numero 3 - giugno
Editoriale
Ricordo ancora lʼAddio Carducci di un nostro fedele redattore pubblicato due anni fa (fine anno scolastico 2007-2008), che lessi con piacere e molto gusto, ritrovando in esso qualità, pregi e difetti del nostro Liceo. Come ogni anno, anche questo ha avuto i propri problemi e i propri momenti di gloria, e, come ogni anno, sciagure e successi hanno influito sul cambiamento della scuola. Questo è infatti lʼaspetto che mi colpisce di più di una scuola: il cambiamento, la sua trasformazione e rigenerazione nel corso degli anni, eppure il suo rimanere invariata per nome, caratteristiche e attributi. Ogni anno il Liceo si popola di nuovi individui e ne fornisce di cresciuti al mondo universitario, lavorativo o generalmente esterno. Dal 1932 il Carducci ha sfornato 78 generazioni di giovani classicisti (chi più chi meno), 51 delle quali sono uscite maturate e trionfanti da via Beroldo, il resto passeggiava invece nei pressi di via Lulli. Pensate dunque quanti ragazzi hanno trovato nel Carducci il proprio rifugio, quanti un estenuante purgatorio, quanti il proprio amore, quanti la loro rovina, quanti la loro Scuola. Avevano tutti gli stessi ideali, le stesse divise, le stesse ambizioni, le stesse difficoltà, gli stessi amici, gli stessi professori?
In realtà ognuno è stato diverso per sé e per gli altri, sviluppando un proprio spirito critico, esternando o meno i propri giudizi, stabilendo rapporti sempre differenti con compagni e insegnanti, ma tutti hanno fatto, volenti o nolenti, la stessa scelta. La domanda che sorge (spontanea?) è: chi sono stati i migliori alunni, quali le generazioni più interessate alla scuola e alla società, quali quelle più passive? Non penso si possa rispondere, le idee ci sarebbero, ma sono molto vaghe; in ogni caso non rispondiamo per non tirarci la zappa sui piedi. È alquanto strano accorgersi che gli anni trascorsi coincidono con certe amicizie, certe persone, certi volti, certi sguardi, e improvvisamente rendersi conto che queste facce, questi amici non ti osservano più, non appaiono più dietro lʼangolo allʼintervallo per salutarti: dietro agli stessi angoli ci sono altre teste, altre immagini, che non riconosci ormai, più giovani e per questo spesso evitate in precedenza per lʼamico che ora ti ha lasciato. Ogni carducciano è importante per la scuola e per il suo sviluppo, e anche se non ne fosse consapevole egli rimane sempre dietro quegli angoli a spiare e studiare i movimenti del Liceo, in attesa di una svolta, di un nuovo
Liceo Classico G. Carducci cambiamento, o forse è solo in attesa di qualcuno. Io sto perdendo qualcuno questʼanno e per questo mi accorgo di essere dietro lʼangolo e mi ricordo anche di esserci stata nel momento della scoperta di quel qualcuno. Mi accorgo quindi che la scuola non è solo un posto per studiare, per imparare dalle materie insegnate, ma è un luogo in cui socializzare e imparare dagli amici, dalle amicizie. La scuola è una comunità di studenti, che in quanto studenti dovranno pur sempre studiare, ma in quanto parte di una comunità dovranno saper comunicare e relazionarsi agli altri. Rivolgo un ultimo saluto perciò ai maturandi, pronti ad abbandonarci, invitandoli a ricordarsi di quellʼAddio Carducci del nostro Pierri: siete stati coraggiosi e mancherete a tutti coloro che hanno potuto conoscervi, perché avete fatto parte del loro Carducci! Dopo questa smielata saluto anche tutti gli altri, con i quali mi scuso nel caso si fossero sentiti ingiustamente esclusi dallʼeditoriale! (Piuttosto, non preoccupatevi perché come diceva Bucchi in una vignetta: “Figlio mio, un giorno tutto questo saranno c***i tuoi!”) Chiara Compagnoni
RESOCONTO DAL FRONTE DELLA MISTERIOSA CONSULTA Eccomi qui, sopravvissuto ad un anno di esplorazione e lavoro nelle lande sconosciute di Lampugnano, dove periodicamente ( magari fosse con regolarità) si tengono le riunioni, o dovrei dire chiacchierate al bar peraltro poco interessanti, di quella
