Architetti_Livorno_12_2018

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N.12_2018

ARCHITETTI L I V O R N O

Ordine

degli

Architetti

Paesaggisti

Pianificatori

Conservatori


N.12_gennaio_2018

Presidente Arch. Daniele Menichini presidente@architettilivorno.it mobile +39 333 9339212 Vicepresidenti Arch. Nicola Ageno Arch. Vittoria Ena Segretario Arch. Iunior Davide Ceccarini Tesoriere Arch. Sibilla Princi Consiglieri Arch. Roberta Cini Arch. Marco Del Francia Arch. Marco Niccolini Arch. Maria Elena Pirrone Segreteria Barbara Bruzzi Sabrina Bucciantini Redazione Arch. Gaia Seghieri redazione@architettilivorno.it Grafica e impaginazione Arch. Daniele Menichini In copertina Neus Museum - David Chipperfield

Pubblicazione a cura di Ordine Architetti PPC Livorno Largo Duomo, 15 57123 Livorno Tel. 0586 897629 fax. 0586 882330 architetti@architettilivorno.it www.architettilivorno.it


Sommario.

pagina 1

L’editoriale. Daniele Menichini pagina 3

Dalla normativa alla professione. Fulvio Bondi pagina 7

Appunti sull’arte dei giardini. Roberta Cini pagina 11

Segni urbani e atmosfere del paesaggio costruito. Fabio Candido pagina 13

Ristorante/Bar Reef Sansone. Massimiliano Pardi pagina 17

Premio Architettura Toscana. Daniele Menichini pagina 21

Casa in una pineta. Fabio Candido pagina 25

Metamorfosi dell’architettura. Angelo Lanzetta pagina 29

Diverse angolazioni. Gaia Seghieri


Daniele Menichini

Andiamo oltre l’equo compenso rivendicando la centralità del progetto.

Nell’ultimo periodo abbiamo avuto modo di parlare molto dell’equo compenso con tutti voi; un risultato sicuramente importante ma che da solo non potrà risolvere la compressione del mercato e la rivendicazione del nostro ruolo di Architetti. Vediamo da dove siamo partiti e dove siamo arrivati. La sentenza del Consiglio di Stato che ha considerato legittimo il bando del Comune di Catanzaro, che prevede l’affidamento dell’incarico per il Piano Strutturale Comunale della città al costo di 1 euro, apre a due diversi interrogativi. Cos’è l’autopromozione e qual è il suo confine? A tutti sarà certamente capitato di accettare un incarico a una tariffa inferiore rispetto a quanto desiderato per farsi conoscere, per fare esperienza, per acquisire un cliente nuovo o importante o semplicemente per lavorare; tuttavia, nel tentativo di rincorrere un lavoro bisogna sempre ricordarsi che c’è un limite a tutto, che siamo professionisti e che offriamo una prestazione di qualità che deve essere correttamente remunerata. Gli strumenti per avere visibilità ci sono ma sono altri che quello del lavorare gratis. Qual è il rapporto tra remunerazione e qualità della prestazione? Se in altri campi, in cui incide maggiormente il costo dei materiali, è scontato che tagliare sui costi implichi tagliare sulla qualità, quando invece c’è di mezzo il lavoro 1

intellettuale, non solo quello degli Architetti, sembra che possa non esserci relazione tra le due dimensioni. Il caso di Catanzaro è senz’altro eclatante, ma purtroppo non isolato visto che ha fatto immediatamente e scandalosamente scuola anche con i bandi, poi ritirati, di Solarino. Nel nostro territorio e non solo, ci capita d’imbatterci in bandi di gara che ancora non tengono conto del Decreto Parametri per la base d’asta, o bandi di gara per opere di significativa rilevanza architettonica che prevederebbero l’utilizzo del concorso di progettazione, secondo quanto stabilito dal nuovo Codice Appalti. Gli strumenti legislativi ci sarebbero, ma non sempre sono rispettati e non è facile vigilare tra i portali delle Pubbliche Amministrazioni. Quello che servirebbe davvero è un cambio di mentalità della società civile pubblica e privata: il comune denominatore di tutte queste vicende è infatti il mancato riconoscimento del valore del progetto, un elemento che sembra ormai essere diventato secondario e su cui poter risparmiare grazie agli intendimenti della Ragioneria di Stato che punta solo a ridurre i deficit degli Enti. Per questo motivo abbiamo deciso di iniziare un percorso di interlocuzione con le Pubbliche Amministrazioni e in particolare con i responsabili di procedimento degli Assessorati ai Lavori Pubblici ed Urbanistica ed ogni altro inter-

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L’editoriale

locutore che preveda servizi di Architettura e Ingegneria; un confronto sul Codice degli Appalti e sulla sua applicazione nei concorsi di progettazione e nei bandi di gara. Crediamo che attraverso un lavoro congiunto con la figura chiave del RUP, molto spesso sono architetti, si possano sciogliere nodi interpretativi e applicativi e garantire una maggiore tutela dei professionisti, siano essi liberi o dipendenti della pubblica amministrazione. Applicare il Codice Appalti vuole oggi significare anche allargare la base dei professionisti coinvolti e quindi creare condizione di opportunità di lavoro per una percentuale più alta rispetto al passato. La recente approvazione dell’emendamento alla legge finanziaria che estende il riconoscimento dell’equo compenso a tutti i professionisti, seppur con le limitazioni e i meccanismi applicativi da definire, è un primo segnale. Certamente non sufficiente, ma sancisce un principio morale che in questi ultimi anni sembrava essere stato spazzato via dalla Legge Bersani, cioè che i professionisti abbiano diritto ad un compenso commisurato all’impegno richiesto. Sembrerebbe una questione scontata eppure non lo è visto che la determinazione del compenso dipenderà anche dalla qualità e quantità del lavoro svolto. La perdita ed il mancato riconoscimento del nostro ruolo è una delle conseguenze di un altro problema ancora

più grande, che spesso trascuriamo di analizzare: il lavoro. Che non c’è e quando c’è crea una competizione sfrenata al ribasso da parte dell’intera categoria. Parlandoci chiaro bisogna anche dire che quando i tariffari minimi esistevano, non tutti li applicavano e la gara al ribasso era iniziata ancora prima delle abolizioni. Di questo siamo fermamente convinti. È essenziale affiancare al concetto di equo compenso anche quello della certezza del pagamento, ma prima di tutto pensar alla legittimazione della categoria degli Architetti anche azioni di promozione del suo Ruolo e cercare di creare le opportunità di lavoro, sviluppando, ad esempio, politiche per l’internazionalizzazione, sostenendo i giovani, sviluppando la managerialità. Infine non possiamo non evidenziare la difficoltà degli studi italiani a competere in terreno internazionale; la dimensione degli studi all’estero indica una direzione imprenditoriale della professione che in Italia non abbiamo voluto o potuto intraprendere e che riduce le nostre possibilità. Riteniamo vada fatta un po’ di sana autocritica tra i professionisti per questo e riteniamo che ognuno degli Architetti, nel nostro caso, debba dare il proprio contributo lavorando alla causa della categoria senza pensare che un ristretto gruppo di rappresentanza, da solo, possa cambiare radicalmente la mentalità di ciascuno di noi. 2


Dalla normativa alla professione. Fulvio Bondi

La Giunta della Regione Toscana, in data 25/09/2017, con delibera n.1031, ha predisposto, tra l’altro, i “moduli unici regionali definitivi in materia edilizia”. Questi, in formato cartaceo più digitale, constano degli allegati: - E1) Richiesta Permesso di Costruire - pagg.16; - E 2) Richiesta di permesso di costruire - Relazione tecnica di asseverazione - pagg.15; - F1) Segnalazione certificata di inizio attività - pagg.16; - F2) Segnalazione certificata di inizio attività – Relazione tecnica asseverata - pagg.16; - G) CILA per interventi di edilizia libera - pagg.14; - H) CIL per interventi di edilizia libera - pagg.6; - I) Comunicazione fine lavori - pagg.8; - L) Attestazione asseverata di agibilità - pagg.13; - M) Soggetti coinvolti - pagg.8. Indubbiamente lo scopo di questa unificazione è stato quello di semplificare ed uniformare, vale a dire di fare in modo che da Arezzo a Pisa, da Firenze a Grosseto, cioè in tutto il territorio della Toscana felix, la modulistica e le richieste dei singoli Comuni fossero uguali. Evidentemente questo non avveniva fino ad ieri quando, anche tra Comuni contermini, venivano effettuate richieste di documentazione diversa per lo stesso tipo di intervento. Penso che ognuno di noi abbia avuto questo tipo di esperienza! Tutto questo è da salutare con simpatia. Altrettanto è da farsi per la rigorosa enunciazione delle leggi, decreti vari, normative inerenti il territorio e la nobile arte dell’edificare. Gli estensori della modulistica devono veramente aver sudato le famose sette camicie!!! Per divertimento (in realtà è stato abbastanza noioso)… forse è meglio dire per curiosità, mi sono messo ad osservare i moduli e, visto che è uno tra i più utilizzati in questi tempi, ho approfondito la conoscenza dell’allegato F2: Segnalazione Certificata di Inizio Attività, (volgarmente S.C.I.A.) Relazione tecnica di Asseverazione che consta di 16 pagine. A titolo di curiosità è da segnalare che l’allegato F1) S.C.I.A., vale a dire il modulo di domanda/presentazione, consta, anch’esso, di 16 pagine. Quindi, solo di moduli unificati, 16+16 pagine per un totale di 32. Naturalmente c’è poi tutto il resto da produrre: tavole, relazione, conteggi, N.O. etc ... Ma veniamo all’allegato F2. Queste sotto riportate sono le leggi statali e regionali, i decreti, gli articoli e comma, i regolamenti e quanto altro richiamato in suddetto modulo (di cui necessariamente e doverosamente, ritengo, il professionista deve essere a conoscenza). 3

