale è stata anche l’occasione per numerosi incontri istituzionali: sono stati sessanta i capi di stato che hanno visitato Expo, tra i quali la cancelliera Angela Merkel, Vladimir Putin, Francois Hollande, Mariano Rajoy, David Cameron, oltre alla first lady americana Michelle Obama. Tutti hanno firmato la Carta di Milano: il documento di intenti per la lotta alla fame nel mondo e il contrasto agli sprechi alimentari, creato per essere l’eredità immateriale di Expo, che ha raccolto 1,5 milioni di sottoscrizioni. Nella corsa tra i Paesi ad accaparrarsi il titolo di padiglione più visto ha primeggiato quello degli Stati Uniti d’America con oltre 6 milioni di accessi. Negli ultimi tre mesi le code davanti ai padiglioni sono diventate una costante: interminabili quelle del Giappone, dove si è arrivati alle 9 ore di attesa per entrare. Ma anche Italia, Emirati Arabi e Kazakhstan hanno mantenuto una media di 4 ore di attesa nelle ultime settimane. E che fine faranno i padiglioni? I quattro silos della Svizzera, ad esempio, diventeranno serre urbane in altrettanti cantoni elvetici. L’oasi del Padiglione degli Emirati Arabi Uniti – tra gli elementi più ammirati dell’Expo – sarà ricollocata a Masdar City. Diverse le strutture che saranno riutilizzate per scopi sociali e progetti di cooperazione internazionale: il Padiglione Don Bosco diventerà un centro giovanile in Ucraina, i container che compongono lo spazio del Principato di Monaco ospiteranno un centro della Croce Rossa in Burkina Faso. Il Padiglione Coca Cola diventerà una struttura per il basket nel Comune di Milano. Alcuni Paesi ricicleranno le parti in legno e in ferro, mentre saranno demoliti totalmente i padiglioni di Cina, Germania, Spagna, Thailandia, Qatar e Uruguay. Resteranno invece sul sito di Expo Palazzo Italia, Ca-
scina Triulza, l’unica struttura preesistente e ristrutturata, il Padiglione Zero, l’Albero della Vita e, probabilmente, l’Open Air Theatre per il quale però servirà una copertura. Intanto sul sito di Expo sono subito iniziati i lavori di smantellamento. Per i primi venti giorni vengono inscatolati e portati fuori tutti gli allestimenti interni ai padiglioni. Solo dopo è in programma l’arrivo delle gru e delle ruspe per lo smantellamento dei padiglioni. Entro giugno 2016 il sito dovrà avere solo la piastra di cemento, gli spazi verdi e i canali, oltre a Palazzo Italia, Padiglione Zero, Cascina Triulza e Open Theatre. Anche l’Albero della Vita, diventato il simbolo dell’Esposizione universale milanese, resterà nell’area. «Con Palazzo Italia e l’Albero della Vita abbiamo fatto gol. L’Albero, in
Prende la parola il Presidente della Repubblica, Mattarella
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particolare, è diventato un simbolo mondiale», commenta Diana Bracco, presidente di Expo Spa. Oltre 14 milioni di persone quelle che hanno assistito agli spettacoli dell’Albero della Vita, ideato da Marco Balich e realizzato da Orgoglio Brescia con il contributo di Pirelli e Coldiretti, e che passeggiato tra le bellezze del Cardo alla scoperta delle esposizioni delle grandi eccellenze italiane. L’Albero è stato anche l’elemento più fotografato di Expo: più di 250mila scatti su Instagram. «<Grazie all’Esposizione universale - osserva la Bracco - l’Italia è tornata ad essere al centro del mondo». Padiglione Italia e Padiglione zero rimarranno «congelati» fino alla fine dei lavori, mentre a Cascina Triulza, gestita dalla Fondazione Triulza, rete di 62 associazioni e organiz-
zazioni attive nel terzo settore, verranno organizzati eventi a partire dalla fine di novembre. E cosa sarà dell’area di un milione di metri quadrati, passata da distesa di terreni agricoli a zona urbanizzata e dotata di servizi, nelle vicinanze del complesso fieristico di Rho Fiera? L’ipotesi più accreditata porta a una sorta di cittadella della conoscenza con spazi dedicati alle imprese innovative e un campus universitario dell’Università statale. La palla, finiti i lavori di smantellamento e una volta sciolta la società Expo spa, passerà ad Arexpo, la società proprietaria dei terreni le cui quote sono di Comune di Milano, Regione Lombardia, Fondazione Fiera Milano, Città metropolitana di Milano e Comune di Rho. «Si tratta di un’area strategica non solo per il territorio milanese - assicura il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia - ma per l’intero Paese essendo all’avanguardia sia dal punto di vista infrastrutturale che da quello tecnologico. Il Comune e le altre istituzioni stanno lavorando da tempo su questo fronte ed è stato infatti deciso che oltre il 50 per cento dell’area sarà destinata a verde con la creazione di uno dei più grandi parchi d’Europa e che i progetti che si realizzeranno dovranno avere una funzione pubblica». E anche il Governo ha promesso che entrerà nella società per contribuire alla riqualificazione dell’area perché il sito di Expo non resti una cattedrale nel deserto. «È un luogo simbolo per l’Italia - sottolinea il ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina - il grande tema è sviluppare un progetto attorno alla proposta dell’Università di Milano, che si è candidata a trasferire una parte importante dei suoi laboratori di ricerca, di costruire una cittadella della conoscenza e della ricerca con collaborazioni tra pubblico e privato». Su tutte, le parole di Matteo Renzi: «L’Expo è finito, viva l’Expo. Grazie a tutti quelli che ci hanno creduto; adesso al lavoro per fare di quel luogo un centro di richiamo mondiale. Appuntamento per il 10 novembre, a Milano, giorno in cui il Governo presenterà il progetto Italia 2040. Sarà un’altra sfida entusiasmante», scrive il premier nella Enews. «Un piccolo grande insegnamento viene da questa cavalcata: nessuna impresa è così grande da essere impossibile per l’Italia. Certo: bisogna crederci, lavorare, fare fatica. Ci vuole tanto sudore». *Vice Direttore - Il Giorno
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IN PIAZZA CITTÀ DI LOMBARDIA
IL “CAVALLINO” DI LEONARDO
"C
on l'arrivo del 'Cavallino', come lo chiama la scultrice Nina Akamu, dal Comune di Vinci, abbiamo realizzato un grande progetto e una sinergia che ci consente di far ammirare completamente la figura di Leonardo". Così l'assessore alle Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia Cristina Cappellini, che ha portato i saluti del presidente Roberto Maroni e del Consiglio regionale, durante la cerimonia di inaugurazione del 'Cavallo di Leonardo', prestato dal Comune di Vinci (Firenze) per sei mesi. Presente una delegazione del Comune di Vinci guidata dal sindaco Giuseppe Torchia, gli sponsor Giandomenico Auricchio (Auricchio spa), Umberto Bompani (Fagioli) e il presidente di Infrastrutture Lombarde Paolo Besozzi. Non si tratta solo di un'operazione di carattere e valore culturale – sottolineano da Regione Lombardia , ma di valore più ampio. Il 'Cavallino', arrivato grazie all'apporto degli sponsor Auricchio spa, Fagioli e Infrastrutture Lombarde, non è solo bello, ma è un'opera che subito i cittadini hanno amato. Con il suo arrivo siamo riusciti a mettere in mostra il fermento culturale della nostra regione e a stringere nuove e importanti relazioni fuori dalla Lombardia". "Abbiamo apprezzato fin dall'inizio la disponibilità e la sensibilità dimostrate dal Comune di Vinci - ha rimarcato l'assessore - a differenza di altre realtà dove hanno invece prevalso egoismi territoriali. La bontà del progetto sarà ulteriormente dimostrata quando il Cavallo tornerà a Vinci dopo la trasferta lombarda e sarà accolto con grande orgoglio. Così è avve-
nuto a Cremona per il prestito, durante Expo, dell''Ortolano' di Arcimboldo. Superate quasi subito le resistenze iniziali, il Comune di Cremona ha sposato l'idea della Regione, e la bontà dell'iniziativa è stata testimoniata dalla folla di Cremonesi al ritorno dell'opera in città con visibilità e notorietà accresciute per il quadro che ha ispirato Foody, la mascotte di Expo". "Con il 'Cavallo di Leonardo' - ha spiegato l'assessore Cappellini – prolungheremo Expo di altri 6 mesi, dando ulteriore respiro a progetti come l''Hub Leonardo', promosso con la Fondazione Stelline a Milano, ma anche con il Padiglione delle Belle Arti della Bella Principessa in Villa Reale a Monza curato dal professor Vittorio Sgarbi". "Leonardo - ha concluso l'assessore Cappellini è stato individuato, da noi, fin dall'inizio, come simbolo di Expo, per il suo grande lavoro a Milano e nei territori lombardi". "Questo evento ci dona una grande gioia – ha spiegato il sindaco di Vinci Giuseppe Torchia - e ringraziamo il presidente Maroni e l'assessore Cappellini per la possibilità di questa partnership culturale". "Abbiamo prestato l'opera – ha continuato - per ragioni storiche e culturali, perché Milano è la città che ha visto tanto lavoro di Leonardo, perché siamo certi che l'opera tornerà da noi con un valore aggiunto che servirà, nel 2019, per celebrare al meglio i 500 anni della morte del Genio". "Un onore per noi - ha detto Umberto Bompani , intervenendo per Fagioli - aver portato il 'Cavallo di Leonardo'
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a Milano, contribuendo alla promozione dell'italianità nel mondo". "Sponsorizzare l'arrivo del 'Cavallo di Leonardo' in piazza Città di Lombardia - ha spiegato Giandomenico Auricchio - è il modo che abbiamo individuato, come azienda, per dire grazie alla Lombardia, una Regione così vicina al mondo delle imprese e attenta
sotto il profilo culturale a tutti i territori". Infrastrutture Lombarde' - ha sottolineato il presidente Paolo Besozzi - ha fornito i servizi per realizzare questa operazione, che è di altissimo valore". Alla cerimonia è intervenuta anche Valeria Baiotto, capo comunicazione di Snai, che ha annunciato le iniziative per creare un link tra il 'Ca-
vallo' presente nell'area galoppo dell'ippodromo di San Siro e quello arrivato in piazza Città di Lombardia. Proprio per sottolineare il collegamento già nato, idealmente, tra l'opera nella piazza della Regione e quella dell'ippodromo, era presente alla cerimonia Carlo Orlandini, in rappresentanza del 'Comitato del Gran Cavallo'.
L’OPERA
“I
l Cavallo di Leonardo” è opera della scultrice statunitense Nina Akamu. Si tratta dell'opera ispirata ai famosi disegni preparatori che Leonardo, realizzò a partire dal 1482, su proposta di Ludovico il Moro Duca di Milano, allo scopo di costruire la più grande statua equestre del mondo dedicata a Francesco Sforza: impresa colossale, non solo per le dimensioni previste della statua, ma anche per l'intento di scolpire un cavallo nell'atto di impennarsi e abbattersi sul nemico. Questo progetto non si concretizzò né allora né nel 1506, quando Leonardo, tornato a Milano, ebbe un successivo incarico dal Trivulzio per realizzare la sua tomba monumentale sormontata da una statua equestre bronzea. Cinque secoli dopo, a partire dal 1977, gli statunitensi Charles Dent prima e, alla sua morte, Frederik Meijer ripresero e finanziarono il progetto, con l'obiettivo di realizzare il sogno di Leonardo. La scultrice Nina Akamu, incaricata del progetto, realizzò due cavalli: uno per Milano, che fu posto nel settembre 1999 all'ingresso dell'ippodromo di San Siro, e uno per il parco naturale e artistico a Grand Rapids (Michigan), proprietà di Meijer, dove sono raccolte all'aperto copie delle statue moderne più celebri. Una copia esatta di questi due cavalli, in scala ridotta (2,5 metri), è stata donata dall'artista americana alla città di Vinci e collocata nella piazza del comune toscano. Sarà quindi ora ammirabile in piazza Città di Lombardia.
IL VINO
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er celebrare l'arrivo del 'Cavallo di Leonardo' in piazza Città di Lombardia a Milano è stata organizzata una speciale degustazione dei vini prodotti dalla 'vigna di Leonardo'. In particolare, dopo anni di studi e ricerche, gli esperti hanno convenuto che il 'vino di Leonardo' è la Malvasia di Candia Aromatica, il clone del 'vino di Leonardo' che più si avvicina a quello che il Genio coltivò, a Milano, nei giardini alle spalle del Borgo delle Grazie. Gliela donò Ludovico il Moro nel 1498 nel periodo in cui dipinse l''Ultima Cena' nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Era una vigna di circa 16 pertiche, rettangolare, larga 60 metri e profonda 175 metri, estesa quindi per poco più di un ettaro. La degustazione è stata proposta dai produttori de i l'azienda agricola Mossi di Ziano Piacentino, la Cantina sociale di Vicobarone (Pc) e la Tenuta 'La Ferraia', tutte con terreni in Valtidone (Pc).
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BAMBINI IN PERICOLO
LA CAMPAGNA DELL’UNICEF È l’anno dell’emergenza migranti che coinvolge l’Italia 14 milioni di dollari per rispondere alla crisi dei rifugiati e ma anche gran parte dell’Europa. Il 2015 sta volgendo al dei migranti in Europa. Nei prossimi mesi ci impegneremo, termine, vogliamo tirare le somme di questa emergenza? grazie ai fondi raccolti, a supportare gli Spazi a misura di Quest’anno i numeri hanno raggiunto livelli davvero alti di bambino (spazi in cui i bambini possono giocare, disegnare emergenza. E ce ne accorgiamo soprattutto se pensiamo che, ed essere protetti sotto la supervisione di adulti esperti), nei ad oggi, un richiedente asilo su quattro in Europa è un micentri di accoglienza, fornire alle famiglie informazioni sulla norenne. I bambini sono infatti i soggetti che più risentono salute e la nutrizione dei loro figli, accertarci che i bambini di questa situazione, non solo perché provengono da contesti abbiano il necessario supporto psicologico e garantire l’accesso di violenza inaudita ma perché devono, oltre tutto, affrontare ai programmi di istruzione. Per farlo avremo bisogno dell’apun viaggio così traumatico. Nei mesi tra Gennaio ad Agosto poggio dei governi e dei nostri partner soprattutto per garantire 2015 174,235 minorenni hanno richiesto asilo nell’Unione a pieno la protezione e i diritti dei minori. In particolar modo europea. La loro protezione deve avere la priorità su tutto, dobbiamo riuscire a tutelare i bambini separati dalla propria per questo motivo l’UNICEF ha lanciato la campagna famiglia o non accompagnati. Sono loro la categoria più de“BAMBINI IN PERICOLO”. bole, proprio perché lasciati soli, e il nostro compito è “Bambini in pericolo”, di cosa si tratta? quello di difenderli affinché non finiscano nelle mani È la campagna con cui l’UNICEF chiede a di chi può sfruttarli o abusarli. tutti di contribuire con una donazione per aiuCome si definisce un bambino in pericolo? tare i bambini, ovunque ne abbiano bisogno e I bambini in pericolo sono tutti coloro che nonoper proteggerli nei contesti di crisi che sono stante la tenera età, in tutto il mondo, sono costretti alla base dei principali flussi migratori verso ad affrontare violenze inaudite, vedere le proprie l’Italia, tra cui Eritrea, Nigeria, Somalia, Sudan città devastate dalla guerra, quelli che non hanno e Siria, Iraq ma anche Afghanistan. perso la propria casa e i propri famigliari perché L’UNICEF ha un mandato a 360° sui diritti dei una catastrofe naturale ha spazzato via tutto ciò che bambini e degli adolescenti nel mondo. In partiavevano, quelli uccisi da malattie facilmente prevenibili colare i bambini costretti ad abbandonare con un semplice vaccino (le sei “malattie killa propria terra, sia che sfollino aller”: morbillo, polio, tetano, tuberl’interno del proprio paese colosi, difterite e pertosse), opsia che ne varchino i conpure che muoiono di fame fini, come i piccoli miperché troppo poveri. Ogni 15 granti e rifugiati, sono secondi un bambino muore soggetti a forme di vioper cause legate alla malnulenza e sfruttamento trizione, mentre quasi un miche ledono i loro diritti lione convive con la malnufondamentali e mettrizione cronica che ha tono rischio la loro conseguenze permanenti stessa vita. È imporper tutta la vita – disabilità tante sottolineare che fisiche e difficoltà di apprima ancora di essere prendimento. Un numigranti sono bammero inaccettabile. Così bini. L’UNICEF ha come lo è la cifra di Paolo Rozera, direttore dell’UNICEF Italia. lanciato un appello di 250mila bambini sol-
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PAOLO ROZERA, DIRETTORE GENERALE UNICEF ITALIA
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ell’aprile 2015 Paolo Rozera è stato nominato nuovo Direttore generale dell’UNICEF Italia. Paolo Rozera, 49 anni, ha cominciato a lavorare nel 1991 all’UNICEF Italia prima nell’area riguardante l’Educazione allo Sviluppo, poi nel Gruppo Internazionale Mediterraneo e in seguito presso la Presidenza e la Direzione generale. Dal 2008 è Responsabile dell’Ufficio Risorse Umane. Dal gennaio all’aprile 2015 è stato Direttore ad interim. Dal 2009 è docente presso la LUISS nel Master in Gestione delle Risorse Umane e Organizzazione sul tema della Responsabilità Sociale d’impresa. Laureato in Scienze Politiche – indirizzo economico internazionale presso l’Università “La Sapienza” di Roma, nel dicembre 2012 ha concluso l’Executive Master in Business Administration presso la LUISS in Roma. È scout dall’età di 6 anni e attualmente rappresenta l’Organizzazione Mondiale dello Scautismo presso la FAO. Nel 1996 ha organizzato e coordinato il Forum Internazionale della Gioventù in occasione del Summit Mondiale sull’Alimentazione. Tra il 1999 e il 2000 ha collaborato con la FAO. Nato a Brescia, vive nella provincia di Roma da molti anni. Sposato, ha due bambini, Lorenzo e Riccardo. Appassionato motociclista, ama il basket; dal 2009 è arbitro per la Federazione Italiana Pallacanestro. dato, reclutati e usati nei conflitti in corso in oltre 20 paesi del mondo (da Siria e Iraq al Sud Sudan e alla Repubblica Centrafricana). Questo dramma coinvolge milioni e milioni di bambini, che vivono nella paura di violenze fisiche, emotive e sessuali, ma la maggior parte delle volte le loro storie si spengono nel silenzio più totale, lontano da riflettori, in società e contesti culturali dove povertà, guerre, catastrofi naturali, malattie, malnutrizione, violenza, abusi e sfruttamento sono talmente tanto all’ordine del giorno da non fare più notizia. Almeno fino a quando questi bambini non arrivano in Europa. Tornando allora al tema degli sbarchi. Cosa sta facendo l’UNICEF per aiutare i paesi europei ad affrontare questo problema? L’UNICEF in realtà in molti paesi europei, di cui si è parlato molto in que-