strana entità definita come Consulta Provinciale degli Studenti di Milano. Il tono sarcastico dovrebbe farvi intendere come la mia impressione, già di per sè poco rassicurante a inizio anno, non solo non si sia risollevata, ma si sia schiantata fragorosamente a terra, esanime:
alla moria dei rappresentanti mai pervenuti si è aggiunta quella dei fuggiti via, si è verificata la (s)piacevole eventualità di tizi presentatisi per la prima volta a marzo con la pretesa di sindacare sui progetti di chi da ottobre lavora sodo; in tutte le
plenarie tenute dopo le vacanze (3, un poʼ poche?) non ho mai avuto il piacere di vedere il consiglio di presidenza al completo, al massimo uno o due consiglieri su cinque, il presidente, del vicepresidente sparito non ne parliamo, fino ad arrivare al paradosso di unʼultima
assemblea a cui hanno partecipato, se va bene, una trentina di persone. Ora le possibilità sono due: o un misterioso flagello rapisce uno dopo lʼaltro tutti i rappresentanti della Consulta oppure il disimpegno e lʼirresponsabilità hanno raggiunto livelli tali da essere nauseanti; ai posteri, o a voi, se proprio avete voglia, lʼardua sentenza. Siccome è troppo facile sparare a zero sugli altri, ma difficile dare conto del proprio operato, passo a parlare di quanto portato avanti da me e dal mio “collega”; in quanto
membro della commissione “Musica e Cultura”, composta da pochissimi, ma per mia fortuna intrepidi e volenterosi, ho proposto la creazione di unʼorchestra sinfonica che riunisca strumentisti di ogni livello provenienti da ogni istituto della Provincia, per dare valore agli studenti che perseverano con passione nello studio della musica e per dare a Milano una dimensione che in altre città è realtà. Mi sono rimboccato le maniche, niente di più e niente di meno, ho passato meno tempo a studiare e più tempo a scrivere mail e
a incontrare persone (non che mi sia dispiaciuto, anzi, mi ritengo fortunato), niente di straordinario, ma evidentemente oneroso oltre ogni dire per la stragrande maggioranza dei membri della Consulta. Lʼorchestra ora ha un compositore, un direttore e un dirigente organizzativo, ha già dei partecipanti passati attraverso una prima audizione (una seconda si terrà a settembre, se siete interessati fatemi un fischio in 2° H), incomincerà a provare a partire dal prossimo anno scolastico. Lʼaltro rappresentante della nostra scuola è stato
eletto referente della commissione “Sport” e si è preso la responsabilità di organizzare un torneo di calcio tra gli istituti superiori della Provincia, che si terrà in questi giorni. Ecco come in dieci righe vi ho esposto tutti i progetti portati avanti in un anno intero da unʼassemblea che conta 150 partecipanti. Un saluto, buone, meritate, vacanze e occhio al mostro di Lampugnano (non vorrei mai che faceste la fine dei rappresentanti di Consulta) Martin Nicastro
SOS MILANO A Milano c’è la nebbia...e non è una novità! Ma siete sicuri che quella coltre grigiastra, perennemente sospesa sulla nostra città, non sia piuttosto un mix di gas, polveri e particelle pronte a corrodere senza pietà i vostri rosei polmoni?! In effetti lʼaria SAREBBE un gas incolore e inodore composto da Azoto (78%), Ossigeno (21%) e Anidride Carbonica (1%), ma quando mai vi è capitato di attraversare Viale Brianza senza essere investiti da una nube di smog dallʼodore acre e pungente? Ebbene sappiate che ciò che involontariamente accogliete nei vostri alveoli è un miscuglio di gas e particolato sospesi nellʼaria. [Si veda la tabella] Il particolato (Particulate Matter), invece, provocato soprattutto dal traffico automobilistico e dalla produzione industriale, è una miscela di particelle solide e liquide (solfato, nitrato, ammoniaca, sodio, polveri minerali…) che viene classificato in base alla dimensione di queste ultime: abbiamo così il PM10 (quando il diametro delle particelle è inferiore ai 10mm) e il PM1 (quando il diametro è inferiore a 1mm). E dovʼè il problema (potreste chiedervi voi)? Il problema è che tutte queste sostanze sono tra le principali cause delle malattie
