L'Oblò sul Cortile_Giugno2012

Page 1

NOME SOCI E TÀ

A N N O VI — N UM E RO VII G IUGN O 2012

Giugn o2 012

Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci, Milano


A N N O VI — N U M ER O VI I

P A GIN A 2

L’Editoriale Ricomincio da tre di Chiara Compagnoni “Me ne vado, nun c’a fazz cchiù. Chello ch’è stato è stato. Basta... ricomincio da tre” “Da zero” “Eh?” “Da zero: ricomincio da zero” “Nossignore, ricomincio da... cioè... Tre cose me so' riuscite dint'a vita, pecché aggi'a perdere pure chelle? Aggi'a ricomincià da zero? Da tre!” Così Troisi nel suo film “Ricomincio da tre” dichiarava il desiderio di ricominciare, di lasciare Napoli, di andarsene e di ripartire non da zero, ma da tre, da ciò che gli era riuscito nella vita e che aveva perciò intenzione di salvare. Con il liceo spero di concludere quest’anno un capitolo da ricordare, da poter annoverare tra una delle mie tre cose riuscite. Arrivata al Carducci cinque anni fa avevo due propositi, due soli pensieri: studiare con più passione possibile ogni materia per ottenere ottimi risultati e diventare redattrice del giornale scolastico. La seconda pare sia riuscita efficacemente: scrivere era ed è rimasta per me la soddisfazione più grande, la forma più spontanea di espressione, e lavorare in questo giornale mi ha permesso non solo di parlare regolarmente a coloro che hanno avuto la pazienza di leggere un periodico redatto con dedizione e impegno da studenti che a loro volta hanno trovato sempre la voglia di comunicare qualcosa alla scuola, ma mi ha permesso di organizzare un prodotto che in questi pochi ma lunghi anni ha cambiato forma, contenuti, opinioni e ha cercato di migliorare la propria qualità. Il primo proposito invece è stato soddisfatto all’inizio con grande coerenza, per poi perdere quest’ultima con il passare del tempo e con il sopravvento

della consapevolezza di non poter sempre destreggiarsi tra mille impegni e altrettante passioni, ma di dover talvolta cedere il passo a solo alcune attività e soprattutto allo studio. A queste due soddisfazioni si aggiunge la terza importante conquista liceale: la conoscenza degli amici, che stando alle leggende popolari pare ci si trascini con sé per il resto della vita. Le amicizie del liceo sono state le più interessanti, le più intense, le più amate e le più odiate, saranno realmente le più ricordate? Cercherò di tornare per farlo sapere a eventuali curiosi, nonostante l’ambiente scolastico subisca un continuo mutamento e già ora le mie conoscenze siano completamente alterate da quelle che feci appena giunta in quarta ginnasio. E allora io ricomincio da queste tre cose, che per ora mi sono riuscite e che posso e devo attribuire tutte al liceo, al Carducci, al Cardo, al Giòsue (o come preferite chiamarlo), a quello che è stato e sarà il mio liceo, il nostro liceo, pieno di insidie, di travagli, di antipatie, di paradossi, di lotte, eppure apparentemente così armonioso, così tranquillo e sì, bisogna dirlo, così accogliente. Nonostante il pensiero della temuta interrogazione, dei professori leggendariamente nemici per natura dello studente, l’ingresso ogni mattina al sorriso della Signora Elena e a quello dei compagni di classe e di sventure mi ha sempre rincuorata, lontana dalla noiosa casa, dalla solitudine dello studio pomeridiano; anche perché, contrariamente alle mitologiche voci, abbiamo avuto, tra le altre, l’opportunità di conoscere Professori che

Il cruciverba

hanno saputo guidarci e stimolarci oltre che insegnarci. Possono sorgere nei cinque anni dei dubbi sulle scelte compiute, ma nonostante la fatica vissuta non mi pento di aver preferito il Carducci o il classico ad altre scuole, ad altri indirizzi. E ricordando la Professoressa Gusmini che cita Virgilio: “...forsan et haec olim meminisse iuvabit” (“forse un giorno sarà bello ricordare anche questo”, Eneide I, 203). Voglio ringraziare tutti i miei redattori e i miei compagni degli anni scorsi per essermi stati vicini, per avermi sopportata, per aver voluto essermi amici, per avermi criticata o per avermi appoggiata e voglio dire a loro e a tutti: il liceo è una risorsa, non sprecatela studiando esclusivamente sui libri, ma assorbite molto dall’ambiente, vivete nella società, cercate sempre di esprimere le vostre opinioni, temete invece, come diceva Michele Serra, chi pretende di avere la verità, e manifestate contro chi cerca di imporvi la propria, sperimentate il più possibile, se volete scrivere della realtà che vi circonda non fermatevi a notizie autorevoli e affidabili ma uscite e informatevi in prima persona, verificate sul campo, non accontentatevi mai di un’unica versione del mondo, scopritele tutte e trovate la vostra, e soprattutto partecipate, partecipate per essere liberi, per sentirvi più liberi di quello che vi dicono potreste essere. Con questo vi auguro come sempre e per sempre Buona lettura attiva Arrivederci, Carducci

a cura di Mattia Sanvito

ORIZZONTALI 1. Serve d’inverno – 12. Divinità nordica – 13. Paesaggio particolare – 14. Voglio… ai tempi di Dante – 15. Idrocarburo semplice – 16. Feat nelle canzoni (abbr.) – 17. … Lemà Sabactàni? – 19. Distorcere, modificare l’indole – 21. Bufera di neve – 23. Ministero Istruzione, Università e Ricerca – 24. Mare che bagna l’Italia Meridionale – 25. Linee poetiche – 26. Ingresso, passaggio – 27. Lontana – 28. Così salutavano i morituri – 29. Quella social potrebbe “salvare” l’uomo secondo Leopardi – 30. Suffisso che raddoppia – 32. A lei Milano ha soffiato l’EXPO – 34. Spesso contrasta con il reale – 36. “Ufficio” del regista – 37. In mezzo a loro – 38. Preposizione semplice – 39. Napoli – 41. Si ottiene quando si paga più del dovuto – 43. Ranking tennistico – 45. Possono essere di struttura o da ponte – 48. Altari romani – 49. Arma di terrificante potenza VERTICALI 1. Quello più famoso nella storia fu quello ardente – 2. Falso dio – 3. Un Inzaghi calciatore (iniz.) – 4. Consiglio Nazionale delle Ricerche – 5. Sta nel cuore del Laos – 6. Non più recente – 7. La propria donna – 8. Più per meno – 9. Smisuratamente – 10. Alle porte di Novara – 11. Famosa è quella della Luna Piena – 15. Autore degli Annales – 16. Sprona i cavalli al galoppo – 18. Una parte dell’occhio – 19. Percepisco – 20. Così è anche chiamato il Novara – 22. Dativo di εγώ – 25. Entrandovi bisogna fare molta attenzione – 26. Cupidigia – 27. Gheddafi lo era in Libia – 28. Calciatore blaugrana – 29. Centimetro – 31. Sostenitore accanito – 32. Ipotesi – 33. Lo è colui che muore per la patria – 35. Sono uguali nel rombo – 37. Antico contenitore di liquidi – 40. Royal Air Force – 42. Lo zio americano – 44. Pordenone – 46. È insieme allo zero in una raccolta di racconti di Calvino – 27. Sei romano


A T T U A L IT À

G IU GN O 2012

P A GIN A 3

A scuola si dovrebbe morire solo di noia

S

di Martina Calcaterra contrario, ha sempre fatto ricorso al tritolo più avvalorate, a suscitare clamore è la coin-

abato 6 maggio alle ore 7,45 un ordigno, probabilmente innescato da un comando a distanza, ha generato una spaventosa esplosione davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, provocando la morte di una studentessa ed il ferimento di altre sei. La vittima si chiamava Melissa Bassi e aveva solamente sedici anni. Come le sue compagne era davanti alla propria scuola, in attesa di entrare per l’inizio delle lezioni. Le indagini, coordinate dal Procuratore Capo di Brindisi Marco Dinapoli, vanno in tutte le direzioni senza tralasciare alcuna pista, con uno spiegamento di forze enorme, equamente suddiviso tra polizia e carabinieri, con la scientifica ed i RIS che stanno analizzando con attenzione i resti della bomba trovati sul luogo della tragedia. Tre sono comunque le ipotesi sulle quali gli investigatori si stanno muovendo: -La pista mafiosa della Sacra Corona Unita -La strage terroristica -Il gesto isolato di un folle Al momento, come già detto, nessuna ipotesi viene scartata a priori, sebbene quella che nelle ultime ore sta prendendo più corpo è quella del gesto sconsiderato di un folle. Il perché di tale scelta è presto detto. Gli inquirenti tendono ad escludere la pista della Sacra Corona Unita per diverse ragioni. In primo luogo quella scuola era frequentata da figli e nipoti di importanti membri di tale organizzazione. In secondo luogo il tipo di esplosivo adoperato (bombole di gas) non è assolutamente usuale per la mafia che, al

per attentati di questo genere. C’è da considerare poi che nel mirino della mafia non c’è mai stata la gente comune, bensì magistrati, carabinieri, giornalisti e via dicendo. Inoltre, un attentato di tale nefandezza ha di fatto blindato la città di Brindisi, ostacolando tutti gli affari della Sacra Corona Unita. La quale – a ulteriore riprova del suo mancato coinvolgimento – si è persino resa disponibile a collaborare in ogni modo alla cattura dei colpevoli. Per quanto riguarda poi la pista terroristica, due sono le ragioni principali che spingono gli inquirenti verso la sua esclusione: -Non c’è stata alcuna rivendicazione -Mai sino ad ora era stato preso di mira un istituto scolastico Alla luce di tali considerazioni rimane l’ipotesi di un gesto isolato di un folle o di qualcuno che potesse avere motivi di rancore verso qualcuna delle vittime dell’esplosione. Quel che appare certo è che, in ogni caso, l’obiettivo del responsabile era senz’altro compiere una strage, in quanto l’orario prescelto era proprio quello in cui gli studenti sono soliti entrare in classe. Il che denota una meticolosa pianificazione dell’azione in ogni suo momento. Il quadro si fa più nitido ora che la polizia è entrata in possesso di una videoregistrazione filmata da una telecamera di sicurezza che sembrerebbe avvalorare la tesi del comando a distanza: le immagini ritraggono infatti una persona che, poco distante dall’ordigno, sembra azionare un telecomando, per poi allontanarsi velocemente. Gli inquirenti stanno dunque procedendo ai primi riscontri. Al di là delle ipotesi

cidenza della data della strage con il ventesimo anniversario della strage di Capaci, dove persero la vita per opera della mafia il giudice Falcone, sua moglie e i membri della scorta, e il fatto che tale gesto sia avvenuto in una scuola intitolata proprio a Giovanni Falcone e alla moglie. Che tutto ciò sia una pura casualità o meno, resta comunque il fatto certo e innegabile della paura reale, della paura lecita di ragazzi che ormai non si sentono più sicuri e tutelati quando varcano la soglia della propria scuola. E questo è proprio quello che invece non deve accadere. E’ comprensibile che ciò possa avvenire, ma è necessario riuscire con tutte le nostre forze a reagire. La scuola è la fucina del sapere, l’istituzione dove i ragazzi imparano a diventare dei cittadini responsabili e consapevoli all’insegna della legalità, dove si plasmano le generazioni future. E’ un luogo dove gli studenti hanno il diritto di sentirsi al sicuro. Tutto ciò deve continuare e deve essere preservato. Nella lettera che il Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha mandato a tutti gli studenti, sono proprio questi i temi trattati. Lo Stato deve essere sempre e subito presente in momenti come questi per far sentire la propria vicinanza e la propria reazione di fronte a gesti così inumani. Ma soprattutto, ha continuato il Ministro, “non bisogna cadere nella trappola della paura, dobbiamo sapere dire no e, quindi, mi aspetto che tutti domani tornino a scuola per dare un segnale importante in tal senso”. Ebbene tutti gli studenti sono tornati a scuola, hanno dato il loro segnale importante, non si sono lasciati intimidire. Aspettiamo fiduciosi che anche lo Stato dia le sue risposte importanti, chiudendo al più presto le indagini ed arrestando gli autori di questo misfatto. Con la speranza che questa non passi alla storia come l’ennesima strage rimasta impunita.

