N.11_2017
ARCHITETTI L I V O R N O
Ordine
degli
Architetti
Paesaggisti
Pianificatori
Conservatori
N.11_aprile_2017
Presidente Arch. Daniele Menichini presidente@architettilivorno.it mobile +39 333 9339212 Vicepresidenti Arch. Sergio Bini Arch. Marco Del Francia Segretario Arch. Iunior Davide Ceccarini Vicesegretario Arch. Simone Prex Tesoriere Arch. Sibilla Princi Consiglieri Arch. Enrico Bulciolu Arch. Simona Corradini Arch. Vittoria Ena Arch. Fabrizio Paolotti Arch. Guelfo Tagliaferro Segreteria Barbara Bruzzi Sabrina Bucciantini Redazione Arch. Gaia Seghieri redazione@architettilivorno.it Grafica e impaginazione Arch. Daniele Menichini Pubblicazione a cura Ordine Architetti PPC Livorno Largo Duomo, 15 57123 Livorno Tel. 0586 897629 fax. 0586 882330 architetti@architettilivorno.it www.architettilivorno.it
Sommario.
pagina 1
L’editoriale. Daniele Menichini pagina 3
Il concorso di idee: un esempio pratico. Franco Porto pagina 5
“Rige-naturalizzare” la Citta’ Resiliente. Cristina Rotta pagina 9
Architettura sociale. Franco Porto pagina 15
Il legno, strumento di sostenibilità. Emanuele Garufi pagina 19
Visioni progettuali per un futuro possibile. Daniele Menichini pagina 25
IMarco progetti ‘urbologici’ di Vittorio Giorgini. Del Francia pagina 29
Singapore: capitale del green building. Daniele Menichini
Daniele Menichini
Gli Architetti vogliono vivere e lavorare anche in questo Paese!
L’Architettura rappresenta da sempre una delle più alte espressioni della cultura e della civiltà di un popolo, traduce spazi, superfici, forme, pieni, vuoti e paesaggi del nostro bellissimo ed invidiato Paese, con la storia millenaria delle nostre città e dei nostri borghi. L’architettura testimonia quanto sia importante la qualità e la bellezza dei luoghi in cui viviamo e quanto sia importante non perdere questo valore culturale perché il diritto all’architettura, è un diritto di ogni cittadino del mondo, è un bene comune e non l’espressione di una parte dei cittadini, di un gruppo di essi e tanto meno di una corporazione che parla a pochi intimi, per questo gli Architetti hanno sempre lavorato a garanzia della comunità. Eppure proprio in Italia negli ultimi 50 anni l’Architettura è relegata ad un ruolo marginale nelle dinamiche sociali, culturali, politiche ed economiche del nostro Paese ed ha lasciato il posto a quell’edilizia di massa che ha aperto le porte anche ad altre professioni tecniche, facendoci perdere il ruolo agli occhi proprio di quella comunità che dobbiamo e vogliamo tutelare. Nel perdere forzatamente questo ruolo abbiamo lasciato spazio ed aperto fronti ai geometri e agli ingegneri, ed iniziato a pensare, per stare sul mercato, che il progetto di Architettura altro non è che il disbrigo di una pratica burocratica, una pila di carte su cui mettere la firma o una pura e semplice consulenza tecnica: è un’altra cosa, lo sappiamo e lo dobbiamo affermare, perché il progetto di Architettura sono la filosofia ed il pensiero che sottendono alla costruzio1
ne dello spazio e la pianificazione graduale del mondo che ci circonda. Questo è sempre stato il nostro mestiere e non dobbiamo permettere che il “progetto” soccomba alle logiche della politica, delle amministrazioni e degli enti, della convenienza economica di breve respiro e delle clientele, è un rischio che non possiamo più correre. Parliamo sempre di cambiare paradigma, ma in realtà si tratta di recuperare quel paradigma che abbiamo perso e in alcuni casi anche voluto perdere, piegandoci alle dinamiche del mercato e del risolvere l’emergenza economica quotidiana di ognuno di noi; dobbiamo farlo certo, essendo anche consapevoli che il mondo e le sfide richieste all’Architettura oggi sono diverse. Lo dobbiamo fare per tutta la nostra comunità. Che il nostro Paese sia cambiato e che l’Architettura debba cambiare lo dimostrano le tragedie legate allo sfruttamento irresponsabile del territorio, gli scempi della mancata pianificazione urbanistica, i paesaggi devastati da costruzioni avulse e lo squallore delle periferie delle nostre città; e certo non possiamo dire che anche gli Architetti non ne abbiano responsabilità. Si tratta quindi prima di tutto di fare ammenda verso i cittadini e fargli capire che noi vogliamo lavorare perché nel nostro Paese si torni a “fare architettura”; perché tanti professionisti possano insieme ricominciare a immaginare e realizzare città, piazze, giardini, uffici, scuole, mercati e case in cui sia piacevole vivere e che siano luoghi sicuri. È su questo che chiederemo alla politica di confron-
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L’editoriale
tarsi con noi, a garanzia di tutti i cittadini, non possiamo chiedere difese d’ufficio o privilegi di categoria come è stato fatto fino a qualche anno fa, il protezionismo professionale ha dimostrato di farci pagare un prezzo troppo alto, un prezzo che ci ha messo in ginocchio, un prezzo che non può e non deve essere imputato solo alla crisi del settore immobiliare. E’ arrivato il momento in cui è necessario riscrivere le regole, individuare il senso profondo della professione di Architetto, i meccanismi di accesso alla professione, ed i codici del lavoro. Alla politica chiederemo risposte precise, risposte a domande in cui sottolineeremo che il nostro mestiere è a garanzia dei cittadini, perché non ci interessa mantenere lo status quo; non difenderemo gli ordini professionali così come sono, e chiederemo che vengano riformati per adeguarsi alla contemporaneità ed alle direttive europee, affinché siano veri strumenti di servizio per i professionisti e per i cittadini. Per molti, fino alla riforma del 2011, si è trattato di costruire e mantenere sacche di privilegio e di difendere gli interessi corporativi, mentre, per altri, è stato complesso mediare tra l’obbligo di rappresentare interessi di categoria e la necessità di farsi interpreti di ragioni collettive. Non possiamo sottrarci alle regole, alle verifiche, alla prova delle competenze, al rispetto di codici ed alla deontologia, ma sappiamo invece che chi ha il compito di progettare le trasformazioni fisiche del territorio, è depositario di una forte responsabilità etica nei confronti della società,
e per questo dobbiamo richiedere che l’Architetto torni ad essere riconosciuto dalla società, come colui che immagina, progetta, interpreta, il mondo che è e soprattutto che sarà, che sia al centro del dibattito sulla costruzione del vivere e dell’abitare, che abbia un ruolo e per questo gli vengano necessariamente attribuiti oneri e responsabilità, ma anche centralità attraverso il progetto. È il momento, non rinviabile, di un confronto con la politica prima di tutto, affinché si possa tornare a fare Architettura ed ad affermare il ruolo dell’Architetto; lo abbiamo chiesto al Consiglio Nazionale degli Architetti PPC e lo abbiamo chiesto attraverso una nuova “Legge sull’Architettura” che si era dispersa tra le logiche corporative nel 2007, e che non ha mai più visto la luce perché rimasta all’ombra delle rendite di posizione. Sono passati 10 anni, anni molto pesanti e difficili in cui credo tutti abbiamo capito che questa rendita di posizione, se mai c’è stata negli ultimi 50 anni, non c’è più, e questo strumento non può attendere; va però ricordato che non basterà la Legge sull’Architettura a farci tornare al centro della scena, ma sarà necessario che ognuno di noi cambi l’approccio nel fare Architettura, ritornando a mettersi al servizio della collettività con grande umiltà e come facilitatore del processo. A noi resta ogni giorno solo combattere localmente ogni battaglia possibile, sapendo che siamo una goccia nel mare e che solo dal confronto a livello nazionale tra Architetti e Politica, si potranno ottenere risultati certi ed indiscutibili. 2
Il concorso di idee: un esempio pratico. “CONCORSO INTERNAZIONALE DI IDEE PER LA COPERTURA DELL’ANFITEATRO ROMANO (ARENA) DI VERONA” Franco Porto - Segretario del Consiglio Nazionale IN/ARCH
