N.13_2018
ARCHITETTI L I V O R N O
Ordine
degli
Architetti
Paesaggisti
Pianificatori
Conservatori
N.13_giugno_2018
Presidente Arch. Daniele Menichini presidente@architettilivorno.it mobile +39 333 9339212 Vicepresidenti Arch. Nicola Ageno Arch. Vittoria Ena Segretario Arch. Iunior Davide Ceccarini Tesoriere Arch. Sibilla Princi Consiglieri Arch. Roberta Cini Arch. Marco Del Francia Arch. Marco Niccolini Arch. Maria Elena Pirrone Segreteria Barbara Bruzzi Sabrina Bucciantini Redazione Arch. Gaia Seghieri redazione@architettilivorno.it Grafica e impaginazione Arch. Daniele Menichini In copertina Auditorium Parco della Musica - Renzo Piano
Pubblicazione a cura di Ordine Architetti PPC Livorno Largo Duomo, 15 57123 Livorno Tel. 0586 897629 fax. 0586 882330 architetti@architettilivorno.it www.architettilivorno.it
Sommario.
pagina 1
L’editoriale: “Le città del futuro, quale Architettura?” Daniele Menichini
pagina 3
Verso l’VIII Congresso Nazionale. Comunicato Stampa Cnappc e Ordini Architetti PPC Toscana
pagina 9
Ogni sfumatura, ogni gradazione tonale ci condiziona affettivamente. Fabio Candido
pagina 11
Città portuali a confronto tra passato, presente e futuro. Simona Corradini
pagina 13
Patrimonio e percezione nelle morfologie urbane. Giulia Persico
pagina 15
Architettura del cibo, il food-design. Roberta Cini
pagina 19
Centro commerciale naturale a Marina di Campo. Priscilla Braccesi
pagina 27
In trasferta in trasfromazione. Eugenia Re
pagina 29
Lavorare e vivere nel futuro, lo studio nello zaino. Daniele Menichini
Daniele Menichini
“Le città del futuro, quale Architettura?” E’ iniziato ormai qualche mese fa il percorso degli Architetti italiani verso l’VIII Congresso Nazionale che si terrà a Roma i prossimi 5, 6 e 7 luglio e anche il nostro Ordine ha affrontato in vari momenti ed occasioni questo percorso con i propri iscritti affinché ci fosse la condivisione del percorso stesso, degli obiettivi e dei documenti che poi tutta la grande comunità degli Architetti italiani dovrà discutere e condividere in sede di Congresso; un percorso complesso ed impegnativo che ancora fino all’ultimo giorno prima dell’inizio terrà occupato tutto il sistema ordinistico. Parliamo di un VIII Congresso Nazionale dopo 10 anni dall’ultimo fatto, un periodo lunghissimo che è trascorso tutto nel pieno della crisi economica e della conseguente crisi della professione, ma soprattutto dobbiamo parlare della crisi che vede il ruolo dell’Architettura sciogliersi come neve al sole e che è stato un grande danno per tutti noi e farlo in maniera corale e forte con un evento che sia davvero un confronto non tanto tra gli Architetti stessi ma soprattutto con la società civile, con le imprese e con tutte quelle istituzioni che dell’Architetto devono tornare a parlare e ad averne bisogno. Se parlassimo di nuovo, come per l’ultimo congres1
so, solo tra Architetti, continueremmo a perpetrare lo stesso inutile delitto che ci ha uccisi, perché non sono gli Architetti ad avere bisogno degli Architetti, ma le città ed i cittadini per i quali noi possiamo pensare un nuovo modo di vivere ed un nuovo habitat al passo con i tempi e sostenibile, proprio come hanno fatto i nostri amici di tutta Europa. Certo un Congresso in questo momento è un grande impegno, un grande investimento ed un grande rischio; un rischio che dobbiamo correre proprio in questo momento delicato, trasformando le criticità in una opportunità di rivalutare il nostro ruolo e la nostra professione, ma come e su quali temi? Proviamo a capire da dove siamo partiti e dove vorremmo arrivare. Il VII Congresso Nazionale si è tenuto a Palermo nel 2008 ed aveva il titolo “Conoscenza, competitività, innovazione, verso una democrazia urbana per la qualità”, un titolo evocativo e di contenuto ma che ha fatto qualche errore, come quello di essere un Congresso che ha parlato solo alla nostra categoria e che ha finito per rivendicare solo le competenze dell’Architetto rispetto al resto delle professioni tecniche; all’epoca forse parlare di competitività ed innovazione avrebbe dovuto avere un risvolto diverso perché ridurre il tutto al
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L’editoriale dibattito sulle competenze non poteva certo essere innovativo o competitivo; farlo a Palermo (una meravigliosa città) forse non ha aiutato in senso logistico per la facile raggiungibilità da ogni territorio. E’ facile fare una critica su qualcosa di cui si è solo sentito parlare ed a cui non si è partecipato ne in fase di costruzione e nemmeno in fase di dibattito, per questo è forse riduttivo e poco edificante muovere solo una critica a quel sistema e a che cosa non abbia funzionato. Costruire un nuovo percorso verso un nuovo Congresso è forse l’unico modo per poter operare sulla contemporaneità della professione, proponendo una strategia diversa e con un percorso diverso basato principalmente sulla condivisione e sull’apertura, ma questo lo abbiamo già detto e cerchiamo affrontarlo di seguito per punti. Il prossimo Congresso è stato richiesto a gran voce dal sistema ordinistico durante le fasi elettorali del Consiglio Nazionale Architetti PPC da parte di tutti gli Ordini ed a tutte le liste o i candidati che si erano presentati, sottolineando l’importanza strategica che dentro questo contenitore ci fosse anche la “Legge per l’Architettura” e da qui siamo partiti insieme alle elezioni che hanno rinnovato quasi tutti i 105 Ordini in maniera forte nel 2017; un cambiamento intanto interno al sistema e che potesse essere una grande forza, una contrapposizione a chi prima non aveva saputo cogliere l’opportunità di trasformare la crisi in una scelta strategica e di politica per la professione. Il percorso verso l’VIII Congresso Nazionale si apre con la presentazione ufficiale nell’ottobre del 2017 e da li parte con grand energia e travolge Ordini ed iscritti con un percorso di ascolto dei territori basato su 14 tappe in giro per l’Italia che coinvolgesse tutti verso la costruzione di un documento per le politiche professionali pensando alla “Città del Futuro” quale luogo in cui l’Architetto abbia il ruolo centrale per costruire una visione di sviluppo sostenibile a favore della qualità della vita dei Cittadini. Ad un primo impatto dal titolo ci era parso che potesse trattarsi di un Congresso sul tema del Governo del Territorio che poco riguardasse l’Architetto ma, entrando nei dettagli ed essendo coinvolti nel percorso, abbiamo presto capito che si trattava invece di quello che avevamo chiesto ovvero la costruzione di una strategia di politica professionale che riportasse al centro l’Architettura e di conseguenza riaffermasse il ruolo dell’Architetto e della sua professionalità. Potrebbe, per chi non si è avvicinato a questo percorso di ascolto, sembrare esattamente in contrario, ma non lo è affatto; spesso ci siamo interrogati sul ruolo dell’Architetto e per farlo si deve partire dal pensare al fatto che dello stesso si deve avere bisogno e soprattutto di come far si che si cambi paradigma per andare in questa direzione e la visione di una Città del Futuro lo è soprattutto se con questa strategia si investono le istituzioni, la società civile e la politica. Sottolineare l’importanza di questo nuovo paradigma non è facile in queste poche righe e per questo tutti ci dobbiamo impegnare per avere un ruolo in questo percorso. Inutile nascondersi e non dire che non tutti i territori hanno accolto allo stesso modo questo percorso e che pro-
prio per la varietà dei territori e della nostra comunità è stato difficile arrivare verso le sintesi e le condivisioni capillari, ma fa parte del gioco. Il nostro Ordine ha da subito iniziato a parlare del percorso verso il Congresso e lo ha fatto anche attraverso il lavoro con tutti gli Ordini della Toscana, partendo dal lancio di semplici messaggi negli incontri con gli iscritti a fine del 2017, per poi arricchire il lavoro con gli incontri provinciali e regionali ed incontrando un numero considerevole di iscritti per coinvolgerli nel lavoro sui documenti e nella rappresentanza al Congresso. Il percorso fatto dal Comitato Scientifico e dal Consiglio Nazionale sui territori ha avuto la sua tappa in Toscana lo scorso 9 marzo ed ha visto la partecipazione di circa 1000 iscritti, corrispondenti a circa il 10% degli Architetti toscani, ed ha avuto la sua declinazione del titolo in “Le Città del Futuro, quale Architettura” ed ha visto una organizzazione strategica attorno al ruolo dell’Architetto intorno ai temi della progettazione e visione della città del futuro, discutendo dei temi dei beni culturali, del paesaggio, della rigenerazione, del riuso, della centralità del progetto, del governo del territorio in genere e di come le norme non siano adatte allo sviluppo dell’Architettura di qualità; un Congresso regionale che non ha mai visto trattare l’argomento dell’Architettura in modo autoreferenziale e che ha portato a discutere del tema della centralità del progetto e della professione attraverso interventi fatti da Architetti che lavorano in vari ambiti e settori sia in Italia che all’estero e sia nella libera professione o come dipendenti di Entri Pubblici; una tappa che si è conclusa con una tavola rotonda alla presenza di rappresentanti di Consiglio Regionale, Anci, Ance ed Ordini proprio perché a questi dobbiamo far capire il nostro ruolo strategico per trasformarlo in loro necessità ed opportunità per i cittadini. In occasione di questo evento è stato elaborato un documento di 40 pagine sui vari temi e punti messi a disposizione dal Comitato Scientifico; un documento che ha sintetizzato le oltre 100 cartelli di contributi di tutti i territori della Toscana e che con grande fatica è arrivato ad un documento definitivo di 20 cartelle che contiene sia analisi che proposte e che è stato consegnato alla rappresentante del Consiglio Regionale affinché fosse la base di una riflessione politica sulla qualità dell’Architettura e sullo sviluppo delle Città. Queste e tante altre sono le cose di cui tutta la comunità italiana degli Architetti discute da mesi e che è impossibile sintetizzare e concentrare in un articolo per la nostra rivista Architetti Livorno e questo vuole essere un ultimo invito a condividere questo percorso prima del Congresso di luglio a Roma e soprattutto a condividere quelli che saranno i risultati dei documenti che dopo l’evento saranno consegnati alla politica soprattutto con i principi e l’articolato della proposta sulla “Legge per l’Architettura”. Un anno importante questo per le leggi sull’architettura, partendo dai 40 anni che compie quella francese fino ad arrivare alla modernissima legge da poco approvata in Catalogna. 2
