Anno XI numero V

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sul

L’Oblò Cortile


L’ ultimo editoriale

U

di Bianca Carnesale VA

na cosa ho imparato in questi anni: che a volte si incontrano persone che diventano imprescindibili, delle quali non puoi fare a meno e con le quali manterrai i rapporti ovunque ti capiterà di essere. Mentirei, però, se dicessi che mi mancheranno tutte le persone con le quali ho vissuto questa lunga esperienza redazionale. So bene che di molti mi resterà un contatto ancora quotidiano, seppure diverso, non più legato alle mura del Carducci e alle pagine dell’Oblò. Certo, mi mancheranno i momenti di confronto, ma sono certa che con alcuni, ovunque e comunque, ci incontreremo come in una immaginaria redazione, fuori dagli obblighi dell’impaginare, del rileggere, del trovare punti d’accordo. Con altri chissà. Un anno fa, leggendo l’editoriale di Beatrice, la vecchia direttrice, quasi non ci pensavo che sarebbe toccato anche a me. E’ difficile scrivere un ultimo editoriale. Vorrei quasi salutarvi tutti, uno per uno,

e ricordarvi che nell’impaginazione non vanno dimenticate le righe tra le colonne, le maiuscole e il grassetto, nella correzione che le virgole si mettono prima del ma e non a caso, che gli articoli vanno allegati alla foto e che non devono superare i 4500 caratteri. A volte penso che avrei potuto dare di più a questo Oblò, ora che, più si avvicina la maturità, più sento essere la mia unica via di fuga dallo studio matto e disperatissimo. Guardando indietro, però, vedo quanta strada abbiamo fatto e quanta ancora ne avete da fare: siamo stati bravi, ma ora tocca a voi. E al “Bibi come faremo l’anno prossimo?” che più volte ho sentito, rispondo serenamente che ce la farete, eccome se ce la farete. Certo, senza me e la Bea perderete punti in bellezza e simpatia, ma non vedo l’ora di veder uscire il vostro primo numero senza di noi. Riuscirà benissimo, già lo so: mi fido di voi. E combattete tutte le vostre battaglie, mi raccomando, cartaceo compreso. Buone vacanze e buona maturità a chi ce l’ha fiorellini. Arrivederci.

La redazione dell’oblò

redattori | Greta Anastasio, Adriano Bertazzoni, Alissa Bisogno, Cleo Bissong,

Elisa Boscani, Bianca Carnesale, Giulio Castelli, Carlo Danelon, Rebecca Daniotti, Alice De Gennaro, Alice De Kormotzij, Linda Del Rosso, Chiara Di Brigida, Letizia Foschi, Valentina Foti, Valeria Galli, Olivia Manara, Isabella Marenghi, Giulia Martinez, Giorgia Mulè, Larabella Myers, Costanza Paleologo, Martina Pelusi, Beatrice Penzo, Claudia Pirro, Marta Piseri, Valentina Raspagni, Davide Siano, Giovanni Spadaro, Valentina Tarantino, Giuliano Toja, Ludovica Villantieri, Andrea Vivarelli DISEGNI DI | Cleo Bissong, Olivia Manara, Beatrice Penzo Responsabili internet | Cleo Bissong, Letizia Foschi, Cristina Isgrò, Giulia Martinez, Marta Piseri DIRETTRICE | Bianca Carnesale VA Capi redattore | Beatrice Penzo VE, Rebecca Daniotti IVF Docente referente | Giorgio Giovannetti Collaboratori esterni | Valter Valenti IVF, redattori di Scripta Restant, Zabaione, Articolo21, Professor Galli, Professoressa Taini, Alessandro Cassese VA, Marco Romano IVF, Giulia Pedone VB impaginatori | Bianca Carnesale, Rebecca Daniotti, Costanza Paleologo, Davide Siano 2