Pagina 1 - S.C.I.A. ai sensi dello: Art.145, comma 2, L.R.T.65/2014, art.19, 19 bis L.241/90 – art.5, 6 e 7, d.p.r.160/2010. - Dichiarazioni (responsabilità); artt. 359 e 481 del Codice Penale; Artt.75 e 76 del d.p.r. 445/2000 e art.19, comma 6, L.241/1990. - 1) Tipologia di intervento: art.135, comma 2, lett.a) L.R.T. 65/2014. Pagina 2 - Art.135, comma 2, lett.b) L.R.T. 65/2014; art.135, comma 2, lett.c) L.R.T. 65/2014; art.10, comma 1, lett.c) del d.p.r. 380/2001 (art.135, comma 2, lett.d) L.R.T. 65/2014); art.135, comma 2, lett.e) L.R.T. 65/2014; art.98 L.R.T.65/2014 (art.135, comma 2, lett.e bis) L.R.T.65/2014); art.135, comma 2, lett.e ter) L.R.T.65/2014; art.78, comma 1 (art.135, comma 2, lett.g) L.R.T.65/2014); art.34, comma 6 quarter L.R.T.3/1994 (art.135, comma 2, lett.h) L.R.T.65/2014); art.74 L.R.T.39/2000 (art.135, comma 2, lett.i) L.R.T. 65/2014); art.16 L.R.T.39/2005 (art.135, comma 3 bis, L.R.T. 65/2014); art.134, comma 2, L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.a) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.b) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.c) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.d) L.R.T.65/2014; d.lgs 259/2003 (art.134, comma 1, lett.d) L.R.T.65/2014); art.134, comma 1, lett.e) L.R.T.65/2014; Pagina 3 - Art.134, comma 1, lett.i) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.l) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.m) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.m) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.f) L.R.T.65/2014; art.135, comma 2, lett.d) L.R.T.65/2014 – art.10, comma 1,lettera c) d.p.r. 380/2001; art.70, comma 3, lett.a) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.g) L.R.T.65/2014 – zone omogenee “A” d.m. 1444/1968; art.134, comma 1, lett.h) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.h-1) L.R.T.65/2014; art.134, comma 1, lett.h-2); L.R.T.65/2014; d.lgs.42/2004; art.134, comma 1, lett.h-3) L.R.T.65/2014; Pagina 4 - Art.134, comma 1, lett.h-4) L.R.T.65/2014; seguono le descrizioni delle Destinazioni d’uso - 2) Dati geometrici dell’organismo edilizio - 3) Strumentazione urbanistica comunale Pagina 5 - 4) Barriere architettoniche ; Artt. 77 e seguenti d.p.r. 380/2001, d.m. 236/1989, L.R.T.47/1991 e d.p.g.r.41r/2009; Art.82 d.P.R.380/2001 , L.R.T.47/1991 e d.p.g.r.41r/2009; Pagina 6 - 5) Sicurezza degli impianti d.m.22 gennaio 2008 n.37;

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- 6) Installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili - D.lgs28/2011; Art.6 comma 2 d.lgs. 28/2011 (PAS); - 7) Consumi energetici - art.125 d.P.R. 380/2011 ed art.3 e 8 d.lgs.192/2005; Allegato 3 d.lgs. 28/2011; Pagina 7 - Comma 8 allegato 3 d.lgs.192/2005; - Miglioramento energetico degli edifici - art.14, comma 6, d.lgs. 102/2014; d.lgs. 192/2005; Art.14, comma 7, d.lgs.102/2014; Art.12, comma 1, d.lgs. 28/2011; - Altre segnalazioni, comunicazioni, asseverazioni e istanze. - 8) Inquinamento acustico - Art.8 L.447/1995 e art.12 L.R.T.89/1998; Art.12, comma 2 L.R.T.89/1998 e allegato A) DGR 857/2013 (art.8, comma 2 e 4 della L.447/1985); Art.12, comma 3 L.R.T.89/1998 e allegato B) DGR 857/2013 (art.8, comma 3 della L.447/1985); Art.8, comma 5 L.447/1995 ed allegato A) DGR 857/2013; d.p.c.m.14 novembre 1997 (art.4, comma 1 e 2, d.PR 227/2011); d.p.c.m.14 novembre 1997 (art.8, comma 6, L.447/1995); - Materiali ed impianti d.p.c.m.. 5 dicembre 1997; Pagina 8 - 9) Materiali da scavo e da resulta; Art.184-bis d.lgs. 152/2006; Art.21, comma 1, d.p.r. 120/2017; Art.9, comma 1, d.p.r. 120/2017; Art.4, comma 5, d.p.r. 120/2017; Art.185, comma1, lett. c) d.lgs. 152/2006 e art.24 d.p.r.120/2017; Parte quarta d.lgs. 152/2006; - 10) Prevenzione incendi Pagina 9 - d.p.r. 151/2011; Art.3 d.p.r.151/2011; - 11) Amianto; Art.256, comma 2 e 5, d.lgs.81/2008; - 12) Conformità igienico-sanitaria

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- 13) Interventi strutturali e/o in zona sismica; Art.156 L.R.T.65/2014, art.12 d.p.g.r. 36/R/2009; Art.169 L.R.T.65/2014; Art.53 d.PR 380/2001; Pagina 10 - Art.67 d.p.r. 380/2001 (ex art.4 L.1086/71); Art.167 L.R.T.65/2014; Art.164, comma 4 L.R.T.65/2014; - 14) Qualità ambientale dei terreni e delle acque sotterranee; Art.9, comma 6, L.R.T.25/98; Art.41-bis, comma 1, d.l. 69/2013 o d.m. 161/2012; Ex Titolo V, parte IV, D.Lgs.152/2006; TitoloV, parte IV, d.lgs.152/2006 e s.m.i.; Pagina 11 - 15) Interventi in copertura; Art.141, comma 13, L.R.T.65/2014; d.p.g.r. 75/R del 18/12/2013; Art.141, comma 14, L.R.T. 65/2014; - 16) Pericolosità idraulica; L.R.T.21/2012; Art.2 L.R.T.21/2012 art.2 comma 2, 2 bis, 4, 5, 6 e 9, lettera g); - 17) Interventi effettuati in territorio rurale o funzionali allo svolgimento dell’attività agricola; Art.70, comma 3, lettera a) L.R.T.65/2014; Ex art.2, comma 4, lettera a) dpgr 63R/2016;Ex art.2, comma 4, lettera d) dpgr 63R/2016; Art.78 L.R.T.65/2014; Art.12, comma 4, lettera d) e art.13, comma 4, lettera d) dpgr 63R/2016; Art.83 L.R.T.65/2014; Art.75 L.R.T.65/2014; Art.11, comma 2, lettera c) dpgr 63R/2016; Pagina 12 - 18) Bene sottoposto ad autorizzazione paesaggistica; d.lgs. n.42/2004 Parte III; art.149 d.lgs. 42/2004 e d.p.r. 31/2007, allegato A ed art.4; - 19) Bene sottoposto a parere delle Soprintendenza d.lgs. n.42/2004 Parte II, Titolo I, Capo I; - 20) Bene in area protetta; L.394/1991 e L.R.T. 30/2015; Pagina 13 - 21) Bene sottoposto a vincolo idrogeologico

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Art.42, comma 8 della L.R.T.39/2000; Art.42, comma 7 della L.R.T.39/2000; - 22) Bene sottoposto a vincolo idraulico; Art.115, comma 2, d.lgs.152/2006; Art.98, lettera d), r.d. 523/1904; L.R.T.21/2012; - 23) Zona di conservazione “Natura 2000” d.p.r. 357/1997; d.p.r. 120/2003; L.R.T. 30/2015; - 24) Fascia di rispetto cimiteriale; Art.338, testo unico leggi sanitarie 1265/1934; Pagina 14 - 25) Aree a rischio di incidente rilevante; d.lgs. 334/1999 e d.m.9 maggio 2001; - 26) Altri vincoli di tutela ecologica; Punto 1.2, allegato 4 della deliberazione 4 febbraio 1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque; Art.94, art.134, art.163 del d.lgs. 152/2006 Pagina 15 - 27) Vincoli per garantire il coerente uso del suolo e l’efficienza tecnica delle infrastrutture Vincolo stradale (d.m. 1404/1968, d.p.r. 495/1992, d.lgs.285/1992); Vincolo ferroviario (d.p.r. 753/1980); Vincolo marittimo (art.55 del Codice della navigazione); Vincolo da elettrodotto (d.p.c.m. 8 luglio 2003); Vincolo da gasdotto (d.m. 24 novembre 1984); Vincolo militare (d.lgs. 66/2010); Vincolo aeroportuale (art.707 del Codice della navigazione, specifiche tecniche ENAC); - Asseverazione; Accertamenti di carattere urbanistico, edilizio, statico, igienico ed aver eseguito sopralluogo; Art.19, comma 1 L.241/1990; Regolamento edilizio comunale; Codice della strada; Codice civile; Norme antisismiche; Norme di sicurezza; Norme antincendio; Norme igienico/ sanitarie; Norme relative all’efficienza energetica; Altre norme in materia di urbanistica, edilizia; Riguardo delle proprietà confinanti; Art.19. comma 6 ter L.241/1990;