dellʼapparato respiratorio, dei tumori allo stomaco e ai polmoni e di alterazioni del ritmo cardiaco...a meno che, naturalmente, voi non abbiate un organismo di pietra (o meglio dʼacciaio, poiché la corrosione di monumenti in pietra è un altro dei danni causati da queste polveri erosive!). In particolare una prolungata esposizione al benzene causa alterazioni della funzionalità midollare e quindi anemie e leucemie. E se pensate che tutte queste patologie le abbia tirate giù da un ostrogoto libro di medicina tanto per drammatizzare la situazione vi sbagliate di grosso: non ce nʼè proprio bisogno! Anzi, non mi soffermerò sui danni allʼambiente (quali principalmente il buco dellʼozono e lʼeffetto serra) poiché spesso vengono visti come problemi lontani che non influiscono sul nostro quotidiano... ma vi dico solo che senza la nostra bella terra non esisterebbe più niente! Torniamo invece a Milano dove la situazione è aggravata, come avrete letto su tutti i giornali nellʼinverno tra 2008 e 2009, dagli elevati tassi di inquinamento che regolarmente superano, per un numero di giorni maggiore a quello previsto dalla legge italiana, la
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I gas più presen: in questa miscela, rileva: dalle centraline della ci?à, sono Anidride Carbonica (CO2), già → Prodo?a principalmente dal traffico presente in natura ma aumentata auto veicolare e dai processi di considerevolmente, è riconosciuta combus:one come il maggior gas-‐serra.
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Anidride Solforosa (SO2) → Centrali termoele?riche
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Metano (CH4) → Smal:mento rifiu:
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Cloroflurocarburi (CFC) sono → Ele?rodomes:ci (sono presen: nei i maggiori responsabili del buco liquidi refrigeran:) e bombole?e dell’ozono poiché le loro molecole, spray scomposte dalle radiazioni solari, reagendo con le molecole d’ozono ne modificano la composizione.
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Biossido di Azoto (NO2) → Agricoltura
soglia dʼallarme, la quale, TEORICAMENTE, stabilirebbe la quantità che ogni inquinante non deve superare in un metro cubo dʼaria. A questo punto il cittadino responsabile si adopererebbe nel suo piccolo per ridurre la propria produzione di emissioni, ma poiché la maggior parte se ne infischia oppure non sa come limitare il problema ecco che entra in
gioco il dovere del Comune di intervenire, per tutelare la salute di città e cittadini. Proprio per questo lʼassessore allʼAmbiente, mobilità e Trasporti del Comune di Milano, Edoardo Croci ha presentato un piano finalizzato a ridurre lʼinquinamento in città e a promuovere il risparmio energetico. Martina Brandi
Roy Lichtenstein La mostra dedicata a Roy Lichtenstein mi ha dato lʼoccasione per allargare i miei orizzonti artistici: egli è nato come fumettista e ha incarnato la trasformazione culturale americana nel decennio successivo al boom economico. Il suo obiettivo era quello di creare unʼarte dʼavanguardia (altrimenti detta POP ART) che mirasse a rendere più attuali i messaggi dei movimenti artistici passati. Lichtenstein tenta di “risignificare” le opere dei più grandi m a e s t r i dellʼarte, non copiandoli ma cercando d i attualizzarne “Golf Ball”
il messaggio. Mirò, ad esempio, aveva a suo tempo studiato lʼimportanza della linea, che Roy Lichtenstein personalizza con un linguaggio POP, caratterizzato da colori molto accesi e dai puntini Benday, diventati poi la sua firma: caratteristiche che rimandano alla carta stampata e ai suoi inizi da fumettista. Nel 1962 dipinge un quadro nel quale rappresenta una pallina da golf, uno degli sport più diffusi in America in quel periodo, e contestualmente la luna, tema di estrema attualità dato che il primo sbarco su di essa si era verificato da appena un anno. A mio parere questo quadro è uno dei migliori, perché è quello che riesce a riunire in una sola figura due concetti tanto diversi quanto attuali.
