Ottobre 2012 | L'Oblo' sul Cortile
sommario
L’editoriale
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di Chiara Conselvan
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Storie di un altro mondo
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Pietro ichino: pro Pietro ichino: contro
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alute a tutti! Finalmente, dalla sempre più vasta redazione dell’Oblò, esce il primo numero ufficiale. Eccoci anche quest’anno a ricominciare dall’editoriale, a cui però è stata apportata un’importante modifica. Ancora non potete notare niente perché questo è solo il primo di una, senza dubbio, lunga serie, ma mi preme spiegarvi che l’editoriale non sarà sempre e incessantemente scritto dal direttore, quest’anno Eleonora Sacco, né dal caporedattore, Jacopo Malatesta, ma dai redattori stessi, che ricoprono ruoli non ufficiali o che non ne ricoprono affatto; essi potranno sperimentare a turno questa nuova opportunità. Ebbene sì, anche tu, tu, tu, che stai leggendo, se vorrai partecipare alle redazioni insieme a noi (il mercoledì alla sesta ora in 1D) potrai scrivere ciò che vorrai nell’articolo più agognato del giornale – non hai già la pelle d’oca dall’emozione? Inoltre, se ricordate, all’inizio ho parlato di primo numero ufficiale: “Allora”, vi chiederete, “cos’erano quei numeri 0 e 0.5 usciti prima di questo?”. Chiamiamoli anteprime. Il numero 0 è stata una geniale idea (presa in prestito dal Giornalotto del Volta) per accogliere al meglio i “quartini” nel Carducci e nell’Oblò stesso, perché
già in molti sono venuti a trovarci in redazione; la seconda uscita è stata invece un’approfondita delucidazione sulle elezioni per Consiglio di Istituto e Consulta. E, a proposito di elezioni, abbiamo eletto Carlo Polvara per la Consulta e i quattro rappresentanti per il CdI: Matteo Cairo, Michele Spinicci, Martina Brandi (Lista III) e Anna De Ponti (Lista II). Questi nomi altisonanti provengono dalla quarta e dalla quinta liceo e tra di loro c’è Martina Brandi, parte integrante di questo giornalino da ormai quattro anni suonati. Ma di novità nella scuola ce ne sono altre e ben più importanti: abbiamo un nuovo dirigente scolastico, Michele Monopoli, che ci auguriamo porti una ventata d’aria fresca a questo istituto. Già il solo appellativo “nuovo preside” ci fa tirare un sospiro di sollievo: sentendolo parlare si può anche credere che, in quanto scuola e soprattutto in quanto studenti, nonostante il grave calo degli iscritti, possiamo dare ancora più di quello che pensiamo. Non perdetevi a riguardo l’intervista esclusiva a pag. 8 e l’articolo del professor Sponton, responsabile dell’orientamento in entrata, sul calo di iscrizioni a pag. 13. Evviva le novità, quindi, che ci fanno sentire ancora vivi!
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Hugo Chavez
7 hugo chavez 8 iNTERVISTA AL NUOVO DS
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iNTERVISTA AL NUOVO DS
iNTERVISTA AL NUOVO DS
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11 iNTERVISTA AL NUOVO DS 12 nOI CI DISSOCIAMO!
13 eCLISSI DEL CLASSICO? 14 sTAGE TO SALISBURY 15 vivere in uNA FAMIGLIA NUMEROSA
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cINEMA!
cINEMA!
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18 qUATTRO STRACCI
19 20 21
lA BIBLIOBUSSOLA iL PROFUMO DEI LIMONI
dAI FUMETTI ALLE GR
22 aUDIO-PHILES
APHIC NOVEL
INE DELLA NOTTE
RM 23 vIAGGIO AL TE
mELTEMI
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25 Il gallo che salvò roma
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Un albero e un fiore? Già, ma perché? Abbiamo scelto come simbolo dell’Oblò sul Cortile e del Carducci la magnolia sempreverde dell’ingresso, più che cinquantenne ma sempre più grande e bella ogni anno, che ha salutato uno per uno tutti i carducciani passati di qui. Disegno di Francesca Bonini 2
L'Oblo' sul Cortile | Anno VII, n° I
Una poesia i redattori dell’oblò e voi!
a: ci siete anch
retrocopertin
Attualità/Scuola
STORIE DI UN ALTRO MONDO di Martina Brandi
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a nostra storia è ambientata in un universo molto simile al nostro e ha inizio nel lontano anno 8002. Siamo nell’alter-Italia, dove è appena stato eletto un nuovo governo. Presidente ne è l’onorevole Silvio Berluzbzb. Fin da subito genio, professionalità e competenza dei nuovi potenti appaiono evidenti; una prova immediata ne è l’eclatante riforma passata alla storia col nome di Finanziaria e approvata con l’obbiettivo di far fronte alla crisi economica che ha messo in ginocchio l’intero paese. Servono soldi, Orue per l’esattezza è il nome della moneta locale. Prontamente il ministro dell’economia Giulio Trecolline si adopera per porre fine agli sprechi di denaro pubblico attraverso l’effettuazione di cosiddetti “tagli”. Particolarmente degni di memoria sono i tagli alle risorse per la scuola pubblica effettuati in stretta collaborazione col ministro dell’istruzione Mariastella Gelmizbzb, che acconsente a sottrarre 1.372 milioni di Orue ai finanziamenti destinati all’istruzione, causando una riduzione del personale scolastico pari a 47.000 insegnanti. Quale gesto di grazia nei confronti dei mille mila alter-precari che se prima avevano zero possibilità di assunzione ora ne hanno meno dieci! Non investire nell’istruzione delle nuove generazioni in un momento di crisi è, a rigor di logica, una strategia vincente; anzi, avere neo-diplomati sempre meno istruiti rende più facile sottometterli ai propri giochi di potere… astuti! Ma non è finita qui. Nello stesso anno la presidentessa della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione dell’alter-Camera dei Deputati, la temibilissima Valentina Aprea-chiude-b, propone il ddl 953, altresì detto ex Aprea. Ma in men che non si dica ecco opporsi alla nuova riforma la massa indignata di tutti gli studenti e insegnanti e genitori dell’altermondo, che con la loro protesta riescono a evitarne l’approvazione. Per quanto
riguarda i contenuti della temutissima legge, tenterò di riportarli nella maniera più fedele possibile, il giudizio sia poi lasciato agli attenti lettori. Punto cardine della riforma è l’autonomia statutaria (ovvero autogoverno) delle scuole: ogni scuola sarà dotata di un proprio statuto, in grado di regolare l’istituzione e la composizione degli organi interni (Consiglio di Istituto, Collegio Docenti, Consiglio di Classe) nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità alla vita scolastica, entrambe cose fino ad oggi regolamentate dal “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione” (297/’94) valido su tutto il territorio nazionale. Questo significa in primo luogo che in nessuna scuola sarà più garantita la presenza di quegli organi attraverso i quali tutte le componenti scolastiche possono partecipare in maniera democratica alla vita dell’istituto e in secondo luogo che è minacciato anche il diritto di assemblea, prima ben definito all’interno del Testo Unico. Infatti il ddl prevede il riconoscimento di tale diritto, ma rimanda tempi, forme e modalità al regolamento che ogni singolo istituto stilerà per sé. Stabilisce inoltre che il più importante organo interno (il CdI) venga sostituito da un Consiglio dell’Autonomia (CdA), al quale parteciperanno ancora tutte le componenti scolastiche ma in misura dimezzata; detto ciò anche per quanto riguarda le norme di funzionamento di questo Consiglio, il ddl rimanda al regolamento
interno. Non ci si potrà più appellare, dunque, a una normativa generale e la situazione in ogni scuola potrebbe diventare molto caotica o, nella peggiore delle ipotesi, essere sfruttata a proprio vantaggio da chi in questo modo deciderebbe di imporre le proprie regole. Eclatante è anche la decisione di introdurre eventuali membri esterni all’interno del CdA. Si tratterebbe di rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi del territorio in grado di concedere contributi finalizzati al sostegno economico dell’istituto; questo comprometterebbe l’autonomia delle scuole oltre che l’imparzialità stessa degli insegnamenti. Ma perché una scuola pubblica, finanziata dallo Stato, dovrebbe ricevere sussidi da privati? Qui c’è puzza di “privatizzazione”… Anno 2102. Al governo di alter-mondo pare ci siano tecnici di vario tipo (elettricisti, idraulici, meccanici…). Eppure gira voce che di nascosto qualcuno abbia rimesso in gioco il ddl 953 e che con qualche modifica abbia deciso di farlo approvare… in segreto!
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Attualità/pro e contro
ICHINO: UNA BIOGRAFIA MANCATA di Riccardo Galbiati Nato nel 1949, Pietro Ichino si è laureato in diritto del lavoro presso l’Università Statale di Milano nel 1972. Da quel momento ha svolto la professione di giuslavorista come dirigente della Fiom-Cgil, ricercatore, avvocato e giornalista per Il Sole 24 Ore e Il Corriere della Sera. Tra il 1979 e il 1983 è stato membro della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, eletto nelle liste del Partito Comunista Italiano; oggi è senatore del Partito Democratico (di cui è stato membro fondatore) nonché insegnante di diritto del lavoro alla Statale di Milano. Nella sua lunga carriera è stato insignito di numerosi riconoscimenti ufficiali, tra cui il Premio Marco Biagi di Milano e la commenda al merito della Repubblica. Ha pubblicato decine di libri in materia di lavoro, rivolti anche al pubblico di non giuristi. Dal marzo 2002 vive sotto scorta in seguito a esplicite minacce di morte ricevute dalle Nuove Brigate Rosse. Il 16 novembre sarà ospite del nostro liceo per un incontro in aula magna sulla questione del diritto al lavoro.
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Le misure di politica del lavoro si dividono in due categorie: quelle politicamente praticabili e quelle proposte da Pietro Ichino»: con questa affermazione lapidaria un celebre giornalista sembra denunciare l’inguaribile carica di utopismo alla base delle idee dell’onorevole Ichino. Le sue battaglie, benché abbiano a volte avuto buon esito, si sono infatti spesso protratte per lunghi anni, e
hanno sempre trovato decisi contestatori sulla propria strada. Numerosissime si levano tuttora le grida di protesta contro il “Progetto Flexsecurity”, che prevede un profondo rinnovamento del mercato del lavoro nazionale sul modello dell’economia danese. Insomma, Pietro Ichino è innegabilmente una figura che si ama o si odia. È però fondamentale che anche le critiche più accese siano fondate su un’effettiva conoscenza del suo pensiero, e non provengano invece da dietro le trincee di una cieca appartenenza ideologica. Troppe volte infatti, tramite grottesche semplificazioni, si sente parlare di Ichino come di colui che vuole abolire il sindacato o attenta quotidianamente al welfare nazionale. Una visione manichea della questione, che porti dunque a bollare facilmente come sfrenato liberista un uomo in realtà profondamente democratico, è la premessa sbagliata per qualunque confronto. Solo il dialogo aperto permette invece – come sempre – la formazione di una coerente convinzione personale: se odio deve essere, perlomeno che sia motivato.