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

Pag

sommario

4 LA NANA SUPERFREDDA VIOLENZA GRATUITA

5

6 7

RESISTENCIA PACIFICA

PORTOFRANCO

KANDINSKIJ

8

DOPO 60 ANNI: QUALE FUTURO PER L’EUROPA?e

9 1011

cISS

MATURANDI FACEFIT

1213

14

15 APPUNTI DI UN ANNO DI PRESIDENZA

DEL COMITATO STUDENTESCO

16

TOP SECRET

17 un project 18

19

milano desiignweek jaden smith

20 one struggle, one fight 21

la guerra attraverso l’obbiettivo

22

the get down

23 perfetti sconosciuti 24 25 2627 2829

good vibes

in libro libertas scherzi di immaginazione pensieri in metrica

30

maledetta terra

31

poesie 2.0

3233 giù le mani dallea 10

Cruijif |

34 i 10 sport più assurdi

35 3637

38 -39

logica-mente

satira|oroscopo comic page| ostriche


Attualità

l’elezione riluttante di Rebecca Daniotti IVF

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lezioni: dopo la Francia, l’Iran. Riformatori contro conservatori, moderati contro radicali. Il 19 maggio gli iraniani sono stati chiamati alle urne per un’elezione presidenziale la cui rilevanza non coinvolgeva solo il paese, ma l’intera Repubblica islamica, il Medio Oriente e il mondo intero. La contesa contrapponeva il presidente uscente Hassan Rohani e il conservatore religioso Ebrahim Raisi, noto per essere vicino all’ayatollah Ali Khamenei, 77 anni, la più alta autorità politica e religiosa della repubblica islamica. Verso la fine degli anni ottanta, Raisi ebbe un ruolo di primo piano nelle esecuzioni di massa degli oppositori del regime. Il suo ingresso in politica, probabilmente motivato dalla possibilità un giorno di succedere alla guida suprema, rappresentava una seria sfida per Rohani. Trionfalmente eletto nel 2013, Rohani aveva promesso agli iraniani che avrebbe raggiunto un accordo con le grandi potenze sul programma nucleare statale, ottenendo la revoca delle sanzioni economiche che soffocavano il paese. L’accordo c’è stato e ha portato alla soppressione di gran parte delle sanzioni. Per questo, dall’apertura della campagna elettorale, Rohani si è trovato a dover fronteggiare i violenti attacchi dalle correnti più conservatrici del regime, secondo le quali avrebbe

messo in pericolo la sicurezza nazionale facendo troppe concessioni alle grandi potenze. Inoltre, è stato accusato di non aver risanato l’economia, né risolto la disoccupazione. A fianco degli oppositori politici si è schierata la guida suprema Ali Khamenei che è il capo di stato di un apparato clericale con la precedenza sulle istituzioni elette, sulla presidenza e sul parlamento. Controlla le forze armate, la polizia, la giustizia, i mezzi d’informazione e i guardiani della rivoluzione, l’esercito del regime. Khamenei è gravemente malato. Il problema della sua sostituzione potrebbe porsi durante i quattro anni dell’attuale mandato presidenziale, e la costituzione conferisce al presidente della repubblica un ruolo fondamentale nel processo di successione. Per questo conservatori e guida hanno lottato in ogni modo per evitare che Rohani potesse essere a capo dello stato in un momento così decisivo. Ma se i conservatori hanno duramente attaccato Rohani, i due principali leader del fronte riformista iraniano – l’ex primo ministro Mir Hossein Mousavi e l’ex presidente del parlamento Mehdi Karoubi, agli arresti domiciliari dal 2009 – hanno appoggiato la sua rielezione. La candidatura di Rohani ha ottenuto anche l’appoggio dell’ex presidente Mohammad Khatami, che è considerato la guida morale dei riformisti. Parte dei suoi sostenitori avevano però accusato il presidente di non aver

agito concretamente per limitare il potere delle forze di sicurezza e ridurre le restrizioni sul modo di vestirsi, comportarsi e riunirsi degli iraniani. E gruppi internazionali in difesa dei diritti umani e attivisti sostenevano che l’amministrazione Rohani non si fosse impegnato per portare maggiore libertà sociale e politica. Decine di attivisti, giornalisti, blogger e artisti sono infatti in carcere. Rohani si è difeso molte volte sottolineando che lui non aveva alcun controllo sugli arresti, organizzati e decisi dalle fila più conservatrici del potere giudiziario e dalle guardie della rivoluzione. Ciò di cui aveva bisogno per vincere, il presidente uscente, era di far aumentare l’affluenza portando alle urne coloro che solitamente non votano, perché condannano il regime in toto. Rohani ha così denunciato il regime, riuscendo a coinvolgere quasi il 70 per cento degli elettori. Con il 57 per cento dei voti al primo turno del 19 maggio, il presidente Hassan Rohani è riuscito a vincere sul conservatore Ebrahim Raisi. Questa non è stata l’unica sconfitta dei conservatori che, oltre alle presidenziali, hanno perso le comunali di Teheran e di altre città che fino a poco tempo prima controllavano saldamente. Rohani ha vinto, seppure molti abbiano dichiarato di averlo votato con riluttanza, come afferma un insegnante di musica “Lui stesso è parte del sistema. Votiamo per il minore dei mali”