Per Falcone e Borsellino di Chiara Conselvan commemorare proprio a scuola i magistral 23 Maggio è ricorso il ventennale ti antimafia, che più hanno lavorato per la dell’omicidio da parte della mafia del sicurezza dello Stato, ha riscosso un granmagistrato Giovanni Falcone. Con lui e de successo tra studenti e professori; la Capaci sono morti la moglie e tre agen- dirigenza ha invece taciuto. Nonostante ti. Due mesi dopo anche Paolo Borsellino ha ciò, durante l’intervallo, un folto gruppo di subito la stessa sorte insieme ragazzi e docenti si è agli uomini della sua scorta. E’ “partirà dal CdI la richie- riunito davanti all’Aula in memoria di questo che un sta di un’intitolazione Magna. Il nostro rapgruppo di studenti e professo- ufficiale alla Provincia” presentante d’istituto ri, guidati dalla prof.ssa MaSimone Zanin ha fatto scellani e dal prof. Farina, hanno pensato di una piccola introduzione all’intitolazione, intitolare la nostra Aula Magna a Falcone e lasciando poi la parola al prof. Giovannetti, Borsellino, sia pure simbolicamente e uffi- che ha esposto brevemente l’importanza ciosamente: l’iter burocratico è molto lungo storica e sociale dei due magistrati e ha e partirà dal CdI, il quale ha però avuto luo- insistito su quanto la mafia rappresenti go il 31 Maggio. Soprattutto in seguito agli realmente l’anti-Stato, e sia un cancro per eventi che hanno segnato Brindisi e hanno tutti noi. Dopo di lui la prof.ssa Anna Maria messo in allarme tutta Italia, la proposta di Frigerio ha spiegato che una vicenda del

I

genere non richiede solo la capacità di emozionarsi, ma deve soprattutto far nascere dentro di noi la consapevolezza dei fatti accaduti e di un problema che ancora oggi mina la nostra sicurezza. La targa per il momento consiste in uno striscione di carta appeso sopra la scritta: “la (p)rovin(ci)a di Milano”, ma è probabile che parta dal CdI la richiesta di un’intitolazione ufficiale alla Provincia stessa, proprietaria dell’Aula Magna. Per il momento agli studenti del Carducci, che come me condividono pienamente questa iniziativa, basta anche solo guardare quella scritta, ricordare i due magistrati ed essere fieri che la propria Aula Magna abbia finalmente un nome, il quale, proprio perché evidenziato con uno striscione fai-date, rappresenta la voglia che tutti noi abbiamo di commemorare per non dimenticare.


P A GIN A 4

A T T U A L IT À

A N N O VI — N U M ER O VI I

Intervista all’Assessore alla Cultura Stefano Boeri e a Francesco Purpura, attivista del movimento Macao

di Chiara Compagnoni Macao è un esperimento, un movimento, un’idea che ancora deve modellarsi sulle esigenze e sulle proposte dei cittadini milanesi e che è nata dal desiderio dei lavoratori Macao, data la decisione degli occupanti di dell’arte di trovare uno spazio ideale e concremantenere a seguito dell’accaduto il silenzio to al tempo stesso per poter amministrare stampa, ma il suo obiettivo è ormai dichiaraorizzontalmente le necessità artistiche della to: gli spazi occupati dovrebbero essere città. Dopo le esperienze del Cinema Palazzo destinati a individui o associazioni che, pardi Roma, primo e più longevo tentativo di tecipando al bando già indetto (e che ha quella che artisti e lavoratori hanno chiamato ricevuto centinaia di proposte) dal movi“liberazione” di uno spazio pubblico destinato mento (http://bando.macao.mi.it/), verreballa chiusura e al degrado culturale, del Teatro Valle, il più attualmente noto e importante caso di occupazione in Italia, stimolo per numerosi altri movimenti, del Teatro Marinoni e del Sale Docks di Venezia, del Teatro Coppola di Catania, del Teatro Garibaldi di Palermo, del Forum delle culture di Napoli, anche a Milano un gruppo di lavoratori dell’arte ha espresso la volontà di avere per sé un luogo in cui creare liberamente e organizzare democraticamente gli spazi e le attività. Perciò è nato Macao (nome che trae spunto Foto di Chiara Compagnoni, Palazzo Citterio — web editors dalle sigle dei Musei di Arte e che parodisticamente ne riprende bero scelte secondo criteri decisi democratil’inizio dell’acronimo per coniarne uno procamente dalla comunità di Macao, perché prio, al quale però non è ancora stato attribuitrovino in essa il proprio libero mezzo eto un significato definitivo): il movimento, spressivo. radunatosi per la prima volta nel giugno 2011 per sviluppare riflessioni sulla cultura e sulla Differenti sono però le opinioni sulle occupaprecarietà milanesi, dà vita ad assemblee zioni finora attuate e le teorie riguardanti gli pubbliche nel settembre e dopo spazi di tali occupazioni: intervistando da un’occupazione temporanea di un giorno del una parte Francesco Purpura, attivista di PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) si Macao, giovane educatore e co-docente di dedica allo sviluppo finale del progetto Macao scuola superiore, e dall’altra, invece, dal novembre 2011 ad oggi. Il 5 maggio 2012 l’Assessore alla Cultura Architetto Stefano viene così occupata la Torre Galfa, grattacielo Boeri, ho constatato quali siano state le abbandonato da 15 anni e di proprietà affinità, i punti d’incontro e diversamente i dell’imprenditore Salvatore Ligresti, adiacente contrasti tra l’amministrazione comunale e i alla Stazione Centrale di Milano, punto nevral- promotori del movimento. gico di comunicazioni e di integrazione cultu- Francesco (noto come Franz) spiega rale. Sgomberato tale edificio il 14 maggio, che la Torre Galfa (ex sede SAI di prodopo il primo tentativo, il movimento è rima- prietà Ligresti) è stata occupata poiché sto nello spiazzo di fronte alla torre, propo- partendo dall’arte si è voluto andare nendo assemblee pubbliche e un enorme oltre per stabilire un collegamento concerto di studenti del Conservatorio Verdi e con l’esterno tramite la cultura: si è di musicisti uniti in una extra-large jam ses- voluto dare un impatto simbolico forsion, fino a sabato 19, quando Macao si è tissimo per muovere una critica alla spostato a Brera per occupare il vuoto Palazzo modalità con cui viene governata la Citterio (statale), “liberato” da Macao fino al città e alla speculazione edilizia. martedì successivo, 22 maggio, data del se- L’occupazione voleva essere un atto condo sgombero subito dal movimento. pubblico, “il gesto è stato quello di

Boeri manifesta da subito il proprio appoggio a tale gesto, presentandosi a Macao per dimostrare il suo favore, anche se nell’intervista chiarisce la situazione dell’edificio: “Ligresti per quanto riguarda la Torre Galfa è ormai fuori dai giochi, ora l’amministrazione di quello spazio è in mano agli acquirenti della Fondiaria, venduta poiché in fallimento”. Inoltre Boeri afferma che l’amministrazione Comunale per difendere l’occupazione di Macao avrebbe esclusivamente potuto costituire un protocollo per facilitare il riutilizzo di spazi in disuso temporaneo oppure cambiare i principi dell’IMU sulle seconde proprietà, ma entrambi i meccanismi (o altri) avrebbero richiesto dei tempi troppo lunghi rispetto alla tempestiva richiesta di sgombero da parte di Fondiaria SAI.

Si potrebbe anche pensare di volare

I passi successivi al primo sgombero hanno portato a un’assemblea permanente, come racconta Franz, tenutasi di fronte al grattacielo, che ha permesso di discutere pubblicamente le caratteristiche del luogo che si sarebbe voluto occupare, mentre in seguito, a causa dell’impossibilità di rendere manifeste le coordinate della nuova illegale occupazione, è stato il gruppo originario di Macao a concretizzare la scelta e il gesto, facendo subito confluire il resto dei cittadini a Palazzo Citterio. L’edificio fa capo al Ministero per i beni culturali, è dunque statale ed è situato al centro della città, in via Brera, nelle vicinanze dell’Accademia. È vuoto da 40 anni (ha solo ospitato nel 2010 per qualche mese una mostra) e Francesco racconta che “su di esso pende un progetto, fermo e che al momento non vede concreta possibilità di realizzazione, per il quale già in precedenza erano stati stanziati 52 milioni di euro, scomparsi, e comun-

Ad ora non si hanno notizie certe sul futuro di aprire un luogo insieme”. L’Assessore Foto di Chiara Compagnoni

Inside TorreGalfa


G IU GN O 2012

A T T U A L IT À

Macao

que insufficienti per la totalità del progetto, come insufficienti sono i 23 milioni nuovamente stanziati lo scorso anno sui 150 necessari”. Boeri replica evidenziando che Palazzo Citterio è coinvolto nel progetto “Grande Brera”, il quale prevede di spostare parte dell’Accademia nella Caserma Mascheroni (da ristrutturare), di recuperare Palazzo Citterio (in cui trasferire parte della Pinacoteca) e di ristrutturare la Pinacoteca stessa. L’intero progetto richiederebbe un finanziamento di 105/120 milioni, di cui per ora è stato stanziato 1/5 (a Palazzo Citterio andrebbero circa 13 milioni per la ristrutturazione di tutta la parte storica settecentesca, al piano terra, alla Caserma Mascheroni 4/5 milioni, mentre il resto

P A GIN A 5 Foto di Chiara Compagnoni, Giardinaggio @TorreGalfa

erano già stati dedicati a un progetto del pensando al suo futuro e a un nuovo spazio Comune, perciò Macao non ha voluto avere da occupare. Francesco racconta di come alcuna “corsia preferenziale”, né privare di durante l’occupazione siano nati spontaneaquello spazio chi prima di lui era in attesa di mente gruppi di lavoro, dalle proposte persopoterne usufruire. Inoltre Macao non vuole nali di chi notava dei bisogni per la struttura o dipendere dal Comune, da una gerarchia, per gli occupanti: c’è chi si è dedicato agli ma vuole sperimentare dal basso dei metodi interni, per rimuovere oggetti pericolosi e per unire chi presenta e chi riceve le propo- sistemare gli spazi, chi all’esterno (gruppo ste di un bando”. A tale proposito Boeri giardinaggio che ha rinnovato il poco verde spiega che per l’Ansaldo era già stato pensa- delle Torre Galfa rendendolo spazio piacevole to un progetto di “Officine Creative” da svi- e orto destinato a fruttare), chi della pubbliciluppare nello spazio di 6000 metri tà sul web, chi della parte quadri che lo compongono, oltre “Meravigliosamente informativa per la stamai laboratori del Tetro alla Scala, pa, chi del bando, chi del Accadono al Museo delle Culture (“Città lato artistico (musica, Cose Mondo”), alla zona dedicata a pittura, recitazione): omoda e design, il quale dovrebbe Anche Francesco gnuno ha potuto collaboandare in autogestione Oggi” Purpura rare con le proprie idee e a realtà interessanti di le proprie proposte. Milano, che non siano mediate da La meta è ora quella di riuscire a ricostruire un bando, ma a cui gli spazi siano una realtà effettivamente democratica e che assegnati secondo il rispetto di permetta a qualsiasi cittadino di partecipare criteri definiti. attivamente, senza restrizioni e senza costri-

Macao non è apparso totalmente favorevole alla collaborazione con il Comune, però Franz sostiene: “la collaborazione è possibile, ma Pisapia non deve dare un soluzione a Macao, bensì è benvenuto a parlare con il movimenFoto di Chiara Compagnoni, Piazza Macao (@TorreGalfa) to per trovarne una insieme. In andrebbe all’Accademia di Brera). “È un primo ogni caso Macao non deve limitarsi al suo passo” sostiene l’Assessore, “non definitivo spazio, deve invece cercare di sistemare ma di fondamentale importanza. Inoltre, es- anche la situazione al proprio esterno”. sendo Palazzo Citterio statale, il mio è stato un ruolo esclusivamente di grande pressione Sullo stesso tema Boeri, alla domanda della per la realizzazione del progetto, che è stata collaborazione, risponde: “capisco e rispetto le ragioni di chi, occupando uno spazio vuoannunciata pubblicamente già tre mesi fa”. to, ritiene non di occuparlo ma di liberarlo, Macao, nonostante le assicurazioni fatte dal però è indubitabile che tale comportamento Comune e dal Ministro per i Beni Culturali sia non “antagonista” ma sicuramente Lorenzo Ornaghi sulla prossima partenza del “altro” dalle politiche pubbliche. progetto di Palazzo Citterio, ha temuto che ciò L’amministrazione riconosce che possano non sarebbe avvenuto e ha voluto dare con esserci tali spinte, energie, movimenti, relal’occupazione una scossa alle istituzioni coin- zioni di potere orizzontali, e quando questa volte, mentre l’Assessore Boeri conferma che alterità si manifesta anche in forme spaziali se il bando per il progetto. partirà quest’anno, di non liceità o legittimità formale, va capita, i lavori potrebbero iniziare ad aprile o maggio seguita e controllata, se risulta compatibile prossimi. con l’utilità sociale”. Tra le due occupazioni Macao ha ricevuto dal Momentaneamente il movimento di Macao Comune la proposta di trasferire il movimento sta organizzando nuovi tavoli di lavoro in negli spazi dell’ex-Ansaldo, ma gli occupanti diverse zone della città per raccogliere artisti hanno rifiutato l’offerta, poichè, come ricorda e cittadini per la formulazione di un nuovo Francesco Purpura, “gli spazi dell’ex-Ansaldo progetto e, riunendosi regolarmente, sta

zioni. Macao, in qualsiasi forma si manifesti, tramite qualunque individuo, organizzazione o comunità deve rappresentare un bene comune che aiuti e dia la possibilità a chiunque di esprimersi, deve essere di tutti e per tutti. Nonostante la sua genesi sia avvenuta grazie ad alcuni soli soggetti, il suo scopo deve essere quello di diventare proprietà collettiva e aperta. Se vuole perseguire l’obiettivo prepostosi deve poter essere disposto anche alla collaborazione con il Comune, per trovare quello spazio ideale ma concreto nel quale possa effettivamente realizzare il proprio progetto culturale, che per quanto nato dal basso possa poter convivere con l’istituzione all’interno della quale si è generato e si riproduce.