Premessa: In Italia i Concorsi in generale non funzionano, quelli denominati “di idee” ancora meno: l’esempio del Concorso per la “Copertura dell’Arena di Verona”, può considerarsi un esempio emblematico a sostegno delle mie considerazioni. Nonostante il bando ponesse severe limitazioni, per i vincoli archeologici del monumento, l’ottima documentazione allegata fornita ai partecipanti, riusciva a semplificarne l’impegno preliminare di conoscenza, ma con il rischio di averli troppo indirizzati, verso le poche soluzioni possibili. Le Amministrazioni Pubbliche devono essere meglio assistite, per capire quando conviene l’utilizzo dello strumento concorsuale e quando quello di idee: sono convinto che per la copertura dell’Arena, non era l’esplorazione delle idee per una possibile copertura la procedura più esatta, ma quella della competizione progettuale, ma l’assenza di finanziamenti e la più facile ed economica scorciatoia del Concorso di idee ha avuto la meglio, sapendo di dover percorrere un iter che, per la normativa italiana, di vincolo e di tutela del bene monumentale, non ha alcuna possibilità di essere completato. I dettagli del Concorso: Il Comune di Verona, nell’ambito del programma di interventi volti alla conservazione, valorizzazione e fruizione del complesso monumentale dell’Anfiteatro Arena, aveva bandito nel 2016, un Concorso Internazionale di Idee (ai sensi dell’art. 108 del D.lgs 143/2006 e s.m.i. e dell’art. 259 del D.P.R. n.207/2010), finalizzato all’acquisizione di una proposta per la copertura dell’anfiteatro romano “Arena di Verona”. Il Concorso, sponsorizzato da un privato, con centomila euro di premi finali, poneva l’obiettivo di potenziare la fruibilità dell’Arena, specificatamente per le attività di spettacolo e contestualmente conseguire il miglioramento dello stato di conservazione delle diverse componenti architettoniche dell’edificio, con il mantenimento della visibilità, percezione e comprensione del monumento dai diversi coni ottici esterni, nonché la lettura agevole delle evidenze antiche. L’intervento previsto doveva riguardare l’ideazione di una struttura di copertura apribile la cui installazione, doveva avere caratteri di totale reversibilità, essere strutturalmente convertibile ed il suo impatto compatibile sul piano ambientale, conservativo e di tutela dell’antico, in relazione anche alle problematiche micro-ambientali ed acustiche. La proposta d’intervento doveva considerare, in primo luogo, la necessità di un accurato studio di inserimento paesaggistico ed architettonico dell’elemento di copertura, che deve essere apribile, eventualmente discontinuo o costituito da più elementi separati ovvero da un elemento unico, non percorribile, prestando particolare attenzione alla lettura e percezione dell’originaria architettura antica, da contemperare con 3
le circostanti emergenze architettoniche in senso storico ed estetico. Gli esiti del Concorso: Gli esiti della competizione progettuale, sono stati annunciati nel mese di marzo del 2017: Il Concorso è stato vinto da un progetto realizzato dallo studio di ingegneria tedesco “Schlaich Bergermann and Partners”, in collaborazione con lo studio di architettura “Gerkan Marg and partners”. La soluzione progettuale ha previsto un anello perimetrale poggiato sul bordo superiore dell’Arena e permette di raccogliere i teli di copertura, disposti su un solo ordine di cavi, consentendo un rapido mutamento di assetto da aperto a chiuso. Significativo appare il sistema di riavvolgimento dei cavi che può permettere di mantenere quasi completamente libero lo spazio aereo soprastante. Il riavvolgimento dei teli verso l’emiciclo a sud est genera una parte ad anello sempre coperta, la cui configurazione tuttavia interagisce in modo misurato con l’ellisse dell’Arena. La soluzione proposta, a copertura aperta, lascia quasi per intero visibile dalla cavea il tratto superstite svettante dell’anello esterno. L’anello sospeso che appoggia sul perimetro superiore dell’anfiteatro, nel risolvere il problema tecnico di sostenere ed alloggiare i teli di copertura, offre una figura architettonica all’esterno e all’interno coerente e appropriata. Le considerazioni finali: Il Concorso di Idee è uno strumento molto interessante, ma negli ultimi anni molte Amministrazioni Pubbliche ne hanno fatto un uso distorto, circa le finalità da raggiungere, considerandolo spesso solo una preliminare esplorazione, per indagare la fattibilità di un intervento progettuale, con il coinvolgimento di elevate energie professionali, limitandone i costi ma usufruendo di decine di soluzioni progettuali, che a volte hanno determinato, non un unico vincitore, ma tanti a pari merito. Un altro esempio eloquente è stato l’esito del Concorso “Blueprint Competion” sul Waterfront di Genova: le settantasei proposte partecipanti, che avevano ridisegnato il vuoto urbano degli spazi inutilizzati della Fiera di Genova, nell’ottica di seguire la visione donata alla città da Renzo Piano Building Workshop, non sono state sufficienti a determinare una soluzione vincitrice, preferendo mettere dieci proposte a pari merito e naturalmente, nessuno per proseguirne l’iter realizzativo, un vero fallimento dello strumento concorsuale (anche in questo Concorso, le proposte progettuali, venivano indirizzate dalla preliminare visione di master plan donata alla città di Genova, da Renzo Piano Building Workshop). Il Concorso di Idee deve consentire, a chi partecipa, di poter esprimere la propria proposta nella massima estensione
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di libertà e creatività progettuale e a chi ha bandito la competizione di poter apprezzare e scegliere la migliore proposta, secondo delle esigenze enunciate e soprattutto con la convinzione di avviarne un iter procedurale, che ne consenta la realizzazione finale, sempre con lo stesso gruppo di progettazione vincitore. Molto meglio in Italia, l’organizzazione dei Concorsi di Progettazione, come quelli di Bologna per lo Shoah Memorial, di Parma per il WoPa, di Riccione per la Scuola Panoramica. Concorsi seri, fatti per realizzare l’opera sulla base del miglior progetto, a prescindere dai curricula dei partecipanti. I Concorsi sono uno strumento potente, ma delicato allo stesso tempo, e per esplicare tutte le loro poten-
zialità, hanno bisogno di essere organizzati in modo assolutamente professionale a garanzia dei partecipanti e degli altri attori del processo. La competizione non deve essere “la giostra degli architetti”, ma una procedura che vada a vantaggio delle Comunità locali, che aiuti a selezionare opere di qualità per la città e per il territorio: Tutti noi sappiamo, quanto questa sia connessa con la qualità della vita delle persone, se a monte di tutto, per definire il quadro delle richieste e delle esigenze da soddisfare, viene anche svolto un percorso partecipativo con le comunità locali, chiamate a dare un proprio sostanziale apporto e contribuendo ad accrescere il senso di appartenenza e di coesione sociale, i risultati non potranno che essere, esaltanti. 4
“Rige-naturalizzare” la Citta’ Resiliente. Cristina Rotta - Delegata formazione Inbar Sezione di Livorno e Arcipelago
Se oggi vogliamo perseguire un’idea di pianificazione sostenibile, non possiamo fare a meno di interfacciarsi con un approccio multidisciplinare alle molteplici problematiche che la questione implica. Dagli anni ‘70 del secolo scorso in Europa si è cominciato a parlare di recupero dei centri storici, delle aree dismesse, di riuso dell’archeologia industriale fino ad arrivare nel 2000 alla Convenzione Europea del Paesaggio che introduce un approccio paesaggista nella progettazione urbanistica: la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda e la Spagna hanno messo in campo esperienze di riqualificazione e rivitalizzazione di tessuti di città esistenti, che costituiscono esempi concreti e modelli da seguire per altri paesi, come il nostro, che ahimè ben poco ha fatto in merito. Pianificare correttamente un terri-
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torio significa mettere in campo molte variabili, strumenti e modalità d’azione diversi, che comprendano anche politiche urbane di coesione sociale per aumentare la qualità e la vivibilità degli spazi. Uno strumento interessante per guidare questa trasformazione è lo sviluppo delle griglie di verde-blu urbane. Il verde urbano e la vegetazione sono molto utili per diversi fattori: generano benessere, supportano la mobilità lenta, favoriscono la socialità e la permanenza delle persone conferendo attrazione e ospitalità nelle strade, piazze e parchi, migliorano la qualità dell’aria riducendo i gas serra, e mitigano le temperature estive. La natura, se reintrodotta in città, può agire in maniera efficace, perfor-