sti mesi, ha già dei programmi attivi volti proprio al sostegno dei minori migranti e rifugiati. Nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, ad esempio, abbiamo fornito attrezzature al principale centro di accoglienza per migliorare l'accesso all'acqua e abbiamo istituito alcuni “Spazi a misura di bambino”, occupandosi di circa 1.200 bambini. Abbiamo poi fatto la stessa cosa anche in Serbia e lo faremo a Belgrado e Kanjiza, vicino al confine con l'Ungheria. I bambini migranti si spostano e noi cerchiamo di trovare una soluzione adatta a loro in ogni paese in cui arrivano. Per questo il piano d’azione dell’UNICEF prevede di intensificare gli interventi in Serbia e nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, di dare maggiore supporto a quei paesi identificati come punto di accesso all’Europa come Grecia, Italia, Ungheria e Austria e infine sostenere i
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paesi di potenziale destinazione dei migranti, come la Germania. In quegli stati, invece, in cui non esiste un programma UNICEF, saranno sviluppati dei piani d'azione nazionali specifici in grado di soddisfare le lacune nella cura e nel sostegno per i bambini e gli adolescenti. Il flusso di migranti però non si arresterà mai se il problema non si risolve alla radice, cioè nei paesi dai quali fuggono queste migliaia di profughi. Allora cosa può fare l’UNICEF in luoghi come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan e molti altri? Prima di tutto L'UNICEF si occuperà di monitorare movimenti di rifugiati e migranti nei paesi da cui potrebbero emergere nuove rotte come Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Montenegro, Slovenia e Austria, così da poter affrontare l’emergenza al meglio. In secondo luogo sono d’accordo con il dire
che se non affrontiamo le cause profonde della crisi in Siria e nei paesi vicini, la situazione non potrà che peggiorare. Quello che può fare la nostra associazione è sostenere i programmi all'interno di questi paesi, aiutare gli sfollati (che solo in Siria hanno superato i 3 milioni di minorenni). I genitori con cui parliamo ci dicono sempre che rischiano la loro vita in questo pericoloso viaggio verso l'Europa perché non hanno altra scelta e non vedono un futuro per i loro figli nei paesi da cui fuggono. Quindi parallelamente al soddisfacimento dei bisogni
immediati dei bambini con assistenza sanitaria, acqua potabile e servizi nutrizionali, l'UNICEF si impegna (ad esempio attraverso l'iniziativa “No Lost Generation” per i bambini siriani) a rafforzare le aspirazioni di coloro che rimangono in quei paesi, promuovendo programmi di educazione, protezione e coinvolgimento degli adolescenti. È importante dar loro una speranza perché senza quella si sentiranno sempre privati del loro futuro e cercheranno ancora di venire in Europa a cercarne uno migliore. (Red. NF)
LE DONAZIONI Bambini in pericolo, perseguitati, minacciati da guerre, affamati e malnutriti, bambini in fuga, sfruttati, derubati dell’infanzia e del sorriso. Molti sono in fuga da zone di guerra come Siria, Iraq o Afghanistan. L’UNICEF ha lanciato la petizione su www.unicef.it/indigniamoci per chiedere al Governo maggiori misure di protezione per i bambini profughi, rifugiati, migranti. Le firme raccolte saranno portate a Natale al Governo. Per essere al fianco dei bambini a Natale e tutti santi giorni, diventa Amico dell’UNICEF. Bastano 15€ al mese. Chiama il numero verde 800.745.000 o vai su www.unicef.it
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UN SETTORE CON 3.300 AZIENDE
MARMO, UN BRAND PLANETARIO
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uale futuro per il marmo di Carrara? Come conciliare lo sfruttamento di un brand planetario con il rispetto di quel grande patrimonio ambientale costituito dalle Apuane? A questi ed altri interrogativi risponde l nostra inchiesta che parte dai risultati degli ultimi dati di mercato, con le esportazioni del "bianco" di Carrara a guidare la crescita e dal successo di Marmomacc, la grande rassegna veronese del settore. Tante luci ma anche non poche ombre legate alla difficile convivenza fra una storica economia legata al territorio apuano e l'esigenza di non arrecare danni irreparabili all'ambiente. CARRARA - L'ultima, prestigiosa passerella è quella chiusasi da poco a Verona, dove la cinquantesima edizione di Marmomacc, salone internazionale della filiera della pietra naturale, ha celebrato i fasti di una produzione senza eguali nel mondo. Quella del marmo, appunto: un brand planetario che la crisi ha appena sfiorato, come certficano i dati dell'export. Marmomacc rappresenta un settore con 3.300 aziende che, con i loro 33mila addetti, nel 2014 hanno raggiunto una produzione di quasi quattro miliardi di euro, come ha ricordato il presidente di Veronafiere Ettore Riello. Carrara e l'area Apuana, con il loro "bianco", si sono ritagliati uno spazio significativo, sbarcando in Veneto con 105 imprenditori. Il meglio che il comprensorio potesse esprimere con la sua filiera che dall'estrazione e dal taglio del blocco approda al design più sofisticato. Il bianco, insomma, a Carrara tiene sal-
damente le sue posizioni, con le esportazioni che, nel secondo trimestre 2015, hanno registrato un confortante +9,6 % irrobustendo, con gli altri fiori all'occhiello della regione (vino, olio, tessile, abbigliamento e carta) il contributo dei distretti toscani all'export. Verona ha confermato che il marmo rappresenta, numeri alla mano, il pilastro dell'economia locale. Nel comparto della lavorazione delle pietre (estrazione, trasformazione, riutilizzo degli scarti di produzione) operano 750 imprese, con oltre quattromila addetti, che diventano 5350 con quelli della Versilia. Nel 2014 le esportazioni dei prodotti lapidei (blocchi, lastre e oggetti lavorati) del distretto marmo di Carrara sono state pari a 550 milioni di euro, di cui l'80% costituito da prodotti lavorati. Ma cave non significa solo marmo di pregio. L'attività estrattiva, insieme ai blocchi, produce una variegata gamma di sottoprodotti costituita da scaglie e sassi. Per dire: nel 2012, a fronte di 1,25 milioni di tonnellate di blocchi marmo
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estratti complessivamente nel distretto lapideo di Carrara e della Versilia, sono stati prodotti 3,8 milioni di tonnellate di scaglie e sassi. Solo materiali di risulta? Non proprio, almeno oggi. Per secoli grandi quantità di sassi sono state riversate nei "ravaneti" che hanno alimentato negli ultimi decenni, vicino alla cave, un settore satellite del marmo, specializzato nel recupero di enormi quantità di sassi, destinati a diventare, attraverso speciali cicli di lavorazione, materie prime per la produzione di plastica, vernici, malte, carta e perfino strumenti utili ad abbattere le emissioni di CO2 delle centrali termoelettriche. Un ciclo apparentemente virtuoso e redditizio. Ma non è tutto oro (bianco) quel che luccica. Per far fronte a impellenti necessità di cassa, Regione e Comuni (Carrara, in questo caso) hanno aumentato progressivamente la tassazione su questi prodotti. Il risultato, dopo la crisi del 2008, è che il settore del recupero dei sassi si è ritrovato in gravissima difficoltà interrompendo il circolo virtuoso fra
produzione di blocchi e riuso dei sottoprodotti, specificamente disciplinato dalla normativa comunitaria. A soffrirne è stato l'intero indotto, con inevitabili ricadute negative sull'occupazione. Nodo complesso e controverso quello dell'effettivo peso occupazionale del comparto del marmo, con tutte le sue molteplici attività che gravitano attorno ad esso. Secondo l'Isr, l'Istituto di studi e ricerche della Camera di commercio di Massa Carrara, la massa occupazionale legata o riconducibile al marmo è costituita di tre distinti sottosistemi: settore lapideo (4850 addetti), attività ad esso collegate (1827), attività generate indirettamente (5860). A loro volta i 4850 addetti nel settore lapideo, sono distribuiti fra cave (1024), lavorazione (2427) e commercio (1399). Un arcipelago fluttuante spesso al centro di tensioni sociali, sia per gli aspetti strettamente economico sindacali che per quelli di natura ambientale. A complicare il quadro c'è infatti il complesso nodo del rapporto fra marmo
inteso come risorsa economico-produttiva e come patrimonio ambientale, che gli ambientalisti sostengono essere oggetto di sistematico saccheggio. Di qui il tormentato confronto sulla disciplina più opportuna per regolare l'attività estrattiva e sull'altrettanto controverso tema dei cosiddetti beni estimati, ovvero le cave considerate private, che la nuova disciplina (ora al vaglio della Corte Costituzionale) riporta a regime di agro marmifero, sottoponendole a "concessione amministrativa temporanea ed onerosa da parte del comune". Tema spinoso su cui si sono innestate tensioni politiche e sociali, con gli ambientalisti a denunciare il "sistematico saccheggio" delle Alpi Apuane, e la componente industriale a rivendicare il ruolo di un'imprenditoria attenta alla tutela dell'ambiente, impegnata a produrre ricchezza e occupazione nel rispetto di rigorosi ed equilibrati piani di piani di coltivazione delle cave. Significativa la recente polemica riaccesasi dopo la pubblicazione sul presti-
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gioso mensile The National Geografic, stampato in 31 lingue in numerosi paesi del mondo, di un servizio ("Apuane, cuore infranto", il titolo) che suona come severa censura per l'attività estrattiva del marmo. Un'industria, questa l'accusa, che arricchisce pochi e arreca danni irreparabili al patrimonio ambientale (è stato calcolato che nel corso della storia l'uomo ha prelevato qualcosa come 90 milioni di metri cubi di marmo, dei quali il 50% polverizzato solo negli ultimi sessant'anni grazie all'affinamento tecnologico dei sistemi di estrazione). Accuse che gli imprenditori del settore respingono sdegnati e che il presidente di Assindustria Massa Carrara, Erich Lucchetti, liquida come "inaccettabili cartoline che offrono caricature del nostro territorio". Trascurando la circostanza che la coltivazione delle cave, condotta nel rigoroso rispetto delle leggi vigenti - osserva - , produce ricchezza e lavoro, assicurando al comprensorio standard di assoluta eccellenza. R.S.
BORSA MERCI INTERNAZIONALE
IL MONDO DI OGGI, IL MONDO DI DOMANI Joselia Pisano
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astri di partenza a Firenze per la Borsa Merci Internazionale, l’innovativa piattaforma digitale creata per far incontrare domanda e offerta di prodotti da parte di aziende di tutto il mondo, dai paesi in via di sviluppo a quelli commercialmente più avanzati. Nata da un’idea di Giorgio Fiorenza, la BMI rappresenta fin dal suo esordio una vera e propria rivoluzione nel campo del commercio internazionale, permettendo alle aziende aderenti di aprirsi a nuovi mercati mondiali con pochi semplici clic e di trovare così nuovi partner commerciali. L’idea alla base del progetto è estremamente semplice, ma al tempo stesso diversa rispetto alle realtà digitali attualmente esistenti e solo apparentemente simili: creare una piattaforma per favorire il “matching” tra domanda e offerta di merci e prodotti di ogni genere da parte di imprese che accedono al sistema solo dopo aver ricevuto un accredito ufficiale dalle istituzioni dei rispettivi paesi. Dopo un lungo periodo di “preparazione”, la BMI è oggi pronta a partire ufficialmente, grazie ai rapporti di collaborazione instaurati e all’interesse dimostrato dalle istituzioni di molti paesi,
dal Canada alla Bulgaria, dall’Albania alla Germania, passando per Giordania, Zimbabwe, Perù e altri ancora. Collaborazioni, queste, che stanno permettendo alle camere di commercio dei vari paesi aderenti di riversare nel sistema BMI i dati di centinaia di migliaia di aziende, che presto potranno operare all’interno della piattaforma e raggiungere così un grado di internazionalizzazione altrimenti difficile da ottenere, soprattutto per le imprese di paesi a vario titolo fino ad oggi poco “attrezzati” per operare sul piano globale. Ed è proprio per venire incontro alle realtà meno avanzate e ai paesi che finora sono rimasti letteralmente ai margini del commercio mondiale, che Giorgio Fiorenza ha deciso di fare un passo indietro rispetto all’idea iniziale di una piattaforma dedicata agli operatori commerciali specializzati, e di creare un “ambiente digitale” semplice ma al tempo stesso altamente performante, in grado di far accedere anche le aziende meno abituate a comprare o vendere prodotti identificati da nomenclature di uso internazionale. Molto più semplicemente, il nuovo programma prevede l’inserimento di schede commerciali di prodotti in vendita o ricercati,
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che tramite un elaborato algoritmo trovano corrispondenza tra loro non solamente attraverso una codifica numerica, ma anche e soprattutto attraverso descrizioni e immagini. “Abbiamo dovuto mettere temporaneamente da parte l’idea di un programma complesso, perché ci siamo resi presto conto che alcuni paesi in via di sviluppo avrebbero visto compromessa l’opportunità di affacciarsi sul piano internazionale solo a causa di una loro inadeguatezza puramente tecnica – spiega Giorgio Fiorenza –. Il progetto Borsa Merci Internazionale è nato proprio per permettere ai paesi emergenti di ricevere importanti occasioni di sviluppo economico, sociale e commerciale, anche e soprattutto attraverso nuove opportunità di vendita e acquisto di prodotti e
di trovare così nuovi partner”. L’adesione alla piattaforma è gratuita: alle aziende partecipanti, infatti, non viene richiesto alcun costo di adesione o abbonamento. Solo in caso di conclusione positiva dell’affare sarà dovuto, da parte del compratore e del venditore, un compenso contrattualmente definito in favore della Borsa Merci Internazionale per l’attività prestata. Ma come si accede, quindi, alla BMI? È molto semplice: le aziende interessate ad operare sulla piattaforma dovranno ricevere dalla loro camera di commercio, o dall’ente di promozione commerciale del proprio paese, l’accredito necessario per inserire le proprie schede di vendita o acquisto relative a prodotti rigorosamente originali e autentici. In questo modo, qualunque merce contraffatta o
di origine dubbia non troverà spazio all’interno della piattaforma della Borsa Merci Internazionale. Un sistema automatico individuerà quindi la corrispondenza tra schede di vendita e acquisto, segnalando il match agli operatori della Borsa Merci Internazionale, che attiveranno poi le procedure per la definizione contrattuale. La struttura organizzativa della BMI prevede, di fatto, l’interazione costante dei vari dipartimenti di cui è composta: dagli uffici legali a quelli commerciali, dal dipartimento preposto alla gestione dei rapporti istituzionali agli operatori telematici e così via. Una struttura organizzativa, questa, che ha il cuore pulsante a Firenze ma che opererà presto in molti paesi grazie all’apertura di sedi internazionali.
LA STORIA DEL PROGETTO
I
deata da Giorgio Fiorenza nel 2012, la Borsa Merci Internazionale ha seguito in questi anni un percorso che ha portato molti paesi del mondo ad aderire alla sua piattaforma digitale dedicata allo sviluppo di opportunità commerciali sul piano internazionale. Il progetto vede infatti il suo esordio a San Marino, quando viene presentato per la prima volta nel marzo 2012 in occasione di un convegno dedicato alla figura del console onorario e al ruolo che questo riveste nell’ambito del commercio internazionale. Gli anni successivi scorrono poi velocemente, tra eventi di presentazione del progetto, organizzati a Roma nel 2014 in due diverse occasioni alla presenza degli organi di stampa nazionali ed internazionali, del corpo diplomatico e degli ambasciatori dei paesi esteri accreditati in Italia, e simulazioni della piattaforma operativa tenute a gennaio del 2015 e che hanno suscitato l’interesse di oltre 70 paesi. Il 2015 è poi caratterizzato dalla presenza a Expo Milano 2015 e da eventi che hanno portato il progetto BMI ospite del Padiglione Alitalia e di istituzioni come il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali italiano e l’Albanian Investment Development Agency in occasione del National Day dell’Albania. Numerosi, infine, sono stati i viaggi internazionali che hanno portato Giorgio Fiorenza a stringere accordi con gli enti istituzionali di diversi paesi, come la recente intesa siglata con la camera di commercio nazionale della Bulgaria.