Foto di Chiara Compagnoni, Piazza Macao (@TG)


P A GIN A 6

A T T UA L IT À

A N N O VI — N U M ER O VI I


G IU GN O 2012

A T T UA L IT À

P A GIN A 7


P A GIN A 8

C R O NA CH E C A R DU C C IA N E

A N N O VI — N U M ER O VI I

CdI - Terzo e ultimo capitolo

L

di Federico Regonesi Ci è stato chiesto di scegliere a scatola chiu- non, come pare che alcuni credano, la sem-

'ultimo consiglio d'istituto dell'anno si è svolto, dopo vari rinvii, il 31 maggio. Questo ha creato un certo malcontento tra gli studenti. Si era infatti chiesto di tenere il consiglio in anticipo, per approvare il pagamento delle foto di classe, ma malgrado le frequenti sollecitazioni si è stati costretti a fare le foto senza l'approvazione del CdI, votando in seguito il prodotto finito — su cui oltretutto la Preside ha espresso una certa disapprovazione: non ama la grafica dell'annuario, ma accetta la scelta degli studenti. Come al solito non si è portato a temine quasi nulla, solo la prolunga di vari contratti di servizio, cioè di quei contratti con le ditte fornitrici di fotocopiatrici, con i responsabili dell'aula di informatica, e simili. Dopo le prime formalità si è parlato delle foto di classe, come accennavo prima. Gli studenti hanno dimostrato la loro responsabilità in questo frangente, in quanto non solo hanno dovuto fare tutto da sé, pur avendo a più riprese chiesto un consiglio d'istituto, ma hanno anche dovuto fare una scelta poco trasparente tra le varie proposte. Una volta approvata la scelta degli studenti si è parlato delle prove Invalsi recentemente svoltesi, ma riguardo a questo non c'è molto da dire che interessi gli studenti, ma pare che siamo più bravi della media in Italiano, mentre in Matematica abbiamo più problemi. Illuminante. Si è anche discusso dell'alternativa all'insegnamento della religione. I dati sono chiari: la maggior parte degli studenti non si avvale dell'insegnamento della religione, ma di tutti quelli che non sono in classe in quell'ora — cioè più di 400 — solo 19 frequentano attività alternative. La motivazione di questo evidente fallimento è stata data dagli studenti. Infatti come sarebbe stato possibile scegliere di svolgere un'attività, senza sapere QUALE attività?

sa come passare un'ora alla settimana, quando potevamo passarla comunque a studiare o a rilassarci. Come è stato possibile credere che questa idea avrebbe preso piede? Rimando alla conclusione le mie osservazioni su questo punto. In questo momento ero veramente stupefatto: eravamo quasi alla fine del consiglio e non si era ancora litigato. Ovviamente le mie speranze sono state vilmente calpestate. L'ultimo punto era l'intitolazione dell'aula magna a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; durante la discussione ho sentito cose che mi hanno turbato non poco, ma purtroppo non sono nemmeno riuscito a seguire tutta la questione, in quanto a un certo punto sono stato allontanato. Andiamo con ordine. Il primo a intervenire è stato il Dirigente Scolastico, che ha fatto notare che ciò che è avvenuto non è una intitolazione, in quanto le intitolazioni sono ufficialmente riconosciute, mentre questa non lo era. Poi un gruppo di professori ha letto una propria lettera, che diceva più o meno: “pur essendo noi assolutamente favorevoli alla celebrazione di figure quali quelle di Falcone e Borsellino, riteniamo che il modo in cui è avvenuta questa celebrazione non sia consono a queste due grandi personalità”. Falcone e Borsellino sono morti per lo Stato e per la legalità, e quindi per celebrarne adeguatamente la memoria bisognerebbe passare per mezzi legali e non basarsi unicamente sul "consensum gentium". Personalmente ho molto da ridire. Il cosiddetto "consensum gentium" è proprio ciò che avrebbe permesso a Falcone e Borsellino di sconfiggere la mafia. Se, grazie alla volontà di tutti, si riuscisse a rompere il velo di colpevole omertà che è posato sulle zone infestate dalla mafia, allora il loro lavoro si potrebbe dire concluso. E' proprio la volontà del popolo di venire incontro all'istituzione l'obiettivo dell'antimafia,

plice prova di forza nello scontro tra mafia e stato. E l'antistato si combatte proprio con azioni come quella del 23 maggio, azioni piccole e radicate nel territorio, testimoni di una volontà di cambiamento. La lotta alla mafia non si fa ai piani alti, ma qua giù per le strade e sui marciapiedi. Non solo, l'iter burocratico necessario all'approvazione da parte della Provincia per un'intitolazione ufficiale è molto lungo, e quindi per arrivare giusti il 23 maggio ci si sarebbe dovuti attivare molto tempo prima. Inoltre il percorso per arrivare all'intitolazione parte dal CdI, che dovrebbe semplicemente rispondere alla volontà di tutti. Purtroppo la risposta alla lettera non è stata questa, ma piuttosto si è ribattuto che nella scuola si rispettano le regole come e quando si vuole. Chi ha risposto ha citato il caso senza farne il nome - della ragazza che, entrata in Presidenza per proporre l'intitolazione, è uscita in lacrime. La discussione si stava infiammando, ma il DS mi ha fatto uscire dalla sala, in quanto in virtù della norma sulla privacy non è possibile per esterni assistere alle sedute del Consiglio se vengono fatti nomi propri. Ovviamente sono uscito senza protestare, ma ho avuto la sensazione che questa norma non sia stata applicata con assoluta regolarità, ma solo al momento più utile. Quindi così finisce la mia esperienza di quest’anno in CdI. E ho imparato una sola cosa: il Consiglio di Istituto è un organo malato. Tutte le proposte che gli studenti portano alle elezioni non contano assolutamente nulla. Non importa che cosa venga promesso agli studenti, sia essa un'assemblea aggiuntiva come gli stati generali, o una mostra sull'unità nazionale, tutto si perde in un marasma di proposte inutili, per cui alla fine tutto si impantana e nulla viene deciso. Non ho mai visto un cambiamento in questa scuola. Però la colpa non è solo della lentezza del CdI. I veri cambiamenti li dovremmo fare noi, gli studenti. Per una buona volta ci dovremmo attivare, superare tutti gli impedimenti burocratici e FARE. Una volta ottenuto un risultato gli altri dovrebbero semplicemente accettarlo. Ma queste cose le sanno tutti. La verità è che quasi nessuno in questa benedetta — davvero! — scuola è interessato al cambiamento. E a questo non so proprio come porre rimedio. Ma credo che nessuno di coloro che lavorano per il bene della collettività smetterà di provarci.


C R O NA CH E C A R DU C C IA N E

G IU GN O 2012

P A GIN A 9

I Sette Savi torneranno a casa di Eleonora Sacco e Mattia Serranò gente Scolastico Mirella De Carolis, però, Trafugati di nascosto La storia La prima versione dei Sette Savi - altre, infatti, seguiranno nel corso degli anni - viene realizzata prima del 1940. Alcune sono state smarrite o collocate negli studi e nelle case di architetti e artisti milanesi. Una in gesso è collocata con un allestimento di grande atmosfera al piano d'onore del Mart di Rovereto. Quella che tratteremo è la versione in pietra di Viggiù che è stata ritrovata inaspettatamente alla fine del 2007 nei sotterranei del Liceo Carducci di via Beroldo, a Milano. La vicenda di queste sette statue comincia nel 1960, quando, su commissione (onerosa: quasi 6 milioni di vecchie lire) del Comune di Milano, Melotti realizza una copia in pietra dei “Sette Savi” per il Liceo. Il Comune di Milano aveva precedentemente commissionato a quattro artisti opere da collocare nelle arcate delle logge di Piazza Duomo. Le statue, in realtà, furono poste in quattro istituti superiori di Milano, in base a una legge che assegnava una quota non inferiore al 2% della spesa statale, prevista nel progetto dell’edificio, per l’abbellimento di edifici pubblici con opere d’arte. I “Sette Savi” di Melotti al Carducci, dopo due anni, vengono danneggiati dalle imbrattature di alcuni studenti e collocate (solo recentemente si è potuta ricostruire tutta la storia) in un garage all’interno della scuola. Già pochi anni dopo, fonti ufficiali e non considerano le opere “disperse”: Melotti, da un giorno all'altro, passando di fronte al liceo vede sparire le sue statue e non ottiene risposta di alcun genere né dalla scuola né dall'assessorato competente dell'epoca. Persino al Carducci, la loro memoria rimane viva solo fino ai primi anni Ottanta, quando il Preside Diotti del Carducci si mette, purtroppo inutilmente, alla ricerca delle statue e dei documenti. Melotti, nel frattempo, offeso dal trattamento riservato alla sua opera, disconosce i Savi carducciani e realizza nuove copie per il PAC di Milano e la Galleria d’Arte Moderna di Roma. La morte di Melotti, avvenuta nel 1986, porrà fine alla questione. Il ritrovamento Nel 2007, dopo ricerche e indagini, le statue vengono rinvenute dal professor Vincenzo Viola e dalla custode della scuola in un garage sotterraneo, sepolte da banchi, sedie e altro materiale in disuso. La vicenda finisce su tutti i giornali. L’allora Assessore ai Beni culturali del comune di Milano, Vittorio Sgarbi, il direttore scolastico regionale e della Provincia visitano il deposito, promettendo un tempestivo restauro. I quotidiani riferiscono anche le intenzioni dell’ex carducciano Virginio (Gerry) Scotti, che afferma di voler donare circa 25mila euro per il restauro, a condizione che le statue rimangano al Carducci. Il Diri-

rifiuta ogni offerta senza fornire spiegazioni. Chi è il proprietario? Comune vs. Provincia

Quando le statue furono commissionate, gli edifici scolastici e il materiale in essi contenuto appartenevano ai singoli Comuni. L’11 Gennaio 1996 viene emanata la legge 23 che sancisce il passaggio degli edifici, ospitanti scuole superiori, di proprietà comunale in uso gratuito alla province di pertinenza. Accade così che anche il Carducci, il 21 dicembre del 2001, viene passato alla gestione della Provincia di Milano. Attenzione: l'edificio e le sue pertinenze, in uso; i banchi, le lavagne, le sedie in proprietà. Un’opera d’arte come quella di Melotti è considerata secondo consolidata giurisprudenza come “pertinenza” dell’edificio (cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa); pertanto segue la sorte del bene principale. In uso l'edificio Carducci, in uso le statue. Fino al 2009 si credeva che le statue fossero state un dono di Melotti al Carducci, e la mancanza di documenti ufficiali rendeva la vicenda - fino a quel momento assai oscura e incomprensibile. Nel settembre 2009, il ritrovamento dei documenti originali relativi al contratto tra Comune di Milano e lo scultore nell’archivio del Comune di via Deledda, da parte di Elisabetta Pellarin, matematica, studiosa e collaboratrice in Bovisa dell'Arch. S. Levi della Torre per Storia dell'Arte contemporanea ed ex vice presidente del Consiglio d’Istituto, contribuisce a dissipare definitivamente la nebbia intorno alla proprietà delle opere. Nel 2010 la Provincia tenta nuovamente il ratto, comunicando a Pellarin che le avrebbe iscritte da lì a poco al suo patrimonio. Pellarin subito allerta il direttore di settore allora competente, quello dell'Educazione del Comune di Milano, dr. Mercadante, che comprende la gravità della situazione: coinvolge l'allora Ass. Moioli e invia una lettera di fuoco, a chiare lettere, che intima alla Provincia di non procedere oltre con pretese infondate sul valorosissimo bene. Non è finita qui: alla fine del suo mandato, nel maggio 2011, è assodato (notizie recenti) che la giunta Moratti abbia trasferito (a firma del dr. Claudio Salsi, direttore del Castello Sforzesco) la proprietà alla Provincia di Milano tramite una “lettera”. Modalità irrituale per operazioni di questo genere: anche gli spilli, in Comune, necessitano di delibera di Giunta per essere trasferiti in proprietà ad altro ente. La Provincia di Milano, interpellata dopo il trafugamento dalla giornalista Tiziana De Giorgio, La Repubblica, comunicherà il passaggio di proprietà ma non esibirà mai la carta.