Verso l’VIII Congresso Nazionale. Ufficio stampa Ordini degli Architetti PPC della Toscana - Ufficio stampa Consiglio Nazionale Architetti
Firenze, 9 marzo 2018. L’economia si rafforza, sostenuta dalla domanda estera; la disoccupazione, ma non quella giovanile, è sotto la media nazionale; deboli consumi ed investimenti; negativi quelli in costruzioni; tirano le grandi imprese industriali ed i servizi, soprattutto il turismo. E’ questo in sintesi lo scenario che emerge da una ricerca che il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha commissionato al Cresme sulla situazione economica della Toscana e che sono stati illustrati oggi a Firenze nel corso della settima tappa di avvicinamento – organizzata insieme agli Ordini territoriali della regione - al Congresso nazionale degli Architetti italiani che si terrà a Roma dal 5 al 7 luglio. Nel 2017 l’economia regionale ha mostrato segnali di rafforzamento, dopo un 2016 chiuso in linea con la crescita media nazionale. Se la fase di moderata espansione dell’economia regionale, dopo il balzo del 2014, era stata trainata dalla domanda interna, stante una componente estera stagnante nel 2016, per il 2017 sono proprio gli scambi con l’estero a compensare una domanda interna meno dinamica. Nei primi nove mesi dell’anno l’export è aumentato del 6%, con un affetto traino per le grandi imprese industriali, che indicano ordini in crescita per i primi mesi dell’anno in corso. Anello debole ancora il settore delle costruzioni, con una situazione reddituale fragile per le imprese del settore, una spesa pubblica ancora instabile, una nuova attività edilizia non residenziale ancora in stallo. Il tendenziale miglioramento dell’economia regionale – sempre secondo il Cresme - trova riscontro in un mercato del lavoro che dal 2014 segna continui aumenti del numero di occupati, sebbene con differenziazioni settoriali. Nel 2016 il commerciale e ricettivo, il manifatturiero e l’agricoltura trainano la crescita; gli altri servizi stagnano, mentre le costruzioni vedono ancora fuoriuscire manodopera. Nei primi nove mesi del 2017 buona la salute dei servizi al commercio e al turismo, in ripresa gli altri servizi, mentre si interrompe la crescita per il manifatturiero e l’agricoltura, e tornano a crescere le costruzioni. Ma è nel lungo periodo che emergono gli ambiti di attività che hanno mantenuto fuori dalla crisi il mercato del lavoro regionale, ovvero i servizi, cresciuti nel complesso dell’8%, settore che assorbe più del 70% degli occupati, e l’agricoltura, in crescita dell’11%, per un settore che rappresenta però appena il 3% del totale. Bilancio negativo invece per l’industria e per le costruzioni, 3
con perdite percentuali dell’11% e 18% rispettivamente, per settori economici che rappresentano il 20% e il 7% del totale. La disoccupazione in regione è salita al 10,1% nel 2014, raggiungendo il livello massimo, iniziando a ridursi dal 2015 e attestandosi nel 2017 sull’8,2%, tre punti percentuali sotto la media nazionale. Quella giovanile nel 2014 ha raggiunto il 35,7%, quando la media nazionale sfiorava il 43%, ma il margine di miglioramento nel periodo successivo non è stato molto brillante e nel 2016 è ancora attestato sul 34%. Il valore della produzione delle costruzioni in Toscana nel 2017 è pari a 7,6 miliardi di euro, poco meno del 6% del totale nazionale. Instabile la dinamica del segmento non residenziale, sia privato che pubblico, compresa la componente infrastrutturale. La migliore performance per il segmento abitativo riflette l’impulso esercitato dal rinnovo, sostenuto dagli incentivi. Un segmento, quello più vasto del rinnovo edilizio, che potrebbe beneficiare degli incentivi per la messa in sicurezza gli edifici nelle zone sismiche, così come stabilito dalla ultima legge di stabilità. Le stime indicano una stagnazione fino al 2017 e una potenziale crescita prevista per il 2018. Tuttavia si deve ricordare che oggi il mercato regionale è inferiore quasi del 30% rispetto alla capacità di spesa del 2007, con picchi del 42% per quanto riguarda le opere pubbliche. Dal mercato dei bandi di gara per opere pubbliche arrivano segnali incoraggianti, che potrebbero delineare una nuova fase di crescita per il settore. Nel 2017 sia il numero che il valore delle opere in gara sono aumentate rispetto al 2016. Ma il mercato, in un recente passato, aveva raggiunto livelli assai ridimensionanti della domanda, crollando da quasi 2.000 gare del 2002 a meno di 840 nel 2013. La spesa è assai più variabile, legata alla pubblicazione di maxi interventi, del calibro della gara per la realizzazione del Passante Ferroviario Alta Velocità del Nodo di Firenze e della Nuova Stazione AV (nel 2006) o di quella per l’affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati, comprensivo della realizzazione dei lavori strumentali (nel 2012). Nel 2017 il mercato regionale è quantificato in più di 1.300 gare e 1,8 miliardi, quantità in crescita del 10% e del 42% rispetto al 2016, anno in cui si erano fatti sentire gli effetti delle novità normative in ambito di attività appaltistica e di finanza pubblica, a frenare la domanda.
Ordine degli Architetti Paesaggisti Pianificatori Conservatori
LE CITTÀ DEL FUTURO QUALE ARCHITETTURA?
Gli Architetti toscani verso l’VIII Congresso Nazionale #7 ore 9.00 ore 9.30 ore 9.45 ore 10.00 ore 10.15 ore 10.30 ore 10.45 ore 11.00
ore 11.30
ore 12.15
ore 13.15 ore 13.30
Registrazione dei partecipanti/Check-in Saluti ed introduzione al Convegno. modera Daniele Menichini, Coordinatore Federazione Architetti PPC Toscani Serena Biancalani, Presidente Ordine Architetti PPC Firenze Obiettivi dell’VIII Congresso Nazionale. Giuseppe Cappochin, Presidente Consiglio Nazionale Architetti PPC Il documento del Comitato Sciantifico. Saverio Mecca, Direttore del Dipartimento Architettura DIDA Le Capitali europee ed il loro cambiamento, Amburgo/Londra/Lubiana /Parigi. Come cambiano le città europee: in Italia e nella regione Toscana. Lorenzo Bellicini, Direttore CRESME Intrvento del Cnappc. Ilaria Becco, Consigliere Consiglio Nazionale Architetti PPC Declinazione Regionale degli Obiettivi del Congresso Patrizia Bongiovanni, Presidente Ordine Architetti PPC Pisa - Rigenerazione, Riuso, Recupero - Beni Culturali, Restauro, Paesaggio - La norma e la qualità dell’Architettura, la centralità del progetto - Il Governo del Territorio risorsa per lo sviluppo economico - Il ruolo e la specificità dell’Architetto Interventi degli ospiti. Silvia Casi, Architetto Valerio Barberis, Assessore Urbanistica e Lavori Pubblici Comune di Prato Silvia Viviani, Presidente Istituto Nazionale di Urbanistica Presupposti e dibattito, modera Alessandto Jaff Vincenzo Ceccarelli, Assessore Infrastrutture/Mobilità/Urbanistica/Politiche Abitative - Regione Toscana Titta Meucci, Quarta Commissione - Consiglio Regionale della Toscana Matteo Biffoni, ANCI Toscana Riccardo Spagnoli, Presidente ANCE Toscana Daniele Menichini, Coordinatore Federazione Architetti PPC Toscani Conclusioni e ringraziamenti. Serena Biancalani, Presidente Ordine Architetti PPC Firenze Registrazione dei partecipanti/Check-out
venerdì 9 marzo 2018 Dipartimento di Architettura - Piazza Ghiberti/Santa Verdiana - Firenze in collaborazione con:
organizzato da:
con il patrocinio di:
media partner:
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Ogni sfumatura, ogni gradazione 1 tonale ci condiziona affettivamente . Fabio Candido
Nel trattato pubblicato nel 1780, Le génie de l’architecture, ou, L’analogie de cet art avec nos sensations, Nicolas Le Camus de Mézières [di seguito LCdM], per primo in epoca moderna, traspone in architettura1 i principi di corrispondenza tra una costruzione precisa e consapevole delle scene architettoniche e i sentimenti che queste suscitano nell’animo umano2. L’impalcato teorico dell’architetto illuminista si colloca all’intersezione tra un ambito di riflessione maturato nella tradizione pittorica e nel disegno dei giardini - che vede l’arte di creare di scene e ambientazioni dedicate a muovere l’animo umano e determinare specifiche sensazioni -, e una impostazione disciplinare di tipo classico - basata sul fondamento degli ordini architettonici e delle regole geometriche che li governano. Questi ambiti di provenienza si rivelano sorprendentemente saldati nel pensiero di LCdM attraverso l’assunto dell’esistenza di una relazione diretta tra gli effetti generati dagli spazi architettonici e le sensazioni - si potrebbe dire affetti - che possono essere esperite negli ambienti di vita da parte dei visitatori. Questa relazione, di tipo squisitamente estetico, trae origine da quella che l’architetto reputa una costitutiva e necessaria corrispondenza tra le proporzioni dei corpi architettonici e quelle del corpo umano, secondo cui le tradizionali regole basate sui cinque ordini possedevano caratteri espressivi di tipo fisionomico3. LCdM concepisce l’organizzazione degli spazi che compongono un edificio come una concatenazione di scenari architettonici caratterizzati da atmosfere che devono essere sapientemente orchestrate per garantire la coerenza tra le parti e il tutto. In questa maniera viene superato il concetto di scena come applicazione occasionale e circoscritta (schené) - spesso all’ambito degli allestimenti per rappresentazioni di corte - della teoria degli effetti, in favore di una proposta organica che possa essere estesa ad una pratica architettonica completa e inter-scalare (scaenarium). Tra gli aspetti di maggior interesse vi è il rapporto di consequenzialità tra le tecniche di costruzione degli spazi architettonici e le qualità affettive che questi devono possedere: “Regole determinate e invariabili governano la formazione del gusto e il procedimento attraverso il quale manipoliamo, in modo preciso e sublime allo stesso tempo, il meccanismo che gratifica i sensi e trasmette al nostro animo quel piacevole sentimento che ci avvince e affascina”4. Così, le atmosfere richieste in un determinato spazio per una specifica occasione non solo possono essere generate attraverso il competente esercizio della pratica progettuale, ma sono generalmente riconosciute e condivise dal pubblico al quale sono destinate5. Appare del tutto evidente il notevole potenziale progettuale che tali assunti implicano: la capacità, attraverso l’azione sapiente della pratica d’ar9