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Giorgio Fiorenza
VERSO LA CONFERENZA DI PARIGI
ATTENTI ALLA NUOVA KYOTO Enrico Cisnetto*
A
lziamo lo sguardo e cerchiamo di capire che cosa capita nella dimensione geopolitica e geoeconomica mondiale, su quei fronti che sono destinati a lasciare il segno sui nostri destini senza che neppure ce ne accorgiamo, impegnati come siamo a guardarci la punta delle scarpe. Per esempio, è fuori dal dibattito politico e dal faro dell’attenzione mediatica nostrana, il vertice mondiale in sede Onu, denominato “Cop 21”, che a fine dicembre si terrà a Parigi sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze, sull’economia mondiale e persino sulla stabilità finanziaria dei mercati internazionali. È la nuova Kyoto, e vi possiamo assicurare che – per quanto ne abbiamo capito – ne usciranno sconvolti tanto gli equilibri politici mondiali quanto i paradigmi del capitalismo “3.0”. Chi ci segue da tempo sa che in questo spazio non abbiamo mai ceduto al fascino dell’allarmismo ecologista. Anzi, sa che militiamo senza indugio nel (minoritario) partito del “sì”, per quanto temperato da un pragmatico “ma” (sì alle grandi opere, agli inceneritori dei rifiuti, alle trivellazioni petrolifere ecc., purché fatte nel rispetto di tutte le norme). Ma questo non significa che non siamo consapevoli dei costi ambientali dello sviluppo, e in particolare di quello figlio della Mark Carney globaliz-
zazione, che (per fortuna) ha allargato enormemente il fronte dei Paesi industrializzati. E, per questo, non siamo insensibili all’idea che si debba provare a mettere dei vincoli, a patto che non nascano da preclusioni ideologiche. D’altra parte, quando si sente il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney – non un facinoroso ultrà ecologista – usare parole terribili a proposito dei mutamenti in atto, definendo catastrofiche le conseguenze dello scongelamento dei ghiacciai, della desertificazione di interi territori, dell’innalzamento dei livelli del mare, e quando si vede che queste preoccupa-
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zioni sono confermate da un consensus generale dei grandi esperti mondiali, allora si capisce che la posta in gioco è altissima e la partita terribilmente seria. Anche perché le obiezioni che verranno alle più rigide posizioni europee – il Vecchio Continente, peraltro, contribuisce in misura relativamente marginale alle emissioni di anidride carbonica al livello mondiale – da parte dei Paesi cosiddetti emergenti, Cina e India in primis, non saranno per nulla banali. Chi oggi contribuisce al pil mondiale in modo decisivo dirà a noi ricchi di vecchia data: «Voi avete inquinato e cementificato nella fase della vostra industrializzazione senza che nessuno vi dicesse niente, ora che tocca a noi ci volete mettere la mordacchia». Cosa sacrosantamente vera. Solo che sul pianeta malato ci sono anche loro, e un punto di compromesso tra le diverse esigenze andrà trovato. In ballo ci sono le scelte che l’industria mondiale, in particolare quella estrattiva e dei trasporti che poggia il proprio modello imprenditoriale sullo sfruttamento degli idrocarburi, deve fare per assumere una posizione più responsabile. Cioè per conseguire gli obiettivi del contenimento dell’aumento della temperatura entro due gradi centigradi, della riduzione delle emissioni di anidride carbonica e della tutela del patrimonio residuo di atmosfera disponibile. Ma come, concretamente, bilanciare la saturazione dell’atmosfera che sta
oggi provocando un sistema industriale e dei trasporti che brucia carbon fossile e idrocarburi, considerato che inquinare costa troppo poco e non c’è un disincentivo produttivo e tecnologico sufficiente? È evidente che la prima cosa da fare è indurre tutte le multinazionali a rendere insopportabilmente esoso l’uso del carbone. Sappiamo che questo si scontra con grandi interessi, anche europei: la Germania continua a essere grande consumatrice di carbone, e in Europa è addirittura prevista la costruzione di un centinaio di centrali elettriche alimentate a carbone, per la precisione 110 nuovi impianti, di cui 75 nella sola Turchia. Ma per cambiare il mix energetico mondiale non basta far scendere il carbone. Occorre far salire la produzione di energie alternative, sottraendole alla speculazione (come quella che è stata permessa in Italia nella fase primordiale del fotovoltaico) e dall’eccesso di dipendenza dalle sovvenzioni. E occorre massimizzare l’uso del gas, anche attraverso un completo ridisegno delle reti transnazionali
di infrastrutture per il suo trasporto. La questione, quindi, è squisitamente geopolitica: l’Europa deve strutturare la propria rete di trasporto del gas in maniera tale da consentire autosufficienza energetica e utilizzo del gas proveniente dalla Russia ma anche, e soprattutto, dall’Africa. In questo contesto il ruolo dell’Italia è strategico. Sempre che se ne abbia piena coscienza. Il peso dell’Eni è fondamentale, perché può essere determinante nel creare un hub del gas nel Mediterraneo a servizio della Francia, della Germania e dei Paesi dell’Est. Ma occorre avere la forza, la determinazione e la credibilità che servono in situazioni come queste, dove nessuno ti regala niente, anzi. Perché non proviamo per un momento a smettere di razzolare nel pollaio inquinato e inquinante (tanto per stare in tema) della politica ridotta a scontro di penose mediocrità e non ci dedichiamo a capire che su questo come su altri temi strategici di portata planetaria passa, volenti o nolenti, il nostro futuro? *Giornalista, saggista, direttore di Terza Repubblica
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AEROSPAZIALE UMBRIA
UNA CRESCITA COSTANTE Donatella Miliani
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l polo Aerospaziale dell’Umbria è pegnate le nostre aziende vanno molto una delle realtà più positive della bene. E il Polo umbro ha una forte caregione. Ventotto imprese con oltre pacità competitiva. Nell’ ambito aero2.300 addetti, costituisce uno dei pochi nautico ad esempio c’è una fortissima comparti che, negli ultimi anni di crisi tendenza all’internazionalizzazione e generale, ha mantenuto livelli di crescita all’export». costante. Tra queste aziende nomi importanti come la CBL Electronics,, Angelantoni Industrie, Umbra Cuscinetti, Fucine Umbre, Comear, NCM, OMA, QFP, RF Mycrotech, SkyRobotic che da anni operano nel settore con competenza assoluta. «Il Polo aerospaziale è nato nel dicembre 2008 – dice Antonio Alunni Ceo Le viti a trasporto lineare di moto (Umbra Group) nonchè titolare di Fucine Umbre e attuale presidente del Polo –, contiamo Quindi si tratta di una produzione 2.000 addetti dei quali circa 200 imrivolta per lo più all’estero? pegnati nei settori ricerca e sviluppo. «Il 56 per cento va in effetti fuori dalAttività che si traduce in concreto in l’Italia. L’Europa assorbe il 36 per 114 brevetti e un fatturato pari a 390 cento, Stati Uniti e Canada l’11, mentre milioni di euro». il restante 5,9 per cento finisce in altri E’ inoltre un settore passato indenne paesi stranieri». attraverso la crisi. Che cosa in particolare viene prodotto «Non solo è passato indenne ma si è in Umbria? rafforzato. Abbiamo avuto una crescita «Componenti per aeromobili. Noi siaa doppia cifra sia a livello occupazionale mo specializzati sia sull’ala fissa che che di fatturato, forti anche di un mersul commerciale. Riforniamo noi gli cato che non ha avuto le problematiche airbus e bombardier ma siamo forti degli altri. I settori nei quali sono imanche sull’ala rotante per elicotteri. In
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Umbria, pur su una regione piccola dove non c’è alcun insediamento di Finmeccanica presente invece nelle altre regioni, godiamo in realtà di produzioni di eccellenza. Siamo specializzati in sistemi di attuazione e controllo e sistemi e equipaggiamenti per carrelli di atterraggio, ruote, freni, parti rotanti, banchi prova e simulazione, progettazione e costruzione di componentistica elettronica, radar. Componentistica satellitare». Livelli occupazionali? «Per la ricerca il bacino di riferimento è quello locale: in primis l’Università di Perugia. Dato importante comunque è che visto che le competenze che stiamo richiedendo sono molto alte e il numero degli specialisti molto basso, questa regione sta diventando attrattiva, sia per il management che per figure come ingegneri con laurea in meccanica, aeronautica, elettronica e di materiali». Novità? «Per la parte formativa convenzione tra Polo aeropaziale dell’Umbria e università di Perugia per far sì che gli insegnamenti ad ingegneria possano essere sempre più vicini alle nostre esigenze.
Fornare i ragazzi per renderli funzionali alle esigenze delle imprese. E questa è una cosa da non dare mai per scontata. C’è un rapporto forte anche con ITS l’istituto per la formazione superiore tecnica con sede principale a Perugia, e sede distaccata a Foligno dove sono state messe macchine utensili per formare figure professionali specifiche». C’è anche chi produce per la Nasa? «Sì, qui a Terni. Ma non posso specificare. Direi una cosa l’Umbria è sempre più crocevia di costruttori e sistemisti aerospaziali, ha una forte presenza di committenza di altissimo livello non ce n’è una internazionale ad altissimo livello con cui non si lavori. Tra cui la partecipazione al programma F35».
Qual è stato il punto di svolta per il Polo? «Quando ci siamo seduti a un tavolo, messo da parte l’individualità e cominciato a lavorare su un progetto comune. Esperienza positiva per tutti . Il nostro è un comparto di eccellenza a livello globale. Anziché continuare a confrontarsi in modo tradizionale, pur mantenendo ognuno la propria specificità, ci siamo messi a lavorare insieme. Il Polo è diventato così fattore di più forte e nuova collaborazione». Previsioni future? «Le proiezioni del 2015 parlano di crescita del fatturato del 10 per cento, con ulteriore sviluppo. Anche in termini occupazionali».
TERNA: CANTIERI APERTI & TRASPARENTI
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rima fra le aziende italiane, Terna lancia on line uno spazio web, accessibile dal sito www.terna.it, completamente dedicato ai cantieri, dove verranno pubblicate e regolarmente aggiornate tutte le informazioni su contratti, appalti, e per la prima volta anche subappalti, dei lavori in corso per la costruzione delle infrastrutture elettriche in Italia. “Cantieri aperti & trasparenti”, questo è il nome che Terna, il Gruppo presieduto da Catia Bastioli e guidato da Matteo Del Fante, ha voluto dare a un’iniziativa che non ha precedenti in Italia e che, grazie a uno strumento di comunicazione completo, dinamico e aperto a tutti, potrà dare un contributo ulteriore allo sviluppo del Paese. Con un accesso semplice e veloce, grazie a “Cantieri aperti & trasparenti” è ora disponibile un modo nuovo per avere sempre presenti i dettagli di ogni singolo cantiere delle opere Terna in corso di realizzazione: ciò significa 750 imprese attivate e 4mila persone coinvolte ogni giorno negli oltre 200 siti aperti in tutta Italia, per un investimento oggi sul campo che nel complesso vale circa 2,8 miliardi di euro. Uno strumento di comunicazione che permetterà anche al cittadino, oltre che alle imprese, di entrare in “casa Terna” per controllare in modo concreto l’avanzamento dei lavori delle grandi infrastrutture, il numero di imprese che hanno partecipato alla gara e i nominativi degli appaltatori a cui i lavori sono stati affidati.
La cultura della trasparenza e della legalità sviluppata da Terna è il frutto di un percorso che parte da lontano, quando il gruppo ha scelto la strada di una “Sicurezza integrata”, anche attraverso sinergie e protocolli con le Istituzioni, e che ha portato oggi il gruppo a scegliere di rendere pubbliche attraverso il proprio sito internet tutte le informazioni significative relative ai suoi cantieri, regione per regione. Partendo dalla singola opera, dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, sono disponibili non solo i dati relativi ai cantieri in termini di localizzazione e di aspetti tecnico-descrittivi, ma anche quelli che definiscono l’organizzazione e le imprese presenti, lo stato di avanzamento e il focus economico. In questo nuovo spazio web è dato particolare risalto ai subappalti, per richiedere i quali ogni impresa che opera sui cantieri Terna ha a disposizione un innovativo strumento, il portale “Gestione Subappalti”, che garantisce la gestione unificata ed omogenea delle fasi autorizzative del processo e il rispetto delle previsioni normative. “Con questa iniziativa, che in Italia è la prima del genere per un’azienda privata - dichiara l’Amministratore Delegato di Terna, Matteo Del Fante - dimostriamo ancora una volta non solo di lavorare per lo sviluppo della rete elettrica, ma anche di impegnarci in modo volontario e responsabile per garantire una sempre maggiore sicurezza per le imprese e la collettività. Siamo fieri di poter dire che, con questo nuovo progetto.
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PAOLA SANTARELLI IMPRENDITRICE
IL BELLO DEGLI AFFARI Angelo Bucarelli
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aola Santarelli, imprenditrice nel settore delle costrumio padre, mio fratello e ora i suoi figli, ha sempre nutrito la zioni come da tradizione familiare paterna e materna, passione per il vino, con l’affermata azienda vinicola laziale laureata in Economia e Commercio, ha ricevuto diversi Casale del Giglio. La linea femminile della famiglia materna, riconoscimenti per essersi distinta nella sua attività e il 2 invece, si era dedicata all’arte. Già mia nonna, poi mia madre, giugno 2010 il presidente della Repubblica le ha conferito io stessa e ora anche mia figlia Vittoria, di recente laureata in l’onorificenza di cavaliere del lavoro. Storia dell’arte, abbiamo raccolto una ricca serie di testimoDopo la scomparsa di suo padre nel nianze marmoree dell’antica 1999 ha preso in mano le redini delRoma. Quando le ho ereditate, l’azienda di famiglia… erano poche opere e tanta pasAmbedue le famiglie di origine, paterna sione. Ora, con il mio impegno, e materna operavano nel settore delle la collezione è diventata una tecostruzioni, private mio padre, pubblistimonianza, ampia e rappresenche mia madre. Ho sempre avuto un tativa della storia di Roma. Da ottimo rapporto con mio padre che mi quando sono scomparsi i miei geha stimolato ad avvicinarmi fattivanitori, con i miei fratelli, abbiamo mente al mondo del lavoro. Cosi apcreato una fondazione dedicata a pena laureata, a 22 anni, mi sono getloro di cui io sono presidente e tata con determinazione nella nostra mia sorella Santa segretario geattività. nerale. Siamo impegnati a creare Ma come ha affrontato un mondo un gruppo più consistente possitradizionalmente e decisamente mabile di opere romane, dall’epoca schile, se non maschilista, come il tolemaica all’ottocento, cercando comparto delle costruzioni? di riportare nella Capitale le Beh, fossi stato un ragazzo, sarebbe opere disperse nel mondo e di stato più facile. All’ inizio ho pagato lo salvaguardare il cammino di scotto di essere una giovane donna e, quelle alienate da altre raccolte perdipiù, figlia di famiglia, ma presto d’arte. Curiamo mostre e pubbliho raggiunto la parità e sono riuscita a cazioni, promuoviamo borse di farmi prendere sul serio. Ho cominciato studio per divulgare la storia ara lavorare con mio padre già prima di tistica di Roma, cerchiazmo di laurearmi e, quindi, ho potuto contirendere le opere fruibili agli stuPaola Santarelli nuare il suo lavoro e anche ampliarlo e diosi e agli appassionati d’arte. adeguarlo per mantenerne lo sviluppo. Siamo orgogliosi, in particolare, di E’ per questo che nel 2010 è stata nominata cavaliere del aver concesso cinque anni fa in comodato gratuito, con allelavoro… stimento e apparato didattico inclusi, la nostra collezione di Sì. Sono stata la donna imprenditrice più giovane fino a quel glittica, oltre 600 opere che spaziano nell’arco di cinque milmomento ad aver meritato tale onorificenza. Ne sono molto lenni, ai Musei Capitolini, il museo più antico del mondo. orgogliosa. Da pochi mesi è anche la maggiore azionista di Roberto Accanto al business ha ereditato anche la passione per l’ Capucci, il grande couturier. Ma che c’entra Capucci con arte… le sue passioni e il suo business? In verità, la linea maschile della famiglia paterna, mio nonno, Con il business nulla! Con l’arte molto. E’ innegabile che
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la moda di Capucci abbia un grande senso artistico e notevoli affinità proprio con la scultura. Mia madre vestiva Capucci e sia io sia mia sorella ci siamo sposate in Capucci. Roberto è un amico di famiglia e quando mi ha chiesto di essere al suo fianco per gestire la sua attività, nata 65 anni fa, e una fondazione che custodisce 450 abiti di alta moda e 62mila disegni originali, non mi sono certo tirata indietro, anche per proteggere l’italianità dell’azienda, una delle poche ancora con queste caratteristiche. Che cosa si attende da questa nuova impresa? La nostra cultura e la qualità della nostra vita scaturiscono dall’esperienza dell’eccellenza e dalla ricerca di successo. La Maison Capucci è un esempio virtuoso di creatività, alto artigianato e produzione compiutamente italiani da salvaguardare con atten-
zione e orgoglio. Avviando il pret-aporter potremo far godere di questa arte un pubblico più ampio e apportare beneficio al mercato della moda nazionale. Ritiene azienda, collezione e Capucci tre aree sinergiche o parallele? Come dicevo l’impresa rimane a parte, è cosa diversa da collezione e Capucci, anche se ne può ricevere un beneficio indotto e generale, e al tempo stesso sostiene la collezione. La collezione e Capucci con le due fondazioni si integrano ed esaltano a vicenda anche con innovazione culturale. La nostra collezione, credo contribuendo a rappresentare artisticamente il nostro Paese, gira il mondo: Parigi, Basilea, Singapore, Mendrisio, dove 65 capolavori sono ora in esposizione e lo rimarranno fino al 31 gennaio, Madrid e, tra poco, anche quattro tappe in Brasile, dove si potranno ammirare i
Arte della glittica
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marmi convivere e integrarsi con gli abiti di Roberto. Una previsione sulla situazione italiana? Dopo tempo un lasso di tempo significativo, emergono, oggettivamente, segnali di una inversione di tendenza e sintomi di ripresa. Con tanta forza e buona volontà si stanno facendo riforme necessarie a sconfiggere la pesantezza della macchina burocratica che rende vane le energie spese per lo sviluppo civile ed economico del Paese. Più che una previsione voglio sperare che l’osservazione corrisponda al vero, sia una constatazione. Infine, quale sogno desidera veder realizzato? Il sogno è che l’estro di Capucci, nella sua unicità acclamata, ottenga il meritato riconoscimento anche dal mercato dal pret-a-porter e che il mio intervento possa contribuire a questo nuovo successo.