Arriviamo al 31 Gennaio 2012: il Dirigente Scolastico De Carolis comunica al Consiglio d’Istituto del liceo, in coda alle comunicazioni del dirigente, di aver consegnato le statue alla Provincia. Il pomeriggio di sabato 28 gennaio, a scuola deserta, un camion ha caricato le statue "portandole a restaurare con i finanziamenti di SEA, per poi esporle all’aeroporto di Malpensa". I membri del Consiglio rimangono sbalorditi. Al CdI seguente, il DS afferma di non avere mai ricevuto comunicazioni ufficiali riguardo alle intenzioni della Provincia, e, anzi, di essere stata “la meno informata di tutti”, perché – ha dichiarato – ne è venuta a conoscenza solo “tramite conoscenze, in maniera del tutto informale” il giorno precedente. La consegna remissiva delle statue è, a detta del Consiglio, inspiegabile, soprattutto perché la Provincia, prima di prelevare l’opera, avrebbe dovuto interpellare l’organo scolastico competente. I Savi all’aeroporto Niente più Savi al Carducci, dunque. La notizia consegue poco successo mediatico; gli stessi studenti, per larga parte, non ne sono a conoscenza. Le voci parlano di un’intesa fra Provincia e SEA, la società di gestione degli aeroporti di Milano, che avrebbe pagato il restauro in cambio di un’esposizione a Malpensa. Pochi sanno che Fausto Melotti concepì i suoi Savi con una precisa disposizione, detta di “conversazione”, studiata appositamente per il cortiletto del Liceo Carducci. La prof.ssa Pellarin, informata da membri del Consiglio di Istituto, allerta immediatamente il Sindaco Pisapia, l'Ass. Boeri, il Presidente del Consiglio Comunale, Basilio Rizzo e l'Associazione degli ex Carducciani. Anche Marta Melotti, la figlia dell'Artista, è all'oscuro di molte manovre, e mobilita le avvocature. La Provincia, inizialmente, sembrerebbe averla avuta vinta, ma… Fine lieto, ma non troppo Il parere dell’avvocatura comunale, consultata in via ufficiale dall'Ass. Boeri, è netto: la proprietà delle opere è inequivocabilmente del Comune di Milano, che diplomaticamente sottoscrive un accordo con SEA. Il restauro sarà a suo carico (si noti che nel 2011 l'associazione degli ex Carducciani aveva concretamente proposto il restauro all'ente gestore, la Provincia, senza mai ottenere riscontro), che potrà esporre le statue a Malpensa per alcuni mesi, per poi restituirle al Comune. I Sette Savi, ha dichiarato l’assessore Stefano Boeri anche durante l'incontro recente nell'ultimo Agorà, troveranno collocazione definitiva presso il Liceo Carducci. Questa conclusione positiva arriva dopo anni di conflitti e trattative, a volte paradossali, e molti punti ancora oscuri, tra diversi amministratori locali, incapaci di gestire la cosa pubblica nell’interesse comune, ma sempre pronti a cercare vantaggi per la propria fazione politica. Senza l’intervento dei cittadini, genitori, studenti e docenti della scuola la conclusione sarebbe stata sicuramente molto diversa.


P A GIN A 10

C R O NA CH E C A R DU C C IA N E

A N N O VI — N U M ER O VI I

Corso di Educazione all’Affettività

I

La professoressa Del Genovese risponde sul tema dell’affettività n seguito all’articolo di Eleonora Sacco, apparso sul giornalino del Liceo Classico Carducci, a proposito del corso di Educazione all’affettività “Corso interattivo sull’affettività di coppia”, ripropongo all’attenzione dei lettori i risultati del questionario anonimo presentato dal Consultorio accreditato ASL La Famiglia, compilato al termine del corso dagli studenti delle 3 classi partecipanti.

Essendo esauriente rispetto alle obiezioni mosse, ritengo che denoti che quanto scritto nell’articolo siano valutazioni soggettive e personali dell’autrice. Il sondaggio permette un’analisi approfondita dei vari aspetti dell’esperienza del corso e non solamente una risposta generica sulla valutazione del corso. Si riportano le valutazioni espresse in percentuali ed in “decimi” (perché più familiari in ambito scolastico rispetto alle risposte in scala da 1 a 5 del questionario). PRINCIPALI ITEMS DEL QUESTIONARIO ANONIMO RISERVATO A CIASCUN PARTECIPANTE - Riproporresti il corso ad altre classi? RISPOSTE: 49 Sì (94%) e 3 no (6%)

1.1 Gli argomenti trattati sono utili e interessanti: valutazione decimale: 7,40 1.2 Il corso è stato un’occasione di approfondimento del modo di pensare a se stessi e alle proprie relazioni: 1.3 Nel corso le domande poste e la trattazione a partire da esse ti sono servite: 1.4 I tuoi compagni si sono coinvolti: 6,40 1.5 Tu ti sei coinvolto: 6,73 1.6 C’è stata la possibilità di confrontare le proprie esperienze in un dibattito: 6,85 1.7 Il clima della classe durante gli incontri è stato favorevole: 7,35 1.8 Il tempo a disposizione è stato sufficiente: 6,37 Valutazione riguardante gli operatori: 2.1 Capacità di coinvolgere 7,34 2.2 Chiarezza logica ed espositiva 8,31 2.3 Compresenza di psicologa e ginecologa 8,71 2.4 Tecniche di conduzione degli incontri 7 2.5 Metodo utilizzato: raccolta delle domande 6,90

6,72 6,78

Ricordo che la partecipazione ai corsi proposti dalla Scuola con il Progetto di Educazione alla Salute (proposto ed approvato in Collegio Docenti) per le classi del triennio è libera, a scelta tra due proposte, e ratificata dai singoli Consigli di Classe. In data 22/5/12 si è svolta la restituzione del corso ai genitori. Venerdì 8/6/12 alle h.13.15, in collaborazione con l’equipe del Consultorio, in un’aula al 2° piano, proponiamo un incontro libero ed aperto agli studenti interessati ad un giudizio approfondito e documentato sul corso stesso e per esprimere esigenze personali o richieste per l’anno prossimo.

La Referente al Progetto di Ed. alla Salute Prof.ssa Marcella Del Genovese

La risposta dell’autrice di Eleonora Sacco

L

’articolo metteva in discussione la scientificità delle non il gradimento del corso.

informazioni e dei dati forniti dagli esperti del Consultorio,

La professoressa dichiara di essere stata “esauriente rispetto alla obiezioni mosse”; eppure le accuse erano “aggiramento delle domande, mancanza assoluta di fonti nei dati presentati e di oggettività, approccio scientifico inadeguato”, per non parlare delle “percentuali imprecise e senza fonte”, contrastanti con quelle fornite da enti e sondaggi internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si sostiene, però, che “quanto scritto nell’articolo siano valutazioni soggettive e personali dell’autrice”, argomentando soltanto con sondaggi compilati dagli studenti. Dunque le loro percentuali sono solo “le mie impressioni”. E le lamentele di altre decine di studenti, nel corso degli anni, sono “valutazioni personali”. Come si è detto in redazione, il gradimento di un corso non rispecchia la sua qualità: non c’è alcuna connessione logica tra l’apprezzamento e la validità di un corso. Se, nonostante le pecche rilevate nel mio precedente articolo, il corso ottiene un così alto gradimento da parte degli studenti, forse è il caso di chiederci quanto grave siano le conseguenze della mistificazione da parte degli esperti, ogni qual volta propugnano dati non scientifici: evidentemente gli studenti non ne sono consapevoli e l'alto gradimento del corso sarebbe da prendere come un campanello d'allarme.


G IU GN O 2012

C R O NA CH E C A R DU C C IA N E

P A GIN A 11

Per chiudere l’anno ad arte Recensioni degli spettacoli teatrali e musicali, dall’Orestiade 3.0 al canto jazz Orestiade 3.0, Coefore — spettacolo del gruppo di teatro avanzato di Alessandra Ceraudo modo si potevano notare Foto di Gaia De Luca i tre diversi modi di calarsi l Liceo Classico Giosuè Carducci, mon- in una parte, in relazione do di studio, cultura e fatica, sa pre- all’età, alle esperienze, starsi anche ad attività ben diverse, alla formazione. quali il teatro e la musica, capaci di dare sfogo ad anima e corpo, svelando Oltre all’Orestiade sono quelle qualità di alunni e docenti che altri- stati presentati altri lavori di laboratori teatrali di menti rimarrebbero celate. classe o interclasse tra i Per due settimane l’Aula Magna ha ospita- quali: “Romeo e Giulietta” to una rassegna di tutti i lavori dell’anno; e “After Juliet”. Il primo è parteciparvi da spettatrice è stato entusia- un grande classico, rapsmante e coinvolgente. Per la prima volta presentato in maniera si sono uniti tre laboratori differenti (ex anticonformista e suggestudenti, gruppo avanzato e docenti) in un stiva, con i ruoli di Romeo unico grande progetto (coordinato dalla e Giulietta interpretati da regista e docente di recitazione presso il più attori. “After Juliet” è nostro Liceo, Michela Blasi): l’Orestiade, stato una novità, un grupdestreggiandosi fra sound e ritmi genuini. traduzione di Pasolini del capolavoro euri- po di lavoro che univa nuovi acquisti a pideo suddiviso in tre tragedie. Il primo “vecchie” colonne. Da un testo di A seguire la 1D si è esibita in canti di opespettacolo è stato l’Agamennone, inscena- un’autrice straniera è venuto fuori un re di Bach con intensità e maestria. Rinata to da alcuni ex studenti del nostro liceo prosieguo della storia delle due grandi dalle ceneri come un’araba fenice, nostalgici di un così bel laboratorio teatra- famiglie veronesi dopo la morte per a- l’orchestra del Carducci ha dato il meglio le; il secondo, le Coefore, ha messo in luce more dei due giovani. Spettacolo sfizioso di sé in tre brani, augurandoci che possa il talento dei ragazzi del gruppo avanzato; e piacevole. Leit-motiv dei laboratori tornare ad essere ricca e attiva come un il terzo, le Eumenidi, con attori i nostri teatrali è la giustizia che ha permeato tempo. professori, ha chiuso le danze con elegan- ogni opera esposta sotto diverse forme e Infine Simona Severini, ex alunna del noza ed entusiasmo. Brillano di verità le pa- sfaccettature. Ogni spettacolo è stato stro liceo, cantante jazz di talento, ha conrole della Professoressa Romussi, respon- importante, fonte di crescita per attori e cluso con un concerto il progetto di storia sabile del progetto, nella presentazione spettatori. della musica jazz, promosso dalla profesdelle Coefore: “i ragazzi hanno recitato soressa Gusmini. Epilogo delle due setticon una magica e profonda innocenza, A chiusura delle due settimane di perfor- mane, canzoni afro-americane, in cui rienon nel senso di ingenuità ma nel senso di mance, una serata interamente dedicata cheggiano atavici i temi della schiavitù e purezza, spesso sconosciuta agli adulti”. La alla musica. Il maestro di improvvisazio- della giustizia, in eterna oscillazione fra trilogia è stata rappresentata in modo ne Fabio Soragna ha presentato il suo miraggio e realtà. ineccepibile, gli attori si sono fatti sentire, lavoro con tre alunne; con due flauti traversi e un violino le tre hanno emozionato, sempre fedeli e coeOrestiade 3.0, Eumenidi — spettacolo dei professori renti al personaggio. Nel seguire tutti e tre ragazze hanno improvvisaFoto di Gaia De Luca to ispirandosi ai temi del gli spettacoli colpiva il vedere lo stesso freddo, del ghiaccio, varianpersonaggio inscenato da persone diverse (prima un ex studente, poi uno studente do poi con melodie più ritmiche o dolci e rilassate, esperto e infine un docente); in questo

I

Esecuzione di “Bridge over troubled water”, 1D, classe del laboratorio musicale. Foto di Eleonora Sacco


A N N O VI — N U M ER O VI I

P A GIN A 12

di Eleonora Sacco

La Foto del Mese | Maggiugno Il vento è cambiato. Le ombre lunghe, le nuvole e i sandali portano l’estate. La Foto del Mese muore così, di un dolce e caldo torpore, nella luce rosata di un maggio tardo, su una sedia a dondolo, mentre riposa. Fabrizio lo diceva a Ninetta, che a crepare di Maggio ci vuole tanto, troppo coraggio. Ma un’idea nata con le cicale dei prati in estate muore, d’estate, all’ombra dell’ultimo sole. Grazie a tutti i lettori, a tutti i fotografi che mi hanno dato da scrivere, a tutti i complimenti e le critiche: è stato bello, ma non poteva durare in eterno. Questo è un addio. E un addio è sempre difficile; infatti, amarus in fundo, trovate uno scatto mio, e qualche frase qui e là. Voi, però, non smettete di fotografare: l’estate è il momento migliore! Buona lettura. Gaia De Luca di 5H rispolvera l’archivio e ci riserva un finissimo ed inaspettato autoritratto, un modo per dipingere almeno una volta se stessi nascondendosi. È strano, quando passi la vita a vedere l’invisibile, negli altri, e a fornirne la prova, quando cerchi di cogliere un briciolo di verità dal mondo, dalle persone, dal libro della vita: ma se fotografi te stesso non puoi lasciare che si liberi tutto il tuo io. Sirena che ammalia, l’autoritratto, si trasfigura, inganna, strega e inebria i sensi. La mente della foto si traduce nell’atmosfera, nel senso che affiora, come uno spirito, dal buio di velluto. Il contrasto è violento, la luce è tagliente, affilata, spietata e severa, le mani scivolano, coprono, scoprono, soffocano, creano, cambiano. Le mani sono il click. Il volto si vuole mostrare, ma ha vergogna. Paura. Si incornicia di bianco, un abbraccio di carne avvolgente che lo protegge, nasce dall’ombra e la rifugge, con le sue proiezioni e i suoi solchi, sposando la luce. Guardatemi, ma non guardatemi. Le mani ruotano, mi sconvolgono, ma io rimango placi-

Gaia De Luca | ↑ Autoritratto, Nikon D40 + 18-55mm, 26mm, Manuale, 1/40, f/4.0, 400 Iso. do, atarassico. Ci sono anche io, nella felicità quotidiana, sono qualcosa di sensazionale. Lo d’inchiostro delle fotografie: solo che non mi cerchiamo sempre oltre, eppure il Bello è tra si vede. le ciglia della persona che si ama, nelle pieghe Giada Fanti di 4E ha provato scatti sul “set”. dei gomiti, nelle increspature dei sorrisi. Amo I suoi lavori sono molto evocativi, enigmati- fare, e cerco sempre di fotografare il fatto ci, irrequieti. Esprimono una forte paura di strano, che ci illumini, l’isola non trovata. rivelarsi appieno ma vogliono intensamente farlo. Il bagnato, sensuale, lascia intravedere un nudo molto vago, irraggiungibile. Potentissima è la posa delle mani caste, quasi in preghiera, che esprimono paura, disagio, contrastando nettamente, insieme alle luci e alle ombre marcate, livide, con il vedo-nonvedo della camicia bianca e bagnata. Anche qui le spalle, le mani, le braccia emergono con timidezza dalle ombre avvolgenti, sprigionando un universo di sensazioni. Ansia, brivido, attrazione, paura e male da assassinio: un thriller anni ‘50, ovviamente in bianconero. Abbiamo visto gesti, mani per messaggi emotivi diversi. I gesti delle persone, nella vita

Sono un fratello e una sorella al parco di Porta Venezia. Elettra e Oreste, li ho chiamati. “Era già tanto se aveva dieci anni, quella bambina. Ma se voleva poteva averne mille di più.” (Dira in Oceano Mare, A. Baricco) Elettra è legata ad Oreste da un amore inscindibile, ancorato al ricordo del padre. “Tu non eri di tua madre, eri mio e di nessun’altra: ero io la tua nutrice e al contempo tua sorella.” (cito a memoria, passatemi le sviste). E così Oreste cresce in braccio alla sorella che lo ama come un figlio, che vede il lui l’unica speranza di vita nuova per lei. Guardano lontano cercando l’ombra del padre, rincuorandosi a vicenda, colpevoli ma innocenti.