Informativa sulla privacy Art.13 d.lgs.196/2003; Pagina 16 - L.241/1990; Art.71 d.p.r. 445/2000; Art.7 d.lgs. 196/2003. Considerato che, ad esempio, la citata L.R.T. 65/2014 è già stata modificata ed integrata varie volte nei pochi anni di vita, suppongo che la modulistica unificata sarà oggetto di continui aggiornamenti e, conseguente, caos negli studi professionali nonché negli uffici tecnici comunali. Quanto sopra, a maggior ragione, considerando pure il costante proliferare di leggi, norme, decreti sulle materie più disparate: dal risparmio energetico alla sicurezza nei cantieri, dalla conformità dei materiali all’inquinamento acustico etc ... Detto questo mi auguro che, vista la mole della modulistica, vista la complessità e vastità delle norme da seguire e rispettare, considerato che il prodotto finito del nostro operare dovrebbe essere pure gradevole e ben vivibile, venga meno l’uso di considerare la nostra professione (forse solo nel territorio della nostra provincia…non so) come un divertimento per coloro i quali si adoperano per produrre dei bei disegni. Ho la sensazione che il nostro lavoro non sia sufficientemente conosciuto nelle sue difficoltà, complessità e responsabilità che comporta; ho pure la sensazione che, dalla maggioranza della popolazione, sia proprio equivocato. Di conseguenza è pure difficile trovare una corretta remunerazione per tutte le conoscenze, le capacità, le prestazioni professionali (e responsabilità, insisto) che ci vengono richieste. A proposito di remunerazione: la sentenza n.4614 del 03/10/2017 del Consiglio di Stato aveva dato il via libera alle prestazioni gratuite (contratti a titolo gratuito). Che vogliamo di più!

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Appunti sull’arte dei giardini. Roberta Cini

L’Italia è stata definita, da secoli, il Giardino d’Europa grazie alla bellezza dei suoi paesaggi derivata da una armonica interazione tra uomo e natura. La definizione è appropriata anche per la ­quantità e qualità dei suoi giardini che traggono fascino proprio dal contesto in cui sono inseriti. L’incredibile ricchezza è nata dalla varietà di situazioni politiche, culturali climatiche e paesaggistiche. Non è un caso che la storia dei giardini segua di pari passo lo sviluppo delle principali civiltà dove parte della popolazione acquisisce un sufficiente livello di benessere. E così, nel tempo si sono avvicendati modelli sempre diversi: rinascimentali, manieristi barocchi, esoterici, all’inglese, contemporanei. Il verde nel paesaggio urbano si può classificare schematicamente in: - verde pensile (giardini pensili, tetto verde) - verde a terra (parchi e giardini urbani e periurbani, giardini storici, piazzali, cortili, patii, alberature stradali, siepi) - verde tecnico (facciate verdi, verde verticale, verde ripariale, barriere acustiche, barriere frangivento, verde e risparmio energetico). Il significato della parola giardino [dal fr. jardin, ant. gart, jart, dal germ. *gart o *gardo (cfr. ted. Garten, ingl. garden)] può essere ricondotto all’ebraico gan, che significa proteggere e difendere e oden o eden, che significa piacere e delizia. L’uomo, da sempre, ha visto il giardino come un rifugio dove trovare tranquillità e, con il tempo, ha aggiunto altri valori, a esempio artistici, architettonici, ma anche significati sociali legati alla rappresentazione del potere. Si pensi ai vasti giardini che si estendevano e si estendono anche attualmente davanti ai castelli o ai luoghi di potere. Oppure ancora, il giardino visto come luogo di meditazione e di silenzio ascetico; basti pensare ai giardini zen giapponesi. Il disegno e l’organizzazione degli antichi giardini, senza trascurare anche i valori simbolici, nasce con chiari agganci e riferimenti con le pratiche agricole del tempo. La scelta delle specie vegetali e la loro distribuzione comprende la scelta del sito, l’esposizione o la facilità d’irrigazione che rappresenta il momento architettonico o del progetto. La storia del giardino affonda le radici nella Mesopotamia, terra di città autosufficienti, dove il giardino rappresentava l’eden, il luogo di delizie e dove, col trascorrere del tempo, acquista sempre più importanza e grandezza. Un esempio i giardini pensili di Babilonia classificati come una delle sette meraviglie del mondo antico. I giardini egizi, con sistema di terrazzi a più livelli con archi e alberi, simbolo di paradiso terrestre e di potere e ricchezza, esercitarono una grande influenza nell’arte dei giardini. Erano contraddistinti da una rigida simmetria, da un alto livello delle tecniche idrauliche, agricole e costruttive, 7

dall’uso delle piante con significato simbolico e religioso. Vedi l’uso del sicomoro il cui legno era adoperato dagli antichi Egizi per fare i sarcofagi destinati a contenere le mummie dei Faraoni. I giardini greci sono una manifestazione della sacralità del luogo e della fecondità del terreno e si ritrovano in specie vicino ai santuari. In essi venivano piantati oltre alberi anche piante aromatiche e da frutto. I giardini nell’antica Roma, seguirono il modello greco ma derivarono dagli orti e le piante inizialmente, erano per lo più di vaso o in aiuole rialzate e il tutto adornato con piccole statue. In seguito il giardino si trasformò e si adornò di piante disposte attorno alla vasca centrale, così come testimoniato dalle case pompeiane. Man mano che Roma si ingrandì nacquero i grandi parchi annessi alle ville patrizie con giardini ornati di ogni fasto: filari di alberi, terrazze, scalinate, uccelliere, alberi da frutto e fiori, fontane e statue, che potremmo definire i primi “giardini pubblici” concepiti come luoghi per passeggiare e conversare. Con la caduta dell’Impero romano scomparve l’arte del giardinaggio e i territori si coprirono di rocche e castelli. Solo gli ordini religiosi portarono avanti le conoscenze tecniche e scientifiche e infatti nei monasteri si svilupparono i giardini medievali per la contemplazione e la preghiera. Spazi geometricamente regolari, divisi in quattro parti con un elemento centrale, fontana o pozzo o albero. Praticamente 4 piccoli giardini: piante sempreverdi con funzione di riparo dai venti (viridario), il frutteto (pomario), le piante medicinali e orticole (erbaio), il recinto dei fiori. Nel frattempo la Spagna, sotto il dominio dei Mori, al contrario, godeva di prosperità. Grazie a tecniche architettoniche e agronomiche, assai perfezionate, assimilate dalle civiltà con le quali erano venuti a contatto, gli arabi seppero esprimere opere di alta arte dei giardini. Si sviluppò il giardino ispano-moresco ispirato al paradiso maomettano, luogo di delizie, con l’acqua che diventa un elemento decorativo ma dinamico, con la vegetazione esuberante dai colori accesi e con piccoli spazi separati da siepi e arricchito da decorazioni ceramiche policrome. I popoli arabi, abituati alle difficoltà del deserto hanno desiderio d’acqua e vegetazione lussureggiante per rappresentare il loro paradiso. Ne sono dimostrazione i giardini dell’Alhambra di Granada in Spagna. Con la grande rinascita culturale e artistica che inizia in Italia nel XV secolo (1400), si tornò al valore del giardino come luogo d’incontro e di svago che trova il suo culmine nel giardino rinascimentale italiano nel XVI secolo (1500). Il giardino, sottomesso all’architettura del palazzo, della villa, si separa dall’orto. L’uomo è al centro dell’universo che domina la natura e tutto è ridotto a forme geometriche e lo sguardo deve indirizzarsi su vari punti d’interesse sia una fontana, una

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I giardini di Babilonia I giardini di Versailles

I giadini della Villa di Bagnaia

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statua o il palazzo stesso. La composizione è unitaria, geometrica, disciplinata da una norma architettonica cui devono assoggettarsi tutti gli elementi; porticati, loggiati e scale servono con funzione di collegamento e connessione fra i livelli del giardino e l’architettura della casa. Si introducono nuovi elementi quali labirinti, belvedere, giardini segreti. La natura deve essere dominata e si riscopre l’ars topiaria, dove anche gli elementi vegetali assumono forme e funzioni architettoniche. Si predilige perciò la pianta sempreverde per l’esigenza di realizzare un insieme che non deve mutare con le stagioni e che, come la pietra e gli altri elementi artificiali, mantiene costante l’aspetto e può essere meglio controllata nel suo sviluppo: il leccio, l’alloro, il bosso, i cipressi sono le specie più usate. Anche l’acqua, elemento decorativo, non assume mai forme naturali. Il giardino rinascimentale fu concepito anche come nutrimento della mente e dello spirito e, a questo scopo, infarcito di allusioni dotte che derivavano dalle scene della mitologia antica e da figure pastorali, da satiri e da ninfe rappresentati nelle statue inserite nel giardino stesso. E’ difficile stabilire con esattezza il passaggio dal rinascimentale al giardino barocco, poiché gran parte degli elementi tipici del giardino rinascimentale si ritrovano anche nel 600: terrazzamenti, giochi d’acqua, decorazioni con aiuole simmetriche. Anche nel 1600 il giardino venne concepito come una struttura prevalentemente architettonica, tuttavia, alle norme di equilibrio, di simmetria e di compiutezza che caratterizzavano il giardino rinascimentale, si aggiunse la passione per gli effetti pittoreschi, scenografici e teatrali. Si dette grande importanza alla scenografia, all’imprevisto, alla preziosità. Si crearono nuovi effetti scenografici e illusionistici per dare agli spazi dimensioni maggiori del reale. Il giardino diventò parco, gli schemi meno definiti, la vegetazione acquisì più spazio con una tendenza alla naturalità e alla formazione di boschetti. I giochi d’acqua persero le tradizionali forme geometriche a favore delle fontane a scogliera, e di catene d’acqua, che formavano successioni di cascate.