Lʼoggetto della “Golf Ball” viene poi riproposto come elemento di sfondo in un altro dipinto, che prende spunto da un lavoro di Matisse, e dove appare un acquario contenente dei pesci caratterizzati da colori molto accesi e compatti da sembrare quasi stampati. La tecnica impiegata è ancora quella dei puntini Benday, utilizzata in questo caso per rappresentare lʼacqua. In seguito nei suoi quadri, accanto ai colori vivi, compaiono d e l l e sfumature che vogliono f a r emergere la
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presenza dellʼartista. Ispirandosi ai pittori dei primi del ʻ900, Lichtenstein dipinge Adamo ed Eva in un luogo primitivo. Il quadro è diviso in tasselli colorati ognuno con tecniche diverse e per cogliere al meglio la varietà delle immagini è necessario osservarle da lontano. Il tema è assai noto, ma la tecnica, apparentemente caotica, imprime indissolubilmente la sua firma. Roy reinterpreta opere di altri nomi
importanti come Picasso e Carrà, il cui cavaliere rosso viene rappresentato sì in movimento, ma in unʼazione statica che cerca, forse inutilmente, di essere concretizzata. Roy comprende a fondo lʼoriginalità del linguaggio surrealista che ha lo scopo di rappresentare una copia della realtà, facendo subire trasformazioni nette ai suoi soggetti. Le opere sono molto incisive, anche se il confine tra la “risignificazione” dei dipinti surrealisti e la copia vera e propria è molto sottile. In ogni dipinto Roy applica nuove tecniche per rimanere al passo coi tempi ed interagire con le trasformazioni culturali. Da profana penso che la mostra sia stata molto efficace nel trasmettere gli obiettivi dellʼautore. Lʼho trovata molto diversa
“Red Horsemen”
da quelle che ho v i s t o fi n o r a e ritengo che, se da un lato può sembrare una semplice ripresa dei diversi stili e movimenti passati, dallʼaltro è una vera e propria novità che parte dalle tecniche e dai colori e giunge ad unʼanalisi dettagliata dellʼimportanza della comunicazione attraverso le immagini. Chiara Conselvan
Blaise Pascal - PENSIERI Grandioso è il ritratto dell'uomo che Pascal dipinge con tinte luminose e al contempo scure, ma con un tratto costantemente forte. Le tematiche esistenziali sono infatti ciò che Pascal ritiene degno di studio e, in confronto, tutte le altre discipline sono un mero "esercizio intellettuale" e " un' inutile curiosità", affermazione piuttosto notevole, se si considera che, sin da giovane, Pascal dimostrò un grande interesse e una precoce genialità nella scienza e nella matematica (basta pensare che a soli 16 anni, mentre noi altri conducevamo un'infima esistenza, il giovanotto scrisse un trattato sulle coniche e a 18 anni inventò la prima macchina calcolatrice!). A questo proposito Pascal scrisse:" avevo passato molto
tempo nello studio delle scienze astratte e il poco di lumi che è possibile averne me ne aveva disgustato. Quando ho cominciato lo studio dell'uomo ho visto che queste scienze astratte non sono proprie dell'uomo e che mi sviavo maggiormente dalla mia condizione penetrandovi, che gli altri ignorandole. Ho creduto di trovare molti compagni nello studio dell'uomo ma mi ingannavo. E' solo per non saper studiare l'uomo che si cerca il resto". Bene, ora avete anche un'illustre giustificazione per il vostro disinteresse nelle materie scientifiche! Secondo Pascal l'uomo è in una condizione di impotente mediocrità per quanto riguarda l'essere, "che è mai l' uomo nella natura? Un nulla rispetto all'infinito, un tutto rispetto al nulla, una via di mezzo
tra nulla e tutto", la ragione "la nostra intelligenza occupa nellʼordine delle cose intellegibili lo stesso rango che il nostro corpo occupa nell'estensione della natura", la conoscenza "noi siamo incapaci di sapere con certezza e di ignorare in modo assoluto" e anche per quanto concerne i sensi "i nostri sensi non percepiscono nulla di estremo; troppo rumore ci assorda, troppa luce abbaglia, troppa distanza e troppa prossimità impediscono la vista". Questa riflessione stimola a riconsiderare il valore che generalmente si a t t r i b u i s c e quotidianamente alle cose. A che serve questo continuo affannarsi, questa vuota e crudele competizione, "che importa dunque se altri ha un po' più di intelligenza delle