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In ogni caso, sono personalmente convinto – o forse la mia è solo una speranza – che l’eccezionale razionalità e l’onestà intellettuale di Pietro Ichino saranno prima o poi in grado di garantirgli un largo apprezzamento pubblico, finalmente commisurato ai suoi sforzi. Egli infatti – come ha apertamente ammesso – ha dedicato la propria esistenza al tentativo di migliorare il mondo del lavoro, e mai, nonostante momenti certamente difficili, ha pensato di demordere. Se è vero, come è stato detto della Camera dei Comuni inglese, che in un parlamento siede per il 10% il meglio di una nazione, per il 10% il peggio, e per l’80% un campione rappresentativo della nazione stessa, allora sono sicuro che Pietro Ichino appartiene alla schiera dei migliori: il suo messaggio di meritocrazia, eguaglianza e rinnovamento è destinato a tutti, giovani in primis. Mi piace ricordare, in conclusione, le parole di solidarietà pronunciate da Piercamillo Falasca, vicepresidente del sito “libertiamo.it”, in occasione del processo alle nuove BR del 28 maggio 2012: «Pietro Ichino è la biografia mancata dell’Italia contemporanea, il superamento degli schemi e delle appartenenze del secolo scorso in nome del pragmatismo e della necessità di riformare secondo buon senso le istituzioni materiali ed immateriali del paese, adeguandole alla società contemporanea e alle pressioni globali. Una biografia mancata, appunto, ma ancora una biografia possibile.»
I RISCHI DEL FLEXSECURITY di Daniele Gagliano rischi che un modello come quello proposto da Ichino potrebbe comportare nei confronti di alcuni diritti sindacali, in particolare quelli sanciti dallo Statuto dei lavoratori. L’opinione più diffusa tra i contestatori del senatore è che i suoi progetti, nonostante il dichiarato tentativo di diminuire gli svantaggi subiti dalla fascia di lavoratori protetta da meno garanzie, porteranno ad adeguare l’intero mercato del lavoro a condizioni contrattuali di bassa garanzia.
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Insomma, ad Ichino bisogna senza dubbio attribuire il merito di essersi impegnato con coraggio ed applicazione per trovare una via d’uscita dai complessi problemi che opprimono il mondo del lavoro in Italia, pur senza dimenticare quanto le sue soluzioni possano essere non del tutto condivisibili e quindi oggetto di riflessione e discussione.
’onorevole Pietro Ichino è va e la necessità di rinnovarlo in modo sicuramente uno dei massi- da adeguare il paese ai livelli commi esperti in Italia di diritto petitivi internazionali, garantendo del lavoro, materia di cui una maggiore possibilità per la fascia si occupa più giovane della A questo proposito concludo invitando da molpopolazione di tutti coloro che avranno l’opportunità tissimi anni. « In Italia chi tocca lo statuto essere inserita di assistere all’intervento di quedei lavoratori muore. » Le sue posizioni - in nel mercato del sto grande personaggio nel corso particolare quelle lavoro. dell’assemblea scolastica di noveminerenti al periodo bre a fare in modo di favorire per (Pietro Ichino) più recente - sono Queste pur noquanto possibile un clima di confronstate oggetto di bili finalità sono to e dibattito, che, finché si mantiene aspre critiche, talvolta sicuramente state tradotte da parte di Ichino nella in un clima di rispetto reciproco, può esagerate nelle forme, ma non per progettazione di un modello di conessere solo fonte di arricchimento. questo meno fondate. In partico- trattazione differente da quello a cui lare nel mirino delle contestazioni siamo abituati sono le opinioni del senatore sul e che potrebbe CHE COSA CI IMPEDISCE ruolo del sindacato e una proposta sollevare non di legge, nota come: “progetto flex- pochi problemi DI LAVORARE? security”, che è stata portata avan- per chi si dovesti da Ichino in questi ultimi anni. se inserire nel A Milano, venerdì 16 novembre 2012, h. mercato del la11.15-13.15 Gli argomenti appena citati sono voro. troppo vasti per essere trattati in modo esauriente nel corso di un I dubbi, avanLe difficoltà che i giovani incontrano entrando breve articolo, per cui conviene limi- zati principalnel mercato del lavoro (e il modo per superartarsi ad osservarli per sommi capi. mente ma non le). Conferenza-dibattito promossa dal Liceo solo da alcuni Carducci riservata agli studenti e ai profesIn linea generale le sue osservazioni dei maggiori partono da un presupposto più che sindacati itasori dell’Istituto. condivisibile: l’arretratezza del siste- liani, sono inma italiano di contrattazione lavorati- dirizzati ai
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Attualità/Estero
CHAVEZ: DEMAGOGICO DITTATORE O SPERANZA PER LE AMERICHE? di Carlo Polvara
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ugo Chavez è il presidente del Venezuela dal 1998. Politico e leader assai discusso, è il protagonista di una stagione di cambiamento ed evoluzione del suo paese, da lui definita “rivoluzione bolivariana”. L’argomento è complesso e non può essere banalizzato in un ideologico gioco delle parti: può essere dunque prezioso, prima di entrare nello specifico, tratteggiare in breve un quadro della storia più recente dell’America Latina. Un territorio enorme, ricchissimo di risorse naturali, è stato per decenni considerato dagli Stati Uniti come il proprio cortile di casa: essi sono intervenuti direttamente appoggiando 6
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sanguinarie dittature militari o per vie traverse creando stati “vassalli” esportatori di materie prime, “ben disposti” verso la penetrazione delle multinazionali e proni alle ingerenze del potente vicino. Il principale tentativo democratico di presa del potere da parte di forze progressiste, con la vittoria dell’Unidad Popular di Salvador Allende in Cile nel 1970, fu barbaramente stroncato dal generale Augusto Pinochet, sostenuto dagli Stati Uniti. Unica isola libera da questo modello, nel bene e nel male, era Cuba. Tutto ciò sta cambiando. In un momento storico in cui sembra che in Europa le forze progressiste, anche se al po-
tere come in Francia, fatichino a imporre un cambio di passo, il Sud America vive una straordinaria primavera. In Argentina e Brasile si succedono presidenti socialisti, mentre un cambiamento ancor più incisivo avviene in Bolivia, con l’elezione di Evo Morales, il primo indio alla guida del paese, e in Venezuela Chavez è stato appena rieletto, sconfiggendo in elezioni valide per autorevoli osservatori internazionali come il Centro Carter e per la stessa opposizione lo sfidante Capriles, un imprenditore esponente di una coalizione eterogenea. Chavez ha vinto con il 54,2% dei voti contro il 45%: la sua vittoria è quindi netta. La questione che divide e fa discutere la nostra opinione pubblica è princi-
palmente questa: Chavez è o no un da osservatori esterni, il paese non è dittatore? Ex militare, è stato nomina- retto da un sistema a partito unico o to presidente nel 1998 e subito, come totalitario e le opposizioni esercitano aveva promesso in campagna eletto- liberamente l’attività politica. rale, ha aperto i lavori di un’assemblea costituente con il compito di cambi- Un tema controverso è quello del rapare radicalmente l’assetto istituzion- porto coi media: benché sicuramente ale dello stato. Il Venezuela diviene episodi quali la confisca arbitraria quindi ufficialmente “Republica Boli- di frequenze a una televisione privariana “, guidata da un presidente vata non siano all’insegna della tracon un sparenza, mandato di nel paese sei anni che «Il Venezuela si è liberato dall’ analfabe- vi è un può essere tismo, si sta dotando di una sanità pub- solo grande destituito blica con l’aiuto di Cuba, milioni di per- q u o t i d i a a metà pro sone ricevono beni alimentari a prezzo no mandato, Chavez, il agevolato o gratuitamente.» come tutte Correo de le cariche Orinoco, elettive, mediante referendum. mentre quello a tiratura più diffusa, Ultimas Noticias, è addirittura di proApprovata la nuova Costituzione si prietà della famiglia del suo ultimo tengono nel 2000 nuove elezioni che sfidante. Inoltre, se è vero che la TV confermano Chavez nel suo ruolo. di stato è filogovernativa, è anche Nel 2002 piani alti dell’esercito ten- da notare la presenza di numerose tano un colpo di stato che non riesce emittenti private fortemente in opa rovesciarlo, anche a causa dello posizione. scarso sostegno popolare. Fallisce nel 2004 il referendum che potrebbe Perché allora la maggior parte dei sfiduciarlo, viene rieletto nel 2006 venezuelani appoggia Chavez? Sicurae, dopo una modifica costituzionale mente gli va riconosciuto il merito di necessaria per permettergli un terzo aver rotto con una serie di governi mandato, vince ancora nel 2012. corrotti e proni agli Stati Uniti, usan do il petrolio, di cui il paese è uno dei Premetto che personalmente, in quanprincipali esportato avvezzo ad un sistema democratico tori a livello dove dovrebbe esserci l’alternanza mondiadi forze e persone diverse al potere, le, nal’idea di un capo di stato idolatrato z i o dal popolo e al comando da un vennaliztennio mi inquieta e mi mette a zato disagio. E’ inoltre innegabile che Chavez si lasci andare ad atteggiamenti eccessivi e populisti nei modi e nei discorsi: il continuo richiamo a Simon Bolivar, il Liberatore di buona parte dell’America Latina dal dominio coloniale spagnolo e gli anatemi contro l’imperialismo americano ci paiono quanto meno di cattivo gusto.
come moltissime industrie di base come fonte per finanziare programmi sociali. Il Venezuela si è liberato dall’ analfabetismo, si sta dotando di una sanità pubblica con l’aiuto di Cuba, milioni di persone ricevono beni alimentari a prezzo agevolato o gratuitamente. Il tasso di povertà estrema è passato dal 1998 ad oggi dal 21 al 6.9% e il Venezuela è lo stato sudamericano con il minor divario tra ricchi e poveri. Certo, il paese è largamente dipendente dall’esportazione di idrocarburi, la nuova classe dirigente è spesso purtroppo corrotta, la criminalità permane endemica nei grandi centri urbani e l’inflazione galoppa, benché bilanciata da un forte aumento dei salari: l’aver sottratto milioni di persone alla povertà, l’aver dotato il paese di servizi e infrastrutture basilari, l’aver operato a favore della cooperazione tra i paesi sudamericani e contro le ingerenze statunitensi nella politica delle nazioni del terzo mondo (benché ciò abbia a volte condotto deprecabilmente Chavez ad appoggiare dittatori come Gheddafi o Ahmadinejad o a esternazioni incondivisibili sul sionismo) sono però sicuramente da riportare come grandi successi di questo governo. Come deve quindi porsi un abitante dell’Europa Occidentale di fronte ai cambiamenti in atto in Venezuela? Senza pregiudizi, contestualizzando il fenomeno nel quadro di un’emancipazione legittima e inevitabile dei popoli sudamericani, non dimenticando le nostre colpe storiche come “occidentali” e cercando di apportare il nostro contributo a sostegno di questo processo di evoluzione.
E’ però improprio definirlo dittatore. Il metodo di voto elettronico è giudicato affidabile
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cronache carducciane
MICHELE MONOPOLI, NUOVO DS: L’INTERVISTA con l’oblo’ domande a cura di Eleonora Sacco e Jacopo Malatesta Ama parlare e confrontarsi con l’interlocutore, cita don Milani e parla di passaggio del testimone fra generazioni. Ma dietro l’affabilità e la compostezza del grande diplomatico si nasconde un preside dall’impegno febbrile, con un fortissimo senso della sua missione. Lo abbiamo incontrato un lunedì pomeriggio nel suo ufficio di presidenza tutto bianco e spoglio e questo è il risultato di nostri quaranta minuti di conversazione.
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celga un modo di presentarsi.