I giardini francesi furono molto influenzati dai giardini del Rinascimento italiano che vennero imitati ma adattandoli al terreno francese che è più pianeggiante, dalle ondulazioni molto lievi e ricco di foreste e di prati verdi. Il massimo splendore del giardino francese fu raggiunto sotto il regno di Luigi XIV (1638-1715) col grande giardiniere Le Nòtre ed alcuni altri maestri giardinieri. Questi crearono uno stile nazionale, ben definito, ispirandosi, come sopradetto, ai giardini italiani, mantenendone le forme geometriche e le siepi di sempreverdi ma eliminando volutamente gli elementi in muratura come terrazzamenti e scalinate, in favore di zone ampie e degradanti, con effetti di vedute quasi a perdita d’occhio. Ovunque abbondanza di fiori, spalliere di alberi convenientemente potati, boschetti ecc. Questi grandi giardini hanno di solito il loro miglior punto di vista a partire dalla casa, con un largo viale che si perde all’orizzonte. I parterres valorizzano il piano con aiuole fiorite (spesso simmetriche), piccole siepi nane, con stagni e peschiere. Il viale principale è intersecato da altri viali che portano verso i punti più interessanti. Si tratta pur sempre di un giardino classico, geometrico, ordinato di grande effetto e che richiede grandissimi appezzamenti di terreno. I giardini orientali di Cina e Giappone già da molti secoli avevano scelto nella loro struttura portante la riproduzione di un paesaggio informale e “naturaliforme”. La progettazione dei giardini riflette l’elevata densità di popolazione che ha sempre caratterizzato questi paesi infatti i giardini orientali sono la massima espressione dell’arte della miniaturizzazione, in conseguenza del poco spazio disponibile. I giardini cinesi, e, in genere quelli dell’estremo oriente, furono fortemente influenzati dalla religione. La religione Buddista promuoveva attenzione ed ammirazione verso il paesaggio naturale, ed è logico che i giardini seguissero questa tendenza. I giardini cinesi sono dunque i primi giardini paesistici, ove l’intento è quello di riprodurre la natura. I vari elementi del paesaggio, piante, alberi, pietre, assumevano un significato simbolico fino al punto in cui l’arte del giardino Il giardino giapponese

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assunse dei canoni molto rigidi e i giardini divennero luoghi progettati per stimolare la meditazione e la serenità. Si trattava di uno stile fortemente legato alla filosofia e alla religione. I giardini di piccole dimensioni, sempre circondati da mura, ove rocce, ghiaia e sabbia assieme a poche rare piante, dovevano suggerire forme e paesaggi. Non mancavano i giardini da passeggio. Questi giardini si basavano sulla creazione di una serie di vedute e di esperienze, legate a un rigido percorso all’interno del giardino. Il percorso idealmente doveva seguire un andamento in senso orario attorno a un lago dalle forme irregolari, e presentare curve e deviazioni in relazione alla topografia e alla vegetazione, in modo tale che i giardino non risultasse visibile nella sua interezza da nessun punto del percorso. Ciascuna veduta era composta e inquadrata con molta attenzione. Gli edifici, la villa, il padiglione del the, i ponti, apparivano di volta in volta perfettamente inseriti in ogni veduta, in equilibrio con rocce, spiagge di ghiaia e piante. La pavimentazione stessa del percorso variava di tratto in tratto modificando l’esperienza del visitatore. In questi giardini orientali tutto il paesaggio risulta naturale pur essendo progettato nei minimi dettagli e con lo studio approfondito delle proporzioni, sia nelle forme dei manufatti sia degli elementi naturali. Nel 1700 con il giardino irregolare, si tornò alla natura maestra dell’uomo; al bando le simmetrie e le divisioni geometriche, si cercarono forme naturali e gli alberi vennero disposti a gruppi per formare dei boschetti. Prende forma il giardino paesaggistico inglese che abbandona gli schemi artificiosi e dove la natura è spontaneità, disordine e non costrizione; l’uomo non deve dominare la natura ma ordinarla in modo da creare, fra il giardino e il paesaggio circostante, un rapporto di continuità e non di distacco. Nel 1800, in seguito alla rivoluzione industriale di Londra, si necessiterà di realizzare uno spazio ricreativo in alternativa all’ambiente degradato dei malsani quartieri operai.

Nacquero così i primi parchi urbani di cui antesignana fu la città di Parigi nel 1600 dove ebbe vita il concetto di giardino come spazio naturale destinato alla fruizione degli abitanti. Il primo parco in Italia è stato la pubblica Villa Giulia a Palermo, nel 1778, destinata anche al passeggio. I giardini della scienza o orti botanici sono memoria del giardino medievale monastico e quindi a modulo geometrico, quadrato o rettangolare, orientato rispetto ai punti cardinali e talvolta con pozzo centrale. Ne è esempio l’Orto botanico di Napoli del 1809 che fin dall’inizio associò le finalità didattiche a quelle sociali con la creazione di una passeggiata pubblica. I giardini africani sono soprattutto orti botanici che trovandosi a tutte le latitudini hanno come finalità lo studio e l’avviamento di nuovi progetti di coltivazione agroindustriale e lo studio e conservazione della flora del continente. Il giardino americano, adiacente alle abitazioni, nasce come coltivazione di erbe aromatiche e piante destinate al sostentamento ed è spazio semipubblico. Per questo, quando le città iniziarono a ingrandirsi e con alta densità di popolazione, il movimento ottocentesco dei parchi urbani, come parchi ricreativi, trovò in America il terreno più fertile. Proprio in questo paese si sviluppò più che altrove. Il concetto di trovarsi in contatto con la natura, e in un ambiente solitario, era il miglior antidoto per sfuggire allo stress della città. Il giardino moderno non ha una configurazione troppo rigida e la naturalità dell’elemento vegetale prende il sopravvento; si predilige l’uso di specie spontanee e selvatiche e non le sempreverdi: il giardino immortala la natura in ogni sua forma e mutevolezza. Si riduce l’uso di manufatti architettonici ed elementi di arredo. Nel giardino contemporaneo si sperimentano nuovi materiali e geometrie, giochi di luce, si adottano contemporaneamente materiali artificiali e naturali e ogni giardino diventa un’opera unica sia nella piccola che nella grande scala, usufruibile sia di giorno che di sera/notte.

Central Park a New York

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Segni urbani e atmosfere del paesaggio costruito. Fabio Candido

Segni in un paesaggio affollato. Nell’affollato paesaggio contemporaneo fatto di segni di eterogenea natura, un posto non trascurabile è occupato dai sistemi di grafiche ambientali, intesi come sistemi segnaletici informativi presenti con finalità di orientamento o comunicazione in spazi architettonici e urbani, così come in spazi aperti e ambienti naturali. La presenza di questi elementi di comunicazione è del resto attualmente ineludibile e spesso talmente rilevante da diventare identificativa di un determinato luogo o sistema di luoghi, come evidenziato con chiarezza da Venturi, Scott Brown e Izenour nel celeberrimo Learning from Las Vegas (1972). Procedendo oltre l’ambito esclusivamente segnico e analizzando gli aspetti fenomenologici, la presenza di segnaletica pubblica, cartellonista turistica - l’insieme dei segni grafici e tipografici che contribuiscono all’orientamento nello spazio antropico - sono evidentemente un elemento caratterizzante la percezione del paesaggio costruito: ne condizionano le fisionomie in maniera preterintenzionale, sovrapponendosi alle figure preesistenti condizionando l’imageability; spostano il focus percettivo, essendo specificamente creati per catturare l’attenzione dell’osservatore. Tali presenze possono in alcuni casi giungere al paradosso di essere soverchianti rispetto al ciò che deve essere descritto, fino a diventare segno che determina esclusivamente sé stesso. Questa riflessione propone di spostare il baricentro dal piano segnico a quello estetico, allo scopo di restituire continuità tra le presenze architettoniche, urbane, paesaggistiche e i sistemi di integrazione cognitiva che ne descrivono specifiche qualità. Limiti di una pratica esclusivamente visiva Nella pratica comune i sistemi di grafiche ambientali non sono considerati argomento di progettazione multidisciplinare, quanto ambito di interesse esclusivo della comunicazione visiva. In questo modo, considerando la radice progettuale limitatamente grafica e tipografica, si può determinare uno scollamento tra le qualità di un luogo - qualità spaziali, materiali, sinestesiche, atmosferiche - e i segni indicatori che ne definiscono possibili orientamenti o proprietà cognitive. A tal proposito, una considerazione di Gabriele Oropallo appare significativa dell’approccio metodologico che ha storicamente caratterizzato la progettazione di sistemi di segnaletica pubblica: “Questa grafica pubblica e urbana si è svolta come una dispersione tipografica nello spazio della città. L’ambizione del designer era quella di smontare l’informazione nelle sue unità costitutive e poi riassemblarle come elementi tipografici nello spazio urbano, allo stesso modo che su una pagina da stampare. Piuttosto che aggiungere un commento, un ulteriore livello al testo 11

