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WOL welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno X, Numero 8, Novembre - Dicembre 2014
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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Il progetto IntrART: la genesi dell’idea, gli obiettivi, le attività, i partner” – pag. 2 “Arti espressive e formazione: la metodologia e i contenuti” a cura di Luca Casadio e Antonella Passani – pag. 3 “Monitoraggio e valutazione: i risultati e gli impatti del training course” a cura di Daniela Bucci e Alessandra Cardellini – pag. 6
Associazione Nuovo Welfare
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Il progetto IntrART: la genesi dell’idea, gli obiettivi, le attività, i partner Dedichiamo questo spazio alla presentazione delle attività, dei risultati e degli impatti del progetto IntegrART: Integrating through art and representation - Storytelling, video and theatre when working with migrant and second generation youth, presentato nel 2013 dall’Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali (ISTISSS) nell’ambito del Programma Europeo Gioventù in Azione (GiA), relativamente all’azione 4.3 “Formazione e messa in rete degli operatori dell’animazione giovanile e delle organizzazioni giovanili”. Il progetto, conclusosi il 15 dicembre scorso, ha coinvolto 4 Paesi europei (Italia, Grecia, Olanda, Spagna) con l’intento di fornire a giovani operatori sociali di diversa provenienza geografica uno spazio in cui confrontarsi e acquisire nuove conoscenze e competenze, in grado di potenziare l’offerta delle associazioni giovanili e delle organizzazioni di appartenenza sul tema dell’inclusione sociale dei giovani migranti e di seconda generazione. Il cuore del progetto è stata la realizzazione di una settimana di formazione intensiva, a Roma, che ha interessato 24 giovani operatori sociali (6 sia per l’Italia che per la Grecia, 7 per la Spagna e 5 per l’Olanda), incentrata sul trasferimento di metodologie e tecniche basate sull’arte narrativa e visiva (rappresentazione teatrale e video making), quali veicoli per raccontare storie individuali e collettive di migrazione: teorie e strumenti facilitanti e innovativi, capaci di favorire il dialogo interculturale e la cultura delle differenze. Attraverso il trasferimento di conoscenze e competenze ai giovani operatori sociali, il progetto si è posto l’obiettivo ambizioso di accrescere la qualità delle azioni poste in essere dalle organizzazioni partner, grazie alla creazione di una comune comprensione della cittadinanza europea basata sul rispetto dei diritti umani e sulla lotta contro le discriminazioni, e grazie la costruzione di una “cassetta degli attrezzi” innovativa e condivisa a disposizione degli operatori coinvolti nella formazione. In particolare, in linea con l’obiettivo generale dell’Azione 4 del Programma Gioventù in Azione (Migliorare la qualità dei sistemi di sostegno alle attività dei giovani e la capacità delle organizzazioni della società civile nel settore della gioventù), il progetto IntegrART ha avuto la finalità di: sviluppare la formazione e la cooperazione delle persone che lavorano nel settore della gioventù; stimolare l’innovazione in materia di attività, metodologie e tecniche utilizzate nel lavoro con i giovani; garantire il riconoscimento delle competenze acquisite; incoraggiare lo scambio di buone prassi. Tali obiettivi sono stati perseguiti proponendo e organizzando attività capaci di: favorire l’apprendimento reciproco tra i partecipanti mediante il confronto su metodi, metodologie, tematiche e gruppi target, su cui impostare il lavoro delle singole realtà associative di appartenenza; offrire la possibilità di utilizzare nuovi approcci nel lavoro sociale, tramite le tecniche innovative apprese ed esperite nel training course e la comparazione della propria esperienza con quella di altri operatori giovanili europei; stimolare future collaborazioni nell’ambito del programma GiA e creare le condizioni per lo sviluppo di partenariati a lungo termine tra i promotori e le organizzazioni partecipanti - tramite i relativi operatori - al training course; aiutare a pianificare, sviluppare e sostenere progetti con un forte impatto moltiplicatore sugli individui, sui progetti giovanili e sui sistemi di sostegno alle attività dei giovani, formando trainer europei dell’inclusione sociale. L’idea di proporre il progetto IntegrART all’interno del Programma Europeo Gioventù in Azione è nata dall’esperienza che l’ISTISSS ha maturato sul tema, e in particolare sulla prevenzione e il
Il corso ha visto la partecipazione di operatori e operatrici sociali; le classi, quindi, sono state caratterizzate da una spiccata composizione di genere. Tuttavia, nel presente intervento, con riferimento a coloro i quali hanno preso parte al corso, viene sempre utilizzato il maschile per facilità di lettura. Inoltre, si specifica che le frasi in corsivo tra virgolette sono citazione di quanto riportato nei questionari.
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welfare on line contrasto delle discriminazioni e dell’esclusione sociale. A partire dall’idea progettuale, l’Istituto ha quindi individuato la rete dei partner, puntando su quelle organizzazioni dei Paesi membri caratterizzate da un’esperienza in linea con gli obiettivi del programma e delle tematiche al centro del progetto. In questo quadro è nata innanzitutto, in Italia, la collaborazione con l’Associazione Nuovo Welfare, divenuta partner associato di IntegrART, in virtù dell’esperienza e della competenza specifica sviluppata negli anni sull’utilizzo degli strumenti di facilitazione e delle metodologie e tecniche di lavoro partecipativo. Accanto a ISTISSS, in qualità di capofila, hanno presentato il progetto, come partner, le organizzazioni europee: Fundacion Escuela de Solidaridad (Spagna), The Society of Orestes (Grecia) e Stichting Diversiteitsland (Olanda). Tutte realtà associative che si distinguono per l’attività svolta a favore dell’inclusione sociale, del dialogo interculturale e del rispetto dei diritti umani, in contesti caratterizzati dalla presenza di giovani migranti di diversa età e provenienza. In particolare, la Fundacion Escuela de Solidariedad è nota per l’attività volta all’inclusione dei giovani migranti presso la comunità di Granada, zona caratterizzata dalla forte presenza di stranieri provenienti dal Nord Africa e soprattutto dal Marocco; la Society of Orestes è un’organizzazione di volontariato situata ad Argos Orestiko (Kastoria), nella regione della Macedonia Occidentale, zona ad alta concentrazione di migranti provenienti dalla vicina Abania e dall’ex Repubblica Yugoslava di Macedonia; la Stichting Diversiteitsland è una fondazione olandese che persegue l’obiettivo dell’inclusione sociale di gruppi vulnerabili e minoranze a rischio, operando in un’area multietnica di Amsterdam (“De Indische Buurt”, “Il quartiere indiano”) caratterizzata dalla presenza di una pluralità di etnie, tra cui turchi, marocchini, egiziani, somali, pachistani e migranti dal Suriname. Al fine di favorire non solo la conoscenza e lo scambio di buone prassi, ma di garantire anche l’esperienza diretta di alcune pratiche di inclusione sociale dei giovani migranti e di seconda generazione che si intendeva trasferire attraverso il corso di formazione, sono state coinvolte nell’ambito del progetto anche alcune realtà associative e istituzionali operati nel territorio romano. Su questi temi particolarmente attivo è risultato essere il tessuto associativo dell’Esquilino, uno dei rioni romani, luogo simbolo del dialogo interculturale della Capitale che offre numerose buone pratiche di inclusione sociale dei cittadini stranieri, con particolare attenzione ai minori e ai giovani di seconda generazione. Sono stati pertanto coinvolti nel progetto come partner associati, accanto al livello istituzionale rappresentato dall’Assessorato alle Politiche sociali e ai servizi alla persona del Municipio I di Roma Capitale, anche l’Associazione Genitori Scuola Di Donato e il CIES - Centro di Informazione ed Educazione allo Sviluppo, con il suo Centro di Aggregazione Giovanile MaTeMù. I partecipanti al training course hanno quindi avuto la possibilità di incontrare alcuni testimoni privilegiati, professionisti del settore, e di visitare alcune realtà locali di eccellenza che hanno maturato esperienze concrete nell’inclusione sociale dei giovani migranti e di seconda generazione.