Giada Fanti | ↓ XXX, Nikon D3000 + 18-200mm, Manuale, 1/80, f/5.6, 400 Iso. Eleonora Sacco | → Elettra e Oreste, Nikon D3100 + 70-300mm, 300mm, Manuale, 1/160, f/5.6, 200 Iso.


G IU GN O 2012

P A GIN A 13

Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni?

Un racconto | Pensieri e impressioni di un viaggio in treno per una terra nuova e non troppo estroversa.

I

testo e fotografia di Eleonora Sacco dere il mare e vivere con le sirene che si guardandola fisso. Non si dissero né i nomi né

l vecchio conosceva a memoria tutti gli orari del treno. I suoi familiari avevano da sempre coltivato quelle terre a limoni e rosmarino. Quando arrivò il 1872, in paese si iniziò a parlare di un progetto colossale, che avrebbe sconvolto le loro vite: una ferrovia che inghiottiva gli arbusti e scavava le montagne, sfidando a corsa le onde che si infrangevano sulla scogliera. Nessuno ci capiva niente, non sapevano nemmeno leggere, gli ufficiali diedero loro due lire ed espropriarono gli appezzamenti. Rimasero con un lembo di terra e una staccionata di legno, che tracciava il confine con il binario 2. Il vecchio era sempre stato vecchio. All’epoca la sua stirpe aveva accolto l’esproprio come un segno del destino. Belin! Belin! Gli altri contadini se n’erano a poco a poco andati a lavorare in cantiere a Genova o a La Spezia, ma lui era rimasto lì: la ferrovia era diventata la sua vita. Con gli anni i capelli e gli occhi avevano preso il colore della ruggine, a furia di guardare quelle due rotaie che collegavano il suo piccolo borgo al continente. Le mani erano ormai secche e ruvide come le pietre tra una traversina e l’altra, i gomiti e i ginocchi erano rossi e spigolosi come bulloni, e la sua lingua raccontava solo storie di marinai, whiskey e tabacco d’importazione. Quand’era ubriaco parlava delle sirene del promontorio, che avevano i seni come delle arance mature. A volte gli sfuggiva qualche particolare sulla sua terra di agrumi e arbusti, chiusa e arroccata su se stessa, un po’ sporca e incrostata di salsedine. A volte le storie le raccontava in quattro lingue, per frasi fatte: Do not cross the railway lines – Défense de stationner sur la passerelle – Rauchen verboten – Posto riservato ai mutilati di guerra. Le case del borgo crescevano colorate una sopra l’altra a panni stesi e cornici delle finestre, mentre la locomotiva passava e ruggiva sputando vapore fumo fuliggine calore, spaventando i mocciosi che giocavano a pallone sui sassi della riva. Il vecchio era invece sempre rimasto affascinato dalla ferrovia. La vedeva come un prodigio, così continuava a coltivare il suo fazzoletto di terra, a bagnare origano e salvia lungo la staccionata, tra un arrivo e l’altro. L’orologio della stazione era totalmente arrugginito da decenni, le lancette si erano fermate; il vecchio voleva credere che questo allungasse i suoi momenti piacevoli, come le nottate al bordello in cima alla montagna. Un tempo era stato una caserma militare, poi abbandonata e occupata dalle prostitute; nessuno aveva più avuto voglia di staccare l’insegna all’ingresso. Era fatto delle stesse pietre e degli stessi intonaci, scrostati e sbiaditi, dei palazzi regali della grande città; il vecchio ci andava spesso, per sfogare un rimpianto – avrebbe voluto pren-

pettinano i capelli con le conchiglie, ma non poteva abbandonare la sua terra e la ferrovia – e per trasgredire la monotonia della sua vita, scandita dal fischio del capotreno e dal fiorire della limoncina. Prima, un salto in osteria per un amaro al carciofo e due chiacchiere col capitano – le mareggiate, la pesca, i venti – poi, l’abbraccio soffocante della più grassa di tutte, quella con il grembiule rosa. Era sempre stato con la sua ferrovia: quando ogni primavera davano il gesso, quando ogni inverno spalavano la neve, quando anche l’ultima valigia dei torinesi in ferie aveva toccato il suolo, quando anche l’ultima lombarda, alla fine di settembre, era salita sul regionale un po’ più abbronzata, con due pacchi di focacce al rosmarino sotto il braccio. Contava i passi che toccavano quella terra per la prima volta, contava gli oggetti persi in stazione e li collezionava in un mobile che aveva intagliato lui, da un ulivo morto: la teca era un finestrino di treno rotto. Nessuno sa quanti anni avesse. L’età, il vino e la zappa lo seccavano e lo rendevano sempre più nodoso. Un tardo pomeriggio di aprile sedeva sulla sua staccionata di legno e cordami, le labbra spaccate dal vento e il sangue in grumi sui denti, aspettando il regionale veloce che arrivava da Milano. Alle 17.42 vide la cinghia luccicante di uno zainetto di cuoio toccare la banchina, poi i tacchi scendere il gradino del treno, infine le calze di rayon con la cucitura proiettare una lunghissima ombra sui binari. Quella sua catenina d’oro aveva riflesso il sole del tramonto a intermittenza, tra una galleria e l’altra; a Milano suo fratello le aveva bucato le orecchie con ago e limone. Al tempo le cittadine occhi chiari e gonnella ammaliavano terribilmente gli abitanti del posto. L’ultima volta che il vecchio aveva visto una figura simile aggirarsi da quelle parti rincorreva ancora i gatti nei vicoli bui, alla domenica aiutava lo zio a tagliare le canne di bambù, su alla segheria, finché la luce rossa dell’ovest e il dialetto della mamma non lo richiamavano a casa per la zuppa. Il profilo di lei gli spaccò definitivamente il labbro, come un pezzo di vetro. Non l’aveva mai fatto, di giorno, ma la tentazione fu troppo forte: nulla lo frenò. Abbandonò la ferrovia. Diserzione, diserzione! Saltò la staccionata, sfuggì alle fauci della locomotiva che passava, superò i binari e si lanciò giù per le scale, inseguendola. Le sue gambe ossute diventarono pistoni roventi, corse inseguendo quella figura che sfuggiva tra la folla. Bum. Era un treno senza macchinista. Ormai era sua, se lo sentiva martellante in gola. Stava camminando con la sorella sotto i pini di mare, quando lui le si piantò davanti,

l’età, tacquero entrambi; il vecchio le portò la borsa fino alla locanda. Lei salì con la sorella, e lui rimase ai piedi delle scale, guardandole salire. Era bastato un attimo a fargli dimenticare gli occhi suini delle prostitute, i loro avambracci obesi, le loro dita sporche di grasso animale e sudore. Cercò le sue mani sottili nelle finestre illuminate della sera, la aspettò sotto la grandine e sotto il sole delle due per giorni, ma lei non uscì. Aveva già progettato di ristrutturare e ampliare la catapecchia vicino alla ferrovia, aveva già scelto la data delle loro nozze, aveva già deciso che la primogenita si sarebbe chiamata Elettra, aveva pensato che gli sarebbe piaciuto piantare un albero di limoni per ogni nipote. Aspettava, sapeva che prima o poi sarebbe uscita e che sarebbe diventata sua moglie. La sorella sarebbe tornata a Milano da sola. Aveva vissuto di più in quei giorni passati aspettando, seduto sotto il portico, che in tutta la sua vita senza tempo, di arrivi e partenze mute, senza il ticchettio dell’orologio della stazione. Sarebbe dovuta scendere. Prima o poi. Non poteva non scendere. Doveva scendere per forza. Sarebbe davvero rimasta lì dentro per sempre? Certo che no: lei l’aveva visto di sicuro, stava lì ormai da settimane. Le aveva pure lanciato i semi di limone contro il vetro della finestra – era la sua, ne era certo. Cedette, entrò in quella locanda d’aspirazione borghese e chiese delle due ragazze: l’oste non seppe rispondere. Al che si arrese. Decise che non gliene importava più. Lui ci aveva provato, ed era andato tutto inspiegabilmente storto: ma di chi era la colpa? In fondo anche l’amore è “solo un gioco” – quando perdi. Tirò su la camicia sporca e cominciò a camminare sul pavé del borgo, contando gli aghi di pino nelle pozzanghere, succhiando un limone come se fosse dolcissimo. Lo irritava, più che la delusione in sé, il non poter ancora capire. Si fermò a contare le anatre in volo pensando alla sua vita, alla sua terra. E quella terra, di ulivi e scogliere, era lui. Ma ancora non capiva. Quella ventata d’aria nuova, cittadina, aveva fatto crollare il mondo in cui lui era sempre vissuto, in cui aveva sempre creduto. La ferrovia in quel momento era solo la ruvida reminescenza di una vita di vecchio infante, senza tempo, senza parole: un giovane foulard profumato aveva scavalcato un universo, una vita, dissipando - in pochi secondi - abitudini, chimere, rimpianti. Se anche ora fosse tornato, non sarebbe stata più la stessa cosa. Se ne sarebbe andato, ma non senza sapere. Avrebbe seguito le linee infinite dei binari del treno, ossidati come le sue efelidi, verso altri mondi, altre rotte, altri orizzonti. S’incamminò su una strada diversa. Fece il giro dell’isolato: solo allora vide che la locanda aveva un’uscita sul retro.


A N N O VI — N U M ER O VI I

P A GIN A 14

Speciale — Libri sotto l’ombrellone

C L

di Carlo Simone

iao a tutti gli amici della Bibliobussola! E' finito un bellissimo anno insieme, è finito perfino questo mese di Maggio, straziante come tutti i Maggi, che sembrava non volersene andare via più, e proprio quando sembra che la storia più fantasy di tutte la stia vivendo l'Italia tra atroci attentati e scosse di terremoto esce anche l'ultimo numero dell'Oblò, e con lui questa rubri ca. Vi ho preparato uno speciale su Stephen King, autore affascinante e universale, che vi propongo di portarvi in vacanza quest'estate al mare con gli amici, in montagna con la nonna sorda, su Plutone o ovunque vi toccherà andare. Facendo gli scongiuri per non essere qui a Milano a studiare per i debiti! Auguro a tutti buonissime vacanze, eccovi servite due storie d'eccezione!

a grandezza di Stephen King è un rosone di cattedrale, immenso e colorato, composto di miliardi di sfaccettature. Si potrebbe definire un grande scrittore per miliardi di motivi. Uno di quelli che senz'altro ho sempre amato e ammirato di più di questi è che King è davvero in grado di raccontare qualsiasi storia. E' per questo che una volta, in un'intervista, disse: “...la gente dice che io sono uno scrittore horror, ma non è vero. Io scrivo quello che mi sento. E' la gente che poi ci potrà vedere dentro quello che vuole”. Anche se è innegabile che buona parte dei lavori di King (IT per primo, ma anche Shining, solo per citare i più famosi) sia venata da un gusto per il terrificante assolutamente giustificato e mai gratuito, perché utile per meglio descrivere il reale, non è questo il caso della saga della Torre Nera. E' probabile che alla maggior parte di voi questa saga sia sconosciuta. King stesso ne è ben consapevole: alle conferenze stampa, quando chiede chi abbia mai letto almeno un suo libro alzano la mano praticamente tutti, e quando poi domanda chi ne abbia mai letto uno della Torre Nera, a lasciarla su sono sempre in pochissimi. Eppure è lui stesso a definirla “il mio capolavoro”. E' una saga maestosa che ha scritto spalmandola su ben 33 anni della sua vita. Ed è assolutamente la cosa più fuori di testa che io abbia mai letto. King stesso dice di averla scritta sull'onda dell'entusiasmo suscitato dall'uscita del Signore degli Anelli, che ha significato moltissimo per tutta la sua generazione. Sia per gli hippies di Woodstock, sia per i novelli romanzieri come lui, che sognavano di scrivere un'epopea grandiosa come quella di J.R.R. Tolkien. Ma King non copia mai, né lascia i lavori a metà. Da misero sogno, la saga della