cose e le coglie le cose da un po' più in altro? Non resta sempre infinitamente lontano dal fine? e la durata della nostra vita non è forse ugualmente infima di fronte all'eternità, se dura dieci anni di più?" Sebbene l' uomo si trovi in questa situazione mediana, che provoca in lui incertezza, "non so chi mi ha messo al mondo, né ciò che sia il mondo, né io stesso; sono in una terribile ignoranza di ogni cosa; non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, la mia anima. Vedo questi spaventevoli spazi dell'universo che mi racchiudono e mi trovo attaccato ad un angolo di questa vasta distesa, senza sapere perché sono posto in questo luogo piuttosto che in un altro, non vedo che infiniti da tutte le parti che mi rinchiudono come un
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atomo", egli arde del desiderio di trovare un "assetto fisso e un'ultima base sicura per edificarvi una torre che si innalzi all'infinito", ma, a causa della sua insita miseria, è incapace di raggiungere una qualche forma di stabilità, "noi vaghiamo in un vasto mare, sospinti da un estremo all'altro, sempre incerti e fluttuanti. Ogni termine al quale pensiamo di ormeggiarci e di fissarci vacilla e ci lascia; e se lo seguiamo, ci si sottrae, scorre, scorre via e fugge in un'eterna fuga. Nulla si ferma per noi". Ma se vi è l' istinto verso la felicità e la tensione verso la verità assoluta , significa che nell'uomo vi è una scintilla di grandezza che consiste nel pensiero, ma soprattutto nella coscienza della propria miseria. "L' uomo non è che una canna, la più debole di tutta la natura, ma è una canna che pensa. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d' acqua basta per ucciderlo. ma quand'anche l' universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancora più nobile di ciò che l'uccide, poiché egli sa di morire e conosce la superiorità che l' universo ha su di lui, mentre l'universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero." Grandezza e miseria sono perciò unite in modo
Redazione: Ottavia Amato III G Silena Bertoncelli IV C Martina Brandi IV E Chiara Compagnoni I G Chiara Conselvan IV E Riccardo De Francesco I H Xhestina Myftaraj II A
paradossale nell'uomo, d e fi n i t o u n " m o s t r o incomprensibile", un essere contraddittorio, "né angelo, né bestia", diviso da una guerra intestina tra la ragione e le passioni, che ha fatto in modo che "gli uni hanno voluto rinunciare alle passioni e divenire dèi, gli altri hanno voluto rinunciare alla ragione e divenire bestie brute". Tuttavia, dopo aver scoperto la propria miseria,l'uomo si è volto al divertimento, inteso come
i n s u f fi c i e n z a , l a s u a dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto interiore" ed è per questo che egli si immerge in occupazioni quotidiane e intrattenimenti sociali. Queste parole fanno pensare alla nostra q u o t i d i a n i t à , perennemente occupata da numerose attività, oppressa da compiti e doveri, da scadenze da rispettare, una frenesia totale che distoglie dalla ricerca di un senso. Ormai è come se avessimo
fuga da se stesso. Pascal stesso scrive nei suoi Pensieri: "gli uomini non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ingnoranza, hanno preso il partito, per rendersi felici, di non pensarvi affatto. La nostra natura è nel movimento, infatti niente è così insopportabile all'uomo come l'essere in pieno riposo, senza passioni, senza affari, senza divertimento. Egli sente allora il suo niente, il suo abbandono, la sua
creato tutte le condizioni affinché non ci sia più il tempo di pensare, quasi che il riflettere sia un' attività poco produttiva e secondaria rispetto all'agire, al concretizzare. Pascal sostiene che ciò che interessa, che muove, non sia tanto raggiungere l'obiettivo, quanto la ricerca dell'obiettivo, in modo tale da non dover pensare e poter arrivare insensibilmente alla morte. In questo tenersi occupato, l' uomo ha bisogno di
