Oblò anno XI numero II

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L’ editoriale di Bianca Carnesale VA

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ccomi di nuovo qua, a darvi per la seconda volta il benvenuto tra queste pagine e a ricordarvi che il Natale è alle porte (ma questo in realtà lo sappiamo benissimo tutti). Dall’uscita dell’ultimo Oblò sono accaduti molti eventi: gli Americani hanno votato per il loro futuro presidente, gli Austriaci hanno votato per le presidenziali e noi abbiamo votato per la nostra Costituzione. Abbiamo salutato un’ultima volta Dario Fo, Umberto Veronesi, L e o n a r d Cohen, Vittorio S e r m o n t i , Fidel Castro. A Bob Dylan è stato assegnato il Nobel per la letteratura e recente è la notizia che lo andrà a ritirare al suo posto Patti Smith. Spero che, tra le mille verifiche ed interrogazioni, tra i mille compitini e versioni, siate riusciti a informarvi come si addice a dei buoni liceali. Se, invece, non ci siete riusciti, cogliete l’opportunità di leggere

l’Oblò con tranquillità durante queste vacanze. Ricordatevi che, sì, è sempre bello ricevere buoni voti, ma la scuola e il liceo classico in particolare, non sono solo studio matto e disperatissimo, sono anche formazione completa di uomini, donne, cittadini, cittadine. Cosa che troppo spesso, non solo noi studenti, dimentichiamo. Ma non è il momento di annoiarvi con riflessioni di chi sta trascorrendo gli ultimi mesi in questo liceo. Vi auguro di passare un sereno Natale, che vi riporti carichi di entusiasmo nel nuovo anno. Intanto noi già pensiamo alla cogestione, ai concorsi e ai prossimi numeri per iniziare nel modo migliore il 2017. Contiamo sulla vostra attiva partecipazione! Ah, un ultimo augurio per il nuovo anno: che possa portare a questo mondo diviso e diseguale, a questa Italia divisa e anche a questa scuola una maggiore volontà di collaborazione e di ascolto reciproco. Buon Natale, buon anno fiorellini. E buona lettura.

La redazione dell’oblò

redattori | Greta Anastasio, Adriano Bertazzoni, Alissa Bisogno, Cleo Bissong, Elisa Boscani, Sergio Candreva, Bianca Carnesale, Alessandro Cassese, Giulio Castelli, Marta Crippa, Carlo Danelon, Rebecca Daniotti, Alice De Gennaro, Alice De Kormotzij, Linda Del Rosso, Chiara Di Brigida, Beatrice Ferrigno, Letizia Foschi, Valentina Foti, Valeria Galli, Margherita Ghiglioni, Olivia Manara, Isabella Marenghi, Giulia Martinez, Giorgia Mulè, Larabella Myers, Diana Novelletto, Costanza Paleologo, Martina Pelusi, Beatrice Penzo, Claudia Pirro, Marta Piseri, Valentina Raspagni, Asia Rossetti, Davide Siano, Giovanni Spadaro, Valentina Tarantino, Giuliano Toja, Michelangelo Turci, Ludovica Villantieri, Andrea Vivarelli DISEGNI DI | Cleo Bissong, Sergio Candreva, Viola Carnelli, Olivia Manara Responsabili internet | Cleo Bissong, Letizia Foschi, Cristina Isgrò, Giulia Martinez, Marta Piseri DIRETTRICE | Bianca Carnesale VA Capi redattore | Beatrice Penzo VE, Rebecca Daniotti IVF Docente referente | Giorgio Giovannetti Collaboratori esterni | Federica Angelini VE, Edoardo Braga IVA, Viola Carnelli VA, Anita Colombo IIIB, Giaime Ferrigno IIIB, Alessandra Lorenzetti IIIB impaginatori | Bianca Carnesale, Rebecca Daniotti, Costanza Paleologo, Davide Siano, Andrea Vivarelli 2

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sommario Un oblò su brexit trump alla casa bianca:

apocalisse o inizio di una nuova era?

Studenti inchinatevi: ave mcdona

ld’s

un viaggio per sperare

black lives matter

to cui tornare non mi è quando avere un tetto sot to più così scontato bra sem

gli orti di via padova

moda di carta ridi che ti passa

14 nella mente di un criminale 15 16

journey from hawaii...to mars Srinivasa Ramanujan, il poeta dei numeri

17 in guardia, pronti, a voi

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blackmirror: la fantascienza che non c’era

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medici: master of florence |stranger things

20 florence 21 romeo e giulietta|borrowed time 22

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Apocalypto io ci sono |i consigli della redazione

good vibes

Red hot chili pep pers La musica classica 26 | yours truly, dee dee 27 28

cara rina, ti scriv

o

4 etti d’amore, grazie |i consigli della redazione

29 ci vediamo domani

l.

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31 pensieri in metrica 32

33 34

35 36-37

38 -39

poesia

red bull ti mette le ali | milan-inter: un derby alla cinese insolita di f1 cronache di una gara

Socrates, 19sa83tira

| oroscopo

comic page | ostriche


Attualità di Rebecca Daniotti IVF

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OGgi spose

rendi in mano il telefono, apri whatsapp e controlla se ti ha scritto qualcuno. No, non ti ha scritto nessuno. Sono passati più o meno sette secondi e mentre tu eri impegnato a controllare la tua vita sociale, una bambina con meno di 15 anni, da qualche parte nel mondo, è stata data in sposa a un uomo molto più grande di lei. Adesso fai una semplice operazione: moltiplica 24 ore per 60 minuti, poi per 60 secondi e dividi per 7 (i secondi che hai appena usato per verificare gli eventuali messaggi) e trai le tue conclusioni. 37.000 bambine sono costrette a sposarsi ogni giorno. 15 milioni di “piccole donne” alle quali, ogni anno, viene negata l’infanzia. Molte di loro sono sottoposte ad abusi e rimangono incinte immediatamente o poco dopo il matrimonio. È questa la situazione agghiacciante delineata nel rapporto di Save the children: Every last girl. Free to live, free to learn, free from harm.(2016) Il matrimonio infantile infatti non comporta la violazione di un solo diritto umano, ma è l’origine di un circolo vizioso che porta alla violazione del diritto all’educazione e alla salute, aumenta la possibilità di contrarre malattie sessualmente trasmissibili, tra cui anche l’HIV ed espone le ragazze a differenti forme di violenza. La maggioranza delle spose bambine riceve un’educazione sommaria e breve, poiché, dopo le nozze, è costretta ad abbandonare la scuola per sempre. La scelta di imporre alle proprie giovanissime figlie questo tipo di matrimoni è molto spesso il risultato di una serie di condizioni e norme sociali che assegnano alle ragazze un unico ruolo: essere mogli e madri;

ma è anche una conseguenza della povertà. Proprio le ragazze di famiglie povere o in contesti di crisi umanitarie rischiano infatti maggiormente di contrarre unioni precoci e forzate. Le donne diventano una merce di scambio, una “dote” al contrario che può dare sostentamento a tutta la famiglia di origine. Non solo. In periodi di guerra o di gravi emergenze, quando le ragazze possono essere

vittime di violenza con molta più facilità, da parte delle famiglie scatta un meccanismo di paradossale protezione: infatti, per difendere l’onore della ragazze e prevenire possibili stupri, queste vengono date in sposa. In questi contesti le donne hanno solo due opzioni secondo la

famiglia: essere mogli o vittime. Sradicare la cultura del matrimonio infantile porterebbe molti vantaggi alle donne: migliorerebbe il loro livello di educazione, la loro possibilità di sopravvivenza, e sarebbe non solo un beneficio per l’individuo ma per tutta la comunità, anche da un punto di vista economico e sociale. Siamo portati a credere che questo fenomeno riguardi solamente i paesi del terzo mondo, d’altronde dal rapporto di Save the children emerge che è l’Inda il paese in cui c’è il più alto tasso di spose bambine (47%), ma anche noi “mondo occidentale e sviluppato” non siamo da meno: fino a venerdì 8 luglio 2016 nello stato della Virgina era possibile convolare a nozze con una bambina al di sotto dei 13 anni, previa approvazione dei genitori. Questa pratica barbara è un problema di estrema attualità e sempre più bambine si trovano a doverlo fronteggiare ma a volte, per fortuna, il loro coraggio e la loro determinazione riesce a vincere sul volere dei genitori. E’ il caso ad esempio di Gloria, una ragazza del Ghana, “ Volevano che mi sposassi a dieci anni con un uomo che aveva già una moglie e 5 figli, alcuni di loro addirittura più grandi di me [...] Piangevo, pensavo che la mia vita fosse finita, poi ho capito che avrei dovuto reagire, scappare [...] Non vorrei dare preoccupazioni ai miei genitori, non voglio dirgli che hanno sbagliato, è colpa della povertà, dell’ignoranza se hanno agito così [...] Io desidero andare a scuola, questa è la cosa più importante della mia vita. E poi si, dopo mi piacerebbe sposarmi, avere dei figli e creare una famiglia”

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Attualità

Un oblò su brexit

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er il Regno Unito la notte del sui membri del suo partito come sugli 24 giugno 2016 fu insonne: altri politici che manifestavano il un paese in preda all’isteria, desiderio di separazione da Bruxelles. La in attesa dell’esito del campagna referendaria è stata teatro di referendum che avrebbe scontro tra personalità politiche, fazioni espresso la volontà del ideologiche, vicini di casa, parenti; si popolo britannico sul continuare o è assistito allo sbandieramento di dati meno a far parte dell’Unione Europea. provenienti da dubbie fonti, mentre poca I pochi che riposarono si svegliarono attenzione è stata prestata alle questioni di fronte a una realtà che in molti reali e all’eventuale impatto del Brexit ritenevano impossibile: il Leave era sulla vita dei cittadini. Venivano alla vincitore con il 51,9% dei luce i timori e le “È difficile definire voti, contro il 48,1% del insicurezze di un popolo il fenomeno con Remain. Il referendum spesso silenziosamente ha avuto un’affluenza completezza e precisione, confuso, spaventato ma nel Regno Unito alle urne molto alta di fronte ai disordini (72,2%), insolita regna un clima di forte nel continente e per il Regno Unito, sofferente per le disorientamento e dove l’argomento difficoltà nelle proprie confusione.” politico è sempre economie domestiche. evitato poco British. Sul fronte del Leave si risvegliavano i Nella tradizione britannica per molto sentimenti patriottici, l’odio esterofobo, tempo la politica è stata interesse di la paura verso l’immigrazione e pochi, soprattutto in Inghilterra, e ciò ha lo strapotere sovranazionale di in qualche modo mutato la natura della Bruxelles e di Berlino che andava a democrazia che ha assunto un carattere minacciare l’autorità del Regno Unito. decisamente indiretto ed elitario. Si può I sostenitori del Remain mettevano in intuire che quando l’ex-primo ministro guardia dal rischio di crisi economica David Cameron propose il quesito e isolamento. L’argomento principale schierandosi con coloro che desideravano della campagna indipendentista rimanere nell’Unione Europea, egli fosse era l’immigrazione: è interessante sicuro che la sua posizione avrebbe notare come le città che hanno votato trionfato, permettendogli di imporsi Leave sono quelle con una minore 4

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di Larabella Myers IVC percentuale di popolazione mista, mentre la multietnica e popolosa Londra si è schierata decisamente per il Remain, mettendo in evidenza la natura irrazionale del voto nelle zone rurali, frutto di pregiudizio e allarme. All’indomani del risultato ovunque sono sorti dibattiti, commenti, giudizi e preoccupazioni per quello che avrebbe comportato nella vita di tutto il mondo la volontà espressa dal popolo britannico. Parecchi cittadini che si erano recati alle urne si sono pentiti del voto che avevano espresso in segno di protesta e di desiderio di cambiamento, non considerandolo determinante. La diffusione di notizie fatalistiche e l’ignoranza verso i processi di uscita dall’Unione hanno diffuso una grande disinformazione che porta molte persone ad avere visioni e opinioni distorte riguardo a ciò che sta avvenendo dall’altra parte della Manica. Per comprendere ciò che stanno vivendo molti cittadini del Regno Unito occorre prendere in considerazione alcuni elementi fondamentali che hanno portato a tale risultato. Il primo ministro David Cameron si è dimesso dopo nemmeno un mese dal risultato e al suo posto è inaspettatamente salita Theresa May: anche lei originariamente contro il Brexit, ora sta operando per “seguire


il volere del popolo” e organizzare una richiesta di uscita dall’UE. Il margine di vittoria limitato è complicato ulteriormente dalla geografia del voto a livello territoriale, che sta facendo riemergere i desideri di indipendenza in Irlanda del Nord e in Scozia, che a soli due anni dal primo tentativo -fallitodi separazione da Londra, medita un secondo referendum, facendo forza sulla sensazione che il volere della Scozia sia trascurato dall’egemonica Inghilterra. In un primo momento l’economia britannica ha subito un grave choc: il valore della sterlina è calato del 10% (il minimo toccato da 30 anni), il sistema economico è stato valutato più insicuro di prima (passando da AAA a AA) e la banca centrale ha diminuito il tasso di interesse per dare una scossa ai movimenti di denaro. Ora la situazione è in graduale miglioramento e alcuni settori tornano a prosperare, anche per il fatto che gli acquirenti esteri sono allettati dal comprare nel Regno Unito dato che il cambio della valuta è a loro favore. Si tratta tuttavia di una condizione molto precaria, e vediamo che ad ogni evoluzione del processo politico l’economia viene colpita. Il referendum aveva valore solo consultivo. Perché il Regno Unito esca effettivamente dall’UE è necessario che sia invocato l’Art.50 del Trattato di Lisbona, che darebbe inizio alle negoziazioni tra UE e UK. In seguito, si stima che sarebbero necessari almeno altri due anni prima che le procedure si concludano; date le controversie, questo tempo potrebbe prolungarsi considerevolmente. Concluse le trattative, il Regno Unito si dichiarerà indipendente dalle legislazioni europee, che però Theresa May ha già incorporato nel sistema legislativo britannico per evitare una perdita di tempo nel riformularle ex novo, per decidere in seguito all’uscita quali parti mantenere e quali modificare. La Gran Bretagna potrebbe scegliere tra due linee: soft Brexit (in modo da rimanere nel single market europeo, accettando però anche il libero movimento delle persone), oppure hard Brexit (rinunciando a rimanere nel single market per impedire il libero movimento delle persone che affluiscono dall’Europa ai suoi territori). Per gli europei che desiderano studiare o lavorare nel UK le condizioni sono ancora da definire, anche se si ipotizza che gli immigrati verranno accolti

in modo selettivo, a seconda delle competenze specialistiche che saranno utili di volta in volta nel Regno Unito. Il popolo britannico ha presto cambiato opinione riguardo alla questione, e si immagina che nell’eventualità di un secondo referendum il risultato sarebbe molto diverso. Ci sono stati vari tentativi di richiedere una nuova chiamata alle urne, ma Theresa May si oppone con vigore a tutti coloro che contestano il progetto di lasciare l’Unione, dichiarando: “Brexit means Brexit”. Ha anche annunciato che ha intenzione di fare appello all’Art.50 a marzo 2017, ma molte sono le voci che vogliono contrastarla. Il Parlamento ha richiamato l’attenzione sulla legge che impedisce l’avvio delle

procedure per il Brexit senza un suo consenso. Molti parlamentari, nonostante siano insoddisfatti del referendum, dichiarano che rispetteranno il volere del popolo, ma insistono per un Brexit che conservi buoni rapporti con l’UE. È difficile definire il fenomeno con completezza e precisione, ma nel Regno Unito regna un clima di forte disorientamento e confusione. Sorgono i dubbi sull’adeguatezza della democrazia referendaria rispetto a certe decisioni, sulla legittimità del premier non eletto democraticamente, e ci si chiede se per una volta invece di cantare God save the Queen non sia il caso di chiedere a God di salvare l’UK.

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Attualità

Trump alla casa bianca:

apocalisse o inizio di una nuova era?

di Ludovica Villantieri VD

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i hanno accompagnato, considerato tra i più democratici sulla talvolta tediato, per quasi faccia della Terra come gli USA abbia nove mesi e sono giunte votato per una posizione tanto radicale. al termine anche queste Probabilmente gli americani volevano presidenziali americane, una ventata di novità e hanno ritenuto con un risultato inatteso: che Hillary Clinton avesse già avuto il 306 voti dei grandi elettori per Trump suo tempo alla Casa Bianca come first contro i 232 per Hillary, che invece è lady e poi come Segretario di Stato. Di risultata favorita dal voto popolare di sicuro non hanno aiutato i numerosi circa lo 0,2%. Per la quinta volta negli scandali durante la presidenza del Stati Uniti il candidato più votato non marito e quelli più recenti: del resto è coincide con il vincitore delle elezioni. noto che in America il voto è più legato E’ stata una campagna elettorale alla persona che alle idee. Inoltre molto chiacchierata, macchinata da molti commercianti e imprenditori un’investigazione dell’FBI, portata hanno apprezzato la posizione avanti a colpi bassi e rivelazioni protezionistica di Trump che promette scandalose; entrambi i candidati alla di riportare l’economia americana Casa Bianca risultavano fiorente come prima “A quanto pare gli invisi alla maggior della globalizzazione. parte dei cittadini, americani desideravano L’opposizione ha reagito un cambiamento che proprio per questo molto bruscamente hanno dichiarato che rispetto alla politica di alla vittoria di avrebbero votato Trump protestando Obama” “il male minore” o e mandando in tilt addirittura “turandosi il naso”. Da una il sito del servizio immigrazione del parte c’era una ex first lady e Segretario Canada, reazione comprensibile di Stato, coinvolta in numerosi scandali perché il sistema elettorale americano tra cui l’ultimo riguardante le 30.000 non tutela i voti delle minoranze, email di affari di Stato cancellate e dall'altra esagerata perché il neoritenuta responsabile di aver causato eletto non salirà al potere fino al 20 la morte dell’ambasciatore USA a gennaio e l'opposizione non otterrà Bengasi; dall’ altra un Tycoon, re nulla protestando contro la sua stessa della televisione, maniaco di Twitter, democrazia. Anche il presidente Obama da molti ritenuto razzista, sessista ci ricorda: “otto anni fa anche tra me e omofobo. Secondo i sondaggi, Bush c’erano molte differenze (…) evidentemente pilotati o sbagliati, quindi io mi impegnerò perché ci sia dei giorni precedenti all’Election Day, una transizione pacifica e di successo la Clinton risultava in testa e molti si aspettavano la sua vittoria per l’appoggio di numerose celebrities e per la promessa di mantenere la linea politica dell’attuale presidente Obama. Ma a quanto pare gli americani desideravano un cambiamento rispetto alla politica di Obama e hanno scelto un leader con un atteggiamento e un programma radicalmente opposti; nonostante le posizioni estremiste e le numerose affermazioni che hanno fatto scalpore e indignato l’America, The Donald con il suo motto “Make America Great Again” ha conquistato il voto di circa 60 milioni di persone. Potrebbe venire da chiedersi perché un paese 6

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come era avvenuto al mio arrivo”. Obama ha invitato gli americani ad aspettare a giudicare il neoeletto e a dargli la possibilità di fare le sue scelte, visto che sembra non stia continuando l’atteggiamento provocatorio della campagna elettorale. Il programma di governo di Donald Trump contiene diverse promesse tra cui l’ampliamento dell’esercito, l’eliminazione dello Stato Islamico, più controlli all’entrata, il completamento della costruzione del muro al confine con il Messico, la diminuzione di deficit e debito, la diminuzione delle tasse, l’espulsione degli immigrati illegali, il diritto di cittadinanza non più per nascita, la riforma del sistema sanitario, Childcare per garantire più diritti ai nascituri, investimenti nelle infrastrutture, maggiori diritti per le neo-mamme sul lavoro, garanzia di assistenza medica per i veterani, aumento dei posti di lavoro, allentamento delle tensioni con Cina e Russia, indipendenza energetica del paese, riduzione del costo del college, miglioramento dell’istruzione tecnica. Insomma ancora non si sa se Donald Trump scatenerà una Terza Guerra mondiale, come molti sostengono, o se sarà in grado di mantenere il ruolo degli Stati Uniti alla guida del mondo libero. Se avrà le capacità per essere il Presidente di un paese di tale calibro ce lo dirà solo il futuro.