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mante e anche meno onerosa di altre soluzioni nel ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici e nel rendere l’ambiente urbano più resiliente. Il verde oggi non deve essere solo ornamentale ma funzionale, soprattutto se unito ad altri elementi naturali come ad esempio l’acqua, al quale è unito da un filo indissolubile. Il cosiddetto “oro blu” entra in ambito urbano in vari modi: come acqua superficiale sotterranea, di precipitazione, o come acqua potabile attraverso il sistema di approvvigionamento idrico. Una gestione corretta dell’acqua e una “progettazione” della stessa deve quindi tenere conto del sistema suolo e sottosuolo del quale fa parte, ed utilizzare soluzioni per ridurre gli sprechi, diminuire il run-off, migliorare la permeabilità dei suoli riducendo il rischio di allagamenti dovuti a precipitazioni straordinarie (purtroppo sempre più frequenti), migliorare il microclima diminuendo gli effetti di “isola di calore urbana”, e ridurre gli inquinanti. Le soluzioni in superficie sotto forma di tetti verdi o di rimozione di suolo impermeabile devono essere accompagnate da profili
stradali adeguatamente progettati per immettere l’acqua piovana nel sottosuolo e quindi assolvere, dove possibile, alla funzione di deflusso, con drenaggi fuori terra tipo grondaie aperte, canali incavati, piazze della pioggia, oppure con sistemi di infiltrazione più grandi come ad esempio campi da gioco e aree pubbliche da utilizzare anche per tale scopo. Il binomio acqua e vegetazione garantisce allo spazio circostante caratteristiche e qualità difficilmente riproducibili con sistemi artificiali, contrastando l’inquinamento e offrendo più spazio per lo sviluppo della biodiversità. Il valore aggiunto dell’acqua è inoltre quello di essere un forte elemento di stimolo percettivo, didattico e ludico, diventando quindi un punto di attrazione, relax, coesione ed aggregazione per adulti e bambini. Nel pensiero recente, le infrastrutture e le tecnologie “verdi” sono state identificate come “buone pratiche” a livello locale, e la loro realizzazione, combinata a modifiche delle infrastrutture tradizionali per recuperare e ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali, è un’opzione irrinun-
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VESTIRE I FARI DI VENTO, SOLE E MARE. ciabile in una città che si trasforma e si adatta ai tempi che cambiano: coniuga sostenibilità, sicurezza e qualità della vita, con scelte energetiche, edilizie e urbanistiche “smart”. Nella pianificazione delle infrastrutture verdi è fondamentale considerare i seguenti aspetti: - avere un approccio olistico alla progettazione urbana tenendo conto dei benefici e dei necessari compromessi in tutti i settori; - integrare le infrastrutture verdi nella pianificazione del territorio sia rurale sia urbano; - promuovere la connettività tra gli spazi verdi nelle aree urbane, peri-urbane e rurali; - promuovere la cooperazione tra privati, pubblici e ONG (vedi gli esempi americani come Tree People, Friends of Urban Forest); - favorire una forte collaborazione tra i diversi livelli di amministrazione nazionale, regionale e locale;
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- aumentare la consapevolezza dei benefici economici legati agli investimenti in infrastrutture verdi; - stabilire piattaforme per lo scambio di conoscenze e di buone pratiche tra le città. Certamente trattasi di operazioni complesse, frutto di cooperazione tra soggetti e politiche diverse, originate da una ottica lungimirante che riconosce soprattutto la rilevanza economica e sociale che le aree verdi-blu hanno. Fin dalla creazione dei primi parchi gli architetti sono stati consapevoli del fatto che la vegetazione migliora la qualità della vita dei cittadini e quindi dell’importanza del ruolo sociale della natura. Infatti la maggior parte delle persone preferisce vivere in quartieri verdi, perché le aree verdi sono luoghi dove le persone possono andare per la ricreazione e l’esercizio fisico, possono incontrarsi e trascorrere del tempo insieme senza obblighi e senza bisogno di spendere denaro, o semplicemente luoghi per trovare un po’ di pace e tranquillità. Ciò va a vantaggio della loro salute e riduce
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Istituto Nazionale di Bioarchitettura® Sezione di Livorno e Arcipelago Toscano L’Istituto Nazionale di Bioarchitettura®, ente morale senza fini di lucro, è associazione culturale di professionisti che, da oltre venticinque anni, svolge un ruolo determinante per la sensibilizzazione e l’informazione della società e la formazione degli operatori sui temi dell’abitare sano, della riqualificazione del territorio e della riconversione ecologica del settore delle costruzioni. E’ punto d’incontro di discipline diverse convergenti nel proporre una modalità di sviluppo ecologicamente corretta per il nostro pianeta. La Sezione di Livorno e Arcipelago Toscano rappresenta una delle sezioni provinciali nelle quali l’Istituto è articolato a livello territoriale in Italia.
i livelli di stress, inoltre le aree di gioco naturali sono importanti per i bambini, per migliorare le loro abilità sociali e lo sviluppo, per il benessere psico-fisico e per recuperare quel rapporto con la natura, che negli ultimi anni hanno perso con il sopravvento della tecnologia informatica. Aspetto da non sottovalutare è che vegetazione e parchi di quartiere devono essere progettati secondo le esigenze dei vari gruppi di età e le integrazioni delle diverse culture. La soluzione migliore, ovviamente, è quello di coinvolgere la gente del posto nella progettazione e manutenzione dello spazio verde o parco. Esempi europei in tal senso sono la dimostrazione di come le misure possano essere attuate e possa essere colmato il divario fra teoria e pratica; citiamo fra alcuni gli esempi dei Paesi Bassi con il progetto Poptahof a Delft, il progetto EVA-Lanxmeer a Culemborg e il progetto Hof van Heden a Rotterdam. Anche Londra ha definito una politica volta ad aumentare la quantità di verde nella metropoli per diversi mo-
tivi, come ad esempio ridurre lo stress da calore e creare una maggiore biodiversità. In Italia ci sono alcune città che hanno adottato progetti pilota come per esempio Bologna con il programma Blueap (Piano di Adattamento al Cambiamento Climatico), e Milano con il progetto delle “Rotaie Verdi”, altre che hanno attuato interventi di rigenerazione come Torino con il “Parco Dora”. Oggi l’architettura deve tornare a servire chi abita la città, a renderla vivibile e usufruibile da tutti e in questo è fondamentale il ruolo sociale dell’architetto. Gli spazi pubblici sono forti elementi di aggregazione ed integrazione collettiva in tutti i contesti urbani, ed oggi più che mai le persone sentono il bisogno di “appartenere” e partecipare al territorio in cui vivono e non essere semplici fruitori o spettatori di ciò che gli altri costruiscono; oggi lo spazio urbano rigenerato deve soddisfare questa esigenza più che mai per contrastare anche fenomeni di emarginazione dell’individuo, malesseri giovanili, degrado e tensioni sociali.
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Architettura sociale.
Nuovi scenari della rigenerazione urbana. Franco Porto - Segretario del Consiglio Nazionale IN/ARCH
Ritengo utile, in premessa, indicare alcune parole chiave: concept - innovazione - inclusione sociale - resilienza - rigenerazione urbana - riqualificazione urbana. In particolare, mi piace soffermarmi sul “concept”, come proposta progettuale che rappresenta l’elaborato finale di un metaprogetto. Possono esserci più concept all’interno di un percorso progettuale ed all’interno del concept, il progettista espone le linee guida per la fase esecutiva. Altre parole chiave sono: smart city, città 2.0, senseable city, città creative, solo alcuni degli slogan che descrivono le città del futuro, attente al risparmio energetico, cablate, disegnate a misura dell’uomo, città attrattive per gli stranieri ed i giovani talenti, città capaci di reinventarsi ed essere competitive a scala globale.