Sono il dirigente scolastico del Carducci, ho sei anni di esperienza professionale come dirigente scolastico, di cui cinque trascorsi all’istituto Vanoni di Vimercate. La prospettiva con la quale faccio questo lavoro è certamente quella di incidere in maniera il più significativa possibile sul rinnovamento della scuola; credo che la scuola debba essere un’agenzia culturale al passo coi tempi e il compito che mi sono prefisso è quello di riuscire nell’istituzioni nelle quali lavoro a dare questo impulso, che ritengo strategico anche per lo sviluppo del Paese. Quale università ha frequentato? Mi sono laureato in giurisprudenza all’Universià di Bari con il massimo dei voti; poi ho seguito anche dei percorsi di studio successivi, tra i quali il master di secondo livello in management nelle istituzioni scolastiche formative. Ha un motto o un valore particolare di cui vorrebbe che le le sue azioni fossero impregnate? Non mi ispiro ad una particolare filosofia. Mi piace soprattutto l’espressione “il rischio dell’educare” che è stata usata da don Milani, perché penso che risponda effettivamente alla necessità che abbiamo tutti noi di fare uno sforzo per includere tutti, per dare a tutti una possibilità di apprendere e quindi di avere un successo nella vita; però ci sono varie forme, di slogan o 8
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di motti che potrebbero essere significativi.
o per esempio l’idea che la dimensione scientifica sia coltivabile soltanto nel liceo scientifico. L’elemento Dall’esterno che opinione aveva di critico che dobbiamo raccogliere questa scuola? è quello di essere capaci di stare al passo con i tempi, di innovare anche Del Carducci ho sempre avuto una nelle metodologie e nell’utilizzo grande opinione in quanto è sempre della strumentazione: i licei classici stato un punto di riferimento nella devono essere in grando di poter fare storia, non soltanto milanese, ma quello sforzo per coniugare la grande anche nazionale e credo che è stato in tradizione della cultura classica con passato e continuerà ad essere un luo- le nuove forme dell’innovazione. Si go di formaziopotrebbero fare ne della futura « I licei classici devono essere in dei laboratori, classe dirigente grado di poter fare quello sforzo attraverso uno di queto paese; spostamento anche in questi per coniugare la grande tradizione m e t o d o l o g i c o primi giorni ho della cultura classica con le nuove da un apprendiavuto la certezmento di tipo forme dell’innovazione. » za che qui si astratto, noziotrova il materianistico ad uno le umano più interessante per provare più calato in una competenza laboraa dare a questo paese una diversa toriale. dimensione. Quindi lei ritiene che il liceo classico Le era giunta mai voce di qualche sotto certi aspetti sia più arretrato nostro problema in particolare? rispetto ad altri indirizzi? Quando arrivo in una scuola cerco di Forse è più ancorato alla grande non farmi condizionare dai giudizi tradizione, il che anche è comprensiesterni, perché sono più espressioni bile in quanto i licei classici sono stati dell’immaginario collettivo, penso. la fucina ... (gli squilla il cellulare) ... della classe dirigente di questo paese, Il liceo classico attraversa un mo- non soltanto in campo umanistico, mento molto delicato e il calo delle ma anche in quello scientifico. Ecco, iscrizioni potrebbe costringere molti ad esempio i ragazzi del classico non licei all’accorpamento. A cosa è do- fanno mai sperienze dirette nel monvuto secondo lei questo declino? do delle professioni e del lavoro, che può essere uno degli elementi su cui Credo che i licei classici subiscano ragionare per attivare negli studenti come tutti i licei delle ondate. C’è delle competenze di tipo trasversale. I stata una crescita in questi ultimi anni fabbisogni esterni vanno tenuti in condei “licei nuovi”, come il linguistico siderazione e commisurati alla reale quello delle scienze umane, che tà. hanno certamente spostato il campo,
Due anni fa è toccato alle aule del seminterrato, quest’anno all’ala ovest del terzo piano; a giudicare dallo spopolamento delle sue aule, il Carducci sembra risentire in modo particolare di questa depressione. Qual è l’aggravante nel nostro caso? Personalmente ho notato una qualità professionale elevatissima; il declino potrebbe anche essere semplicemente dovuto a dei fenomeni esterni, esogeni. Una delle cause di questa crisi può anche essere un’errata stategia di comunicazione di quello che il liceo fa, soprattutto in termini di offerta formativa extracurricolare, che è molto ricca e qualificata. Bisognerebbe comunicare in maniera più forte la grande qualità professionale esistente all’interno dell’istituto utilizzando appunto strategie comunicative più moderne, magari attraverso un sito interattivo capace di rispondere alle sollecitazioni coinvolgendo nelle riflessioni culturali soggetti esterni - come rappresentanti del mondo delle professioni e del mondo accademico - , di modo che il liceo abbia un atteggiamento dinamico capace di
interpretare ciò che si muove attorno a sé, anziché chiudersi su se stesso. E’ anche possibile che il Carducci abbia ricevuto una cattiva pubblicità da parte della stampa? Può darsi che qualche situazione abbia inciso negativamente; ritengo che magari anche i rapporti con la stampa debbano essere gestiti in maniera che l’istituto riacquisti quell’immagine forte, qualificata e rassicurante per l’utenza che ha sempre avuto in passato. Cosa ne pensa del sito della scuola? Credo che vada migliorato, non tanto perché diventi una vetrina, ma perché sia uno strumento di relazione molto più forte con le famiglie, le utenze e col territorio, un veicolo attraverso il quale raggiungere anche pezzi della realtà metropolitana che sfuggono ad una comunicazione più diretta, che è quella che possiamo fare quando organizziamo le attività di orientamento. Il sito è strategico. Dico che la qualità è sempre nel processo di in-
segnamento e di apprendimento, ma gli sturmenti di comunicazione oggi assumono una rilevanza di cui va tenuto conto e che non può essere sottovalutata. Che cosa non la convince del sito? Appare - per quel poco che ho avuto modo di valutare - un pochino statico, difficile nella ricerca delle informazioni; i siti hanno una loro vitalità se riescono ad essere aggiornati, ma se permettono anche di avere una relazione con altri soggetti, ottenendo quindi un ritorno in termini di capacità di rendersi conto di quello che si muove all’interno dell’istituto. A detta di molti, l’apparato burocratico sarebbe uno dei punti deboli del Carducci. Da quel che ha potuto vedere è d’accordo? Quello della segreteria può essere un difetto non necessariamente connesso con il Carducci: ho notato che negli ultimi anni c’è stato un forte turnover e questo ha impedito il consolidamento di competenze, causando
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cronache carducciane delle disfunzioni. La ricostituzione di un apparato amministrativo più stabile potrebbe rappresentare effettivamente un elemento ulteriore di affidabilità dell’istituto stesso, soprattutto per le famiglie; in questo può aiutarci la tecnologia, perché alcune delle cose che normalmente vengono gestite oggi dalle segreterie potrebbero essere più facilmente attivabili attraverso una relazione che passi attraverso delle aree riservate del sito; quindi si potrebbe alleggerire il carico di lavoro dell’amministrazione sul piano della compilazione cartacea e migliorare invece l’efficienza del servizio internet. Ci tengo comunque a precisare che le persone che vi lavorano lo fanno col massimo impegno e con la massima disponibilità: questo è un bel patrimonio su cui si può costruire un rapporto di maggiore efficacia degli apparati. Lei prima ha citato la questione delle attrezzature: che cosa va migliorato secondo lei? Le aule dovrebbero essere multi-attrezzate ed ogni aula dovrebbe avere un suo apparato tecnologico. Nell’immediato penso di proporre un piano di investimenti per dot a r e cinque o sei aule d i la-
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vagne interattive multimediali, con la possibilità di un collegamento wifi attuato con un sistema di cablaggio che permetta al segnale di giungere in tutte le zone dell’istituto. Penso che che nell’arco di un trennio o quinquennio la scuola debba avere tutte delle aule multi attrezzate con possibilità per i giovani di accedere a meccanismi che sono molto più familiari rispetto alla tradizione della scuola italiana. Poi credo che si possa pensare anche alla costruzione di aule specifiche destinate a particolari ambiti disciplinari, dove sia consentito accedere a possibilità di lavoro diversificate da parte del docente in modo da valorizzare le diverse competenze che sono presenti in una classe. Come delle aule scientifiche, che siano in grado di avere biblioteche multimediali, lavagne interattive, postazioni di lavoro... Nel suo benvenuto agli studenti ha scritto: “Spero di poter creare un clima di collaborazione e di sinergie condivise”. Eppure è risaputo che la nostra scuo-.la sia divisa in due fazioni, specie nel corpo docenti. Questa spaccatura era in larga parte legata all’approccio con il vecchio DS: si è già accorto di questa divisione? Come pensa d i
conciliarla? Non entro nel merito della precedente gestione, non sarebbe corretto, ma in generale ritengo che il pluralismo sia una ricchezza e che le diversità vadano valorizzate. L’importante è che ci sia una comune convergenza su quello che è l’interesse generale, cioè fare che sia una buona scuola per i nostri ragazzi. Che ci siano orientamenti differenti in una scuola io lo considero un ele-mento di forza e non di debolezza. L’importante però è che questo non sfoci nel conflitto e nella contrapposizione fine a se stessa. Ho notato che c’è una ricchezza di posizioni, ma io sono contento di avere una scuola viva piuttosto che omologata: nella scuola pubblica uno dei valori più grandi che dobbiamo preservare è proprio il pluralismo, che va stimolato continuamente. E non ha paura di eventuali conflitti? Non mi spaventano: io cerco sempre di trovare una dimensione di mediazione del conflitto, non credo che l’esasperazione giovi al funzionamento della scuola. Bisogna cercare di mediarlo quando è possibile e soprattutto tenendo conto che l’intresse che abbiamo è quello di far funzionare la scuola. Su questo ci sarà tutto il mio impegno nel cercare di rendere possibile una conciliazione eventuale di interessi. La Cogestione è da diversi anni una tradizione qui al Carducci. Di fronte a questo tipo di progetto la legge non si esprime con chiarezza. Qual è la sua posizione a riguardo? Lo dico, sono contrario nella misura in cui crea una fase di confusione all’interno della scuola: penso che abbiamo tante occasioni per fare delle riflessioni culturali insieme; si possono trovare soluzioni che in qualche modo vadano incontro anche alle aspettative degli studenti; credo che ci siano spazi che possano accogliere le iniziative degli studenti, ma all’interno di un si-stema di
regole che sia condiviso e che sia accettato da tutte le componenti. Credo che la cogestione metta in pericolo questo elemento di unitarietà. Può rappresentare un elemento di rottura in una dialettica di confronto alto e culturalmente rilevante. Questa è la mia impressione. Non bisogna togliere spazio al protagonismo giovanile, significa trovare gli stumenti attraverso i quali scuola e giovani, docenti e tutto l’apparato, possano collaborare per valorizzare questa dimensione, senza paralizzarla, ma senza creare situazioni che possano nuocere all’immagine della scuolla e ai contenuti culturali che vengono espressi in certe circostanze. Ha in mente dei progetti in alternativa alla Cogestione?