STUDENTI INCHINATEVI:

AVE MCDONALD'S di Giulia Martinez IIIB

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cco a voi Il campione dell'alternanza: salutate, amici, celebrate, inchinatevi al colosso americano del fast food. Cosa aspettate? “Benvenuti studenti. Vi accogliamo in 500 locali in tutta Italia. Sono liberi per voi 10.000 posti di lavoro.” Queste le conseguenze dell'accordo tra Miur (Ministero dell'Istruzione) e sedici imprese italiane, tra cui McDonald's e grandi multinazionali come FCA, Hewlett Packward o ENI; un protocollo d'intesa, “Campioni dell'alternanza”, che offre 27000 nuovi “posti di lavoro” per gli studenti. La M gialla dichiara di voler sviluppare negli studenti competenze di carattere relazionale e di comunicazione interpersonale. Il Miur si è sentito quest'anno così generoso, che ha deciso di anticipare Babbo Natale: in nome delle nostre competenze relazionali regala a McDonald's, che scarta vivacemente il suo dono, tanti giovani pronti a lavorare gratuitamente. Il colosso può così aumentare i suoi profitti grazie all'alternanza e gli studenti diventano inconsapevoli pedine di una scacchiera. Secondo studi che l' azienda stessa ha commissionato all' Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, e che ovviamente riconfermano l'ipotesi di partenza del Mc, gli studenti pensano che la scuola non fornisca in modo solido le soft skills, competenze trasversali di comunicazione. McDonald's vuole mostrare come la sua azione sia fondamentale, necessaria addirittura, e che si rispecchi nei desideri e

nelle aspirazioni dei ragazzi, che, poverini, a scuola non imparano a comunicare. Insomma La M gialla non solo si fa educatrice, ma accusa anche la scuola di non saper formare. Il progetto trasmette inoltre il valore dell'adattabilità: i ragazzi non potranno mai cambiare nulla nel mondo in cui si trovano, è preferibile che vi si adattino con piacere, eliminando ogni forma di consapevolezza e spirito critico. Ecco qui, dunque, il fondamento del sorrisone ortodosso di Ronald McDonald's, clown testimonial, dietro cui si nasconde l'unico vero obbiettivo della multinazionale: trarre continuamente profitto e aprire negozi su negozi, determinando tra l'altro uniformità e indebolimento delle differenti culture locali. La verità è che i lavoratori nel Mc devono servire il più velocemente possibile, mandando all'aria le competenze di comunicazione trasversali, sono sottopagati, l’80% ha un contratto part-time di poche ore la settimana, devono operare in orari notturni, nei weekend e durante le festività, dunque senza garanzie sociali e con orari di lavoro impossibili. La Giannini reclamizza il progetto come lotta alla disoccupazione giovanile, quando il Mc è ben noto per la precarietà e il frequente turn over dei suoi dipendenti. L'azienda che vuole educare è anche responsabile di deforestazioni continue: le foreste di tutto il mondo, infatti, vengono distrutte dalle multinazionali ad un ritmo vertiginoso. McDonald's è stato costretto ad ammettere di allevare

una grande quantità di bovini su aree appositamente deforestate. Insieme alle altre corporation non solo contribuisce ad aggravare la catastrofe ecologica, ma sta anche cacciando le tribù indigene dai loro territori, dove hanno sempre vissuto pacificamente senza danneggiare l'ambiente. Cosa offre poi il bel Clown sorridente? Junk food ricco di grassi, zuccheri e sale, povero di fibre e vitamine: alimentazione legata ad un alto rischio di contrarre malattie cardiovascolari, cancro e diabete, portatrice di una cultura di annullamento della qualità e varietà del cibo. Il Mc junk food contiene anche molti adittivi chimici, alcuni dei quali possono causare stati febbrili ed iperattività nei bambini. Eppure Giannini, inesauribile, spiega che le imprese sono state scelte per l' alta qualità e per il loro percorso innovativo. Manca in verità la vera cultura del lavoro, gli studenti non ne conoscono la storia, non conoscono i diritti dei lavoratori. E così sono coinvolti in progetti precari , apprendendo la cultura delle soft skills di McDonald's, senza sapere nulla di sindacati, di Statuto dei lavoratori, dell'esistenza dell'articolo 18 e delle sue successive modifiche (riforma del lavoro Fornero e Jobs Act). Macchè, ragazzi, troppe norme, troppe discussioni, troppa politica. Tanto dietro l'angolo ci sarà sempre un clown sorridente ad aspettarvi, accogliervi ed ascoltarvi. P.s Non andate troppo di fretta

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Attualità

UN VIAGGIO PER SPERARE di Elisa Boscani IIB

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ccoci ancora una volta a parlare di migranti, persone che sono costrette a lasciare la patria a causa di una guerra o di problemi economici. Sicuramente ognuno ha opinioni diverse a riguardo, ed è un bene, altrimenti non potremmo essere definiti umani. Non metto in discussione le persone che temono che la realtà che altre nazioni hanno vissuto possa raggiungerci. Forse pensare a un bambino potrebbe far sparire le loro paure e far apparire sul loro volto una curva che solo un sorriso di tenerezza può creare. Se solo sapessimo cosa si prova ad essere quelli che tutti chiamano i sopravvissuti, ad essere come tanti piccoli o grandi Harry Potter sfuggiti a quell'Avada Kedavra, maledizione mortale, che può essere il nostro meraviglioso Mar Mediterraneo. Penso sia davvero difficile riuscire ad immedesimarsi in uno di loro. Tutti soffrono, persino i più piccoli, anche se comprendono meno quello che gli sta capitando. La loro vita è sotto gli occhi di tutti, anche miei ad esempio. Infatti quando torno a casa da scuola, passando sotto un ponte, vicino ad una comunità, vedo file interminabili di persone che hanno perso tutto e si sono trovate costrette a lasciare ogni cosa 8

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e scappare. Sono in fila per prendere da mangiare mentre i bambini corrono avanti e indietro ridendo. Ci sono dei ragazzi che nel prato vicino giocano a pallavolo, altri due si passano la palla facendo acrobazie paragonabili a quelle dei calciatori professionisti. Tutti i giorni mi ritrovo a guardare questa scena, intenerita, perché so che io non riuscirei a cambiare la mia quotidianità in così poco tempo. In questo periodo il freddo notturno è pungente, ma alcuni di loro non trovano posto al caldo e sono costretti a dormire al gelo. La mattina sotto il medesimo ponte che percorro tutti i giorni per andare a scuola ci sono ragazzi sdraiati sul marciapiedi. Per coprirsi utilizzano lenzuoli leggerissimi che non riscalderebbero nessuno. Questa è la loro quotidianità. Nel periodo di Natale, il cui arrivo è imminente, probabilmente riusciranno ad essere più positivi, e lo spirito di gioia tipico di questo periodo dell'anno li contagerà. Queste, da parte mia e di chiunque abbia a cuore la vita di persone innocenti, sono solo supposizioni dato che non siamo a stretto contatto con loro. Certamente c'è chi ne è intenerito o spaventato, ma siamo persone che vivono tutto ciò solo dall'esterno.

Coloro che comprendono meglio di noi quello che accade loro ogni giorno sono i volontari, che offrono gran parte del loro tempo per aiutare queste persone. Donne e uomini dal cuore grande che hanno a che fare anche con persone che purtroppo hanno perso coloro che amavano. Ed è inimmaginabile la loro sofferenza allo scoprire di tale perdita. La situazione è complicata, non solo nella nostra città. Probabilmente l'unica soluzione a tutto questo sarebbe quella di far sì che queste persone non debbano aver bisogno di partire. Ci sarebbero meno vittime e pensando al Mar Mediterraneo verrebbe in mente solo il profumo del mare, non le migliaia di vittime che ha causato. L'unica speranza che noi possiamo donare loro è quella di avere una luce in questo buio pesto. Riprendendo una mia vecchia abitudine, desidero concludere quest'articolo con una citazione. Spero così di far cambiare idea, anche se non radicalmente, a coloro che temono di scoprire nascosto dietro quei volti quello che temono. “Il mondo non è diviso in persone buone e cattive. Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire.” –Sirius Black, Harry Potter.


black lives matter

Black Lives Matter”. Molti di voi avranno sicuramente già sentito quest’espressione, soprattutto negli ultimi due anni, ma sono sicura che soltanto in pochi sanno di che cosa si tratti realmente: io sono qui per cercare di spiegarvelo. BLM è un movimento nato negli Stati Uniti nel 2013 in seguito all’omicidio di Trayvon Martin, un ragazzo afroamericano di diciassette anni, per mano di un suo vicino di casa bianco, George Zimmerman. Zimmerman accusava il giovane di essere la causa dei furti che si erano verificati nel vicinato, ma di ciò non aveva alcuna prova, era soltanto insospettito dal fatto che un ragazzo di colore si aggirasse per il suo quartiere. Tra i due scoppiò un litigio, a cui Zimmerman pose fine sparando al ragazzo, che morì sul colpo. Il movimento però diviene noto in tutti gli Stati Uniti per le sue manifestazioni pubbliche, in seguito all’omicidio del diciottenne afroamericano Michael Brown da parte dell’agente di polizia bianco Darren Wilson a Ferguson, Missouri. Questo caso in particolare diede vita ad una serie di proteste che coinvolsero le comunità afroamericane di tutto il paese e accesero un forte dibattito riguardo al rapporto fra la polizia americana, più volte accusata di abuso di potere, e gli afroamericani. La manifestazione del 2014, ricordata

come “Ferguson Unrest”, permise quindi al movimento “Black Lives Matter” di venire a galla e gli assicurò numerosi consensi, sia da parte delle comunità afroamericane, sia da parte dell’opinione pubblica antirazzista. Da quella dimostrazione pubblica i membri del movimento hanno protestato contro la morte di tantissimi altri afroamericani uccisi da membri della polizia statunitense negli anni fra il 2014 e il 2016, ottenendo l’appoggio di numerose persone, anche figure dello show business del calibro di Beyoncé, Justin Timberlake e Katy Perry. Sono stati più di 194 gli afroamericani uccisi dalla polizia degli Stati Uniti nei mesi che vanno da gennaio a luglio 2016, e tanti sono gli episodi di violenza gratuita esercitata dai poliziotti nei confronti di ragazzi disarmati o addirittura già immobilizzati a terra, come nel caso di Alton Sterling in Louisiana. Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, fondatrici del movimento, continuano la loro battaglia contro la violenza di questi atti e cercano, tramite hashtag su Twitter, conferenze pubbliche e manifestazioni, di sensibilizzare l’opinione pubblica affinché venga riconosciuta la gravità della situazione e il fatto che non si tratta soltanto di pure coincidenze. Come tante persone hanno fatto in precedenza, voi potreste pensare

di Cristina Isgrò VA che “tutte le vite sono importanti”: questo hanno iniziato a scrivere online qualche mese fa, quando è apparso l’hashtag #AllLivesMatter. Questa frase ha creato tumulti sul web e molti non hanno ancora capito perché: il problema di questo hashtag non è il suo significato, ma l’intento con cui è stato messo in circolazione. E’ senza dubbio vero che tutte le vite sono importanti, ma in questo momento il movimento si sta focalizzando sulle vite delle persone di colore perché c’è un vero e proprio problema di razzismo e lo Stato, in questo caso quello Americano, sembra non accorgersene. Dunque la frase “All Lives Matter” sembra minimizzare il problema delle morti dei ragazzi di colore e scatena giustamente l’incredulità e la rabbia delle comunità afroamericane. L’ondata di razzismo e di xenofobia dopotutto non ha colpito solamente gli Stati Uniti d’America, ma anche molti paesi europei che, forse impauriti e tesi a causa del terrorismo, si rifugiano in figure politiche che promettono di scacciare i migranti o di soggiogare le minoranze, alimentando in questo modo i sentimenti di intolleranza. Forse l’unica cosa che dovremmo fare è informarci, studiare e acculturarci, per far sì che questi pensieri d’odio e di discriminazione terminino e si possa finalmente comprendere che, nonostante il colore della nostra pelle o le nostre differenze, siamo tutti uguali.

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Attualità Quando avere un tetto sotto cui tornare non mi e’ sembrato più così scontato

Esperienze radiofoniche nei paesi terremotati

di Linda Del Rosso IVC

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ari Carducciani, nostri contenuti radiofonici. Questo nuovo da circa un anno faccio studio, dopo aver attraversato il Nord parte di Radio Immaginaria, Italia e le strade tortuose dell’Appennino, l’unica web-radio gestita da ha subito riscosso grande successo tra adolescenti in Europa. E’ un i giovani del paese ed è bastato poco progetto bellissimo, che mette per attirare una grande folla di curiosi. in contatto ragazzi provenienti da diverse Finalmente una botta di vita (positiva) città (in Italia e non solo) e ci dà la possibilità ad Acquasanta. Visitando le scuole medie di esprimere la nostra opinione e far sentire della zona abbiamo raccolto adesioni la nostra voce anche al mondo degli adulti. tra i più giovani e abbiamo insegnato Due mesi dopo il sisma in Italia Centrale loro come impostare una vera e propria del 24 agosto io e altri cinque speaker puntata: dall’introduzione, all’inserimento da Bologna, Cremona, Rieti e San Remo delle musiche, alla discussione per siamo stati chiamati a raccolta per la scelta degli argomenti. E’ stato recarci in uno dei paesi “Di giornalisti ne emozionante vedere quanto colpiti, per soccorrere i fossero tutti entusiasti abbiamo visti tanti e vogliosi di imparare. ragazzi terremotati. In che modo? Certamente non si in questi mesi. tanti Di questo soggiorno durato è trattato di fornire tende ci hanno chiesto che tre giorni non dimenticherò o approvvigionamenti, ma cosa fosse successo, mai le parole del piccolo nel nostro piccolo abbiamo ma nessuno ci ha Leonardo, che mi ha pensato di offrire loro mai chiesto come ci raccontato del terremoto una piattaforma di sfogo, mostrandomi le foto della sua sentissimo.” per aiutarli a superare casa prima e dopo il crollo. la paura generata dal trauma vissuto. Da lui ho imparato infatti che gli edifici non Prima di questo viaggio Radio Immaginaria si riducono in macerie immediatamente contava venticinque redazioni, ossia gruppi dopo la scossa, ma possono rimanere in di ragazzi che si ritrovano a registrare una piedi per settimane, prima di cadere al puntata settimanale, ma siamo fieri di suolo. Suo padre aveva evaso le norme aver creato una nuova base ad Acquasanta di sicurezza che vietavano l’ingresso, per Terme. Le modalità di trasporto e consegna recuperare almeno il denaro e i documenti della strumentazione (mixer, cavi, cuffie, nell’appartamento. “Abbiamo dormito microfoni) sono state piuttosto originali: in macchina per una settimana, prima per l’occasione è stato costruito il di essere trasferiti nelle tendopoli.” CaravanLab, una mitica roulotte privata di Per la prima volta ho visto con i miei servizi igienici e fornelli per fare spazio allo occhi un campo di accoglienza per gli stretto necessario per mandare in onda i sfollati; è una ricostruzione della struttura 10