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Le città di successo sono quelle che giocano la loro partita su temi concreti, che sanno mettere in atto azioni pubbliche e private, che si traducono in spazi pubblici, interventi di demolizione e ricostruzione e nuove scuole. In Europa sono due i modelli applicati alle città, secondo l’area geografica di appartenenza: quelle del Nord si caratterizzano alla “rigenerazione urbana” e quelle del Sud alla “riqualificazione”. Tra i due modelli c’è una differenza maggiore di quella che riguarda l’oggetto di applicazione e il metodo. La differenza è soprattutto relativa al contesto: i primi, sperimentano anticipatamente una crisi occupazionale dovuta al decentramento produttivo con esiti dirompenti, che paesi come l’Italia, per una serie di ragioni complesse,
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hanno stemperato nel corso dei successivi decenni, e mediato con numerose politiche di sostegno. Le città che sopravvivono in tempi di crisi sono quelle che realizzano incubatori di attività produttive, città capaci di sperimentare tipologie abitative, che stanno al passo con la domanda in evoluzione, città che danno risposte concrete a chi le vive, e a chi è pronto ad investire. Le città europee, che hanno lavorato per proiettarsi nel futuro hanno investito nella partnership pubblico/privata, mantenendo una forte regia pubblica, hanno sfruttato i grandi eventi e hanno investito sul progetto. Il tema della città è stato una priorità economica. E per raggiungere dei risultati di qualità evidentemente non bastano slogan, che promettono città utopistiche o i numeri dei piani regolatori per controllare la trasformazione delle città: serve un’iniezione di progettualità: masterplan a scala urbana e disegni di dettaglio per ogni cosa. Barcellona, Bilbao, Berlino e più recentemente Am-
burgo, Marsiglia e Copenaghen, sono alcuni esempi di rigenerazione urbana riusciti. A partire dal 1975 Barcellona è diventata uno dei laboratori urbani più attivi nel panorama nazionale ed internazionale, prima con il piano regolatore proposto dall’architetto Oriol Bohigas e poi con l’attività di una generazione di professionisti catalani progressisti, passando per la sperimentazione, e con il ruolo attivo dello spazio pubblico che ha prodotto centinaia di nuove piazze, parchi e giardini. Barcellona ha ospitato i giochi olimpici nel 1992 e il Forum delle Culture nel 2004. Barcellona è stata un modello progettuale ed economico capace di essere ‘esportato’ e applicato ad altre realtà metropolitane. A Bilbao, il Museo Gugghenheim ha avuto un successo indiscusso: arrivata al suo 15esimo anno di età, con le sue 33mila scaglie di titanio, ha conquistato visitatori da tutto il mondo, ed in un solo anno l’operazione (costata meno del Museo Maxxi di Zaha Hadid a Roma) si era ripagata.
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Ma la vera forza della città basca, non sta solo nella grande scultura di Frank Gehry, quanto nella capacità strategica di politici ed urban planner di aver convertito una città soffocata da acciaierie e container del porto fluviale ed industriale, in una città con una nuova vocazione, turistica e culturale a misura d’uomo. La qualità degli spazi aperti e l’efficiente trasporto pubblico, con un tram che corre su un prato verde e con la doppia linea del metrò che collega tutta la città fino al mare (sviluppata longitudinalmente in virtù della particolare orografia), la riconversione di spazi che hanno perso la loro primaria funzione, ed, ancora, il recuperato rapporto con l’acqua del fiume. Berlino invece è la città più estesa d’Europa con tre milioni di abitanti, un terzo è verde. A Berlino il 44% delle famiglie non possiede l’automobile: non ce n’è bisogno grazie alla rete di piste ciclabili ed alle undici linee di metropolitana. Berlino ha ridotto il numero di aeroporti, da tre a uno caratterizzato da una city-airport dove si insedieranno grandi aziende internazionali. Ancora, Berlino ospita 170 musei, si possono affittare buoni alloggi a 4 euro/mq e comprare a 1200 euro/mq. Berlino ha tutte le condizioni per essere una start up per qualsiasi iniziativa. 13
In Amburgo, la zona più interessante in termini di rigenerazione è quella di HafenCity, dove i magazzini portuali sono stati convertiti in edilizia residenziale ed implementati da un’efficiente sistema di infrastrutture e servizi. Tutta la trasformazione è stata coordinata e promossa attraverso una serie di concorsi di urbanistica e architettura e il successo è garantito anche dal mix di usi: un laboratorio di design dove ci sono opere firmate dagli svizzeri Herzog e De Meuron, dall’inglese David Chipperfield, dagli italiani CitterioViel e Fuksas. Ma Amburgo è di particolare interesse anche per la rivoluzione ecologica, la città tedesca ospita anche la Mostra Internazionale di Architettura Iba Hamburg (Internationale Bauasstellung Hamburg), per la quale sono stati realizzati una cinquantina di progetti in un quartiere sperimentale dove sono previste residenze, uffici ed un grande parco verde nella zona di Wilhelmsburg, separata da ferrovia ed autostrada. L’operazione è frutto di partnership tra progettisti, imprese e sponsor ed è stata sviluppata con particolare attenzione al cambiamento climatico. La città di Marsiglia per più di 30 anni è rimasta immobile, poi nell’arco di dieci anni tutto è cambiato. Dalla viabilità agli ospedali, dai musei alle residenze, agli uffici. Marsiglia ha cercato di riscattare la sua condizione di città
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povera e pericolosa lavorando sul territorio». Marsiglia è una città che cresce da dentro, essendo limitata dal mare e dalla montagna non ha avuto l’occasione di espandersi nell’hinterland come hanno fatto altre città. Anche il Nord Europa ha investito sul tema delle città, a partire dalle grandi infrastrutture (metropolitane, strade, ponti) ma con una particolare attenzione anche alla scala urbana con progetti di piste ciclabili e percorsi pedonali sicuri. Si lavora per realizzare quartieri senz’auto, si sono costruite scuole ad alta efficienza energetica, e si è fatta sperimentazione sul tema dell’housing. Copenaghen è già un modello avendo investito anche sul design di qualità nelle opere di nuova realizzazione. In Italia siamo molto confusi, l’urbanistica è in difficoltà per il suo linguaggio troppo di settore, altamente tecnicista e parametrizzato, lontano dalla comunità e costretta ad inventarsi strumenti normativi per indurre fenomeni di partecipazione che in passato si sarebbero avviati in maniera del tutto naturale. L’urbanistica si è dimostrata incapace di realizzare trasformazioni urbane attraverso una propria idea di città, difficile da comprendere e da comunicare. Quale direzione potrà prendere l’architettura in questo periodo di recessione economica e quale potrà essere
il suo ruolo all’interno della società contemporanea? Tutte le direzioni dovranno essere per un’architettura capace di ritrovare nelle proprie consuetudini progettuali: “etica e creatività”, “diritti ed innovazione”, “bellezza e futuro”, “partecipazione e consapevolezza”: L’architettura di oggi annaspa in un vuoto di significato, in cui protagonista è, sempre più, la spettacolarizzazione e monetizzazione della realtà, dove pochi e selezionati architetti, più simili a divi dello spettacolo, sono visti come i veri protagonisti di quello spettacolo che è diventata oggi l’architettura. Moda effimera e superficiale, accessorio, abbellimento; che ci ha reso tutti spettatori di una modernità in divenire e non i protagonisti ed utilizzatori quotidiani delle città e delle architetture che le popolano. L’Architettura deve tornare ad essere un momento collettivo, un’azione necessaria che crea le pre-condizioni alla nostra esistenza, atto definitivo che modificherà per sempre la storia e le persone che vivranno in quel pezzo di mondo che andrà ad occupare. Proprio per questo ci riguarda, riguarda tutti, perché coinvolge tutti, la vediamo, camminiamo, respiriamo, saliamo, viviamo. Dopo la scorpacciata di gigantismo degli ultimi vent’anni, oggi si subisce il fascino dei progetti alla piccola scala per il bene comune; un’apparente ritorno all’etica: ma l’etica saprà resistere al sistema del consumo?. 14
Il legno, strumento di sostenibilità. Emanuele Garufi