LA PAROLA AL NOTAIO
TRUST, UN PATTO DI FIDUCIA Elio Casalino*
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l trust (dall’inglese “to trust”: affidarsi, avere fiducia) è una figura giuridica di diritto anglosassone che permette di conferire parte del patrimonio di una persona per uno scopo definito. Privo di una legge che lo disciplini compiutamente in Italia, viene identificato per via della legge 364 del 16 ottobre 1989 – in vigore dal 1 gennaio 1992 – con la quale è stata ratificata e data esecuzione alla Convenzione Internazionale sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, adottata all’Aja, il 1° luglio 1985. Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione con il trust un soggetto, detto settlor o disponente, persona fisica o giuridica, trasferisce ad altro soggetto detto trustee, anch’esso persona fisica o giuridica, beni di diversa natura del suo patrimonio (immobili, valori mobiliari, quote di società, ecc.), affinché il trustee, che ne diventa di fatto il pieno proprietario pro tempore, li amministri nell’interesse di un terzo beneficiario o per un fine specifico, secondo quanto disposto dal settlor nell’atto costitutivo del trust e sotto l’eventuale vigilanza di un terzo soggetto detto protector (o guardiano), con funzioni di controllo e di supplenza del trustee. La struttura “minima” del trust della Convenzione dell’Aja può quindi così riassumersi:
- la separazione patrimoniale nel trust (c.d. segregazione): i beni in trust costituiscono un massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee: pertanto detti beni costituiscono un patrimonio separato sia rispetto a quello del disponente che del trustee che diventa titolare della piena proprietà ma, al contempo, l’insieme dei beni oggetto del conferimento in
trust è vincolato, ossia sottoposto ad un preciso vincolo di destinazione e, cioè, al raggiungimento di uno scopo determinato. Il vincolo che si crea tra il bene e il suo scopo è tale per cui il primo non può essere distolto dal secondo: i poteri del trustee sono limitati all’amministrazione del patrimonio e alla gestione del medesimo, potendo egli disporne solo in conformità alle disposizioni del trust e se-
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condo le norme che gli impone la legge: sorge, quindi, a carico del trustee un’obbligazione fiduciaria definita. I beni in trust, pertanto, non sono aggredibili dai creditori personali dei soggetti coinvolti (disponente, trustee, beneficiario e guardiano), oltre che preclusi all’assoggettamento fallimentare che ne colpisca il patrimonio personale, né fanno parte del regime matrimoniale e delle successioni del trustee. Resta sempre salva, ove ne ricorrano i presupposti di legge, l’esperibilità dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e dell’azione risarcitoria aquiliana. Gli effetti di questa “segregazione”, sul nostro ordinamento interno, hanno comportato il riconoscimento, anche in Italia, di un regime patrimoniale speciale di tipo, appunto, segregativo, che per una parte della dottrina, si pone come derogatorio rispetto al principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. (“Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”). La deroga al suddetto principio, come si vedrà meglio più avanti, presuppone sia che il vincolo sia adeguatamente conoscibile da parte dei creditori del disponente
(requisito formale), sia che detto vincolo sia costituito per un interesse meritevole di maggior tutela rispetto a quello dei medesimi creditori (requisito sostanziale); - lo sdoppiamento della proprietà: l’istituzione del trust provoca la divisione della titolarità della proprietà sui beni che ne sono oggetto. I beni in trust, infatti, vengono “intestati” al trustee ed il settlor, con il trasferimento dei beni medesimo e dei diritti, perde ogni diritto sugli stessi. Pertanto, a parte il trust autodichiarato – in cui il disponente si fa trustee di sé stesso – nel trust c’è normalmente un trasferimento della titolarità dal disponente al trustee, con la costituzione del vincolo nel patrimonio del trustee. I beni trasferiti in trust, pertanto, possono essere aggrediti solo dai creditori del trust medesimo ovvero per il soddisfacimento di quei crediti che siano originati da spese di gestione e conservazione del patrimonio conferito in trust; - le finalità meritevoli di tutela: il trust, quale negozio atipico, è degno di tutela in ragione della meritevolezza degli interessi perseguiti e, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1322 e 1324 c.c., deve indirizzarsi a finalità lecite, determinate, possibili e di natura tale che il giudice sia in grado di valutare il comportamento del trustee. Il trustee, pertanto, nel perseguimento dello scopo ultimo per cui è stato istituito il trust, è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità delle disposizioni del
trust medesimo e secondo le norme imposte dalla legge al trustee. L’art 2 della citata Convenzione, a tale proposito, aggiunge che “la circostanza che il disponente si riservi alcuni diritti o facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust”. Il Trustee è “ufficio di diritto privato” e può essere determinato in una o più persone fisiche, o in una persona giuridica, o addirittura lo stesso disponente può nominarsi trustee (nel c.d. trust autodichiarato). Quanto ai “Beneficiari”, la primaria ripartizione tipologica è rappresentata dai “Beneficiari Finali”(coloro che riceveranno le posizioni beneficiarie al termine della durata del trust o all’evento dedotto nell’atto istitutivo) e “Beneficiari del reddito” (coloro che beneficiano del reddito del fondo in trust, durante la vita del trust). Il Trust è istituto dotato di una flessibilità tale da poter essere utilizzato, in linea di principio in qualsiasi settore del diritto (diritto di famiglia, successioni, conservazione dei beni, gestioni, garanzie,ecc.) e, in tale sua flessibilità, consente anche una ampia libertà di scelta nella definizione delle clausole generali e strutturali del trust stesso, anche relativamente ai soggetti istitutivi che lo compongono (disponente, trustee, guardiano e beneficiari) e che ne assicurano il funzionamento nei suoi aspetti funzionali. (*Notaio in Roma)
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RIPRESA DEL MEZZOGIORNO
LA RICETTA DELLA CONFAPI Franco Solimando*
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egnali di speranza cominciano ad arrivare anche dal Mezzogiorno. Dopo sette anni di crolli, il Prodotto interno lordo pare destinato a invertire la tendenza negativa. Dal generale al particolare. Anche dalla provincia di Matera arrivano buone notizie, soprattutto sul fronte dell’export e della internazionalizzazione delle micro, piccole e medie imprese. Agroalimentare in testa, ma anche mobile imbottito, Ict, meccanica, chimica e plastica, logistica, automotive, Made in Italy nel suo complesso, sono i settori in crescita grazie non solo al mini-euro, ma anche alla ripresa di mercati extra Ue, come gli Stati Uniti, e alla capacità di innovarsi di tanti piccoli imprenditori che hanno investito negli anni di crisi e che adesso mettono a frutto i risultati. Che cosa chiedono le Pmi della provincia di Matera? Pima di tutto incentivi da parte della Regione per le fiere, strumento privilegiato dai piccoli imprenditori per internazionalizzarsi, ma poco o niente incentivato. Mentre finalmente si avvia l’iter della programmazione del Fondi europei 2014-2020, le Pmi lucane che vogliono internazionalizzarsi chiedono misure per la partecipazione a fiere internazionali. All’inizio del nuovo anno, se si vorrà cogliere l’occasione dell’impulso positivo proveniente dalle Pmi, ci si dovrà pensare seriamente. Un piccolo aiuto per proseguire la rincorsa, altrimenti la forza d’inerzia prima o poi si esaurirà. Il calo della domanda interna da un lato ha evidenziato le difficoltà delle imprese che operano nel mercato nazionale, dall’altro ha esaltato le performance delle aziende “export oriented”
e di quelle più innovative e che investono nelle nuove tecnologie. I più avveduti hanno abbandonato le produzioni di basso valore unitario per collocarsi su segmenti di produzioni a valore più elevato, mettendosi così al riparo dalla concorrenza estera e riuscendo ad assorbire costi di produzione più elevati rispetto a quelli bassi dei Paesi emergenti. Confapi Matera, l’Associazione delle piccole e medie industrie della provincia lucana, ha da qualche tempo intrapreso un percorso mirato alla internazionalizzazione delle proprie aziende, nella consapevolezza che per crescere occorre guardare oltre i confini nazionali. Dopo una missione-lampo a Malta, nello scorso mese di dicembre l’Associazione ha organizzato una missione imprenditoriale autofinanziata in Polonia, a Wroclaw, l’antica Breslavia, che, in quanto capitale europea della cultura per il 2016, presenta molte affinità con Matera, nominata capitale per il 2019. Passata dalla Germania alla Polonia alla fine della seconda guerra mondiale, quindi con fortissimi legami col mercato tedesco, Wroclaw ospita attualmente circa 3mila italiani e attrae un numero sempre crescente di investitori stranieri. Della missione esplorativa hanno fatto parte imprese attive nei settori agroalimentare, costruzioni edili, impiantistico, energie rinnovabili, ascensoristico, impianti di detergenti e produzione di cosmetici, ingegneria e Ict, disinfestazione e pulizia in ambito ospedaliero, rimozione di amianto, lavanderie industriali, grande distribuzione, telecomunicazioni e comu-
La Lucania industriale non è solo Melfi, nella regione esiste una forte presenza di Pmi
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nicazioni satellitari. Per questi e per altri settori la Polonia offre un mercato in continua evoluzione e dalle grandi potenzialità: è un Paese che spende il 100% dei fondi comunitari, nel il Made in Italy è particolarmente ricercato. Nel 2015 Confapi Matera ha ospitato l’ambasciatore del Marocco in Italia, Hassan Abouyuob, per avviare rapporti di collaborazione commerciale e investimenti con il Paese nordafricano. Il governo di Rabat persegue una strategia di sviluppo basata sulla politica di regionalizzazione che, quindi, punta sullo sviluppo locale e sulla crescita delle Pmi. È stata dunque individuata la provincia di Essaouira, sull’Oceano Atlantico, l’area dove concentrare gli investimenti e i rapporti commerciali, mentre i settori interessati vanno dalle costruzioni alla piccola meccanica, dalle telecomunicazioni alle energie rinnovabili, dal trattamento dei rifiuti all’agroalimentare e così via. L’esigenza dei nordafricani è di innescare il cosiddetto sviluppo incrociato o co-sviluppo, partendo dal basso e agevolando la crescita parallela delle Pmi lucane e marocchine, con un approccio locale e innovativo, cioè facilitando anche l’innovazione dei piccoli imprenditori marocchini e formando le competenze in loco per far crescere nell’area la cultura d’impresa. Il Marocco punta a sviluppare un’economia sociale e solidale attraverso un approccio locale, non globale, e basato sull’innovazione del management, ispirato al “modello Catalogna”. Un’iniziativa “win-win”, come dicono gli inglesi,
cioè con soli vincitori e nessuno scontento. All’ambasciatore Abouyoub è stato consegnato un documento che elencava l’offerta di servizi e/o prodotti lucani, progetti imprenditoriali, anche multidisciplinari e strategici, anche singole iniziative imprenditoriali. Successivamente Confapi verificherà con le autorità marocchine le possibilità concrete
di lavoro, eventualmente anche in partnership con le imprese locali. Seguirà una missione in Marocco. Esperienze incrociate, interscambi, think thank, il tutto magari facilitato da finanziamenti regionali ed europei, grazie al bilateralismo fra le due regioni e al coinvolgimento di banche marocchine e degli enti di ricerca. Matera sarà, nel 2019, la capitale europea della cultura più a Sud che ci sia mai stata. Una posizione chiave che può, e deve, vederci alla guida di un
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progetto di riscatto del Mezzogiorno e di sviluppo dell’area trans-mediterranea. Il dialogo con il Marocco si inserisce proprio in questa prospettiva di costruzione di un modello di progresso economico, sociale e culturale specifico che si integra con il resto d’Europa mantenendo la propria autonomia. Una interlocuzione propositiva e concreta che è stata avviata grazie al contributo dei professori Luigi Serra (presidente del Centro di studi berberi dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”), Mansour Ghaki (archeologo dell’Institut National du Patrimoine Università di Tunisi – Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”) e Gregory Lazarev, sociologo e Storico del Maghreb. Siamo convinti di dover investire nella cultura di impresa e realizzarne i presupposti chiave come l’internazionalizzazione. Le ragioni di una ritrovata motivazione capace di rilanciare le imprese è racchiusa nella nostra capacità di inserirci pro-positivamente nel contesto globale. Subire la scena di un sistema che diventa sempre più complesso, e nello stesso tempo più veloce, perché sempre più interconnesso e aperto al mondo ci vedrebbe sconfitti senza margini di ripresa. Per questo Confapi Matera sta guidando le proprie aziende che intendono internazionalizzarsi in missioni esplorative verso i mercati più appetibili. Intensificare il livello di internazionalizzazione è una necessità a cui stiamo lavorando attivamente. Fino a oggi il valore strategico del Mediterraneo è stato, forse volutamente, sottovalutato. Stiamo attraversando un
periodo difficile che vede i Paesi della regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa) attraversati da una forte instabilità di carattere politico, sociale, economico e religioso, ma tra questi ci sono esempi positivi a cui guardare come il Marocco. Un paese con 35 milioni di abitanti dove la monarchia “illuminata” ha saputo resistere alle “primavere arabe” perché in grado di traghettare la propria società verso una direzione più moderata; un’azione forte che nel 2015 porterà il pil a superare la crescita del 4%. Opportunità significative e concrete da coltivare anche in funzione di quel capitale di credibilità riconosciuto all’Italia
portunità di investimento il dato dei potenziali consumatori a cui rivolgersi: un bacino di circa 170 milioni di persone. Dal 2010, infatti, il Kazakhstan fa parte dello spazio economico comune con la Russia e la Bielorussa. E’ un Paese, insomma, che ha voglia di crescere. Un ulteriore dato significativo è l’esistenza di dieci zone economiche speciali nelle quali si applica un regime di favore sul fisco e i dazi doganali vantaggioso anche per i nostri imprenditori. All’Expo di Astana si prevede la partecipazione di circa cento Paesi di cinque milioni di visitatori, un evento sul quale si stanno concentrando investimenti
più che a qualunque altro paese europeo. Un altro Paese su cui vogliamo puntare è il Kazakhstan. Confapi Matera ha partecipato, lo scorso 17 febbraio presso la sede del ministero dello Sviluppo economico a Roma, alla Conferenza intergovernativa italo-kazaka sulla cooperazione industriale ed economica e sugli scambi tra Italia e Kazakhstan. Il Kazakhstan, che ospiterà ad Astana l’edizione 2017 dell’Expo, offre interessanti prospettive di cooperazione economica in settori quali l’energia (sia idrocarburi che energie rinnovabili), l’agroalimentare (joint venture tra imprese italiane e imprese kazake), il farmaceutico e, più in generale, le nuove tecnologie. Altri settori di interesse sono le infrastrutture, la sanità, il turismo, la meccanica. Secondo Standard&Poor’s, nell’ultimo decennio il Kazakhstan è stato tra i tre Paesi al mondo dove l’economia si è sviluppata con maggiore rapidità. A rendere concrete e interessanti le op-
importanti soprattutto nel settore dell’edilizia che sta vivendo un momento di grande sviluppo e che offre prospettive interessanti agli alle attività imprenditoriali. Oggi Confapi Matera sta esplorando il mercato iraniano che, con la fine delle sanzioni internazionali, si appresta ad aumentare l’export a livelli esponenziali. L’Iran, un Paese con 77 milioni di abitanti, la maggior parte delle quali giovani e altamente scolarizzate, potrebbe diventare il più grande mercato del Medio Oriente, non solo per i giacimenti di petrolio, ma anche per la meccanica, l’edilizia, l’Ict e altri settori. L’Associazione ha già avviato relazioni per un confronto sulle possibilità di investimenti e di relazioni economico-commerciali in territorio iraniano col sostegno del governo di Teheran. Subito dopo l’Iran sarà la volta della Serbia, un altro Paese dalle interessanti prospettive per le imprese italiane. *Presidente dei metalmeccanici della CONFAPI Matera
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TUTTE LE EREDI DEL REX
FINCANTIERI VA IN CROCIERA Elena Saporiti
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ale ormai quasi il 40 per cento dell’intero fatturato di un gruppo che ha chiuso il bilancio 2014 con ricavi per quasi 4,4 miliardi. Un successo macinato in pochi lustri ma che parte da lontano. Costruire navi da crociera rientra, infatti, nel dna di Fincantieri. E’ una lunga tradizione che risale agli inizi del Novecento, quando i cantieri di Genova e di Trieste già si distinguevano (per design, eleganza degli arredamenti interni, soluzioni ingegneristiche) nella costruzione di transatlantici. Tra i tanti campioni italiani che hanno solcato i mari, a Genova è nato anche il Rex, un simbolo della marineria entrato nell’immaginario, non solo nazionale. Al vertice del lusso, dell’eleganza, ancor di più della tecnica, il Rex ha legato il suo nome alla conquista del Nastro Azzurro, stabilendo nel 1933 il record nella traversata atlantica, in un momento molto competitivo dell’industria nazionale. Dopo una lunga parentesi dovuta all’avvento del trasporto aereo di massa che a metà degli anni sessanta del secolo
scorso ha messo in secondo piano i viaggi per mare, Fincantieri, alla fine degli anni ottanta, è stata tra le prime aziende a cogliere la nuova tendenza dell’industria turistica (la nave non più come mezzo di trasporto, ma come “destinazione” essa stessa) , riproponendosi sul mercato forte della precedente esperienza maturata nella costruzione di transatlantici. La Crown Princess, consegnata nel ’90, è unanimemente una delle più belle navi dei nostri tempi. Dai bacini di Fincantieri in seguito sono uscite 70 unità da crociera (su 216 complessivamente varate nel mondo) destinate a soddisfare ogni esigenza del mercato. Una tendenza ben lungi dall’affievolirsi. Nei primi nove mesi del 2015 il giro d’affari rica-
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vato dal business navi da crociera di Fincantieri è ammontato a 1.145 milioni di euro, contro i 964 del periodo gennaio-settembre 2014. Mettendo a confronto i due archi temporali si registra un robusto incremento anche dei volumi, passati dalle otto navi in costruzione nei cantieri italiani del gruppo nei primi nove mesi del 2014 alle 11 del periodo gennaio-settembre 2015. In questo lasso di tempo, Fincantieri ha registrato un forte incremento anche degli ordini, acquisiti e prospettici, se si considera prima di tutto lo storico accordo con Carnival Corporation, la più grande compagnia crocieristica al mondo, annunciato il 27 marzo di quest’anno, per cinque navi da crociera molto innovative da costruire tra il 2019 e il 2022. Quattro saranno navi di grande dimensione, le maggiori mai realizzate finora dal
gruppo italiano. Di rilevo anche la lettera d’intenti vincolante firmata nel giugno scorso con Virgin Cruises, controllata del gruppo Virgin (appena entrato nel mercato crocieristico) per la costruzione di tre navi da crociera. E significativa la recentissima intesa con la statunitense Viking Ocean Cruises che ha portato a sei, dalle originarie quattro, le unità da crociera commissionate al gruppo italiano. Gli importanti accordi commerciali raggiunti hanno fatto salire a 19,8 miliardi il portafoglio ordini di Fincantieri, includendo sia i contratti firmati sia le intese in fase di finaliz-
zazione che la società ritiene di formalizzare nel prossimo futuro. Il gruppo guidato da Giuseppe Bono ha davanti a sé ancora tante, significative opportunità. Il mercato crocieristico, infatti, è previsto in costante incremento. Gli analisti di settore più cauti ipotizzano che il comparto crescerà a un tasso del quattro per cento annuo, ma questo valore è ritenuto prudenziale alla luce, per esempio, delle proiezioni di crescita del mercato cinese, che Fincantieri sta monitorando molto da vicino, anche in forza delle intese siglate un anno fa proprio con il gruppo Carnival e con China Cssc Holdings Ltd, controllata di Cssc (China State Shipbuilding Corporation), la maggiore conglomerata cinese di set-
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Giuseppe Bono, Ad Fincantieri
tore, che opera in diversi comparti della cantieristica. Questi accordi puntano a esplorare la possibilità di una joint venture nelle costruzioni navali nel settore cruise, che si configurerebbe come una collaborazione trilaterale senza precedenti per la realizzazione delle prime navi da crociera mai costruite in Cina per il mercato asiatico.
TRASPARENZA & MASSONERIA
SAPERE, RIFORMARE E DIFFONDERE Leonardo Bartoletti Anche la comunicazione è parte delritto per regola e la giustizia per livella”, l’economia e della finanza. Un’arte che adottate come sua linea guida -sembra prevede investimenti e molta convindeciso ad andare avanti sulla linea della zione. E che, se ben fatta, è in grado trasparenza. “Ci sono - dice Binni di produrre ricadute economiche imdei momenti storici nei quali bisogna portanti. In questo senso, una vera e farsi conoscere, dove è necessario che propria rivoluzione l’ha messa in prala nostra conoscenza diventi pubblica. tica da qualche tempo la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori. Che improvvisamente, dopo secoli di silenzio, d’immaginario collettivo votato più al mistero che alla trasparenza, ha messo in campo tutti gli strumenti possibili per far sapere, informare, diffondere. Un vero e proprio inno alla trasparenza, che porta la massoneria ad avere improvvisamente un sito internet (www.granloggia.it), un indirizzo email al quale chiedere informaAntonio Binni zioni (gldi@granloggia.it), una giornalista professionista di grande esperienza per i rapporti Su questa strada abbiamo proceduto con la stampa. Non solo: nella sede di per gradi: abbiamo cominciato a dare Roma, a due passi da Largo Argentina, le liste dei nostri iscritti alle Prefetture, c’è anche la targa sulla porta e se si perché non abbiamo nulla da nasconchiama al telefono una voce cortese dere, abbiamo messo la targa Gran risponde “Pronto, Gran Loggia d’ItaLoggia d’Italia e rispondiamo al telelia…”. Il “rivoluzionario” dal quale è fono ‘Gran Loggia d’Italia’. Promuopartita l’operazione comunicazione è viamo convegni in giro per il mondo, Antonio Binni, 78 anni, attualmente non per fare turismo massonico, ma Sovrano Gran Commendatore Gran per divulgare i nostri principi e la veMaestro. Bolognese, titolare di un avrità che, come noto, sa difendersi da viato studio legale, in massoneria dal sola”. 1976, Binni - facendosi forte delle paGià, ma fino ad oggi? Misteri, verità role del profeta Isaia “Prenderò il dinascoste…
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“Parlare in modo non veritiero è fonte di equivoci, oltre ad essere pericoloso. Per questo abbiamo messo in campo tutti gli strumenti di comunicazione, senza escluderne nessuno. Tutto serve, purché si parli con responsabilità. Vogliamo raccontare i nostri principi ed i nostri valori, metterli in piazza. Perché se non faremo in questo modo, avremo solo dei danni. Io non concepisco che arrivi da me un Procuratore della Repubblica ed io non gli dica tutto su un massone. Perché ne va di tutta la famiglia, il cui interesse è solo quello di dire la verità”. Come l’hanno presa gli affiliati? “Il massone deve parlare in modo responsabile, non può permettersi il lusso di dire cretinate, come è avvenuto troppo spesso in passato. Ho paura di quei giovani che entrano in massoneria e scrivono cose che non devono scrivere. Dobbiamo essere galantuomini, di buoni costumi ma, soprattutto equilibrati”. Con questa mia scelta, credo di essere riuscito a colpire l’abuso di comunicare, ma non la libertà di farlo. Quando noi comunichiamo, togliamo a tutti l’arma del rimprovero, fondamento sul quale è nata la prima scomunica alla massoneria da parte di Papa Clemente. Lui disse: “Questi devono essere scomunicati perché operano nel segreto”. Qui di segreti non ce n’è più nemmeno uno”.