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° II

cittadina con tutti i suoi organi: alloggi per le famiglie, mense, servizi sanitari e scuola. Quest’ultima era costituita da un capannone con al suo interno tende più piccole corrispondenti alle classi, che contavano non più di cinque alunni ciascuna. Anche per noi che abbiamo trascorso solo pochi minuti all’interno, è stato spiacevole sopportare l’odore di plastica e di chiuso e abbiamo provato compassione per i poveri bambini delle elementari che devono starvi rinchiusi per un intera mattinata. Di fronte a queste realtà e nei discorsi dei terremotati abbiamo colto non tanto la voglia di dimenticare, ma quella di conservare questo ricordo, seppure drammatico, al fine di ricominciare e costruirsi una nuova vita partendo dalle macerie (nel vero senso della parola). Se siamo partiti per dare a questi ragazzi un messaggio di speranza, loro ci hanno insegnato molto di più, con la loro grinta e la voglia di rimettersi in gioco. E quando mi è giunta la terribile notizia delle nuove scosse di ottobre, due giorni dopo il mio ritorno a Milano, la mia mente è subito tornata ai miei amici Acquasantesi. Purtroppo a volte la natura ci fa questi brutti scherzi, ma bisogna continuare a sperare e non arrendersi. E io spero soltanto che queste persone non perdano mai il coraggio di seguire i propri sogni. [Per maggiori informazioni visitate il sito www.radioimmaginaria.it o, perché no, fate un salto da me in IV C]


rubricami

gli orti di via padova

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mi sento come una reporter d’assalto quando i miei stivali affondano nella terra fangosa degli orti di via Padova, la faccia impietosamente colpita dalla pioggerella-areosol tipicamente milanese. Mi guardo intorno e noto un movimento all’interno di un gazebo. Quando scosto il telo di plastica mi trovo in un piccolo ambiente riscaldato, accolta da quattro affabili signori che discutono di pane, salame e merende. Franco Beccari mi saluta e mi spiega che stanno finendo una riunione per organizzare una merenda nell’orto la settimana successiva. Si scambiano ancora qualche battuta e poi usciamo tutti dal gazebo e Franco coglie l’occasione per farmi fare un giro dell’orto. La prima cosa che mi mostra sono i cassoni in cui vengono coltivati gli ortaggi. “da quando sono arrivati questi è cominciata ad arrivare anche la gente sai? Vengono dagli Expo Gate, dove ci avevano piantato del grano. Poi dato che non servivano più noi li abbiamo recuperati, e in una notte li abbiamo portati qua!” Insomma questa cosa dei cassoni ha fatto al progetto un sacco di pubblicità anche perché da un giorno all’altro un terreno che era praticamente spoglio si è riempito di spighe e forse si è capito che c’era qualcuno che era davvero intenzionato a recuperare quella zolla di terra. Continuo a chiedermi però perché servissero proprio dei cassoni per coltivare, ed evidentemente ho la domanda stampata in faccia perché subito dopo aggiunge “Abbiamo bisogno dei cassoni perché non possiamo coltivare a terra, è inquinato”. Eh in effetti ci potevo arrivare. D’altronde siamo in un pezzetto di terra incastrato tra un parcheggio, via Palmanova e il ponte della ferrovia, un luogo dove fino a qualche anno fa era sconsigliabile avventurarsi da soli oltre che spiacevole a causa dell’ onnipresente montagna di rifiuti. Ora invece nessuno lo scambia più per una discarica a cielo aperto, probabilmente il costante viavai di gente ha interrotto questa bella pratica. “All’inizio non è stato facile, eravamo sempre i soliti quattro gatti” ma continua

spiegandomi come Legambiente e molte altre associazioni li abbiano sostenuti e aiutati, e di come l’aiuto forse più gradito e utile sia arrivato proprio dai residenti delle case intorno che, quando hanno capito che quei quattro gatti non erano intenzionati a demordere, si sono incuriositi e avvicinati. “I vicini ci hanno aiutato tantissimo: per esempio quando noi non avevamo l’acqua per un anno e mezzo ce l’hanno regalata! E sono sempre stati molto solidali, e lo sono diventati ancora di più quando hanno cominciato a vedere i frutti del nostro lavoro.” Continuiamo a camminare e mi mostra uno scheletro di metallo che corre per buona parte dell’orto. Mi spiega che lì ci stanno preparando una serra. Arriviamo alla fine dell’orto dove in un piccolo spazio recintato sono posizionate alcune arnie di fianco a decorative “arnie d’artista”. Franco mi spiega orgoglioso che nonostante questo sia stato il primo anno in cui hanno prodotto del miele questo sia andato a ruba. “Abbiamo contattato Mauro Veca che è un apicoltore urbano perché lui ha già una serie di arnie posizionate in giro per la città, e niente l’abbiamo scelto perché è un apicoltore urbano: non gli interessa di far grandi produzioni ma di far crescere le api in armonia” A questo punto la domanda mi sorge spontanea : “ma come decidete di avviare tutti questi progetti? Come decidete cosa coltivare e come strutturare l’orto?” “Noi ci troviamo una volta al mese, in cui decidiamo le cose più importanti e a lungo termine, e poi ogni sabato mattina decidiamo le cose più minute” e qua sta il nocciolo della questione, ciò che rende l’orto condiviso un’ esperienza così particolare e interessante: perché quel “noi” non comprende una cricca scelta di esperti orticoltori, ma chiunque. Qualunque milanese (e non) che passi anche per caso è invitato a sedersi ai tavoli sotto il pergolato per decidere se piantare altro basilico o iniziare coi ciclamini, o per proporre una castagnata o di ospitare la presentazione di un libro. E la partecipazione è davvero eterogenea: studenti, pensionati, lavoratori di ogni professione. Franco mi

di Beatrice Penzo VE

racconta che il sistema d’irrigazione dei cassoni lo hai progettato un ingegnere che un giorno per caso è passato di lì e si è interessato. “non è uno di quelli che mette le mani nella terra, ma ognuno da una mano come preferisce: ora quando c’è qualcosa da fare che riguarda il suo mestiere lui viene e ci dà volentieri una mano” E anche chi non coltiva o aiuta direttamente, magari passa ogni tanto per prendere una piantina, o una cassetta di frutta lasciando una piccola donazione. “È un progetto di tipo sociale soprattutto. Perché è vero che noi ci troviamo qui per coltivare i pomodori, o il cavolo nero, o la verza… però la vera sostanza è quella di creare comunità e coesione sociale tramite questo strumento: la coltivazione di un orto. C’è stata una scena che mi ha fatto sorridere quest’estate: ci è venuto a trovare il maresciallo dei carabinieri, poco prima che cominciasse l’anguriata, e qui c’era già il prete di San Crisostomo ed è stato bellissimo perché a un certo punto il parroco fa: manca solo il farmacista e poi tutti quelli importanti del paese ci sono “ . E forse fa un po’ sorridere anche noi questa scena, perché non ci aspetteremmo di viverla nel mezzo di Milano, in un pezzetto di terra incastrato tra un parcheggio, via Palmanova e il ponte della ferrovia.

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Attualità

MODA DI CARTA

La carta è libertà, è vita”. Così Isabelle de Borchgrave inizia il proprio racconto a Villa Necchi Campiglio il giorno dell’inaugurazione della propria mostra, “Moda di Carta”. Affermazione che dice tutto: l’amore e la passione espressi dall’artista belga fin da bambina, desideri e fantasie che ancora oggi si manifestano in questo materiale, lavorato manualmente fino a realizzare capi di abbigliamento di cui tutto si direbbe meno che siano di carta. Usata in tutti i modi, secondo tutte le tecniche possibili e immaginabili, ricercate e perfezionate nel corso dei quarant’anni della carriera che ha portato Isabelle a girare il mondo per esporre i propri capolavori ideati nel suo atelier a Bruxelles. Giappone, New York, Lione, Brasile, Londra, e, ovviamente, Italia, dove nel 2009 la designer ha creato un’intera collezione di costumi in carta riprendendo gli originali dei Medici, esposti poi a Firenze nel Palazzo dell’omonima famiglia. Per la prima volta nella sua vita, l’artista mostra le sue opere nella “città della moda” per eccellenza, Milano, nella Villa storica progettata per richiesta delle sorelle Necchi nel 1933 da Piero Portaluppi, uno tra i più importanti architetti dei primi anni del Novecento. “Moda di Carta” si inserisce nella macroiniziativa “Manualmente”, quinta edizione incentrata sulla materia cartacea, curata da Angelica Guicciardini e promossa dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), aperta al pubblico fino al 31 dicembre 2016. Gli abiti esposti sono bellissime 12

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° II

di Davide Siano IVA rappresentazioni di vestiti concepiti dai più grandi sarti e stilisti del Novecento e non solo. Si passa da stanza a stanza, rimanendo colpiti dall’eccezionale maestria dell’artista nel rendere la carta come vellutata, leggera e soffice. I lavori sono posizionati con estrema coerenza all’interno degli spazi, tanto che l’ambiente della dimora (mobili, arazzi, tappeti..) e le opere diventano un corpo unico di bellezza. È evidente il forte legame che unisce Isabelle alla figura di Mariano Fortuny, fashion designer dei primi anni del secolo scorso; ben dodici capi su trenta furono da lui concepiti. “Vorrei far comprendere lo spirito di Fortuny e la sua visione iconica attraverso il colore, la trama e i disegni sui vestiti”, ha dichiarato, “ispirati a tutto ciò che lo circondava a Venezia”. E non a caso proprio a Venezia Isabelle aveva allestito a Palazzo Fortuny una mostra che univa il proprio mondo a quello del suo, come definito da lei stessa, “maestro spirituale”. Passati dal Salone ci si ritrova in uno degli ambienti più belli, la Veranda, delimitata da pareti in vetro che si affacciano direttamente sul giardino. Qui si trovano tre abiti, uno da sera ispirato a quello di Jacques Doucet, uno da giorno delle sorelle Callot, che ad occhio sembra a tutti gli effetti seta, e un ultimo di C. Chanel, dove a colpire è la resa del rilievo madreperlato, che non è un’aggiunta, ma la carta stessa della veste ritoccata a mano tramite l’uso di punte di colore. La guida ci conduce nella Sala da Pranzo della dimora, dove è imbandita una tavola piena di ceramiche rosso-corallo

abbinate a capi dalle mille perline lucenti in vetro e carta, fino ad arrivare all’ultimo ufficio del pian terreno, cui è annesso l’abito rivoluzionario del 1947 di Christian Dior, il Tailleur bar. La guida spiega quindi il desiderio nato nel sarto dopo gli anni della guerra di innovare la figura femminile: non si trovano più spalle quadrate e tacchi a zeppa e punta quadrata, ma una giacca con falde che seguono le curve del busto, gonna svasata e plissettata e scarpe raffinate. Isabelle interpreta l’abito iconico del “New Look” con molta minuzia per i particolari, dove persino i bottoni collocati in linea con il busto sono realizzati in carta. La seconda parte della visita si svolge nel primo piano della casa, dedicata ad ambiti ed epoche storiche più vari. Nell’atrio troviamo un bellissimo abito di corte di Elisabetta I, subito dopo nella Stanza de’ Micheli uno di Maria Antonietta, fino ad arrivare alla Galleria degli armadi delle sorelle Necchi, dove a predominare sono i colori pastello e dorato che adornano trame fiorate di kimoni del 1700. E poi ancora abiti inglesi per lo sport, un complesso abito da camera di Albertine e addirittura un redingote (giacca lunga fino alle ginocchia) disegnato da Gabriele D’Annunzio per proprio uso. La fine del percorso coincide con il punto di inizio del lavoro dell’artista: una riproduzione del laboratorio, dove l’estro artistico porta ad arte concreta, dove la carta assume qualsiasi forma, e diventa scarpe, borse, tende e via dicendo. “Si parte sempre da un foglio di carta”, ma dove si arriva è tutto ancora da scoprire.


Cultura

ridi che ti passa

di Valentina Raspagni IVA

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utti noi, fin da piccoli, abbiamo trascorso minuti e minuti della nostra vita a ridere, soprattutto in compagnia di qualcuno. Ci siamo, però, mai chiesti che effetto questo abbia su di noi? Innanzitutto noi esseri umani possediamo tutti, anche coloro che nascono ciechi e sordi, l’innata capacità di ridere, che si manifesta molto prima dell’acquisizione del linguaggio (intorno ai 3-4 mesi di vita). I bambini, inoltre, ridono molto di più degli adulti: i primi mediamente 300 volte al giorno, mentre i secondi solo una ventina di volte. Ovviamente tale fenomeno può dipendere anche dal carattere di una persona, ma in generale l’inizio dell’età adulta provoca un graduale cambiamento caratterizzato da una maggiore serietà e una minore propensione alla risata. A partire dagli anni 60, negli Stati Uniti iniziarono i primi studi sulle virtù terapeutiche del ridere e del sorridere e il caso più eclatante si ebbe nel 1979: il giornalista scientifico Norman Cousins si ammalò di spondilite anchilosante (una grave malattia che provoca dolore alla colonna vertebrale e che colpisce articolazioni, ossa, muscoli e tendini portando alla paralisi); decise allora di chiudersi in una stanza d’albergo e cominciare a noleggiare tutti i film più divertenti che trovava. L i

guardava più e più volte, ridendo il più sonoramente possibile e dopo sei mesi di forti dosi di umorismo (e anche di vitamina C, che ha proprietà antiossidanti), i medici notarono stupefatti che la malattia era quasi del tutto scomparsa. Dopo un anno Cousins si ristabilì completamente e poco tempo dopo nacque la gelotologia (dal greco gelos, riso); si tratta di una disciplina che studia il fenomeno del riso e le sue potenzialità terapeutiche e risulta essere un ponte tra la biologia, la psicologia, l’antropologia, la medicina, poiché il riso e il sorriso restano inafferrabili se studiati in una sola di queste prospettive. La risata ha un effetto positivo sul sistema immunitario perché oltre a ridurre il livello di ansia, innesca nell’organismo una serie di processi chimici scientificamente dimostrati: stimola la secrezione di analgesici naturali quali le betaendorfine e le catecolamine e l’aumento di ossigenazione nel sangue; diminuisce inoltre la secrezione di ormoni da stress, come il cortisolo. Infatti, alcuni studi compiuti da ricercatori del gruppo internazionale Arise dimostrano che la comicoterapia contribuisce a favorire la salute fisica e mentale, facilita il processo di rilassamento e di protezione dallo stress e può agire come fattore di protezione dalle malattie. Pierre Vachet, un medico francese che studia da molti anni la fisiologia del riso, è giunto alla conclusione che ridendo si dilatano i vasi sanguigni e si invia più sangue alle estremità. Inoltre la caratteristica essenziale del riso, definito anche jogging da fermi, è quella di essere un buon esercizio che dà una sferzata di energia a tutti i sistemi interni. Ogni minuto di riso può fornire al corpo fino a 45 minuti di rilassamento terapeutico e ha anche un’attività comunitaria,

basta ricordare il vecchio detto “Se ridi, il mondo riderà con te, se piangi, piangerai da solo”, dato che l'allegria unisce anche persone che possono avere pochissimo in comune. È interessante notare anche che, secondo il fisiologo francese Waynbaun Israel, i muscoli agiscono come un laccio emostatico sui vasi sanguigni e regolano l’afflusso di sangue al cervello, che a sua volta ha un effetto sui nostri stati d’animo; quindi secondo questa teoria, le emozioni spesso sono conseguenti alle espressioni e non sempre le precedono. Inoltre Paul Ekman ritiene che la meccanica dei movimenti muscolari del volto sia strettamente legata al sistema nervoso autonomo che controlla il battito cardiaco, il respiro e altre funzioni non controllate dalla coscienza; sorridere, anche quando non ne abbiamo alcuna voglia, può influenzare l’umore e l’attività del Sistema Nervoso Autonomo di chi ci circonda (noi tutti infatti restiamo contagiati dall’umore delle persone con cui viviamo e a volte lo assorbiamo). Quando osserviamo l’espressione del volto altrui, non ci limitiamo a ricevere informazioni, ma proviamo le stesse emozioni. Secondo Ekman, la professione medica potrebbe approfittare di queste scoperte facendo in modo che gli ospedali, gli ambulatori e i centri sanitari siano più allegri.

Fonti: “Perché mentiamo con gli occhi e ci vergogniamo con i piedi?” di Allan e Barbara Pease “Il cervello. Istruzioni per l’uso” John Medina

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Cultura

Nella mente di un criminale

di Giorgia Mulè IIIE

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orse perché sto scrivendo il 31 ottobre, immersa nell’inquietante atmosfera di Halloween, o forse perché ieri ho visto il film “ La vera storia di Jack lo Squartatore”(con un Johnny Depp davvero niente male), ma mi è venuta voglia di indagare sulla psicologia dei criminali: cosa li spinge ad uccidere? Per capirlo è necessario studiare il loro comportamento approfondendo il contesto in cui sono cresciuti e ricercando, nel loro passato e attraverso la psicologia, le diverse cause che li conducono ad uccidere o a compiere atti di violenza: proprio di quest’ambito si occupa la psicologia secondo i suoi valori, non è degno di criminale. Ma partiamo dal principio, vivere. con una sentenza di Sigmund Freud: 3)edonista, colui che uccide per “L’uomo ha istinti aggressivi e passioni ricavare piacere sessuale o adrenalina, primitive che portano allo stupro, derivante dall’omicidio stesso o dalla all’incesto, all’omicidio; sono tenuti fuga. a freno, in modo imperfetto, dalle Ma arriviamo dunque al quesito Istituzioni Sociali e dai sensi di colpa”. principale: perché l’uomo commette Il padre della psicoanalisi sostiene reati? Chi viene considerato un infatti che nella personalità di ogni criminale solitamente possiede individuo ci sia un lato nascosto ed comportamenti antisociali, ovvero oscuro, normalmente represso dai atteggiamenti di negligenza per i diritti freni inibitori della morale e dalle e le sensibilità altrui. Il delinquente è regole che vengono impartite ad tipicamente un soggetto impulsivo e ognuno fin da piccolo. Ma talvolta le irresponsabile, incapace di cedere alla emozioni e le passioni che spingono frustrazione e, di conseguenza, ostile a commettere un reato scavalcano e violento. Queste caratteristiche si la morale impartita, così da poter sviluppano a causa di egocentrismo, distinguere i criminali dagli uomini frustrazione, ricerca di piacere o di legati alle regole della società in potere, deficit a controllare gli impulsi cui vivono. Freud elaborò inoltre la motori o cognitivi. Chi è affetto da teoria del “delinquente disturbi antisociali “L’uomo ha istinti per senso di colpa”, spesso compie reati ovvero un individuo aggressivi e passioni contro la persona che commette un reato primitive che portano (aggressioni, violenze, per infliggersi una allo stupro, all’incesto, omicidi e quant’altro) punizione e raggiungere o effettua furti e all’omicidio” una pace interiore. rapine con lo scopo di Un importante contributo della ricavarne un vantaggio personale, psicologia criminale è la classificazione spesso economico o di prestigio. I dei criminali in tre categorie, usate criminali di questa categoria sono come punto di partenza nelle indagini impulsivi, narcisisti e non provano (Ronald Holmes e James De Burger, rimorso dopo aver commesso un 1985): omicidio. Ho utilizzato la parola 1)serial killer allucinato, soggetto “categoria” perché, appunto, non affetto da malattie mentali che agisce sono soltanto i comportamenti sotto l’impulso di voci e visioni. La sua antisociali a indurre alla commissione vittima è quasi sempre sconosciuta. di un reato. Alcuni individui possono 2)serial killer missionario, assassino presentare disturbi schizoidi, che uccide chi, a suo giudizio e paranoidi e sadici di personalità, tutti 14

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legati a freddezza emotiva, distacco e diffidenza. Di solito l’assassino che ne è affetto opera per avvelenamento, cercando di mantenere una distanza dalle sue vittime. I moventi principali degli omicidi sono gelosia morbosa, fanatismo e vendetta. Gli assassini schizofrenici invece commettono omicidi e aggressioni per tentare di risolvere la situazione di pericolo da cui si sentono minacciati, spesso durante deliri o allucinazioni. Le loro vittime principali sono familiari o persone di riferimento. I soggetti che soffrono di depressione possono spingersi fino all’omicidio, al suicidio, a stragi familiari e infanticidi, cercando di coinvolgere le persone più care nella loro visione pessimistica e insorgendo violentemente se qualcuno contrasta la loro volontà suicida. Ho scelto di scrivere questo articolo spinta in primo luogo dalla mia curiosità in ambito psicologico, ma anche per farvi riflettere su quante persone intorno a noi potrebbero presentare i comportamenti fin’ora elencati: egocentrismo, eccessiva impulsività e frustrazione sono forse riconducibili anche a persone che ci circondano, atteggiamenti ai quali però non abbiamo mai dato molto peso. Probabilmente essi non sono potenziali criminali, ma sono comunque persone alle quali possiamo offrire un aiuto psicologico o, semplicemente, una spalla su cui piangere prima che danneggino sé stessi e gli altri.