stratificato che costituisce l’ambiente costruito, la grafica publica del tardo modernismo ambiva a facilitare la navigazione delle città”[1]. Appaiono così evidenti due principali aspetti critici. Innanzitutto il lavoro di concezione e composizione grafica risponde a regole di comunicazione visiva certamente codificate, ma spesso non completamente focalizzate sulle qualità ambientali, materiali e percettive degli spazi di cui deve offrire una descrizione. Lo spazio urbano non è semplicemente un campo tipografico determinato, ma un luogo di vita complesso e in continuo mutamento, di cui è spesso difficile ponderare limiti ed estensione. Inoltre, la grafica segnaletica è prevalentemente user oriented e ha l’obiettivo principale di risolvere il problema di una funzionale navigazione nello spazio. Come però evidenziato da Kevin Lynch, la capacità di orientamento e movimento cosciente all’interno di un paesaggio è soprattutto legata alla figurabilità della struttura spaziale e al rapporto tra questa e le sensazioni del visitatore, piuttosto che alla presenza di segnali di orientamento. Questi ultimi hanno dunque lo scopo di facilitare la cognizione dello spazio come completamento materiale contestuale, senza presumere di poter sostituire condizioni spaziali carenti di adeguata fisionomia figurale. Un ulteriore aspetto critico è costituito dalla mancanza di qualità aptiche nella corrente produzione di segnaletica ambientale. Nella prassi applicativa proprie della comunicazione visiva la percezione dell’ambiente umano è evidentemente limitata al senso della vista, trascurando altre componenti sensoriali che contribuiscono in maniera determinante ai processi percettiv[2]i. Le ricerche sui neuroni specchio confermano che la percezione dello spazio e dei suoi costituenti è precosciente nei lineamenti fondamentali, ma soprattutto correlata alla visione periferica e multisensoriale, con una componente aptica dominante tra i processi cognitivi. Ciò nonostante, nella gran parte dei casi, i progetti dei sistemi di grafiche ambientali sono carenti di adeguata attenzione ai supporti fisici e ai materiali che ne costituiscono l’oggettivazione fisica. La manualistica cataloga metalli, plastiche, pannelli di vetro e pellicole stampabili con avanzate caratteristiche di durabilità all’esposizione di agenti atmosferici. Le amministrazioni committenti e le normative pertinenti richiedono elevati standard di durabilità. Processi di passivazione indotta ed eccellenti capacità di resistenza all’invecchiamento rendono i supporti fisici immutabili nel panorama degli oggetti che popolano le città. In questo modo, il tema dell’artificiosa incorruttibilità del materiale con cui è costruita la segnaletica ambientale rispetto alla transitorietà della vita che vi si svolge intorno si palesa come ulteriore

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argomento di riflessione. In taluni casi si può estendere la divergenza tra gli inarrestabili processi di invecchiamento dei materiali di cui si compone la città e l’immutabilità di elementi complementari quali la segnaletica, fino a giungere al paradosso che ciò che dovrebbe essere temporaneo, perché aderente ai mutevoli flussi di vita nel corso del tempo, rimane immutato in una città che tutto intorno invecchia e cambia nel tempo. Infine, il problematico rapporto tra la percezione del paesaggio costruito e l’insieme dei segni sovraimpressi che lo vogliono descrivere è tanto più attuale con la diffusione di sistemi di navigazione e informazione che si rivolgono al dominio del virtuale - ad esempio attraverso tecnologie di realtà aumentata. Le premesse sull’utilizzo di tali tecnologie sono degne di nota, in quanto permetterebbero di coniugare le esigenze funzionali del cittadino-visitatore-utente e di liberare lo spazio fisico della città da una pletora cacofonica di presenze inquinanti e ingombranti, migliorando le qualità estetiche dei luoghi. In realtà, le prime sperimentazioni effettuate sembrano confermare il prevalere di un’esperienza percettiva esclusivamente retinica, ponendo in secondo piano le qualità sinestesiche, la completezza figurativa, le atmosfere. Le informazioni virtuali che si sovrappongono sulla superficie ottica offrono sì una grande quantità di informazioni dinamiche, ma costringono il portatore del visore ad un tipo di mutilazione percettiva che lo isola dall’atmospherical skin della città o dello spazio architettonico. La presenza di un confortevole guscio virtuale fatto di realtà aumentata, che avvolge il visitatore e focalizza univocamente l’esperienza estetica, sembra in qualche maniera precludere la percezione atmosferica e dissolvere l’intervallo cognitivo entro il quale si manifesta l’estasi o aura dell’oggetto - autentica presenza dell’opera d’arte sul piano fenomenologico. Il problema è aperto e un argomento di ricerca fondamentale sarà quello di riuscire a coniugare la crescente richiesta di informazioni complete e dinamiche senza precludere un’esperienza estetica profonda e integrale. Segnali come generatori di atmosfere. Un oggetto o un insieme di oggetti attentamente integrati - siano essi manufatti architettonici, elementi grafici o segnali virtuali - contribuiscono certamente alla creazione di una scena architettonica - urbana, paesaggistica - integrando, potenziando, a volte modificando le atmosfere di un determinato luogo. Appare così necessaria l’integrazione di competenze che supportino l’attività del graphic designer mediante contributi derivanti da ambiti disciplinari contigui sotto il profilo estetico, quali architettura, paesaggio, stage design e arredamento di interni. Tuttavia, anche nei casi in cui l’integrazione di differenti competenze disciplinari sia già realizzata, occorre prestare particolare attenzione agli obiettivi, alle interpretazioni e alle strategie progettuali:“Oggi, nell’affollatissimo panorama di artefatti comunicativi che popolano gli spazi delle nostre città, il tema del totem, delle grandi architetture di segni o tipografie segnaletiche, è stato reinterpretato spesso in chiave di arredo urbano temporaneo, per indicare, reinterpretare o enfatizzare i luoghi storici di una città[3]”.

La questione dell’arredo urbano è un tema caldo sotto il profilo delle occasioni progettuali, in un momento in cui, soprattutto per questioni di ricerca di consenso, le politiche amministrative si propongono azioni di ridisegno dello spazio pubblico limitate, puntuali e disomogenee, trascurando la complessità progettuale dell’intervento nell’ambiente costruito, che deve essere necessariamente capace di condensare e ricomporre questioni formali, stratificazioni storiche, valori collettivi. Anche in questo caso, è auspicabile la presenza di competenze capaci di una comprensione strategica generale, allo scopo di ricondurre il tema progettuale delle grafiche ambientali dall’occasione dell’arredo urbano ad un ambito estetico più generale quale quello architettonico o paesaggistico. Conclusioni e problemi aperti La presenza di grafiche ambientali declinate nella condizione attuale, sia nella tradizionale forma fisica che in quella virtuale, se non organicamente comprese nell’insieme degli elementi che compongono il campo percettivo, pongono un problema non risolto di interferenza estetica. Inoltre, tradizionalmente le regole grafiche e tipografiche sono basate sul dominio del senso della vista a scapito della percezione multisensoriale sulla quale si fonda la nostra capacità cognitiva. Affinché si possa procedere verso una adeguata integrazione tra elementi informativi e di orientamento e ambiente costruito, si rende necessario uno spostamento dal piano semantico al piano estetico. Con ciò non si intende negare la necessità delle competenze tecniche grafiche e tipografiche, ma si propone di integrare il processo progettuale e la realizzazione dei manufatti in un quadro teorico-critico e metodologico basato su materiali, spazi e luoghi che la cultura architettonica già possiede. Il recupero del senso aptico delle cose, la percezione della presenza dell’opera d’arte e il suo ruolo in uno spazio cognitivo, la declinazione dei concept progettuali in relazione alle condizioni al contorno, la comprensione delle atmosfere dei luoghi e di come queste possano essere modificate in seguito all’introduzione di nuovi elementi, sono argomenti di riflessione non ancora sufficientemente esplorati dalle pratiche comuni, che possono portare la progettazione delle grafiche ambientali ad un nuovo e opportuno livello di maturità, così da renderli realmente elementi strutturali del contesto antropico, conferendo loro uno status finora non adeguatamente riconosciuto. [1] Gabriele Oropallo, La dimensione urbana della grafica nel tardo modernismo in G. Camuffo, M. Piazza, C. Vinti (a cura di), cit. [2] “Pur nelle loro differenza di approccio al progetto e alla committenza, questi progetti di grafica urbana condividono un aspetto particolare, ovvero la loro strutturale limitatezza: essi furono creati da grafici e i loro elementi di base erano artefatti bidimensionali. Ma tuttavia furono pensati per svilupparsi e funzionare nello spazio a più dimensioni della città”. Gabriele Propalo, La dimensione urbana della grafica nel tardo modernismo in G. Camuffo, M. Piazza, C. Vinti (a cura di), cit. [3] C. Vinti, cit. 12