Qualche anno fa, quando il mercato dell’edilizia ha iniziato ad aprirsi (o meglio a riscoprire) il legno come materiale da costruzione primario, gli spiriti, e le competenze, erano molto meno pronti di quanto non lo siano oggi. Nella notte fra il 5 e il 6 aprile 2009, nell’istante che la prefettura ha trascritto nell’ora delle 3,32 del mattino, un sisma della magnitudo di 5.8 gradi della scala Richter, ha di fatto raso al suolo gran parte del centro storico della città dell’Aquila e di molti paesi vicini. Onna in particolare venne spazzata via. Il bilancio ufficiale parla di 309 vittime, 1600 feriti e 65.000 sfollati. Rinnovati sono stati negli anni i dati delle vittime e dei danni causati sul territorio nazionale dall’attività sismica. Emilia 2012, Amatrice 2016, per citare gli eventi più gravi. C’è stato bisogno di una immane tragedia per sdoganare il legno, dopo che le NTC 2008 avevano finalmente introdotto, per la prima volta in Italia, una norma specifica di riferimento per la progettazione delle strutture lignee. La sua leggerezza, abbinata ad una naturale elevata resistenza meccanica, migliorata da prodotti ingegnerizzati come il legno lamellare e il Cross Lamineted Timber (CLT-Xlam), e sistemi costruttivi come il platform frame, ha garantito al legno un efficace impiego nel campo delle strutture sismo-resistenti, e il suo largo utilizzo nell’ambito delle ricostruzioni. Ma l’affermarsi dei sistemi costruttivi in legno, è dovuto anche ad altri aspetti. Alla fondamentale caratteristica di un vantaggioso rapporto fra resistenza e peso specifico, si abbina il fatto che il legno è il materiale che permette di ottenere strutture dal minor impatto ambientale fra tutti gli altri materiali strutturali. Basti pensare che per la produzione dei materiali strutturali, occorrono 14.000 Watt per produrre un kilogrammo di acciaio, 3.000 Watt per un kilogrammo di cemento e soli 600 Watt per un chilo di legno. In aggiunta a questi dati, la differenza è ancora più eclatante se si considera che, a fine processo produttivo, un metro cubo di legno incamera ancora 900g di CO2 sottratti all’atmosfera, mentre per produrre l’equivalente in acciaio si immettono in atmosfera 17.000 grammi di CO2, e più di mille grammi per pari quantità di calcestruzzo. Il legno inoltre è, fra tutti i materiali strutturali, quello con le migliori caratteristiche di resistenza termica. Per ottenere la capacità isolante di una parete in legno massiccio di 10 cm di spessore, occorrerebbe realizzare una parete in mattoni pieni di 80cm e addirittura di 170 cm in cemento armato. 15
Il legno è un materiale dalle enormi potenzialità. Queste caratteristiche hanno fatto sì che il suo impiego, stia riscontrando un evidente successo nonostante la crisi economica. Anzi, la crisi è stato un ulteriore elemento che ha di fatto favorito il suo affermarsi. La mancanza di disponibilità economiche, ha fatto sì che gli investimenti siano molto più ponderati che in un passato in cui, sotto un forte impulso imprenditoriale nel ramo edile e immobiliare, spesso la qualità è stata a discapito della quantità dell’offerta sul costruito. Coloro che in un periodo di crisi si espongono ad un investimento importante, sondano il mercato, entrano nel merito dell’offerta e selezionano in maniera più accurata le opportunità. Ed il legno oggi costituisce per l’investitore un’opportunità: chi costruisce per se la propria casa, trova nel legno una proposta di alta qualità, sostenibile e naturale. L’elevarsi degli standard qualitativi e prestazionali, imposti dalla normativa per indirizzare un progressivo innalzamento dell’efficienza energetica del costruito, ha inoltre alzato il costo medio di costruzione per l’edilizia cosiddetta tradizionale rendendo il legno anche economicamente competitivo pur essendo un materiale nobile. E questo è un aspetto che sta crescendo in sensibilità non solo da parte del privato ma anche dell’investitore. Il risultato prestazionale è in effetti più semplice e vantaggioso da raggiungere col legno che non con le strutture in latero cemento: la gestione dei ponti termici, il soddisfacimento degli standard di comfort abitativo, la velocità e praticità di esecuzione delle strutture, sono alcuni degli aspetti che hanno un risvolto economico importante a favore dell’impiego del legno. La ricostruzione dell’Aquila, ha portato in evidenza il legno come sistema costruttivo. Da allora in poi, il mercato dell’edilizia in legno è stato in costante crescita e in totale controtendenza nel comparto che è in drastica recessione da anni. La crescita del legno è stata ed è così evidente nel sofferente mercato dell’edilizia, che il “legno” rischia oggi di essere considerato non tanto un sistema costruttivo, fra i migliori per molti aspetti, bensì un prodotto commerciale, uno strumento di marketing. La “casa in legno” è proposta come un fine ultimo, un prodotto finale, non come uno strumento, un mezzo per costruire. Per costruire in maniera migliore. La questione è sottile ma fondamentale. Il legno è uno strumento. Deve essere uno strumento. Laddove sia proposto come fine, come proposta fine a se stessa, il legno, come sistema costruttivo rischia di andare in crisi e di tradursi, da opportunità, in arma a doppio taglio.
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Come tutte le cose di questo mondo, il legno infatti, come ha dei pregi, ha anche dei difetti. Il banalizzarne l’impiego in favore di una appetibilità commerciale evidente, promuovendo gli indubbi pregi, ma trascurando la gestione delle criticità del suo impiego, può creare seri problemi e minarne l’efficacia. Tali criticità sono note e alla luce del sole: Tutti i vantaggi del legno derivano dalla sua natura, dall’efficacia che il materiale acquisisce attraverso la crescita dell’albero. L’albero diventa legno. Oppure termina, prima o poi, il proprio ciclo di vita e torna alla terra dalla quale proviene, rigenerando esso stesso il bosco e la sua vita. Per far questo, la più efficace invenzione di madre natura è che il legno, tornando alla terra, non mineralizzi diventando roccia, ma si decomponga, attraverso la propria marcescenza.
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Il legno marcisce. Ma ciò che è straordinario è che marcisce in determinate condizioni, che sono note, di umidità. Quando il legno acquisisce umidità superiore a determinati livelli diventa, cosa che non è prima, aggredibile da forme parassitarie come muffe, funghi e insetti, che agiscono sulla sua struttura decomponendola. Senza il verificarsi delle condizioni di vulnerabilità del legno, la sua struttura non corre rischi significativi e non controllabili. Il Prof. Maurizio Piazza, studioso del legno da decenni, dice che il progetto del legno sia di fatto esprimibile nel progetto della durabilità del legno. La tecnica costruttiva, lo studio dei dettagli di posa e di completamento, in particolare il progetto dei nodi sensibili come l’attacco a terra delle strutture, dei nodi finestra, delle connessioni, della protezione dagli agenti esterni in particolare dall’acqua, lo studio delle stratigrafie e del com-
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portamento termo-igrometrico per controllare e scongiurare fenomeni di condensa interstiziale, sono aspetti imprescindibili da un corretto impiego delle strutture in legno. Non affrontare la realizzazione di una struttura in legno senza la dovuta competenza può inficiarne la sua efficacia e durabilità e danneggiare il sistema legno in generale. L’importanza di tali aspetti ci faccia diffidare delle proposte, sempre più presenti e aggressive sul mercato, di realtà improvvisate, seppur in buona fede, lanciate alla “conquista” di un settore che esige altresì rispetto, conoscenza e attenzione. Eppure questo non dissuada da perseguirne le potenzialità cercando le strade giuste. Professionalmente l’opportunità è ormai evidente, ed oggi siamo pronti a coglierla più di quanto non lo fossimo solo pochi anni fa. Perché più consapevoli e preparati. Inoltre oggi, siamo chiamati professionalmente e deontolo-
gicamente al dovere di considerare l’utilizzo delle strutture in legno come strumento di un’ edilizia sostenibile e etica. Barack Obama, nel suo ultimo anno di mandato presidenziale, in occasione del famoso Cop-21 a Parigi, ha giustamente sottolineato come noi tutti “Siamo la prima generazione a sentire l’impatto del cambiamento climatico e l’ultima generazione che può fare qualcosa”. Come progettisti, in grado di indirizzare la forma costruita della nostra società, non possiamo non fare nostra una causa superiore, che appartiene non al nostro mondo o alla nostra epoca soltanto, ma piuttosto al mondo che verrà e alle generazioni future e a quanto noi saremo in grado di lasciare loro in dote. Costruire oggi, non può che essere un costruire sostenibile, e partire dal legno è il modo più naturale per iniziare a farlo.