CARICO FISCALE
FLAT TAX: PRO E CONTRO Renato Pedullà*
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ul fronte del carico fiscale l'Italia rimane fanalino di coda in Europa. Lo rileva il rapporto del centro studi "Impresa Lavoro”, realizzato elaborando i dati della ricerca internazionale "Doing Business 2016" che fotografa punti di forza e di debolezza dei sistemi Paese di tutto il mondo rispetto alle imprese. Nella graduatoria generale l’Italia, sebbene accreditata di notevoli passi in avanti compiuti nell’ultimo anno, si attesta al 45esimo posto, rimanendo fanalino di coda del G7. In termini di carico fiscale che grava complessivamente sulle imprese, fa leggermente meglio dello scorso anno, passando dal 65,8 al 65,4 per cento. Solo la Francia, tra le economie mature, sta un gradino più alto con il 66,6 per cento. In questa nebulosa situazione economica e fiscale si annida da tempo l'idea di una radicale revisione del regime fiscale di tassazione dei redditi attraverso l’introduzione di una tassa unica: la Flat Tax, letteralmente “Tassa piatta". Una tassa che appare a tanti come la panacea di ogni male fiscale o, quanto meno, il cardine di quella rivoluzione fiscale che potrebbe risollevare la nostra economia. A titolo semplificativo, si tratta di applicare un'unica aliquota di imposta per ogni contribuente, persona fisica o impresa, indi-
pendentemente dal reddito prodotto. La Flat Tax fu teorizzata nel 1956 dall' economista statunitense Milton Friedman e successivamente ripresa da Alvin Rebuska, docente di Economia alla Stanford University, già consigliere economico del presidente americano Ronald Reagan. Grazie proprio al professor Rebuska diversi Paesi europei hanno, successivamente, utilizzato con successo la Flat Tax. Il primo a introdurre questo regime fiscale è stata l'Estonia, nel ‘93. Successivamente un’altra quarantina di Stati ha adottato tale sistema. Rebuska ha fatto notare che la Flat Tax ha successo nelle piccole come nelle grandi economie. Nell'immensa Russia, la Flat Tax venne introdotta nel Duemila e fissata al 13 per cento. Sei anni dopo le entrate f i -
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scali, al netto dell'inflazione reale, si erano quasi triplicate. Nella maggior parte dei Paesi che hanno adottato la Flat Tax l'evasione fiscale e' diminuita significativamente: è stato dimostrato che il contribuente acquisisce una predisposizione diversa rispetto agli obblighi erariali quando la tassa e' bassa. In Italia, però, l'adozione della Flat Tax potrebbe incontrare diversi ostacoli, e non solo prettamente economici. Prima di tutto, la Costituzione prevede all’art. 53 che "il sistema tributario sia improntato a criteri di progressività " della capacità contributiva dei cittadini. Ne scaturisce quindi che qualsiasi tentativo in direzione della Flat Tax dovrà superare l'eccezione di incostituzionalità. D’altro canto, l'eventuale adozione della Flat Tax per ora non è sostenuta da conti reali ma solo ipotetici. Con una potenziale aliquota al 20 per cento, secondo il ministero dell’Economia e delle Finanze, le casse pubbliche sconterebbero un mancato gettito di quasi cento miliardi, a parità di base imponibile. Ma l’Italia si troverebbe, nel caso eventuale di emersione fiscale pari a 200 miliardi, a recuperare perlomeno una cinquantina di miliardi. A mio parere l’introduzione della Flat Tax nel nostro Paese potrebbe imprimere una significativa sferzata al complesso sistema fiscale, cui necessita una reale semplificazione, spingendo il governo a realizzare un’autentica e drastica politica di tagli alla spesa pubblica improduttiva. *Commercialista in Roma
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RICERCA, SANT’ANNA IN CAMPO di Valeria Caldelli
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ellule in orbita alla ricerca di soluzioni contro l'invecchiamento. Scienziati italiani dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna hanno dato il via ad uno studio che ha l'obiettivo di prevenire malattie come diabete, ipertensione, trombosi e aterosclerosi che colpiscono una grande fetta della popolazione mondiale al di sopra dei 50 anni. E per avere una serie di risposte concrete con cui compiere in laboratorio gli esperimenti di biologia molecolare, hanno spedito le cellule con una navetta sulla base spaziale dove fino a poco tempo fa ha 'soggiornato' Samanta Cristoforetti. 'Complici' degli scienziati, dirigenti e
tecnici dell'Agenzia spaziale Italiana (Asi) e dell'Agenzia spaziale Europea (Asa), che hanno finanziato e gestito l'organizzazione del lancio, oltre agli astronauti che si sono presi cura dei gruppi di cellule preparate per l'esperimento. <Microgravità e radiazioni cosmiche senza il filtro dell'atmosfera producono un invecchiamento veloce delle cellule endoteliali, vale a dire quelle cellule che rivestono dall'interno i vasi sanguigni e che, una volta perduto il loro equilibrio, danno l'avvio a processi di malattie tipiche dell'invecchiamento>, spiega Debora Angeloni, ricercatrice della scuola Sant'Anna di Pisa, a capo del progetto preparato a partire dal 2009 e culmi-
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nato con il lancio delle cellule in orbita. <L'assenza di gravità si comporta come una 'macchina del tempo' e nel giro di pochi giorni terrestri le cellule diventano più 'anziane' di diversi anni. Ad esempio gli astronauti che restano sei mesi nello spazio perdono tanta massa ossea quanta sulla Terra se ne perde nel periodo compreso tra i 50 e i 60 anni di età. Quindi quei sei mesi nello spazio equivalgono a 10 anni per quanto riguarda l'invecchiamento delle ossa. Gli astronauti, essendo giovani e addestrati, al loro ritorno si ristabiliscono completamente. La massa ossea persa sulla Terra, invece, non è più recuperabile. Ci siamo accorti che a soffrire di più i processi di invec-
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chiamento nello spazio sono le cellule endoteliali ed è quindi una coltura di queste cellule che abbiamo inviato in orbita così da studiare la loro risposta, vedere come si adattano al nuovo ambiente e poter studiare l'accelerazione di quei fenomeni che sulla Terra avverrebbero in molti anni>. Il prezioso carico è stato spedito il 2 settembre da Baikonur, nella steppa del Kazakhstan, alle 6,37 ora italiana ed è rientrato alle 2,51 del 12 settembre a bordo delle navicelle Soyuz di produzione russa. Lancio e atterraggio perfetto. Per condurre l'esperimento le cellule sono cresciute e si sono moltiplicate nello spazio all'interno di microlaboratori progettati e realizzati ad hoc da Kayser Italia, azienda con sede a Livorno, esperta nella produzione dei hardware e software per esperimenti biologici nello spazio. Fondamentale la collaborazione tra Esa, Nasa e Energia, l'ente russo leader mondiale nel campo del volo spaziale umano. Sono stati gli astronauti Andreas Mogensen e Kimiya Yui a seguire personalmente la coltura in assenza di gravità a bordo della Stazione spaziale
Internazionale. A terra, a guardare il lancio con grande emozione, il gruppo di ricercatrici dell'Istituto di Scienze della Vita che ha lavorato all'esperimento: Debora Angeloni, Ivana Barravecchia, Francesca Scebba, Olga Pyankova, Chiara De Cesari. Ora le cellule sono di nuovo a Pisa, nei laboratori della Sant'Anna. <Dobbiamo osservare una serie di parametri per capire come nello spazio sono variati alcuni elementi, tra cui la morfologia, l'espressione dei geni, il Dna e il ciclo cellulare>, dice ancora Debora Angeloni. <Ci vorranno alcuni mesi per avere le risposte. L'obiettivo della ricerca è, appunto, caratterizzare i meccanismi molecolari attivati dalla permanenza nello spazio, quegli stessi che probabilmente sono attivati anche dall'invecchiameno fisiologico dell'endotelio. Lo scopo finale è mettere a punto metodi per la prevenzione e per la riabilitazione. Capire quello che succede prima che un evento accada realmente ci indica la strada per inibire le malattie, dà la possibilità di cercare farmaci che tengano la cellula in equilibrio, riuscendo così a mantenere inalterato ciò che altrimenti si andrebbe a perdere e a controllare ciò che invece diventerebbe eccessivo>. Il giovane team, intanto, ha creato un sito web tutto dedicato a questa iniziativa. Cliccando su www.spaceendo.eu appariranno progetti e foto. La strada non è breve, ma a piccoli passi si percorrono anche grandi distanze. Nelle foto: la navetta e le cellule inviate sullo spazio.
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IL TASSISTA DELLO SPAZIO di Roberto Di Meo
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a conquista dello spazio non poter dare il mio contributo a questa conosce limiti e ora anche le che definirei rivoluzione spaziale. Il compagnia private cominmio ruolo però è completamente diciano a pensare al ‘business delle verso da quello degli astronauti che stelle’. E tra i protagonisti delle tutti conosciamo perché la navetta prossime avventure c’è un altro itache dovrò pilotare viaggerà ad una liano che assumerà, ben presto, il altezza di 110 chilometri, appena ruolo di ‘tassista spaziale’. Nicola sopra all’atmosfera. Ha le caratteriPecile, 42 anni, (è nato a Fagagna in provincia di Udine) ex pilota collaudatore dell’Aeronautica militare italiana guiderà una delle navette spaziali sub-orbitali della Virgin Galactic, la prima compagnia privata nel mondo che programmerà voli turistici al di fuori dell’atmosfera. Richard Branson proprietario della Virgin Galactic Pecile, che ha alle spalle oltre stiche di un piccolo aereo e i passeimila ore di volo su 132 modelli seggeri godranno, per alcuni minuti, diversi di aerei ed elicotteri, è stato degli effetti dell’assenza di gravità e ingaggiato dal miliardario Richard potranno, nel contempo, ammirare Branson, che è proprietario della la curvatura della Terra e i suoi orizcompagnia aerea Virgin e che ha zonti”. Il taxi spaziale, dovrebbe enfondato l’azienda spaziale Virgin trare in piena attività entro il 2017 Galactic. “Sono molto contento – e il costo per un viaggio si aggira ci dice Nicola Pecile che abbiamo intorno ai 200 mila dollari. La Vircontattato in California - di essere gin Galactic ha già moltissime prestato scelto dalla Virgin Galactic e notazioni e si presume, che nel giro da Richard Branson per questo imdi una decina di anni, farsi un giro portante progetto e sono onorato di
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al di fuori del Pianeta sarà come prendere un volo intercontinentale. Ma, per il momento, sarà solo roba da ricchi. Intanto il nostro astronauta tricolore sta iniziando la preparazione. “Come in tutte le cose – continua Pecile - ci sarà bisogno di addestramento, ma mi considero pronto sia psicologicamente che dal punto di vista fisico”. E non si sente affatto impaurito dopo l’incidente dello scorso anno che ha provocato la morte di due piloti che stavano sperimentando la navetta SpaceShip Two precipitata al suolo in fase di collaudo. “Sono cose che si debbono mettere in conto per chi fa il mio mestiere”, aggiunge sorridendo. E alla classica domanda: che ne pensa la sua famiglia di questa avventura risponde serenamente. “Sono contenti per questa mia nuova esperienza. Preoccupati? Come tutte le persone che ti vogliono bene ma consapevoli dei rischi che ci sono facendo la mia professione. Hanno imparato a conviverci”. Per Nicola Pecile, la passione per il volo nasce già da quando era bambino. Una volta finita la scuola su-
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periore è entrato in accademia Aeronautica, a Pozzuoli dove ha frequentato il corso Orione IV. Fino al 2011 ha percorso tutte le tappe che lo hanno portato al grado di tenente colonnello acquisendo grande esperienze su diversi velivoli partecipando anche a programmi e addestramenti sia in Europa che negli States. Adesso vive in California e fa parte della National Test Pilot School del Mojave dove c’è l’unica scuola civile al mondo per piloti collaudatori. E’ sposato con Dania, italianissima, e ha un figlio Francesco di 15 anni che studia negli States. Tutto è pronto, dunque per il grande salto: ma qual è lo stato d’animo del protagonista? “Dopo l’incidente capi-
tato lo scorso anno allo SpaceShip Two - sottolinea Nicola - la navetta è stata ricostruita ed è in fase di completamento. Entro la fine dell’anno verranno effettuati i primi voli planati e successivamente quelli con i razzi. Credo che non ci vorrà molto tempo per i primi voli sub-orbitali con passeggeri a bordo. Le aspettative operative sono quelle del 2017. La corsa della Virgin Galactic per portare turisti nello spazio è più determinata che mai”.
Nella foto: Il tenente colonnello Nicola Pecile pilota della navetta spaziale
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LA VIRGIN GALACTIC È una delle prime compagnie al mondo che si occupa di viaggi spaziali. E’ stata creata dal plurimiliardario Richard Branson (proprietario della Virgin), per realizzare un’offerta di voli spaziali per il mercato commerciale. Nel mese di ottobre del 2011 è stato inaugurato nel deserto del Nuovo Messico (Usa) lo “Spaceport America”, il primo aeroporto spaziale della storia. Il business dell’azienda è quello di gestire 500 posti l’anno al costo di 200 mila dollari l’uno per raggiungere quote superiori ai 100 chilometri di altezza e per offrire ai passeggeri sei minuti di assenza di peso. Attualmente il ‘turismo spaziale’ è coperto solamente dall’agenzia spaziale Russa che, dopo il pensionamento degli Shuttle della Nasa, offre un posto sulla Soyuz a circa 20 milioni di dollari per sei giorni di volo. La Virgin Galactic utilizzerà un’astronave, la SpaceShip Two, che porterà sei passeggeri e due membri dell’equipaggio (entrambi piloti). Il prototipo dell’Aeronave venne presentato il 28 settembre del 2006 alla fiera espositiva di Next Fest al Javits Convention Center di New York. La compagnia spaziale privata stima che, a pieno regime, la flotta sarà composta da cinque velivoli. Ma come funzionerà il tutto? La navetta SpaceShipTwo sarà trasportata fino alla parte alta dell’atmosfera da un velivolo madre da cui si staccherà per essere spinta dal suo motore a razzo nello spazio oltre la cosiddetta linea di Karman (che si trova, per convenzione, a 100 chilometri di altezza) e dopo un volo di sei minuti in assenza di atmosfera e gravità rientrerà planando per un atterraggio convenzionale. Il progetto SpaceShip Two è in parte basato sulle tecnologie già sviluppate per la SpaceShip One da Burt Rutan. Il volo prevede lo sganciamento dal velivolo madre a una quota di 15 200 metri e l’accelerazione a velocità supersonica in meno di otto secondi. Dopo 70 secondi, il motore a razzo si spegne e la navetta continua la salita per inerzia fino alla massima altitudine. La cabina misura una lunghezza di 3,66 metri per un diametro di 2,28 metri.