Ristorante/Bar Reef Sansone. Massimiliano Pardi

L’idea Progettuale nasce dall’esigenza di realizzare un’opera che diventasse una struttura a servizio della spiaggia di Sansone Isola d’Elba, fra le dodici spiagge più belle d’Italia, secondo la nota rivista di viaggi americana Condé Nast Traveler. Il progetto quindi si è andato ad inserire in un contesto naturalistico sottoposto a tutela paesaggistica e da qui: quali precauzioni, quali attenzioni, quali aspetti da mettere in risalto? Il nuovo ristorante/bar Reef Sansone è collocato sul promontorio che si affaccia sulla spiaggia, all’interno della Costa Bianca di Portoferraio nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Il grande pregio del contesto naturalistico, le sue caratteristiche peculiari e la volontà di relazionarsi ad esse hanno influenzato l’intero processo generativo del progetto. Per questi motivi si sono ricercati, proprio nel contesto naturalistico, continui suggerimenti per soluzioni morfologiche e materiche, indirizzando le scelte progettuali sull’integrazione fra ambiente e costruito. I nuovi volumi e gli spazi funzionali sono stati inseriti nel contesto naturalistico, privilegiando l’utilizzo di materiali naturali, mentre la progettazione del verde è stata pensata per disegnare aree di relax ombreggiate che, grazie ai contorni sfumati dello stesso, permette alla macchia mediterranea stessa di penetrare nel progetto, diventando così un ulteriore esempio di ricerca di integrazione con la dimensione naturale. La struttura a telaio del manufatto, realizzata completamente a secco in ferro e legno prefabbricato, ci ha permesso di realizzare l’opera senza eseguire movimenti terra. Pure i solai di calpestio interni e le terrazze esterne, realizzate in pagliolato in legno, sono sollevati da terra per non modificare il profilo originario del terreno sottostante. Per non contaminare il sito durante la fase di realizzazione, si è optato per l’utilizzo di materiali naturali come i pannelli isolanti in fibra di legno, per le pareti esterne a telaio, e i materassini in lana vergine di pecora per le pareti interne e la correzione dei ponti termici. Tutto questo materiale montato a secco, permetterà al momento dello smontaggio dell’intera struttura, di lasciare lo stato dei luoghi come trovato in origine. Il corpo di fabbrica è realizzato su tre livelli, nel primo si trovano i locali tecnici e i servizi igienici, nel secondo la cucina e l’area bar con le due terrazze esterne e al terzo la terrazza belvedere con giardino pensile. Come rivestimento esterno sono state montate pareti ventilate in legno naturale di colore simile alle piante 13

di leccio che circondano la struttura, sempre per meglio integrare paesaggisticamente l’intero edificio. Oltre alle pareti ventilate in legno, due orti verticali ricoprono in gran parte due facciate dell’edificio per i quali sono state scelte fioriture e piante aromatiche che crescono spontaneamente in questi luoghi. La scelta di piante autoctone e utilizzabili in cucina è frutto della ricerca di una soluzione utile e allo stesso tempo originale e creativa. Un piccolo giardino pensile sulla terrazza racchiude in sé alcune piante della macchia mediterranea per ritrovare e saper riconoscere la vegetazione tipica che circonda la struttura. Le acque meteoriche, che rappresentano una fonte rinnovabile e necessitano di semplici ed economici trattamenti per il proprio riutilizzo, sono state raccolte in un apposito deposito, posizionato fuori terra, permettendo così di non realizzare le opere di sbancamento necessarie per la sua posa. L’intero ciclo di recupero viene reimpiegato per i consumi per le pulizie e l’innaffiamento dei giardini. Tutti gli impianti sono di nuova generazione e con l’utilizzo del fotovoltaico e accorgimenti bioclimatici, l’edificio è risultato in classe energetica A4. Dati Stratigrafici Per quel che concerne le stratigrafie delle tamponature esterne, sono stati utilizzati due pannelli in fibra di legno della ditta Naturalia-Bau della tipologia Swiss Therm. In particolare, dall’interno verso l’esterno, sono stati posati: - 100 mm di pannello Swiss Therm 150, avente conducibilità pari a 0,039 W/(mK) e massa volumica 150 kg/mc; - 19 mm di pannello Swiss Therm 225, avente conducibilità pari a 0,046 W/(mK) e massa volumica 225 kg/mc. I due pannelli indicati, componenti principali della stratigrafia delle superfici opache delimitanti i volumi riscaldati verso l’esterno, hanno permesso di raggiungere un valore di trasmittanza pari a 0,253 W/(mqK), con una trasmittanza periodica di 0,096 W/(mqK) ed uno sfasamento dell’onda termica pari a -10,2 h. Per quel che concerne la correzione dei ponti termici in corrispondenza delle putrelle metalliche facenti funzione di pilastri e travi, ad incremento delle prestazioni energetiche della struttura, in aggiunta alla stratigrafia sopra riportata, sono stati inseriti materassini in lana di pecora della ditta Manifattura Maiano tipo Naturtherm – WO 20.50. Ad incremento delle prestazioni acustiche, il medesimo materiale a base di lana di pecora, è stato utilizzato come riempimento delle intercapedini dei tramezzi interni alla struttura realizzati con pannelli in cartongesso.

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Premio Architettura Toscana - P.A.T. Daniele Menichini

Il lavoro per l’organizzazione del Premio Regionale Architettura Contemporanea voluto con grande forza dai 10 Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Toscana parte nel lontano 2015 con l’obiettivo di promuovere il ruolo dell’Architetto e la qualità dell’Architettura nella nostra regione; lungo il percorso si agiungono ai promotori la Regione Toscana e l’Associazione Nazionale Costruttori Edili della Toscana; attorno al tema del progetto si uniscono i tre soggetti: quello che si occupa del Governo del Territorio, quello che progetta le opere e quello che le realizza. Il Premio nasce con l’obiettivo di stimolare la riflessione intorno all’architettura contemporanea protagonista delle trasformazioni del territorio e per diffondere la cultura del progetto come garanzia di qualità ambientale e civile. Caratteristica del Premio è la valorizzazione dell’intera filiera di realizzazione di un’opera architettonica, dal progettista alla committenza fino all’impresa costruttrice, poiché ogni attore non può prescindere dall’altro per ottenere un’architettura di qualità. Il Premio intende promuovere l’architettura come arte sociale, a cui tutta la società partecipa, progettando le proprie città e il proprio territorio. Il Premio si articola in cinque differenti categorie: opera prima; opera di nuova costruzione; opera di restauro o recupero; opera di allestimento o di interni; opera su spazi pubblici, paesaggio e rigenerazione. I partecipanti possono candidare un sola opera per ciascuna categoria. Una singola opera può essere candidata su più categorie. Per ciascuna categoria sarà premiata una sola opera, che riceverà un premio assegnato congiuntamente al progettista, alla committenza e all’impresa; al vincitore della categoria opera prima sarà assegnato un premio aggiuntivo in denaro pari a 5.000 euro. Tra organizzazione e attesa che il Premio Architettura Toscana venisse promulgato per Legge, si arriva al 13 febbraio con la pubblicazione del bando, che lascia la possibilità di presentare le opere degli ultimi 5 anni sino al 14 aprile del 2017. Il nuovo Museo degli Innocenti e la riqualificazione di piazza dei Tre Re a Firenze, piazza dell’Immaginario a Prato, il nuovo Museo delle Statue Stele Lunigianesi a Pontremoli (Ms) e la Cantina Bulgari a Podernuovo a San Casciano dei Bagni (Si): sono questi i cinque progetti vincitori della prima edizione del Premio di Architettura della Toscana. Una prima edizione che si è chiusa con grande successo: sono stati centocinquanta i partecipanti, venti le opere selezionate; tutti esposti nella mostra che si è inaugurata subito dopo la cerimonia di premiazione del 6 luglio 2017, mostra rimasta a perta a Firenze fino al al 23 luglio e poi portata in giro nei 10 territori delle province toscane. Il concorso è nato con l’obiettivo di stimolare la rifles17