pegno e il mio tempo per poter essere presente in entrambe le istituzioni scolastiche, però effettivamente complica notevolmente la possibilità di incidere realmente in maniera significativa, anche soltanto come conoscenza dei processi. Sì, le reggenze sono un problema: non sono mai stato particolarmente favorevole. Se uno ha una scuola è giusto che si dedichi soltanto a quella. Si finisce forse per diventare un pochino più burocrati ed avere una minore dimensione educativa, probabilmente. Non è soltanto l’organizzazione del servizio scolastico, ma anche il rapporto con studenti, docenti che si costruisce giorno A causa dell’annullamento del con- dopo giorno in momenti particolari corso per presidi lei si trova a la- della giornata, che viene a mancare. vorare su due Un riferimento scuole. Questo forte all’interno « Il mio impegno è tutto verso della scuola è rende più difficile la dirigenza i giovani e verso gli studenti: lo essenziale per del Carducci? è sempre stato nella mia atti- assicurare la ridei provità di docente e lo sarà anche uscita Certo, diventa getti: anche per in quella di dirigente qui al per me molto i ragazzi stessi più faticoso; avere un interCarducci. » la dimensione locutore, un di due scuodirigente, prela collocate in due province diverse sente con cui poter dialogare continua(Vimercate, e Milano) è complessa! mente è un elemento di forza. La mia scelta di venire al Carducci è stata responsabile e voluta, Per quanto tempo persisterà questa mi dispiace che questa situazio- situazione? ne tolga tempo e spazio per poter esercitare in maniera più pervasiva il Sappiamo solo che il 20 novembre mio ruolo qui all’interno dell’istituto. dovrebbe pronunciarsi il consiglio di Ovviamente metterò tutto il mio im- Stato sul ricorso presentato sul conIo penso che si possano trovare forme di collaborazione su temi particolarmente rilevanti individuati dai giovani ma su cui la scuola può dare il proprio contributo in termini di collaborazione, per esempio attivando delle riflessioni comuni con la partecipazione di persone esperte che siano in grado di dare al dibattito una qualità scientifica che alcune volte può mancare nella gestione diretta da parte degli studenti. Ad esempio si possono dedicare dei sabati culturali o studiare strategie a tavolino.
corso, però c’è il rischio che possa andare avanti per tutto l’anno scolastico. Spero per l’anno in corso e mi auguro di poter essere il dirigente del Carducci a tutto tondo, ecco. C’è altro che vorrebbe dirci? In generale son contento della mia scelta. In questo mese mi hanno sorpreso molto piacevolmente la dimensione culturale ed educativa, posso chiamarvi… “dei miei studenti”, ormai… Il mio compito è quello di offrirvi la dimensione più corretta dal punto di vista della vostra crescita culturale. Il mio impegno è tutto verso i giovani e verso gli studenti: lo è sempre stato nella mia attività di docente e lo sarà anche in quella di dirigente qui al Carducci. Mi auguro che sappiate interpretare bene il vostro ruolo nella società e di consegnare il testimone perché è giusto che voi diventiate protagonisti nella vita socio-enomica e culturale di questo Paese. E io penso che voi abbiate tutte le condizioni per poterlo fare, sta a noi assicurare un adeguato passaggio di consegna. Infine vi ringrazio, come sempre gentili e anche per le domande significative. Grazie a lei!
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cronache carducciane
L’ECLISSI DEL CLASSICO? del prof. Giovanni Sponton
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artiamo dalla cornice. Per il liceo classico sono indubbiamente tempi di vacche magre. Voci importanti della cultura attuale parlano apertamente di “sopravvenuta marginalizzazione del liceo classico” (L. Serianni, L’ora di italiano, 2010, Laterza, pag. 22), di cui sarebbero spia la sua riduzione a “territorio” prevalentemente femminile e la progressiva prevalenza di licei classici nel meridione; il primo dato dimostrerebbe che i giovani studenti stanno progressivamente migrando verso ambienti formativi più legati all’attualità e alle esigenze del mondo del lavoro, lasciando alle studentesse la formazione umanistica, cioè quella destinata a sfociare soprattutto nell’insegnamento; il secondo, invece, attesterebbe la tendenza delle zone culturalmente ed economicamente più dinamiche del Paese ad abbandonare modelli culturali legati a un sapere ritenuto sotto molti profili “inattuale”. Scenario poco incoraggiante, anche perché non sembra dovuto alla fisiologica alternanza di stagioni nel gradimento di questo o quell’ordine di studi; chi osservasse laconicamente “nihil novi sub sole: oggi è di moda lo scientifico, domani tornerà in auge il classico” non offrirebbe una lettura soddisfacente del fenomeno. La poderosa accelerazione scientifico-tecnologica che stiamo vivendo (basti pensare allo stupefacente concentrato di intelligenza racchiuso nel processore di un qualsiasi cellulare) da un lato impone ai Paesi industrializzati di incrementare nelle nuove generazioni il sapere matematico, fisico, chimico, biolo12
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gico, informatico e linguistico, pena l’esclusione dai circuiti importanti del progresso e dell’economia; dall’altro, quasi moderno vaso di Pandora, apre sempre nuovi orizzonti di ricerca e di scoperta (provate a leggere il supplemento tecnologico Nòva, allegato al Sole 24 ore della domenica…) e sprigiona un fascino assai più immediato e magnetico rispetto a quello di una cultura alla quale si deve accedere attraverso un tirocinio faticoso come lo studio del latino e del greco. Difficile davvero cogliere nel presente i presagi di una inversione di tendenza ma, tutto sommato, non è detto che
il fenomeno debba essere valutato solo in chiave negativa. In che senso? Diamo uno sguardo ai dati: il responso delle prove scritte di maturità dice che la percentuale di coloro che dopo cinque anni di fatica - riescono a dominare un testo di media difficoltà è bassa. Ora, la fortuna del classico è legata da sempre ad un prestigio culturale dalle solide e indiscutibili fondamenta; chi scrive nutre tuttavia il sospetto che tale autorevolezza abbia attratto e forse ancora attiri, quasi per forza d’inerzia, giovani intelligenze che potrebbero sortire migliori risultati in altri ambiti (altrettanto qualificanti). Non sarebbe un male,
allora, accettare senza drammi il ridimensionamento imposto dai tempi, se questo significasse avere meno studenti ma mediamente più portati verso lo studio dell’antico e, nel contempo, vedere una maggior percentuale di giovani serenamente avviati ad una preparazione più sintonizzata sia con i loro effettivi talenti, sia con le esigenze della modernità. Quanto invece al Carducci, un istituto che negli ultimi tre anni è passato da nove a cinque prime classi denuncia chiaramente qualche problema ulteriore rispetto a quelli dell’intero ordine di studi. Non è ovviamente questa la sede per un’analisi circostanziata del suo stato di salute; né sarebbe corretto additare responsabilità in absentia, cioè in un contesto privo di contraddittorio da parte delle persone eventualmente coinvolte. Quello che si può fare - proprio approfittando di un momento forte come il mutamento della dirigenza - è guardare in avanti e rilanciare con energia un aureo aforisma sallustiano: concordiā parvae res crescunt, discordiā maxumae dilabuntur (Bellum Iugurthinum, X, 6; non farò ai miei venticinque lettori l’offesa di tradurre). Solo un ambiente nel quale esiste una forte consonanza di metodi e di intenti tra tutti i suoi soggetti (dirigente scolastico, docenti, allievi, famiglie) può creare intorno a sé un richiamo persuasivo e proporsi come un ricco terreno di crescita per chi aspira a costruirsi un consistente bagaglio di sapere e di formazione umana prima del salto nel mondo universitario. C’è lavoro per tutti, insomma; a ciascuno l’onere e il privilegio di dare il suo prezioso contributo.
LETTERA APERTA AGLI STUDENTI a cura del Collettivo Carducci
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uongiorno Carducci. Venerdì scorso, il dodici ottobre, durante l’assemblea di presentazione delle liste, sono state dette cose che ci hanno irritato, ma anche e soprattutto intristito. Uno studente ha accusato, davanti a tutta l’assemblea, il professor Giorgio Giovannetti di strumentalizzare e pilotare il Collettivo e il Giornale studentesco. Allo scopo di dimostrare che queste affermazioni sono false e tendenziose, abbiamo raccolto le firme degli studenti del prof. Giovannetti, dei membri del Collettivo e dell’Oblò, e di chiunque si sia sentito di dissentire con le pesanti affermazioni provenienti da qualcuno che non è mai venuto al collettivo, al giornalino, e non ha mai seguito una lezione del Prof. Giovannetti.
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cronache carducciane
STAGE TO SALISBURY di Beatrice Sacco
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Can you spell your name please?” è stata una delle prime domande che i nostri “genitori” ci hanno posto. Non credevo fino ad allora che gli inglesi avessero questa tale difficoltà nel pronunciare una qualsiasi parola italiana, a partire dal nostro semplice “ciao”. Anche i primi giorni a scuola l’insegnante passava almeno cinque o dieci minuti a cercare di dire correttamente i nostri nomi. Le nostre famiglie ci hanno accolto subito con entusiasmo (anche se non per tutti è stato così), e per noi, prima volta in una host family, è stato abbastanza strano abituarci a questo nuovo ambiente e ai loro modi di fare. Poi, non essendo noi solite a parlare in Inglese e a sentirlo, nelle prime conversazioni abbiamo avuto qualche incertezza, e non riuscivamo neanche a capire bene quello che dicevano, tanto che ci è capitato di fare figure davvero imbarazzanti – “Do you usually watch X-Factor?” “No, thanks, no more salad for me!”. Ma, in fondo, il tempo che passavamo in famiglia era poco. Difatti di domenica le nostre guide Claire e Seb, Yellow Shirt, ci portavano, con le prof. Piergallini e Musante, in gita nella mitica
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capitale inglese, Londra. Ovviamente il tempo era ristretto e abbiamo visto a malapena il Big Ben ma, avendo vinto la maggioranza, ci siamo goduti lo shopping nel “Corso Buenos Aires” di Londra, che è all’incirca il quadruplo. La scuola iniziava già di lunedì: dovevamo arrangiarci da soli a prendere il bus per raggiungerla; Kaplan, il centro dove seguivamo le lezioni, era un college, completamente diverso dall’idea di scuola italiana. Qui parlavamo solo Inglese con gli insegnanti, e questi, molto simpatici e gentili, facevano una lezione multimediale di giochi, dibattiti e anche grammatica inglese. Di pomeriggio abbiamo avuto la possibilità di visitare la nostra piccola città; Salisbury è molto carina e piena di vita: ci ha lasciati davvero di stucco, però, il fatto che i negozi e bar, diversamente da Milano, chiudano alle 17.
il tipico Packed Lunch inglese, che di base comprendeva due sandwich pieni zeppi di burro e un pacchetto di patatine multi gusto. Dunque una buona parte di noi studenti italiani, dopo il terzo giorno così, non è riuscita a sopravvivere a questa scossa ed ha quindi coraggiosamente rinunciato al pranzo (anche se in realtà non era poi così male…).
Solo il cibo ci ha scoraggiati: ogni giorno la nostra cara famiglia ci preparava, devo però dire con tanto amore,
Nello stesso giorno siamo stati anche al sito preistorico di Stonehenge, senza dubbio impressionante, anche se meno stimolante. Non vi ho ancora però parlato dell’imprevedibile tempo meteorologico; siamo a dir il vero stati molto fortunati, perché paradossalmente abbiamo molto spesso incontrato il caldo sole di settembre, e contenti così non abbiamo potuto assistere a tipici temporali inglesi. Però il vento freddo di primo mattino o quando il cielo è rannuvolato si è fatto ben sentire, e noi, vestiti a strati, piangevamo quasi nel vedere i bambini britannici in pantaloncini corti e giacchetta. Essendo stata per me una nuova esperienza, devo dire che mi è apparsa molto suggestiva e non vedo l’ora di ripeterla.