HOPELESS WANDERER Journey from Hawaii...to Mars

(6 sacrifices that must be made in order to become an astronaut) by Linda Del Rosso IVC

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ave you ever read the book or seen the movie ‘The Martian’? It talks about an astronaut that is left alone on Mars after a sand storm, because his crew thought he died during the disaster. But he survived for years on the Red Planet, growing potatoes and creating the oxygen that he needed, until the next space mission saved him. Anyway, that’s just fiction. In reality, nobody has ever travelled to Mars up to now. So what’s the reason? Despite the fact that scientists already know how to build a spacecraft capable of making it to the planet, humans aren’t ready to face such long-term space travel. To train future astronauts and to prevent any physical and phsycological problem that they might face during the mission, many different research teams have been conducting studies to create on Earth, a simulation of mars’ enviroment. So the NASA founded a base in Hawaii, surrounded by an empty red desert and some vulcanoes. Dear reader, maybe becoming an astronaut and visiting another planet has always been your dream since you were a little child. But in this case I must warn you: for me, life is impossible even on NASA’s Hawaii Lab. I don’t want to change your mind though, so I’ll describe as objectively as possible the research that I did. 1. A TINY HOUSE If you like big houses with a lot of rooms, it would probably be hard for you to fit into such a small space with six other crew members. NASA’s base facility features a 100 mq dome, equipped with a 40mq sleeping loft (less than a regular classroom’s dimensions), two small bathrooms and a compact kitchen. You wouldn’t find many opportunitiesfor privacy, but think positive: you’ll never feel lonely! 2. FORGET ABOUT PIZZA AND TASTY FOOD Ti’s a common fact that food is an important part of our country’s tradition and that the average Italian eats at least one pizza every week. Forget about eating pizza while on the base. Even frozen pizza isn’t available. In the kitchen there aren’t any cooking-appliances, just a larder stocked with dehydrated or

powdered foods. If an astronaut wants to cook an omelette, there’s no need for a pan or a stove, he can just mix some bright yellow powdered eggs with dehydrated cheddar cheese and... Voilà! Breakfast is ready. 3. WEARING SPACESUITS No worries if you are always indecisive about what to wear. To hang out in the Space Hub, there’s just one option for clothing: a full-body spacesuit. Wearing this, nobody would even know if you aren’t in perfect shape (although it’s difficult to gain weight with the terrible diet that I described in the last paragraph). Astronauts don’t feel very light, because in addition they have to wear a helmet and a pair of space boots. 4. "RELAXING" WALKS OUTSIDE THE HUB I’ve never been to Hawaii, but I’m pretty sure that the air in the middle of the Pacific Ocean contains oxygen. So why should astronauts wear spacesuits for each evacuation exercise? That’s a part of the training. Another part consists of an every day walk in the red desert around the base, searching for minerals, hiking mountains, and sometimes risking life while near the vulcano’s lava. And to do more exercize there’s a treadmill where you can finally wear your comfortable clothes. 5. SAY HELLO TO YOUR FAMILY This is not the best experience for peoplewho

easily feel homesick. Crew members can communicate with Mission Control and family members, but only via e-mail or textings. Another problem is that they have to do this with a 20-minute one-way delay to simulate the light-time lag that exists between Mars and Earth. Therefore one complete interaction takes at least 40 minutes. Social network becomes a distant mirage. 6. TIME-TRAVELLING Time is probably the most critical aspect of sending a mission to Mars. The journey requires at least two years, in addition to the time spent conducting research on the red planet. With no future missions planned, scientists and phsycologists hope to come closer to understanding what makes a person mentally fit for this experience. The effects of long-term space travel on the brain remain a mistery. “If you’re claustrophobic, if you don’t like people, if you can’t adapt to a new environment, if you’re a picky eater, you shouldn’t do this” said one of the subjects of this NASA research. After introducing these 6 quick points, I hope that I didn’t ruin your dream of becoming an astronaut, but if I did, maybe you can find an easier job! I admit to being too lazy for space travel training, and that travelling to space brings too many sacrifices. And although I find astronomy very interesting, I’ll probably just spend my whole life writing silly horoscopes... (Read the horoscope on the last page.

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Cultura

srinivasa ramanujan, il poeta dei numeri

di Claudia Pirro IIB

Per me un’equazione non ha senso a meno che non esprima un pensiero di Dio.” Era questo ciò in cui credeva Srinivasa Ramanujan, matematico indiano nato il 22 dicembre 1887 a Erode, in una città dell’India meridionale. Da bambino faceva domande curiose, che lasciavano perplessi coloro che lo conoscevano, del tipo: “Chi fu il primo uomo al mondo? Quanto sono distanti le nuvole?” A scuola svolgeva i compiti in classe nella metà del tempo previsto. I suoi professori rimanevano senza parole nel momento in cui constatavano, con timida umiltà, la grandezza delle sue capacità. Negli anni successivi, tra il 1904 e il 1907 la sua mente produsse una serie numerosa di formule, tanto da decidere di tenere vere e proprie raccolte delle sue teorie in quaderni, suddivisi in capitoli e disposti in successione per argomento. Si trattava di raffiche di pensiero, casuali scarabocchi, frutto di ispirazioni regalate all’eternità della carta e dell’inchiostro. Non accontentandosi del lavoro di contabile in India e determinato a veder pubblicato il suo lavoro oltre i confini del suo paese, scrisse a tre diversi matematici inglesi. Uno di questi, il professor Godfrey Harold Hardy dell’Università di Cambridge notò in Ramanujan il talento ancora acerbo ma notevolmente coltivato di un giovane genio e lo invitò a studiare in Inghilterra. Hardy aveva una personalità dura, chiusa e molto distaccata ed era ateo, a differenza di Ramanujan, che invece professava la sua fede per la religione induista con quasi ossessiva dedizione. Quest’ultimo a causa delle sue origini, ebbe difficoltà ad integrarsi nella nuova comunità di matematici che lo giudicava con forte pregiudizio. In Inghilterra mise in 16

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mostra fin da subito la sua caparbietà ed il suo irrefrenabile entusiasmo. Egli era fermamente convinto che vi fossero leggi che governassero la natura del mondo. I numeri e i loro legami, secondo la sua visione della matematica permettevano di riscoprire la bellezza della dinamica dell’armonia nell’universo. Tutti i suoi risultati erano stati ottenuti mediante un processo di intuizione fuori dal comune, del quale però non fu mai in grado di fornire una qualsiasi spiegazione logica. Attribuì più volte queste sue ispirazioni alla dea Namagiri alla quale quotidianamente rivolgeva preghiere nella sua stanza. Che avesse in mano un gessetto o una penna di fronte ad un allettante foglio bianco, mostrava ugualmente sicurezza e convinzione nell’affermare la correttezza delle sue idee. Il suo talento ostinato, che lasciava stupiti gli esponenti più importanti dell’Università di Cambridge, consisteva nel raggiungere sempre più alti livelli, al confine tra il mondo astratto e quello puramente concreto. Nonostante alcuni suoi procedimenti fossero a volte matematicamente sbagliati, era la sequenza di argomentazioni con cui aveva affrontato la dimostrazione ad essere particolare. Vi era scorrevolezza nel flusso dei suoi pensieri, segno del movimento morbido e dolce di un vortice di fantasia e di genialità, che lo portava a produrre fiumi inarrestabili di teoremi. Con una mano più impetuosa e con le dita trepidanti scriveva su e giù per la pagina del quaderno, riempiendo gli spazi, eliminando via via i rari errori. Nel dimostrare una formula ne scaturivano istintivamente altre. Disse di lui il Professor Hardy: “I limiti della sua conoscenza erano sorprendenti quanto la sua profondità.” Molti parlarono di lui riguardo al piacere che manifestava alla vista di

una semplice equazione, motivato non tanto dal gettarsi a capofitto nella sua risoluzione, ma dall’ammirazione della sua forma, così lineare e precisa. Instaurò con Hardy una delle amicizie più particolari nel mondo della scienza, un rapporto definito dalla reciproca stima e da una forte e sempre costante collaborazione. Ramanujan venne definito quasi un poeta, che con i numeri giocava divertito, come un artista con i suoi colori. Oggi i matematici di tutto il mondo studiano ancora i suoi quaderni e applicano i suoi teoremi in rami scientifici come la chimica e l’informatica. Dopo anni di rinunce e sacrifici la sua giovane vita, ostacolata anche dall’insorgere della tubercolosi e dallo scoppio della Grande Guerra, si spezzò nella primavera del 1920, in India. Robert Kanigel ha scritto su di lui una biografia “L’uomo che vide l’infinito” da cui è stato tratto un film, uscito nelle sale italiane il 9 giugno 2016.


in guardia, pronti, a voi di Chiara Di Brigida IIIA

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ueste sono le parole che pronuncia l’arbitro prima di ogni assalto. Le parole che alle gare ti fanno saltare un battito del cuore. E poi riprende, al doppio della velocità; perché realizzi che sei lì, su quella pedana e devi vincere. O almeno, provarci. Credo sia questo l’aspetto che più mi piace del mio sport, la scherma: hai davanti una persona, il “tuo” avversario e dal momento in cui l’arbitro dà il via fino alla fine dell’assalto per te esiste solo lui, un rivale concreto con cui devi misurarti. Se c’è una cosa, che la scherma mi ha insegnato, è come affrontare le sfide; e non solo quelle in pedana. Questo sport insegna a combattere, a lottare. Lo sa bene Beatrice Vio, campionessa italiana di scherma, che nelle ultime paraolimpiadi di Rio si è conquistata un oro individuale e un bronzo nella competizione a squadre di fioretto.La sua storia inizia il 4 Marzo 1997 a Mogliano Veneto, un paese in provincia di Treviso; è la storia di una bambina vivace, piena di sogni, che ama lo sport. La sua vita si poteva facilmente riassumere in tre parole: scherma, scuola, amici; ma nel 2008 qualcosa cambia. A queste tre parole se ne aggiungono altre, termini che non dovrebbero far parte della vita di una ragazzina di undici anni: cicatrici, dolori atroci, arti amputati. Meningite fulminante. 104 giorni in ospedale. Il centocinquesimo giorno Bebe era casa, le sue braccia e le gambe no. Ma in casa con lei c’era ancora quel carattere, quella determinazione di ferro che non l’ha mai abbandonata. E che la aiutò a risollevarsi. Dopo un breve periodo in cui fece equitazione, Beatrice tornò alla scherma: inizialmente ebbe qualche problema con le protesi poiché aveva perso quelle tre dita con cui si regge il fioretto e questo non rimaneva saldo neppure se fissato con lo scotch; fortunatamente inventarono un guanto di plastica in grado di reggere l’arma e la piccola atleta tornò in pedana. Certo era una pedana diversa: benché le protesi per le gambe artificiali esistessero, la scherma paralimpica si svolge sulla carrozzina e Bebe si

dovette adattare; cosa che per lei non è mai stata difficile: “Ho capito che mi stava piacendo molto di più la scherma in carrozzina rispetto a quella in piedi. Nella scherma in piedi se hai paura puoi scappare in fondo alla pedana, da seduta invece sei lì, bloccata. Non puoi scappare. Non puoi avere paura.” Nei primi di maggio 2010 ha disputato la sua prima gara ufficiale a Bologna: è stato l’inizio di una dura scalata, che la portò poi a raggiungere incredibili successi e soddisfazioni come la vittoria agli Europei e alla Coppa del Mondo nel 2014, ai Mondiali e nuovamente alla Coppa del Mondo nel 2015, e, “at last but not least”, la vittoria di quest’anno alle paralimpiadi di Rio. Questa forza di carattere sembra essere una particolarità cromosomica della famiglia Vio, che, dopo essersi resa conto di una grande mancanza di supporto da parte del Sistema Sanitario Nazionale verso i giovani portatori di protesi di arto, ha fondato l’associazione “Art4sport”, volta a portare un aiuto economico, pratico e organizzativo alle famiglie di questi ragazzi. Una parte della propria vita di cui Bebe è sempre andata fiera sono gli amici: dai compagni di classe

e le persone del suo paese fino a personaggi noti come Valentina Vezzali (grande schermitrice italiana e suo idolo) e Jovanotti, che le ha spesso dedicato canzoni durante i concerti. Una famiglia solida alle spalle, una passione davanti, amici accanto e un fuoco dentro: così Bebe è riuscita a vincere la battaglia più dura della sua vita, quella contro la malattia. Non a caso è stata scelta quest’anno tra le più stimabili eccellenze italiane per partecipare con il Premier Renzi all’ultima cena di Obama alla Casa Bianca; in un contesto così elevato la sua semplicità spiccava non inosservata e, in un rapido momento di sgarro al protocollo, Bebe è riuscita ad ottenere un ambitissimo selfie con il Presidente degli Stati Uniti. Sono davvero fiera di aver portato qui, tra le pagine dell’Oblò, quella che secondo me è la storia del più splendido esempio dello sport italiano, perché, come le disse Jovanotti: “Quando qualcuno ti conosce, Bebe, succede che vuole essere migliore, se ti incontra un dottore diventerà un medico migliore, se ti incontra un cantante vorrà fare meglio, se ti incontra un canguro salterà alto il doppio…”.

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SPETTACOLO

serie tv

BLACK MIRROR: LA FANTASCIENZA CHE NON C’ERA

È

uscita la terza stagione di Black Mirror, la mini-serie antologica (ogni episodio è completamente scollegato dagli altri) che ha debuttato nel 2011 per la TV inglese. Nelle scorse due stagioni la serie si è presentata come un prodotto innovativo, ma rivolto a un pubblico di nicchia; ultimamente invece, l’acquisto da parte di Netflix e la comparsa di Jon Hamm in un episodio hanno fatto salire gli ascolti, e per questa nuova stagione si è creato un clima di grande attesa sia da parte degli spettatori che della critica. Nei 7 episodi usciti per Channel 4, l’autore Charlie Brooker ha fidelizzato il pubblico con inquietanti analisi del rapporto tra l’uomo e il progresso tecnologico, spesso estremizzato, ma sempre in modo attuale: i confini tra esso e la nostra realtà sono infatti molto sfumati, grazie anche all’attenzione data alla caratterizzazione dei personaggi e del contesto. Dal pilot (tanto di impatto quanto scandaloso) in poi, Black Mirror ha trattato molte tematiche, tra cui la giustizia, il libero arbitrio e la politica, ma che hanno quasi sempre ruotato attorno all’intrattenimento, descritto sia

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° II

di Marta Piseri e Federica Angelini VE come fonte di guadagno che come mezzo per tenere a freno le masse. La terza stagione invece ha posto come nucleo centrale il condizionamento reciproco tra i membri della società, di cui la tecnologia e soprattutto i social network si fanno tramite, spesso con effetti disastrosi. Questo è evidente nel primo episodio, “Nosedive”, che presenta una società le cui gerarchie si basano sulla popolarità (in una scala da 0 a 5) ottenuta su una sorta di Instagram usato anche come sistema di identificazione. Dal punteggio dipendono diversi privilegi e agevolazioni economiche, per fruire dei quali una “4.3”, determinata a salire di due decimi, va incontro a un devastante viaggio che però la trascina sempre più in basso. Questo inizio dà la sensazione di riprendere le fila del Black Mirror precedente, poiché molti temi già trattati convergono in questa storia dal ritmo incalzante, ma con implicazioni originali. Il secondo episodio, “Playtest”, riguarda invece la storia di un ragazzo americano che, girando il mondo per collezionare esperienze, si ritrova a Londra, dove accetta di testare un simulatore di realtà virtuale per un’azienda che produce videogiochi. Gli viene impiantato un chip, e da lì in poi le sue paure più grandi prendono forma una dietro l’altra secondo un climax ascendente, in cui rimane dubbio che cosa sia reale e cosa no. Gli sperimentalismi non mancano in questa puntata, ma le caratteristiche principali della serie, anche se reinterpretate, ci sono tutte. In “Shut up and dance” vi sono diversi punti

in comune con il pilot: ritorna il tema del ricatto, e la tecnologia, prodotto del progresso, diventa mezzo per la forma più regredita di giustizia, quella privata. 50 minuti che non rivivremmo volentieri. “San Junipero” è stato definito da molti, noi comprese, “non la puntata migliore ma la mia preferita”: anni ‘80, due ragazze si incontrano a San Junipero, paradisiaca località di villeggiatura, e instaurano una connessione. Da allora, a distanza sempre di una settimana, le due continuano a cercarsi anche in diverse zone temporali, finchè finalmente non si trovano e si innamorano. Gli elementi anomali della narrazione trovano allora una spiegazione, che noi censuriamo per non fare spoiler: basti sapere che il tema della storia è la morte. Questa puntata è l’emblema del Black Mirror made in Netflix, per il suo gusto holliwoodiano e quell’armonia che per la prima volta si infiltra nel caos e attenua il tradizionale cinismo. Gli ultimi due episodi, “Men against fire” e “Hated in the nation”, parlano di odio in un formato molto classico; uno rappresenta una guerra tra uomini ed esseri deformi detti scarafaggi, ma il concept è molto più vicino alla realtà di quanto non possa sembrare; l’altro riguarda ancora la giustizia privata, ma toccando un’infinità di altri temi secondari. Sicuramente due pietre miliari del progetto, ma entrambe penalizzate dalla metà iniziale, completamente trascurabile se non noiosa. Nella nuova stagione è da apprezzare la ricerca di avvicinarsi a nuovi generi, come il film romantico o il poliziesco, che aggiunge colore e potenzialità alla serie; ma per quanto riguarda quello che non ha funzionato, quasi nulla da dire: anche le trovate sgradevoli sono concettualmente inattaccabili, mentre le metafore meno d’impatto compensano con una nuova sensibilità estetica. Che si sia seguito l’episodio rapiti o sbadigliando, dopo averlo finito si resta immancabilmente a bocca aperta.