illudersi: "fatelo dunque giocare per niente, non si scalderà e si annoierà. Non è dunque il divertimento solo che cerca. Un divertimento senza passione lo annoierà. Bisogna che vi si scaldi e che si inganni da solo immaginandosi che sarebbe felice di vincere ciò che non vorrebbe che gli fosse dato a condizione che non giocasse". A cosa allora l' uomo può aggrapparsi per trovare una soluzione a questa sua inquietudine? Secondo Pascal solo a Dio, ma questo è un discorso ampio e difficile in cui non mi voglio inoltrare. Desidero invece concludere con uno dei pensieri a mio parere più belli, un'esortazione al presente, alla vita: "che ognuno esamini i suoi pensieri. Li troverà tutti occupati del passato e dell'avvenire. Noi non pensiamo quasi affatto al presente e se ci pensiamo è solo per prenderne luce per predisporre l' avvenire. Il passato e il presente sono i nostri mezzi; solo l'avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e disponendoci sempre ad essere felici è inevitabile che non lo siamo mai". Che aspettate allora, smettete di leggere questo interminabile articolo e cari giovani godetevi la vita, ora che la scuola è finita! Xhestina Myftaraj
Dario Elio Pierri II B Eleonora Sacco V F Mattia Serranò II B Beatrice Servadio IV G Impaginazione - Ottavia Amato Referente A.gi.sco. - Dario Elio Pierri Collaboratori - Martin Nicastro
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Le cinque utopie (...teatrali!) del Carducci L'Aula magna è al buio: luci spente, silenzio assoluto, che una musica rompe dolcemente. I personaggi si muovono, le luci si accendono, piano. Manca meno di una settimana all'inizio della rassegna teatrale della scuola ed è il momento delle prove generali. Prima di iniziare, qualche chiacchiera, battute, risate. Poi, ci si concentra e si va in scena, come davanti al pubblico. Agli occhi dello spettatore casuale, presente alle prove solo per fare qualche foto, sembra tutto perfetto;
eppure, ogni tanto, un urlaccio irrompe sulla scena: è Michela Blasi, la regista, che non esita a intervenire
sanguignamente, se qualcosa non le piace. Il più delle volte si tratta solo di una battuta recitata con un'intonazione sbagliata o di un attore che si è allontanato dalla posizione stabilita di poche decine di centimetri. Nelle osservazioni di Michela non c'è rabbia, ma la ricerca della perfezione e la cura del dettaglio, che insieme costituiscono il cuore pulsante dell'esperienza teatrale al Carducci, iniziata nel lontano 1998. “Cinque progetti per cinque utopie” dicono i manifesti nell'atrio e sulle porte dell'Aula Magna, che da location per convegni e assemblee sindacali diventa ossimoricamente il luogo delle utopie. Cinque progetti, 96 attori di tutte le età: studenti del ginnasio, del liceo, universitari (excarducciani) e anche professori. <<I ragazzi, pur divertendosi, affrontano questa avventura solitamente con molto impegno, perché si trovano a confrontarsi con una sfida “alta”, si sentono parte di un progetto che li riguarda e li valorizza>>, scrive la regista nella presentazione agli spettacoli e ciò che sorprende è proprio l'impegno e l'entusiasmo degli attori. Spesso si dice e si sente dire che il Carducci è una scuola morta, che non offre agli studenti nessuna attività stimolante, che la maggior parte dei ragazzi non
ha interessi. Tutto sembra diverso alla fine di maggio, quando arrivano gli spettacoli, testi complessi, che trattano tematiche importanti e difficili: la mercificazione della donna (“Body Market”), la guerra (“Le Tr o i a n e R e l o a d e d ” ) , l a fi g u r a dell'eroe (“Interrogatorio ad Enea”), la vita a Milano e i nostri sogni nascosti (“In equilibrio”), i modelli di comportamento e i media (“Una specie di avventura”). Nonostante manchino pochi giorni alla fine della scuola e le energie siano concentrate sugli ultimi impegni di studio, gli attori riescono a far emozionare e lo spettatore trova un momento per vedere un altro volto della scuola, più bello e più umano. Le foto che trovate in questa pagina vogliono essere un tributo alla dedizione e alla bravura di tutti i Carducciani/attori, che hanno regalato a tutti noi alcuni giorni di riflessioni e di divertimento. Mattia Serranò