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Visioni progettuali per un futuro possibile. Intervista a Sinus Linge – Studio Effekt
Daniele Menichini
Sarà un modello di sostenibilità capace di autoprodursi energia pulita, acqua e cibo biologico, di ridurre le emissioni di CO2, contenere i consumi e trasformare i rifiuti in risorsa. L’obiettivo è quello di diffondere il progetto in tutto il mondo, adeguandolo ai diversi contesti ambientali, ai climi ed alle latitudini, ma sempre conservando i fondamentali: un modello auto sufficiente, energeticamente efficiente, basato sui principi del riciclo e del riuso. In termini concreti l’eco villaggio a impatto quasi zero si basa sul concetto della circolarità. I rifiuti domestici verranno trasformati in compost utilizzato per concimare e per sfamare il bestiame. Che a
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sua volta concimerà alcune aree destinate alla produzione di frutta e verdura di stagione. I metodi agricoli sono fra i più innovativi ed avanzati: alle classiche coltivazioni biologiche si affiancano tecniche di aeroponica, idroponica, permacultura. (l’idroponica, ad esempio, può produrre dieci volte di più di un terreno delle stesse dimensioni, usando il 90% in meno di acqua). L’energia verrà prodotta usando una combinazione di energia geotermica, solare, solare termico, eolico e da biomasse. Fra le tecnologie su cui si sta investendo maggiormente ci sono piccoli impianti a biomassa a basse emissioni, che possono utilizzare qualsiasi rifiuto non utiliz-
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zabile per il compostaggio, trasformandolo in energia. Un sistema di raccolta ad hoc raccoglierà l’acqua piovana e l’acqua grigia e le redistribuirà secondo le esigenze dei giardini e degli orti stagionali e dei sistemi idroponici. Dall’ossevazione di questo progetto per il ReGen Village è partita la mia ricerca di contatto con lo Studio Effekt e la passione per i loro progetti. Da chi è partita e cosa ha ispirato l’idea per i nuovi sobborghi autosufficienti? L’idea nasce dal contatto con ReGen Villages che è una società immobiliare a vocazione tecnologica che si pone l’obiettivo di rispondere ad almeno alcune delle più pressanti sfide globali in ambito sociale, finanziario e soprattutto ambientale. È stata fondata in Olanda da James Ehrlich, un imprenditore di grande successo nell’ambito delle
tecnologie avanzate, ed ha preso le mosse da un UN Sustainability Platform Report del 2015. Il concept del progetto è stato sviluppato e pensato in collaborazione con Re Gen Villagese e lo studio di architettura Effekt di Copenhagen. Quali sono gli obiettivi e il back ground di questo concept? A noi piace pensare al progetto ReGen facendo riferimento agli eco villaggi di Tesla. Vorremmo che fosse un progetto facile, conveniente e accessibile che consenta di scegliere uno stile di vita off of the grid, fuori dagli standard precostituiti. ReGen significa rigenerativo, un modello in cui le uscite di un sistema rappresentino gli input per un altro. Questa modalità di pensiero ha un approccio olistico e combina diverse tecnologie innovative, come l’active house, le rinnovabili, lo stoccaggio di energia, la produzione organica ad alto rendimento di cibo, l’agricoltura verticale in colti-
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vazione idroponica e aeroponica, la gestione e il risparmio delle risorse, l’acqua in primo piano. Tutto il progetto ReGen si basa sulle tecnologie applicate. Noi, molto semplicemente, utilizziamo tecnologie già esistenti e le applichiamo in un contesto che integra l’architettura, la fornitura di energia pulita, acqua e cibo prodotti e gestiti con logiche di minimo consumo delle risorse. La bio-climatica sembra essere alla base delle architetture di questo progetto, ci raccontate il principio di base? Il primo prototipo di ReGen Villages è stato pensato per i climi temperati come quelli del nord Europa. Le abitazioni sono state progettate con una facciata vetrata estensibile per diventare una sorta di giardino d’inverno ad abbracciare tutta la superficie dell’edificio. Il giardino d’inverno è uno spazio godibile posto tra l’edificio ed il giardino aperto. Lo scopo dello spazio protetto è quello di immagazzinare il calore del sole e prolungare, per i residenti, la possibilità di usufruire di uno spazio esterno anche nel primissimo periodo primaverile e nel tardo autunno. In inverno lo spazio potrà funzionare come serra per consentire la coltivazione di erbe, frutta e verdura quasi dentro casa. Produrre energia con modalità autonome, riusare e riciclare e produrre il cibo per l’autoconsumo, sono elementi essenziali per il futuro prossimo e remoto? Il cambiamento climatico è il più grande e il più importante segnale di crisi del nostro tempo, sia sotto il profilo ambientale, sia sotto il profilo umanitario. Emissioni inquinanti (gas serra, sono valutabili, oggi, in una proporzione superiore a un valore pari a 150 volte di quanto non venissero emessi un centinaio di anni fa. E si tratta di una progressione che continua con modalità rapidissime, esponenziali che va in parallelo alla crescita della popolazione umana ed all’emersione della middle class. L’agricoltura, in testa, è diventata il principale driver del cambiamento climatico, con la perdita della biodiversità e la distruzione dell’ambiente. Oggi noi consumiamo il 40% della superficie dei nostri continenti per produrre cibo ed è proprio la produzione di cibo ad essere il più grande responsabile dell’emissione dei gas serra, della deforestazione massiva e del consumo d’acqua (per ben il 70%). Trasportiamo il nostro cibo da un capo all’altro del mondo e ne sprechiamo il 30% della produzione totale, addirittura prima del consumo, mentre ancora un settimo della popolazione mondiale patisce la fame. C’è un’urgente necessità di far emergere i nuovi e migliori modelli per le città del futuro e ReGen è sicuramente uno di questi. Si propone come un percorso di ingegnerizzazione e sviluppo di quartieri integrati e resilienti, fuori dagli schemi, per rendere più forti e autosufficienti i nuclei domestici nel mondo. Potete spiegare, in sintesi, come intendete sviluppare questi tre macro elementi nel progetto? Cibo, energia e acqua rappresentano i fondamentali delle necessità dell’uomo che possono essere soddisfatte localmente. Questi prodotti possono essere armonizzati con l’architettura degli edifici e delle comunità. Ed è possibile riciclare i rifiuti organici per trasformarli in energia e utilizzare 23
l’acqua e i servizi - le utility - a matrice organica per consentire alle comunità di essere autosufficienti, dove i rifiuti di un sistema si recuperano per alimentarne un altro. Qual’è l’impatto sociale, culturale ed economico per le comunità che decidono di seguirlo? Con l’integrazione di diverse tecnologie, ReGen detiene la potenzialità di affrontare alcune delle sfide della popolazione crescente, dell’urbanizzazione pervasiva, della scarsità di risorse, dell’incrementale mancanza di cibo così come la riduzione delle emissioni di CO2 e dei gas climalteranti, risparmiando gli oneri a carico delle municipalità e dei governi nazionali e andando nella direzione di un mutamento planetario in termici dinamici e coerenti con l’economia contemporanea. Ma ReGen non significa solo la riduzione dell’impatto ambientale e del sovraccarico dei costi dei paesi. Il progetto intende anche costruire un miglior modello per la sostenibilità del futuro, in cui gli standard quotidiani di vita possano essere sostenuti semplicemente pensando in modo più intelligente. Un modello che aggiunga non solo valore finanziario e ambientale, ma anche valore sociale attraverso il trasferimento di un’autonoma responsabilità alle famiglie e attraverso lo sviluppo di un autentico senso della comunità, ricreando le connessioni tra ambiente ed esseri umani e riequilibrando consumo e produzione. Quale sarà l’impatto ambientale di un ReGen Village, post dismissione? Stiamo lavorando con sistemi costruttivi che possano essere riciclati dopo la dismissione. Dove sarà costruito il primo ReGen Village e quali sono le differenze tra teoria e pratica? Abbiamo appena completato lo studio di fattibilità per il primo insediamento in Olanda. In questa fase del processo, abbiamo confermato che il modello che abbiamo progettato è tecnicamente attuabile. E insieme abbiamo imparato che la comprensione delle condizioni locali socioeconomiche e ambientali esistenti è la chiave di sviluppo per un progetto sostenibile a tutti i livelli. È necessario prestare attenzione a introiettare i modelli locali nella valutazione delle tecnologie dei prezzi e anche dello stile di vita per ogni progetto locale. State pensando a progetti simili altri Paesi? Abbiamo molti progetti in corso e trattative con la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, ma anche con lo Sri Lanka, il Canada e le Filippine. Dalla presentazione del ReGen Villages alla Biennale di Architettura di Venezia, nel maggio di quest’anno, abbiamo ricevuto più di 10.000 richieste da parte di Governi, Sviluppatori, e proprietari terrieri interessati allo sviluppo di un ReGen Village. Questo primo progetto è in fase di costruzione ad Almere, in Olanda, ma il grande potenziale per ReGen sta nei Paesi in via di sviluppo dove un enorme flusso di persone si sta trasferendo dalle comunità rurali alla ricerca di migliori condizioni di vita. Non vediamo l’ora di sviluppare il progetto in altre aree del mondo consapevoli della necessità di adeguamenti e di nuove tecnologie che si integrino con le specifiche condizioni locali.