Medici: Masters of Florence di Alice de Kormotzij VA

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evo ammettere che, prima ancora della curiosità per una produzione anglo-italiana sulla Rai, prima ancora di Dustin Hoffman, è stato Richard Madden ad attirare la mia attenzione per una serie (diretta da Sergio Mimica-Gezzan), che, tra le numerose e più svariate polemiche, è stata vista da più di sei milioni di telespettatori, tant’è che ne è già stata confermata la seconda stagione. Ambientazioni anacronistiche e inesattezze storiche non sono difficili da trovare; ne è un esempio il fatto che Giovanni di Bicci de’ Medici non morì avvelenato, come mostrato dalla serie, ma di vecchiaia, e che da sfondo ad alcuni dialoghi dei personaggi ci siano gli affreschi dello splendido Palazzo Te mantovano. Detto questo, però, la serie, che racconta l’ascesa della famiglia rinascimentale per eccellenza tra cospirazioni e intrighi, non si propone certo come un documentario storico, cosa che i creatori Frank Spotnitz e Nicholas Meyer hanno più volte sottolineato. “I fatti sono frutto di fantasia, ogni riferimento è puramente casuale”, si legge poco prima dei titoli di coda. Si tratta di una fiction e come fiction dovrebbe essere accolta; si basa su avvenimenti romanzati al solo scopo di intrattenere lo spettatore che, consapevole di questo, non può non esserne appassionato, se non persino spronato a verificare gli avvenimenti presentati. Rispetto alle consuete produzioni Rai, è senza dubbio un passo avanti, che guarda sia al passato, per la costante presenza di dialoghi in ambienti chiusi, a mio parere non eccessivamente lenti, sia al futuro, con atmosfere che ricordano alcune serie contemporanee. I difetti oggettivi e non trascurabili ci sono, come il doppiaggio; tuttavia non sarebbe giusto non darle una possibilità a priori, senza averle dato nemmeno un’occhiata e solo dopo esprimere un giudizio. In ogni caso, anche i personaggi da soli, prima tra tutti Contessina de’ Bardi, vi spingeranno senz’altro a finirla, provare per credere.

stranger things di Alice de Kormotzij VA

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on ricordo esattamente il tempo intercorso tra l’inizio e la fine di questa serie, risucchiata com’ero nella sua atmosfera nostalgica e sognante, rifugio dalla calura estiva, nella libertà di un’estate ancora in corso. “Una lettera d’amore nei confronti della cinematografia anni ‘80”, così i fratelli Matt e Ross Duffer, ideatori del progetto, si riferiscono ad essa, composta da otto puntate di circa cinquanta minuti ciascuna e diffusa da Netflix a partire dallo scorso 15 luglio. Facendo riferimenti a classici intramontabili, come “I Goonies”, “La casa”, “I Gremlins”, “Stand by Me”,” E.T.” i fratelli Duffer riescono perfettamente non solo ad omaggiarli, ma anche a costruire una storia avvincente attraverso citazioni che non sono fini a se stesse, ma complementari alla vicenda con una colonna sonora pazzesca. Il piccolo Will Byers scompare in circostanze molto oscure e nella sua ricerca sono coinvolti diversi personaggi di diverse generazioni, tra i quali la madre di Will, Joyce (Winona Ryder), che, nonostante il suo ruolo sia limitato a quello della madre disperata, rende il suo personaggio così intenso da non risultare mai banale. Riguardo alla trama, è forse riduttivo da una parte, ingiusto dall’altra, dire di più: la storia, oltre al contesto evocativo e ben studiato, è costruita dai personaggi e, naturalmente, dagli attori che li interpretano, bambini e adulti, che si completano l’un l’altro senza però annullare la differenza d’età. Non è solo interessante ed emozionante assistere al proseguimento della storia, che, com’è tipico di una serie tv, si fatica a mandare giù poco alla volta, ma lo è soprattutto osservare come ciascuno dei personaggi reagisce all’interno della storia e come l’uno si rapporta con l’altro, in un gioco dove nulla è superfluo e il classico viene rivisitato consapevolmente, avvicinandolo a chi non lo conosce. I fratelli Duffer hanno già dato conferma di una seconda stagione, che avrà l’obiettivo non facile di mantenersi sullo stesso livello della precedente. Non resta che aspettare.

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SPETTACOLO

CINEMA

Florence

I

l film “Florence” uscirà al cinema in Italia il 22 dicembre, ma avendo avuto l’occasione di vederlo in anteprima, ho deciso di scriverne una recensione esclusiva per i lettori dell’Oblò. Innanzitutto, anche solamente per il semplice fatto che i protagonisti siano Meryl Streep e Hugh Grant dovrebbe già avervi fatto venire voglia di acquistare il biglietto. Ambientato a New York nel 1944, racconta la storia vera della ricca mecenate Florence Foster Jenkins. Immaginatevi una donna di circa 60 anni, un po’ in carne e sempre sorridente, vestita con abiti in stile rococò. Spende la maggior parte del proprio tempo e denaro in teatro, e infatti finanzia concerti di musica classica ed opera: spinta dalla passione per la musica, decide di intraprendere la carriera da soprano, anche se non possiede alcuna abilità canora. Per dirla tutta, è veramente stonata, ma nessuno vuole infrangere il suo sogno, anzi, il marito la incoraggia permettendole di prendere lezioni private in casa propria con un pianista, Cosme McMoon. Anche

di Giorgia Mulè IIIE quest’ultimo rimane sconcertato dalla sua terribile voce e dapprima pensa di lasciare l’impiego, ritenendo che la donna sia un caso disperato, ma il marito di Florence, St. Clair Bayfield, lo convince a proseguire le lezioni aumentandogli la paga pur di non infrangere i sogni della moglie, anche St. Clair infatti è appassionato di musica e tenta di sostenere il “talento” della moglie. Florence non è l’unica donna di St. Clair: ha infatti anche una relazione con una donna più giovane, dalla quale spesso resta a dormire. Florence ne è consapevole, ma accetta la scelta del marito. Nonostante sia malata di sifilide, non si dà per vinta e ha intenzione di organizzare il suo primo concerto alla Carnagie Hall, famoso teatro newyorkese. St. Clair, consapevole del rovinoso esito che potrebbe avere l’esibizione, invita soltanto amici fidati per evitare che la moglie venga umiliata (o meglio, riesca ad umiliarsi da sola) davanti al pubblico. E mentre Florence spera che la sua esibizione sia un successo, il marito fa di tutto per evitare che la moglie venga a conoscenza

delle critiche sulla sua voce. “Florence” è un’esilarante commedia, strappa una risata ad ogni nota stonata. È un film che non ricorre alla volgarità per essere divertente, come spesso accade, ma racconta una storia vera ed insolita, che però ha anche alcuni lati drammatici: ad esempio, la consapevolezza di una donna di non poter soddisfare il marito come vorrebbe a causa della propria malattia ed è quindi costretta ad accettare la doppia relazione del partner. Questo permette allo spettatore di riconoscere anche il lato generoso del carattere della protagonista, che pone i bisogni del marito prima dei propri sentimenti. Hugh Grant (St. Clair) e Meryl Streep (Florence), inutile dirlo, sono stati due attori straordinari e hanno saputo interpretare personaggi a tutto tondo, conducendo lo spettatore in una lontana New York degli anni ’40 affascinata dall’opera lirica italiana. La dedizione della protagonista in quest’ambito è da ammirare: si impegna affinchè la Grande Mela scopra il fascino della cultura musicale italiana, conosce i più grandi musicisti e tenori e allestisce spettacoli pagando per la loro realizzazione. Florence è una donna determinata: si lancia in nuove esperienze non curandosi del risultato finale, la sua voglia di mettersi in gioco supera la paura del giudizio altrui. Ed è ciò che dovremmo fare tutti. L’adolescenza è un periodo in cui si tende a dare troppo peso alle opinioni, dovremmo invece non temere di perseguire le nostre passioni e cercarne di nuove, indipendentemente da ciò che gli altri potrebbero pensare. Come dice la protagonista del film: “Qualcuno potrà dire che non so cantare, ma nessuno potrà dire che non ho cantato”.

“Qualcuno potrà dire che non so cantare, ma nessuno potrà dire che non ho cantato” 20

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° II


“Che c’è nel nome? Quella che chiamiamo rosa, anche con altro nome avrebbe il suo profumo”

romeo e giulietta

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enneth Branagh e Rob Ashford mettono in scena un Romeo e Giulietta, che, nel rispetto del testo e dello spirito Shakespereano, si rivela innovativo e coinvolgente. Lo spettacolo, inserito nel progetto del National Theatre per celebrare l'autore in occasione del quattrocentesimo della morte, è pensato per essere filmato e

di Bianca Carnesale VA

proiettato in tutto il mondo. La regia cinematografica è affidata a Benjamin Caron, che sceglie la resa in bianco e nero, un omaggio al cinema italiano degli anni Cinquanta e in particolare a Fellini, fonte di ispirazione già della versione teatrale. Di Fellini il regista riprende anche la sensualità, già presente nel testo, ma qui sottolineata dalle movenze degli attori, in particolare dalla gestualità di Giulietta, dall'atmosfera eccitata dei balli, nonchè dalla figura della balia e di Mercuzio. Nelle riprese cinematografiche si alternano scene corali a piani ravvicinati nelle scene più intime, che danno grande risalto agli attori, tra cui, oltre a Giulietta, resa da Lily James con grande modernità, spicca la balia, interpretata dalla bravissima Meera Syal e Mercutio, interpretatato da Sir Jacobi, un attore di grande fama, non più giovane, ma al quale calza benissimo il ruolo di amico del giovane Romeo, un amico esperto,

disilluso e provocatorio, ma ancora pieno di entusiamo per la vita. La scelta di un Mercuzio maturo è inedita, ma vincente, e contribuisce ad una lettura più fisica e sensuale della tragedia, evidenziando anche il tono farsesco in una moderna contaminazione di generi. Giovano al ritmo anche le battute in italiano, che danno dinamicità ad una tragedia in cui Romeo e Giulietta si amano a prima vista, di un amore fisico e dirompente tanto da sconvolgere gli schemi che rendono nemiche le loro famiglie e anche il modo tradizionale di rappresentare la tragedia, restituendo lo spirito shakespeareno alla sua grandezza. É ridato a Giulietta un ruolo fondamentale in cui l'incertezza e l'amore improvviso e totalizzante vengono rappresentati con grande incisività. Un nuovo modo, fedele al testo, di guardare Romeo e Giulietta, che piacerà anche a chi non ha apprezzato altre letture in chiave esclusivamente romantica.

borrowed time di Valentina Foti IIB

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ntenso, commovente e pungente è il cortometraggio che spopola dal 14 ottobre sul web: "Borrowed time", in italiano "tempo in prestito". In soli tre giorni il filmato ha raggiunto 2 milioni di visualizzazioni. Deve essere stata proprio una grande soddisfazione per i due filmmaker nonché autori, registi e animatori americani del video: Lou Hamou-Lhadj e Andrew Coats che, per creare circa 7 minuti di animazione, hanno impiegato 5 anni di lavoro. Il risultato è un cortometraggio western. La vicenda tratta di uno sceriffo, che perseguitato dal ricordo di un episodio avvenuto quando era giovane, vuole suicidarsi. Sarà un orologio, e non uno qualunque, a fargli prendere la decisione di morire o continuare a vivere. La rappresentazione grafica è di alta qualità e ogni particolare, dall'ambientazione al protagonista, è

curata nei minimi dettagli, tanto che la vicenda si rispecchia nelle immagini stesse; basti pensare al volto scavato dello sceriffo, che trasmette allo spettatore malinconia e tristezza, emozioni che in effetti il protagonista prova. Un aspetto importantissimo è l'obbiettivo degli autori di creare un cartone adatto soprattutto ad adulti e sconsigliato ai bambini. E sono riusciti nell'intento: la storia racconta fatti decisamente seri, introspettivi e realistici. Forse il fatto che un cartone venga considerato essenzialmente per bambini è dovuto all'aspetto grafico che presenta immagini stilizzate e stereotipate, argomentazione inconsistente se si pensa ad artisti come Keith Haring che con i suoi omini un po' infantili diventò famoso e apprezzato soprattutto da un pubblico adulto. Un altro aspetto da sottolineare è la

voce, infatti essa è pressoché assente per dare spazio ai silenzi, ai sospiri, ai suoni scenografici e alle musiche, scelta che può aiutare anche persone di lingua differente a comprendere il cortometraggio senza troppe difficoltà. Creare cortometraggi è un'operazione alquanto difficile, soprattutto quando si vuole trattare di argomenti che richiederebbero più tempo: è notevole quindi la capacità di condensare tutto in pochi minuti senza perdere l'atmosfera e il messaggio che si vuole trasmettere.

“Un cartone è una forma d’arte dalla quale gli adulti non devono essere esclusi.” Dicembre 2016 | L'Oblò sul Cortile

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SPETTACOLO

Apocalypto

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uando dieci anni fa questo film uscì al cinema nessuno di noi attuali carducciani poté andare a vederlo, perché per legge eravamo troppo piccoli. Dopo molte polemiche, in Italia Apokalipto fu proibito ai minori di quattordici anni, in Francia ai minori di dodici, negli USA diciassette, nel UK diciotto e in Cina fu totalmente bandito. Il quarto film di Mel Gibson, pensato come la prosecuzione concettuale di Braveheart e La passione di Cristo (quest’ultimo già contestatissimo per la sua audacia e per i contenuti dissacranti) ottenne un buon successo nonostante la quantità di censure e cattive recensioni che gli si sono scatenate contro a causa, oltre che della solita ridda di polemiche di natura politica che sempre accompagna i film dell’attore australiano, anche dell’estrema crudezza messa in scena, al punto da essere confuso con i peggiori splatter e film ultra-violenti di quart’ordine, rispetto ai quali, a dir la verità, mi pare decisamente avere qualcosa in più. Dopo La passione di Cristo Gibson ripropone il genere storico/azione/ morte/sangue raccontandoci l’avventura di un giovane Maya sullo sfondo di una civiltà, poco prima dell’arrivo degli Europei, cruenta, corrotta e decadente, ben lontana dalla nostra idea idilliaca dei nativi americani, ma perfettamente

di Giuliano Toja IVF in linea con la concezione Gibsoniana della violenza umana come motore della storia, che finisce per essere ridotta a un susseguirsi di soprusi, stragi e omicidi (e sacrifici umani). Comunicativamente centrale in questo senso è la frase che compare prima dei titoli di testa: “Una grande civiltà viene conquistata dall'esterno solo quando si è distrutta dall'interno”. La storia si struttura su una classica trama da film di sopravvivenza “eroe vs società”: Zampa di Giaguaro vive con la sua famiglia in un piccolo villaggio di cacciatori nella foresta pluviale, finché non viene catturato da uno squadrone di brutti ceffi che porta lui e i suoi amici in una grande città per venderli come schiavi o sacrificarli in cima alla piramide a gradoni per placare la collera degli dei che affliggono la popolazione con un’epidemia di peste. Scampato per miracolo, riesce a fuggire dopo aver ucciso il figlio del suo carnefice che si lancia all’inseguimento insieme con i suoi scagnozzi. Dopo una serie di mirabolanti scene d’azione tra giaguari, cascate, sabbie mobili e api assassine (con colpone di scena finale) riesce a ricongiungersi con sua moglie e i suoi bambini e tornare a vivere nella giungla. La prima cosa che salta all’occhio è che il film, girato nello Yucatàn e interpretato da attori indi semisconosciuti, è interamente in lingua Yucateco, così come La passione di Cristo era stato

in aramaico. In realtà, non essendo i personaggi molto loquaci, leggere i sottotitoli non è particolarmente faticoso, e inoltre la lingua originale dà quel tocco esotico che ci sta come la ciliegina sulla torta in un film che si caratterizza per il grande impatto estetico, acustico ma soprattutto visivo, sempre a metà tra il realismo della ricostruzione storica e l’onirismo horror-fantasy, ad esempio nelle spettacolari scene di ultra-violenza con cuori estratti ancora pulsanti dalla carne e uomini impalati in trappole per tapiri, ma soprattutto nella allucinata e disturbante ambientazione della metropoli in cui si può cogliere un forte richiamo ad alcuni classici di fantascienza come Blade runner o Total recall, così come i costumi degli inquietanti cittadini e le armature di ossa dei soldati non possono non ricordare Mad Max, di cui Gibson è stato protagonista. Tutto sommato una pellicola particolare e interessante, probabilmente il miglior film mai realizzato sull’America precolombiana (mi correggo: dimenticavo Le follie dell’imperatore); una visione che vi consentirà di godervi un affascinate (oltre che angosciante) tuffo in una civiltà misteriosa che così raramente ci capita di vedere protagonista sullo schermo, tenendo però presente che si tratta della parziale visione di un maniaco della violenza, e che i Maya dopotutto avevano altri interessi oltre alle decapitazioni di massa.

“Una grande civiltà viene conquistata dall’esterno solo quando si è distrutta dall’interno” 22

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° II


“Non è amore sentirsi annientate psicologicamente, rinunciare alla propria indipendenza, a essere sé stesse, solo perché lo vuole lui.”

io ci sono

I

n concomitanza con la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ricorrente il 25 novembre dal 1999, il 22 novembre 2016 Rai Uno ha proposto in prima tv “Io ci sono”. Il film, diretto da Luciano Manuzzi, è tratto dall’omonimo romanzo “Io ci sono: la mia storia di non amore”, scritto da Lucia Annibali. Pesaro, 16 aprile 2013, ore 21:30. L’avvocatessa Lucia Annibali, allora trentacinquenne, viene aggredita sul pianerottolo di casa sua da uno sconosciuto incappucciato. L’aggressore, proveniente dall’interno dell’abitazione, le getta addosso dell’acido e scappa. Lucia si mostra immediatamente consapevole, non solo dell’entità e della gravità della sua aggressione (“Mi hanno gettato l’acido!”, grida infatti), ma anche del (non solo) presunto colpevole, l’ex fidanzato Luca Varani. La ragazza viene portata al centro Grandi Ustioni di Parma. Da qui il film si sviluppa in una serie di flashback che mostrano la sua relazione con l’ex

di Valeria Galli VA fidanzato: il primo incontro, i litigi, gli episodi di stalking da parte di lui e infine l’aggressione, ad opera di due albanesi incaricati e pagati personalmente da Varani. Quest’ultimo, riconosciuto colpevole, verrà condannato a vent’anni di carcere, il 10 maggio 2016. Il film mostra il terribile excursus di operazioni a cui Lucia,

completamente sfregiata in volto, ha dovuto sottoporsi per ripristinare, se pur parzialmente, i connotati facciali e recuperare la vista. La storia di Lucia è mostrata senza compassione e con crudo ed efficace realismo, che inevitabilmente coinvolge il pubblico. Cristiana Capotondi, nei panni della

protagonista, incarna con straordinaria empatia e sensibilità la figura di una donna che, da vittima di un amore malato, è diventata emblema della lotta contro la violenza sulle donne. “Io ci sono” è un film che educa alla non-violenza, a non praticarla, ma soprattutto a non subirla. Lucia è l’exemplum, il modello da seguire per tutte le donne che ogni giorno subiscono violenza, ma non riescono a reagire. “Alle ragazze voglio dire che non è amore sentirsi annientate psicologicamente, rinunciare alla propria indipendenza, a essere sé stesse, solo perché lo vuole lui. Vogliatevi bene, e credete in voi stesse. E sappiate che ogni forma di violenza subita non è colpa vostra, perché avete scelto l'uomo sbagliato, ma è colpa di chi l'ha commessa. L'amore non tollera nessuna forma di violenza, mai”. Queste le parole di Lucia, questo il messaggio che ha deciso di lanciare e che, ancora oggi, affinché ci sia un reale cambiamento, ha la necessità di essere ascoltato, compreso e diffuso.