Arti espressive e formazione: la metodologia e i contenuti A cura di Luca Casadio e Antonella Passani
La partecipazione a gruppi che sperimentano insieme le arti espressive, come il teatro, lo storytelling o la creazione di video, può risultare molto efficace tanto nel campo della formazione che dell’intervento sociale. In quest’ottica, illustreremo alcune delle modalità e metodologie esperienziali di tipo partecipativo che sono state usate nell’ambito del training course del progetto IntegrART. Il corso prevedeva la partecipazione dei 24 operatori sociali coinvolti nella formazione a due diversi laboratori: uno dedicato al teatro e all’invenzione di storie e l’altro all’ideazione ed elaborazione di alcuni videoclip. L’obiettivo principale era quello di far comprendere, concretamente, agli operatori come poter implementare, nel lavoro quotidiano, una serie di metodi e tecniche basati sulle arti espressive, sperimentandoli per primi durante i giorni della formazione. La formazione diveniva così subito prassi, gioco, da condividere e da riutilizzare in seguito. Il laboratorio teatrale Il laboratorio teatrale è stato interamente ba-
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sato su modalità esperienziali. Proprio perché l’azione comune, seguita da riflessioni teoriche
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welfare on line e da esperienze professionali, può funzionare come una sorta di “modello”, capace di ispirare altri possibili interventi e di far maturare nuove proposte. In particolare, abbiamo previsto due diversi spazi compresenti all’interno delle strutture del workshop: uno dedicato allo scambio verbale e al confronto in gruppo, e un altro esclusivamente dedicato alle rappresentazioni teatrali, alla messa in scena, in una sorta di proscenio. Dopo i primi esercizi di warm-up, tipici di ogni laboratorio teatrale, miranti a creare un clima condiviso e un gruppo affiatato, abbiamo chiesto a ogni partecipante di rappresentarsi come se fosse un “personaggio” (immaginario o metaforico che sia) e di creare una breve scena capace di mostrare agli altri le proprie caratteristiche e la propria personalità. In questo modo, uno a uno, i partecipanti al progetto si sono alternati sul palcoscenico per dare vita alla loro breve (rap)presentazione. Da queste prime suggestioni e seguendo gli esercizi e gli spunti proposti dal formatore, si è creato un pensiero di gruppo, capace di assimilare personaggi, idee ed esperienze, per culminare nella creazione di una storia congiunta. Durante il workshop, infatti, i partecipanti hanno messo in scena delle vere e proprie immagini, delle rappresentazioni relative alle migrazioni, utilizzando esclusivamente il proprio corpo, come delle “statue viventi” (le “statue familiari” di Alain Caillè), e successivamente dando vita a delle brevi rappresentazioni, improvvisate o scritte, create dai partecipanti stessi a partire direttamente dai personaggi e dalle immagini di sé che avevano scelto. Ogni singolo esercizio proposto dal formatore creava, inoltre, una connessione tra il vissuto del singolo e il gruppo, fino a raggiungere la rappresentazione scenica, la messa in scena teatrale. È bene ricordare che le storie rappresentate, con trame ben definite e con un soggetto ben delimitato, sono state interamente inventate dai partecipanti, come un prodotto del gruppo e come frutto del dialogo con il formatore. Un formatore che è stato facilitatore, ossia che ha cercato semplicemente di far esprimere il potenziale creativo del gruppo, senza suggerire nessuna soluzione. Dopo aver messo in scena diverse storie, e averle commentate insieme al gruppo, si sono create altre rappresentazioni, sempre più complesse, nate dall’esperienza degli operatori e dalle loro emozioni e intuizioni, in un continuo
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lavoro di integrazione e di riformulazione. Il prodotto finale di tutto questo processo è stata una vera e propria rappresentazione teatrale, messa in scena in pubblico durante l’vento finale del progetto, elaborata in gruppo dai partecipanti al corso, a partire dall’esperienza lavorativa e personale di ognuno o anche grazie a elementi tratti dalla propria identità personale. Nel percorso effettuato, ognuno ha trovato il proprio spazio in scena e ha rappresentato in qualche modo se stesso e le persone che ha conosciuto nella sua attività professionale, componendosi e modulandosi con le caratteristiche degli altri e collaborando creativamente alla definizione di una storia complessa. Il laboratorio visuale Il laboratorio visuale ha messo al centro del lavoro di gruppo il rapporto tra emozioni, identità e rappresentazione visuale e ha permesso ai partecipanti di esplorare l’utilizzo della fotografia e dei filmati nelle attività con i giovani migranti o di seconda generazione. L’elaborato finale di ciascuno dei quattro gruppi creati è stato un breve video sui temi emersi durante la formazione, ossia identità, migrazione, inclusione ecc. Prima di realizzare i video i partecipanti hanno svolto alcune attività preparatorie. Per prima cosa sono stati divisi a coppie e gli è stato chiesto di esplorare il quartiere, dove si svolgevano le attività di formazione, attraverso una modalità particolare: una persona guidava l’altra che diventava “macchina fotografica” per l’altro. In altre parole la persona che guidava poneva l’altra davanti a una scena o a un oggetto e gli chiedeva di aprire gli occhi per pochi secondi, e poi richiuderli, come se gli occhi fossero l’otturatore di una macchina fotografica. I due non potevano parlare e riportavano poi al gruppo l’immagine fotografata e l’intenzione della persona che guidava. In questo modo i partecipanti hanno potuto riflettere sui diversi punti di vista: non sempre chi guidava e chi fotografava coglieva gli stessi particolari di fronte a una scena o a un oggetto, e non sempre gli attribuiva lo stesso significato. In egual modo tutti i membri del gruppo hanno esplorato più o meno le stesse strade, ma non ci sono state “foto” simili tra loro, dal momento che ognuno è rimasto colpito da aspetti diversi del quartiere. Si è poi riflettuto in gruppo su come rimodulare questa attività con i giovani migranti e di seconda generazione e quali implicazione