chitettura, di realizzare un’esperienza estetica totalizzante. Nell’accezione usata da LCdM l’architettura è l’arte di governare le proporzioni armonicamente e in accordo con le leggi di Natura, così da porsi come base formale per l’espressione di sentimenti edificati sulla bellezza. L’organizzazione degli elementi formali deve innanzitutto esprimere il carattere richiesto dalla specifica occasione progettuale, sia in relazione allo status della committenza, sia in base al tipo architettonico adeguato allo scopo6. L’apparato di regole di composizione di base riguarda le masse: le loro proporzioni, le loro mutue relazioni formali - le loro fisionomie - forniscono il massimo contributo alla definizione del tono dell’insieme. Il controllo esercitato sulla composizione è deputato a perseguire uno stato di equilibrio tra le parti quale condizione ineludibile per il raggiungimento di canoni di bellezza conformi. Questi sono descritti da LCdM attraverso un serie di qualità dall’inequivocabile sapore atmosferico: deliziosa armonia, elegante disposizione, tonalità del tutto. In particolare il senso di armonia - intesa come qualità formale di consonanza tra le cose - è la condizione basilare per ottenere effetti capaci di muovere l’animo e generare sentimenti, avvicinare il sublime, perseguire la bellezza, esprimere il carattere in accordo con il tema7. In questo modo l’armonia è il vero generatore di piacere estetico, determinato dalla comprensione da parte del visitatore di una precisa ed equilibrata relazione tra le parti. Il senso di maggiore soddisfazione si verifica quando si può esercitare un opportuno controllo spaziale - sia da parte dell’architetto che dell’osservatore, che può percepire un accordo tonale tra i sentimenti generati e lo spazio vissuto - e ogni cosa assume serenamente il proprio suo posto. L’idea che gli spazi architettonici possano essere sapientemente dosati e organizzati in un tutto coerente, allo scopo di perseguire specifiche finalità dettate dalla committenza e dalle circostanze, deriva dal contesto culturale nel quale la professione dell’architetto si svolge nella Francia tardo rinascimentale e del primo Illuminismo. Il fenomeno degli allestimenti di corte e l’arte della creazione di giardini, vere e proprie esperienze di costruzione in vitro di scenari conclusi in un sistema di relazione reciproche all’interno di un dato paesaggio, costituiscono antecedenti che dimostrano come sia possibile, adottando precise strategie architettoniche, generare spazi di vita peculiari partendo da una condizione iniziale di assenza di luogo8. Se l’arte dei giardini tuttavia porta nell’ambiente reale l’esperienza degli allestimenti effimeri che avevano luogo a corte, è con il contributo di LCdM che l’idea della costruzione di uno scenario destinato alla vita permanente entra definitivamente nel discorso sull’architettura. Alla scala architettonica la
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logica dell’allestimento curtense, costruito per essere osservato da una prospettiva statica, viene superata in favore di un’esperienza derivante da una concezione dello spazio dinamica e sequenziale. Gli spazi architettonici sono inquadrati in un sistema gerarchicamente organizzato di ambienti conformi ai costumi dell’epoca, comprendenti esterni e interni, aree aperte ai visitatori e private. La successione di ambienti è attentamente configurata in una sequenza unitaria e progressiva in cui ogni spazio - stanza o esterno - proietta atmosfere autonome ma concordi con il carattere principale dell’edificio, che si dipana in maniera continua tra le varie parti, predisponendo il visitatore ad una esperienza percettiva coinvolgente, seppur in taluni aspetti didascalica. Il particolare carattere di una stanza mantiene così la propria riconoscibilità, soprattutto in relazione all’uso sociale, ma nell’insieme si propaga un sentimento generale di progressione affettiva che in senso crescente si sviluppa tra gli ambienti fino al cuore dell’edificio - generalmente il salone d’onore. Qui il carattere che costituisce la ragion d’essere dell’edificio trova piena espressione: il visitatore realizza una piena percezione armonica che fa da collante
al tutto, rendendo cristallina l’atmosfera sociale e comprensibile la progressione spaziale appena percorsa. Pur con una finalità pratica destinata alla costruzione di ambienti di vita permanenti, il costrutto teorico di LCdM non riesce tuttavia ad affrancarsi da quella condizione di manifesta separazione tra natura e artificio propria della condizione ubiquitariamente controllata dell’allestimento occasionale dalla quale in parte deriva, rimanendo confinata ad una sorta di artificialità in cui la progettazione dell’edificio è isolata dal contesto ed elevata ad una condizione di alterità rispetto al reale. La preparazione dello scenario è del resto curata in ogni aspetto, procedendo dal generale al particolare, tanto che il visitatore agisce quasi come un attore sulla scena9 l’esperienza estetica può essere paragonata a una sceneggiatura da interpretare correttamente, qualora l’architetto sia stato sufficientemente abile da curare l’allestimento coerentemente con il soggetto richiesto10. È con il contributo di Boullée che l’edificio manifesta la sua autentica presenza, autonoma nell’organizzazione interna, ma capace di intessere rapporti con l’intorno e generare atmosfere a distanza.
1_Le considerazioni di Sebastiano Serlio nel Libro II del suo trattato sono riconducibili alla costruzione di scene. Si tratta certamente di riflessioni che anticipano le pratiche, ma che in questo caso esulano dagli obiettivi, di cui tratta il presente intervento. 2_LCdM appare consapevole di tale affermazione, allorché introduce così il suo saggio: “Ancora nessuno ha scritto dell’analogia tra le proporzioni dell’architettura e le nostre sensazioni; possiamo trovare soltanto frammenti sparsi, superficiali e, per così dire, fortunosi”. Cfr. LCDM, cit., p. 69. Del resto, gli esempi citati nella sua Introduzione per esprimere le analogie tra gli elementi formali e le sensazioni suscitate nell’animo umano sono tratte dalla pittura e dalla musica. 3_“Le proporzioni generali dell’Architettura possiedono una impressionante analogia con quelle del corpo umano e sembrano essere derivanti dalle sue principali caratteristiche- Alcuni corpi sono tozzi e robusti; altri fragili ed eleganti. Sotto questa luce occorre considerare i cinque Ordini dell’Architettura: Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio, Composito”. LCDM, cit., p. 79. 4_LCDM, cit., p. 74. 5_“La sensibilità che quasi tutti gli uomini condividono è sufficiente per far percepire la pienezza della sua [la rappresentazione delle leggi di Natura] influenza”. LCDM, ibid. 6_Si veda l’opera di Boullée 7_”L’architettura è intrinsecamente armonica”. LCDM, cit., p. 73. E ancora: “Una precisa relazione tra le parti genera armonia. L’armonia è l’unico vero strumento di generazione del piacere in architettura”. LCdM, ibid., p. 87. Traduzione mia. 8_Invero il Manierismo è pienamente consapevole del rapporto tra caratteri espressivi dell’architettura ed effetti che da questi sono generati, ma tale pensiero non viene pienamente esplicitato e le pratiche, pur sfociando in numerose realizzazioni, non esulano dal circoscritto ambito curtense. Si veda la nota 2. 9_“In questa stanza, una volta ancora, si diventa consapevoli delle sensazioni che si attendono nella stanza successiva; si tratta, per così dire, di un proscenio, e la massima cura deve essere profusa verso di esso, per annunciare il carattere degli attori in gioco”. LCDM, ibid., p. 110 10_“Il soggetto principale della nostra dissertazione è l’organizzazione della pianta interna. Laddove un edificio è piacevole dall’esterno, dobbiamo provvedere affinché anche l’interno lo sia egualmente […]. Le parti esterne non sono di minor interesse: esse sono progettate per preparare le nostre disposizioni d’animo; esse trasmettono l’impressione iniziale, sia questa favorevole o non favorevole. È l’esterno che innanzitutto deve catturare la nostra attenzione e coinvolgerci”. LCDM, ibid., p. 102
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Città portuali a confronto tra passato, presente e futuro. Simona Corradini
Livorno come molte città europee medio grandi che si affacciano sul mare è caratterizzata dalla stretta relazione con il porto e con il sistema della costa più in generale. Il percorso di lettura qui proposto, presentato in occasione dei “giovedì del porto”, iniziativa dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale con Livorno Port Center, vuole essere uno spunto per individuare elementi specifici del paesaggio e della morfologia delle città portuali, che sono uniche ma possiedono molti aspetti urbanistici in comune. Verranno presi in esame i seguenti punti: - le origini, ovvero come il luogo e l’acqua hanno influenzato l’organizzazione della città portuale; - gli spazi portuali attraverso una serie di foto storiche e attuali di piazze e viali; - il porto urbano come lo spazio ove storia e progetto si fondono sull’acqua; - il paesaggio e la mobilità. ORIGINI Occorre interrogarsi sulla nascita delle città portuali, sul come si sono organizzate rispetto alla forma della costa e si rapportano ad essa nel tempo. Lavedan, massimo storico dell’urbanistica francese del novecento, definisce Le Havre una delle città più importanti per l’urbanistica francese moderna, in cui volontà politica, geografia, richiesta sociale, necessità di collegamento con l’interno sono i fattori che portano alla nascita della città nei primi del ‘500. Inizialmente non esiste una forma geometrica precisa, ma l’acqua è il tema che domina lo sviluppo del porto e della città e gli spazi si organizzano in base all’orientamento rispetto all’estuario della Senna. Livorno può essere comparata a Le Havre, così come a Tolone per quanto riguarda la sua origine, seppur con piccole differenze. Da borgo di pescatori che nel 1421 passa sotto Firenze, fino al 1548, anno di dichiarazione di porto franco, si sviluppa come città portuale in base al progetto del Buontalenti. Le espansioni ottocentesche rappresentano la compattezza del tessuto urbano-portuale, sia a Le Havre che a Livorno e più in generale seguono il sistema di fortificazioni e canali. SPAZI URBANI PORTUALI Se alle origini della città portuale lo sbocco sul mare e i canali giocano un ruolo fondamentale, con lo sviluppo e le trasformazioni nel tempo anche gli spazi urbani cambiano il loro disegno, così viali piazze e gli spazi pubblici sull’acqua acquistano importanza e si fanno interpreti della relazione con il porto storico. 11