A metà settimana Claire e Seb ci hanno accompagnati nella cittadina di mare Bournemouth; qui i Carducciani più valorosi si sono gettati a braccia aperte nel gelido oceano Atlantico. E dire che in questa “vacanza” non ci siamo dimenticati del nostro amatissimo latino, perché abbiamo anche avuto la possibilità di andare a visitare i bagni e il museo romano della località di Bath, attrazione molto interessante e caratteristica di questo piccolo borgo.
VIVERE IN UNA FAMIGLIA NUMEROSA di Gaia Cantone vignetta di Francesca Grassi
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i siete mai chiesti come sia avere 7 fratelli? Come si possa riuscire a vivere in una famiglia numerosa? Abbiamo intervistato un ragazzo di 14 anni.
La “famiglia numerosa” è una tradizione per la tua famiglia? No, perché mia madre ha un fratello e mio padre ne ha due. Che sforzi ti richiede avere tanti fratelli? Innanzi tutto mi devo organizzare in modo preciso e regolare nello studio, per poi badare ai miei fratelli oppure praticare i miei sport e hobby preferiti. Io e mia sorella siamo i più grandi tra tutti i 7 figli ed è ne-cessario che noi due aiutiamo in casa nelle faccende domestiche al fine di rendere il nostro appartamento un posto vivibile. Infine bisogna dotarsi di molta pazienza. Praticate tutti sport o attività extrascolastiche? Sì, eccetto i miei fratelli più piccoli (minori di 6 anni), in quanto i miei genitori ritengono che fare sport sia sano perché aumenta il benessere fisico e facilita le relazioni con i coetanei. Possono bastare i genitori oppure necessitate di aiuti dalla rete parentale? Tre volte alla settimana, solitamente, si alternano la zia materna e la nonna paterna, per aiutare mia madre nello svolgimento delle faccende di casa, ossia stirare, stendere etc.. Tutto ciò permette, a mia madre, di ricavare del tempo per se stessa, e a noi figli maggiori di dedicare più tempo allo studio. Quali sono i momenti più critici nella gestione della quotidianità? I momenti più critici si manifestano prima di arrivare a scuola e durante
la cena, perché non si riesce a discutere e ciascuno di noi non riesce a farsi ascoltare. È fondamentale avere un lavoro con orari flessibili per potersi occupare della crescita di tutti i figli? Sì, è fondamentale avere un’occupazione che permetta ai miei genitori di allontanarsi dal posto di lavoro per qualsiasi imprevisto. Quali sono oggi le principali difficoltà che incontra una famiglia numerosa? Una della principali difficoltà è quella economica. Ossia risparmiamo non andando al cinema, al ristorante, trascorriamo le vacanze estive in posti situati nelle vicinanze di Milano ed evitando tutti i beni superflui. Dunque, ti è accaduto di dover rinunciare a qualche bene non essenziale? Sì, non abbiamo la TV, bensì abbiamo solo lo schermo per la proiezione di film, non abbiamo videogiochi, cellulari ed il computer lo utilizziamo solo per la scuola.
Come trascorri il tempo libero con la tua famiglia? Gli unici momenti che trascorriamo tutti insieme sono: durante la proiezione di un film il sabato sera e la partecipazione alle varie cerimonie. Riesci ad avere dei momenti di intimità? Sì, perché la mia casa è stata progettata e suddivisa da mio padre che è architetto, così ciascuno ha degli spazi propri. Avere tanti fratelli ti aiuta maggiormente a misurarti con gli altri e a diventare migliore? Sì, perché vivere con tanti fratelli mi ha fatto sviluppare le competenze dello stare insieme agli altri. Puoi spiegare la gioia e l’emozione oppure il disappunto per l’arrivo di un’ altra sorella? Prima di apprendere la notizia della futura nascita non volevo più saperne, ma quando ne sono venuto a conoscenza sono stato contento.
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CINEMA Frankenstein: James Whale e Danny Boyle di Morgana Grancia
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l 1931 è uno degli anni più importanti per l’intera storia del cinema. È l’anno in cui, per la prima volta, l’attore ungherese Bela Lugosi interpretò Dracula, ruolo che lo cristallizzò in un’immagine eterna che sopravvive ancora nell’immaginario comune. Incuriosisce il fatto che Lugosi fu talmente affascinato dal ruolo, che fu chiamato ad interpretare più volte, da affermare persino “Dracula is my Hamlet”. Il 1931 è anche l’anno in cui nei cinema americani si proiettò in prima visione il Frankenstein diretto da James Whale. Anche chi non ha visto il celebre film ne ha in mente alcune scene immortali (come quella del celebre urlo “It’s alive!”), così come l’atmosfera ricalcata dal film parodia Frankenstein Junior e l’immagine, anch’essa ormai canonica, della Creatura con il volto di Boris Karloff. Mentre il personaggio del conte Dracula sembra purtroppo essersi esaurito, (non riesco infatti ad avvicinarlo al cosiddetto “fenomeno Twilight”), come tanti altri personaggi horror del periodo, il mito del Mostro, della Creatura di Frankenstein, non è mai scomparso dagli schermi e la trasposizione del ’31 ne rimane un importantissimo punto di riferimento. L’ossessione della possibilità di poter creare artificialmente la vita umana è, inoltre, alla base della maggior parte dei film moderni di fantascienza. Una creatura che diventa umana, talvolta more human than human (citando
Blade Runner) e l’inevitabile interrogarsi su chi dei due, creatura o creatore, sia il vero mostro, sono due elementi degli che compongono lo scheletro di una storia immortale, quella pubblicata da Mary Shelley nel lontano 1816. Sono del parere che l’affascinante tema del doppio in Frankenstein sia stato rappresentato al meglio dal regista scozzese Danny Boyle ( Tr a i n s p o t ting, The Millionaire), che, tra il 2010 e il 2011, ha sorprendentemente deciso di tornare momentaneamente alla direzione teatrale, proponendo una versione di Frankenstein per il National Theatre. La sua idea è stata quella di scegliere due attori che fossero in grado di sostenere entrambe le parti, sia quella della Creatura, sia quella di dottor Frankenstein. La scelta ricadde su Jonny Lee Miller e Benedict Cumberbatch. Entrambi avevano già collaborato con il regista, il primo in Trainspotting, il secondo nello spettacolo teatrale The Children’s Monologues. Di Frankenstein, Boyle rappresentò quindi due versioni, in cui, a serate alterne, i due attori interpretavano
l’uno o l’altro ruolo. Ho visto una delle versioni dello spettacolo, non a teatro ma proiettata in un cinema londinese (e solo recentemente anche l’altra). Nonostante nel copione di Nick Dear il confronto tra creatura, vera protagonista dell’adattamento, e creatore apparisse banale, e inconsistente, ho avuto invece modo di notare come lo speciale legame tra i due personaggi, in questo adattamento, sia stato reso perfettamente da un raffinata recitazione soprattutto fisica da parte dei due attori (che hanno condiviso per i due ruoli un Olivier Award) il cui miglior esempio sta nella simbolica, e ricca di tensione, stretta di mano. In Italia la proiezione dello spettacolo, comunque valorizzata da un ottimo montaggio, è arrivata in pochi cinema e, incomprensibilmente, solo in una delle due versioni (quella con Miller e Cumberbatch). Sperando nella realizzazione di un dvd dello spettacolo di Boyle, concludo consigliandovi di recuperare il film del 1931, augurandovi di lasciarvi trasportare da una storia senza epoca.
Melancholia
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a fine del mondo. Almeno una volta ci siamo chiesti cosa potrebbe succedere se il mondo finisse e come ci potremmo comportare: manterremmo la calma o impazziremmo all’idea di morire? Justine si è appena sposata: è bellissima nel suo vaporoso abito bianco, e non smette un attimo di sorridere. Il ricevimento di nozze si terrà nella lussuosa villa del marito di Claire, sorella di Justine; tutto sembra essere perfetto, neanche il ritardo dei due novelli sposi sembra poter rovinare questa giornata. Purtroppo, a causa di un padre infantile ed assente e di una madre egoista, quello che sarebbe dovuto essere il giorno più emozionante di Justine si tramuta in una tragedia. Justine lascia il ricevimento per prendere un po’ d’aria e per stare da sola. Fa un giro nello spettacolare giardino della villa, guarda il cielo: là c’è una stella più luminosa delle altre. Justine va e viene dal ricevimento, neanche Claire riesce a farla riprendere; ormai è troppo tardi. Justine non ha mai desiderato tutto questo: 16
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Follia
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na recensione canonica si soffermerebbe sul lato tecnico di questo film, dalla regia — efficace, ma priva forse di quel “tocco d’autore” che i grandi registi sanno dare — alla sceneggiatura, e così via fino ad arrivare agli inevitabili confronti con la controparte cartacea. E non parlo di un libro qualsiasi, visto che si tratta di una delle vette più alte raggiunte dallo scrittore londinese Patrick McGrath, Asylum (tradotto in italiano con il titolo di Follia). Una recensione canonica, dicevo, non avrebbe molto di più da dire a riguardo. Eppure io fatico a restare obiettivo di fronte ad una trasposizione magari imperfetta, ma sicuramente capace di riprodurre il conturbante senso di angoscia, l’Eros dirompente e il cinismo che hanno reso il libro un capolavoro moderno. Si tratteggia, infatti, l’oscura vicenda di Stella Raphael, moglie del vicedirettore di un manicomio vittoriano, invischiata in una relazione adultera con l’artista uxoricida Edgar Stark. Come se non bastasse, al disarmante quadro iniziale fanno da sfondo ambientazioni tanto desolate quanto desolanti: l’austero manicomio criminale, una Londra fumosa e dai vicoli angusti; poi campagne sterminate, nebbiose, eppure lontane dalla tipica serenità bucolica. Il paesaggio rispecchia lo stato d’animo della protagonista, tragica eroina incapace di conciliare il proprio ruolo di madre e di moglie di un’importante psichiatra — il che obbligava a seguire una certa, rigida, etichetta — a quello di donna frustrata, insoddisfatta psicologicamente e sessualmente, e per questo facile preda della fredda follia di Edgar. Quest’ultimo, ottimamente interpretato dall’attore neozelandese Marton Csokas (Lord Celeborn ne “Il Signore degli Anelli”, per intenderci), riesce ad attrarre sin da subito lo spettatore con la propria ambiguità: razionalità e follia, fredda insicurezza, amore per Stella e cieca gelosia; tutti questi caratteri si fondono fino a creare l’immagine dell’artista un po’ bohemienne e trasandato, ma dal fascino imprevedibile e passionale.
di Dario Zaramella
Sin dalla prima sequenza — Stella e famiglia in macchina verso la nuova residenza all’interno del manicomio, in silenzio, con solo una crepuscolare melodia in sottofondo — si intuisce già il tono tragico che la vicenda andrà assumendo di lì a poco, nonché il tema costante della solitudine. A farci caso, tutto il film è costruito sull’incomunicabilità tra i vari personaggi, veri e propri “scogli” sparsi in un mare di paure e istinti nascosti; sicché le uniche scene di comprensione reciproca risultano essere non quelle, come ci si potrebbe aspettare, tra Stella e l’amico/psichiatra Peter, bensì gli sporadici amplessi che, non a caso, vengono sottolineati da un “rinvigorimento” della colonna sonora. Apparentemente senza personalità, senza “anima”, questa trasposizione riesce invece a ricreare una rete di personaggi soli, incapaci di domare i propri istinti e le proprie paure, e per questo intrappolati nel proprio, personale, vortice di follia.
di Anna Vaccari la cerimonia, l’abito, il bel marito. Travolta da queste dolorose constatazioni, Justine sembra non aver più coscienza delle sue azioni: la sera stessa, pone fine al suo matrimonio ancora prima che sia cominciato. Justine, dopo il tentativo fallimentare del matrimonio, è caduta in un profondo stato di depressione; Claire decide di intervenire, portando la sorella a vivere con lei, il marito John e il figlio Leo. I primi giorni Justine non riesce a parlare o mangiare; l’eccitazione di John e di Leo per il passaggio vicino alla Terra del pianeta Melancholia non riescono inizialmente a svegliarla dal profondo coma in cui è caduta. Giorno dopo giorno, Melancholia si avvicina sempre più alla Terra, ma l’eccitazione iniziale lascia il posto all’ansia e alla paura che (apparentemente) solo in Claire questo avvenimento eccezionale provoca. Claire infatti, dapprima la sorella calma e razionale, durante una ricerca in rete legge su Melancholia la teoria de “La danza della morte”, per la quale secondo molti il pianeta impatterà sulla Terra. Assistiamo ad un ribaltamento di ruoli tra le due sorelle: Justine appare fisicamente più forte mentre Claire è agitata e si sente impotente. Durante la notte il pericolo della collisione sembra evitato, ma la mattina dopo Melancholia è ancora più vicina. Come affrontare qualcosa che sai che accadrà inevitabilmente? La noncuranza e l’imperturbabilità che avvolgono Justine le fanno affrontare la fine con un coraggio impressionante: assieme al nipotino Leo costruisce una capanna, nella quale si rifugiano mentre la Terra vive i suoi ultimi istanti di vita.