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I TRENT’ANNI DI MAREVIVO di Francesco Olivo
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i può essere felici soltanto a venti metri sotto al mare e poi uscire fuori e fondare un’associazione? La rampolla di una famiglia di armatori può passare ore e ore a togliere la plastica dalle spiagge e a sfidare per trent’anni lobby e multinazionali per difendere il mare? Una conversazione con Rosalba Giugni nel barcone sul Tevere splendida sede dell’associazione, regala una risposta univoca: si può. La fondatrice e presidente di Marevivo racconta i (primi) trent’anni di vita dell’associazione ambientalista e sembra più presa dalle nuove sfide che dalla nostalgia. Perché una giovane donna di buona famiglia e belle vacanze decide di dedicare la sua vita alla salvaguardia del mare? “E’ una cosa che mi è venuta istintiva, dal cuore, quando ho visto le prime schiume e la plastica sporcare il golfo di Napoli, che allora era un luogo delle meraviglie, mi sono ribellata, era una violazione del mio elemento primario, non potevo accettarlo. Non avevo esperienza politica, né mi sarei mai immaginata di fondare un’associazione, eppure dopo trent’anni siamo ancora qui”. Dove comincia la storia? “Da Capri, io mi ritengo più caprese che napoletana, vedevo questo paradiso insidiato dall’inquinamento. Così ho improvvisato una raccolta fondi tra gli albergatori dell’isola per comprare uno spazzamare: dieci mila lire per ogni posto letto”. Tutti d’accordo? “All’inizio sì, parteciparono tutti. Poi qualcuno cominciò a distinguersi. Ricordo che il proprietario del più noto bar della piazzetta disse: “Se il mare è inquinato i turisti faranno il
bagno in piscina”. C’era gente così”. Non si rassegnò? “Mi piangeva il cuore a vedere quel disastro incombente, parlai con Fulco Pratesi, il fondatore del WWF Italia e gli dissi di fare qualcosa per il mare. Lui mi rispose che era meglio che fossi io a fondare un’associazione, ma avevo già tre figli e un lavoro e non avevo mai parlato con un amministratore pubblico in vita mia. Chiesi consiglio a Carmen di Penta, la mia amica storica, e ci dicemmo: “ma sì, dobbiamo farlo”, e oggi siamo ancora qui con lo stesso spirito e le stesse ansie”. Chi la aiutò all’inizio? “A Roma mettemmo insieme 27 soci promotori, tra cui Folco Quilici, Amedeo D’Aosta e Staffan De Mistura. C’era un po’ di tutto, ingegneri, velisti, ricercatori, personaggi famosi. Un milione (di lire) a testa e partimmo così”. Una struttura d’elite. “Sì, ma la prima cosa che facemmo fu molto pratica: andare a togliere la plastica dalle spiagge. Oggi sembra una cosa ovvia, ma allora in Italia nessuno l’aveva mai fatto. Portammo questi nostri soci così illustri a pulire, una cosa mai vista. Volevamo raccogliere rifiuti e coinvolgere. La grande novità era fare tutto direttamente sul campo”. Le prime battaglie? “Una grande iniziativa, che dura ancora oggi, fu quella in difesa della posidonia oceanica. E’ la ricchezza del Mediterraneo, una pianta marina alla base di tutto l’ecosistema, protegge le coste dall’erosione, ma non è facile far appassionare le persone a questo tema. Un conto è mobilitarsi per i delfini, un altro è lottare per quella che viene considerata poco più di un’alga,
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ma senza la posidonia nel già esaurito la nostra quota di mare non c’è vita”. pescato: ciò non significa che Come ci siete riusciti? da domani non troveremo pesce “Con una campagna interitaliano sui banchi dei mercati, nazionale nel Mediterraneo. ma che stiamo attingendo ad Nel 1990, a bordo della un capitale che si sta esaurendo. nave scuola della Marina Inoltre i nostri pesci sono sempre Militare “Amerigo Vespucci”, più pieni di mercurio. Ci lamenarrivammo a Barcellona. In tiamo delle meduse, ma non ci Catalogna approvarono suchiediamo perché siano molto bito una legge di protezione più numerose di un tempo”. della posidonia. In Italia Glielo chiediamo noi. dopo cinque anni”. “Un tempo le tartarughe manUna battaglia vinta che rigiavano le meduse e pesci come Rosalba Giugni, corda volentieri? le palamite si nutrivano delle Presidente dell’Associazione ambientalista Marevivo “Quella contro le spadare, loro larve. Ma se tartarughe e le reti usate per la pesca del palamite, ovvero i predatori, pesce spada, uno strumento spietato. In Italia c’erano 780 non ci sono più, l’equilibrio si rompe”. barche, ognuna con 20 chilometri di reti, fate voi il calcolo, Ci saranno anche battaglie perse dei veri e propri muri della morte. Dopo tredici anni di lotta “Negli anni Ottanta, pionieri nella lotta ai rifiuti, riuscimmo per la loro abolizione, grazie anche all’impegno di Emma a convincere 27 sindaci delle isole italiane a proibire sul loro Bonino dal 2002 sono vietate in tutti i Paesi dell’Unione territorio i vuoti a perdere. Fu un grande lavoro e alla fine Europea e dal 2005 in tutto il Mediterraneo tutti aderirono”. Nessuno protestò? Perché è una sconfitta? “Un giorno arrivò alla nostra sede un pacco con una testa di “I fabbricanti della plastica fecero ricorso al Tar e i giudici ampesce spada; su un biglietto avevano scritto: “Continueremo ministrativi diedero loro ragione. I sindaci dovettero ritirare con i delfini”. Il clima era questo. La battaglia non era ancora quell’ordinanza rivoluzionaria”. vinta”. Il mare sta meglio di trent’anni fa? Cioè? “Assolutamente no. La distruzione del nostro patrimonio non “I pescatori bloccarono lo stretto di Messina e il prefetto di ha fine”. Reggio Calabria riaprì la pesca con le spadare. Quel giorno Ci faccia esempi concreti successe un fatto strano, quasi mistico”. “La plastica nel mare: nel Pacifico si è formata un’isola più Mistico? estesa della penisola iberica. E nemmeno il Mediterraneo si “Un delfino arrivò proprio qui a nuoto risalendo il Tevere, salva: le micidiali microparticelle di plastica vengono mangiate una specie di miracolo, sono più di venti chilometri dalla dai pesci, entrando nella catena alimentare”. Non crede che, anche grazie alle vostre battaglie e all’impegno foce. Lo abbiamo interpretato come un segnale, un messaggio nelle scuole, ci sia più consapevolezza ambientale? del mare: “Continuate a combattere”. E noi abbiamo continuato “Sì, questo senz’altro. Ma alcune nuove abitudini hanno pege vinto”. giorato la situazione: penso al sushi che ha portato alla quasi La pesca oggi è più umana? estinzione del tonno rosso. Più in generale c’è questa moda di “Non molto, anzi il contrario. Le attrezzature sono sofisticate, dover mangiare pesce a tutti i costi, tutti i giorni. Un tempo non sfugge niente, tanto che a marzo di ogni anno abbiamo
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non era così”. Quale parte d’Italia la angoscia di più? “Il golfo di Napoli, 4 milioni di persone con solo il 5% delle acque depurate e un fiume, il Sarno, che avvelena il mare. Un dramma senza eguali che abbiamo documentato con dossier e reportage. Durante la prima America’s Cup abbiamo organizzato anche un flashmob con volontari e 50 subacquei che sono spuntati fuori dal mare con la maschera dell’Urlo di Munch e il Requiem di Verdi come colonna sonora”. L’Italia ha una politica per il mare? Manca sicuramente una governance. Un tempo con il Ministero della Marina Mercantile era stato istituito un tavolo al quale sedevano tutti: imprese, petrolieri, pescatori, associazioni di categoria, ambientalisti. Da quando il Ministero è stato abolito, le sue competenze sono state ripartite in almeno sei diversi dicasteri. Difficile così fare un politica del mare. In questo modo vincono le lobby più forti e l’esempio sono le trivellazioni”. Le trivelle sono una minaccia? “Certo, mi chiedo: tutto il mondo è alle prese con i cambiamenti climatici e noi ci mettiamo a trivellare? Nell’87 Marevivo bloccò le trivelle a Favignana e Amalfi, due tra le località più straordinarie del nostro paese. Ma oggi la minaccia continua, in Sicilia e nell’Adriatico”. Il governo Renzi vi ascolta? “Dico solo che lo Sblocca Italia è stato un elemento facilitatore per le società che vogliono trivellare”. Vi vedremo in azioni spettacolari stile Greenpeace? “Ogni associazione ha il suo stile, loro fanno proteste più clamorose e sono un’organizzazione nata all’estero. Ma non c’è nessuna rivalità, anzi approviamo quello che fanno e spesso collaboriamo. Sono molte le battaglie comuni, il coordinamento
contro le trivelle è un esempio. E poi anche noi abbiamo fatto azioni spettacolari”. Quando? “Nel 2012 abbiamo fatto navigare una pinna di squalo nella Fontana di Trevi, luogo simbolico per tutto il mondo, per chiedere all’Europa di fermare il finning, la pratica di togliere le pinne degli squali”. Una cosa di cui l’Italia può andare fiera? “Abbiamo 32 aree protette: siamo gli unici al mondo. Dovremmo arrivare a 50, ma mancano le risorse e le barche vogliono arrivare dappertutto”. Davanti a questa condizione drammatica del mare, cosa vi spinge a combattere ancora? “Il fatto che senza il mare non c’è vita. Il 71% della superficie terrestre è acqua, la stessa esatta proporzione della quantità di liquidi nel corpo umano. Curioso, no? Il mare, che produce l’80% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe 1/3 dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo, è un organismo vivo, alla base del clima e delle catene trofiche. E perciò, alla luce di tutto questo, a muoverci c’è la responsabilità verso le future generazioni”. E con quali azioni e strumenti? L’unico strumento per promuovere un cambio di rotta è la diffusione della conoscenza. Dal “Laboratorio del Tevere” di Roma all’Oasi di Eraclea Minoa in Sicilia, passando per “Delfini Guardiani”, progetto di punta degli ultimi anni per le scuole delle isole minori italiane, a “Tavola Blu”, la campagna in corso per gli studenti degli istituti alberghieri: sono moltissimi e diversi i luoghi, i momenti e i giovani coinvolti nei nostri progetti di educazione ambientale. L’obiettivo è sempre lo stesso: dare gli strumenti giusti per un utilizzo consapevole e sostenibile delle risorse naturali.
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“THE WORLD GOES POP”
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ONDRA - In principio furono le Madonne e le storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Poi nell’arte arrivarono le scene di vita quotidiana e i paesaggi, quelli veri e quelli immaginari, riflesso di luci o di emozioni. Fino alla scomposizione degli oggetti e dopo all’astrattismo, entrambi figli di una rivoluzione industriale che, con l’avanzata della tecnica e la produzione delle prime macchine fotografiche, aveva sconvolto i canoni artistici. Non più la realtà, bensì la sua interpretazione, era al centro dei nuovi dialoghi culturali. L’avvento del consumismo, con i suoi supermercati e le sue icone mediatiche, cambiò non solo il baricentro economico, ma anche quello dell’arte, trasportandoli entrambi dall’Europa agli Stati Uniti. Beato Andy Warhol che seppe vedere nelle lattine di minestre Campbell e nel volto di Marylin Monroe qualcosa di immortale da tramandare ai posteri in raffigurazioni seriali ottenute attraverso i nuovi linguaggi mediatici. Un’altra rivoluzione, quella della Pop
Art, che sconfisse tutte le Madonne e i virtuosismi secolari del pennello, in nome di una nuova società, la nostra. Ma il movimento che maturò negli anni Sessanta e Settanta in Nord America e in Inghilterra non fu solo un altare del consumismo. Ce lo spiega una grande mostra alla Tate Modern di Londra, sulla riva Sud del Tamigi, che con 160 opere ci porta in giro per il mondo mostrando come diversi Paesi e culture abbiano contribuito ad amplificare e ad approfondire
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temi legati alla vita e alla politica attraverso le insegne del Pop, senza per questo essere omogenei alla società dei consumi. <L’esposizione rivela storie alternative della ‘Popular Art’, accendendo le luci su alcune figure chiave del periodo, spesso lasciate da parte. Rivela infine come il Pop non fu soltanto una celebrazione del consumismo occidentale, ma anche un linguaggio sovversivo internazionale di critica e protesta pubblica in tutto il globo>, sottolineano le curatrici Jessica Morgan e Flavia Frigeri. E allora ecco tutte le provocazioni di ‘The World Goes Pop’, mostra aperta fino al 24 gennaio, dalla diseguaglianza economica, alle guerre, dalla violenza politica a quella privata, dalla condizione femminile ai simboli mediatici. Il tutto visto non come pure e fredde rappresentazioni dei nostri tempi, ma con la distanza di un’antagonista che usa però il linguaggio moderno del cinema, della televisione e della pubblicità. Se dunque la Pop Art viene associata tradizionalmente con isolate icone della celebità, la Tate Modern dimostra che ci sono invece artisti Pop in tutto il mondo a ritenere le folle un simbolo ancora più potente della cultura contemporanea. Tanto è vero che con ‘American Interiors’ l’artista islandese Errò, ci mostra una moltitudine di operai cinesi che invadono un luogo tipicamente occidentale, mentre opere del brasiliano Carlo Tozzi e lo spagnolo Equipo Cronica suggeriscono la forza dirompente della folla che protesta per riscattare l’individuo dalla dittatura. La cartina di tornasole per l’ipotesi della mostra è la rappre-
sentazione del corpo della donna da parte delle donne stesse, artiste lasciate fino ad oggi in disparte vista la loro appartenenza al genere femminile, come succede anche nell’arte. Replicando polemicamente al modo erotico di ‘suggerire ‘ il corpo femminile per uso e consumo degli uomini, artiste come la brasiliana Anna Maria Maiolino e la slovacca Jana Zelibska offrono visioni assai meno ‘solleticanti’ delle parti sessuali di una donna. Ciò che vediamo nelle loro opere sono isolate zone del corpo come viste ai raggi X, oppure il modo in cui queste funzionano viste dall’interno. Progetti artistici che sembrano connessi con la liberazione della donna dagli stereotipi di una società maschilista. Ovviamente nella carrellata londinese non possono mancare riferimenti alla guerra e alla dittatura. Lo sviluppo della Pop Art coincise infatti con la guerra del Vietnam e artisti di tutto il mondo reagirono con le loro opere, criticando il ruolo degli Stati Uniti nel conflitto. Ancora più amara l’ opposizione alle dittature. Jurry Zielinski, polacco, nel suo ‘Without Rebellion’, fa uscire dal quadro una lingua rossa realizzata con un guanciale e la inchioda letteramente al pavimento. Marcello Nitsche con ‘Kill Fly’, un ammazzamosche di fibra di vetro e resina, commenta invece la dittatura militare brasiliana. Un solo oggetto di ordine quotidiano trasformato in un simbolo per dire con le immagini ciò che era vietato con le parole. Valeria Caldelli
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UNA STORIA DI FAMIGLIA di Maddalena Santeroni
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avoloso artigiano, creatore del pendo che seguirà l’azienda di famiMade in Italy: Salvatore Ferraglia. E’ stato il suo desiderio di semgamo. Le scarpe si sa, parlano pre o da giovanissimo sognava qualdi noi. Anche se non vogliamo - inutile cosa di particolare e diverso? fare attenzione o cercare scuse -iniziano Sono entrato in azienda giovanissimo, un dialogo con gli altri indipendentemente, raccontando di gusti, aspettative, desideri, stato sociale e suscitando forti emozioni. Le scarpe hanno un ruolo determinante, ci aiutano ad attraversare i percorsi a volte faticosi della vita, ci accompagnano nei giorni di festa, ballano giocano vivono con noi. Lo sapeva molto bene anche un giovane artigiano, Salvatore Ferragamo che partito armato dei suoi sogni e della sua creatività dalla provincia di Avellino arrivò negli Stati Uniti dove impiantò un laboratorio che divenne poi fabbrica che divenne nel tempo “azienda”. Una storia di famiglia che vede la Salvatore Ferragamo spa attualmente presente nel mercato europeo, americano e asiatico con circa 4.000 dipendenti e una rete di oltre 640 punti vendita moFerruccio Ferragamo nomarca al 30 giugno 2015. E ancora saldamente in mano alla dato che mio padre è mancato improvfamiglia – nello splendido palazzo Fevisamente e prematuramente. Ma roni a Firenze - con Ferruccio Ferral’azienda l’ho vissuta fin da piccino, gamo presidente della Maison, che ci dato che dopo la scuola e durante parla di questa eccezionale storia di lal’estate eravamo soliti, i miei fratelli ed voro e impresa tutta italiana. io, passare a Palazzo Feroni dove L’azienda, nata dalla creatività di suo c’erano i laboratori con gli artigiani al padre e dalla imprenditorialità di sua lavoro e trascorrevamo il nostro tempo madre, rappresenta il Made in Italy a vedere come nascevano le scarpe per eccellenza, lei quindi cresce sa-
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create da nostro padre. Quella di entrare in azienda, anche se mi sono occupato sempre della parte organizzativa e non dello stile, seguendo dapprima la produzione e i negozi di proprietà per poi passare al settore finanziario ed amministrativo, è stata una scelta quasi obbligata, ma devo dire che non avevo mai pensato ad un futuro diverso. Ho sempre amato il lavoro di mio padre; ho una grandissima ammirazione per quanto ha fatto mia madre per conservare e far crescere l’Azienda che ha improvvisamente ereditato e insieme ai miei fratelli ci siamo impegnati a fondo per portare avanti un Gruppo che abbiamo sempre amato profondamente e in cui crediamo moltissimo. L’azienda – quotata in borsa – rappresenta lo stile italiano, cosa significa esattamente “stile” per Ferruccio Ferragamo? Lo stile è il gusto per l’estetica, è poter scegliere le cose belle, fatte secondo la tradizione artigianale, la cura del dettaglio. Per me il made in Italy - che è una delle caratteristiche distintive dei prodotti Salvatore Ferragamo e che è alla base della loro riconoscibilità - rappresenta una parte importante dello stile, perché definisce un modo di vivere che è tipico del nostro Paese così ricco di bellezze naturali, artistiche e architettoniche e di professionalità artigianali. La Ferragamo è sempre presente per
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la città di Firenze, con restauri e molto altro. Cosa significa l’arte italiana per lei? In Italia viviamo immersi nei capolavori: siamo un Paese con un patrimonio eccezionale con la più alta concentrazione di opere d’arte e di siti che spaziano dall’antichità ai giorni nostri, fatto di palazzi, piazze, chiese, gallerie d’arte, aree archeologiche. Il patrimonio culturale e monumentale italiano è uno dei più importanti al mondo, e per il nostro Paese è anche una ricchezza che si traduce in turismo, cultura e qualità della vita. Difendere le nostre bellezze, salvarle dall’abbandono, dal logorio del tempo, restaurarle per farle ritornare nel loro pieno splendore non è solo un operazione culturale ma anche la valorizzazione della maggiore risorsa del nostro Paese: un in-
vestimento per il futuro dell’Italia. I beni culturali non sono replicabili, sono un tesoro sul quale tutti abbiamo una responsabilità, ma allo stesso tempo sono anche un grande motore di sviluppo perché mettono in moto lavoro, mestieri, tecnologia e indotto di saperi e competenze che l’ Italia può giocarsi in tutto il mondo. Quale il tema più urgente per l’azienda Italia oggi? Lavorare sulla competitività, diminuire la burocrazia, avere leggi chiare e dare spazio ai giovani. Non c’è differenza tra l’azienda che deve competere nel mercato e l’Italia che deve competere nel mondo. Se fanno bene entrambe, l’Italia potrà conoscere un nuovo boom. Ha mai pensato di scendere in politica?
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No, è un pensiero che non ho mai avuto. Sei figli, una famiglia numerosa tra fratelli e nipoti, lavorano o lavoreranno tutti in azienda? Sicuramente no, dato che come Gruppo abbiamo fatto delle scelte molto chiare tanto tempo fa. Ci siamo dati delle regole in tempi non sospetti, tanti anni fa, quando ancora il problema non si poneva e abbiamo deciso che solo tre membri per ogni nuova generazione sarebbero entrati in Azienda e ci sarebbero entrati per merito e competenze. Per poter far parte del team gli “aspiranti” delle nuove generazioni devono essere laureati, aver conseguito un master, aver maturato un’esperienza lavorativa di almeno due anni extra azienda e infine superare un esame di ammissione condotto dai
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membri della famiglia operativi in azienda. Ad oggi sono già entrati in azienda tutti e tre i membri della terza generazione: mia nipote Angelica Visconti, che è direttore retail e wholesale Italia; mio figlio James, che è direttore del prodotto pelle donna; mio nipote Diego di San Giuliano, che siede nel board e si occupa dell’area digital. Nonostante lo “stile” italiano sia da sempre considerato il più importante nel mondo, in realtà il polo del lusso non siamo noi. Come mai secondo lei? Perché noi italiani siamo individualisti. I francesi in casa loro possono anche litigare, ma quando si presentano all’esterno fanno fronte comune e se devono entrare in un mercato sono uniti. Lo vedo anche in settori diversi dalla
moda: io produco vino e se guardo ai mercati esteri posso constatare che i francesi si presentano alle diverse manifestazioni dedicate all’esportazione sempre insieme. Gli italiani invece vanno lì, ciascuno col suo piccolo stand... L’individualismo degli italiani rappresenta un limite quando dobbiamo andare a conquistare un mercato. Ma rappresenta anche una caratteristica fantastica quando c’è da trascinare con entusiasmo un’azienda. La grande qualità degli italiani è genialità e creatività insieme. Quando parlo con gli artigiani vedo proprio bollire la pentola, hanno idee come nessun altro. Ferruccio Ferragamo sa fare una scarpa? La leggenda dice di sì E invece la devo smentire…. Mi sono sempre occupato di organizzazione del-
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l’Azienda e di numeri, non sono un creativo. Mi affascina molto il lavoro degli artigiani; fin da piccolo ho passato ore a studiarli incuriosito per la loro abilità, ammiro moltissimo quello che sanno ottenere, ma il mio lavoro è sempre stato un altro. Se dovesse dare un consiglio ad un giovane stilista del 2015, quale sarebbe? Il consiglio che posso dare a un giovane stilista così come a qualsiasi altro giovane per ogni altra professione è semplice: credere in quello che fa, metterci entusiasmo e determinazione, prepararsi e continuare ad aggiornarsi, non aver paura di sbagliare. Credo che la passione sia determinante per poter riuscire e, come dimostra la storia di mio padre, molto spesso permette di realizzare i propri sogni.