I consigli della redazione Animali fantastici e dove trovarli

Sausages party

La ragazza del treno Sully

In guerra per amore

Dicembre 2016 | L'Oblò sul Cortile

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good vibes

di Giuliano Toja IVF

Titolo: God Save the Queen Artista: Sex Pistols Album: Never mind the bollocks: here’s the Sex Pistols Anno di pubblicazione:1964

di Spe Sev

Titolo: Di che cosa parla veramente una canzone Artista: Tre allegri ragazzi morti Album: Nel giardino dei fantasmi Anno di pubblicazione:2012

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° II

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l 10 Giugno 1977 il popolo britannico è in festa per celebrare il 25esimo anniversario del regno di Elisabetta II, ma la solennità dell’occasione viene interrotta quando dal Tamigi si leva l’assordante grido dell’anarchia, e nel giro di qualche ora tutti sanno che i Sex Pistols hanno colpito ancora. I 4 sboccati ragazzi che hanno portato al centro dell’attenzione pubblica gli osceni e terrificanti prodotti della controcultura punk degli anni ’70, dopo aver sparso il panico nei mass media e scandalizzato i benpensanti inglesi con esibizioni di volgarità, sesso, empietà e violenza pubbliche mai viste prima, ritornano alla carica con l’ennesima bravata per pubblicizzare il loro ultimo singolo dal dissacrante titolo “God Save the Queen”. La musicalità del selvaggio e sguaiato punk rock dei Pistols, con una parte ritmica ancor più raffazzonata dopo che il basso del troppo borghese Glen Matlock (pare gli piacessero i Beatles) era stato sostituito con l’orrido e inquietante Sid Vicious, fa da accompagnamento a un testo tra

P

roduzione ambigua, caratterizzata da uno spirito che tende asintoticamente a rasentare la sottile linea che intercorre tra la perfezione e la morte. Si presenta come un boato di luce nell’ovatta del pensiero maschile di un troppo trent’enne animo nascosto al chiaro dell’ombra tersa di un corpo inerte e impalpabile chiamato erroneamente e volutamente pragmaticità. Lo spirito di analisi della psiche umana non si compie nella canzone, ma non ostenta di averlo fatto, limitandosi a permettersi di esprimere un’opinione altrui su una storia di terzi per valutare con il proprio punto di vista la proiezione dell’interlocutore nell’io narrante: realtà inter-intra-pluri-mono-personanimale. Ormai al loro decimo album, i TARM verranno a Milano il 16 dicembre a regalarci l’ennesimo concerto, rigorosamente con addosso le maschere da scheletri e chiedendo al pubblico di mandarli a fare in culo per farli bissare. La malinconia, si traduce qui in una ricerca continua del macabro e del triste,

i più provocatori di sempre -“Dio salvi la regina /e il regime fascista /ti hanno reso un’idiota /una potenziale bomba-H”-, a cui si aggiunge l’apocalittico “No future” del ritornello, che diventerà uno dei più celebri slogan della ribellione punk. Il singolo, pubblicato qualche mese prima, raggiunge in breve tempo la testa delle classifiche britanniche, salvo poi essere censurato e bandito dalle radio. Per rispondere nel loro stile, i Pistols si imbarcano su un traghetto di fronte all’abbazia di Westminster nel giorno del Giubileo della regina e suonano il pezzo a tutto volume finché non scoppia la rissa col conducente, la polizia interviene in massa e i membri della band vengono arrestati coi fan dopo un rocambolesco tentativo di fuga per le vie di Londra. In seguito il 45 giri verrà ritirato (ora è tra le rarità più costose al mondo), e l’episodio rappresenterà l’apice della breve storia dei Sex Pistols, destinati di lì a poco a bruciare nel rogo del loro stesso caos, lasciando però un cratere in mezzo alla capitale inglese che cambierà radicalmente la storia della musica.

attraversando idee come il funerale che diventa ossessione e poi ideale, e viceversa, e in seguito viceversa ancora, e la reciprocità porta a perdere il proprio Lui nelle pieghe della stoffa grinzosa come collo anziano della spuma di latte una mattina generata da un’ipotetica caduta di una pigna in un bicchiere pieno d’esso, dopo una notte di sfrenato /&abortito_%un_#pensiero&/. E il latte resta lì, e il bicchiere non esiste, e il sistema chimico è “solo” bifasico: siamo io e tu, siete me ed Egli, insomma la pluralità interiore che qualcuno conosce e qualcuno non capirà mai. Tutto perché lodevole può esser un plagio ben pensato e mal riuscito come questo straccio brutto di pensiero duplicato su carta in una notte non buia né tanto meno tempestosa espulso come un potente rutto. “La canzone merita che le si dedichino i minuti necessari ad ascoltarla fino a dieci secondi prima della fine.” Perché? Per non rovinarsi un’illusione autocelebrativa e autogeneratasi, non perché il finale sia scadente o eccezionale.


Red Hot Chili Peppers

Un ostentato spirito patriottico all’insegna della trasgressione di Spe Sev

Psychic spies from China Try to steal your mind's elation And little girls from Sweden Dreams of silver screen quotation And if you want these kind of dreams It's Californication” Sono versi che forse non ti dicono nulla, ma se li ascolti con la loro inconfondibile base musicale composta da una melodia dominante al basso, da una batteria essenziale con la pura funzione di metronomo – eccezion fatta per gli eccezionali assoli , eccezionalmente eseguiti - e soprattutto se sono cantati con voce nasale, quasi da cartone animato, non credo ti sarà difficile riconoscere la canzone più famosa nella storia di un formidabile gruppo rock: i Red Hot Chili Peppers (L.A. 1983). Californication (1999) è infatti una canzone dal ritmo incalzante, con un motivetto nel ritornello di quelli che ti entrano in testa dopo un solo ascolto e che fanno molta fatica ad uscirne. Una traccia storica: bilanciati perfettamente i ruoli dei vari strumenti, testo sufficientemente malato per rientrare a pieno titolo nel loro stile, facilmente riconoscibile anche solo per le parole incomprensibilmente sognanti, basso naturalmente spettacolare e atmosfera di casa che viene trasmessa fin dalle prime note legate, sapientemente studiate alla chitarra, e che assume il difficilissimo compito di interessare l’ascoltatore sin dall'intro. Capolavoro anche dal punto di vista del marketing, la title-track di uno dei migliori album dei Red Hot rientra nelle classifiche dei migliori pezzi rock di numerose riviste, anche di gusti tradizionali, ma aperte a novità così evidentemente clamorose. L’album Californication è una costellazione di canzoni spettacolari ed è stata magistrale anche la scelta della scaletta, merito sì dei musicisti, ma non vanno dimenticate le ottime case discografiche che li hanno seguiti già dalla nascita e li hanno accompagnati in tutta la loro carriera –ancora non conclusa-, vedendo quanto talento avevano quelli che erano allora giovani ragazzi. Sì, giovani ragazzi, perché, sebbene ora meno giovani,

senza dubbio ragazzi lo sono ancora; la spensieratezza, la fantasia, la capacità di sognare e una buona dose di stupidità cronica li hanno accompagnati fin dagli esordi e difficilmente li abbandoneranno. Basta guardare il video ufficiale di Californication per capire che i soggetti in questione non sono del tutto a posto: il video mostra un videogioco (realmente creato al solo scopo di fare il video) all'interno del quale i membri del gruppo corrono a petto nudo per le strade di una città –difficile non presumere che sia la loro amata L.A.- senza un apparente scopo, al solo fine di farsi vedere in giro per le vie trafficate in tenuta da spiaggia. Un gruppo di spostati, con una formazione sempre in evoluzione, tra cui si inserisce il mito di Frusciante che lascia la band, una costante immancabile nella loro storia. Dopo gli album dal successo mastodontico e quasi planetario come appunto Californication, ma anche il successivo Stadium Arcadium (2006), disco doppio con titoli come la celebre Dani California, i RHCP restano coesi, al contrario di molti altri gruppi, e continuano a produrre album: I’m with you

(2011), e il recentissimo album di cui Dark Necessities è il singolo di punta, passato in radio moltissimo e pubblicizzato alla grande, con un video ufficiale mirato al ridicolo e all’autoironia. Dark Necessities vuole infatti presentare una caricatura di loro stessi, nel senso più positivo del termine: la ripresa dei propri mostri sacri, rivisitati con una maturità maggiore –si spera- e una consapevolezza critica propria di chi riesce a vedere dall’alto le proprie produzioni passate. In alcune canzoni di I’m with you si coglie invece un tentativo mal riuscito di raggiungere vette toccate in passato e ormai inarrivabili. Un gruppo che indubbiamente ha toccato il cielo e ora sta tornando lentamente con i piedi a terra, i grandi Red Hot Chili Peppers riescono comunque ancora a soddisfare pienamente le aspettative. È difficile aspettarsi dal nuovo album qualcosa di grandioso, ma non è da escludere che due o tre sorprese ce le riservino, complessivamente Uno dei migliori gruppi nella storia che hanno saputo interpretare un genere complesso e articolato come il funk-rock in modo personale e originale.

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musica classica: di Edoardo Braga IVA

L

o scorso 3 Dicembre, nell’Aula Magna del nostro amato liceo, Giovanni Bietti, pianista e musicologo già noto per la trasmissione “lezione di musica” in onda il sabato e la domenica su radio 3 e dalla partecipazione del quartettOCMantova, ha tenuto un’interessante lezione-concerto. Il quartettOCMantova è composto da alcune tra le prime parti dell’Orchestra

Un genere tutt’altro che obsoleto

da Camera di Mantova: Luca Braga e Pierantonio Cazzulani, violini, Klaus Manfrini, viola, e Paolo Perucchetti, violoncello. I quattro musicisti hanno un rapporto privilegiato costante e ormai ventennale con l’Ensemble mantovano con il quale si sono esibiti nelle sale più prestigiose di tutto il mondo. Il brano eseguito è stato il quartetto in La minore Op.51 N.2 di Johannes Brahms (18331897). La prima parte della lezione è stata dedicata ad un ascolto guidato e ad una spiegazione del brano proposto, movimento per movimento, con alcuni esempi musicali. La seconda parte è stata dedicata all’esecuzione dell’intero brano per una durata complessiva di un’ora. L’incontro ha offerto l’opportunità di ascoltare dal vivo della musica di artisti di alto livello e di entrare in contatto con la musica classica, oggi molto trascurata, soprattutto dai giovani. Spesso commettiamo l’ errore di considerare la musica classica qualcosa di lontano dalla nostra sensibilità, ritenendola interesse

Yours truly, dee dee

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ell’invernale clima milanese, capace di congelarti dalla punta dei piedi alla punta dei capelli, quale miglior modo di riaccendere l’anima se non con la calda atmosfera di un concerto jazz, capace di penetrarti fino alle ossa con il suo calore? Non ho potuto ignorare l’opportunità che mi ha offerto l’evento “JazzMi”, il festival di musica jazz tenutosi a Milano dal 4 al 15 novembre, con più di 80 concerti di artisti internazionalmente affermati. Per undici giorni Milano ha ospitato un festival di musica moderno, vivace, e coinvolgente La protagonista di uno di questi concerti è stata Dee Dee Bridgewater, nata Denise Eileen Garrett, cantante jazz afroamericana che, nel corso della sua lunga carriera, iniziata alla fine degli anni sessanta e coronata con un Tony Award, ha collaborato con i più grandi maestri jazz: per citarne uno, Ray Charles. Si è esibita al Teatro Del Verme la sera di venerdì 11 novembre, accompagnata da un gruppo di giovani musicisti, formato da Theo Crocker alla tromba, Kassa Overall alla batteria, Anthony 26

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Ware al sassofono e flauto, Michael King al pianoforte e tastiera e infine Eric Wheeler al contrabbasso. Ad aprire il concerto è stata la band, eseguendo alcuni dei suoi brani. È poi entrata in scena Dee Dee, con la sua voce potente e il suo timbro affascinante e ammaliante. La cantante americana ha interpretato sia pezzi energici e impegnativi sia brani più dolci e intimistici. Affiancata dal quintetto di musicisti, si è esibita con alcuni brani del suo ultimo album, “Dee Dee’s Feathers”,alternati a rivisitazioni di pezzi “storici”. Per i brani più classici Dee Dee ha attinto al repertorio di artisti come Stevie Wonder e Michael Jackson, del quale ha interpretatoin chiave jazz “I can’t he lp it” del 1979. Non sono mancati momenti d’improvvisazione e puro divertimento, ad esempio quando la cantante ha duettato con la tromba e il basso imitando con la voce il suono degli strumenti. Una canzone che mi ha particolarmente toccata è stata la sua reinterpretazione di “What a wonderful world” di Louis Armstrong: accompagnata solo dal pianoforte è riuscita a creare un

solo per persone anziane o colte. Al contrario, la musica classica è un genere di incredibile attualità, accessibile a tutti, anche ai più inesperti. L’incontro avvenuto a scuola ha dimostrato che bastano davvero, elementari informazioni su alcuni dettagli per comprenderla al meglio e apprezzarla. La musica classica occupa un enorme spazio nella mia vita e trovo che essa sia indispensabile per affrontare tutti i momenti più felici, ma anche i più drammatici, che accompagnano il corso della nostra esistenza. Il mio non è altro che un caldo invito ad avvicinarvi sempre più al mondo della musica classica. Non a caso Platone diceva: “la musica è una legge morale: essa dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose. Essa è l’essenza dell’ordine ed eleva ciò che è buono, giusto, e bello, di cui essa è la forma invisibile ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.”

di Costanza Paleologo IVA

coinvolgimento emotivo di rara bellezza. Per tutta la durata del concerto, due ore circa, il luminoso sorriso di Dee Dee non si è mai spento, e dopo averci concesso un bis, seguito dall’immancabile inno americano, ha concluso il concerto con il caloroso saluto: “Yours truly, Dee Dee”.


Libri

In libro libertas

Cara rina, ti scrivo

Cara Rina, Ti scrivo oggi dopo tanto tempo. Mi ha fatto piacere ricevere la tua cartolina dall’Uruguay, ancora più piacere sentirti. In un periodo così incerto della mia vita mi ricordo di avere un’amica tanto cara quale sei. Io e altri amici della Cooperativa abbiamo deciso di dare vita ad un nuovo progetto, che abbiamo chiamato “La casa delle arti e del gioco”, volto ai bambini e alla scuola a cui io e te abbiamo dedicato l’intera nostra vita. Mi chiedo spesso se, in un’Italia che ogni giorno si dimostra sempre più disinteressata alla cultura, vale ancora la pena di farsi sentire. Aspetto una tua telefonata, il numero è ancora lo stesso. Sempre tuo, Mario Lodi” Così scriveva, negli anni ’90, in una cartolina da lui stesso disegnata con un motivo a fiori. Mario Lodi nasce nel 1922 e diventa maestro elementare nel 1940. Dopo un periodo da prigioniero politico durante la Seconda Guerra Mondiale, il suo impegno tende a riformare radicalmente il sistema scolastico

(approvando anche a scelta del tempo pieno) e l’educazione dei bambini, attraverso studi approfonditi di pedagogia e psicologia. Insieme ai suoi alunni scriverà e pubblicherà fiabe e racconti diventati famosi, come ad esempio “Cipì”. La sua vera esperienza in prima persona comincia con la partecipazione agli incontri del “Movimento di Cooperazione Educativa”, costituito principalmente da insegnanti e pedagogisti con lo stesso desiderio di Lodi di riformare non tanto la scuola in sé, quanto il modo di insegnare. È proprio durante un incontro del MCE che lo scrittore incontra una giovane insegnante valtellinese, Caterina Pini, e con lei ha l’opportunità di discutere delle differenze tra insegnare in una grande città (come potrebbe essere Milano) e dover camminare per quattro ore su per la montagna per raggiungere la scuola del paesino più nascosto di tutta la Valtellina. Caterina racconta: “Quando glielo raccontai la prima volta, l'unica cosa che mi chiese fu: «Ma quando c'era la neve, come facevi a tornare giù?» e a me pareva chiaro, sicuramente a lui no perché era nato e cresciuto in pianura, che mi piazzavo gli sci ai piedi

di Letizia Foschi IVB e me ne tornavo giù al triplo della velocità. Mi era simpatico, Mario, ma a mio marito stava antipatico perché, quando lo invitavo da noi a dormire, pensava che lo amassi più di lui.” Da quella prima conversazione nasce un’amicizia intima, che va oltre il lavoro e resta forte anche nei momenti complicati per l’uno e per l’altra. L’ultima volta che le telefonò, prima che la salute gli rendesse davvero difficile la vita, al telefono risposi io. Abbiamo parlato un po’, lui ha riso, io ho riso, ci siamo salutati quando mia nonna Caterina è arrivata e mi ha preso la cornetta dalle mani. E l’ultima cosa che ho sentito, quando già mia nonna aveva risposto, è stata: “Allora, Rina, come stai?”. Anni dopo, quando ormai l’età aveva portato via ad entrambi la vita, ho messo una mano in un cassetto di casa di mia nonna e ne ho tratto un’amicizia vissuta anche per corrispondenza, con lettere, cartoline, telegrammi. Tanti baci scritti in fondo alle missive, abbracci affettuosi, saluti e ricordi di un tempo in cui, forse, valeva ancora la pena farsi sentire.