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welfare on line educative ciò potesse avere. Questo sta a significare che non si sono insegnate tecniche valide di per sé, avulse dal contesto, ma si sono proposte alcune esperienze a partire dalle quali riflettere sulle proposte educative da implementare nei contesti di provenienza. Un secondo esercizio, svolto in piccoli gruppi, è stato quello di scattare fotografie, questa volta reali, a partire da alcune parole chiave legate ai temi del corso (confini, purezza, amicizia, rottura, Europa ecc.). Sono state così sviluppate alcune raccolte fotografiche ed è stato possibile riflettere sui concetti basilari dell’educazione interculturale, a partire dalle immagini prodotte dai partecipanti. L’ultima attività proposta è stata quella di realizzare un breve video. Attraverso un momento di brainstorming sono state identificate alcune parole chiave del training course - relative non solo ai suoi contenuti, ma anche ai processi innescati - e a partire da quelle i partecipanti hanno creato quattro diversi video che sono stati proiettati nel corso dell’evento finale. Per la realizzazione dei video è stata concessa massima libertà; i partecipanti potevano utilizzare soggetti reali o di pura invenzione, potevano raccontare una storia o affidarsi a musica e immagini per esprimere concetti ed emozioni, potevano esplorare la città e/o il quartiere per coinvolgere i passanti nella creazione di un reportage. I quattro video realizzati sono molto diversi tra loro e affrontano la tematica delle differenze e dell’inclusione da diversi punti di vista. I partecipanti, che nella maggior parte dei casi non avevano mai realizzato prima brevi video, hanno avuto modo di lavorare insieme nelle diverse fasi di produzione: dall’ideazione allo storybording, dalla messa inscena alle riprese; hanno inoltre potuto riflettere sull’esperienza di stare davanti e dietro alla macchina da presa e sulle competenze trasferibili attraverso la creazione di una storia per immagini. Conclusioni e risultati congiunti Durante l’esecuzione dei laboratori è sempre stato seguito il proponimento iniziale di favorire il protagonismo dei partecipanti, offrendo un ambiente capace di far emergere le loro competenze, le loro esperienze e le loro soggettività. Accanto a questo, hanno rappresentato un tema centrale del corso l’attenzione al gruppo e il legame fondamentale tra identità e relazione. L’identità, in questo caso, è vista come il prodotto dell’interazione con gli altri, e non
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come un processo di individualità isolate, avulse dal conteso. Infine, l’utilizzo di forme espressive capaci di favorire una rappresentazione e un’elaborazione dell’identità come multipla, processuale, fluida e dialogica sembra aver costituito lo strumento più efficace di formazione. I due laboratori hanno prodotto diversi materiali: brevi cortometraggi, fotografie, narrazioni orali e scritte, nonché brevi rappresentazioni teatrali, improvvisazioni e performance strutturate. I risultati, come già anticipato, sono stati presentati, a Roma, in un evento pubblico aperto alla cittadinanza, realizzato l’ultimo giorno delle attività. Al centro del progetto IntegrART e della formazione realizzata sono stati posti i partecipanti, le loro esperienze e le loro aspettative, relazionali e formative. Grazie al monitoraggio in itinere degli interventi, i temi trattati, le tecniche utilizzate e gli obiettivi intermedi sono stati adattati alle esigenze dei singoli partecipanti. Tale flessibilità, ha riguardato, in particolare, le attività dei laboratori, basati su una forma di “Educazione Non Formale”, che i partecipanti sono stati chiamati a sperimentare in prima persona e, magari, a replicare nei rispettivi contesti lavorativi. Tutto ciò per favorire una forma di apprendimento, tanto tecnica quanto emotiva, che potesse rendere gli operatori capaci di riproporre le stesse attività, o delle diverse versioni, nel proprio lavoro quotidiano, una volta tornati a casa. I laboratori sono stati centrati sull’accoglienza e sul rispetto delle differenze e delle caratteristiche dei singoli, che sono stati chiamati a relazionarsi e a comporsi con gli altri in modo creativo e originale per dare vita a un gruppo, attivo e inclusivo, capace di accogliere le narrazioni e i punti di vista di ognuno, combinandoli sempre con quelli degli altri. In questo modo si è favorita la creazione di inedite trame narrative e immagini di sé del tutto nuove per gli stessi partecipanti. Tale approccio, che ha animato il progetto nel suo insieme, tende a favorire l’acquisizione di nuove competenze formative e di nuovi modi di essere-con-l’altro attraverso l’utilizzo di prassi sociali e relazionali, la loro sperimentazione diretta e la successiva riflessione in gruppo. Le metodologie e le competenze acquisite attraverso i workshop non bastano, infatti, di per sé a definire gli strumenti di lavoro da utilizzare in futuro, se non sono opportunamente accompagnate dalla capacità di pro-
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welfare on line gettare gli interventi educativi e di inclusione sociale a partire dalle esigenze e le specificità del gruppo con cui si lavora. Proprio per questo motivo, durante l’esecuzione del progetto, non sono mancati
momenti di riflessione sulle tecniche e le metodologie usate e sulle competenze necessarie per declinarle nel migliore dei modi nei rispettivi contesti di applicazione.