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Cultura / le rubriche
di Eleonora Sacco
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uattro stracci sono pensieri liberi, umili ma pieni di dignità. Sono musica semplice, senza troppe pretese ma profonda e vibrante, alla Guccini; versi sparsi o fantasia senza schemi, traboccante di vita. Quattro stracci è una rubrica nuova: spunti e idee a sfondo letterario, pensieri trasversali su musica e parole del cantautorato del secondo Novecento (o giù di lì). Francesco De Gregori scrive Alice non lo sa, il piccolo Decameron, nel 1973. Non a caso l’album è intitolato ad Alice, la ragazza dei gatti e del sole: la prima traccia racchiude dentro di sé, in miniatura, struttura e temperatura dell’intero disco. Abbandonandosi al calore dell’attacco, ci si può far cullare dai raggi del sole del tardo pomeriggio in cui la bella Alice, una Amélie Poulain mediterranea, coccola i suoi neri gatti di sguardi. Alice è spettatrice passiva, uno sguardo vago e immobile; la sua schiena, protagonista dolce nel quadretto da balconcino di un monolocale, incornicia le altre storie, che si staccano lentamente dall’intonaco giallino e sviolinato dello sfondo. Alice vive nell’ombra sinuosa dei gatti, ignorando le vite e le sofferenze a lei parallele. Non sa di Irene, che fuma l’ultima sigaretta allo specchio, pri18
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ma del suicidio. De Gregori le dedicherà un’intera canzone, più avanti nell’album (“Il mondo passa accanto a lei e non la sfiora mai | Con le mani aperte, il cuore aperto, Irene guarda giù”). Non sa di Lili Marleen, la bionda nazista dei manifesti, dal sorriso eternamente giovane. E mentre il torpore inizia ad avvolgerci le membra, lo sposo irrompe nella scena infrangendo l’equilibrio degli sguardi. Il “ma io non ci sto più” è un atto di ribellione, non solo al matrimonio forzato con la sposa incinta, ma all’inerzia e alla passività placida dell’Alice-cornice. Lo sposo (impazzito? Ubriaco? Lucidissimo, invece) indigna i cappelli beneducati degli invitati e la nostra tranquillità uditiva, rompendo il vetro che separa le storie dalla vita reale (a mo’ di “Il laureato”) e affermandosi attivo e intenzionato a migliorare la sua situazione, in bilico come tutte le altre presentate. “Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa: non è così che se ne andrà” – andrà tutto bene, comunque. Il mondo, che prima girava senza fretta, ora si avvicina ad Alice, vuole mostrarsi, ma ella rimane rapita
dalle sagome nere dei felini. La Terra si apre su Cesare (quel Cesare Pavese) che aspetta paziente sotto la pioggia di Torino ballerina, una sua compagna di liceo che non arriverà. Passa anche l’ultimo tram della notte, e la delusione amorosa – la prima di una lunga serie – gli lascia, insieme al freddo, una forte pleurite. L’Alice che ammaliava di sguardi inizia a sembrare un po’ snob. Ignora anche il cancro nel cappello (poi censurato in “qualcosa”) del mendicante arabo; davvero un portafortuna sicuro. “Non ti chiede mai pane o carità”; dorme per strada, lui. E i suoi gatti sono randagi. Alice è serena perché ignora i suicidi, la guerra, il rifiuto amoroso, la malattia e la povertà; a voi tutte le possibili congetture filosofico-morali per il sentiero della felicità. Mentre Alice, nel suo mondo di meraviglie, ha la vista annebbiata persino per l’eclissi d’amore di Sole e Luna o per la morte dei gatti, lo sposo ci ricorda che i pazzi siamo noi: l’estate è finita. E lui forse è l’unico che si salverà dalla paralisi del mondo.
La BibliobussolaI
Non è un paese per vecchi
di Carlo Simone
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opo aver iniziato con La Strada l’anno scorso, torniamo a parlare di Cormac McCarthy, questo misterioso scrittore statunitense che nonostante l’autoesilio negli sconfinati deserti del Texas continua a far echeggiare la sua voce potente in tutto il mondo. Non è un caso se molti gli riconoscono di essere uno dei più grandi, se non il più grande, romanziere contemporaneo. Sul Washington Post è stato descritto così: “scrittori come lui lottano corpo a corpo con gli dèi”. Un’ immagine azzeccatissima, perchè è questo che deve fare il grande cantastorie: prendere fra le mani la propria epoca, strapparle il cuore, raccontare sulla carta tutto il marcio, i desideri, i conflitti, le passioni dei piccoli grandi uomini che la abitano. Lottare con gli dèi del mondo. E McCarthy così fa, e nella sua strenua lotta si impone, pagina dopo pagina. Ecco perchè oggi vediamo Non è un paese per vecchi, forse il suo romanzo più celebre, sicuramente il più celebrato, al punto che il film che ne è stato tratto (bellissimo, ve lo consiglio) ha conquistato ben 4 premi Oscar. Incipit semplicissimo: Llewelyn Moss, l’emblema dell’uomo qualsiasi, si imbatte per caso in una valigetta traboccante di dollari, rimasta abbandonata in seguito a una trattativa finita male fra narcotrafficanti. Llewelyn non è stupido e sa bene che qualcuno vorrà venire a riprendersela, così scappa. Lo inseguono in due: lo sceriffo Bell, che sta a rappresentare quel mondo e quei valori che McCarthy ha conosciuto nella sua infanzia ma che ora si sono estinti, e soprattutto Anton Chigurh, il cattivo più cattivo che abbiate mai incontrato, che invece simboleggia la logica caotica, furiosa e abietta della società contemporanea. Presto la vicenda sconfina dai margini di un semplice inseguimento e diventa una epica lotta fra concezioni del mondo: a Bell non interessa più solo dare una buona riuscita alle indagini, ma de-
sidera difendere la vita in pericolo di Llewelyn, e dimostrare a se stesso che il mondo non è ancora impazzito del tutto e che i buoni vincono ancora; Chigurh invece percorre un sentiero piastrellato di sangue e di distruzione che, senza guardare in faccia a nessuno, lo porta dritto verso il suo obiettivo: la valigetta. Ma lo fa per i soldi? No, e proprio qui sta il punto. L’analisi del male operata da McCarthy in ogni sua opera tocca i suoi vertici, teorizzando che questa forza surreale ma che esiste, il Male, appunto, non c’entra con la natura, che è sempre vista come positiva, ma è impiantato nel mondo dalla follia dell’uomo. E il Male non agisce mai con uno scopo: perpetra misfatti solo perché vuole. L’unico risultato ottenuto dal Male è il male stesso. Chigurh è il caos del 2012, e quel che è più drammatico nell’opera di McCarthy è che Chigurh vince. Bell segue le regole, e rimane sconfitto (“Se le regole che hai seguito ti hanno portato sino a questo punto, a che servivano quelle regole?”, dice Chigurh). Appare manifesto che nella realtà selvaggia del mondo (simbolicamente rappresentato dalle terre di confine fra Texas e Messico) non c’è spazio per chi fa le cose per bene. Non c’è giustizia se non quella del caos. Appunto, non è un paese per vecchi. La facilità con cui Llewelyn uscirà di scena ha un che di sconvolgente, e non è da tutti gli scrittori avere la forza e il coraggio di trattare così i propri personaggi; ma è proprio da questo che emerge la vera drammaticità e portata universale dello scontro fra il vecchio Bene e il moderno Male. Si esce dalla semplice trama, si entra sul palcosce-
nico universale. Il lettore è costretto ad interrogarsi, leggendo le violenze che vengono raccontate, se non è magari che Chigurh vince anche perché noi lo aiutiamo. Perchè, Bell ce lo ricorda, non è sempre stato così. Il Male, quello certo che c’è sempre stato, ma c’era anche chi combatteva. Ora, in silenzio, si assiste al massacro. Ma credete che la grandezza di McCarthy si riduca a una presa di posizione nichilista? Non vi anticipo il (meraviglioso, perfetto) finale, ma la vicenda si conclude con lo sceriffo Bell che racconta di un sogno fatto quella notte: lui da bambino e il padre, sulle montagne, di notte, nella tormenta. Il padre con una fiaccola in mano, ricavata da un corno “bianco come la luna”. “Sapevo che stava andando avanti, per accendere un fuoco da qualche parte, in mezzo a tutto quel buio e quel freddo, e che quando ci sarei arrivato lo avrei trovato lì”. Come a dire: nonostante tutto questa sofferenza insensata che ci capita, alla fine ci aspetta un fuoco chiaro che illumina la notte. Alla fine non può vincere il male. Possiamo permetterglielo noi uomini, qui nel Texas del mondo; ma c’è uno schema imperscrutabile ed eterno tale per cui le tenebre, no, non prevarranno.