La Rambla di Barcellona sorge sul tracciato di un antico corso d’acqua e delle fortificazioni quattrocentesche e anche in seguito agli ampliamenti successivi è parte integrante della relazione città porto. Allo stesso modo la “Canabière” a Marsiglia rappresenta uno spazio pubblico strategico fin dalla sua origine, nel 1667, quale arteria centrale di comunicazione città-porto. PORTO URBANO Il Porto vecchio costituisce uno spazio particolare sul piano urbanistico, in cui i moli portuali possono essere considerati un vero e proprio prolungamento urbano e gli specchi portuali come affacci della città sull’acqua. Il recupero del Porto vecchio di Barcellona, alla fine degli anni ’80, è un esempio del nuovo concetto di waterfront come spazio pubblico pianificato attraverso un insieme coordinato di progetti urbani che reinventano e innovano lo spazio pubblico aggiungendo significati e funzioni legate a mobilità, trasporti e turismo. Il progetto di Manuel de Solà Morales del 1981-85 e realizzato nel 1995 risolve completamente la marginalità tra città e porto. Allo stesso modo i progetti: Passeggio di Joan de Borbo – 1994 degli architetti catalani Espinas e Tarrasò; Passeggio marittimo della Barcelloneta 19972001 ad opera dei progettisti Jordi Henrich, Olga Tarrasó, Jaume Artigues. Più recentemente Marsiglia è stata protagonista di un importante progetto di rinnovo del “vieux port” realizzato dall’amministrazione attraverso varie fasi di attuazione e un insieme coordinato di strumenti per qualificare il porto come spazio pubblico che riguardano il nuovo arredo urbano, la scelta dei materiali, la circolazione rallentata e mobilità dolce, la ricollocazione dei circoli nautici su piattaforme galleggianti modulari e un regolamento per uniformare ristoranti e cafè. In molte città portuali vi è una rete di canali, veri e propri waterfront interni, lungo i quali si svolge la vita sociale sull’acqua e hanno luogo numerose manifestazioni, eventi che animano temporaneamente i quartieri che si affacciano sull’acqua e nello stesso tempo fanno da catalizzatore per la valorizzazione della cultura marittima cittadina. PAESAGGIO E MOBILITA’ Le relazioni tra mare e territorio circostante sono un ulteriore elemento che accomuna molte città portuali attraverso lo sviluppo della struttura urbanistica nel tempo. Il sistema di fortificazioni storiche costituisce sul piano paesaggistico un sistema di osservazione della città e del porto, si trovano moltissimi esempi, a Marsiglia, a Napoli, a Livorno etc..
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La morfologia dei luoghi in cui sono si sono sviluppate le città portuali è inoltre caratterizzata da parti alte, ovvero alture, monti e colline, attraverso cui si struttura il rapporto retroterra-mare, si veda ad esempio Barcellona con il Castello del Montjuic,Sète con Monte Saint Clair, Livorno con le colline di Montenero, Marsiglia con il Panier quartiere che sorge più in alto rispetto al porto storico e commerciale. Non a caso la mobilità riflette e sfrutta tale peculiarità con l’utilizzo delle funicolari, si vedano Geno-
va, Napoli, Lisbona, Livorno, e con sistemi di teleferiche. A Barcellona, la teleferica che collega il porto con la parte alta della città venne costruita in occasione dell’Esposizione Universale del 1929 dall’architetto Carles Buïgas e inaugurata nel 1931, mentre a Brest è stato inaugurato nel 2016 il progetto di teleferica per il trasporto passeggeri da una sponda all’altra del fiume Penfeld, ma tanti altri sarebbero i progetti storici e contemporanei da poter analizzare.
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Patrimonio e percezione nelle morfologie urbane. Giulia Persico - Associazione Culturale Cult
L’associazione culturale CULT di Livorno in collaborazione con il laboratorio Piani e progetti per la città e il territorio dell’Università degli studi di Firenze (Dipartimento di Architettura) ha organizzato un pomeriggio di studi dal titolo Patrimonio e percezione nelle morfologie urbane nell’ambito del progetto mApp_Livorno, scaturito dalla collaborazione tra l’associazione stessa e il Laboratorio (tra le due parti è stato ratificato un protocollo d’intesa della durata di due anni) estendendosi poi alle esperienze del CNR di Pisa. L’iniziativa si è svolta il giorno 8 febbraio presso il Cisternino di Città, col patrocinio del Comune di Livorno e dall’OAPPC di Livorno. CULT è un’associazione culturale di recente costituzione, ma che segue il lavoro di anni svolto volontariamente in altre forme di aggregazione culturale e associative; nasce da un gruppo di appassionati livornesi, prevalentemente architetti, urbanisti e storici dell’arte, con l’intento di sensibilizzare i cittadini, e particolarmente i più giovani, a vedere la propria città con occhi “nuovi”. Essa mira alla ulteriore valorizzazione del patrimonio artistico cittadino e in particolare guarda all’aspetto storico e di sviluppo urbanistico-architettonico della città di Livorno e alle relazioni territoriali prossime. La ricerca è incentrata sulla riscoperta della patrimonializzazione e dei temi collettivi che caratterizzano la città, che potrebbero essere definiti come il riconoscimento da parte dell’osservatore delle configurazioni spaziali o pattern (Alexander, 1977), nonché “regole di composizione dello spazio” (Saragosa, 2014). Romano afferma che laddove siano riconosciuti i termini collettivi le persone percepiscono un senso di appartenenza: “Sentire di appartenere a una città significa poter portare “dentro di sé” quella città, quel contesto urbano nel quale i tracciati e gli spazi sono ben identificabili, nel quale si rende possibile ciò che la megalopoli contemporanea nega: l’interazione da parte dell’abitante della mappa strutturale della città, per poi poterla identificare con la propria mappa psichica”. (Bozzelli A., 2008) Nelle città contemporanee è venuto a mancare quel senso di luogo che C.N. Schulz (1979) ha definito “Genius Loci”, o “spirito del luogo”, nonché la capacità di uno spazio di trasmettere un senso di identità. Sitte, urbanista viennese, nella sua opera “L’arte di costruire la città” (1889) riporta i risultati di ricerche sulla valutazione qualitativa dello spazio della città tradizionale, concentrandosi in particolare sull’individuazione di parti di città in cui è possibile ritrovare quelle caratteristiche che Wieczorek (1994) definisce “strutture invarianti che sembrano trascendere la diversità delle culture”. Un obiettivo importante di CULT è quello di modificare il concetto assai generico, ma purtroppo esteso, che “a Livorno non ci sia niente”. Occorre pertanto percepire la 13
nostra città non solo con gli occhi dell’esteta, ma con quelli del curioso e magari spostando il modo di osservazione o semplicemente il “punto di vista”. Solo con la conoscenza e il giusto calibro critico su ciò che abbiamo in questa città possiamo tutelarla ed eventualmente migliorarla; da quello che si è costruito in tempi lontani fino ai più recenti (qui ci riferiamo al settore dell’architettura del ‘900: moderna, razionalista e poi contemporanea). La frase “non c’è niente” è forse sintomatica di un fenomeno di riduttiva rassegnazione, che non guarda o forse non ha gli strumenti per vedere approfonditamente il patrimonio naturale e culturale che abbiamo. Le associazioni culturali che lavorano al turismo o al semplice problema di quartiere sono molteplici, ma nonostante questi sforzi congiunti persiste tra i cittadini livornesi una posizione spesso solo critica e non costruttiva. In questo contesto vogliamo collaborare a favore di quella costruttività, partendo proprio dai più giovani, facendo loro conoscere la città come opera d’arte (per citare ancora Marco Romano), che si è sviluppata in tempi sicuramente più recenti a una più vicina Pisa o altre ambite mete turistiche toscane, ma che anch’essa ha le proprie interessanti peculiarità, partendo ad esempio dall’applicazione di fatto di uno dei concetti urbanistici appuntato nei taccuini di Leonardo da Vinci per la città ideale (vari livelli di canali, strade e sotterranei funzionali), oppure dalla Città pentagonale disegnata da B. Buontalenti. Livorno inserita sulla costa come un perno nel mediterraneo, che caratterizza la sua posizione strategica. Essa fu un Porto Franco, importante per l’aggregazione di quei popoli diversi delle Leggi Livornine. Ancora il porto commerciale e turistico di Livorno ha una funzione internazionale. Per migliorare questa conoscenza della città abbiamo pertanto deciso di utilizzare il sistema delle App, non solo come ausilio per una veloce e razionale catalogazione, ma anche per coinvolgere i più giovani. Quest’idea è stata sviluppata in primis con la collaborazione proprio di alcuni studenti che l’hanno creata e utilizzata, grazie al loro professore d’informatica, e che hanno visto premiato il loro lavoro in un concorso indetto dall’Ufficio Scolastico Regionale e dall’Associazione Italiana per l’Informativa e il Calcolo Automatico. Le varie applicazioni possono essere pensate a vari livelli d’indagine e per vari destinatari, per questo alcuni tecnici di ricerca del Laboratorio Piani e progetti della città e territorio stanno mettendo a punto una nuova App per tutti quegli aspetti tecnici che un esperto del settore può aggiungere: dalla lettura dell’oggetto nel suo contesto urbano fino al dettaglio dello stile della sua architettura e, volendo, guardando anche all’aspetto non solo del rilievo cromatico, ma anche energetico. L’analisi delle configurazioni spaziali può esser fatta tramite valutazioni percettive; in questo senso si opera
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tramite l’analisi informatica, la conoscenza e la razionalità dell’immagine introdotta con una ricerca di lettura delle emozioni derivanti da alcuni contesti che spingono cittadini e turisti a scattare foto (georeferenziate) e riflettere sull’apprezzamento di quegli istanti vissuti nella città, ponendoci conseguentemente domande in positivo e negativo su quelle zone rimaste dentro o fuori dall’obiettivo fotografico: tutto sta nel leggere quelle aree emozionali condivise. La ricerca verte sulla Sentiment Analysis: analizzare le opinioni, il gradimento di certe zone urbane, capire quali sono i fattori soggettivi che inducono un certo sentimento. Il metodo di ricerca del progetto mApp_Livorno si basa quindi su diversi fattori d’indagine: razionale catalogazione, ausilio della tecnologia tramite App e analisi fotografiche estratte dai social media, tutto al fine di comprendere
come la realtà sia percepita e apprezzata dagli utenti della città. L’obiettivo finale dello studio è quello di sperimentare una carta del patrimonio urbano avvalendosi di sistemi informatici capaci di riconoscere le configurazioni spaziali che identificano i tessuti cittadini. Applicando quindi l’articolo 9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” e in forza (quasi coattiva) dell’art. 17 c. 3 del Codice dei Beni Culturali 42/2004: “Il Ministero o le regioni, anche con la collaborazione delle Università, concorrono alla definizione di programmi concernenti studi, ricerche ed iniziative scientifiche in tema di metodologie di catalogazione e inventariazione”.