Monitoraggio e valutazione: i risultati e gli impatti del training course A cura di Daniela Bucci e Alessandra Cardellini
L’attività di monitoraggio, ossia la raccolta sistematica di informazioni funzionale alla valutazione di quanto via via realizzato e alla riprogrammazione delle azioni intraprese, ha rappresentato uno strumento fondamentale per garantire la buona riuscita del progetto IntegrART. Possiamo dire che essa ha punteggiato l’intero progetto, sia durante la sua realizzazione - in itinere - sia a conclusione dell’esperienza formativa - ex post. Il monitoraggio in itinere è stato condotto al fine di assicurare una costante verifica critica delle azioni e del processo di formazione e di apportare possibili aggiustamenti a quanto realizzato durante l’arco di vita del training course. Esso si è avvalso dello strumento dei reflection group che hanno visto i partecipanti, riuniti in piccoli gruppi, confrontarsi al termine di ogni singola giornata formativa, sia sul processo di apprendimento, sia sulla soddisfazione complessiva rispetto ai vari elementi del progetto, quali ad esempio gli aspetti logistici e organizzativi. Il dialogo all’interno dei gruppi di riflessione è stato favorito dalla presenza di un facilitatore, che a sua volta ha avuto il compito di riportare le considerazioni espresse dai partecipanti ai formatori e agli altri membri dello staff, al fine di rimodulare gli interventi in base alle esigenze emerse e di risolvere eventuali difficoltà. Tale flessibilità, che da un punto di vista pratico ha comportato alcune variazioni nel programma inizialmente previsto, ha caratterizzato l’intero svolgimento del progetto, con l’intento di favorire l’acquisizione di nuove competenze all’interno di una cornice di prassi sociali e relazionali capace di favorire la riflessione nel gruppo e con lo staff di progetto. Il monitoraggio ex post è stato pensato allo scopo di raccogliere informazioni utili alla valutazione dei risultati e degli impatti del progetto, innanzitutto su ciascuno dei partecipanti al training course, ma per loro tramite anche sulle rispettive organizzazioni di appartenenza e all’interno delle comunità in cui essi vivono e operano. Il piano di rilevazione ha previsto l’utilizzo di due diversi questionari semistrutturati. Il primo è stato somministrato alla fine della settimana di formazione, con la finalità di indagare la soddisfazione dei partecipanti rispetto al progetto nel suo complesso e ai singoli elementi che lo hanno caratterizzato; esso ha inteso approfondire i risultati ottenuti a partire dalle aspettative dei singoli. Ad alcuni mesi di distanza dalla fine del training course è stato somministrato un successivo questionario, inviato per e-mail ai partecipanti, volto a misurare l’impatto del progetto, ossia a investigare l’eventuale utilizzo delle competenze e delle tecniche apprese durante il corso di formazione nei contesti di lavoro dei partecipanti; l’attenzione è stata concentrata sugli effetti prodotti rispetto allo sviluppo professionale dei singoli, alla crescita delle rispettive organizzazione, al miglioramento dei servizi nelle comunità di appartenenza. La valutazione dei risultati Il primo questionario somministrato, a conclusione dell’esperienza formativa, è stato organizzato in due sezioni: la prima ha inteso misurare il livello di soddisfazione dei partecipanti rispetto al progetto; la seconda si è proposta di indagare i risultati raggiunti dal corso di formazione. Ha risposto al questionario la totalità dei partecipanti al training course, 18 donne e 6 uomini, per un totale di 24 questionari restituiti.
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Paese d’origine
Maschi
Femmine
Totale
Olanda
2
3
5
Grecia
0
6
6
Italia
2
4
6
Spagna
2
5
7
6
18
24
Totale
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welfare on line La prima parte del questionario, articolata in 12 item, si è posta l’obiettivo di indagare il livello di soddisfazione dei partecipanti rispetto al progetto nel suo complesso e ai suoi vari aspetti distintivi (dalla logistica alla metodologia formativa; dal programma delle attività ai materiali forniti). La soddisfazione è stata misurata su una scala da 1 a 5, dove 5 sta ad indicare il massimo livello di soddisfazione possibile. Item
Punteggi medi
Alloggio
3,9
Cibo
4,3
Logistica e informazioni fornite
4,1
Programma delle attività
4,0
Obiettivi del corso
4,1
Metodologia formativa
4,3
Materiali forniti
4,2
Partecipazione e interazione
4,6
Spazi di discussione
4,4
Ambiente di apprendimento
4,6
Dinamiche di gruppo
4,6
Soddisfazione complessiva
4,5
Mancate risposte 1
1
1
Dall’analisi delle risposte è emerso che, complessivamente, per ciascun item considerato si è registrato un livello di soddisfazione medio-alto, con un intervallo che va dal valore minimo di 3,9 assegnato alla soluzione alloggiativa, al valore massimo di 4,6 imputato alla partecipazione e interazione, all’ambiente di apprendimento e alle dinamiche di gruppo. In generale, nell’ambito dei corsi di formazione erogati nella cornice del Programma Gioventù in Azione (2007-2013), va segnalata una tendenza organizzativa che si è per lo più concretizzata nella scelta di sistemazioni alloggiative situate in zone periferiche delle grandi città o
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in piccoli centri abitati. Se da un lato tali scelte hanno inteso rispondere all’esigenza di contenere i costi del progetto a fronte di budget limitati, dall’altro hanno avuto la finalità di creare ambienti di scambio raccolti e circoscritti, capaci di facilitare l’immersione dei partecipanti nel processo di apprendimento e nelle dinamiche di gruppo. L’orientamento comune è stato quello di individuare strutture in grado di coniugare nel medesimo luogo la soluzione alloggiativa con gli spazi per la realizzazione delle attività formative. Diversa è stata invece la scelta logistica predisposta per i partecipanti del progetto IntegrART, che ha visto la loro sistemazione alberghiera nell’Hotel Villa Rosa, situato nel quartiere centrale di Trastevere. L’individuazione della location ha seguito precise motivazioni, tra cui innanzitutto quella di favorire la scoperta della città ospitante, come città interculturale e capitale europea. Cuore del progetto è stata inoltre la visita ad alcune realtà associative e istituzionali romane operanti nell’ambito di uno dei rioni che ha subito più trasformazioni in seguito all’intensificarsi del fenomeno migratorio: l’Esquilino. La concentrazione, in questo territorio, di consistenti comunità di diversa origine etnica e la nascita di seconde generazioni di giovani, figli di stranieri ma nati e cresciuti in Italia, ha profondamente modificato la composizione demografica della comunità locale e ha richiesto (e richiede tutto’ora) un lavoro costante per contrastare la conflittualità, combattere l’isolamento e la discriminazione, garantire l’inclusione sociale e il dialogo interculturale. Affinché i partecipanti potessero avere esperienza diretta delle buone pratiche che si intendeva trasferire loro e per fornire la possibilità di esplorare attivamente il territorio, si è dunque optato per la scelta della sistemazione alberghiera nel centro della città, a una distanza di 10 minuti a piedi dalla sede dell’ISTISSS, presso cui si sono svolte le attività formative. Il punteggio più basso (ma comunque buono) registrato dalla rilevazione, pari a 3,9 per la sistemazione alloggiativa, può quindi essere spiegato ipotizzando che su di esso abbiano inciso la scelta inusuale di non optare per un ambiente unico, probabilmente percepito come meno dispersivo, la distanza da percorrere a piedi per raggiungere il luogo della formazione o ancora la dimensione delle stanze, segnalata in particolare da quei partecipanti che hanno diviso l’unica stanza da quattro, scelta organizzativa dettata dall’esigenza di contenere per quanto possibile i costi.