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Libri

di Alessandra Lorenzetti IIIB

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iciamoci la verità: nessuno è mai soddisfatto della propria vita. C’è sempre un dettaglio imperfetto, un elemento che manca, che si sia studenti di un liceo classico, attrici di serie tv o madri di famiglia alle quali non piace ballare. Di conseguenza, spesso capita di cercare tutto quello che ci manca in un altro e cosi o miglioriamo o ci inabissiamo ancora di più nel nostro pozzo di solitudine e imperfezione. È inevitabile, ma qual è il modo migliore per farlo? Ovviamente spiare il carrello della spesa della placida signora che incontriamo quasi ogni giorno al supermercato, nel quale troviamo tutta la quotidianità e la tenerezza che non sentiamo nel nostro. O

quello della stravagante artista che osserviamo quasi ogni giorno tra gli scaffali, che ha quella stranezza che abbiamo sempre invidiato. E così fanno Erica e Tea, quasi ogni giorno, al supermercato sotto casa. Attraverso la lista della spesa dell’altra e le varie vicende della loro vita imperfetta, raccontano le loro domande, le sensazioni, i pensieri e i desideri. O, forse, non sono solo loro. Questa è la storia quasi banale, quasi reale, che Chiara Gamberale descrive in “Quattro etti d’amore, grazie”, nella quale traspare senza mezzi termini il bisogno di noi tutti di ciò che non abbiamo. Il nostro frenetico cercare tra gli scaffali un prodotto di cui non sappiamo né il nome né la posizione, ma ci serve; e intanto la vita, il nastro alla cassa, scorre.

Poiché scritto durante un periodo difficile per l’autrice, ex anoressica e lasciata dal Grande Amore della sua vita, la disperazione e l’apatia che compaiono sono autentici: sono il risultato di un’anima dolente e del suo bisogno di ricominciare. A fare cosa? A disperarsi di nuovo per il prodotto mancante, a faticare di nuovo per cercarlo e per arrivare infine alla cassa, consapevoli di avere, o di aver faticato per poi non avere, tutto. “Quattro etti d’amore, grazie” è una supplica, tramutata in inchiostro e carta. Consiglio ai lettori: correte al reparto “Spunti di riflessione”, cercate lo scaffale “Stile fresco e intenso” e troverete Chiara Gamberale. «Gamberale afferra la nostra vita, la dissezione, la riproduce» Il Sole 24 Ore.

I consigli della redazione La lunga marcia -Stephen King

Quel che rimane -Patricia Cornwell

Fai bei sogni -Massimo Gramellini Neve -Orhan Pamuk

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Le braci -Sandor Marai


Racconti

CI vediamo domani vera JHonatan

di Anita Colombo IIIB

Chi sei?" Furono le prime parole dopo mesi di silenzio. I suoi occhi si aprirono di scatto, scrutarono veloci tutta la stanza e poi si soffermarono su di me. Il nocciola intenso che avevo imparato a conoscere così bene era stato quasi del tutto assorbito dalla pupilla nera e grande, estraneo come non l'avevo mai visto. Anche in un letto di ospedale, leggera e fragile come un soffio d'aria che poteva sfuggirmi dalle braccia in ogni momento, quella ragazza riusciva a complicarmi le cose. Chi ero io per lei, ormai? Come potevo dirle in poche parole tutti i nostri segreti, i pomeriggi di settembre, i brutti voti, le cioccolate calde della macchinetta e i primi amori che avevamo condiviso? Come potevo raccontarle con un solo sguardo di quando avevamo messo la sveglia per guardare l'alba e c'eravamo svegliate a mezzogiorno, o di quando le avevo insegnato ad andare in bici? Come poteva la parola "amica" contenere tutte le nostre risate? "Sei a casa" le risposi. Era sleale, perché non era una risposta alla sua domanda, ma ormai che importava. Volevo che sapesse che era a casa, che io ero la sua casa. O forse era solo una delle tante formule di cortesia che si buttano lì in queste occasioni, una delle frasi fatte che la maestra mi correggeva sempre. Prevedibile, scontata, come dopotutto ero sempre stata io, eppure ci fu qualcosa. Un lampo nei suoi occhi, che mi fece pensare per un millesimo di secondo che si ricordava, che era ancora lei, che tutto sarebbe tornato come prima. Immaginai di correre a perdifiato a prendere il pullman e tutte le altre fantasie che ci facciamo quando vogliamo credere così tanto a qualcosa che ogni minimo segnale ci sembra una prova inconfutabile. Ovviamente non successe nulla di tutto ciò, e qualche mese dopo decisi di partire per il college. Da quel momento fu come se anch'io avessi perso i ricordi di quel che era stato; i ricordi non sono più tali se non hai nessuno con cui condividerli, perdono importanza.

Tornerai?" Me lo chiedo anche io, vorrei rispondergli. Ma anche se tornassi non sarebbe la stessa cosa: non sarà mai la stessa cosa, ed è questo che mi distrugge. Mi mancheranno. Ogni singolo momento passato in quella scuola, tutti quei giorni che mi sono sembrati ripetitivi e monotoni fino a quando non ho più potuto viverli, tutte quelle cose che non ci saranno mai più. Anzi peggio, continueranno senza di me. Me ne sto andando per la prima volta da questa città, per l'ultima volta. Partire è difficile, ma dopo non si può più tornare indietro. Ed è come se in quel momento tutto si fermasse. Cosa ha importanza se da un momento all'altro mi viene chiesto di ricominciare? Come se tutto quello che ho costruito in questi anni non valesse niente. Che poi, cosa ho costruito? Amicizie di convenienza, amori di una serata. Cosa mi resterà di tutto questo? Non c'era niente per cui valeva la pena di restare e niente per cui valeva la pena di andare. Ma soprattutto, cosa resterà a loro di me? Una foto ingiallita sulla scrivania, un nome di quelli che ti suonano quando li senti ma a cui non si associa una faccia. Credo che sia questo ad avermi fatto capire che volevo essere ricordato, che volevo fare qualcosa di grande. Capii in quell'istante che non volevo finisse tutto come era finito in questa città.

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Racconti

l.

di Anita Colombo IIIB

O

dio aspettare senza sapere cosa sto aspettando. Odio sentirmi solo, senza sapere di chi ho bisogno. Perchè alla fine é sempre qualcosa che aspettiamo. E io cerco e aspetto qualcosa che non mi é mai appartenuto. Cerco negli occhi della gente che incontro un amore che non ho mai visto in nessuno e ho paura, paura di non vederlo mai, così cerco di convincermi che sei tu che voglio, che amare te risolverá i nostri problemi, ma sappiamo entrambi che non é così. E mi dispiace non starci male come vorrei. Quanto vorrei piangere come i protagonisti dei film che guardi tu, perché vorrebbe dire che ci tengo ancora. Vorrei avere la forza di lottare anche per poi perdere. Preferirei essere cacciato via da te, che non avere abbastanza amore per provarci. Vorrei star male, senza vedere una via d'uscita perché vorrebbe dire che ne uscirò senza accorgermene. É insensato, si, ma lo preferirei a tutto questo bianco. A tutta questa attesa. A tutta questa indecisione. Non so più se sei così importante come eri. Avrei giurato che non sarebbe cambiato mai. Non riesco a capire quando é cominciato: era tardi per tornare indietro quando me ne sono accorto. Quando mi sono reso conto che erano i tuoi capelli che cercavo a ogni incrocio, 30

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che in tutte le persone che incontravo vedevo parti di te. E poi di colpo, il rumore dei tuoi passi si è confuso a quello di tutti gli altri. Ho smesso di far caso ai braccialetti che indossavi, ho smesso di chiedermi se eri davvero felice come sembravi. Ho smesso di leggere nei tuoi occhi i tuoi piccoli segreti. Ti penso ancora, certo, e in molte situazioni immagino cosa diresti se fossi con me. Quando vedo certe cose non posso fare a meno di pensarti, però il tuo vago sorriso non é piu la ragione per cui mi sveglio al mattino. La tua voce mi dà ormai quasi fastidio. Ci sono tante cose che ancora non ti ho spiegato, ma non posso dirti tutto quello che provo. Non riesco a capire se ho ancora voglia di rischiare per te. Perché non é più la paura di cadere che mi ferma. Mi ferma la voglia di volare alto, di andare avanti. Il mio orgoglio che, seduto in una stanza buia, si chiede se ne vale la pena. Non lo dico solo per te, il tuo amore mi riempiva, mi completava, mi dava un senso. Non ti ho sostituito con qualcuno, nessuno ha preso il tuo posto, ma un giorno tornando da scuola mi sono accorto che non ti avevo neanche salutato. Non ci eravamo neanche parlati. Prima questa cosa mi avrebbe fatto impazzire, ma quel giorno non me ne ero nemmeno accorto. Senza di te mi sento vuoto, ma non riesco ad amarti come prima. E Dio quanto mi manchi, se lo sapessi

ne avresti paura. Mi mancano i tuoi occhi, le tue parole. Mi manca andare in giro insieme a te, ma la differenza é che corro per le strade anche senza di te e sono felice anche senza di te. Lo so, é crudele, e vorrei davvero che fossi fondamentale. Sento di aver tradito me stesso prima di tutto, io che mi ero giurato di non lasciarti andare mai, ma sai, ci sono tante cose che mi mancano. Per esempio, mi manca il mare. Quel mare che mi sembra ovunque lo stesso, che mi sorprende per la voglia di lottare anche durante la tempesta, quel mare che passo pomeriggi a guardare, senza bisogno di altro. Quel mare che mi accoglie sempre, che mi aspetta immobile, ma poi va avanti anche senza di me. Eppure, per quanto mi manchi, non ho mai preso un treno per andarci. Avrei potuto, non sarebbe stato un problema, ma non l'ho mai fatto. Cosi, per quanto mi mancano i tuoi baci, non ho mai fatto niente per andare a riprenderti. Avrei potuto, ma non l'ho fatto mai fatto perchè non sei più la mia ragione. Sei qualcosa che mi fa piacere vedere, ogni tanto. Mi piace pensare che tu sia lì ad aspettarmi, ma le persone non sono come il mare, non restano ferme a guardarti cambiare. Le persone vanno e vengono e per quanto mi uccida vederti con qualcun'altro, ti amerá sempre più di quanto possa fare io ora.


a cura di Martina Pelusi e Valentina Tarantino IIIF

Vento di inverno Si è svegliato il vento d’inverno che corre veloce che irrompe tra le querce che sa farci incontrare ma dolorosamente mai toccare. Martina Pelusi

E non resterà nessuno E non resterà nessuno di quegli attimi vissuti felice. Valentina Tarantino

Volubile é l’amore Volubile è l’amore lo sgretola il tempo e le nostre parole. Martina Pelusi

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L’amore è un seme al vento L’amore è un seme al vento Che non sa dove mettere radici; Bevendo le tue lacrime nel cuore Cresce un fiore tra i germogli di spine. L’amore è un recipiente, È un vaso senza fondo Che più lo riempi e più ti sembra vuoto; È una voce da dentro Che ti sussurra che sei solo al mondo Anche quando intorno è pieno di gente. L’amore è come un abito Che non sta mai con niente Ma non vorresti toglietelo mai; È come un palo piantato nel petto: Più lo tieni e più soffri, Ma se lo togli rischi di morire. L’amore è come un filo Che si tende ad ogni tuo movimento; Fa male esser legati Ma ancor peggio è doversi separare.

Inevitabile bisogno Ho avuto molti nomi Sono stato molti volti Ho vissuto molte vite Non sono un ladro Dono tutto agli altri Non mi considero un benefattore Lo faccio per me Sono un egoista Per alcuni é un passatempo Per altri è un mestiere Per me é Nutrimento Respiro Vita Sono un attore Giovanni Spadaro Norella

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L’amore è un’illusione È una leggera bolla trasparente Che risplende al riverbero del sole Scoppia in un soffio e non ne resta niente. L’amore è come vivere: Sembra uno strano sogno senza senso Ma è stupendo, ed è tutto quel che abbiamo. Walter Wilson


sport

Red bull ti mette le ali

di Alessandro Cassese VA

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uest’anno in Germania, oltre al Bayern e al Borussia, c’è una nuova pretendente al titolo: il Red Bull Lipsia, che, dopo undici giornate, si trova in vetta alla Bundesliga, massimo campionato tedesco, con 27 punti davanti a mostri sacri come Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Ciò avrebbe dell’incredibile anche se si trattasse di una squadra che gioca stabilmente in Bundesliga da molti anni, ma lo è ancora di più perchè il Lipsia è una neopromossa che detiene il record di punti in Germania alla sua prima stagione. Fin qui ci stupiamo, ma non troppo (soprattutto dopo il miracolo Leicester dell’anno scorso). Eppure la cosa stupefacente in questa storia è che il Red Bull Lipsia ha solo sette anni: è nato nel 2009 e da allora ha scalato tutte le serie minori tedesche, per arrivare nella massima

serie quest’anno e stupire tutti. In Germania però non gode di molta simpatia perchè alle sue spalle c’è una multinazionale come la Red Bull ed è stata proprio l’azienda austriaca a volere la sua creazione, non frutto del desiderio di appassionati di calcio di creare una squadra per la loro città. Al di là di antipatie legate alla dimensione extracalcistica, il Lipsia è sicuramente una squadra che non può che ricevere applausi e consensi, vista la qualità del calcio che sta esprimendo e considerati i giocatori giovani che sta lanciando. Probabilmente non vincerà e forse

non si qualificherà neanche per la Champions, ma è una ventata di novità e di suspance in un campionato che da troppi anni vede trionfare sempre e solo il Bayern nel giro di poche giornate. Il Red Bull Lispsia sta contribuendo a rendere il campionato ancora più bello di quanto già sia, vista la qualità delle squadre che vi partecipano.

Milan-inter: Un derby alla cinese

É

in una piovosa serata di fine novembre che si affrontano per la prima volta in stagione Milan e Inter. Si arriva con grandi premesse a San Siro: esordio di Pioli sulla panchina dei nerazzurri, ultimo derby di Berlusconi da presidente, ma soprattutto due squadre che dopo anni di crisi, vissuti come un naturale declino dopo stagioni all'apice del calcio mondiale, si ritrovano a progettare un futuro da padroni della scena calcistica italiana. Il tutto grazie a investitori cinesi, che hanno deciso di risollevare i due club in crisi

di Adriano Bertazzoni VA

sportiva e finanziaria.Così il gruppo Suning di Nanchino ha comprato l'Inter estromettendo la famiglia Moratti, e dall'altra parte del Naviglio fantomatici imprenditori dall'Oriente sono pronti a rilevare il Milan. Avvenimenti che hanno reso questo derby storico ancor prima di scendere in campo. Da anni le squadre milanesi lucidano coppe in bacheca senza aggiungerne altre e vivono di un passato glorioso per trascurare un presente avaro di risultati; ma i cinesi vogliono invertire la rotta e dimenticare il più in fretta possibile gli attuali tempi magri per un futuro trionfale. Accese le luci a San Siro, ecco che il campo ha dato il suo verdetto. L'Inter ha giocato meglio e forse è squadra migliore, ma ancora incapace di rendere produttivo il suo predominio. Il Milan si è difeso con le unghie e con i denti per poi colpire con Suso,

l'iberico che ha riportato alla memoria Luis Suarez, leggenda nerazzurra degli anni '60 e ultimo spagnolo a marcare per due volte nella stracittadina. Allo scadere il croato Perisic ha pareggiato i conti, fissando il punteggio sul due a due: atto conclusivo di una partita certamente non spettacolare, ma dall'inizio alla fine intensa e incerta come poche nel nostro campionato. Entrambe possono vedere il bicchiere mezzo pieno: il Milan ha giovani promettenti (il sopracitato Suso, il portiere Donnarumma e l'appena diciottenne Locatelli) e l'Inter ha giocatori di qualità (di rara bellezza il gol di Candreva del momentaneo 1 a 1). Forse è il bicchiere stesso a essere costruito male: difese traballanti e tanta insicurezza dei giocatori erano e restano difficoltà da superare e danno ancora una volta la sensazione che le grandi squadre siano da qualche altra parte e non più a San Siro. La rinascita del calcio milanese è ancora lontano, ma qualcosa si è visto ed è solo l'inizio in attesa di un futuro in cui la storia del calcio si deciderà di nuovo nel gioco “dentro la nebbia” di San Siro.

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sport

Cronaca di una gara insolita di F1

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omenica 30 Ottobre si mantiene la posizione davanti al è svolta in Messico una quattro volte campione del mondo. gara di Formula 1, in cui Secondo il regolamento Verstappen a contendersi ancora dovrebbe cedere la posizione, ma il titolo sono soltanto ciò non accade e Vettel in tutta i due piloti Mercedes. risposta, insulta lui e il direttore Ma a dare spettacolo questa volta non di gara, dimostrando in modo non sono i piloti delle frecce d'argento, poco colorito il suo disappunto. come sono soliti fare, ma i due piloti Da questo duello infuocato ne trae della Red Bull e il ferrarista Vettel. vantaggio l’australiano Ricciardo, Al via della gara la Ferrari è che negli ultimi giri si è portato a svantaggiata in griglia di partenza meno di un secondo dal tedesco. con un sesto posto di Raikkonen e il E come è facile intuire, nel giro settimo del tedesco; mentre Ricciardo finale Ricciardo prova il sorpasso, e Verstappen, piloti Red Bull, che anche in questo caso fallisce, partono entrambi davanti alle rosse. nonostante il contatto avvenuto Purtroppo la partenza non aiuta tra le due ruote delle vetture. i ferraristi a sorpassare i due La gara perciò si conclude con i piloti Red Bull e la gara per i suoi primi due posti per entrambi i trequarti risulta essere la solita piloti Mercedes e il terzo posto a F1 senza tanti colpi di scena. Verstappen, che mantiene la posizione Ma a quasi 15 giri sul pilota della rossa. dalla fine si accende “Così un gran premio che Ma ecco il primo il duello per il terzo preannunciava una gara colpo di scena: posto tra Vettel, già vista, si è trasformato mentre l’olandese che grazie ad attende di salire in uno scenario davvero sul una strategia di podio, gli insolito” gomme differente viene comunicato si trova quarto, e che per la sua il tenace Verstappen che lo precede. manovra scorretta nei confronti A tre giri dalla fine il ferrarista di Vettel, gli vengono inflitti 5 prova l’ attacco decisivo, che secondi di penalità, che quindi lo porta il pilota olandese a tagliare retrocedono in quarta posizione. la chicane ma, nonostante ciò, Al suo posto dunque sale a ricevere il 34

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di Greta Anastasio VB

premio un incredulo Vettel, il quale innalza il trofeo che da diverse gare non ottiene, festeggiando con il suo team. Poi a distanza di qualche ora arriva il secondo colpo di scena: i commissari di gara dopo aver parlato con Ricciardo e Vettel decidono di infliggere al ferrarista ben 10 secondi di penalità per aver cambiato direzione in frenata durante il tentativo di sorpasso, manovra che da poco non è più possibile fare. Con tale penalità il tedesco scende nella classifica finale di gara in quinta posizione, lasciando il terzo posto al pilota della Red Bull Ricciardo, che lo seguiva. Così un gran premio che preannunciava una gara già vista, si è trasformato in uno scenario davvero insolito con un pilota che raggiunge la bandiera a scacchi in terza posizione ma non ottiene il podio, un altro che, arrivato quarto, sale sul podio e si prende gli applausi, e infine un ultimo, che arrivato quinto diventa terzo e prende il trofeo. Inutile sottolineare il grande malumore in casa Ferrari, che neanche stavolta è riuscita a portare sul podio i propri piloti. E intanto è proprio il caso di dirlo: tra i due litiganti il terzo gode!