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Le Troiane Realoaded Il capo mi chiede di scrivere una “recensione” di Le Troiane Reloaded, che moltissimi hanno visto e apprezzato; quindi non ci sarebbe forse bisogno di raccontarlo, se non per pochi. Tuttavia, poiché non tutti sono già arrivati a fare la conoscenza di Euripide, può essere utile ripercorrere e fare qualche cenno ai testi che lo spettacolo ha rielaborato. La tragedia Le Troiane, scritta da Euripide nel 415 a. C., è incentrata sul tema della guerra dal punto di vista delle donne superstiti di Troia s c o n fi t t a : E c u b a , C a s s a n d r a , Andromaca, Elena. Eʼ una tragedia con una forte presenza musicale quasi la metà è scritta per essere cantata - quindi estremamente carica di emozioni. Le quattro donne attendono di essere condotte alle navi dei Greci, alla loro esistenza di schiave, bottino di guerra; nel frattempo ripercorrono le vicende della caduta di Troia e ognuna esprime il proprio dolore di fronte alla perdita totale di ciò che dava senso alla propria vita. Si raggiunge il culmine con lʼuccisione
di Astianatte, gettato dalle mura di Troia per volere dellʼassemblea dei vincitori, simbolo estremo dellʼinsensatezza della guerra e della violenza fine a se stessa. Nello spettacolo dei professori sono state tagliate le parti corali e i dialoghi, affidando tutti i messaggi ai monologhi delle quattro donne, densi di emozione e portatori del significato della tragedia nel suo valore più universale; nonostante ciò lo spettacolo segue fino a questo punto nella struttura la tragedia euripidea, per poi distaccarsene decisamente nel finale. Ai testi di Euripide viene sovrapposto le Troiane di Mark Ravenhill, capitolo della saga teatrale Shoot/Get Treaure/Repeat del 2008, con cui lʼautore inglese riprende vari miti dellʼantichità, per riviverli in chiave contemporanea. La piéce dellʼinglese si apre con la terribile domanda di Ecuba: «Noi siamo i buoni. Perché ci bombardate?» Ravenhill rappresenta la guerra anche nelle sue forme di oggi: attentati terroristici, repressione violenta di proteste pacifiche da parte della polizia, il terrore che non è assente nemmeno nel civilizzato occidente. A cavallo tra queste due realtà acquistano particolare valore le figure degli dèi, che nei loro abiti da sera brindano tranquilli e muovono le sorti degli uomini con scanzonata leggerezza. Posidone che accetta unʼonorificenza per la pace ripetendo il discorso di Obama nella stessa occasione e il suo saluto «Heil Coca-Cola!» suggeriscono che gli dèi di oggi siano i potenti della
terra, che, con lo stesso avulso distacco di Atena e Posidone nel manovrare le sorti umane, decidono stragi in nome di “sua maestà il denaro”. Questo gorgo di caos, che trascina gli uomini a ripetersi, a ricadere negli stessi errori, come le professoressetroiane, che si rialzano sotto i colpi delle bombe e cadono a terra di nuovo e di nuovo, si apre nel finale a una speranza molto più potente di quella che lasciava Euripide nellʼoriginale. A chiudere là era il Coro, con un messaggio di rassegnazione e accettazione di quel che la sorte ha in serbo per le sconfitte: «Ahimè, città infelice! Ma volgiamo il piede ai remi degli Achei.» A chiudere Le Troiane Reloaded è invece lʼAngelo Senza Fortuna, che si leva tra le macerie e con fatica riesce a rialzarsi in volo, a riportare una luce nel buio per ricostruire quanto è stato distrutto. E la stessa musica che accompagnava lʼanno scorso i personaggi del Settimo Sigillo nella danza con la morte, accompagna questʼanno lʼAngelo Senza Fortuna nel suo volo verso la vita. Alla fine scrosciano meritatissimi gli applausi per gli interpreti, tutti espressivi e convincenti, ma soprattutto appassionati; qualcuno nel pubblico si commuove addirittura fino alle lacrime. Ottavia Amato
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Finocchi e Altri Ortaggi ☺ "È vero che la tua scuola è una riserva naturale di omosessuali?". Sgrano gli occhi per l'insolita domanda e lui, accortosi del mio stupore, continua sorridente: "Dai, lo sanno tutti che il Carducci è il classico che sforna più finocchi*!". Eccomi nei corridoi del liceo, il giorno dopo la strana conversazione, a fare lʼAlfred Kinsey della situazione: conto i gay reali e presunti, pura statistica. Risultato? Beh, effettivamente… non siamo pochi. Pur non ritenendo essenziale un censimento degli omosessuali carducciani, trovo che la consapevolezza di avere compagni di scuola simili a te (leggi gay) possa aiutare a vivere meglio la propria sessualità in uno Stato che, girate la frittata come volete, ha dei seri problemi con lʼomofobia (nel 2009: 12 omicidi, 80 tra violenze e aggressioni, 8 