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Attualità

La nana super fredda E I SETTE PIANETI

di Claudia Pirro IIB

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cco il titolo associato dall’agenzia governativa statunitense della NASA responsabile della ricerca aerospaziale alla favola di una nuova straordinaria scoperta scientifica annunciata il 22 febbraio 2017. Una favola che inevitabilmente affascina, che incanta gli occhi del mondo invitando a sognare e a viaggiare con la fantasia. Trappist 1 è una stella che dista dal nostro sistema solare quasi 380 mila miliardi di chilometri, osservabile dalla costellazione dell’Aquario, nata, a dire degli scienziati, circa mezzo miliardo di anni fa. Con una semplice equivalenza, tenendo conto della misura in chilometri della circonferenza della Terra, raggiungere Trappist 1 significa compiere 9,6 miliardi di volte il giro del nostro pianeta. Una distanza quindi impercorribile con mezzi attuali, ma alla quale gli astrofisici grazie agli strumenti tecnologici di cui oggi, dopo anni di perfezionamento di tecniche sempre più avanzate, dispone l’astronomia moderna, riescono a fare osservazioni molto dettagliate e precise. Quella che illumina i pianeti del nuovo sistema planetario scoperto è una nana rossa, particolarmente debole, fredda e poco luminosa, che è il tipo di stella più diffuso all’interno

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

della nostra galassia (la Via Lattea) di dimensioni facilmente confrontabili con quelle di Giove, avente l’8% della massa solare, e secondo gli astronomi è tutt’altro che sola. A farle compagnia infatti ruotano ben sette corpi celesti, pianeti in tutto simili alla Terra di cui tre si trovano nella cosiddetta zona abitabile, ossia situati nella regione dove teoricamente, considerando la distanza dalla stella, potrebbe essere possibile per un pianeta mantenere acqua allo stato liquido sulla sua superficie, necessaria alla nascita e alla sopravvivenza di ogni forma di vita. Rocciosi per conformazione geologica, dotati di una temperatura media compresa tra 0° e 100° che per via teorica permetterebbe la vita, i pianeti hanno raggio, densità e massa simile a quelli terrestri, sono giovani come la loro stella e si muovono tutti nella stessa direzione orbitando intorno a Trappist 1. Un sistema planetario, come lo hanno definito gli astrofisici, in miniatura rispetto al nostro. La distanza che divide questi pianeti l’uno dall’altro è infatti relativamente breve. “Se foste sulla superficie di uno di questi pianeti avreste una splendida vista degli altri 6. “Non li vedreste come vediamo Venere o Marte dalla Terra, ossia come punti di luce. Li vedreste davvero

come si vede la Luna.” Ha spiegato Michael Gillon, l’astronomo belga dell’Università di Liegi a capo del team di ricerca scientifica. Il progetto ha coinvolto più paesi partecipanti tra cui Cile, Marocco e Belgio e ha permesso di individuare il numero di pianeti in orbita intorno alla stella attraverso la tecnica dei transiti: questa consiste nel desumere la presenza di corpi celesti misurando le variazioni di luminosità dell’astro stesso. Uno studio che interesserà gli scienziati e su cui i centri astronomici stanno già lavorando in previsione dei prossimi anni è l’approfondimento di ricerca riguardo alla composizione chimica dell’atmosfera che circonderebbe i pianeti di questo nuovo sistema planetario. Se essi risultassero protetti da un’atmosfera costituita da elementi come l’ozono, l’ossigeno e l’azoto, significherà avere segni certamente più concreti di una possibile presenza di vita. A verificarlo sarà il James Webb Space Telescope (JWST) attualmente in costruzione che verrà lanciato nell’ottobre del 2018 e che sarà dotato di un’imparagonabile risoluzione, definizione e sensibilità al fine di fornire agli astronomi sempre più precise informazioni riguardo a questo sistema planetario.