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Cultura
IL PROFUMO DEI LIMONI di Francesco Poggi
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ulla strada che faccio ogni mattino per venire a scuola, all’angolo tra via Ressi e via Caproni c’è una casa con uno splendido giardino. Tra le siepi e i sempreverdi spicca per bellezza un’insolita pianta, esile e vigorosa al tempo stesso. Un limone. Per uno abituato come me a vivere nel rigido clima milanese, gli agrumi hanno un che di miracoloso. Riempiono i giorni più grigi e freddi con colori squillanti e sapori squisiti. Sono degli instancabili serbatoi di sole, pronti a sprigionare luce nei momenti in cui più serve. Ma che cosa c’entrano i limoni con la tecnologia? “Un limone colto dall’albero ha la scorza ruvida. Più curato è l’albero più ruvida è la scorza. Se la si schiaccia un poco ne esce un olio profumato e d’improvviso la superficie diventa liscia. E poi c’è quel succo asprigno ,cosi buono sulla cotoletta e con le cozze, nei drink estivi e nel tè caldo! Tatto, olfatto, gusto. Tre dei cinque 20
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sensi non possono essere trasmessi utili. Spetta a noi stabilire se i minuti attraverso la tecnologia. Tre quinti passati online sono solo una perdita della realtà. Il sessanta per cento.” di tempo, in quale misura la tecnoloE’ così che Jonah Lynch, sacerdote, gia ci aiuta o se un rapporto virtuale professore e scrittore americano ci con una persona è paragonabile ad introduce ad uno dei temi più attuali uno reale. E’ ovvio che oggi le nuove e sentiti da noi invenzioni sono ragazzi: come diventate essenvivere il rappor- «Tatto, olfatto, gusto. Tre dei ziali per l’uomo to con la tecno- cinque sensi non possono essere e ci permettono logia nell’era di trasmessi attraverso la tecno- di vivere molto Facebook? rispetlogia. Tre quinti della realtà. Il meglio Ora, non voglio to al passato, sessanta per cento.» scrivere un tratsbrogliandoci tato sociologico l’esistenza da sull’uso delle nuove tecnologie. Non mille problemi e permettendoci di solo perché mi annoierei a morte, ma avere in ogni momento un mondo vasoprattutto perché non ne sarei in stissimo a portata di clic. Sta però di grado. E’ inutile che io, che non sono fatto che spesso ci dimentichiamo di uno psicologo − e non ambisco a diven- quanti piccoli ma meravigliosi aspetti tarlo − mi metta a ripetere cose già della nostra vita non possano essere dette centinaia e centinaia di volte. A trasmessi dalla tecnologia, come il questo ci pensano già i prof più bac- suono di una risata, il calore di chi sta chettoni o i genitori furibondi. Siamo aldilà della chat o il profumo dei linoi che dobbiamo giudicare quanto moni. Il mio è un invito a farci caso. le nuove tecnologie possano esserci da “Tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook”, JL
DAI FUMETTI ALLE graphic NOVEL di Cleo Bissong
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o cominciato a leggere piuttosto presto, quando avevo circa quattro o cinque anni, prima dell’inizio della scuola. Leggevo non solo libri, ma anche fumetti che prendevo con mia madre quando andavamo in Brasile a trovare i miei nonni. Si, i fumetti mi sono sempre piaciuti molto, non solo per le trame, ma anche per le illustrazioni che tentavo spesso di copiare, non con molto successo. Crescendo, crebbe anche la mia passione per i fumetti, grazie al ritrovamento di una raccolta del celebre autore Will Eisner. L’intero volume era composto da fumetti di una o due pagine che raccontavano episodi di vita a New York, alcuni tragici, altri comici, ma tutti realistici. Pochi anni dopo, mio padre mi regalò un libro, scritto - e disegnato - da Will Eisner, che insegnava qualche trucco sul disegno a fumetti, servendosi a mo’ di esempio di squarci di alcune sue opere più lunghe di quelle che avevo letto in precedenza: le graphic novel.
Tale termine fu coniato da Eisner stesso in riferimento alla sua opera “Contratto con Dio”, diversa dalle precedenti (la celebre seria “Spirit”), perché riguardante non supereroi o personaggi speciali, ma gente comune, riscontrabile nella quotidianità. Fino ad allora la narrazione a fumetti era considerata un passatempo per ragazzini o un modo per alleggerire con strisce umoristiche le pagine dei quotidiani; Will Eisner e Hugo Pratt creatore di Corto Maltese - seppero dimostrare che era possibile creare e raccontare storie complesse e interessanti anche attraverso il fumetto. Una graphic novel piuttosto conosciuta, che io considero molto bella, è Maus di Art Spiegelman. Ambientato durante la seconda guerra mondiale, racconta la tragedia dell’Olocausto, vissuta dal padre dell’autore. L’opera – fortemente autobiografica – vede tutti i personaggi rappresentati sotto forma di animali antropomorfizzati, ciascuno con un preciso significato allegorico. Ad esempio, i personaggi ebrei sono stati disegnati come topi, i nazisti gatti (che perseguitano i topi), gli americani cani (che scacciano i gatti) e così via. Un’altra graphic novel che ho molto apprezzato è “Il Grande Male”, anche questo
un racconto autobiografico, che narra dell’infanzia dell’autore, David B, vissuta affrontando con la sua famiglia la malattia del fratello maggiore affetto da epilessia, ai tempi chiamata ‘grande male’. La sua famiglia gira il mondo alla ricerca di una cura ma, rivelatosi vano ogni sforzo, lentamente comincia ad arrendersi. La rinuncia diventa totale quando il fratello malato incomincia a sfruttare la malattia a proprio favore. L’autore e protagonista crescendo crea attorno a se una corazza immaginaria, per non venire affetto dall’arrendevolezza del fratello, e continuare invece a lottare per vivere, e non ‘lasciare vivere’, come pensa un giorno. Le due opere sopra nominate hanno riscosso molto successo anche da parte della critica (Maus ha vinto il Premio Pulitzer, la più prestigisa onoreficenza statunitense per il giornalismo, le lettere e la musica), ma ne esistono molte altre, che spaziano fra molti altri temi, anche più leggeri. Varie sono tratte da romanzi (come Il Trono di Spade, Coraline o Twilight), ma personalmente consiglio di leggerle prima i libri, in modo da poter immaginare i personaggi con la propria fantasia.
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Cultura AUDIO PHILEs/ % King Crimson In the Court of the Crimson King (E.G./Island Records, 1969)
The Alan Parsons Project - Tales of Mistery and Imagination (20th Century, 1976)
di Edo Mazzi
di Francesco Bonzanino
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onostante questo disco sia il primo album dei King Crimson ha riscontrato da subito un notevole successo, diventando in seguito uno dei più importanti esempi mondiali di Rock progressive. Il lato A inizia con la devastante chitarra di “21th Century Schizoid Man”, uno dei più famosi brani della band, caratterizzato in gran parte dal suono di questo strumento accompagnato dalla batteria; l’atmosfera poi si evolve, invece, con un alternarsi di sax e tromba. Segue “I Talk to the Wind”, canzone molto più armoniosa, in cui gli strumenti, in particolare l’organo, che riesce perfettamente a ricreare un’atmosfera ventosa, danno molto più spazio all’armoniosa voce del cantante Greg Lake. Con la conclusione di questo brano ha inizio “Epitaph”, forse la più bella canzone dell’album, con una magnifica apertura di percussioni, a cui è accostata la chitarra. Il ritmo è mantenuto dalla batteria, che spesso accompagna la voce; e infine il brano va a concludersi con un crescendo ad altissima dinamica, ponendo fine così a questa prima parte dell’album. Il lato B si apre con “Moonchild”. La canzone inizia con una chitarra lenta e armoniosa, che affianca la voce solista, e il ritmo prosegue in crescendo con l’accompagnamento di percussioni e triangoli fino ad assestarsi; la seconda parte del brano è, invece, interamente strumentale, della durata di circa dieci minuti, in cui, tra i suoni dello xilofono e del triangolo, affiora la chitarra di Robert Fripp. L’album si conclude con “The Court of the Crimson King”, canzone dal ritmo molto più aggressivo rispetto alla precedente, ricreato dal suono della chitarra e della batteria; rispetto alla precedente viene dato molto più spazio anche alla voce di Greg Lake, e, inoltre, è possibile udire il favoloso flauto di Ian McDonald. Un album, quindi, davvero unico nel suo genere, e a dir poco perfetto per chiunque volesse dedicare un po’ del suo tempo a un buon ascolto di Rock progressive.
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All that we see or seem is but a dream within a dream. » (Edgar Allan Poe) 22
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opo essere stato tecnico del suono dei Beatles di ‘Abbey Road’ e dei Pink Floyd di ‘Dark side of the Moon’ Alan Parsons si dà alla carriera solista con un concept album dedicato a niente di meno che Edgar Allan Poe. La prima traccia, “Dream Within a Dream” è strumentale ed è introdotta da una semplicissima, potentissima, ipnotica linea di basso sulla quale si svilupperanno le due tracce seguenti; e quando, dopo l’entrata della batteria si introduce un surreale arpeggio rivelatore, sai che non c’è niente di meglio per un cervello, delle orecchie così avidi di musica, e una mente così affamata di conoscenza. La lucida visione (è questa la terribile magia di Poe traslata alla perfezione in musica ds Parsons) continua in un vivido e surreale scenario : “the Raven”.Visionario, allucinato,introspettivo, schizofrenico, così come Poe e i suoi racconti. Un disco che è un peccato far rientrare a forza dentro gli stretti e angusti cassetti di un genere, gli stereotipi che accompagnano i temi affrontati, la limitatezza di alcune parole. Dopo l’impressionante realismo della paura e del viscido sospetto del testo di “Tell-tale Hearth”, accompagnato da una funambolica parte musicale e una delirante parte vocale, viene “Cask of Amontillado”dove è notevole l’efficacia nel rispecchiare, con la soavità del coro, l’ingenuità dell’ubriaco del racconto. Veniamo all’unica nota parzialmente negativa del disco. Il secondo lato si apre con una ricostruzione in chiave orchestrale del racconto de “ il crollo della casa Usher”. Anche qui poco da ridire e molto da ammirare tacitamente, ma i 15 minuti di questa sinfonia sembrano un po’ troppi, e troppo pomposi; trovo comunque azzeccata la scelta di omettere le parole per meglio esprimere l’inquietudine che pervade tutto il racconto. Personalmente credo che sia l’unico momento dell’album dove Parsons tende a strafare sotto la pressione di un mito come Poe. Chiude “to One in Paradise”, il cui testo è il migliore dell’album, talmente prezioso da risultare forse eccessivamente etereo e onirico per rispecchiare un racconto di Poe. Consigliato a chi crede che, lavorando sul suono con i computer al giorno d’oggi, si produca musica migliore di quando, a sostituire la tecnologia, c’erano ingegno e creatività.
VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE di Giada Fanti
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e sabato notte avessi fatto un giro in Moscova, non avresti visto la solita Milano. Fra donne rigorosamente con tacchi e vestito e uomini in mocassini, avresti incontrato, nel centro di Milano, gruppetti di ragazzi attrezzati con scarpe da ginnastica, tuta e un nastrino rosso o blu, scivolare nella sera e riempire le strade della città. L’evento, una sorta del vecchio gioco “guardie e ladri” rivisitato, è organizzato annualmente dal sito Critical City Upload, e comprende come attività principale una corsa per la città, con vari check point e l’obbiettivo di non farsi prendere dagli inseguitori - pena diventare uno di loro. La notizia del gioco si dirama presto su facebook. Il ritrovo è a Villa Pizzone, le successive tappe si estendono per una ampia fetta di Milano: Monte stella, sottopassaggio via Colleoni, via Corleone, scalinata via Marie Curie, corso Garibaldi, bar Picchio di via Melzo, via Paolo Sarpi. Raggiungo Villa Pizzone e mi viene spiegato il gioco. Gli strumenti permessi per muoversi sono le proprie gambe e i mezzi
pubblici, gli organizzatori hanno inoltre il buonsenso di dotarci di una cartina (inutile, ahinoi, nell’era degli iphone) e di un nastro blu da indossare dall’inizio, e da sostituire con quello rosso quando e se si è catturati dai chaser, i giocatori che rincorrono i runner. Al segnale di partenza, più di mille ragazzi invadono come un fiume in piena Villa Pizzone, vanno verso il passante, i più accaniti scavalcano il cancello del suddetto e si buttano sui binari pur di non essere presi dai cha-ser. Dopo che la massa si sparpaglia - ognuno infatti decide di percorrere le miriadi di stradine sconosciute di Milano pur di non farsi prendere - vedo un gruppo davanti a me, ci scrutiamo socchiudendo gli occhi per vedere se il nastrino sul loro braccio è rosso o blu, ma il buio ce lo impedisce. Tiro un sospiro di sollievo, sono dei runners come me, inizio a correre, questa volta fianco a fianco ai miei nuovi compagni. Se pensavi di potere stare con i tuoi amici dall’inizio alla fine del gioco, ti sbagliavi di grosso: viaggio al termine della notte è fatto per correre, e non tutti hanno gli stes-
si ritmi; inoltre al momento di un attacco dei chaser non hai la possibilità di sce-gliere con chi scappare: devi seguire l’istinto. Dei perfetti sconosciuti possono diventare fedeli compagni nella corsa. Il bello dell’evento è proprio la possibilità di conoscere nuove persone e di percorre strade di Milano delle quali nemmeno immaginavi l’esistenza. L’unica pecca sono le prove – un po’ patetiche - da affrontare ai check point per passare alla tappa successiva: danze della pioggia, prove d’abilità, flessioni. Correre da Bovisa a Porta venezia richiede fatica, ma una fatica di quelle che alla fine del percorso, sia che tu sia arrivato da runner che da chaser, provoca un grande senso di appagamento; se vuoi passare un sabato sera diverso dagli altri e vedere le facce sbigottite dei passanti alla vista di ragazzi che fuggono da altri ragazzi, se vuoi invadere le strade di Milano e sentire per una sera di conoscere perfettamente chiunque ti scruti con sospetto, perché accumunati dallo stesso segreto di una notte, àrmati di scarpe da ginnastica e inizia a correre.