La Torre nera

Torre Nera è diventata frusciare di pagine, viaggi meravigliosi, amicizie, mondi inesplorati: una concretezza fantastica che la fa rivaleggiare comodamente contro altri grandi cicli come Shannara o Le Cronache di Narnia. Il fatto è che la Torre Nera non c'entra assolutamente niente con nulla di quel che avete letto, tanto meno di King stesso. Di King mantiene soltanto lo stile narrativo appassionante, accattivante, morbosamente dettagliato. Il resto è adrenalina pura. Ditemi dove lo trovate un incipit più accattivante di questo: “L'uomo in nero fuggì nel deserto e il cavaliere lo seguì”. L'ho sempre amato: semplice, diretto, come un ceffone: e lascia aperta la porta su spazi infiniti. Il “cavaliere” è l'anti-Frodo: Roland di Gilead, eroe tragico e uomo vero, sofferente, ultimo della stirpe dei pistoleri, guerrieri che vivono in un mondo a metà tra il Medioevo e il Far West, che mantenevano la pace come paladini della giustizia. E' rimasto solo Roland, e il mondo versa nel caos. L'unica salvezza è rappresentata dalla Torre Nera, il fulcro dell'universo, il perno attorno a cui ruotano le vicende di tutti, e tutte le dimensioni, tutti i mondi possibili e immaginabili. Ma nessuno l'ha mai vista. E' l'avventuroso viaggio della vita di ciascuno di noi. Il viaggio verso la salvezza, sulla strada della speranza, in un mondo pronto a farci fuori. Non solo per la salvezza nostra, ma di tutti. E Roland non si fermerà di fronte a niente pur di raggiungere il suo obiettivo: anche se contro di lui si scateneranno delle forze misteriose e terribili, i servi del Re Rosso che vuole impadronirsi della Torre... Vi pare forse che i compagni di viaggio di Roland in questa epopea potranno mai essere gente normale, o insospettabile? Niente affatto! Tra mille insidie, Roland si

fa accompagnare da un bambino di 10 anni, un eroinomane e una ragazza sulla sedia a rotelle, schizofrenica, per giunta. Una presa in giro? Tutt'altro. Gente crudelmente normale, al fianco di questo eroe disincantato e tremendo. Come a voler dire che quest'avventura è alla portata di ciascuno di noi, se solo volessimo: c'è un pistolero nel cuore di ognuno. Non c'è bisogno di appellarsi agli eroi, all'Aragorn della situazione, perchè qui è la gente qualsiasi che viene chiamata in causa per rendersi eroica e salvare il mondo. Che d'altronde sarebbe il compito di ciascuno di noi che andiamo a scuola, spazziamo le strade, lavoriamo in banca, in panetteria... Vedete forse supereroi in giro? Io no. Se la grandezza umana e l'eroismo non vengono fuori da noi, da chi? Non si può stare ad aspettare per sempre che venga giù qualcuno a risolvere i problemi. Roland attorno a sé sceglie persone banali, con problemi di tutti i giorni. Poi, come facciano l'eroinomane e gli altri due a trovarsi nel mondo di Roland, lo lascio a voi e spero, dunque, alla vostra lettura. Si tratta di 7 romanzi, vi assicuro uno più scorrevole dell'altro. Come in ogni opera di King, lo sguardo del narratore è attento a tutto l'universo, in tutti i suoi dettagli: vedremo allora senso del dovere combattersi contro i desideri personali in un dramma che ricorda quasi quello dell'Eneide, e poi ancora civiltà cadute in rovina, il rapporto con l'ignoto, con la paura, con il mistero, lo sforzo di superare i propri limiti... E soprattutto avventura e mostri a non finire, in una storia la cui lettura va benissimo per chiunque, maschio o femmina, proprio come Il Signore degli Anelli. Un fantasy con tutti i crismi, ma non fine a se stesso, bensì veramente torbido e sporco di situazioni così dolcemente umane, per cui coinvolgenti e motivo di meditazione per ciascuno. Un viaggio meraviglioso dal quale sognerete di non uscire mai.


P A GIN A 15

G IU GN O 2012

x2

S

tephen King o lo si ama o lo si odia. Non c'è modo di scendere a patti con quello che, a mio avviso, va considerato come uno dei più grandi cantastorie del nostro secolo. Tutt'altro che commerciale come tanti altri autori dai nomi altisonanti e dalle copertine colorate, questo romanziere ha una fantasia infinita e conosce mille modi per orchestrare le sue moltissime storie, per renderle tutte una più ingegnosa e accattivante dell'altra. Quando scrive, non si risparmia niente, e così neanche al lettore. Prendere o lasciare: leggere King è come lanciarsi in una rissa da cui si esce o pesti o rinfrancati. E ha un talento tale da riuscire a dare ad ogni sua opera un'impronta diversa, mai banale, mai scontata, sempre affascinante: avendo ben chiaro un messaggio in testa e sottoponendolo all'attenzione del lettore grazie ai più disparati espedienti. E' questo il caso di IT, il suo romanzo forse più celebre e celebrato, da cui è stato tratto un film del 1990. Avete in mente quel pagliaccio killer, un mix tra Ronald MacDonald e Alien? Ecco, è di lui che sto parlando. IT è un libro immenso, in tutti i sensi. Senz'altro per mole, ma certamente anche per contenuti. Prendendosi il lusso di scrivere tutte quelle pagine, King ha modo di raccontare di tutto il mondo, dai dettagli più discreti come la vita in una cittadina sperduta del Maine, a temi universali come il razzismo, la follia, l'amore, e il tutto all'insegna del Tema per eccellenza: la grande, spettacolare, infinita lotta tra il Bene e il Male. Che cosa sono esattamente? Si può sconfiggere il male, o contro di esso si risulterà sempre sconfitti, schiavi del dolore, della paura? In che modo si può vincere questa guerra che ha sempre visto l'uomo scontrarsi, alla fine, contro se stesso? IT è il male. IT è il mostro per eccellenza. Lo dice il suo stesso nome: IT, la Cosa. Da dove viene il male? King lascia volutamente sul vago la storia delle sue origini: pare che sia piovuto dallo spazio, molto tempo fa. Insomma, c'è sempre stato. E ha sempre avuto a che fare con l'uomo: così come IT infesta Derry -la città in cui è

IT ambientata la maggior parte della vicenda-, così il male infesta il mondo. Ma siamo certi che il male sia qualcosa di esterno all'uomo, come se fosse un destino malvagio, che si accanisce contro di noi? O non è forse l'uomo stesso che l'ha introdotto nel mondo, coi suoi comportamenti, con la sua ribellione? IT infatti pare essere allo stesso tempo un'entità a sé stante e un tutt'uno con la città di Derry. IT è nella gente. E IT colpisce per primi i più innocenti di tutti: si mangia i bambini, tramutandosi nelle loro più grandi paure. E saranno proprio dei bambini, allora, a muovere guerra contro IT. Poco più che dodicenni, Will Denbrough e i suoi amici vengono a conoscenza, con un impatto fortissimo, del male che inspiegabilmente esiste. Qualcuno ha ammazzato il fratellino di Will in una giornata di pioggia, e questo getta il ragazzino nello sconforto. Tuttavia più passa il tempo più Will e i suoi amichetti si rendono conto che non si tratta di una coincidenza, la morte del suo fratellino e di altri bambini in città; anche se nessuno degli adulti, ciechi, sembra capire. Inizierà così una caccia che spingerà i protagonisti, armati solo di fionde, biciclette e del coraggio infinito dell'infanzia, dritti dentro al mistero che attanaglia Derry e la sua gente. Faccia a faccia con IT, faccia a faccia col mondo, cercando un modo per sconfiggerlo definitivamente. Tuttavia, la meravigliosa macchina scenica di IT non si limita a raccontare questa avventura. In contemporanea, eccelsamente sovrapposta, viene raccontata la storia di Will da adulto, e di quelli dei suoi amici che sono sopravvissuti al primo scontro col mostro. Questo impegnativo e ben riuscito espediente ci mostra con straordinaria chiarezza il processo di formazione di questi uomini e donne che, una volta adulti, sem-

brano dover fare i conti con qualcosa di ancora più mostruoso: IT è ritornato, infatti, ma questa volta i protagonisti, non più bambini, sembrano non aver più la forza e il coraggio per combatterlo. Per paradosso, da piccoli erano più uniti, e più forti. Agivano all'unisono secondo quella che Will chiama la voce della Tartaruga, cioè quel significato profondo di Bene che li accomunava tutti e che li rendeva invincibili. Adesso è diverso: ora sono fragili, hanno qualcosa da perdere, la paura è meno genuina ma più potente di prima. Eppure sono costretti a ritrovarsi tutti per fronteggiare ancora una volta la terribile minaccia di IT, perchè IT è tornato, ed è ben deciso a vendicarsi. Consiglio questo romanzo perchè è molto umano. Il sovrannaturale, come in ogni vero fantasy, diventa una chiave di lettura per il reale, e un modo per capirlo meglio, estremizzandolo. Tutto questo processo di formazione esistenziale è condito nel migliore dei modi: se non avete mai letto un libro di Stephen King non potete ben comprendere quello che sto dicendo. E' totalizzante. Avvincente. Calamitante. Pur essendo un libro lunghissimo, non riuscirete a staccarvi. Quella di King è senz'altro una tecnica narrativa efficace e personalissima: l'importanza decisiva di ogni dettaglio, l'attenzione data a ogni singola sfaccettatura dell'anima e della paura, il realismo estremo, pur se in un'opera di fantasia. E' la lotta dell'innocenza contro il Male, un Male che non risparmia niente a nessuno: niente è più mostruoso di IT, nulla vi farà più paura dei milioni di metodi che IT usa per terrorizzare le sue vittime. Raffinati o brutali, sempre e comunque efficientissimi: quanto orribili appariranno ai protagonisti della storia, tanto più lo saran per voi. Siete pronti a scontrarvi coi vostri peggiori incubi?


C I N E MA

P A GIN A 16

di Dario Zaramella

S

embra ieri, miei cari Carducciani, il giorno in cui la presente rubrica emise i suoi primi vagiti; in cui l'Oblò, ormai ampiamente risorto dalle ceneri, diede asilo a questo timido ma radioso neonato. Il neonato crebbe; ma di quel roseo pargolo sono ancora oggi presenti i tratti fondamentali: una struttura pressoché invariata — recensioni brevi, da leggersi furtivamente tra i banchi, intervallate da speciali un po' più articolati —, l'assenza di un qualsivoglia criterio tematico nella scelta dei film

(vuoi recensire? Recensisci. Ad libitum), e, last but not least, una costante collaborazione da parte della radiosa fauna carducciana. "Voi", in poche parole. Vi ringrazio, allora, per aver sostenuto il progetto con tanto entusiasmo e partecipazione: tra queste grigie pareti sono più preziose dell'oro.

A N N O VI — N U M ER O VI II

come il suo protagonista, un "gangster movie" atipico e surreale, con un tocco di American Psycho. Accanto a questi giganti del cinema vi sono poi perle nascoste, film meno conosciuti ma non per questo meno validi: è il caso di Gia - Una donna oltre ogni limite, film prodotto per l'emittente statunitense HBO che narra la vita della modella Gia Carangi, in bilico tra la volontà di emergere e le irresistibili tentazioni della droga e della carne. Detto questo non mi resta che ringraziarvi nuovamente a nome mio e di tutta la redazione, e augurarvi un'estate all'insegna di sollazzi, loci amoeni e impetuose passioni.

Ma bando alle ciance, e chiudiamo qui i doverosi e sentiti patetismi per presentare brevemente gli ultimi tre film dell'anno: si parte con il vincitore agli Oscar di quest'anno, quel The Artist che, insieme al già recensito Hugo Ca- Ci rivedremo quando un autunnale manbret, vede nella lode al cinema di una to di foglie tornerà a coprire le strade. volta il proprio punto di forza; è poi la Fino ad allora, adieu. volta di Drive, tormentato e ambiguo

Gia — Una donna oltre ogni limite "Alcune volte penso che fosse una persona diversa per ognuno. Alcune volte sapevo chi era. Altre volte no. Chiunque provi a dirti esattamente come Gia fosse, non la conosceva affatto" di Anna Vaccari riprendersi la sua vita. L'ultima possibilità di ricominciare tutto da capo le viene ia Marie Carangi: nome proba- strappata dall'AIDS: Gia muore all'età di bilmente sconosciuto a molti di appena ventisei anni. voi. Il film, prodotto per il canale televisivo Siamo a Philadelphia, negli anni americano HBO, è stato diretto da Miche'70: Gia è una diciassettenne che vive con al Cristofer; è basato suo padre e i suoi fratelli, dopo che sua sulla vera storia di Gia madre li lasciò per un altro uomo. Gia non è Carangi, modella italocome le altre ragazze: il suo carattere ribel- americana, dalla carle, la sua volgarità e la sua straordinaria riera breve ma intenbellezza vengono notate una sera da un sa. Gia è una delle fotografo di moda. Trasferitasi a New York, prime donne famose a comincia la sua tanto improvvisa quanto morire di AIDS, anche fortunata carriera di modella: in pochissimo se la vera causa delle tempo il suo volto è sulle copertine di Vo- sua morte è stata per gue e Cosmopolitan. Gia però è giovane e lungo tempo non resa fragile e la pressione per riuscire ad essere nota al pubblico; infatsempre perfetta sul lavoro, il venire conti- ti pochi nel mondo nuamente abbandonata ora da sua madre, della moda conosceora da Linda (la donna che ama) ora da vano la verità. Wilhelmina (la sua manager), la spingono I suoi diari (grazie ai nel baratro della droga. Cocaina, crac, eroi- quali è stato possibile scrivere il film) tena: Gia è riuscita in poco tempo a perdere nuti fin da quando era piccola, sono la ciò che si era guadagnata. Prova però a testimonianza di un grave trauma infantile disintossicarsi, poichè in fondo ha appena causato dall'abbandono della madre ventitré anni, è così bella, e può ancora quando aveva appena otto anni; questo

G

shock le renderà impossibile vivere da sola e instaurare relazioni stabili con le persone. Credo che aver scoperto questo film totalmente per caso sia stata una sorta di benedizione: non è semplicemente la storia di una modella che si lascia condizionare dall'ambiente della moda degli anni '70, Gia era di più: una bambina che non aveva avuto la possibilità di crescere, catapultata in una grande città come New York, in un ambiente nel quale è facile perdere se stessi. Oltre alla straziante storia di un'altra giovane (troppo giovane) vita distrutta dalla droga, quello che mi ha fatto innamorare di questo film è l'attrice che interpreta Gia: Angelina Jolie. Coloro i quali dicono che la Jolie non sa recitare, non hanno mai visto questo film! Gia è la Jolie e la Jolie è Gia: in tutta la sua bellezza esagerata, in tutta la sua sensualità prorompente e in tutto il suo fascino sconvolgente.