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Architettura del cibo, il food-design. Roberta Cini
Impiattare non è un semplice sinonimo di “mettere nel piatto” ma è più vicino all’accezione di “comporre un piatto” infatti significa “Disporre con gusto una pietanza in un piatto, eventualmente accompagnandola con elementi decorativi anch’essi commestibili, in modo che risulti gradevole alla vista”. Nella storia alimentare l’impiattamento ha avuto un’importanza non solo funzionale. Nel medioevo, i pasti come stufati o polente venivano serviti in pagnotte scavate e per i reali, la presentazione del cibo era importante soprattutto come metodo per distrarre l’attenzione dei commensali dalla mancanza di grande raffinatezza e sapore delle pietanze. Per questo scopo alcuni cuochi cercavano di far apparire gli animali come ancora in vita, conservando spesso la pelliccia o le piume. Le foglie d’oro erano adoperate per decorare le carni servite ai re e ai membri della corte. Gli ingredienti rari, come le spezie, erano apprezzati e dovevano essere dosati senza parsimonia dimostrando che l’impiattamento era, nella pratica, anche una celebrazione della grandezza del padrone di casa. La presentazione del
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cibo può essere anche una metafora della forma mentis propria di un’intera società o periodo storico; si pensi ai grandi apparati scenografici dell’epoca rinascimentale o alle monumentali sculture neoclassiche di grasso e zucchero del XIX secolo. Nei tempi più recenti prevale invece la ricerca dell’essenziale, la semplificazione e la destrutturazione delle forme: le decorazioni tendono a mettere in risalto il piatto senza sopraffarlo, s’ispirano spesso a ingredienti contenuti al suo interno e presentati in forma differente. Altro fattore culturale che incide nella presentazione di un piatto è la postura che si assume a tavola: in Occidente generalmente il piatto viene visto dall’alto ed è in genere concepito in modo bidimensionale, come un quadro; in Oriente, invece, dove il cibo è tenuto quasi a livello degli occhi, la presentazione include sempre anche una dimensione verticale. L’Oriente e soprattutto il Giappone vanta la prima modalità d’impiattamento “artistico” con la cucina kaiseki che consiste in una forma di pasto tradizionale che include tante piccole portate in un assemblamento di piccoli piatti disposti elegantemente. Il termine kaiseki si riferisce altresì alle competenze tecniche che occorrono per cucinare
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un tale pasto comparabili alla grande cucina occidentale. Nel kaiseki si cerca armonia di gusti, di motivi e di colori. Per questo, solo ingredienti locali, solitamente freschi, sono usati per amplificare il sapore. Le pietanze sono disposte su contenitori singoli per esaltare l’aspetto e il tema stagionale del pasto. Le decorazioni consistono in fiori e contorni commestibili, sistemati in modo che prendano la forma di piante o animali vari. In Occidente i secoli XVII e XVIII hanno segnato un cambiamento soprattutto all’interno della cucina francese, che ha influenzato notevolmente le altre, avviando i primi passi verso la haute cuisine. Luigi XIV dichiarò la cucina nazionale parte integrante della cultura francese, sia per il suo sapore che per la sua estetica. Con Marie Antonin Carême Arfäne, cuoco e scrittore francese, si ebbe una grande attività di semplificazione e codifica dello stile di cucina noto come haute cuisine. Divenuto famoso per aver presentato le sue creazioni utilizzando concetti architettonici, costruendo, nel vero senso della parola, i suoi piatti ricalcando anche le forme di monumenti famosi, cascate, piramidi, ecc.. A Carême, che è stato indicato come “il re dei cuochi e il cuoco dei re”, si attribuisce la paternità del famoso croquembouche: dolce formato da una piramide di bignè farciti con crema e immersi nel caramello che ancora oggi, in Francia, è la perfetta chiusura di celebrazioni importanti. Carême ha portato in cucina due innovazioni concettuali: l’introduzione in Europa della tradizione giapponese e l’impiattamento del cibo con il fine di elevarne la qualità. Con la locuzione servizio a tavola si designa la struttura di un pasto, vale a dire l’ordine delle portate, la maniera di recarle e la loro disposizione sulla tavola. Nella ristorazione moderna il responsabile di questo servizio è il Maître con al seguito la Brigata di Sala. Discendente in linea diretta dalla struttura del pranzo rinascimentale e barocca, il servizio alla francese, che conosciamo come buffet, metteva in tavola tutti i piatti contemporaneamente (quelli caldi su scaldavivande e quelli freddi su maestosi ed elaborati piedistalli/basamenti). Un
allestimento del tavolo traboccante di vassoi disposti tutt’intorno agli scenografici “trionfi” dove i commensali si servivano senza osservare alcun ordine. Ciascuno si organizzava il proprio personale menu, obbedendo ai propri gusti e al proprio appetito. Il pranzo era un’«opera aperta»: flessibile, indisciplinata, individualistica. L’introduzione nel corso del XIX secolo del servizio “alla russa”, ha fatto sì che i cibi venissero serviti uno dopo l’altro e che gli ospiti non potessero più prendere autonomamente ciò che desideravano. Nel servizio alla russa (così chiamato dal diplomatico russo Alexander Borisovich Kurakin, presente in Francia a Clichy nel 1810-1811) la tavola si presentava invece quasi del tutto spoglia: oltre all’apparecchiatura della tavola, per il numero dei commensali, comparivano al più gli antipasti freddi. Gli altri piatti venivano serviti uno di seguito all’altro e secondo un preciso ordine gerarchico. Agli ospiti era lasciata la sola scelta della quantità o del cortese rifiuto. In conseguenza dell’affermarsi del servizio alla russa, nacque verso la metà dell’Ottocento quell’accessorio della tavola imbandita che è il “menu” o “minuta”, attraverso il quale il commensale poteva farsi un’idea di che cosa lo aspettava e quindi scegliere e quantificare le porzioni che si sarebbe fatto servire. Ad oggi, una cena al ristorante spesso significa una successione di numerose piccole portate, tuttavia, nel corso del tempo, i commensali hanno sviluppato l’esigenza di dover mangiare sempre più velocemente e in maniera più leggera, senza per questo sacrificare la qualità e il sapore dei cibi. Il servizio “alla russa” doveva quindi diventare più ordinato e organizzato. Dopo un breve periodo di coesistenza e di contaminazione col servizio alla francese, il servizio alla russa, praticamente quello tuttora in uso, si impose. I vantaggi sono evidenti: i piatti arrivano in tavola appena cucinati, al giusto punto di cottura, temperatura e fragranza e la struttura del pranzo, inoltre, è più chiara e razionale. Georges Auguste Escoffier (1846-1935), il padre della più recente ristorazione lo capì in anticipo e la sua soluzione fu di razionalizzare
il banchetto romano
cucina Kaiseki
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la preparazione dei piatti nei ristoranti, separando la brigata di cucina dalla brigata dell’impiattamento. All’inizio del XX secolo, il grande chef francese Fernand Point ha introdotto gli elementi che in seguito sarebbero diventati tratti distintivi della nouvelle cuisine e non solo: ingredienti di stagione con un focus sugli aromi naturali e, soprattutto, la semplicità e l’eleganza nel piatto. La nouvelle cuisine ha raggiunto il suo apice grazie a chef del calibro di Alain Ducasse e Pierre Gagnaire, entrambi protagonisti della scena culinaria contemporanea. Lo stesso Pierre Gagnaire ha detto: “Ho bisogno di mettere un po’ di poesia nei miei piatti. Devo sempre dare un impatto visivo alle mie ricette. “. L’evoluzione della nouvelle cuisine è proseguita con ulteriori artisti-chef quali Ferran Adrià in Spagna e Grant Achatz di Chicago che hanno elevato il minimalismo e la presentazione in cucina ma in una chiave differente: ad esempio attraverso la gastronomia molecolare, una cucina d’avanguardia in cui la creazione di nuovi sapori e l’invenzione di nuovi stili di presentazione vanno di pari passo. Con queste tendenze siamo entrati in una rivoluzione gastronomica: l’impiattamento e la presentazione in genere sono utilizzati sempre di più per evidenziare non solo l’arte culinaria dello chef ma l’unicità dell’esperienza che viene consumata a tavola. Essi costituiscono oggi una delle chiavi multisensoriali che i cuochi e il personale dei ristoranti possono utilizzare sotto forma di performance art: la messa in scena dell’esperienza gastronomica. L’aspetto indiscutibile è che non si mangia più solo con la bocca, ma anche con gli occhi: ciò che è bello a vedersi può sembrare più buono nel momento in cui lo si gusta. Per questo diventa centrale e si aumenta anche il tempo dedicato allo studio dell’impiattamento tanto che ad esempio il mitico ristorante elBulli in Spagna era famoso per rimaner chiuso ben sei mesi all’anno. Durante questo periodo, infatti, il team creativo del locale frequentava corsi di formazione, imparava a usare nuovi ingredienti e utensili, viaggiava in diversi continenti e cooperava con molte aziende del settore. La presentazione rende un cibo attraente e stimola realmen-