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welfare on line I punteggi più alti, come abbiamo osservato, sono stati invece raggiunti da tre item: la stimolazione della partecipazione attiva ai vari momenti formativi e dell’interazione all’interno del gruppo; la costruzione di un adeguato ambiente di apprendimento; l’atmosfera relazionale e le dinamiche instaurate. Particolare attenzione è stata infatti riservata dai formatori alla creazione di un clima di fiducia e sicurezza, che facilitasse il processo di apprendimento e fungesse da sfondo catalizzatore per incentivare il coinvolgimento, a vari livelli, dei singoli partecipanti. Complessivamente, la soddisfazione per il progetto e per la settimana di formazione ha raggiunto un punteggio medio pari a 4,5. Per approfondire i risultati dell’esperienza di apprendimento e le motivazione dei giudizi espressi, è stata predisposta una seconda sezione del questionario, articolata in domande chiuse e domande aperte. Le aree indagate hanno riguardato: l’esplorazione delle aspettative; la percezione dell’utilità delle competenze sviluppate durante il corso di formazione rispetto alla propria crescita personale e professionale; l’efficacia delle metodologie proposte in relazione ai bisogni di apprendimento; gli elementi di successo e la criticità del training course. Dall’analisi delle aspettative emerge come esse nascano da diversi tipi di bisogno. In primo luogo vengono segnalate aspettative che rispondono a bisogni di ordine cognitivo e formativo, quali: aumentare le conoscenze rispetto al fenomeno delle migrazioni e alle condizioni di vita dei giovani di seconda generazione; migliorare il proprio livello di inglese; acquisire nuove tecniche e metodologie per lavorare in modo creativo sia con il target delle seconde generazioni sia con altre tipologie di utenza, al fine di supportare i processi di socializzazione e inclusione sociale. Emergono poi aspettative legate a bisogni relazionali, quali il desiderio di costruire nuove amicizie, di fare network, di scambiare e condividere conoscenze con persone che operano nello stesso campo o che hanno maturato più esperienza. Infine c’è chi ammette aspettative legate più a bisogni di carattere ludico, quali la possibilità di godere della bellezza della città di Roma e del suo sole! Rispetto alla soddisfazione delle aspettative espresse, la metà dei partecipanti ha dichiarato che le proprie aspettative sono state pienamente soddisfatte, mentre l’altra metà si è dichiarata soddisfatta solo in parte; nessuno ha
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lamentato una mancata soddisfazione delle proprie aspettative. Tra le motivazioni addotte da chi ha indicato una piena soddisfazione, troviamo innanzitutto quelle riferite ai bisogni di tipo cognitivo, quali: aver appreso metodologie e tecniche di lavoro innovative afferenti ad “un campo così lontano dal mio modo di essere” (rappresentazione teatrale e video making) e passibili di essere applicate sia con il target di riferimento del progetto IntegrART, sia nel lavoro sociale in senso più esteso; vedere accresciute le proprie conoscenze sulla tematica dei giovani di seconda generazione e sulla situazione migratoria in Italia; sentirsi ispirati a una futura implementazione di ricerche sul tema dell’identità; aver imparato a progettare e realizzare attività in gruppo; aver acquisito la capacità di “combinare diversi elementi insieme per creare un nuovo significato”. In generale, viene segnalato un gradimento per il taglio pratico dei workshop, concepiti come veri e propri laboratori creativi, e per l’ambiente di apprendimento, descritto come “coinvolgente” e “capace di far sentire a proprio agio i partecipanti”. Dal canto loro, coloro che si sono dichiarati solo parzialmente soddisfatti hanno segnalato i seguenti limiti: un desiderio d’approfondimento rispetto alle condizioni di vita dei giovani di seconda generazione rimasto inevaso; un maggior tempo da dedicare alle attività di case study; una difficoltà a immaginare come declinare le metodologie e le tecniche apprese nel proprio contesto lavorativo di riferimento; una tensione rimasta frustrata a voler essere messi alla prova in misura più incisiva; una tale pienezza e intensità del programma formativo da risultare per alcuni stancanti. La varietà delle aspettative espresse, delle diverse motivazioni di soddisfazione e in parte dei limiti evidenziati possono sicuramente essere collegati con l’elevata eterogeneità che ha contraddistinto il gruppo dei partecipanti al progetto IntegrART. Se consideriamo, infatti, i diversi livelli formativi e le diverse articolazioni delle esperienze e dei contesti lavorative di provenienza, è possibile spiegare perché per alcuni il processo di apprendimento abbia prodotto come output la capacità di combinare nuove tecniche e attività per la creazione di nuovi significati, mentre per altri rimanga un passo oscuro la loro applicabilità nell’ambiente lavorativo di appartenenza. In questo senso la maggiore o minore fruibilità del corso di formazione risulta strettamente connessa al livel-
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welfare on line lo di partenza dei partecipanti rispetto all’articolazione e alla profondità del rispettivo background di competenze e conoscenze. Una seconda aree di domande del questionario ha riguardato l’utilità dei contenuti proposti nel favorire lo sviluppo personale e professionale. La quasi totalità dei partecipanti si è dichiarata soddisfatta delle abilità e delle competenze sviluppate tramite il corso di formazione; quattro hanno risposto di essere soddisfatti solo in parte; nessuno si è dichiarato insoddisfatto. Coloro che si dichiarano maggiormente soddisfatti indicano motivazioni prevalentemente legate alla crescita professionale, quali: l’inserimento dei contenuti appresi nella propria “cassetta degli attrezzi”; la spendibilità delle metodologie e delle tecniche nelle rispettive organizzazioni di appartenenza; la condivisione delle competenze con i propri colleghi; la trasferibilità degli strumenti acquisiti rispetto a vari target di utenza; “una maggiore sicurezza e preparazione nella progettazione di attività con i migranti, e un desiderio di fare progetti anche grazie al nuovo network”. Coloro che invece si dichiarano solo parzialmente soddisfatti si rammaricano che potranno replicare solo alcune delle tecniche apprese nei propri contesti lavorativi, mentre altri pur riportando lo stesso limite si dichiarano però “ispirati dal progetto” e con nuove idee da realizzare attraverso i video e le immagini. Rispetto alla metodologia formativa utilizzata durante il training course, basata sui principi dell’educazione non formale e incentrata sulla sperimentazione pratica dei contenuti trasmessi, la stragrande maggioranza dei partecipanti ha manifestato apprezzamento in relazione ai propri bisogni di formazione; solo 4 persone hanno dichiarato di essere parzialmente soddisfatti; nessuno ha indicato insoddisfazione. La metodologia proposta è stata giudicata efficace per aver favorito lo sviluppo personale, le dinamiche di gruppo e il processo di apprendimento. Per quanto riguarda lo sviluppo personale, i partecipanti hanno riferito che il corso di formazione ha favorito un aumento della creatività e ha permesso una riflessione sul proprio stile personale, che come racconta un partecipante risulta proficua per chi opera nel mondo dei servizi sociali al fine di “comprendere come mi rapporto alle tecniche e al contatto con le altre persone”. La metodologia è stata considerata efficace anche nel favorire il processo di socializzazione e la collaborazione tra tutti coloro che erano coinvolti nel progetto, poiché ha