C I N E MA

G IU GN O 2012

P A GIN A 17

Drive "...and you have proved to be a real human being and a real hero" di Dario Zaramella rima di parlare di questo film vi invito caldamente a guardare il trailer italiano, facilmente reperibile su youtube. Fatto? Bene. Se, dopo quelle immagini altamente fuorvianti, sperate di trovarvi di fronte all'erede spirituale di Fast and Furious — fidatevi di me — fareste bene a risparmiare i soldi e passare ad altro: al contrario di quanto si potrebbe pensare, Drive è tutto fuorché adrenalinico. Non ci si deve neanche aspettare il solito connubio "donne e motori", peraltro: la storia d'amore tra il misterioso e taciturno driver, un Ryan Gosling più in forma che A N N O VI — N U M ER O VI mai, e la sua vicina di casa, moglie di un

P

galeotto nonché madre, ingrana lentamente, sguardo dopo sguardo, in un'atmosfera a metà tra il noir e il surreale. Difficile non apprezzare la maestria del regista, il danese Nicolas Winding Refn, nel tratteggiare in poco più di 90 minuti una figura come quella del protagonista, di giorno meccanico e di notte autista per rapinatori e criminali, un uomo in bilico tra legalità e illegalità, tra amore e violenza che a tratti sembra sfociare in pazzia. La trama, così come la sporadica presenza di inseguimenti su quattro ruote, passa quasi in secondo piano rispetto all'atmosfera, pur contribuendo a mettere in luce il duplice carattere del

driver, ora affettuoso con il piccolo Benicio e sua madre, ora implacabile vendicatore. Regia, fotografia, colonna sonora, tutto contribuisce a rendere questo "falso gangster movie" una perla (chi l'ha visto ricorderà la scena con la maschera, "Oh my love" di Ortolani in sottofondo), un esperimento pienamente riuscito del regista, tra le altre cose, di Bronson (2009), che riesce a farsi apprezzare da chi cerca un'opera sostanzialmente psicologica, pur con tutti gli splendidi orpelli visivi del caso. Sono riuscito a destare la vostra curiosità? Sedetevi, allora, mettetevi comodi sul sedile di elegante pelle accanto al guidatore — fate silenzio: non ama essere disturbato! — e preparatevi a veder sfrecciare davanti ai vostri occhi le luci di una New York corrotta come sempre, ma sorprendentemente silenziosa e passionale.

The Artist «Caro, sono una persona infelice» — «Come milioni di persone...»

C

di Carlo Simone giungono i titoli di coda ci si sente intima- do la cosa al declino della propria carriera,

'è crisi, c'è crisi, c'è crisi: ormai lo sanno anche i muri imbrattati del cortile e le pizzette giù al bar. Esiste un modo per uscire dalla crisi, che non sia quello di tassare perfino le sigarette all'intervallo o i campi da ping pong giù in palestrina? Secondo me un ottimo consiglio in questo senso è emerso da una fredda notte Californiana, il 26 Febbraio scorso: la notte degli Oscar. Il film che ne è uscito a testa alta è stato The Artist, un film muto. Muto?! Sì, muto. E logicamente in bianco e nero. Volete saperne una bella? E' stato sì girato a Hollywood, ma è recitato, diretto e prodotto da francesi. Orrore degli orrori, chissà che strazio! E invece... C'è crisi, e Hollywood dove si rifugia? In un luogo protetto, nascosto, dove la crisi non la raggiungerà mai: nel suo passato dorato. Il film infatti non è certamente muto per caso: tutto quanto è ambientato negli anni '20, quando il cinema era tutto così. Ironia dell'ironia, racconta di un attore del cinema muto sulla cresta dell'onda, che viene poi scaricato da tutti agli albori del sonoro. In un momento storico -il nostro- dove mai come in passato sta regnando un pessimismo diffuso e il cinismo dilaga, una storia di caduta e rinascita come quella raccontata in The Artist è un toccasana. Quando soprag-

mente rinfrancati. E' di una dolcezza squisita, toccante, profonda. L'attore che interpreta George Valentin (il protagonista), Jean Dujardin, è stato subito ricercato da mezza Hollywood, e non è certo un caso: la sua interpretazione profondamente autoironica, divertente al punto da essere esilarante, condita dal sarcasmo tipicamente francese e da un sorriso che non penso vi scorderete mai gli ha valso -secondo me meritatamente - l'Oscar come Miglior attore protagonista. Ha fascino, e il merito di essere accattivante. Non meno importante, The Artist è anche una bellissima storia d'amore. Bèrenice Bejo interpreta un'ammiratrice di George che riesce a incontrarlo in circostanze fortuite, e tra i due nasce un sentimento complicato, controverso, vario: all'inizio lei lo adora come tutte le ragazzine adorano le loro star preferite, e lui la tratta bonariamente dall'alto della sua condizione di ricco e famoso che gli permette di elargirle favori a non finire. Poi lei diventa famosa grazie a lui, mentre intanto lui cade in disgrazia. Siccome lei è totalmente rapita dal mondo del cinema e non lo cerca più, lui, somman-

cade in una depressione pesantissima (tremenda e meravigliosa la scena in cui dà fuoco a casa sua), dalla quale però toccherà a lei tirarlo fuori. Due attori fuori dal comune: pensate a quanto sia più complicato trasmettere un messaggio, un'idea e delle emozioni senza l'uso della parola. In questa intensità di rappresentazione vengono fuori i grandi attori: questi due, per quanto piuttosto giovani, sono talentuosissimi. Rispondere a tono alla crisi, con un'iniezione di sane risate e di speranza. E' davvero un film che alleggerisce il cuore e dà nuove energie. Tra l'altro, l'idea di dare le spalle al giorno d'oggi così cupo e grigio aprendosi al cinema che fu è stata ripresa anche dall'altro grande vincitore della notte degli Oscar, Hugo Cabret, altro film preziosissimo che tra le sue tante storie ci racconta pure di questo. Parla di un bambino. Un bambino e un film muto, due cose misere, all'apparenza. Io però sono convinto che sia proprio dalla semplicità che il mondo deve ripartire, se vuole uscirne. E magari lasciarsi commuovere un po'. Dopotutto, cos'altro ci rende umani?


A T T U A L IT À

P A GIN A 18

A N N O VI — N U M ER O VI I

di Francesco Bonzanino

di Edo Mazzi

R.E.M. – Out of Time (Warner Bros. Records, 1991)

I

Dire Straits- Making Movies (Vertigo Records, 1980)

O

ttimo disco, terzo della R.E.M., gruppo rock degli anni band che, abbandonate ’80 scioltosi di recente nel nole influenze blues delle vembre 2011 dopo aver inciso origini, si concentra su molti dischi, ha sicuramente sonorità rock più classiche e su raggiunto l’apice del successo con il testi meno autobiografici e dotati settimo album “Out of Time”, nel di maggior carica poetica. E' anche ’91. Alla traboccante energia rock il il disco dell'abbandono di David Knopfler a metà incisione; imdisco sa alternare canzoni dai ritmi più soffusi e delicati. portante è inoltre la collaborazione di Roy Bittan della E-street Il lato A -Time Side in quest’album- inizia con “Radio Song”, in band di Springsteen. cui riecheggia, inconfondibile, la voce di Michael Stipe, che, sopra il ritmo acceso della canzone, si rivolge a una stazione Il lato A si apre con la stupenda “Tunnel of Love”, che venne radio a lui di poco gradimento. “Losing my Religion”, canzone estratta come singolo solo in alcuni Paesi perché ritenuta – erdai ritmi Folk Rock di grande effetto, e dalle intense emozioni, roneamente - troppo lunga con i suoi soli 8 minuti e 25 secondi. è senza dubbio il singolo di maggior successo di questo disco, Si tratta di un sostenuto ritmo rock su cui si dirama la storia di grazie alla grandezza del testo, disteso su un accompagnamen- due persone ferite da pene d'amore che s'incontrano in un luna -park e, dopo una splendida serata passata insieme, decidono to di mandolino. comunque di non iniziare una storia che potrebbe ferirli; “ in a Il ritmo rallenta – ma senza affievolirsi - in “Low” arricchita da screaming ring of faces I seen her standing in the light/ she had uno splendido accompagnamento di basso . Si prosegue con la a ticket for the races just like me she was a victim of the night”. preziosa e particolare“Near Wild Heaven”, dove il batterista Bill L'assolo finale è estremamente efficace nell'esprimere dolcezza Berry e il chitarrista Peter Buck, oltre a mantenere con i loro e debolezza derivate da chi decide di aprire il suo cuore in mostrumenti il ritmo del brano, si dilettano ad accompagnare con do assolutamente sincero. Come seconda traccia, ecco un altro la voce, facendo da coro, il solista Stipe. Il primo lato si spegne singolo, “Romeo and Juliet” una rock ballad destinata a diventainfine con “Endgame”. re 'exemplum' per chi vorrà da quel momento in poi, cimentarsi Il lato B – dal titolo di Memory Side- si apre con l’ormai celebre con questo tipo di forma-canzone . Tratta delle stesse temati“Shiny Happy People”, canzone emblematica non solo del tipi- che della prima traccia (e di tutto l'album) aggiungendo quella co ritmo Rock dei R.E.M. ma dell’album stesso; alla voce Mi- dell'amore non corrisposto con un testo a tratti volutamente leggero e ironico dipingendo un Romeo buffo e impacciato, a chael Stipe è accompagnato da Kate Pierson dei B-52’s. tratti romantico come quando dice “I can't do anything but I'd Gemma dell’album è “Belong”, splendida in tutto il suo essere, do anything for you/ I can't do anything except be in love with con l’ attacco alla chitarra e subito dopo con la voce del can- you”. Chiude il primo lato 'Skateway' che riporta a un'atmosfera tante. Dopo “Half a World Away”, segue la meravigliosa di 'narrazione rock' con venature più speranzose e meno ro“Texarkana” cantata con eccezionale abilità da Stipe e da Mike manzate o sdrammatizzanti. Nel lato B troviamo “Expresso LoMills. ve” che segue la scia di “Tunnel of Love” sia per quanto riguarDopo “Half a World Away”, è il turno della splendida da la sezione musicale sia per il testo, entrambi giusto un po' “Texarkana”- il brano dei R.E.M. che preferisco- cantata davve- più frivoli. Segue “Hand in hand”, ballata dai toni un po' più ro con grande abilità da Stipe e da Mike Mills. Si passa, poi, alla cupi, che parla della triste consapevolezza di un amore finito e successiva “Country Feedback”, brano, dal ritmo melodico e lo fa con un tappeto sonoro del pianoforte di Roy Bittan, by courtersy of E-street Band, al servizio di liriche costellate di forse anche un po’ romantico ma capace di lasciare emozioni. Ultimo fuoco d’artificio del disco è “Me in the Honey”, in cui immagini molto potenti come 'il cielo che piangendo lava via Stipe è nuovamente accompagnato dalla voce di Kate Pierson. tutte le paure e le scritte sui muri, perdona e dà da bere alla Album, “Out of Time”, davvero grandioso nella sua semplicità, città sporca’. “Solid Rock”, che si commenta dallo stesso titolo,è la penultima traccia del disco e anche di molti live, proprio per consigliato assolutamente a chiunque, perché, credetemi, ne dare l'impressione che ciò che sta accadendo non sta per finire vale davvero l’ascolto. nel giro di due brani. Per descrivere questo pezzo nel modo migliore che posso sebbene possa esser visto come ignorante "Mark ha la straordinaria capacità’ di (quale sono, non mi offenderei), direi che si tratta di una traccia far emettere alla sua Schecter Custom dove a una sezione musicale in stile Stones si aggiunge un canin stile Lou Reed meno stanco e più pulito e sobrio che Stratocaster dei suoni che paiono pro- tato mai: ascoltate il pezzo e lasciate perdere i miei strampalati padotti dagli angeli il sabato sera, quan- ragoni. Chiude l'album “Les Boys” che, con il suo testo, rappredo sono esausti per il fatto di essere senta un abbassamento del livello poetico del disco ma che non stati buoni tutta la settimana e sento- guasta con la sua leggerezza ragionata e vagamente dandy; no il bisogno di una birra forte" insomma si ha un divertisment come conclusione di un album impegnativo e profondo nelle sue tematiche, affrontate da [Douglas Adams] Mark Knopfler con un efficace mix di sincerità e romanticismo, condite dalla chitarra descritta sublimemente dalla citazione qui a fianco riportata.