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Cultura / i racconti
MELTEMI di Eleonora Sacco
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irezione Kastro, per sentieri lastricati che si snodano tra l’oro delle colline, il nero delle vigne e il blu ininterrotto di mare e cielo terso; la Spuma del mare, una Venere capricciosa e troppo bella, piange il tuo amore che non le sai più dare. Piange la parola che non le sai più dire. Ma a te nulla nemmeno i suoi seni bagnati sotto uno spicchio di luna; nemmeno le sue ciglia imperlate di lacrime, o le sue fughe tra i cipressi ombrosi e i gradini bianchi di un cimitero. Implora – Eden che cola a picco sul mare – il sorriso. La tua chitarra e la tua sabbia suonano solo per il vento, ormai; nei tuoi occhi accogli solo stelle e mare. Cerchi il senso della tua vita, e il dolce sonno, nella salsedine della schiena, nelle barche verniciate a nuovo del porticciolo, nell’ombra delle tamerici, o forse nello stesso viaggio: il bel viaggio. Nausicaa fugge nel cimitero, tra le bianche lapidi dove nemmeno le cicale osano il canto. Ha il vestito della bisnonna viennese, una schiena liscia. Al mattino è sirena, scompare. Poi ritorna, occhi come un cielo greco 24
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senza nubi, con le sue conchiglie. E ti riscopre. O tu, che sei sì triste ed hai presagi d’orrore - Ulisse al declino -, nessuna, (nessuna!) dentro l’anima tua dolcezza aduna, la Brama, per una pallida sognatrice di naufragi che t’ama? Non rimarrai, Odisseo. Non puoi. A nulla valsero le sue conchiglie, i suoi giochi. Era il destino. Madre, madre, non voglio più bere vino né più toccare pane: stanotte ho visto il mio amato svanire come un pensiero. Cosa specchiano i tuoi occhi, Arianna? Sii bianca come queste case, profumata come la liquirizia, sincera come queste pietre faticate da uomini. Piangi lacrime da bambina! Piangile sotto la scogliera che crolla e muore, sotto i sugheri nodosi, tra i relitti del mare. Il tuo Teseo non tornerà. La sacerdotessa di Afrodite accende le candele nelle chiesette bianche del piccolo cimitero, una ad una, lentamente. Porta l’olio per la lampada con piedi alati. Nella sottile linea d’ombra, tutto tace. Il cancello di ferro battuto segna il confine del ricordo di pace, una zona franca, dove il
tempo non scorre più e la carezza del Meltemi non giunge a disperdere gli amori. Nell’ombra dei cipressi e nel candore delle lapidi, sostano anche le scure braccia del greco navigatore di pensieri, ricciuto viaggiatore – Odisseo. Quelle braccia avrebbero conservato l’inafferrabilità di una via Lattea, il tocco leggero e nascosto nel silenzio della notte, delle onde del mare e del granello di sabbia, dietro le chiome di lei. Lì ci fermammo e riposammo. Lì trovammo acqua e frescura, nuova vita, e i nomi di chi solcò quel mare infecondo, arò quelle terre, costruì quelle case modeste e le imbiancò, incisi per l’eterno. Nessuno osava parola. Né più bramava cibo, sonno, o lacrime: nella quiete di quel muro a mezzogiorno si svelarono la dignità e la pietosa insania che guida gli umani alle celesti corrispondenze d’amorosi sensi. Tacemmo a lungo. Un “αντίο” commosso, e partimmo per nuove rotte e nuovi mondi. E ora so i sepolcri imbiancati. Ora so i cipressi, la pace - il silenzio.
IL GALLO CHE SALVO’ ROMA. #1 di Pietro Klausner
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state dell’anno 222 a.C. I consoli Marcello e Scipione avanzano nella Gallia Cisalpina. Il corridoio era buio e lui era solo. Avanzava incerto, passo dopo passo tenendo la mano appoggiata al muro per evitare di cadere. L’unico rumore che sentiva era l’eco dei propri passi. Con un sussulto, si accorse di una luce in fondo al corridoio: sembrava scaturire dalla serratura di una porta. Ancora più incerto, proseguì, aprì la porta e…si svegliò. Era appena sorto il sole e il tepore dell’alba gli scaldava il volto. Il sogno gli era rimasto ben impresso nella memoria e lo aveva lasciato molto turbato: da molti anni era solito sognare di percorrere un corridoio al buio, ma mai aveva trovato un’uscita o della luce che gli illuminasse il cammino. Scosso, si alzò e si stiracchiò. Oltre la parete, il fornaio sistemava il negozio in attesa di clienti. Gli sarebbe piaciuto entrare e comprare del pane, ma non se lo poteva permettere. Era un ragazzo povero, di 16 o 17 anni, nemmeno lui lo sapeva, non conosceva il suo nome né quello di sua madre, figurarsi quello del pa-
dre. Era cresciuto ai margini della società di Milano, nella Gallia Cisalpina, capitale degli Insubri; era vissuto di elemosina e della pietà altrui, senza mai affezionarsi a nessuno, vivendo per se stesso e fugando ogni contatto. Aveva imparato a non farsi notare, a nascondersi nell’ombra e persino a rubare per riuscire a sopravvivere. Era evitato da tutti e creduto maledetto dagli dei a causa della sua sorte infelice; non che lui avesse dato qualche motivo agli altri per amarlo. L’unica persona che non odiava nel profondo era il fornaio che, pur non provando per lui vero affetto, gli aveva spesso dato cibo e vestiti caldi per l’inverno. Quella mattina, decise di fare un giro nella città per svegliarsi per bene. Si diresse verso la fontana, una delle meraviglie della capitale, per bere e osservare, rimanendo nell’ombra, la gente vivere nella normalità. La piazza era circolare, con la maestosa fontana nel centro, e diverse botteghe tutt’intorno. Sulla piazza si affacciava un imponente edificio in pietra, semplice e greve, in cui i magistrati maggiori si riunivano. Dato che la piazza era ancora semideserta, pensò di sca-
lare la costruzione: se avesse avuto un po’ di fortuna, avrebbe potuto ascoltare i magistrati discutere tra loro, e magari anche con i potenti druidi. Cominciò la scalata e, non senza difficoltà, riuscì ad arrivare non lontano dalla finestra dove si tenevano tali consigli. Udì delle voci concitate. Riuscì ad avvicinarsi ancora un po’ e sentì parlare il magistrato supremo in questo modo: “Mi ripeto: i Romani stanno arrivando. Abbiamo poco tempo, dobbiamo decidere se contrattaccare o scendere a patti. Ma, mi chiedo, è davvero giusto scendere a patti con questi conquistatori? Noi, fiera e forte gente gallica?”. Il ragazzo sbiancò. Non sapeva perché, non gliene importava nulla in fondo se Milano veniva distrutta, saccheggiata o sottomessa, eppure un senso di paura lo colse. “E se drogassimo i capi romani con questo potentissimo farmaco al papavero?” propose un vecchio druido estraendo una piccola pergamena dalla tunica. “Mai, venerando: noi affronteremo il nemico con onore. È evidente che ora siamo stanchi. Rinvio la discussione a questo pomeriggio,” sentenziò il magistrato supremo. Dopo che tutti se ne furono andati, il ragazzo si intrufolò nella stanza e, non essendovi nient’altro di valore, si impossessò della pergamena che il druido aveva dimenticato sul suo scranno. Poi, stringendola fra le dita, fuggì. Tornò dal suo panettiere per prendere da mangiare, e nel tragitto pensò molto. “Prima il sogno e adesso i Romani… È meglio che cominci a cercare delle armi per difendermi. La luce in fondo al corridoio… Forse è finita la mia sofferenza? Sto forse per morire? O tutto sta per cambiare?” . Un mese esatto dopo, il primo colpo di catapulta romana colpiva le mura della gallica Milano.
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i giochi il sudoku del demonio D
eposto personalmente dal Principe delle Tenebre, ecco a voi il Sudoku del Demonio. Senza un perché, senza un senso e forse senza nemmeno una soluzione: solo il nostro amore per il sadismo ci poteva spingere a un gesto simile. Ma la verità è un’altra: non sapevamo come riempire questa pagina. Più deludente dei sequel di Matrix, più sfigato del terzo dei Nirvana dopo Cobain e Grohl, più insignificante del programma elettorale di Renzi, più infelice del guardaroba di Formigoni, c’è solo il nuovo caporedattore.
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La Redazione dell’Oblò... Direttrice Eleonora Sacco, 5F Capo Redattore Jacopo Malatesta, 4C
Vignette e disegni Silena Bertoncelli, 4C Francesca Bonini, 5A Federico Regonesi, 5A David Thiam, 3D
Impaginazione Jacopo Malatesta, 4C Fotografie Eleonora Sacco, 5F
La Redazione Silena Bertoncelli, 4C Cleo Bissong, 1B Francesco Bonzanino, 4E Martina Brandi, 4E Gaia Cantone, 1D Eleonora Catellani, 1D Alessandra Ceraudo, 4B Chiara Conselvan, 4E Francesca Grassi, 1D Jacopo Malatesta, 4C Edo Mazzi, 4E Marta Piseri, 1D Carlo Polvara, 4B Federico Regonesi, 5D Beatrice Sacco, 2D Eleonora Sacco, 5F Claudia Sangalli, 4D Carlo Simone, 5D Alessandra Venezia, 3B Dario Zaramella, 5A Collaboratori esterni Giada Fanti, 5E Riccardo Galbiati, 5H Daniele Gagliano, 5F Morgana Grancia, 5E Pietro Klausner, 4E Francesco Poggi, 3D prof. Giovanni Sponton Anna Vaccari, 3B Docente responsabile Giorgio Giovannetti La redazione è aperta a tutti! Si riunisce un mercoledì ogni 2 sett. alle 13.10 in 1D, piano terra. Vi aspettiamo!
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