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contribuito a creare un clima in un cui far circolare diversi punti di vista sulle problematiche trattate. Ma l’elemento di maggior soddisfazione espresso rispetto alla metodologia utilizzata è stato senza dubbio quello della sua forza nel sostenere il processo di apprendimento: “ho capito come è possibile imparare dall’esperienza”, “il coinvolgimento nelle attività svolte mi aiuterà a ricordare meglio in futuro quanto fatto” sono due esempi di come l’efficacia della metodologia possa essere espressa attraverso le parole. In generale i partecipanti hanno sottolineato la semplicità ed efficacia dell’ambiente di apprendimento, che si sostanzia in un bilanciamento tra teoria e pratica e “nell’averci ispirato, ma nell’aver anche lasciato spazio alla creatività”. Un ulteriore punto di forza segnalato è stato il taglio psicologico e creativo del progetto nell’affrontare il tema delle seconde generazioni. Tra le mancanze evidenziate dai 4 partecipanti solo parzialmente soddisfatti della metodologia formativa, segnaliamo: il bisogno di una maggiore esplicitazione degli obiettivi di ciascuna attività, unita a una declinazione più puntuale della stessa rispetto ai diversi contesti di appartenenza; la richiesta di più numerose attività pratiche, laddove si è ravvisata una tendenza al “parlare troppo”; il desiderio di imparare di più. Il questionario chiedeva infine ai partecipanti di descrivere quelli che consideravano gli elementi di successo e le criticità del corso di formazione e di indicare eventuali suggerimenti di miglioramento. Le aree considerate di maggior successo hanno riguardato le dinamiche di gruppo e il processo di apprendimento. Sul piano relazionale i partecipanti hanno espresso in vario modo soddisfazione per quanto avvenuto nella “sfera del contatto umano”, che è stata declinata nell’aver stretto amicizie interculturali; nell’essersi connessi e divertiti assieme a persone interessanti; nell’aver costruito un gruppo nuovo, ricco di differenze, aperto e pronto alla cooperazione; nell’aver instaurato un clima nel quale “nonostante le culture differenti siamo riusciti a creare qualcosa insieme”. È stato valutato positivamente anche il processo e l’ambiente di apprendimento, a partire dai contenuti, passando attraverso le attività proposte e le visite organizzate presso alcune realtà del territorio romano, per arrivare allo staff della formazione che ha avuto il merito di “creare uno spazio si-
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welfare on line curo in cui poter lavorare”. Si può ipotizzare che proprio grazie a tale sicurezza di sfondo due partecipanti abbiano ravvisato il maggior punto di successo del corso proprio nell’area dello sviluppo personale, ossia nel “recitare, non sono abituato a farlo” e nella “sicurezza guadagnata nelle mie capacità creative”. Per quanto riguarda le criticità ravvisate, queste hanno investito per lo più gli aspetti logistico-organizzativi, quali la richiesta di maggiore attenzione durante le visite alle realtà associative romane (cosa che ha richiesto vari spostamenti per la città con i mezzi pubblici) e la presenza di un solo bagno nei locali della formazione. Per quanto riguarda l’aspetto didattico alcuni partecipanti hanno lamentato una sequenza delle attività troppo intensa, con una conseguente contrazione del tempo libero; i cambiamenti in corso d’opera del programma inizialmente presentato (anche in relazione alle difficoltà e alle necessità via via emerse); una differenza di tempo nello svolgimento dei workshop; lo scarso gradimento rispetto alla teoria psicologica sull’identità, che è parsa scollegata con le attività proposte; la necessità di un maggior tempo da dedicare alle discussioni; la divisione dei partecipanti in sottogruppi nazionali (dipesa in parte dalle difficoltà linguistiche dei partecipanti spagnoli, che non comunicavano in inglese a eccezione del proprio team leader). Nel complesso occorre tuttavia sottolineare come circa la metà dei partecipanti abbia dichiarato di non trovare alcuna criticità, se non nell’area strettamente personale, ossia nel proprio limite di non saper parlare inglese, nella mancanza di energia legata al proprio momento di vita, nel desiderio che il corso di formazione durasse più a lungo! I suggerimenti proposti vertono su come ottimizzare l’area formativa sia dal punto di vista organizzativo che contenutistico. Sul versante organizzativo si suggerisce di: strutturare meglio il programma; prevedere più tempo libero; inserire un numero maggiore di attività pratiche, limitando i momenti di riflessione; gestire meglio le pause, laddove ciò significa per alcuni allungarle per favorire la socializzazione, per altri accorciarle per dedicare più tempo alle attività, per altri ancora integrarle con tecniche di “energizer” al fine di recuperare la concentrazione e l’energia. Dal punto di vista contenutistico, si suggerisce di inserire più conoscenze sul fenomeno migratorio, prevedendo per esempio la visione di filmati e documentari, e di fornire la possibilità
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di interagire direttamente con i giovani migranti e di seconda generazione, per conoscere le loro storie. Si suggerisce infine di dedicare più tempo allo scambio di informazioni sui vari Paesi di provenienza, come pure sulle associazioni partner, e di aiutare i partecipanti a rimanere in contatto tra di loro anche oltre la fine del progetto. Complessivamente, il progetto IntegrART ha avuto un riscontro positivo da parte dei partecipanti. Le aree di maggior risultato e soddisfazione riguardano il processo di gruppo e l’ambiente relazionale creato dallo staff dei formatori che ha funzionato come una cornice sicura nella quale i partecipanti hanno sentito di potersi esprimere liberamente. Merita, in proposito, il racconto dell’esperienza (tras)formativa vissuta una partecipante, che, sebbene animata dal desiderio di mettersi in gioco, è rimasta inizialmente bloccata dalla propria insicurezza nell’esprimersi. Uno dei trainer, cogliendo tale desiderio e le conseguenti difficoltà, le ha assegnato il ruolo di direttore artistico di alcune attività teatrali in corso di elaborazione. La partecipante, ha iniziato così, timidamente, ad assumere il nuovo ruolo, quasi chiedendo l’autorizzazione al gruppo, ma pian piano ha sperimentato che le proprie idee funzionavano e venivano accolte dagli altri con apprezzamento. Da parte di chi le è stato intorno si è potuto cogliere come la sicurezza e l’entusiasmo siano cresciute in lei, che alla fine, con gli occhi brillanti, ha ringraziato i formatori e i compagni di avventura per averla aiutata a superare la vergogna e a credere nelle proprie capacità creative. La scelta della metodologia, pratica ed esperienziale, ha sicuramente esercitato un peso fondamentale nel determinare un processo di gruppo positivo e ha inciso fortemente sul successo dell’esperienza formativa. La valutazione degli impatti Il questionario per la rilevazione degli impatti del training course è stato inviato via mail ai partecipanti alcuni mesi dopo la chiusura della settimana di formazione (novembre 2014), con l’obiettivo di raccogliere informazioni relativamente a quattro aree d’esplorazione: gli effetti prodotti dal corso di formazione sullo sviluppo personale e professionale dei partecipanti; l’eventuale inclusione delle metodologie e delle tecniche apprese nella “cassetta degli attrezzi” degli operatori coinvolti; l’effetto moltiplicatore sulle organizzazioni di appartenenza e per loro