di Elisa Boscani IIB

Violenza gratuita

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6 Marzo 2017: I telegiornali italiani tra le tante notizie del giorno annunciano che Emanuele Morganti, un 20enne di Alatri, in provincia di Frosinone, è morto la sera precedente pestato da un gruppo di ragazzi più grandi di lui nei pressi del locale Mirò. Emanuele quella sera era uscito con Ketty, la sua fidanzata, e i due avevano appuntamento con un loro comune amico, Gianmarco. All’interno del locale Emanuele, provocato, secondo la fidanzata, da un ragazzo (che dopo si è saputo essere Domenico Paniccia) aveva reagito in modo tale da accendere una rissa. Lo scontro tra i due giovani ha richiamato l’attenzione dei buttafuori che hanno fatto uscire entrambi dal locale. Di questo momento abbiamo la testimonianza di Sofia Santoro: “ Emanuele chiedeva spiegazioni ai quattro buttafuori del perché lo avessero allontanato in quanto non era lui che dava fastidio nel locale. Emanuele nella circostanza veniva spinto dai quattro, da me riconosciuti, all’esterno. Nel contempo, scaturiva una rissa che iniziava dapprima tra Emanuele e i quattro buttafuori, ai quali poi quasi immediatamente si aggiungevano Mario Castagnacci, il padre Franco e altre persone”. Perché i buttafuori non hanno cercato di dividerli e capire cosa fosse veramente successo invece di allontanare il “problema”? Arrivati fuori dalla discoteca Emanuele viene picchiato ripetute volte da coloro che diventeranno i suoi assassini. Nel gruppo degli aggressori, secondo la testimonianza di Marco Morganti, c’era anche Franco Castagnacci, padre di

Mario Castagnacci, cuoco di 27 anni, che verrà successivamente arrestato col fratellastro Paolo Palmisani, 20enne che, come Mario, era ben noto alle forze dell’ordine per presunto spaccio di droga e altri crimini. Marco infatti racconta: “All’esterno del locale ho notato un gruppo di persone tra cui ho riconosciuto Emanuele, Mario Castagnacci, Paolo Palmisani, i buttafuori del locale e una persona un po’ più anziana con un maglione bianco che successivamente ho saputo essere Franco Castagnacci, padre di Mario. Emanuele aveva la maglia strappata e un po’ di sangue che gli usciva dalla bocca. Mentre stavamo parlando su cosa era successo dentro il locale, Paolo Palmisani ha cominciato a colpire Emanuele con uno schiaffo in faccia, subito dopo Mario Castagnacci lo colpiva con un altro schiaffo. Ricordo di aver visto Emanuele scappare verso la parte alta della piazza”. Quando finalmente riesce a liberarsi dei suoi aggressori è molto debole. Viene infatti inseguito e facilmente raggiunto da questi ultimi che riprendono il massacro con l’aiuto di una spranga recuperata da Paolo Palmisani nella sua auto. Così dice infatti la testimonianza di Veronica, ex fidanzata dell’aggressore: “Dietro la panchina era parcheggiata la Fiat Punto grigio scuro che so in uso a Paolo Palmisani. In quel frangente ho visto Paolo venire di corsa verso la sua auto. Proveniva dalla fontana che è al centro della piazza. Vicino a lui c’era la sua ragazza Michela. Ho visto Paolo che allontanava da se la ragazza che non voleva fargli aprire lo sportello della macchina. Paolo gridava che doveva prendere la pistola e la ragazza

cercava di fermarlo”. Veronica ha aggiunto che probabilmente Paolo era sotto effetto di alcool o stupefacenti, di cui faceva uso anche durante la loro relazione. Gianmarco, vedendo l’amico a terra sanguinante, gli corre in aiuto, proteggendolo con il suo corpo, come fanno Marco Morganti, cugino della vittima, Lorenzo Fanella e Riccardo Milani, amici di Emanuele. Gianmarco, sebbene con conseguenze meno gravi di Emanuele, viene pestato. Terminato con lui ricominciano con Emanuele. Purtroppo il tentativo degli amici per Emanuele è inutile, il 20enne morirà infatti in un letto del Policlinico Umberto I di Roma. Dopo la morte di Emanuele, oltre ai fratellastri sopra citati, sono stati arrestati altri aggressori. Il dolore della famiglia di Emanuele è stato, e tuttora è condiviso da moltissime altre persone. Da non dimenticare in questa storia è Ketty, che ha parlato nel programma pomeridiano di Barbara D’Urso “Pomeriggio Cinque” esprimendo il dolore per la perdita dell’amato, la confusione e il senso di impotenza di quegli attimi. Le motivazioni del pestaggio, sulle quali si sono formulate molte ipotesi, sono ancora da chiarire. Dicono sia stato per un regolamento di conti o per affermare la loro supremazia nel quartiere. Qualunque sia il movente, non giustifica l’azione brutale compiuta da quei ragazzi. E ora che Emanuele non è più in questo mondo, noi possiamo solo augurargli di essere felice lassù. Il bene e il supporto che tutte le persone hanno espresso nei suoi confronti sono la vera giustizia. (Le fonti utilizzate sono IlGiornale.it e LaRepubblica.it)