te l’appetito e influisce sulle aspettative relative al gusto: “si mangia prima con gli occhi”. E’ proprio l’impatto visivo che abbiamo con il cibo presentato che ci invoglia o meno all’assaggio, creando in noi l’aspettativa di ciò che andremo a mangiare. Un cibo ben presentato aumenta il suo livello di appetibilità, ci predispone quindi ad aver voglia di mangiarlo e recepirlo più gustoso anche al momento dell’assaggio. Diversamente, se mal presentato, susciterà in chi lo guarda una sensazione negativa che si ripercuoterà sul reale sapore. Quando ci viene proposto un piatto infatti, al primo sguardo immaginiamo già sapori e consistenza della pietanza in base a ciò che vediamo e questo dovrà sempre corrispondere al vero. La presentazione del piatto, l’effetto visivo è così importante che in Giappone è nata l’arte del sampuru, il “cibo finto”. Si tratta di una riproduzione dettagliatissima, perfetta in ogni particolare, delle pietanze che vengono servite. È un menu in 3D, è un business da miliardi di yen. Le repliche di cibo si trovano tanto negli izakaya—essenzialmente tapas bar— come nei supermercati e nei ristoranti di lusso di tutto il paese e l’idea di fondo è che la loro presenza aiuti i guadagni. Lo scopo, dunque, è piuttosto chiaro: mostrare cibi perfetti, appetitosi, e offrire ai potenziali consumatori un’idea di qualità e prezzo. L’apprezzamento del “cibo finto” è profondamente connesso all’idea giapponese di assaggiare con gli occhi, inserendosi alla perfezione nella cultura dell’estetica del cibo. Presentare un piatto in modo armonioso e affascinante per il palato potrebbe non risultare sempre così semplice. Occorre però tenere presenti alcuni criteri di base sulla disposizione spaziale degli alimenti, le forme, gli ingredienti e l’utilizzo dei colori. Importante ricordare la regola fondamentale che tutto quello che si mette nel piatto deve essere commestibile e non solo esclusivamente decorativo. Innanzi tutto, scegliere accuratamente la “quinta teatrale”, la
Pierre Gagnaire
Ferran Adrià a elBulli
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cornice del cibo e cioè il piatto, la stoviglia, il contenitore. Un piatto tondo tende inevitabilmente a far posizionare la vivanda nella zona centrale; un piatto quadrato offre la possibilità di utilizzare i quattro angoli per collocarvi quattro versioni differenti dello stesso ingrediente, lasciando al centro un condimento comune, oppure, seguendo le diagonali, di tracciare pennellate di guarnizioni cromaticamente e gustativamente di contrasto o di equilibrio con l’ingrediente principale; un piatto rettangolare o ovale può diventare una perfetta base di selezioni di ingredienti che devono essere consumati in un preciso ordine oppure può ospitare cibi che solitamente hanno come fondamento una trilogia delle preparazioni. La collocazione del cibo varia a seconda della forma del piatto in cui è servito, come detto, ma le forme delle creazioni, oltre ad essere ammirate, devono essere mangiate e quindi occorre molta attenzione a non realizzare scenografie e “impalcature” che rendono difficoltosa la degustazione e cercare quindi di garantire sempre un accesso comodo al cibo. Anche l’infinita varietà dei giochi cromatici esalta la potenzialità edonistica di un piatto. I colori sono veri e propri veicoli di messaggi che possono influenzare l’immaginazione del cibo ed il desiderio di mangiarlo. Generalmente sono preferibili i contrasti per la gradevolezza e vitalità del piatto. Nella fase della presentazione del piatto, dell’impiattamento, è quindi molto importante conoscere il significato attribuito ai vari colori, per accostarli ed esaltarli al meglio e per realizzare una composizione armonica e cromaticamente gradevole. Altri aspetti vanno tenuti presenti quali le consistenze, le decorazioni, e tutti gli altri accessori. Possiamo a buon diritto definire l’attività d’impiattare un’arte, si tratta in effetti di un esercizio che richiede esperienza e tecnica, ma soprattutto occhio e sensibilità estetica o artistica. Il cibo è una materia speciale capace di coinvolgere più di uno dei nostri sensi, non soddisfa solo il gusto ma appaga anche la vista, oltreché l’olfatto ovviamente. Per questo è molto importante saper “impiattare”: presentare
bene un piatto, disporre accuratamente e creativamente gli elementi che lo compongono può fare la differenza, facendo apparire invitante anche una ricetta molto semplice. Una presentazione accurata, oltre ad essere indice di attenzione nei confronti degli ospiti, può diventare anche un tratto distintivo dello chef e del ristorante, una specie di firma riconoscibile che aumenta il prestigio del locale. Cibo e arte hanno una relazione sempre più stretta, specialmente da quando il food è diventato materia di design, di fotografia, di performance. L’”impiattamento” ha ricevuto sempre più grande considerazione tanto che oggi non va tradotto letteralmente come “disegno”, bensì più ampiamente come “progetto”. Ecco quindi il Food Design, il design legato al nutrimento, che vuole dire molte cose: può riferirsi alla presentazione di piatti e pietanze, naturalmente, ma anche all’ideazione di oggetti che migliorino il rapporto tra uomo e cibo. Progetti “per il cibo” e “con il cibo”. Il Food design interessa sia l’industria della pubblicità per proporre e valorizzare i prodotti, sia tutte le aziende che realizzano utensili per la cucina, piatti, stoviglie, vasellame, bicchieri, posate, e quant’altro ruota intorno al cibo, sia cuochi o chef che per conquistare i clienti devono curare i dettagli dell’accoglienza e della presentazione delle pietanze: tutto deve essere predisposto per avvicinare piacevolmente all’esperienza della degustazione. Il Food Design è quindi la progettazione applicata al cibo, una disciplina nata a metà degli anni ’90 e l’attività del food designer è tra arte, cucina e ideazione e propone idee e progetti per condurre a un’esperienza gastronomica capace di coinvolgere la molteplicità dei sensi. Occorrono svariate competenze. Un po’ comunicatore, un po’ cuoco e un po’ architetto, per costruire letteralmente il piatto finito, uno che lavora affinché il cibo, oltre che buono, sia anche bello da vedere, ma il fatto mai da dimenticare è che il cibo deve essere il protagonista.
Elena Arzak
Ristorante Santceloni
Per le Foto un ringraziamento a Giorgio Dracopulos Enogastronomo e Critico Internazionale.
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Centro commerciale naturale a Marina di Campo. Priscilla Braccesi
La realtà urbana è una forma complessa in continuo mutamento costituita da sistemi ambientali, viabilistici, d’attività creative e culturali che influiscono sul modo in cui percepiamo l’ambiente, conferendo carattere e valore all’ambiente urbano stesso. La sequenza degli spazi, le reti stradali, i sistemi d’attività, le aree verdi, i monumenti, le aree degradate, agiscono sull’individuo attraverso la memoria, l’orientamento e la percezione dell’ambiente, creando in loro sensazioni di benessere o insicurezza, di soddisfazione o bisogno. Analizzare problemi, difetti e disfunzioni, esigenze e valori per costituire strategie d’intervento che agiscano sull’intera città o su parti di questa per “attivare” spazi urbani stimolanti, vitali, di interesse per gli abitanti dove è più semplice relazionarsi e “controllare” le situazioni tipiche di disagio.