sione intorno all’architettura contemporanea e diffondere la cultura del progetto come garanzia di qualità ambientale e civile. A essere premiati sono stati progetti che sono il risultato di una filiera composta da tanti elementi, dal progettista alle imprese. La prima edizione del Pat era rivolta alle opere ultimate in Toscana negli ultimi cinque anni, tra il 2012 e il 2017. Cinque le categorie in cui era articolato il premio: opera prima; opera di nuova costruzione; opera di restauro o recupero; opera di allestimento o di interni; opera su spazi pubblici, paesaggio e rigenerazione. Le opere sono state valutate da una Giuria internazionale composta dal prof. Marco De Michelis, arch. Sandy Attia, arch. João Luís Carrilho da Graça, arch. Simone Sfriso, prof. Guido Borelli. “Un Premio di architettura è un elemento determinante della trasformazione del territorio, ma serve anche a sostenere buone pratiche di innovazione ambientale e civile. E ancora, può essere utile per incentivare il percorso di crescita di tanti giovani professionisti toscani. Il mio auspicio è che il Premio diventi un punto di riferimento per la cultura architettonica a livello nazionale. Valutando le opere complessivamente, dal progetto alla realizzazione passando per la committenza, il Premio non vuole sottolineare solo la firma dell’architetto, ma riconoscere anche il coraggio, la tenacia e la capacità di chi crede che un’architettura di qualità sia ancora possibile”, spiega il presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani. “Troppo spesso ci dimentichiamo che la bellezza del nostro territorio è frutto delle trasformazioni messe in atto da chi ci ha preceduto nei secoli, per questo ho proposto e portato avanti l’istituzione di questo Premio di Architettura Contemporanea di livello regionale, per valorizzare le migliori esperienze realizzate nel territorio della Toscana – sottolinea la consigliera regionale Elisabetta Meucci – l’architettura rappresenta un elemento determinante per una trasformazione sostenibile e qualificata del territorio e del paesaggio, fondamentale per la qualità ambientale sia degli spazi pubblici che di quelli privati. Credo che questo sia importante principalmente per tre motivi: primo, perché come dicevo questo è un elemento determinante della trasformazione del territorio, secondo, per sostenere buone pratiche di innovazione ambientale e civile, terzo ma non da meno per incentivare il percorso di crescita di tanti giovani professionisti toscani. Oggi in questi progetti premiati, ma anche nei molti arrivati, troviamo degli ottimi elementi per poter sperare di consegnare alle future generazioni una Toscana ancora più bella nelle sue città, nei suoi luoghi pubblici e nel suo paesaggio”. “Per la riuscita di questa prima edizione del Premio Architettura Toscana era necessaria la partecipazione di molte opere; cosa non scontata, perché nella prima edizione un premio deve ancora costruire la propria credibilità. Alla fine la partecipazione è stata alta con 150 opere presentate, per

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Opera Prima Piazza dell’immaginario ECÒL + Alberto Gramigni

Opere di Allestimento o di Interni Nuovo Museo delle Statue Stele Lunigianesi Augusto C. Ambrosi Canali Associati

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Opera di Nuova Costruzione Cantina Bulgari a Podernuovo Alvisi Kirimoto + Partners

Opera di Restauro e Recupero Nuovo Museo degli Innocenti Ipostudio architetti

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le quali ringraziamo tutti coloro che le hanno candidate, per aver accettato il confronto e per aver messo a disposizione di tutti i propri lavori e le proprie idee”, commentano i presidenti di Ordine e Fondazione Architetti Firenze, Roberto Masini e Tommaso Rossi Fioravanti. “Il numero dei progetti partecipanti al Premio, e la loro qualità testimoniano di come il sistema toscano delle costruzioni nel suo insieme, progettisti ed imprese, abbia comunque la capacità di reagire ad un periodo di profonda crisi, questa valutazione è ancor più significativa nell’ottica sostenuta da Ance di uscire dalla crisi unendo qualità progettuale e costruttiva. Il messaggio che, come Ance, vogliamo trasmettere con il premio è che la collaborazione di imprese e tecnici rappresenta uno dei punti di forza per il futuro del settore edile”, sono le parole di Riccardo Spagnoli, presidente di Ance Toscana. “Il Premio Architettura Toscana si colloca in un’epoca in cui l’ambiente e il paesaggio chiedono attenzione ed esortano ad una seria riflessione sull’habitat e sull’uso del suolo – dichiara Patrizia Bongiovanni, presidente dell’Ordine Architetti di Pisa – si riaccende così il dibattito irrinunciabile sull’architettura, sopito da troppo tempo. Nell’epoca in cui gli architetti hanno più che mai il compito di riscoprire e far conoscere gli antichi percorsi naturali e sostenibili della trattatistica storica, la creatività tesse il filo rosso dell’identità locale con quello della modernità. Occorre a tal fine richiamare ogni categoria

umana alle proprie responsabilità: quelle tecniche e specialistiche nel settore ormai inscindibile ambiente-paesaggio-urbanistica-architettura; le responsabilità civiche e tecnico-operative di imprese e committenti; le responsabilità politiche e gestionali afferenti a coloro che governano e gestiscono il territorio con norme e direttive”. Concludo con il mio pensiero in qualità di delegato nel Comitato Organizzatore dalla Federazione Architetti della Toscana: “L’Architettura è espressione della cultura di un popolo e testimone della sua civiltà. Un progetto ben concepito influisce sul benessere delle persone e sulla riuscita delle loro attività e ottimizza l’uso delle risorse disponibili, con risultati positivi sul piano economico, sociale, funzionale, estetico. Il Concorso di Progettazione risulta essere lo strumento più efficace per ottenere la qualità architettonica delle opere pubbliche e private, perché consente il confronto tra proposte progettuali col fine di scegliere il progetto migliore. I Concorsi di Architettura oggi costituiscono l’unica occasione per i giovani laureati, ma non solo, per accedere alla progettazione di opere pubbliche di una certa rilevanza e possono aprire la strada alla costituzione di una realtà professionale in grado di interloquire con le richieste del mercato internazionale. Per questo motivo la Federazione Architetti PPC Toscani, congiuntamente col CNAPPC, chiede da tempo alle Pubbliche Amministrazioni di promuovere più concorsi di architettura per ottenere più qualità”.

Opera su Spazi Pubblici, Paesaggio o Rigenerazione Riqualificazione Urbana Piazza dei Tre Re Chiara Fanigliulo

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Casa in una pineta. Fabio Candido

Contesto. La pineta di Marina di Castagneto Carducci nasce agli inizi del secolo scorso in seguito ad un processo di bonifica della fascia dunale costiera. Negli anni Cinquanta Giancarlo De Carlo disegna un piano urbanistico condizionato dalla generosa presenza del paesaggio, in cui gli edifici, immersi tra dune punteggiate di pini marittimi, mirti e lecci, hanno carattere di forte individualità, collegati da percorsi liberi che assecondano la topografia dunale. Conseguenza di ciò, ma soprattutto di un rapido processo di sviluppo del tessuto edificato a partire dagli anni Sessanta, è la vasta eterogeneità morfologica e qualitativa delle presenze architettoniche: ad architetture di evidente valore, caratterizzate spesso dall’uso della pietra a faccia vista come sistema costruttivo ed espressivo, con caratteri formali che spesso non disdegnano di guardare alle migliori esperienze italiane ed europee di quegli anni, fanno da contraltare edifici di scarso valore, incerti negli apparati morfologici e decorativi, costruiti con evidenti finalità speculative. Opportunità. L’opera che qui si presenta nasce dall’occasione di una ristrutturazione di una residenza estiva costruita a metà degli anni Sessanta. La scarsa qualità architettonica della costruzione esistente costituisce un’opportunità di riflessione sul rapporto tra paesaggio e criteri insediativi dell’edificio che si colloca adagiato su una duna di sabbia, circondato da pini marittimi disposti in punti singolari, spesso quasi in contatto con le pareti. L’intervento delinea una duplice prospettiva: da un lato la necessità di individuare una sintesi tra i caratteri del nuovo edificio - seppur ancora da scoprire - e i valori atmosferici del luogo in cui esso è insediato; dall’altro la volontà di collocare il carattere degli ambienti interni nel solco di una tradizione che fa del comfort, della domesticità, dell’appropriatezza la propria cifra identificativa. Ciò si applica soprattutto nella modulazione della luce e delle vedute, nella misura e conformazione degli spazi, nell’uso discreto dei materiali. Una ideale direttrice longitudinale, che attraversa l’intera costruzione, permette di trovare una convergenza tra due aspetti operativi significativi: in primo luogo la ridefi21

nizione della spazialità interna, che si concretizza in una sequenza di stanze passanti in stretto rapporto tra loro e con il paesaggio circostante; in secondo luogo l’identificazione del carattere dell’edificio in una nuova morfologia, allo stesso tempo naturale e archetipica, che trova nel sedimento orizzontale la cifra costitutiva. Da questa duplice istanza nasce il criterio di rimodellazione delle aperture nel corpo dell’edificio, quasi tutte diverse tra loro ma costruite tenendo conto sia della sequenza degli ambienti interni, sia della relazione tra la stanza e l’esterno, sia dell’equilibrio del rapporto massa-bucatura della costruzione. Tutto ciò è evidente soprattutto nella grande finestra della sala da pranzo che, al termine di una successione di aperture della medesima dimensione, incornicia una veduta del paesaggio dunale. Materia L’emergere del carattere archetipico dell’intervento si manifesta nella nuova morfologia della massa edificata, che evidenzia la doppia falda della copertura e una certa compattezza nei due fronti terminali - pur tuttavia mitigando queste caratteristiche formali nella parte centrale, prevalentemente orizzontale. Il materiale utilizzato per il rivestimento esterno, un travertino striato, contribuisce a fare leggere la morfologia dell’edificio come una ideale massa unitaria frutto di differenti sedimentazioni, conferendo inoltre assonanza cromatica con il paesaggio circostante. La limitata gamma dei materiali utilizzati - travertino, presente anche nei rivestimenti lapidei degli interni, intonaco, legno di teak, utilizzato per conferire continuità ai piani orizzontali interni ed esterni - contribuisce a fare della casa una presenza nella pineta che vive di una ricercata ambiguità: mentre offre un confortevole rifugio dal mondo esterno, allo stesso tempo introduce dentro di sé il paesaggio che la circonda. Dati. Project: sundaymorning, MFA Category: Renovation of a residence Location: Marina di Castagneto Carducci Client: Private Chronology: 2008-2011 Photographs: Fabio Candido

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David Chipperfield.