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I progetti ‘urbologici’ di Vittorio Giorgini. Marco Del Francia - Presidente B.A.Co. Archivio Vittorio Giorgini
Vittorio Giorgini (Firenze 1926-2010) è stato un architetto conosciuto per i suoi studi che coniugano il rapporto tra biologia e architettura; è nella morfologia infatti che ha incentrato il suo lungo lavoro di ricerca. L’intuizione di considerare le strutture esistenti in natura – siamo nei primi anni ’50 - come delle tecniche di funzionamento e di costruzione; i conseguenti tentativi empirici nella ferma convinzione di trovare soluzioni pratiche e specifiche per dare forma a una natura artificiale, superando lo spazio euclideo, rendono l’intera opera giorginiana satura di intuizioni di assoluta avanguardia. E’ nell’interpretazione formale degli organismi naturali, che Giorgini opera una sistematizzazione degli stessi secondo modelli che riflettono geometrie basate sia su strutture a membrana (l’esempio più concreto è rappresentato dalla sua opera più significativa, casa Saldarini a Baratti, del 1962), che sulle maglie tetraedriche e ottaedriche, sempre secondo schemi non simmetrici. I moduli reticolari di quest’ultime consentono una progettazione isotropica uniforme, elevabile in altezza e senza appoggi ingombranti sul terreno. Dal punto di vista della cifra progettuale la riproposizione di maglie strutturali così definite costituisce una iconografia formale diversa rispetto ai progetti contraddistinti da superfici curve; ma, come amava ripetere il suo autore, benché formalmente diverse, le due tipologie di progetti possono ritenersi uguali: quello che li rende differenti sono soltanto le tecniche pensate per la loro realizzazione. La padronanza di questi principi costruttivi, organizzativi e funzionali, permette a Giorgini di estendere la progettazione in qualsiasi campo a 360 gradi. Gli stessi concetti sono utilizzati sia nel campo del design che in quello dei mezzi di trasporto e dei relativi collegamenti urbani ed extraurbani. Nello studio ‘spaziologico’ delle morfologie naturali, Giorgini ha cercato di definire delle premesse geometriche e tecniche sulla base delle quali giungere a risultati progettuali che potessero offrire nuove prospettive non solo in campo architettonico ma anche urbanistico, all’insegna della funzionalità e della flessibilità. Da sempre l’architetto fiorentino si è preoccupato di rifondare il significato dello studio della geometria, disciplina per lui fondamentale per impostare un nuovo orientamento non soltanto a livello progettuale, ma anche di tipo etico-ideologico, in virtù del nuovo modo di vedere le ‘cose’ che la disciplina stessa avrebbe potuto offrire. In questo senso anche la parola ‘architettura’ avrebbe avuto bisogno, secondo l’intendimento giorginiano, di essere rinominata, onde acquistare un significato diverso, «… visto che l’attuale è divenuto troppo equivoco in relazione a quelli che dovrebbero essere i 25
modi contemporanei del pensare». Per questo motivo, considerando l’architettura inscindibile dall’urbanistica, Giorgini ridefinisce quest’ultima come “Urbologia”. Le proposte “urbologiche” di Giorgini, anche se dettate da un approccio per lo più propositivo con caratteristiche di idee geometriche e tecnologiche di innovazione, spesso gli varranno l’appellativo di “architetto utopista”, e lo relegheranno nella larga schiera di quei progettisti che vedranno le loro opere proiettate nel lontano futuro e non affidate alla materiale costruzione nel tempo presente. Nello stesso periodo, proposte urbanistiche a grande scala quali la Torre di Philadelphia di Louis Kahn e Anne Tyng, la città spaziale di Yona Friedman, le città verticali galleggianti di Paul Maymont, la città-marina di William Katavolos, hanno costituito per Giorgini un campo di indagine che avrebbe originato proposte spregiudicate e di inedita formulazione. Soprattutto il modello della città mobile, proposta da Yona Friedman (nel 1958), sembrerebbe rappresentare per Giorgini un tipo di progettazione con caratteristiche urbanistiche dalle notevoli possibilità, in quanto si fonda sulla concezione dei “quartieri spaziali” (che assumono un ruolo principale come centro delle città future). Infatti, secondo questa concezione architettonica friedmaniana dei nuclei urbani, «la popolazione della terra potrebbe crescere, applicando la formula degli agglomerati spaziali, fino a raggiungere i tremila miliardi di abitanti». Questa modalità progettuale, per Friedman, garantisce la “vera colonizzazione spaziale”. I progetti urbologici – pensati a partire dalla fine degli anni ’60 - erano concepiti usando tecniche della costruzione leggera proprie delle maglie spaziali e delle tensostrutture, in modi simmetrici e non. Tenevano in considerazione mezzi industriali come l’automazione e la robotizzazione con la quale non solo era possibile produrre una certa quantità di “pezzi” complessi a costi convenienti, ma anche pezzi della stessa categoria ma di dimensioni variabili. Stavano anche a dimostrare che le suddette tecniche erano più adatte a ottenere risultati dinamici e articolati e sottolineavano che l’identità formale dipendeva anche dall’uso della tecnica. Giorgini ha cercato di mantenere le soluzioni entro una credibilità tecnica e funzionale cercando di evitare il rischio dell’etichetta utopica o fantascientifica, ma come la storia ha dimostrato ciò non è stato alla fine possibile. Da queste premesse si è sviluppato un modello giorginiano che cerca di rispettare l’ambiente, attraverso un utilizzo molto ridotto della superficie terrena, e che si autocostruisce attraverso trasformazioni graduali, per mezzo di crescite in sovrapposizioni, cercando in questo intento di realizzare una totale flessibilità. I canali di comunicazione
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con l’esterno (e quelli che svolgono funzioni interne) non creano ingorghi o situazioni di disagio, perché opportunamente divisi e organizzati, secondo le esigenze del traffico, meccanizzato e non. Oggi, a più di mezzo secolo dall’avvio di queste ricerche, possiamo ragionevolmente sostenere che i suoi contenuti sono vasti e hanno molteplici implicazioni. Come in un gioco di scatole cinesi ogni segmento di ricerca ne apre sistematicamente un altro, e ognuno è collegato tra loro. Lo stesso Giorgini era consapevole dei caratteri olistici delle sue investigazioni, che andavano oltre gli aspetti
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tecnici e geometrici e si spingevano verso il campo della fisica e degli spazi quantici. Fornendo all’esperienza immaginativa progettuale un’accelerazione di incredibile forza, Giorgini ha altresì aperto una strada nell’attenzione che si porta sulle strutture ambientali come principi attivi che influenzano il comportamento delle persone. Se il suo vissuto culturale e professionale possa essere il frutto di un precorrimento dei tempi e di un’incomprensione dei contemporanei, sarà questione che potrà legittimamente far parte della storia delle idee e della resistenza o fragilità temporale che potrà riservare il futuro.