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L’intervento ricade nel centro storico di Marina di Campo, tipico paese elbano, con un lungomare di notevole pregio, un nucleo storico di grande impatto, piazze, piazzette, vicoli, scalinate. L’area del porticciolo con i suoi negozi e bar con spazi esterni vive di giorno e di sera, soprattutto tra le due piazze: Piazza Vittoria e piazza della Fontana offrendo aree di sosta pedonali sui muretti lungo mare e nelle sedute distribuite lungo il percorso. Le difficoltà principali sono causate dalla commistione di flussi di attraversamento pedonali e veicolari per residenti, in aree, spesso, di ridotte dimensioni oltre a zone di sosta per autoveicoli e ciclomotori che ne ostacolano il flusso. La doppia valenza dello spazio pubblico ovvero luogo d’incontro di turisti, famiglie con bambini nel periodo estivo, sovraffollato e caotico e luogo di mediazione, di lavoro,
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per i pochi residenti invernali con possibilità di circolare con autovetture crea difformità di vedute sulle esigenze effettive dell’area oggetto d’intervento. Le vie commerciali del centro in estate si riempiono di turisti, i negozi riaprano, ci sono bancarelle, mercatini, arredi esterni di bar e ristoranti, la viabilità è sospesa per gli esterni a favore dei pedoni, ci sono giochi per bambini e aree temporanee destinate allo spettacolo, poco viene lasciato alla lettura del luogo, alla comprensione della storia, delle abitudini locali, delle esigenze locali, al godere della natura circostante con colori, profumi e sfumature uniche. D’inverno il paese si svuota, le macchine parcheggiano nel centro, le vetrine dei negozi chiuse, pochi i ristoranti ed i bar in funzione, le mareggiate bagnano le piazze lungomare e i muretti che le costeggiano ma il paese può essere letto e vissuto nella sua vera essenza. L’intervento di riqualificazione riguarda le ultime parti del centro storico non ancora sistemate: Via della case Nuove, strada a fondo cieco, caratterizzata da ridotte dimensioni, edificata sui fronti, con un noto ristorante al termine; un garage e una strada privata interna obbligano a mantenere il doppio senso di circolazione; via Garibaldi strada interna di collegamento tra le piazzette,
parallela al lungomare, protetta dai venti ma di ridotte dimensioni, poco possibilità di sosta per pedoni e nessuna per autovetture, affaccio per negozi e per la Chiesetta del porto San Gaetano; Piazza Giovanni da Verrazzano conclude questo percorso, riportando l’utente sul mare, vista golfo, vista porto. La piazza sopracitata era caratterizzata da uno spazio semi-ovale, a parcheggio, priva di sedute, un solo grande pino marittimo la sovrasta, illuminata da fari, non vissuta dal turista che preferisce fermarsi prima non sentendosi attratto se non da qualche attività commerciale. Le scalinate tipiche del paese arrivano direttamente alla piazza, la parte rialzata concede anche una delle viste più belle del golfo, esposta a nord, fresca in estate grazie alla brezza marina, battuta dal vento d’inverno, resta forse la piazza degli abitanti del loco, poco nota ai turisti. Storicamente la piazza era destinata a deposito del granito locale prima dell’imbarco per il continente; gli abitanti più anziani ricordano ancora la polvere di granito e il grande movimento legato al commercio che questa piazza rappresentava: luogo di scambio, di contrattazioni e di incontro; vocazione oggi sopita da recuperare. Riqualificare l’immagine urbana del centro storico
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puntando sulla storia, sulle tradizioni, sulla memoria, per rispondere ad esigenze attuali d’uso e d’immagine. Recuperare le tracce della storia, raccontare una evoluzione garantendo sicurezza, salubrità, vivibilità degli spazi a tutte le fasce di utenza. La piazza come luogo simbolo. La Piazza da Verrazzano diventa, “Faro”, polo attrattore elemento orientante per chi guarda il paese, racconto di una storia recente ma anche fulcro di un sistema di spazi commerciali, raggiungibile con la macchina ma destinata ai pedoni. Spazio pubblico che recupera l’identità locale per rispondere anche ad esigenze attuali d’uso e di immagine. Le “grandi isole”, sedute in legno e granito, diventano un gioco per i giovani e un gesto semplice per adulti e bambini; i “giardini di pietra” segno della memoria oggi gioco per bambini; la “bussola” per trovare la rotta al porto, palco o seduta con indicati i punti cardinali anche di notte mediante led a piede; la parete di s-fondo, quinta morfologica della piazza, rivestita in legno, come segno, elemento di simbolo del porto e delle imbarcazioni storiche, memoria delle imbarcazioni. Il percorso si snoda all’interno del centro storico passando dalla Chiesa di San Gaetano col suo piccolo sagrato poi in via Garibaldi, luogo di commercio e vitalità con le sue strettoie e le successive aperture verso il mare. Si eliminano le barriere architettoniche dei marcia-
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piedi, si ripristina il manto stradale con granito locale; nuove sedute in corten e legno trattato ad olio, nuovi cestini porta rifiuti e porta biciclette singole, per permettere una migliore circolazione ai pedoni, una maggiore possibilità di sosta alla scoperta di scorci pittorici e di realtà commerciali. Le luci segna passo amplificheranno l’effetto all’imbrunire. Si potenzia il sistema verde inserendo ove possibile fioriere, alberi di “schinus molle” nelle sedute, illuminando il grande pino marittimo “emergenza verde” del golfo, i due alberi fronte chiesa e i rampicanti presenti. Via della Case Nuove con la sua stretta imboccatura, diventa il luogo da scoprire, ri-pavimentata come fosse una scalinata storica, eliminate le barriere architettoniche e gli ostacoli del parcheggio , per creare una “nuova” piazzetta con sedute in legno, fioriere e luci d’atmosfera. La carrabilità resta garantita nei due sensi, si ipotizza un rilevatore luminoso per non creare all’ingresso della stessa ingorghi e inquinamento da gas di scarico soprattutto nel periodo estivo di grande affollamento. Cambiare immagine ad uno spazio oggi poco accogliente può innescare una rivitalizzazione soprattutto del commercio, legarlo alla storia locale può farlo diventare parte dell’insieme. Escludere la sosta veicolare in certi periodi dell’anno, escludere anche il passaggio veicolare garantendo però
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i servizi base per carico scarico merci e ingressi per i residenti o i mezzi di soccorso; avere una connotazione architettonica univoca ma garantire la molteplicità di usi e funzioni. Il turista, ma anche il residente, naturalmente sarà portato a passeggiare fino al porto, alle scalinate, godendo di scorci mozzafiato, apprezzando le qualità architettoniche degli edifici presenti e dei servizi offerti. Spazio pubblico per incontrarsi, sostare, comunicare ma anche per spettacoli, eventi, manifestazioni, mostre d’arte all’aperto, garantire flessibilità e riconoscibilità. L’illuminazione pubblica terrà conto di questo proponendo due linee diverse con possibilità di decidere gli scenari da valorizzare a seconda della necessità, confort visivo legato all’uso dello spazio, luce diffusa per godere dell’ambiente naturale e luce di servizio e sicurezza. Una volta stabiliti gli obiettivi e le strategie di intervento sull’area, con l’Amministrazione Comunale e le Commissioni abbiamo lavorato sulle alternative di progetto, valutandone i pro e i contro, utilizzando come base di dialogo tavole e rendering. Le essenze arboree, i materiali scelti e l’organizzazione delle aree a parcheggio sono state concordati non dimenticando la gestione delle manutenzioni annuali. Tecnici, politici e associazioni locali hanno dialogato con progettista al fine di ottenere uno spazio “condiviso”. Riqualificare l’immagine nella zona del porticciolo ha innescato un effetto “volano” sulla popolazione;
a distanza di due anni dalla realizzazione del progetto sono visibili gli effetti indotti sullo spazio circostante e sull’utente, residente o turista occasionale. I privati hanno cominciato a sistemare le facciate degli edifici prospicienti la piazza; i commercianti si prendono cura delle piante nelle fioriere e degli spazi di mediazione; si interessano presso il Comune della manutenzione dei luoghi, si rispettano le aree di parcheggio soprattutto per le molte biciclette nel periodo estivo; i turisti scoprono una parte del centro che non avevano mai visitato, portando rivitalizzazione anche alle attività commerciali presenti che stanno trasformandosi a loro volta; gli eventi legati al sociale vengono svolti in questi luoghi “rigenerati” considerati adesso di “pregio”; l’arrivo della maratona, le varie feste paesane, presentazioni di libri e festival musicali trovano qui la loro collocazione naturale. La chiesetta di San Gaetano, le sue facciate illuminate, le aree di sosta sul sagrato, ombreggiate vivono anche oltre la messa; la “piazzetta protetta” creata in via delle Case Nuove ha permesso ai ristoranti presenti di posizionare all’esterno i tavoli acquistando spazio di qualità estetica e funzionale nel rispetto dei luoghi. La rigenerazione dello spazio urbano ha migliorato la percezione dell’area del porto rendendolo un luogo “identificativo e orientante”, la zona crea interesse e discussione tra turisti e residenti.
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In trasferta in trasfromazione. Eugenia Re
Da due anni a questa parte sto avendo la fortuna di lavorare e vivere in una capitale in espansione,Varsavia. Non posso nascondere che l’inizio non e’ stato facile anzi a ripensarci non ricordo nemmeno il momento in cui tutto ebbe inizio, e’ successo e basta, un giorno abitavo a Roma in Via Cola di Rienzo (considerata una delle arterie piu‘ chic dello shopping capitolino) e due giorni dopo mi ritrovavo qui, sola in una citta’ nuova a fare l’architetto. Si, a fare l’architetto, perche’ prima di quel lunedi mattina la mia vita era fatta di libri letti a Villa Pamphili , disegni fatti nel giardino di Valle Giulia nel caos e nella goiliardia che solo chi ha frequentato quel posto conosce, giovedi sera passati al Lanificio 159 e le famose “chiuse” pre-esame a Fregene nella casa al mare di un’amica. Da quel lunedi 13 giugno tutto cambio’, prese un’altra forma ed io pure iniziai a trasformarmi. Inizialmente rifiutavo la realta’, era come se tutto
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quello che accadesse non mi riguardasse, pensavo di vivere nel corpo di qualcun’altro, ero lo spettatore di me stessa, “questione di tempo sarei tornata alla mia solita vita” mi dicevo, anzi ne ero convinta, e vi giuro che non mi drogavo. Tutti sempre mi chiedono perche’, perche’ ho lasciato un cosi bel paese, un cosi buon cibo, il sole, il mare le feste. Forse proprio per tutto questo; per tutte le feste da cui probabilmente sarei stata inghiottita, per tutto quel sole che da meta’ aprile fino a settembre mi avrebbe tenuto al mare con le amiche e per tutti quei possibili amori italiani a cui non sarei stata in grado di rinunciare e mi avrebbero impedito di diventare chi sono. ‘Diventare chi sono’ e’ una frase che sentii per la prima volta nel film “Carissima me” e mi colpì immediatamente, iniziai a guardarlo abitualmente durante tutto il terzo anno accademico, guardare forse non e’ il termine piu’ corretto visto che lo usavo come sottofondo mentre studiavo, ormai