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Attualità

RESISTENCIA PACIFICA

La città delle donne desplazadas

di Giulia Martinez IIIB

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esistono le desplazadas colombiane, resistono coese e unite nella volontà di riscattarsi da una doppia tirannia: i conflitti armati e la violenza di genere. E ricostruiscono, mattone per mattone, casa dopo casa, la propria identità, acquisendo dignità e autonomia. Nella periferia sud di Tubarco, vicino a Cartagena, si svela un sogno diventato realtà: 98 case edificate interamente dalle donne della LMD ( Liga De Las Mujeres Desplazadas), fondata nel 1998 grazie al sostegno dell’avvocatessa Patricia Guerrero. La Liga riunisce donne vittime del desplazamiento forzado, prodotto del conflitto armato colombiano, durato oltre cinquant’anni ( attualmente, forse, in via di risoluzione): i paramilitari di estrema destra ( secondo le Nazioni Unite responsabili dell’80% delle vittime civili) e in minor misura anche i guerriglieri comunisti delle FARC o dell’ELN, occupavano regioni fedeli al partito avversario e commettevano omicidi contro i membri politici locali, scacciando e uccidendo i civili, spesso spariti nel nulla. L’obiettivo della LMD, dunque, era quello di costituire un nuovo quartiere, dove le donne, dopo aver perso casa, lavoro e spesso anche diversi familiari, potessero risiedere, all’insegna di una vita pacifica e dignitosa. E così le desplazadas hanno lavorato per tre anni al progetto, ideandolo e diventando poi, nella pratica, architette e muratrici. L’opera si è tradotta in una forma di riscatto sociale, fondamentale per le donne colombiane, da sempre svilite a causa del modello femminile loro imposto e soggette a violenze e stupri: ogni giorno in Colombia vengono uccise in media quattro donne. La mera funzione di oggetto asservito all’uomo relega la donna ad una condizione di passività; nel contesto colombiano poi, dove la violenza è abitus politico e sociale, l’idea di una donna incapace di generare 6

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violenza, poiché fisiologicamente generatrice di vita, le nega la presunta affermazione politica. Le desplazadas della LMD hanno reagito con coraggio, dando prova di una politica alternativa, attiva, concretamente vissuta nel quotidiano, del tutto estranea a una possibile accusa di vittimismo monolitico. Il progetto della Liga è potente, di una vitalità devastante, proprio perchè originato dal basso, da una minoranza in lotta pacifica per il diritto alla vita e per l’uguaglianza sociale. Il quartiere è dotato anche di una scuola, in cui figli e figlie sono istruiti ed educati ad un nuovo modello di vita, volto ad abolire nette distinzioni di genere, terreno fertile per la completa subordinazione della donna. Già il nuovo quartiere vede le donne stesse intestatarie legali delle proprie case, e quindi con pieno potere decisionale e amministrativo. Grazie al lavoro di tutte, oggi anche i mariti hanno cambiato atteggiamento, sono più rispettosi e si dedicano anche ad attività considerate tradizionalmente femminili. La LMD si propone inoltre di costruire altre città delle Donne in tutta la Colombia e ha fondato la Liga de los Jovenes, orientata alla formazione di ragazze e ragazzi a

proposito di diritti umani e risoluzione dei conflitti, per mantenere viva la memoria del passato ed evitare di ricadere negli stessi errori. Ovviamente costruire la città non è stato così semplice: il progetto rivoluzionario è stato più volte ostacolato e osteggiato sin dal primo periodo di formazione. Uomini incappuciati e paramilitari hanno ucciso, stuprato e continuato a girare nei cantieri per intimidire. Alcune donne sono fuggite per la paura, la maggioranza però ha resistito. Anche terminata la costruzione della città, i problemi non hanno avuto fine: il Rifugio, primo centro multifunzionale del quartiere, è stato incendiato e la Liga lo ha subito ricostruito, rinominandolo Corazon de las Mujeres. Oggi il centro presenta una cucina, un’ampio patio per gli eventi e le riunioni della LMD; ha ospitato tra l’altro uno spettacolo teatrale proprio sulla storia della Città delle Donne, realizzato dalla compagnia Teatro en linea de sombra, autrice del murales dipinto su una parete del centro. E proprio lì, sullo sfondo, si staglia una figura femminile, altissima nella sua veste a righe bianca e celeste, mentre altre braccia spuntano, altre mani stringono i fiori della speranza e le dita s’intrecciano agili, operaie, forti.