G IU GN O 2012

A T T U A L IT À

P A GIN A 19

Genovese, troppo genovese Scrive per noi e ci parla della sua affascinante città Edoardo Leveratto, redattore di “Dragut”, giornalino del Liceo Classico Andrea Doria di Genova, che abbiamo incontrato a Perugia in occasione del CISS.

All'alba di quella che presto sarà la mia fuga è giunto il momento, cara Genova, di stendere un resoconto sul nostro contrastato rapporto. Diciannove anni di convivenza (e reciproca connivenza) non sono certo pochi. Nel far ciò avrei potuto, pertanto, dilungarmi in una lunga e noiosa serie di motivazioni arzigogolate e lambiccate sulle ragioni d'odio e d'a more e, infatti, lo farò. Mi piaci, Genova, perché se ho freddo nel novantanove per cento dei casi sono in un'altra città. Mi piaci perché hai un ottimo conservatorio che, in molti corsi, attira studenti da ogni parte d'Italia. Mi piaci perché se ho caldo faccio proverbialmente due passi e sono in spiaggia. Ancora mi piaci, e mi tocca essere banale, per il fatto che quando mi imbatto in una striscia di focaccia, almeno culinariamente, mi sento al centro del mondo. Ti ammiro quando nel 2004 diventi capitale europea della cultura insieme a Nizza oppure quando ogni cinque anni frenetica ti mobiliti tutta per dar luogo all'Euroflora. Ti contemplo se in primavera tutti i giardini della riviera esplodono di vivi germogli o quando torno a casa, magari da un lungo viaggio, e sono accolto dalla salsedine che ventosa risale per le anguste stradine. Ti adoro perché grazie a personalità come Ivo Chiesa hai uno dei panorami teatrali più fervidi e frizzanti d'Italia, con cartelloni ogni volta innovativi e stimolanti. O perché il tuo centro storico, intriso di vita e curioso cosmopolitismo dal medioevo ad oggi, è patrimonio dell'umanità secondo l'UNESCO. Mi piaci perché non hai il “Pagante”. Per contro, non mi piaci perché hai gli “Albarini”, che in ben poco si differenziano dai “Pagantes”. Non mi piaci perché la scena musicale giovanile, ma non solo, rende solo offuscatamente il fervore che potresti, invece, esprimere. Non mi piaci perché l'AMT, l'azienda dei trasporti, è stata privatizzata e da cinque anni ad oggi ha pressoché raddoppiato il costo dei biglietti, ma ridotto drasticamente e sensibilmente il servizio erogato. Non mi piaci quando ti eleggono “La città più vecchia d'Europa”. Allo stesso modo non mi piaci, anzi ti detesto apertamente, quando il cosmopolitismo dei vicoli si trasforma in cieca follia e il Sabato sera, in mezzo a centinaia di ragazzi, un mio conoscente viene raggiunto da sei coltellate. Aveva tentano di aiutare un amico a cui era stato appena sfilato di tasca il cellulare. Cara Genova, un'ulteriore volta non mi piaci perché la Lanterna, il tuo simbolo, si erge in mezzo ad una centrale ENEL a carbone. Una di quelle come non se ne dovrebbero più vedere, fosse anche solo per l'impatto visivo delle ciminiere nel centro città (e non parliamo di quello ambientale). Ti biasimo profondamente quando su uno dei tratti di litorale in potenza più turisticamente attrattivi hai costruito chilometri e chilometri di acciaierie. Acciaierie di cui, per la gran parte, restano ormai solo le carcasse di ferro rugginoso, monumentale testimonianza d'un tempo che è stato e d'un danno cui non sarà posto rimedio. Non mi piaci quando il besagnino − verduraio in genovese − di Piazza Giusti a San Fruttuoso è Mimmo Gangemi, uno dei più importanti boss della 'Ndrangheta nel Nord-Ovest, ora per fortuna in carcere. Non mi piaci quando viene danneggiato il motorino al cantante del mio gruppo perché partecipa alle riunioni di un collettivo anti-fascista. Ancora una volta non mi piaci perché il tuo affascinante e coinvolgente, tanto quanto stretto e impraticabile, “sali e scendi” non permette a me e ai miei concittadini di muoversi in bicicletta e, congestionandosi in un baleno per il grigio traffico, mi fa arrivare in ritardo. Sempre. Cosa dire allora di quando hai fatto gran vanto delle tue cinque modernissime fermate di Metro e, oltre all'epocale ritardo di dieci anni sulla scadenza prestabilita, scopro che più della metà dei tunnel era già pronta negli anni ottanta? Per l'ultima volta non mi piaci quando il Comune affida tutti i numerosi lavori di bonifica del territorio (e i milioni di euro in proventi derivanti dagli stessi) ad Eco.Ge, una ditta segnalata ufficialmente dal tribunale come sospettata di infiltrazioni mafiose, senza che nessuno, tranne Report, provi a fare qualcosa. In definitiva posso dire che rimane il rammarico per una città paesaggisticamente e storicamente straordinaria, già porto di mille genti e culla di personalità d'immane rilevanza artistico-letteraria, ma ormai irrimediabilmente consumata dal disinteresse. Lo stesso disinteresse che ha dato i natali alla situazione di putrido stagnamento politico-culturale che stiamo vivendo oggi (emblematico a riguardo il dato sull'affluenza per le amministrative scesa al 39% durante il ballottaggio Doria-Musso). Ogni tanto oggi si notano i primi timidi barlumi di un risveglio dopo il lungo letargo intellettivo culturale e di conseguenza anche economico, ma ogni giudizio è prematuro. Come ha detto, parafrasando volgarmente, qualcuno che ne ha saputo ben più di quanto io saprò mai: releghiamo ai nostri successori il difficoltoso giudizio.


A N N O VI — N U M ER O VI I

P A GIN A 20

Tutti abbiamo le nostre venti righe nel cassetto di Silena Bertoncelli

C

osa succederebbe se si mettessero insieme una decina di giovani cervelli, la passione per la scrittura creativa, un'idea geniale e un accesso ad una rete internet? 20 lin.es è la risposta. Il progetto, una startup dedicata alla scrittura condivisa che ha debuttato alla Fiera internazionale del Libro di Torino, è nato dalla collaborazione di quattro co-fondatori (Pietro Pollichieni, amministrazione, Alessandro Biggi, commerciale, Marco Pugliese e Roberto Romano, programmazione) e sei giovani collaboratori, tutti di età compresa tra 24 e 26 anni, e tutti che all'università si sono occupati di altro (da economia a giurisprudenza, da scienze sociali ad ingegneria ed informatica). In partenza 20 lin.es è un sito, o meglio, una piattaforma web, che permette di scrivere, condividere, leggere e votare storie, anzi, parti di esse: 20 righe, appunto. L’idea alla base di questo progetto prevede l’applicazione dei meccanismi propri dell’intelligenza collettiva all’arte della scrittura: come? Semplice: gli utenti di 20lin.es (a cui ci si può liberamente iscrivere fornendo un nome utente, una password ed un indirizzo mail) possono iniziare una nuova storia scrivendo un incipit di massimo 20 righe e mandarlo alla mail dedicata alla selezione (cda@20lin.es ) e che resterà attivo per i successivi 20 giorni. Altri utenti possono contribuire all’evoluzione della storia scrivendo una seconda sezione, di massimo 20 righe, dando così la possibilità ad altri di proseguire, aggiungere una nuova sezione o riscrivere quella precedente, facendo così in modo che ogni incipit si possa sviluppare in una moltitudine di storie. Durante quei venti giorni un solo iter di racconto si aggiudicherà il titolo di Pillola e la pubblicazione, sotto forma di ebook di, ancora una volta, 20 storie in totale, grazie al lato social della piattaforma: l'"elezione" finale sarà infatti aggiudicata grazie al maggior numero di ''mi piace'' e condivisioni su Facebook, di citazioni su Twitter o di

Redattori:

commenti positivi e ''like'' sul sito stesso. «Ai libri di carta non ci abbiamo mai pensato», commenta Pietro. «I costi sono molto più alti. Magari, si potrebbe realizzare su base annuale una raccolta con le storie di maggior successo o anche su richiesta». Con il formato digitale, invece, tutto è più semplice: non servono stampatori né tipografie, «basta caricare le storie su Amazon o iTunes, che fanno un controllo legale sui contenuti, trattengono una percentuale minima su ogni copia venduta e permettono di vendere il libro». Lanciato in rete da meno di 20 giorni (non potevo non farmi contagiare dal numero simbolo del portale) su 20 lin.es si possono già leggere e continuare ben più di 20 storie e in homepage gli incipit del giorno, diversi ad ogni refresh di pagina, stuzzicano la fantasia e la voglia di scrivere. Agli utenti/autori già registrati si aggiungeranno

a breve anche scrittori e giornalisti noti come Paola Calvetti, Luca de Biase, Matteo Bianchi, Maria Franco, Mimmo Gangemi ed Enrico Fierro. Inoltre per i più tecnologici, è uscita e scaricabile anche un'App per leggere l’ebook direttamente sul proprio iPhone (20lin.es). Già nel 2007 Gregorio Magini e Vanni Santoni idearono il cosiddetto 'Metodo SIC', leggasi Scrittura Industriale Creativa, improntato sulla collaborazione a più mani nella stesura di una storia, breve o lunga che sia. Sempre nel 2007 tra l'altro è nato Opposto.net, un sito internet con un ramo nell'editoria che

oggi conta svariate pubblicazioni di libri, racconti e poesie in cartaceo. Ma di progetti simili a 20 lin.es ce ne sono davvero moltissimi, italiani e non: THe iNCIPIT ne è un esempio come anche toilet, ed in America il boom di piattaforme internet con le stesse caratteristiche di 20 lin.es ha preso piede da un po': FoldingStory, o ancora Fickly, ma molti, molti altri. Per quanto riguarda il lato economico «l’investimento iniziale è stato minimo», spiega Pietro Pollichieni: «Gli sviluppatori del sito fanno parte del team e le spese per l’acquisto del dominio sono basse». Il sito, con dominio .es, è stato infatti registrato in Spagna: niente delocalizzazioni per risparmiare. «Ci è servito per il gioco di parole», spiegano, «è un fattore che sta diventando di moda per le nuove realtà web ma che risponde anche alla difficoltà per cui spesso i domini .com sono già occupati». Come sostentamento iniziale, i quattro co-fondatori si sono rivolti alla scuola di scrittura Holden, autofinanziando però l’intero progetto. «L’intento è quello di vendere gli eBook nati dall’assemblaggio dei vari blocchi di venti righe scritti dagli utenti, con il desiderio di allargare il progetto anche alle sceneggiature di spot televisivi e ai cortometraggi». La promozione e la diffusione di questo geniale progetto è avvenuta principalmente attraverso la collaborazione e l'appoggio dei social network: Facebook, Twitter Google+. «Il vantaggio», dice Pietro, «è che sono gratuiti. In più abbiamo investito nella partecipazione al salone del libro di Torino». Quello che manca, ancora, è una redazione. «Al momento continuiamo a incontrarci nella mansarda di Alessandro, ma presto, forse, avremo bisogno di un posto fisso», commenta Pietro. È bello accorgersi di rimanere ancora stupiti davanti ad un'idea ben sviluppata. Alla faccia di chi dice che i giovani italiani d'oggi sono incompetenti. E un applauso a 20lin.es, ai suoi ideatori. Per la semplicità con cui si presenta. Per il contenuto essenziale eppure così accattivante. Per l'originalità che traspare sin dalle poche righe.

La Redazione dell’Oblò

Martina Brandi 3E Martina Calcaterra 1E Maria Calvano 2B Alessandra Ceraudo 3B Chiara Checchetto 1D Claudia Chendi 2B Ines Chillemi 1E Chiara Conselvan 3E Elisabetta Festa 4F

Jacopo Malatesta 3C Chiara Mazzola 2B Alessandra Pozzi 1C Anna Quattrocchi 4F Federico Regonesi 4A Beatrice Sacco 1D Beatrice Servadio 3B Carlo Simone 4D Alessandra Venezia 2B Dario Zaramella 4A

Collaboratori esterni: Francesco Bonzanino 3E Edo Mazzi 3E Anna Vaccari 3B Mattia Sanvito 5C Alessandro Luciano (LSS Volta) Edoardo Leveratto (LCS Doria, Ge) Vignettisti:

Silena Bertoncelli 3C Federico Regonesi 4A Grazie a Davide Motta 3B

Impaginatori: Chiara Conselvan 3E Eleonora Sacco 4F Chiara Compagnoni 5G Correttori di bozze: Chiara Compagnoni 5G Silena Bertoncelli 3C Jacopo Malatesta 3C Dario Zaramella 4A Responsabile Internet: Jacopo Malatesta 3C

Direttore:

Chiara Compagnoni 5G Capo Redattore: Eleonora Sacco 4F Capo Vignettista: Silena Bertoncelli 3C Docente Referente: Giorgio Giovannetti


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.