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conoscevo le battute a memoria e di tanto in tanto lo recitavo pure. La protagonista del film, Margaret, è una donna in carriera dal pugno di ferro. Ma il giorno del suo quarantesimo compleanno, un notaio di una piccola provincia le invia delle vecchie lettere che si era spedita quando aveva sette anni: una corrispondenza che aveva scritto da sola “nell’età della ragione”. Rileggendole una a una, si immerge in ricordi nascosti, situazioni dimenticate, i primi amori, giochi e ambizioni che fanno vacillare tutte le sue certezze e rimettono in questione la sua vita. Perché da adulta è diventata il contrario di quello che desiderava da bambina ma grazie alle lettere, al suo vecchio amore d’infanzia ed al notaio e‘ riuscita a tirare fuori il coraggio e la grinta per diventare finalmente chi sognava di essere. Inoltre divenne mamma e questo le ha permesso definitivamente di ‘rimettere le cose a posto’. Siccome a 7 anni non avevo scritto lettere da farmi recapitare quando ne avrei avuti 40 pensai che partire fosse la cosa migliore da fare. Cosi’ laureata da pochi mesi all‘Universita’ di Roma Ludovico Quaroni ed appena iscritta all‘Albo raggiunsi il team dello studio APA Wojciechowski di Varsavia dove avevo gia’ fatto uno stage estivo e mi ero trovata molto bene. Questo studio conta circa 120 persone tra architetti,
designer e tecnici; la sede principale e’ a Varsavia, ma c‘e’ poi Danzica con il suo team, Krakowia e Łodz,inoltre vi sono varie persone sparse in altri paesi a seconda dei cantieri, come in Russia e Ucraina. I progetti passano dalla grande alla piccola scala senza alcun problema, questo grazie alle immense capacità dei progettisti che vengono sapientemente guidati e seguiti passo dopo passo dai validissimi manager. Tra i numerevoli cantieri di questo periodo lo Skyliner che con i suoi quasi 200m sarà uno degli edifici più alti della capitale ha sicuramente molta risonanza per il panorama economico-finanziario europeo, oppure in questo mese avverra’ la tanto attesa apertura del lussuoso Hotel Europejski Raffles che a più di 160 anni dal suo apogeo del 19 ° secolo, si colloca nuovamente nel cuore della città vecchia. È un hotel pieno di storie, un edificio con l’anima, un luogo che è rimasto nei cuori e nei ricordi, anche se la forma e le fortune della città che la circondano sono cambiate. Una dei nostri principi fondamentali è quello di non seguire mai le mode del momento che come si sa, passano, ma di ascoltare il posto, perchè ogni luogo ha una storia, un suo carattere, una propria identità da capire ed a cui dare vita. Fin da subuto ho affiancato l’architetto americano con cui avevo lavorato precedentemente, un uomo brillante,
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simpatico, sopra le righe con una grande esperienza tecnica alle spalle a cui non manca mai il coraggio di osare e sperimentare. Uno dei suoi pregi piu‘ grandi e’ quello di saper mettere le persone a proprio agio pronto ad ascoltare nuovi pareri, anche i miei che sono da sempre un ‘po “out of the box”. Tutto molto bello senonche io per le prime due settimane non avevo la minima idea di quello che stava accadendo. Questi primi 10 giorni avevano tutti lo stesso tragico inizio e l’ancor piu tragico finale. Gia’ alle 8.30 ero alla mia postazione, pc accesso carta e penna sotto mano perche‘ di li a poco mi avrebbe chiamato il mio capo dal vivavoce della macchina, per darmi indicazioni su quello che c’era da fare e sulle varie riunioni della giornata. Ragazzi il panico, prima ancora che il telefono squillasse mi sudavano le mani, tant’é che una volta durante una telefonata mi si sciolse un cioccolatino in tasca. Prendevo appunti ma per lo piu’ erano scarabocchi che poi facevo fatica a decifrare, una volta decifrati pero’ era ancora peggio perche’ non sapevo cosa farci o cosa fossero, erano per lo piu’ abbreviazioni di cartelle o nomi di file che non sapevo dove trovare, era una vera odissea perche’ una volta trovati questi file e capito cosa ci dovevo fare, non lo sapevo fare. Cosi’ iniziai a crearmi delle sfide, “se entro un’ ora non mi riesce vado dal dirigente lo ringrazio per l’opportunita’ ma gli dico che me ne vado” e cosi sfida dopo sfida il tempo scorreva e io dal dirigente non ci andai mai. Questo grazie anche al resto del team, solidale e ben strutturato che non mi ha mai fatto sentire sola e mi ha
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sempre aiutato, perche’ nonostante 120 sia un numero elevato di colleghi qui ci si conosce tutti e ci si sente come in famiglia, si festeggiano insieme compleanni, onomastici vittorie e sconfitte. Tornassi indietro prenderei la decisione di essere qui altre 57 volte perche’ sento che sto facendo quello per cui sono partita, essere parte di questo ufficio mi fa sentire che ‘qualcosa sta accadendo’, che ci siamo, e non solo perche’ ho la fortuna di andare in un cantiere molto movimentato di cui per il momento non posso parlare ma anche perche’ la citta’ intorno cambia, cresce si innova e vibra. Nata probabilmente intorno al X secolo ha superato con successo molti periodi bui, l’occupazione russa, l’invasione tedesca, la deportazione degli ebrei ed il comunismo, ma dal 1989 con le prime elezioni libere fu l’inizio del boom econimico che continua tutt’ora. Varsavia capitale dello stato, è la zona che per eccellenza ‘attira’ capitali, industrie, aziende ed investimenti stranieri. Oltre ad essere famosa per le sue attrazioni turistiche, è anche il più grande centro accademico, politico e culturale del Paese. La città vecchia è entrata nella lista dell’UNESCO tra i centri storici patrimonio dell’umanità. Intorno ad essa, ed ai suoi bellissimi edfici colorati storici tutto il resto e’ in fermento. Questa contrapposizione tra la calma delle stradine in sanpietrini attraversate da carrozze per turisti e violinisti underground e i grattacieli sempre piu’ alti sempre piu’ fitti creano un’atmosfera unica. Concludendo mi sento di definire questa citta’ con tre parole; tenace, aperta, fluorescente ed invito tutti a passarci un weekend all’insegna della curiosita’ e del divertimento.
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Lavorare e vivere nel futuro, lo studio nello zaino. Daniele Menichini
In questo mondo veloce e frenetico in cui dobbiamo imparare a pensare meno “ego” e più “eco”, proviamo ad immaginarci come tra qualche anno seguendo la contemporaneità dell’economia circolare o meglio quella dello “sharing”, la nostra vita familiare e professionale possa potrà cambiare. La nostra casa sarà molto probabilmente frutto del piccolo ampliamento di qualche più vecchia abitazione che, per essere resa più competitiva nei costi di gestione sarà diventata più piccola e suddivisa in più piccole proprietà che daremo o prenderemo in affitto. Il tetto della nostra casa sarà sicuramente un tetto verde con un bell’orto urbano dove potremo coltivare le verdure che soddisfano il bisogno dei nostri pranzi e delle nostre cene con un percorso sano, genuino e a kilometro zero che sarà concimato non i nostri stessi rifiuti organici che, attraverso un digestore, saranno diventati il compost da utilizzare sul terreno per far crescere la vegetazione rigogliosa. Al mattino ci sveglieremo e dopo esserci preparati con la famiglia, con una semplice “app” andremo a prenotare l’auto che ovviamente non sarà più di proprietà ma che
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useremo per il tempo necessario ad arrivare da casa allo studio; in attesa faremo colazione nel nostro spazio living polifunzionale e leggeremo le notizie su uno dei nostri device elettronici. Arriveremo allo studio che, senza neanche doverlo sottolineare, sarà uno postazione condivisa con altri professionisti oggi in un luogo e domani in un altro in base a dove dovremo lavorare. Il nostro lavoro di Architetto sarà nell’ambito del riciclo dei materiali e del riuso degli spazi, essendo quello ambientale il problema del futuro, saremo riusciti a capire come far diventare il rifiuto una risorsa e come utilizzarlo in ambito energetico per climatizzare gli spazi di vita dei nostri progetti o come riutilizzare il rifiuto per dare vita a nuovi materiali per la ricostruzione e la rigenerazione degli ambienti di vita dei nostri clienti. Oggi qui domani là, il nostro sapere, la nostra cultura ed il nostro lavoro potranno essere contenuti in un semplice zaino dove con un portatile, un hard disk, una powerbank ed una connessione internet potremo gestire tutti i nostri percorsi e le nostre idee progettuali. Alla fine della giornata “nine to five” sul modello
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anglosassone, avremo il tempo di farci consegnare quel pacco che aspettavamo da un drone e nell’attesa andremo a prendere una birra con i colleghi di lavoro da un cliente che la produce nella sua piccola fabbrica recuperata da un vecchio edificio dismesso, utilizzando del luppolo biologico e mentre la sorseggiamo guarderemo le previsioni economiche del nostro bilancio familiare per verificare qual è la tendenza delle nostre spese per la casa e la famiglia e verificare come ottimizzarle per poter programmare per esempio un weekend in qualche bella micro-architettura immersa nel paesaggio. Poi prenoteremo, sempre con una utilissima app, di nuovo un’auto per rientrare a casa e che il sistema di guida senza pilota ci porterà direttamente davanti al nostro luogo di riferimento e nel viaggio fino a casa avremo avuto modo di sentire con uno scambio di messaggistica istantanea tutto il resto della famiglia per decidere che cosa fare nella serata dopo cena, probabilmente ci sarà ancora del lavoro da fare perchè il nostro lavorare smart ci avrà consentito di diluire i nostri impegni durante la giornata se pur con scadenze ben precise. Adesso penserete che io mi sia inventato questo futuro modo di vivere e di lavorare, senza pensare che tutto questo è già in parte in uso e che ci manca in realtà solo la capacità di metterlo a sistema e pensare che una volta che tutto questo sarà reale cambierà davvero il nostro modo di lavorare e cambierà soprattutto il nostro modo di progettare lo spazio urbano ed abitativo; le nostre città si densificheranno per evitare lo spreco di suolo e le nostre case di 100 metri quadrati diventeranno di 50 per recuperare quello
spazio urbano che manca, non concepiremo più spazi con stanze chiuse che hanno ciascuna una specifica funzione, ma penseremo a spazi fluidi ed indivisi che si adattano alla nostra giornata e che saranno probabilmente adatte sia all’abitare che al lavorare contemporaneamente proprio perchè tutto il nostro lavoro potrà stare in quello zaino che facilmente potremo mettere in spalla per seguire i nostri clienti sempre più nomadi come noi. Gli spazi diventeranno strettamente necessari, funzionali e seguiranno le nostre esigenze senza che si debba essere noi a rincorrere gli spazi stessi. La creatività del nostro lavoro sarà ancora più emergente perchè avremo imparato a cambinare tutti gli elementi di base del nostro sapere in modo ancora più intelligente e condiviso, ma soprattutto avremo imparato a progettare nel modo giusto ovvero avendo rispetto per il nostro pianeta e per il nostro ambiente superando l’attuale concetto di sostenibilità trasformandolo in quello di responsabilità. Vivere e lavorare nel futuro prossimo non potrà prescindere dall’innovare il nostro lavoro che, essendo strettamente legato al settore delle costruzioni, è stato quello meno innovativo rispetto a tutti quei settori che sono cresciuti vertiginosamente … oggi uno smartphone può fare un caffè e speriamo che non arrivi mai il momento in cui potrà progettare anche una casa del futuro, questo pur avendo l’ufficio in uno zaino dovremo continuare a farlo noi … prepariamoci a mettere quelle poche cose nello zaino e ad essere visionari, pragmatici, sognatori, responsabili, coraggiosi senza mai dimenticare di praticare con tutto questo la realtà.
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