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welfare on line tramite sul funzionamento dei servizi nelle rispettive comunità locali. Su un totale di 24 partecipanti hanno risposto al questionario più della metà dei destinatari, per un complesso di 14 questionari restituiti. Paese d’origine
Maschi Femmine Totale
Olanda
0
3
3
Grecia
0
3
3
Italia
2
4
6
Spagna
0
2
2
2
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Totale
La prima area investigata atteneva al contributo apportato dal corso di formazione allo sviluppo personale e professionale dei partecipanti. Dall’analisi dei questionari, emerge come la maggioranza dei rispondenti (10) ritenga che l’esperienza formativa abbia contribuito alla propria crescita sia come individui che come operatori; 3 dichiarano uno sviluppo individuale imputabile solo parzialmente al corso; infine un partecipante definisce nullo il contributo apportato dal training course alla propria sfera umana e lavorativa. Entrando nel merito delle motivazioni fornite per dettagliare i giudizi espressi, è possibile raggruppare tali motivazioni in tre grandi ambiti: quelle inerenti la sfera della conoscenza dei fenomeni (sapere); quelle relative alla comprensione e al rafforzamento delle proprie potenzialità (saper essere); quelle legate all’acquisizione di competenze tecniche direttamente applicabili nella quotidianità del proprio lavoro (saper fare). Per quanto riguarda il primo ambito, quello del sapere, l’impatto positivo del training course viene motivato in termini di un aumento delle conoscenze relative al fenomeno migratorio e alle dinamiche che lo sottendono, di un’accresciuta comprensione delle condizioni di vita dei giovani migranti o di seconda generazione, di una maggiore sensibilizzazione verso la tematica nel suo complesso. Le motivazioni inerenti il saper essere si agganciano alle modalità di formazione attivate e alla strutturazione del processo di apprendimento, ai quali viene imputato un effetto di stimolo nel riconoscimento e rafforzamento delle risorse e potenzialità interne dei parteci-
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panti. “Per esempio abbiamo fatto l’attività delle maschere che aveva a che fare col tema dell’identità e poi successivamente ci è stata data la cornice teorica di riferimento sul tema. In questo modo abbiamo potuto capire da soli quello che l’esercizio significava per noi. Di solito succede il contrario”. Particolarmente apprezzato è stato lo spazio di riflessione e di libera azione creato dai formatori, che ha permesso la crescita personale dei partecipanti mettendoli in contatto con il proprio potenziale creativo. È proprio a partire dal tema della creatività che è possibile identificare gli elementi di contiguità e commistione tra lo sviluppo personale e professionale dei partecipanti. La scoperta o riscoperta del proprio serbatoio creativo ha permesso infatti ad alcuni di comprendere come si possa interagire con i propri utenti con modalità alternative, come la creatività possa essere utilizzata per creare un clima di gruppo che funga da cornice “per trattare in maniera semplice argomenti difficili”, come attraverso l’arte si possa favorire l’inclusione sociale. È questo l’ambito del saper fare, ossia quell’ambito in cui si collocano le motivazioni individuate da coloro che attribuiscono la propria evoluzione personale e professionale all’accrescimento del proprio bagaglio di competenze, concretizzatosi nell’acquisizione di nuove tecniche, quali lo storytelling e il video making, che alcuni dichiarano di aver effettivamente messo in pratica nelle realtà lavorative di appartenenza. Coloro che, al contrario, valutano l’impatto del training course come parziale o nullo sulla propria crescita individuale, sottolineano la difficoltà o l’impossibilità di applicare quanto appreso nel proprio contesto lavorativo. Si evidenzia, infatti, come il corso abbia prodotto un beneficio sul piano personale in termini di emersione di proprie abilità nascoste, ma si mette anche in luce come queste possano essere utilizzate solo parzialmente o per nulla all’interno delle rispettive organizzazioni. La seconda area del questionario ha inteso approfondire l’eventuale implementazione delle metodologie e delle tecniche trasferite durante il training course nella vita lavorativa dei partecipanti. Tra i 14 rispondenti, 8 hanno dichiarato di averle applicate nei propri contesti professionali, 2 di averle utilizzate solo in parte, 4 di non averle sperimentate nella propria quotidianità lavorativa. In caso di risposta positiva, è stato chiesto loro di esplicitare come il trasferimento fosse avvenuto e che tipo
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welfare on line di risultati avesse prodotto. In caso di risposta parzialmente positiva o negativa, è stato chiesto di spiegare le difficoltà e gli ostacoli incontrati. Coloro che hanno dichiarano di aver introdotto “sul campo” le metodologie e le tecniche apprese hanno raccontato di averle utilizzate soprattutto nel lavoro di educatori con i bambini, trasferendole quindi nel campo dei minori e modellandole al diverso contesto di applicazione. Tra i risultati ottenuti, menzioniamo: il lavoro svolto da un operatore che ha utilizzato le tecniche teatrali e del video making per favorire il superamento degli stereotipi e dei pregiudizi; la predisposizione di un progetto simile a IntegrART basato sull’empatia e la creatività presentato da un educatore presso la scuola in cui opera, attualmente in attesa di valutazione; la sperimentazione da parte di un altro operatore, con risultati positivi, dell’utilizzo delle attività laboratoriali e del lavoro per immagini e video nel processo di apprendimento di una seconda lingua; la predisposizione di una performance teatrale basata sull’utilizzo delle tecniche apprese. Altri educatori hanno riferito di risultati apprezzabili dal punto di vista del miglioramento delle relazioni, dell’accrescimento delle capacità immaginative e delle abilità di recitazione, dell’aumento della consapevolezza di poter esercitare diversi ruoli all’interno di contesti di gruppo. Coloro che invece hanno dato evidenza di una parziale o assente implementazione delle metodologie e delle tecniche apprese spiegano come ciò sia dipeso dalla mancanza di occasione concrete per metterle in pratica, dalla ristrettezza dei tempi e degli spazi di lavoro, dall’assenza di contesti professionali idonei. In tale direzione proprio uno dei partecipanti che ha posto l’accento sulla parziale introduzione di quanto appreso nel proprio lavoro quotidiano ha raccontato di voler sperimentare le tecniche acquisite all’interno di un workshop sull’identità di genere che sta attualmente progettando. La terza e la quarta area del questionario si sono proposte di indagare l’effetto moltiplicatore, ossia la condivisione da parte dei partecipanti degli apprendimenti prodotti dal training course all’interno del proprio contesto di riferimento, e le relative ricadute sulle organizzazioni di appartenenza. Le risposte evidenziano una messa in circolo dell’esperienza formativa sia a livello privato, con amici e familiari, sia a livello professionale, con colleghi e volontari delle organizzazioni. In generale, sul posto