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Singapore: capitale del green building. Il far east non è il far west. Daniele Menichini
Di recente ho avuto la fortuna di fare un breve viaggio a Singapore e quindi prima di partire ho iniziato ad informarmi sulla città e su alcune delle cose da andare a vedere nel poco tempo libero che avrei avuto a disposizione, e provo quindi a raccontare questa esperienza anche attraverso la storia di questa città del far-east che da sempre ha avuto un impronta green anche se sviluppata sul modello di quelle ad alta densità e grande traffico dei vicini Cina, Giappone, Australia ed India di cui è anche punto di riferimento. Singapore, la “città-giardino” nella visione governativa lanciata nel 1963 dal premier Lee Kuan Yew, anzi, “la città in un giardino”, lasciando intendere che il concetto di giardino superava di slancio quello di città, nella visione governativa lanciata nel 2013 dal premier Lee Hsien Loong, figlio del precedente Lee. Ora, la Singapore sempre in lotta contro l’inquinamento ed il suo sviluppo vertiginoso, vuole diventare la “capitale del green building”. L’annuncio dell’accelerazione sull’efficienza energetica ed ambientale degli edifici è stato dato nel corso di una cerimonia al Marina Bay Sands convention center, nel maxi-complesso alberghiero da quattro miliardi di dollari inaugurato nel 2011, e che tutti conosciamo come le tre torri collegate in sommità dalla grande terrazza panoramica. Nell’ambito dell’International Green Building Conference è stato lanciato il “Green Mark Scheme”, una certificazione per i nuovi edifici non residenziali che impegna gli immobiliaristi ed i costruttori a centrare 79 indicatori di sostenibilità delle linee guida del Green Building Council, con quattro obiettivi: l’efficienza energetica, l’alta qualità degli spazi abitativi per preservare il benessere e la salute dei fruitori, una politica di zero sprechi durante la costruzione, la riduzione delle emissioni per non peggiorare i cambiamenti climatici in atto. Un obiettivo quello che ho ricavato dalla mie ricerche sulla città prima di andarla a visitare, che difficilmente ho trovato anche ricercando informazioni sulle altre grandi capitali mondiali della cultura “green”, e che ha ovviamente creato una grande aspettativa prima della visita. Certo arrivando in aereo e sorvolando la “city” con i suoi altissimi grattacieli e la grande densità delle costruzioni sembrava che tutto quello che avevo letto era assolutamente una artificiosa costruzione pubblicitaria per attrarre i citrulli con il pallino della dissemination della cultura della sostenibilità come me; ma sceso dall’aereo già nell’interno dell’aeroporto ho potuto trovare l’espressione della “città in un giardino”, con grandissimi spazi verdi sia piantumati che in pareti verticali che ti fanno entrare in questo mood. Uscendo poi fuori da questo grandissimo hub aeroportuale sono rimasto subito piacevolmente colpito dai grandissimi viali alberati 29
in cui le piantumazioni ai lati sono state trattate con tagli e potature per farle diventare come dei grandissimi ombrelli, e far si che le chiome si tocchino, dando l’impressione di attraversare un tunnel verde che ti lascia intravedere tra i rami e le foglie la città. Continuando poi il viaggio in taxi per arrivare all’hotel le sorprese non finiscono e scopro che c’è un gigantesco giardino botanico proprio nel cuore della città e che ha una estensione di 74 ettari, e che attraverso una serie di percorsi porta i visitatori dalla città al centro del paese e che ovviamente metto tra le mete da visitare nei giorni successivi. Impressionante è invece vedere i grandi edifici sulla marina e nella city collegati da un tessuto fatto anche di parti storiche della città come la “china town”, fatta di edifici tipici e caratteristici e che rappresenta la storia di questo paese in cui si incrociano molte etnie e in cui si parla inglese anche tra gli indigeni. Certo con tutto questo ben di dio da vedere inizio a perdere la speranza di scegliere le cose giuste e allora mando subito una mail ad una cara amica blogger che si occupa di architettura sostenibile per avere qualche suggerimento, e così ricevo anche il contatto con lo Studio Woha che a Singapore ha realizzato molti edifici sostenibili e che conosco solo in parte e così mi armo di una mappa e cerco di capire cosa riuscire a vedere nel poco tempo libero che avrò fuori dagli eventi organizzati a cui devo partecipare per forza di cose. Il primo edificio che riesco ad andare a visitare è il Park Royal Hotel ai margini tra la city e china town, un edificio grandissimo, adibito appunto ad ospitalità, e che si affaccia su una grande piazza, l’architettura è caratterizzata da tre grandi parallelepipedi con facciata continua in vetro a specchio e che sono collegati da piastra fatta da più terrazze, sulle quali si sviluppano i giardini tropicali che hanno sia la funzione paesaggistica, che architettonica che bioclimatica, e che danno un effetto incredibile sia dall’interno che dall’esterno e che ogni tanto lasciano intravedere dei gazebo sospesi che traggono ispirazione dalle gabbie per uccelli. La base sulla quale si sviluppa tutto il sistema del verde pensile è a pilotis in cemento, collegati da un sistema di elementi orizzontali in cemento anch’essi, dai vari colori e che in qualche modo simula un sistema di grotte. L’effetto è proprio quello di una foresta tropicale dalla quale sporgono gli enormi volumi contemporanei. Nel visitare l’architettura non si può fare a meno anche di vedere tutto l’aspetto tecnologico, fortemente spinto verso il consumo di energia quasi zero e verso il basso impatto ambientale. Il secondo edificio dal quale sono fortemente attratto è l’Oasia Hotel, un grattacielo che scopro solo dopo essere “building of the year 2017”, e che è una architettura veramente bella ed insolita per una torre. L’edificio è il classi-
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co grattacielo con facciate strutturali in vetro e che viene ricoperto da una seconda pelle fatta di grigliati metallici traforati e colorati sui toni del rosso e che sono ricoperti da un verde rampicante che porta la natura nel centro della city. La seconda pelle ed il verde hanno chiaramente sempre una molteplice funzione oltre a quella puramente estetica, sono infatti due strumenti bioclimatici che consentono di ombreggiare le enormi superfici vetrate oltre a modulare la luce e a creare una specie di camino che raffresca naturalmente l’edificio. Ricordiamoci infatti che siamo quasi sulla linea equatoriale, e che tutto l’anno le temperature e l’umidità sono sempre molto alte. Ad arricchire l’edificio si trovano la terrazza all’ultimo piano che ha anche una piscina ed un grande taglio multipiano nella parte alta del grattacielo, anche questo dotato di piscina, questi sono due spazi molto suggestivi anche per il rapporto tra edificio e vista dall’edificio e in cui, grazie anche al clima si sono ricavati spazi fruibili completamente aperti come la reception ed il bar che non hanno pareti chiuse se non da tendaggi leggeri mossi dalla naturale brezza dell’altezza. Oltre a queste due importanti architetture dello Studio Woha, ho potuto vederne tante altre più piccole, sempre di loro concezione, ed essere sempre affascinato da come questo rapporto con il verde e l’integrazione con l’architettura per estetica, funzionalità e bio climatica si trovi a tutte le scale dell’architettura. Certo non poteva mancare la visita al colosso delle torri del Marina Bay Sand, un imponente elemento a margi-
ne tra la città, il mare ed un altro enorme parco verde che dentro vede costruite altre incredibili architetture contemporanee. Le tre torri del Marina Bay Sand hanno un impatto architettonico veramente imponente ed anche se possono non essere del mio gusto preferito, restano sempre un opera notevole con questi tre elementi che salgono verso il cielo e che sono collegati alla base da un bellissimo percorso coperto sul quale si affacciano i balconi delle due lame di ognuna delle torri, e che, nella parte alta sono invece collegate da questa stranissima soluzione di una piattaforma che galleggia nel vuoto, e che ospita le piscine dell’hotel oltre ad una discoteca, un ristorante ed un bar. Dal punto di vista delle funzioni dell’ospitalità ci troviamo quindi con una soluzione ribaltata che porta gli spazi comuni in alto e visitando l’edificio è facile capire che l’intenzione è proprio quella di fare del Marina Bay Sand un punto di vista su tutta la città sia durante il giorno , in cui si è avvolti dalla leggera foschia ed umidità come se si fosse in una nuvola , sia durante la notte, in cui si dominano le incredibili distese delle luci degli edifici più bassi e trasparenti che stanno sotto nel parco. Con queste poche parole, descrizioni ed immagini non si può certo trasmettere l’atmosfera di questa grande città che, a differenza delle grandi capitali internazionali che ho visitato, lascia il desiderio di tornare a fargli visita perché oltre all’architettura contemporanea combina l’architettura storica del quartiere cinese, di quello arabo, di quello indiano, dello street food e dei market di prodotti tipici e in cui spostarsi in taxi a motore elettrico o ibrido è un piacere. 32
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