estorsioni, 9 atti vandalici e 8 atti di bullismo). Dʼaltronde se nʼè parlato tanto anche a scuola di omosessualità (basti pensare alla plenaria cui ha partecipato anche lʼArcigay) eppure io continuo a credere che la questione venga sempre compresa solamente a metà: un ragazzo eterosessuale può davvero comprendere cosa significhi essere gay? Sì, da un punto di vista prettamente etimologico e lessicale, un liceale medio dovrebbe essere in grado di capirlo (si spera). Non sono altrettanto sicuro che lo stesso ragazzo etero, seppur liceale, possa minimamente sapere come ci si senta nel comunicare ai genitori la propria omosessualità; né credo che egli possa anche solamente provare a immaginare cosa si provi nel sentire i tuoi parenti (con i quali hai passato la tua infanzia ma a cui non hai detto che sei gay perché potrebbero non parlarti più) che sfottono un “frocio di merda” in televisione. Per non parlare di
quando tua nonna, leghista convinta, ti domanda se tu abbia già trovato la ragazza! Già, immagino che faccia sorridere leggere di queste assurde (e per me imbarazzanti) situazioni anche se personalmente non so mai come comportarmi: sono sempre combattuto tra lʼidea di alzarmi in piedi urlando “sono frocio anchʼio!” o lasciarli parlare. Ai miei, che comunque non hanno mai dato del “frocio” a nessuno, ho detto tutto quandʼero in quinta ginnasio e ammetto che la scena non è andata esattamente come mi aspettavo: “Papà, ti dovrei dire una cosa: se ultimamente sono un poʼ scazzato e assente è perché sono fidanzato con un ragazzo da due mesi ed è una storia complicata. Vabbé, comunque sono omosessuale e immagino che prima o poi ve lʼavrei dovuto dire, quindi…” lascio la frase in sospeso e attendo commenti. Fa una faccia stranita, sembra pensieroso più che sorpreso, mi guarda negli occhi serio e mi fa: “Quindi non stai in una setta satanica?”. Dopo unʼora di conversazione venne fuori che mio padre, completamente disinteressato al fatto che fossi gay (lʼha presa stra-bene), dopo aver trovato in camera mia un milione di libri sullʼoccultismo (di cui mi interesso) aveva partorito la malsana idea che facessi parte di una delle sette sataniche per cui la mia città, Brugherio, è stata tristemente famosa nel 2007. Scoperto che anche mia madre aveva la stessa ridicola convinzione, rassicurai entrambi: immagino che lʼevoluzione da “figlio satanista” a “figlio omosessuale” sia stato un toccasana per loro. Sta di fatto che non ho mai avuto alcun tipo di problema con loro a riguardo… mio fratello, stupido come la maggior parte dei dodicenni, si diverte invece a chiamarmi “frocio” (nel vano
tentativo di insultarmi) nonostante io non gli abbia mai detto apertamente di essere gay (“Non che ci voglia una laurea in ʻomosessuologiaʼ per capire che lo sei!”, starà pensando chi mi conosce). Il così detto “coming out”, in ogni caso, è solo una delle tante “prove di sopravvivenza” cui si sottopone lʼomosessuale medio! Ci sono tutte quelle piccole cose che senti e vivi di più alle medie (quando non hai ancora detto a nessuno che pensi di non essere etero) che alle superiori: nascondere la sfumatura bordeaux che compare sul tuo volto ogni qual volta un professore accenna allʼomosessualità di Pasolini; tentare inutilmente di far comprendere agli altri ragazzi che Prévert non è “roba da froci” e, cosa assai più difficile, cercare di non far cadere lʼocchio sui boxer del compagno di classe carino nello spogliatoio (ci sto ancora lavorando, lo ammetto). Comunque queste sono sottigliezze, ti ci abitui (se hai un minimo di carattere, in caso contrario ci muori), il peggio è quando ti innamori di un ragazzo etero: non è un evento così raro e, se succede, cʼè poco da fare, sei fregato e devi aspettare che passi. Ci aspetti un anno, a volte due, altre tre, poi trovi il ragazzo gay che non ti faccia pensare a lui, hai le tue prime esperienze sessuali e, vi assicuro, in quei momenti te ne freghi di chi dice che “L'attività omosessuale, da distinguersi dalla tendenza omosessuale, è moralmente malvagia” (Papa Giovanni Paolo II) perché stai pensando “Solo un cretino può dire di non amare il tabacco e i ragazzi” (Chrisptopher Marlowe). Riccardo De Francesco *NdR: considero la battuta culinaria più geniale che offensiva.
Buone Vacanze a tutti! 8