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di lavoro, la condivisione sembra essersi realizzati in modalità prevalentemente informali, ma in un caso essa ha assunto una forma più strutturata nella cornice di un weekend di scambio di buone pratiche centrate sull’arte, come raccontato da un partecipante. Secondo quanto riportato, la contaminazione ha prodotto effetti catalizzatori sia sul piano ideativo che su quello relazionale. Un partecipante ha raccontato con entusiasmo come la condivisione dei risultati d’apprendimento abbia stimolato la propria organizzazione nella produzione di nuove idee finalizzate a favorire l’inclusione sociale attraverso l’arte. Altri hanno riferito come l’organizzazione di appartenenza abbia accresciuto l’ampiezza del proprio network grazie al progetto IntegrART. Altri ancora si sono dichiarati fiduciosi di poter cogliere l’effetto moltiplicatore della partecipazione al corso di formazione nel momento in cui avranno la possibilità di costituire una propria organizzazione. Complessivamente, l’aumento di consapevolezza del proprio potenziale creativo e artistico, che parte da una scoperta a livello personale e produce la sua ricaduta a livello organizzativo, misurabile in termini di un incremento delle progettualità basate sull’arte come strumento di inclusione sociale, sembra essere uno degli impatti più interessanti del progetto IntegrART. Dagli obiettivi agli impatti: un bilancio dell’esperienza Il progetto IntegrART è stato pensato con l’obiettivo di sviluppare la formazione e la cooperazione delle persone operanti nel settore della gioventù, stimolando l’innovazione attraverso il trasferimento di nuovi approcci, metodologie e tecniche concretamente esperiti nell’ambito del training course. Possiamo dire che un indicatore del pieno raggiungimento di tale obiettivo è rappresentato dal livello di soddisfazione espresso dai partecipanti, pari a 4,5 su una scala da 1 a 5. La quasi totalità degli operatori coinvolti si dichiara soddisfatta delle competenze acquisite grazie al training course, sia da un punto di vista di crescita personale che professionale. Nelle risposte fornite attraverso i questionari emergono vari prodotti di apprendimento: l’incremento delle conoscenze sul fenomeno migratorio e sul tema dell’identità (sapere); la scoperta delle proprie potenzialità e lo stimolo alla creatività (saper essere); l’acquisizione di metodologie e tecniche innovative da inserire nella cassetta degli
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welfare on line attrezzi dell’operatore sociale, spendibili nei relativi contesti di lavoro (saper fare). In questa direzione l’implementazione, nelle rispettive realtà di provenienza, delle metodologie e delle tecniche apprese, come testimoniato a distanza di quattro mesi dalla fine del corso dai racconti di alcuni partecipanti, fornisce una misura estremamente positiva dell’impatto concreto esercitato dal progetto nella sfera professionale degli operatori coinvolti. Il processo di acquisizione e di riconoscimento delle competenze - certificate tramite lo strumento dello Youth Pass - è stato supportato dalla scelta di metodologie basate sull’Educazione Non Formale e dalla creazione di un ambiente di apprendimento funzionale a incoraggiare la partecipazione attiva e lo scambio reciproco tra gli operatori in formazione, in linea con le priorità del Programma Gioventù in Azione. Come si evince dai risultati della valutazione finale, la metodologia proposta è stata giudicata efficace per aver risposto ai bisogni individuali, favorendo la messa in gioco dei singoli e creando dinamiche di gruppo capaci di sostenere il processo di apprendimento. Cuore del progetto è stato, infatti, il trasferimento di competenze attraverso la sperimentazione di quanto si intendeva trasferire e attraverso il ricorso a prassi sociali e relazionali basate sulla riflessione in gruppo, e con i formatori, in merito ai contenuti proposti e ai processi attivati. Entrambi tali aspetti sono stati giudicati fruttuosi dai partecipanti, con una propensione per l’uno o per l’altro in funzione dell’eterogeneità dell’aula e quindi dei diversi livelli di conoscenze e competenze degli operatori coinvolti. Un’ulteriore finalità del progetto IntegrART era quella di generare per il tramite dei partecipanti al training course una ricaduta positiva sulle organizzazioni di appartenenza e più in generale sulle comunità di provenienza, formando “trainer europei dell’inclusione sociale” e supportando la pianificazione e lo sviluppo di progetti locali con un forte impatto moltiplicatore. A tal fine sono state pensate le visite alle realtà del territorio romano dell’Esquilino, attraverso le quali i partecipanti hanno potuto fare
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esperienza diretta di buone prassi di inclusione sociale. Dalle risposte ai questionari, emerge come tale obiettivo sia stato in parte raggiunto (ricordiamo che non tutti i partecipanti hanno risposto al secondo questionario) nella misura in cui alcuni raccontano degli effetti catalizzatori prodotti dalla condivisione degli apprendimenti nelle rispettive organizzazioni di appartenenza sulla progettazione e sperimentazione di attività a livello locale basate sull’utilizzino dell’arte come mezzo per favorire l’inclusione sociale. Inoltre, il progetto IntegART, elevando a potenza il valore del patrimonio relazionale, si era posto l’obiettivo di stimolare future collaborazioni creando le condizioni per lo sviluppo di partenariati a lungo termine. Possiamo dire che anche in questo caso l’obiettivo è stato in parte raggiunto, se consideriamo che alcuni partecipanti hanno raccontato con soddisfazione di un ampliamento della propria rete relazionale, di cui poter beneficiare sia come singoli che come membri di una organizzazione. Il progetto IntegART ha infatti generato impatti positivi sia sulla sfera del contatto umano, creando legami tra i partecipanti provenienti da diverse culture, sia sulla sfera professionale, generando le condizioni per stabilire solide collaborazioni future. A fronte del processo di monitoraggio e valutazione, possiamo concludere che il progetto IntegART si è caratterizzato per essere un momento di sperimentazione e modelizzazione estremamente positivo, che si presta a una buona replicabilità in altri contesti nazionali ed europei. Il punto di forza del progetto è identificabile nella valorizzazione delle relazioni, che hanno creato inizialmente la cornice di supporto per il trasferimento dei contenuti e delle competenze e successivamente i presupposti affinché i cambiamenti innescati potessero sprigionare effetti moltiplicatori, potenziando così l’efficacia dell’intervento.
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Hanno collaborato a questo numero Daniela Bucci Alessandra Cardellini Luca Casadio Antonella Passani Foto Marco Biondi Redattore Zaira Bassetti Impaginazione Zaira Bassetti Redazione Piazza Campitelli, 2 - Roma Potete inviarci le vostre osservazioni, le critiche e i suggerimenti, ma anche gli indirizzi e i recapiti ai quali volete ricevere la nostra webzine alla nostra e-mail: info@nuovowelfare.it
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