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GENERAZIONE 30/40 AI
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a generazione definita ‘bruciata’ in partenza, a cavallo tra digitale e analogico, viaggia tra passione, lavori creativi, ed inventa nuovi percorsi di comunicazione. Fresco di laurea in matematica, Matteo è l’eccezione che conferma la regola: i suoi due emisferi sono un florilegio di creatività e di applicazione di attività logico matematiche. Un mix fresco, portato avanti con il candore di un ragazzo cresciuto in solitudine, molto intelligente, con le idee chiare. E un pizzico di ingenuità che aiuta a tenere i piedi per terra. Matteo descriviti in un tweet (desctiviti in 147 caratteri) #sognatoreincallito #testardo #altruista #unpòpermaloso #sincero #insicuro #timido... Che tipo di bambino sei stato? Compagnone, solitario… Sfortunatamente non ho mai avuto una grande cerchia di amici perché venivo schernito dai miei compagni e tante volte ero vittima di scherzi e cattiverie. Ma nonostante ciò la mia fantasia e la mia tendenza a sognare ad occhi aperti non venivano scalfitte, anzi! Erano il mio rifugio... Ho
sempre adorato i fumetti e il mondo Quale attività ti permetterà di dei cartoon perciò il tempo libero lo mantenerti: il disegnatore o l’insegnamento? occupavo a disegnare Se devo essere sincero, finora a darmi Cosa desideravi fare da grande? da mangiare è stata la matematica inFin dalla tenera età ho sempre avuto un unico grande desiderio: poter fatti gli studi universitari me li sono pagati autonomamente grazie alle risfondare nel mondo dei fumetti. Il petizioni a studenti di scuole elepercorso è ancora molto lungo e mentari, medie e superiori e che ricco di ostacoli, tuttavia spero un tutt’ora continuo a fare sempre con giorno di poter realizzare il mio serietà e impegno. Ci tengo che i sogno! miei alunni vadano bene e quando Hai scelto studi scientifici e tutto mi mostrano i risultati positivi otteil resto del tuo tempo lo dedichi a lavori creativi... In effetti, quasi tutti si stupiscono quando scoprono che sono laureato in matematica! Io non so mai come rispondere per togliermi dall’imbarazzo. Diciamo che la matematica è sempre presente nella nostra quotidianità, e anche nel disegno mi accorgo di seguire il suo rigore, per esempio nel rispetto delle proporzioni anatomiche, nell’ordine dei codici dei copic, (pennarelli a base alcolica usati dai professionisti del disegno, ndr), per la graduazione delle tinte, la tendenza a schematizzare ogni cosa, ecc... Matteo ‘Shiro’ Modonesi
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TEMPI DEL JOBS ACT di Nicola Bartolini Carrassi nuti nelle verifiche gioisco insieme a loro, soprattutto da quelli che hanno più difficoltà, perché dimostra che sono riuscito a dar loro qualcosa di mio e per chi insegna questo è molto importante. Sei fresco di laurea, come recenti sono le nuove leggi sull’impiego e sull’età pensionabile. Che cosa ne pensi? Penso che purtroppo quelli nati come me negli anni 80, appartengano ad una generazione sfortunata perché le riforme sulla scuola non migliorano assolutamente i servizi, ci accorciano gli anni di università, chiamandole lauree brevi, pur mantenendo lo stesso numero di esami del vecchio ordinamento (dei quali, molti inutili), e che non danno garanzie. Le aziende cercano solo perone con esperienza e con abilità sempre più specifiche e non scommettono sulle nuove leve. Poi c’è la crisi che pesa come un macigno, ci sono sempre meno soldi. Viviamo in un’epoca dove ci si deve “inventare” un lavoro e darsi da fare in più campi. Per quanto riguarda l’eta pensionabile, personalmente trovo assurdo continuare ad alzarla. Mi riferisco in particolare a quei lavori che richiedono un alto livello di lucidità e prestanza fisica. Bisognerebbe gestire queste leggi con maggiore umanità e responsabilità. Cosa pensi del Jobs act e di ciò che sta accadendo nel mondo del lavoro: evoluzione o involuzione? Sono un pò preoccupato... indipendentemente che ci sia il job act o meno, in genere qui in Italia si finisce sempre per involvere anziché progredire...troppi interessi, troppe corruzioni... Tu vivi con i tuoi genitori... E’ una tua scelta, (sei uno dei famigerati bamboccioni)? Credo che a chiunque farebbe piacere avere una propria indipendenza. Purtroppo senza lavoro e quindi senza una possibilità di un mantenimento economico autonomo si è costretti a rimanere coi propri genitori. Hai molti fan, realizzi mostre dei tuoi disegni: spesso reinterpreti personaggi dell’animazione, e qualche volta punti su creazioni originali… Non mi dispiacerebbe poter creare delle storie mie originali. E’ anche vero che una fanart, (opere create dai fan di un artista, ndr), riesce ad accattivarsi un pubblico maggiore perché è già conosciuto quindi è più facile che venga no-
tato proprio perché lo si conosce. Forse non ho ancora avuto il coraggio di abbandonarle per paura di deludere le aspettative di chi segue i miei lavori con affetto o forse perché ancora non ho un progetto “serio” sul quale lavorare...ma mai dire mai! Il tuo primo giorno a scuola, la tua prima mostra, il tuo primo lavoro (commissione), il giorno della laurea. Un aggettivo per ogni evento citato! Il primo giorno di scuola: giocoso; la mia prima mostra: adrenalinica; la prima commissione: divertente. Il giorno della laurea: emozionantissimo. Quali sono i tuoi attuali impegni? Partecipo ad un progetto che trovo molto interessante, perché diverte educando ‘Apri un libro e sogna’: perché diverte educando. Una serie di fiabe classiche, rivisitate, che possono essere acquistate on line. Il prodotto è costituito dalla favola sonora, dalla versione IN LINGUA INGLESE e dalla traccia con musica ed effetti: genitori e figli potranno divertirsi a raccontare la fiaba, imparando ad interpretare ogni personaggio. Lo trovo un progetto intelligente e stimolante. Una cosa che nessuno sa di te? Sono molto scaramantico! *Su www.nuovafinanza.com l’intervista completa, con ancora più domande, approfondimenti, notizie esclusive, file multimediali e molto altro.
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IL VINO AL FEMMINILE di Donatella Miliani
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L VINO con un tocco... al «femminile». Sabrina Morami è una giovane imprenditrice umbra che ha trasformato la propria passione («un desiderio» ci tiene a sottolineare lei) in un lavoro che dà lavoro anche in tempo di crisi. Giovane, affascinante e capace, Sabrina una quindicina di anni fa, dopo un diploma in ragioneria e studi universitari in scienze politiche, ha “scoperto” il vino. «Tutto è nato quasi per caso» racconta la Morami, umbra doc, cresciuta in una famiglia di imprenditori che operano nel campo della sicurezza. «Ad un certo punto, nel ’98, mi sono ritrovata a occuparmi dell’azienda agraria, 130 ettari nel comune di Castiglione del Lago in località Morami dal nome dei miei avi. All’interno c’era un vecchio vigneto. E’ stato amore a prima vista. Era tutto da rinnovare, ovviamente. L’ho fatto con la cura che si dà a una “creatura” che oggi sento davvero mia». Per una che non aveva esperienza nel settore deve essere stato duro. Come ha fatto? «All’inizio c’è stata un po’ di incoscienza, sicuramente. Poi la cosa mi ha
preso la mano e così nel 2007 la cantina ha cominciato ad avere una programmazione con obiettivi importanti. E’ uscito infatti il Renaia Rosso Igt, e nel 2009 il Pratolungo, un bianco Igt, quindi il Podicerri Igt. Nel 2011, proprio per il mio compleanno, un regalo speciale: il Cardissa, uno chardonnay
Igt in purezza che fermenta e matura in barrique di rovere francese per 6 mesi e si affina in bottiglia, magnum da 1,5 lt, per 12 mesi». Produzione attuale? «Circa 20mila bottiglie, per i quattro vini. Un quinto è di prossima uscita. Un sangiovese in purezza che ha fatto
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due anni di tonneau. E’ stato imbottigliato quest’anno. E’ in produzione limitata. Quando lo berremo? Siamo in attesa – dice – che lui, il vino, ci dica quando è il momento giusto per iniziare ad assaporarlo. Penso che ci vorranno un paio di anni. Sento che mi darà delle soddisfazioni». A chi è venuta l’idea? «A me. Dopo un vino al “femminile” come il Cardissa, ho sentito la necessità di crearne un altro con personalità al maschile. Non vedo l’ora di gustarlo». Il nome? «Lo sto cercando. Lo vedo un po’ come un Dorian Grey, la parte elegante del personaggio, ovvio, non quella maledetta. Un vino maschio, un po’ cinico ma che innamora, conquista. Prima o poi troverò la parola giusta che lo descriva». Intanto, al vino, ha aggiunto la produzione di olio e l’attività di ospitalità in quello che ormai è un vero e proprio agriturismo. «Vero. Qui all’agriturismo Cantine Morami di Panicarola l’ambiente è semplice, silenzioso perfetto per il relax, con l’attività agricola che gli gira intorno ma Cardissa senza disturbare. L’unione agriturismo e vini è perfetta. I nostri
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ospiti dimostrano di gradire molto anche le passeggiate tra i vigneti o le visite in barricaia. La clientela è fatta sia di italiani che di stranieri. Molti dal nord Europa: Belgio, Danimarca Germania e poi Polonia e Russia. Tutto attraverso i siti e tanto passaparola. Una faticaccia per me ma che soddisfazione! Quest’anno il fatturato è stato raddoppiato. Certo, io ho rinunciato alle mie vacanze ma va bene così. Era un altro dei miei desideri, realizzato. E dico desideri non sogni che sono altro». Che intende? «Che i desideri vanni espressi a voce alta. E bisogna stare attenti a farlo, perché poi qualcosa succede sempre. I sogni no...». E adesso? «Lavoro tantissimo ma non mi lamento. Che dire? Non avrei mai immaginato di arrivare a questo punto. Eppure eccomi
qua con un mercato di enoteche e ristoranti medio alti in Italia e esportazioni in vari paesi stranieri: Danimarca, Belgio, Francia e Germania. Da quest’anno abbiamo previsto raddoppi di produzione. Partecipiamo a varie fiere internazionali come il “Taste” di Firenze, Browine di Düsseldorf, Sjra di Lione o Megavino a Bruxelles. Insomma, siamo piccoli ma speriamo di crescere, in punta di piedi, guardando con rispetto alla tradizione dei grandi marchi umbri. La raccolta è manuale con attenzione all’integrità degli acini. Così diamo lavoro a diverse persone». Bella, brava... con in bacheca già prestigiosi riconoscimenti. Illustra lei i suoi vini al pubblico? «Sì, e mi diverte molto. Grazie a questa passione ho vinto la mia atavica timidezza». Sarà mica pure una brava chef? «Chef non direi proprio - confessa - però a spadellare ci provo!».
LA BELLEZZA A FIOR DI PELLE
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’ possibile avere una pelle luminosa e sana, con poca spesa e molta soddisfazione? Nella sua seguitissima rubrica della trasmissione “ Buongiorno Benessere”, Vira Carbone spiega come curare e coccolare la propria pelle, insegnando a preparare a casa, con le proprie mani, creme naturali, maschere, fanghi, lozioni infallibili per sprizzare bellezza e salute…da tutti i pori, letteralmente. Questo libro propone le ricette inedite di sessanta nuove “pappette di Vira”, presentate step by step e corredate di tutorial fotografici, istruzioni per l’uso del preparato (quando? Quante volte? come?) e pareri e consigli degli esperti, un nutrizionista e un dermatologo. Occhi, viso, capelli, busto, gambe e braccia: un vero manuale completo del benessere alla portata di tutti. Vira Carbone è autrice e conduttrice di “Buongiorno Benessere”, il popolare programma di Rai 1 che si occupa di salute e prevenzione, con servizi esterni sulle eccellenze italiane e approfondimenti, interviste, suggerimenti. Al libro hanno collaborato, con i loro pareri di esperti, Steven Paul Nisticò, dermatologo, professore associato dell’Università Magna Graecia di Catanzaro e coordinatore del master “Laser in Dermatologia” all’Università di Roma Tor Vergata, e Ciro Vestita, professore di Nutrizione umana e Fitoterapia all’Università di Pisa.
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LUCANIA, “L’ALTRO VULTURE” di Maddalena Mazzeschi
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erché “L’altro Vulture”? Esistono diversi Vulture? Sì e no. Geograficamente il Vulture è uno solo e inimitabile, terra bellissima e praticamente selvaggia, che produce grandi vini. Ma ci sono aziende che fanno vini, più o meno interessanti, ma credono nel territorio e hanno voglia di promuoverlo insieme. E altre che lavorano solo per la propria cantina e il territorio nel suo complesso viene dopo. Visione miope ma, per fortuna, limitata. Tutt’altra, invece, è la filosofia della cantina “Grifalco” di Venosa, tra i capofila del gruppo “L’altro Vulture”, che ha scelto il lavoro di comunicazione del territorio fatto insieme. Quest’azienda (tel. 097231002) è di proprietà della famiglia Piccin. Laziali di provenienza, toscani per esperienza (per anni sono stati i titolari di una cantina a Montepulciano che ha toccato i vertici qualitativi della denominazione), i Piccin nel 2004 hanno deciso di intraprendere l’avventura nell’area del Vulture, colpiti dalla bellezza del paesaggio e dalle potenzialità del vitigno Aglianico. Ai coniugi Fabrizio e Cecilia Piccin si sono in seguito aggiunti i figli Lorenzo e Andrea, impegnati rispettivamente nella produzione e nella commercializzazione, tutti accomunati dalla passione per il loro lavoro. Una passione condivisa anche dalla terza figlia, Francesca: benché lavori con successo in Svizzera, appena può scappa in Lucania a dare a sua volta una mano. I loro vini crescono qualitativamente di anno in anno e, a nostro parere, sono ormai ai massimi livelli della denominazione, originali ma con un legame indissolubile con il territorio che, già dall’assaggio, li fa subito ricondurre all’Aglianico e alla Lucania. Criterio vincente del loro lavoro è quello di vinificare separatamente le uve provenienti dai vari vigneti
che hanno acquistato o affittato. Così le uve del vigneto “Ginestra” diventano il vino “Daginestra”, così come quelle del vigneto “Maschito” diventano il “Damaschito”. Quest’anno, per la prima volta, vinificheranno le uve del vigneto in località “Serre del prete” e forse avremo il terzo cru, “Daserre”. Oltre ai cru, i due vini prodotti in numero di bottiglie più numeroso (ma sempre in poche migliaia di esemplari) sono il “Gricos”, dal rapporto qualità-prezzo invidiabile, e il “Grifalco”, il vino inconfondibile che ha resi famosi i Piccin e l’azienda. La visita alla “Grifalco” mi ha permesso di conoscere anche altre realtà eccellenti del Vulture. Come “Le Masserie del Falco”, albergo, agriturismo, ristorante, Spa. Un’oasi di bellezza dalla quale non vorresti mai andare via, dove l’accoglienza è ai massimi livelli e il ristorante merita da solo una tappa per la qualità e l’originalità dei piatti che il cuoco Gianfranco Bruno prepara con le ottime materie prime locali (www.masseriedelfalco.it). Di eccellenze il Vulture non difetta. E’ il caso dei formaggi del caseificio “Sabino”, in cui la filiera produttiva è a 360 gradi, parte dai pascoli dove bufale, pecore e capre si nutrono e, passando per la produzione del latte, arriva alla realizzazione finale: mozzarelle di bufala e formaggi più o meno stagionati ma tutti fantastici (www.agricolasabino.it) . Decisamente originali sono i salumi dell’azienda “Sileno” (www.salumisileno.it) prodotti con un solo problema: non si riesce a smettere di mangiarli finché il vassoio è vuoto, tanto più se abbinati a focacce, pane e pizze de il “Forno magico” (0972-36446). E per concludere in bellezza: le realizzazioni del “Dolce forno lucano“ (0971-748246), gestito da giovani di talento che hanno raccolto l’eredità di famiglia migliorandola e ampliandola.