Metamorfosi dell’architettura: spazio e tempo nella società moderna. Angelo Lanzetta

L’architettura di David Chipperfield non ricalca mai le mode del momento, ma cerca di calarsi nel contesto per la quale è ideata; ogni luogo, infatti, è pervaso da tracce che il tempo lascia in quel luogo. Queste venature spazio-temporali permeano il sito ove nascerà il nuovo “monumento moderno” e da suggerimenti affinché esso possa contestualizzarsi nel miglior modo possibile. L’obiettivo è quello di prevalicare un argine mentale ostile generatosi, nel tempo, a favore di un appiattimento dell’architettura o di una sua svendita ai processi produttivi.­ Uno dei progetti che meglio esemplifica questo processo conoscitivo e progettuale è il Museo River and Rowing (Heniey-on-Thames, Oxfordshire, UK); questo museo, che sorge sulle rive del Tamigi nella zona di Hanley, presenta al suo interno una collezione di barche a remi tipiche di quest’area e documenta la storia produttiva e socio-economica dell’intera regione. La simbiosi con il contesto nasce da un recupero delle tracce storiche presenti sul territorio, più precisamente dalla sua forma che ripropone, in chiave moderna, gli storici fienili di grano in legno e i capannoni di imbarcazioni tipici di questa zona. Ma l’esempio migliore di questa filosofia progettuale, che stavolta riguarda una riqualificazione urbanistica di una zona martoriata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, è quella del Neues Museum, che sorge sulla Spree Island, nel cuore antico della storica Berlino. Inizialmente questo museo fu disegnato nel 1859 da F.August Stuler e servì nelle prime fasi come area di ampliamento del vicino Altes Museum di Karl Friedrich Schinkel. La forza progettuale, in questo caso, è stata quella di unificare un linguaggio architettonico storico ad uno più moderno, senza che nessuno dei due perdesse di dignità funzionale o prevalesse sull’altro. L’area devastata dalla guerra ha mantenuto alcuni spazi sopravvissuti quasi per intero, con finiture molto elaborate e paramenti tuttavia intatti; alcuni elementi, in tal modo, esistono solo come contenitori di enormi vuoti spaziali. La grande forza evocativa dell’edificio deriva anche dagli antichi paramenti 25

esterni, che rivestono buona parte dell’edificio (nonostante i 150 anni successivi alla sua progettazione); tale elemento conserva la memoria storica del complesso, donandole un senso indelebile di una pittoresca rovina classica pre-esistente. Dunque il concetto del Neues Museum è quello di seguire il principio della conservazione oltre a quello della restaurazione, recuperando in maniera forte quelle parti dell’edificio che concedano una lettura spaziale e storica della precedente costruzione devastata durante la seconda guerra mondiale. In tal modo Chipperfield cerca di arrivare ad un equilibrio concreto e solido fra la ricostruzione moderna svincolata dalla storia e la conservazione monumentalizzata. La forza è stata quella di ricucire i vuoti presenti con i pieni storici, creando dei percorsi e degli spazi che scandiscono un percorso temporale attraverso i tre tempi di agostiniana memoria: passato, presente e futuro. Il passato è la memoria, il presente la visione, il futuro l’attesa. Tre elementi distinti che diventano una cosa sola. Poiché nell’attimo del presente possiamo godere dell’attesa del futuro, nella memoria del nostro passato. Dunque la finalità progettuale di Chipperfield, in generale in tutte le sue opere, è quella di analizzare il territorio, studiarlo e progettarlo; obiettivo non è certo quello di occultarlo con nuove edificazioni, ma leggere i segni e le tracce, di un’orditura e di una conformazione passata e presente. Dialogando e ascoltando la natura e lo spazio, egli cerca di istituire con esso uno stretto dialogo che porti ad una dualità compartecipante allo sviluppo progettuale; spazio inteso come unione fra uomo e natura, legati assieme dal tempo che ne scandisce sviluppo e crescita. Egli coglie l’essenza intrinseca delle tracce che il tempo ha lasciato sul luogo, trasformandole e traducendole attraverso la propria sensibilità e il proprio spirito in oggetti concreti e tangibili. In tal modo l’infinito diviene finito; l’intangibile diviene tangibile.

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The River & Rowing Museum a Henley-on-Thames

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Neues Museum a Berlino

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Diverse angolazioni. Gaia Seghieri

­ La vita a volte offre delle occasioni importanti da non perdere, individuabili in un viaggio, in un incontro, nella scoperta di nuove prospettive. Per me l’occasione importante è arrivata nel Luglio del 2017, con un incontro che mi ha cambiato radicalmente la vita, ed ad Ottobre dello stesso anno, con un viaggio fatto in Olanda, paese, che si, ho visto e vissuto intensamente varie volte, ma che durante il periodo indicato, mi ha dato una nuova visione della mia professione, perché vista con occhi differenti, attraverso lo sguardo di una persona, che l’architettura la sente e la vive con passione. La nuova angolazione architettonica è arrivata da Rotterdam, città modello per la ricerca inerente l’architettura, che accosta con tranquillità l’antico, per ciò che è rimasto dopo i bombardamenti, ed il nuovo, e che ha offerto il suo suolo per l’edficazione delle case cubo di Piet Blom, costruzioni che inneggiano allo stravolgimento delle leggi di gravità, e soprattutto degli schemi mentali, ed esaltano la pura sperimentazione, materica, culturale e formale. Attraverso una visita al museo delle kubuswoningen o boomwoningen, case cubo o case albero, c’è stata l’immersione in una quotidianità architettonica ed abitativa, totalmente differente da quella da me conosciuta, sia per il semplice fatto di trovarsi in un’altra nazione, sia per la disposizione e sviluppo inusuali dell’edifcio. Le case cubo di Rotterdam, nascono da un precedente esperimento di Piet Blom ad Helmond, dove anche qui aveva sviluppato una rotazione della casa, ed il successivo posizionamento della stessa su di un pilone, che nel caso di Rotterdam, è costituito da tre pilastri in cemento armato, uniti da sei pareti in mattoni, per concepire la caratteristica pianta esagonale. Il pilone oltre a sostenere la casa cubica, ne rappresenta lo spazio tecnico. Ogni casa cubo ha una superficie di mq 106, generati su tre piani, nei quali si distinguono, partendo dal piano inferiore, living room, cucina, studio e bagno, per il piano intermedio due camere ed un bagno, per l’ultimo, a forma piramidale, una cameretta od un solarium. Ogni “cubo”, è edificato tramite un’ossatura di legno, isolata con lana di roccia e rivestita con cemento e pannelli di fibre di legno. Il particolare complesso abitativo, venne fatto erigere, insieme alle altre due parti, la Blaaktoren, edificio 29

ad appartamenti esagonale, e la Spaanse Kade, gruppo di edifici che circonda una corte interna, in una zona duramente colpita dai bombardamenti del 1940, che necessitava di una forte riqualificazione urbanistica, operazione che venne assegnata a Piet Blom, dal politico responsabile della pianificazione territoriale dell’epoca, Hans Mentink. Quest’ultimo fu colpito dall’operato dell’architetto, ed infervorato da un desiderio di apertura verso un’architettura meno “inquadrata”, trovò in Piet Blom, una nuova modalità progettuale, che sicuramente avrebbe lasciato in Rotterdam un spirito di innovazione piuttosto incisivo. L’insieme di alloggi, spazi di incontro ed aree pedonali, venne iniziato nel 1978, e terminato nel 1984. Naturalmente, come ogni struttura sperimentale, a partire dal1984, questo immenso ed orginale complesso di edifici, che Piet realizzò nella Houde Haven di Rotterdam, venne sottoposto a cambiamenti, critiche, polemiche; ogni trasformazione necessità del suo tempo di elaborazione. Per fortuna, la mentalità olandese ha permesso il rispetto di questi tempi, ed oggi le case cubo, ci sono ancora, presenti più che mai nell’area sopradescritta, divenendo il simbolo di Rotterdam. Osservando e vivendo, anche solo per poco tempo, l’unica casa cubo aperta al pubblico, si avverte il segno forte del disegno dell’architetto, il suo voler andare oltre le convenzioni burocratiche e pianificatrici degli anni ‘70, per promuovere i suoi principi costruttivi ed elaborativi sulla casa. Piet era un architetto atipico, che desiderava che la sua creazione venisse riconosciuta come “non disegnata da un architetto”, era una persona che non scendeva facilmente a compromessi, infatti prima della Houde Haven, rimase per lungo tempo inattivo. Aveva dei principi, e cercava di portarli avanti ad ogni costo. La sua tenacia, coerenza e creatività, emergono completamente nella casa cubo, e ne fanno un elemento di distinzione. Le case cubo, sono tutt’ora utilizzate, e sono suddivise in residenze, hostel e negozi, ed al loro interno si respira ancora un’aria stimolante, fatta di ingegno, di volontà di cambiamento, eredità lasciata da Piet Blom agli architetti olandesi, ed a chi ancora crede, in una trasformazione sana e vivace, dell’architettura.

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