“Vorrei morire di domenica , il giorno in cui il Corinthians vince il campionato”

Socrates, 1983

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el 1979 in Brasile sale voti, dalla scelta dell’undici titolare al al potere Joao Baptista locale per il dopo partita. La pratica Figueiredo, annaspando del ritiro venne abolita, in quanto nella decadenza costrittiva ed esemplare di un sistema crepuscolare della gerarchico. Il Corinthians vince il dittatura militare, campionato paulista nell’82 e nell’83, instaurata nel ’64 e deflagrata quattro successi antitetici e completamente anni più tardi nel sanguinoso vortice agli antipodi, sia geograficamente che della rivolta armata. Verso la fine ideologicamente, a quelli della Dinamo degli anni ’70 la tensione sociale era Kiev del colonnello Lobanovskij, così disperatamente tangibile che che in contemporanea imperversava una lenta deriva per l’Europa del potere verso “Socrates Brasileiro Sampaio con un fulgore un governo civile atletico-tattico de Souza Vieira de Oliveira risultava, oltre era un dottore in medicina, plasmato da una che necessaria, ferrea disciplina un intellettuale marxista e un m i l i t a r e s c a . assiomatica e p e r f e t t a m e n t e eccezionale centrocampista di Ben presto il manovra.” naturale. Durante Corinthians il primo anno del trascese la sua suo mandato Figueiredo promulgò natura primigenia di squadra di calcio, un’amnistia per i reati di carattere diventando un movimento politico politico e consentì alla formazione di e culturale, un’opposizione radicale nuovi partiti indipendenti. All’interno e nonviolenta che si palesava, nella di questa complessa cornice socio- sua gioiosa complessità, in quelle politica, dapprima a livello embrionale straordinarie trame calcistiche e poi con un’esplosività comunicativa ricche di arzigogoli e di orpelli clamorosa e assolutamente che preponevano il bello all’utile, dirompente, si evolve il più grande lo spettacolo al risultato. Sulle esperimento di democrazia diretta e magliette, in luogo degli sponsor, partecipata in ambito sportivo di cui campeggiavano scritte pacifiste e di la storia abbia memoria: il Corinthians propaganda; “democracìa” stampata di Socrates. Socrates Brasileiro anche al contrario, la sovversione, il Sampaio de Souza Vieira de Oliveira ribaltamento grafico che cambiava era un dottore in medicina, un l’ordine delle lettere ma non il loro intellettuale marxista e un eccezionale centrocampista di manovra. Era di un’eleganza caracollante e macilenta, di una potenza adusta, come se quelle lunghe membra fossero state consumate dalla ribellione del suo talento, quasi regale nell’incedere, imprevedibile nei tagli e illuminante nei passaggi smarcanti, il tacco di Dio, una sublime scarica di luce pirotecnica in quell’oscuro groviglio di gambe e di facce sudate. In accordo col direttore tecnico Alves, di professione sociologo, instaurò all’interno dello spogliatoio un ordinamento sovietico e antiautoritario. Ogni decisione, per importante che fosse, veniva messa ai

di Giaime Ferrigno IIIB significato. Nel 1984 Socrates affermò, anche in seguito al cambio di proprietà ai vertici del Corinthians, che sarebbe rimasto in Brasile solamente qualora fosse stato approvato un emendamento costituzionale che potesse garantire delle libere elezioni. L’emendamento fu bocciato e nella stagione seguente il dottore vestì la maglia viola della Fiorentina. L’avventura in terra italica fu piuttosto deludente da un punto di vista meramente sportivo e agonistico, tanto che dichiarò che forse sarebbe stato più adatto per la Cremonese e che in quei tempi il suo principale interesse fosse quello di studiare il movimento operaio e leggere Gramsci in lingua originale. Fece ritorno in patria dopo poco più di un anno. Il periodo conclusivo della sua carriera fu una repentina parabola discendente avvolta nel pulviscolo caliginoso e ottenebrante di un mai sopito alcolismo e dalla spropositata passione per il fumo di “quel dottore che non pensava a curare se stesso”. San Paolo, domenica 4 dicembre 2011 ore 4.30. Muore il campione brasiliano di calcio Socrates. San Paolo, domenica 4 dicembre 2011 ore 17. Il Corinthians pareggia in casa col Palmeiras ed è il nuovo campione del Brasile.

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varie XANAX: LA RUBRICA ANTIDEPRESSIVA ALEEEE OHHH OHHHH

S

ono andata spesso allo stadio, conosco i tifosi, le loro ascelle pezzate e con il tempo ho appreso anche un catalogo di bestemmie dalla vastità pari alla villa di Trump. La prima volta che mia zia mi ha portata al Meazza avevo solo sei anni, ero una piccola bambina tutta felice avvolta in due metri di sciarpa del Milan (un omino Michelin rosso e nero in pratica) che voleva scendere in campo e baciare Kakà. I primi amori non si scordano mai, quanto è vero. Quel giorno mi sono classificata come tifosa “tranquilla”: ai gol mi alzavo ed esultavo, ma poi tornavo a sedermi e guardavo la partita tutta sorridente. Mia zia, alla fine, mi disse: “Come sarebbe bello, se tutti fossero come te!”. Già, perché seduti davanti a noi c’erano degli energumeni mezzi ubriachi che tiravano giù tutti i santi del paradiso quando Maldini non riusciva a intercettare una palla e rovesciavano birra e imprecazioni ad ogni fallo subito. Arrivando al Carducci ho smesso di andare a vedere le partite allo stadio. Non solo perché il Milan senza Maldini non aveva più senso, ma anche perché alle assemblee per l’elezione dei rappresentanti d’Istituto ci si diverte MOLTO di più. Ho assistito, quest’anno, al primo turno di giovedì. Ero seduta in fondo all’aula magna pronta a registrare qualche scena 36

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imbarazzante da scrivere qui per voi. Qualcuno, il giorno dopo, mi ha detto che è stata la più “disastrata”. Accanto a me c’erano dei ragazzi di seconda che chiacchieravano allegramente, oppure messaggiavano o studiavano. Niente di nuovo sul fronte occidentale. Le ragazze dell’Oblò giravano e chiedevano se qualcuno aveva domande da fare, raccoglievano opinioni per i sondaggi e molestavano in altri modi la gente che voleva solo dormire per due ore e poi votare a caso. Ogni tanto il servizio d’ordine faceva la ronda e zittiva i miei vicini di posto. Ma veniamo al divertimento che aspettavo dall’anno scorso. Lentamente, con una predisposizione quasi studiata, una massa di Hooligans si forma davanti a noi. La palla viaggia velocemente tra il moderatore e le liste, volano i primi insulti, sale la tensione eccola arriva la domanda bastarda sta arrivando! Attenzione, la domanda viene posta in area di rigore di Lista Aperta, la palla è vicina attenzione la domanda è provocatoria ma il moderatore non fischia e il gioco continua iniziano le proteste della tifoseria la curva impazzisce E ATTENZIONE SIGNORIIII LA DOMANDA FINISCE NELL’ANGOLINO DELLA PORTA ED E' GOOOOOOL! Gli Hooligans urlano, parte del servizio d’ordine si schiera con la curva e comincia ad urlare allo

stesso modo, il moderatore cerca invano di tranquillizzare la folla ma non serve! Gli Ultras di Lista Aperta cominciano a fischiare insieme alla curva, parte qualche bestemmia fantasiosa da luoghi imprecisati dell’aula magna, Listerine è in difficoltà, ultime azioni prima del fischio finale, gli Hooligans urlano contro tutto e contro tutti, il moderatore annuncia il termine dell’assemblea (e qualcuno avrebbe potuto dire “MODERATORE VENDUTOOOO”) e la curva continua a urlare imperterrita! A quel punto ho tirato su di peso le mie amiche più giovani e sono scappata. Mi sono venuti in mente gli energumeni di dieci anni fa al Meazza. Come dire, piccoli tifosi crescono. Ogni tanto penso al moderatore e piango. Un santo. Se il paradiso esistesse davvero e ci fosse addirittura Dio, i posteri direbbero pregando: “è salito in cielo e siede alla destra del Padre PROPRIO ACCANTO AL MODERATORE DI QUELL’ASSEMBLEA, il terzo giorno è risuscitato MA IL MODERATORE NO PERCHE’ STAVA BENISSIMO Lì”. Sì, sono una blasfema. Scusate. Aspetto una strillettera (Harry Potter cit.) da parte della curva dopo la pubblicazione del giornalino.


di Linda Del Rosso e Larabella Myers IVC

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ari lettori, L’oroscopo di questo mese vi riserva una novità: una coppia di esperte, un po’ diverse tra loro, hanno analizzato per voi lo Zodiaco. Quale delle due avrà tracciato le vostre coordinate zodiacali? La veggente Larasibilla, con le sue descrizioni mistiche, o la pseudogeometra Lindagora, con i suoi eclettici vaticini?

VERGINE (24 agosto – 23 settembre) Ultimamente le vostre unghie non stanno crescendo? Non temete: basterá “Frullare una versione di greco con 30 ml di olio extravergine di oliva e applicare il prodotto sulle vostre unghie. Limare con qualche crosta di formaggio di capra e risciacquare tutto dopo un paio d’ore” da “Le Ricette di bellezza” della Dea Venere. Lindagora

BILANCIA (24 settembre – 23 ottobre) ARIETE (21 marzo - 20 aprile) Le giornate di scuola sembrano non finire piú e quando torni a casa ti chiedi se forse non sia già ora di andare a dormire, ma non ti abbattere: compi una buona azione e la luce che donerai tornerà a far risplendere le tue giornate. Larasibilla

TORO (21 aprile - 21 maggio) Il numero di scelte che facciamo ogni giorno ammonta a 325’568’060’351,4249. Dall’ora della sveglia fino alla scelta del pigiama prima di andare a letto... avete mai pensato a quanto vi fate condizionare nelle vostre decisioni dalla societá? Giove sostiene che l’unico modo per essere felici sia riconquistarvi la vostra libertá e agire con la vostra testa. Lindagora

GEMELLI (22 maggio - 21 giugno) Uno splendido fine trimestre, in barba a Saturno che dal vostro segno dirige il traffico: a vostro favore Marte in sestile che vi rende scalpitanti e la Luna in trigono, passionale ed entusiasta: meglio di così, cosa si potrebbe desiderare? Larasibilla

CANCRO (22 giugno - 22luglio) A volte rimpiangete i vecchi tempi dell’infanzia, quando anziché camminare vi facevate spingere sulla carrozzina dalla mamma, o eravate liberi di sputare il minestrone in faccia al nonno che cercava di imboccarvi. Altre volte invece siete irrequieti e non vedete l’ora di crescere per scappare dalle grinfie della famiglia e darvi alla bella vita. Ma fermatevi un attimo e godetevi la giovinezza: quando piú vi ricapiterá di spaccarvi la schiena chini sulle versioni di greco e latino? Lindagora

LEONE (23 luglio – 23 agosto) Il colore rosso é sempre stato il vostro preferito: non a caso il vostro registro online é cosparso di quadratini di quel colore, con qualche rara macchina di verde o blu. Purtroppo i vostri genitori non condividono le stesse preferenze cromatiche: é arrivato il momento di impegnarvi un po’ di più a scuola e dare loro qualche soddisfazione. Lindagora

Dike non sempre è dalla tua parte e ti senti vittima di ingiustizie, ma cerca di non diventare scontroso contro chi ti tormenta. Ricorda: non esiste nessuno di kaloskagathos quanto te. Larasibilla

SCORPIONE (24 ottobre – 23 novembre) Le giornate fredde e la luna coperta dalle nuvole rende poco propizio il raccolto. Non trascurare la zappatura però, per preparare il tuo orto a una nuova stagione di semina. Larasibilla

SAGITTARIO (24 novembre - 21 dicembre) Il volo degli uccelli può indicare una sola cosa: soldi, soldi, soldi. Il periodo venturo sarà di certo generoso quanto Augusto alle frumentationes. Che si tratti di vero cash, di banconote del Monopoli o di bonus di Candy Crush è poco chiaro: l’oracolo è sibillino. Larasibilla

CAPRICORNO (22 dicembre – 20 gennaio) “L’uomo è un’animale sociale” diceva Aristotele “e per sua natura si organizza in comunità, delle quali la principale è la famiglia.” Oppressi dalla vita quotidiana, ultimamente dedicate poco tempo ai vostri parenti e ogni incontro è un pretesto per litigare. Il satellite di Nettuno si sta allontanando sempre di più dal proprio nucleo e la diminuzione della carica astrale potrebbe renderlo più instabile nell’affrontare tempeste spaziali. Lindagora

ACQUARIO (21 gennaio – 18 febbraio) In amore va da dio, oppure il tuo amore se ne va con un dio; ma tra poco è Natale e ciò può significare solo una cosa: un nuovo amore nascerà. Larasibilla

PESCI (20 febbraio – 20 marzo) Come direbbe la nonna, avete proprio le mani di marmellata, vale a dire che avete una spiccata dote per far cadere qualunque cosa vi capiti tra le mani. Se non starete attenti, questa vostra caratteristica potrebbe causare guai seri nel vicino futuro: guardatevi bene dall’afferrare oggetti appartenenti ai vostri professori! Lindagora

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varie

ABBIAMO RIATTIVATO LA BACHECA!!! (quella scatola carina che c’è dalla Signora Elena)

mandateci ostriche, disegni, sogni, speranze... proposte, richieste, idee, soldi, cibo, dichiarazioni d’amore... etc etc 38

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Quanto spesso quei signori che vogliono parire dotti e ineccepibili ai vostri occhi si tradiscono nel modo più brutale ed esilarante? Inviaci anche tu le peggiori frasi dei tuoi prof... DURANTE L’ORA DI ARTE PROF: Dai, datevi un voto X, Y: Boh sull’otto? PROF: Seeeeeh sull’ottovolante

DURANTE L’ORA DI GRECO PROF: Ecco invece l’Arcadia...zona magica, pastori, pecorelle, Heidi...

DURANTE L’ORA DI GRECO PROF (parlando della storia di Petronio della vedova e il soldato): Beh, vi ricordate no? Questa vedova inconsolabile...che alla fine si consola... DURANTE L’ORA DI GEOSTORIA PROF: ... e i Fenici scrivevano senza vocali... X: prlvn cs?

DURANTE L’ORA DI MATEMATICA PROF: Ma che bel colore ha quel coglio... eh si, maglione!

DURANTE L’ORA DI STORIA PROF: Questa è la terza Repubblica Francese. Quali sono le due precedenti? X: Beh, la prima è sicuramente quella di Platone! DURANTE L’ORA DI SCIENZE PROF: Nooooo, non c’è gesso! Solfato di calcio mancante...

DURANTE L’ORA DI SCIENZE X: Prof ma ci sarà anche questo in verifica? PROF (guardando delle fotocopie di arte poggiate sulla cattedra): Certo, ci sarà tutto in verifica! Anche la cappella degli Scrovegni! DURANTE L’ORA DI SCIENZE PROF (restituendo le verifiche): X ha preso 10. Anche voi potete prendere 10, che*******a c’avete in meno di X?! A parte che non siete brutti come lui!

DURANTE L’ORA DI STORIA PROF: Cosa compare durante la seconda rivoluzione industriale nei grandi magazzini? X: I vestiti? Y: I saldiii!!!

DURANTE L’ORA DI LATINO PROF (parlando della Fedra di Seneca, ispiratosi ad Euripide): Vi consiglio di dare un’occhiata alla Seneca di Euripide... (comincia a ridere) ehm, no non sono preda della follia amorosa DURANTE L’ORA DI ITALIANO PROF: (Spiegando l’Iliade) “Che a tutti quanti era odioso come la morte nera”... Jedi, a me!

DURANTE L’ORA DI SCIENZE Prof: raga oggi si parla di un argomentone in fascia protetta: la riproduzione delle piante. A luci rosse proprio! Spero di non scandalizzarvi troppo DURANTE L’ORA DI ED. FISICA X: Prof, ma quanto durerà la mammatona?... ehm... maratona?

DURANTE L’ORA DI ITALIANO PROF: (spiegando l’Iliade) “Loro due stettero a giacere sul letto traforato” ehm... c’è da chiedersi DA COSA fosse traforato

DURANTE L’ORA DI SCIENZE PROF: Si, si, se ti fai il pedicure con l’aspririna per i brufoli (sul viso) sei a posto! DURANTE L’ORA DI SCIENZE X (correggendo l’esercizio): Beh, questo potrebbe essere un trans... raga, ma perchè ridete? PROF: eh, detta così fa ridere anche me! DURANTE L’ORA DI INGLESE X: oh, grazie a Dio! Prof: no, grazie a Vio!

DURANTE L’ORA DI ARTE (La prof mostra una foto in cui Yves Klein dipinge il corpo nudo di una donna con la tempera blu) X: Si divertiva a dipingere questo, eh! Dicembre 2016 | L'Oblò sul Cortile

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;BACHECA:

by Valentina Foti

;BUONE VACANZE!: Contatti:

L’Oblò Sul Cortile oblo.cortile.carducci@gmail.com oblo.cortile.sito@gmail.com oblo.cortile.concorsi@gmail.com

Oblò sul Cortile Carducci

L’Oblog sul Cortile

LA REDAZIONE SI RIUNISCE ALLE 13.30 IN 5A


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