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PUNTARE SU CULTURA & AMBIENTE di Damiano Laterza* Il 15 ottobre scorso è stata presentata, alla Camera, la Proposta di legge 2991 per l’Istituzione del Parco archeologico della Magna Grecia nell’area dell’arco ionico lucano. Primo firmatario, il deputato di Conservatori e Riformisti, Cosimo Latronico. Onorevole Latronico, come nasce il progetto e con quali ambizioni? L’idea del Parco germoglia sul territorio, insieme agli operatori economici e culturali dell’area ionica, ispirati per l’occasione dal professor Luigi Berlinguer, già ministro della Pubblica istruzione e presidente del Comitato per la diffusione della cultura scientifica e tecnologica del Miur, che ha fornito lo spunto. La Magna Grecia è un incrocio tra cultura e natura di prima grandezza, un immenso museo a cielo aperto che racconta la storia millenaria della nostra terra. L’auspicio è che il parco diventi un asse del dossier di Matera2019, che il governo nazionale dovrebbe definire a breve. Sarà l’ennesimo Parco? Il Parco rientra nella categoria dei parchi territoriali, quelli previsti dalla Legge 394/91, che in questo caso si tenta però di superare. Si tratta di luoghi ove l’intreccio tra cultura e natura si presenta nelle forme più differenziate, in cui ora prevalgono gli aspetti naturalistici, ora quelli storici. Tali parchi, per la complessità della loro essenza, esigono speciali attenzioni: è infatti necessario che la gestione degli aspetti archeologici, ad esempio, si integri in maniera organica con le altre compo-
nenti. Strutture storiche, contesti naturalistico-ambientali e quant’altro, spesso di proprietà di enti locali o altri soggetti, i quali devono poter esercitare i propri diritti e le proprie competenze, ma in armonia con le esigenze primarie della tutela. In che modo si può superare la Legge quadro sui parchi? Beh, innanzitutto perché questo è un
Parco a completa trazione archeologica, come non ce ne sono. Poi perché a partire dal passato sviluppa un discorso di gestione del bene culturale, orientato al futuro. Tra salvaguardia e rilancio, ne fa il motore propulsore per tutta l’economia e la vivibilità di un’area assetata di progresso socio economico e con le potenzialità per raggiungerlo. Ovvio che si parla sempre in un’ottica di rispetto delle vestigia passate e di assoluta sostenibilità ambientale. La pdl che ho presentato mira alla tutela e
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alla conservazione dell’area della costa ionica lucana, finalizzandole allo sviluppo di una cultura nuova della fruibilità ambientale e turistica. In quale area territoriale insisterebbe il Parco? L’istituzione del Parco, che comprende dal bosco di Policoro alle foci del Sinni, del Basento, del Bradanolago Salinella, dell’Agri, del Cavone con il litorale sabbioso e la pineta, appare giustificata dalla straordinaria ricchezza naturalistica e storica dei luoghi, dalla necessità di una gestione autorevole e, non da ultimo, dalla sempre maggiore notorietà che la Lucania va acquisendo, nel mondo. Stiamo parlando del luogo ove fiorì la civiltà attuale: la Magna Grecia. Un mondo che produsse intensi sviluppi culturali, come la nascita di un pensiero laico grazie al sorgere proprio in quell’area della filosofia razionalista. Qui vissero altre figure leggendarie permeate di misticismo, scienziati capaci di invenzioni spettacolari e al contempo di riti e culti segreti legati alla religiosità orfica, autori che gettarono le basi dell’arte della retorica e poeti di mimi dissacranti. Come funzionerà il Parco? Il Parco archeologico della Magna Grecia offrirà un modello di valorizzazione integrato, che pone il sito archeologico al centro di un sistema territoriale articolato e complesso, capace di esaltare i valori e le attrattive del territorio. Dai centri storici ai musei, dal paesaggio alle tradizioni, si tratta di costruire un mo-
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dello di gestione allargato e partecipato, aperto al contributo dei comuni, delle province, della regione e delle soprintendenze. Di idee in campo ce ne sono già molte. Si tratta
solo di realizzarle. Si pensi a un’Università internazionale di matematica, un’accademia mondiale di studiosi dei numeri, al tempo della civiltà dei numeri. Nel nome di Pitagora, una
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fabbrica di genialità al servizio non solo del sud, ma del Paese tutto. Solo per dirne una… E le coperture finanziarie per fare tutto questo, dove sono? Per il lancio del Parco verrebbe autorizzata la spesa di 500mila euro per il 2015. Per l’avvio delle attività istituzionali del Parco e per il suo funzionamento ordinario servono 750mila euro per il 2016. A tali oneri si potrebbe provvedere accedendo al programma Fondi di riserva e speciali della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle Finanze. Ma è solo per iniziare. Il Parco è studiato per essere una creatura che genera economia e si mantiene da sé. Per diventare un modello di sviluppo dell’intero Mezzogiorno. *Giornalista, scrive di Economia della cultura per Il Sole 24ORE
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MODA, NEL SEGNO DELLA RIPRESA di Allegra Contoli
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n un attimo è già estate. La moda, si sa, corre veloce e grazie alle sfilate di New York, Londra, Milano e Parigi, appaiono ormai chiarissime le tendenze per la primavera/estate 2016. Milano soprattutto ha potuto godere degli ottimi risultati della sua fashion week, che è stata un vero e proprio successo. «…bella l’atmosfera che ha coinvolto la città con eventi organizzati dalle grandi maison…il mio bilancio è molto positivo. Il 2014 si è chiuso con un +3,8 e per quest’anno si prevede un incremento del 7%» ha affermato Carlo Capasa, alla sua prima fashion week come Presidente della Camera della Moda. 170 collezioni, 70 sfilate, quasi 100 presentazioni ed una media di oltre 30 eventi al giorno per una delle settimane della moda più positive degli ultimi anni. Tantissime le novità, tra cui il cambio di indirizzo del Fashion Hub, che si è trasferito in Piazza Gae Aulenti, luogo simbolo della nuova Milano, e che insieme all’Unicredit Pavillon, ha attirato un gran numero di visitatori e turisti. Inoltre, 3 importanti debutti stilistici hanno caratterizzato le sfilate di Milano: Peter Dundas per Roberto Cavalli, Arthur Arbesser per Iceberg e Massimo Giorgetti per Emilio Pucci. Sarà un’estate all’insegna del multicolor ma anche del bianco, delle catene e delle frange, delle paillettes, della
rete e delle righe… insomma un tripudio di colori, stampe e applicazioni! La collezione firmata Missoni, ad esempio, è come sempre un’esplosione di colori, con righe a zig zag e motivi di ispirazione tribale. Le righe sono protagoniste anche da Blumarine che però le rappresenta nei colori più classici del bianco e del blu e trasforma le modelle in vere marinarette. Dolce&Gabbana invece omaggia il Bel Paese con una collezione di cartoline italiane dal tema “Italia is love”:, paesaggi e scorci mediterranei di Portofino, Sanremo, Capri, Taormina, rappresentati su abiti coloratissimi portati da modelle-turiste che percorrono la passerella scattandosi selfie. La donna Alberta Ferretti, come sempre femminile e raffinata, indossa fluttuanti abiti in chiffon e tulle nei colori della terra. Aggressiva, invece, la donna Versace che sfila con giacche da uniforme e sandali altissimi. Vere e proprie sculture, poi, per gli abiti firmati Fausto Puglisi; lo stilista siciliano propone minidress audaci ricoperti di conchiglie, pietre e strass. Di grande interesse, i 3 esordi. La prima collezione firmata Peter Dundas per Cavalli propone orli sfrangiati, drappi, abiti lunghi sdrammatizzati con bomber e rappresenta, per molti, l’inizio di una nuova era. Altro debutto importante quello di
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Massimo Giorgetti per Emilio Pucci: una collezione moderna, fresca, con le stampe iconiche della maison ma anche con intarsi, tagli netti, ricami ed inserti preziosi. Last but non least, l’esordio di Arthur Arbesser da Iceberg. Il giovane designer austriaco ha presentato capi dalla silhouette definita e composta, “accesi” da un tripudio di colori e attenzione per i dettagli. Colore e fantasia, invece, le parole chiave della sfilata Gucci, disegnata da Alessandro Michele: stampe ricche, a tratti barocche su abiti, tailleur e accessori arricchiti da strass e dalle due G intrecciate, inconfondibile logo della maison. Non si può non parlare della collezione di Jeremy Scott per Moschino che, come sempre, è un vero e proprio spettacolo. Ispirato questa volta allo stile Car Wash e Lavori in Corso, lo stilista americano propone modelle vestite come spazzoloni di autolavaggi, con frange bicolor ed elmetti gialli come quelli degli operai. Infine, la sfilata di Giorgio Armani, che come sempre chiude la settimana della moda milanese. Classe ed eleganza per una donna che ama portare i pantaloni. Rosso, grigio e blu i colori predominanti, declinati su, bermuda morbidi, giacche dal taglio maschile ma anche minidress bon ton e cappotti lineari. Ma, in attesa della bella stagione, quali sono le tendenze per l’inverno 2016? Questa stagione vede protagonisti i capispalla: cappe, mantelle, cappotti e giacche. Cappe e mantelle si portano sia di giorno che di sera, in tinta unita o in tartan, una delle fantasie che non possono mancare nel guardaroba invernale. I cappotti, invece, si portano maxi, lunghi fino ai piedi. Le giacche, che siano blazer, bomber o aviator jacket, si portano oversize, abbondanti e con spalle importanti.
Il bianco ed il nero sono ancora una volta tra i colori più cool di stagione, indossati separati o “accostati” per un effetto optical. Ancora promossi l’animalier e la pelle, su tailleur maschili e pencil skirts, con un’unica regola: che sia colorata e non nera. La palette di colori si compone poi di tutte le sfumature del marrone, dell’immancabile marsala e della new entry, il rust, color ruggine. Per chi ama i colori pastello, invece, questo inverno è l’anno giusto. Soprattutto nei cappotti dal taglio definito, in pieno stile bon ton. Rosa, azzurro, verde, un’esplosione di colori zuccherosi. Per la sera, però, la tavolozza si arricchisce con l’argento ed il gold lamè, metallizzati e scintillanti per illuminare le notti invernali su mini dress, in pieno stile rock-glam. E gli accessori? Confermate le calzature maschili, stringate e mocassini, gli stivaletti beatles, anche rivisitati in versione scintillante e paillettata e gli stivali, alti, altissimi, fin sopra il ginocchio, quasi a effetto calza. Via libera a borse maxi, con dettagli in cocco o pelliccia, a doctor bag in pelle e un bentornato allo zaino! Il cappello in feltro a tesa larga si riconferma un grande classico così come le pellicce faux fur, sintetiche e anche loro sempre più colorate. È un momento molto positivo per la moda italiana. Secondo i Fashion Economic trends, curati proprio dalla Camera nazionale della moda italiana, per il primo semestre 2016 si stima una crescita tendenziale del 6,5%. Un grande incentivo per il settore che celebra al meglio l’eccellenza del “fatto a mano” e la tradizione della cultura artigiana italiana.
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BRACALI: L’UOMO DELLE NEVI di Germana Loizzi
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uca Bracali fotografo e giornalista, pistoiese di nascita, inizia la sua carriera come inviato di testate sportive per i mondiali di motocross, motogp e, in seguito, di formula 1. Nel corso della sua carriera firma numerosi servizi su riviste di viaggi, cultura e turismo; pubblica cinque libri (Storia Illustrata di Pistoia, I colori del viaggio, SOS Pianeta Terra, A rose is a rose is a rose, Amor Maris. I miti scolpiti) ed ottiene quattro premi internazionali legati alla fotografia e al reportage. Nell’arco di venti anni di reportage, visita ben 134 paesi. La sua attenzione verso tematiche ambientali, quali lo scioglimento dei
ghiacciai e il riscaldamento globale, è testimoniata da immagini scattate nell’Antartide e in Artico. Attraverso progetti fotografici collabora con ricercatori polari dell’università di Fairbanks in Alaska e della base di Barneo, punto di partenza di una eco-spedizione sugli sci al Polo Nord geografico nel 2009. Grazie a tali missioni, documentate in più di quaranta trasmissioni radiofoniche e televisive, diventa membro dell’APECS (Associazione Giovani Scienziati Polari). Nel 2014 Bracali compie tre viaggi in Artico per documentare le aurore boreali e la migrazione degli orsi polari alla luce dei recenti cambiamenti climatici; visita Mongolia, Vietnam,
Il reportage in Canada
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Cambogia e Laos per fotografare i cacciatori con le aquile e le etnie dell'Indocina. La storia sui più grandi radiotelescopi di Eso e Alma è pubblicata da National Geographic ed il Minor Planet Center di Cambridge gli intitola il 198.616° asteroide scoperto. Le sue opere sulle aurore boreali e sul pianeta terra vengono esposte a Copenaghen, Montreal e New York. Il 28 ottobre scorso Bracali viene premiato due volte, con due "Honorable Awards" al photo contest MIFA ,Moscow International Photo Awards, nelle categorie "architettura" e "persone e ritratti". Ed ancora, il 30 ottobre, quindi due giorni dopo, è arrivato un "Remarka-
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Bracali con i premi “Honorable Awards” al photo contest MIFA (Moscow International Photo Awards) nelle categorie “architettura” e “persone e ritratti”, e il primo posto al concorso internazionale SIPA
ble Award" ed un primo posto nella categoria "food" al concorso fotografico internazionale SIPA (Siena International Photo Awards) che, giunto alla sua prima edizione, si è candidato come uno dei concorsi più importanti al mondo nella fotografia internazionale, al pari dei blasonati Nature's Best americano, Glanzlichter tedesco e Wildlife Photographer of the year inglese. Il SIPA, un concorso tutto made in
Italy, creato dalla volontà di un ingegnere senese, tal Luca Venturi, ha vantato la presenza di ben 103 nazioni partecipanti, oltre 15.000 foto inviate ed un giuria composta da vari membri, fra cui 5 fra i top fotografi di National Geographic. Dopo aver ritirato i premi Bracali parte per il Canada, a tenere un workshop fotografico ma anche a documentare il mondo artico e la vita degli orsi po-
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lari in vista dei grandi mutamenti planetari dovuti al global-warming che, purtroppo, è una assoluta realtà. Una sosta brevissima in Italia e il 17 novembre vede Bracali ripartire nuovamente, questa volta per le isole Lofoten a "cacciare" le aurore boreali, una delle sue massime specialità visto che fotografa il cielo e soprattutto la luce del grande nord dal 1999, con il suo primo scatto in Alaska.
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SIXTUS SINONIMO DI QUALITÀ di Giampaolo Ansalone
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ltre 20 milioni di fatturato con un trend in continua crescita ed un marchio che, nel settore medico-sportivo, è sinonimo di garanzia. Sixtus da anni è leader nel campo farmaceutico e della medicina sportiva con una qualità riconosciuta e confermata da tutte le realtà che scelgono i prodotti dell’azienda. Con un’esperienza di oltre 40 anni, Sixtus ha la sede principale a Prato, ma una ramificazione in tutta Italia e a vari livelli di organizzazione. L’azienda è composta da 3 “divisioni”: farmacia, sport ed elettromedicale. Ogni settore ha un numero di agenti e capi area che controllano e gestiscono la rete a livello nazionale. La divisione farmacia è composta da 50 agenti, 3 capi area, un direttore vendite ed un direttore commerciale. Questo settore si rivolge alle farmacie e parafarmacie ed ha l’obiettivo di mettere in commercio i prodotti farmaceutici Sixtus, che sono disponibili in oltre 18.000 punti vendita. La divisione sport si compone di circa 40 agenti, 3 capi area, un direttore vendite ed un direttore commerciale. In questo caso le aree di competenza sono quelle delle federazioni e società sportive di molteplici discipline e degli studi fisioterapici ad essi collegati. Infine c’è la divisione elettromedicale composta praticamente dagli stessi numeri di quella sportiva e che si rivolge a centri fisioterapici ed istituti di bellezza. Per quanto riguarda lo sport, vero e proprio core business dell’azienda, Sixtus ha siglato, nel tempo, contratti con squadre e federazioni di quasi tutti gli sport. Gli accordi in questione sono composti da fornitura e sponsorizzazione, con i medici ed i fisioterapisti che utilizzano in esclusiva, per i loro atleti, tutti i prodotti Sixtus. Ma Sixtus è anche presente sul mercato con prodotti nuovi ed innovativi. È il caso di Securegard, che arriva dall’Ungheria ed ha l’obiettivo di rivoluzionare il mercato dei prodotti medici in Italia. Securegard è un’invenzione realizzata nel paese dell’est Europa ed introdotta in Italia – in esclusiva - da Sixtus. La caratteristica di Securegard, che per la prima volta viene applicata
ad una siringa, è quella di avere un ago completamente retraibile una volta utilizzato. Il metodo è molto semplice e segue le stesse procedure delle iniezioni classiche: premendo l’asta della siringa a fine corsa, la stessa aggancia il porta ago. Ago che viene inglobato all’interno del corpo siringa e, una volta rotta l’asta in corrispondenza dell’apposita prerottura – realizzata ad hoc per rendere il processo operativo –, vengono eliminate possibilità di riutilizzo e di potenziali punture accidentali, con l’ago che sarà bloccato nel cilindro della siringa. Del gruppo fa parte anche Sixtem Life, società che sviluppa sistemi innovativi, in collaborazione con università ed esperti del settore. In particolare prodotti per la cura della salute, di cui detiene marchi e brevetti e che procede alla distribuzione internazionale attraverso società farmaceutiche di alto livello. Uno dei prodotti di punta dell’azienda, da pochi mesi in commercio, è Surgeril Advanced che, oltre all’Italia, viene distribuito in altri 28 paesi di tutto il mondo. Un metodo innovativo e rivoluzionario per curare i fibromi penduli, problema che affligge oltre un terzo della popolazione italiana (con una percentuale del 55% di donne contro il 45% di uomini). Surgeril Advanced si propone di asportare questi fibromi grazie ad un processo ed uno strumento utilizzabile da chiunque, che elimina la necessità di rivolgersi obbligatoriamente ad un dermatologo. Il prodotto utilizza il metodo crioterapico: avvicinando il beccuccio del dispositivo alla base del fibroma, questo congela il fibroma stesso alla radice, necrotizzandolo nel giro di 40 secondi e facendolo cadere nel giro di due settimane. Il vantaggio di Surgeril sta proprio nell’utilizzo della crioterapia che, rispetto alla chirurgia classica, presenta maggiori vantaggi: non necessita di anestesia; non lascia cicatrici dopo l’intervento; non richiede medicazioni post-trattamento; richiede brevi periodi di recupero dopo l’intervento. Con il prodotto che può essere utilizzato a casa in maniera autonoma, senza perdita di tempo e di denaro per un intervento dal dermatologo.
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EVENTO RELIGIOSO, NON TURISTICO di Marco Toti Il Giubileo del Duemila
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Giubileo ha origine dalla tradizione ebraica che fissava, ogni cinquanta anni, un anno di riposo della terra (al fine di rendere più fruttuose le successive coltivazioni), la restituzione delle terre confiscate e l’affrancamento degli schiavi. Si trattava quindi di un’usanza avente un fine di concordia sociale e di redistribuzione delle ricchezze. Il Cristianesimo occidentale ha, per così dire, spiritualizzato questa usanza. Un evento che può essere considerato precursore dell’attuale Giubileo fu la “Perdonanza”, istituita da Papa Celestino V con la “Bolla del Perdono” (12/9/1294), con la quale egli stabiliva che chiunque si fosse recato alla Chiesa di Santa Maria di Collemaggio (L’Aquila) e vi si fosse confessato, tra il 28 ed il 29 agosto, avrebbe lucrato una indulgenza plenaria. Giubileo e indulgenze sono stati da subito, quindi, strettamente legati; e il Giubileo si è immediatamente configurato come un pellegrinaggio ai luoghi santi della Cristianità occidentale. Successivamente, il successore di Celestino V, Bonifacio VIII, istituì il primo Giubileo (Bolla “Antiquorum habet fida relatio”, 22 febbraio 1300), forse non senza l’intento “autocelebrativo” della Chiesa romana e del rafforzamento della sua autorità. Dante parla in Inferno XVIII, 28-33 del primo anno di Giubileo e dell’enorme afflusso di pellegrini a Roma, che determinò la necessità di regolamentare il senso di marcia dei pedoni lungo il ponte di fronte a Castel Sant’Angelo:
Come i Roman, per l’esercito molto, L’anno del Giubbileo, su per lo ponte Hanno a passar la gente modo tolto: Che dall’un lato tutti hanno la fronte Verso ’l castello, e vanno a Santo Pietro; Dall’altra sponda vanno verso ’l monte Il “Giubileo della Misericordia” indetto recentemente da papa Francesco è ormai imminente, visto che inizierà l’8 dicembre prossimo. A parte la convocazione irrituale (di norma si convocava ogni 25 o 50 anni, ma vi sono state molte eccezioni) e i problemi logistici che attanagliano Roma e che avrebbero forse richiesto maggior prudenza (e maggiori tempi per i necessari lavori), non si capisce bene perché intitolarlo alla Misericordia, visto che ogni Giubileo è, per definizione, “anno di Grazia”. Il motivo della convocazione – la celebrazione del cinquantenario del Concilio Vaticano II – non pare poi del tutto convincente, visto che, almeno in teoria, il Vaticano II non avrebbe dovuto fondare una “nuova Chiesa”. Ovviamente, in un tale evento si intrecceranno pellegrinaggio religioso e turismo prosaico. Eppure, a ben guardare, anche il turismo “organizzato” non è che una laicizzazione del pellegrinaggio: tanto più se diretto verso la capitale della Cristianità, che attende il Giubileo nelle condizioni – morali e materiali – che tutti conoscono, e che difficilmente l’”Anno santo” potrà radicalmente mutare.
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