Portofranco di Giulio Castelli VD

T

Quando studiare diventa interessante

alvolta, soprattutto fra noi ragazzi, parole come scuola, studio, verifica, sembrano evocare scenari e situazioni spesso sofferte e ritenute marginali nella vita personale di ciascuno, come se si considerasse la scuola una realtà importante ma slegata dal resto della vita. La cosa non dovrebbe sorprendere visto l’ultimo rapporto quadriennale dell’Oms sulla salute e il benessere dei giovani, dal quale emerge che in Italia solo il 26% delle undicenni e il 17% dei coetanei maschi si dichiarano entusiasti della scuola, e che il 72% delle quindicenni e il 51% dei ragazzi sono colpiti da stress. E’ in questo difficile contesto per la crescita e l’educazione dei giovani che il sacerdote don Giorgio Pontiggia, fedele discepolo di don Luigi Giussani, 17 anni fa inizia con alcuni professori l’avventura di Portofranco. Il desiderio di don Giorgio era di aiutare i ragazzi non ampliando il loro diverimento con viaggi e svaghi, ma condividendo il loro bisogno, le loro fatiche quotidiane, quindi soprattutto la scuola. Premeva far nascere a Milano un luogo pubblico, libero, aperto a tutti, dove incontrare i giovani nel loro bisogno di essere sostenuti nello studio, trasmettendo loro il gusto e la passione

per la conoscenza. “La cosa più importate è che il ragazzo si senta guardato in un rapporto uno a uno che favorisca la sua responsabilità, la ricerca di un significato e di un gusto nel fare le cose”. A parlare, in una breve conversazione avuta nel suo studio, è Alberto Bonfanti, responsabile educativo dell’opera. “E’ sempre un rapporto personale e gratuito che provoca la libertà a mettersi in moto; il ragazzo è mosso dall’interesse e dalla passione che viene dimostrata per la materia e per lui stesso. Noi ci poniamo come ausilio alla scuola, per far scattare nel giovane un interesse che lo renda più attivo in classe, tanto che sono i professori a mandarci gli studenti che da quando vengono qua non solo migliorano didatticamente ma sono più aperti, più vivi”. Don Giorgio raccontava come “alcuni ragazzi che non andavano più a scuola e non studiavano più hanno ripreso a farlo, non perchè noi siamo stati più capaci di insegnare la matematica e l’italiano, ma perchè nella matematica e nell’italiano si è comunicato un senso, qualcosa che è più grande della matematica e dell’italiano: in altre parole abbiamo ridestato la persona”. La missione principale della scuola è proprio questa: far emergere la persona. Non è tanto la conoscenza di nozioni slegate fra loro, ma la scoperta di sè, del proprio io. Ecco perchè Po r t o f r a n c o p u ò considerarsi “vera scuola”, perchè è un luogo di crescita in un cammino dove non si è soli. Quello che soprattutto colpisce è la gratuità con cui i ragazzi universitari spendono il loro tempo a Por tofr anco, ed è questo

che provoca maggiormente i liceali che vengono per essere aiutati: vedere un ragazzo poco più grande passare con lui gratuitamente il pomeriggio. “Gratuità -diceva don Giorgio- significa qualcuno che ti vuole bene, qualcuno che si interessa a te gratuitamente, cioè che non ha altro scopo”, e non è uno sforzo psicologico, ma un’esigenza che nasce da una pienezza e da una gioia vissuta, sperimentata. Continua Alberto: “I volontari vengono qua anzitutto per se stessi, infatti mentre la generosità è qualcosa che dai agli altri ma che ti svuota, la carità nel momento in cui viene data ti realizza”. Rappresentativo del clima di apertura e condivisione che si respira a Portofranco è il gran numero di stranieri che lì trovano un aiuto e una compagnia concreti: “Nel tempo è aumentata la presenza di stranieri che hanno bisogno di questo tipo di aiuto allo studio e di un luogo dove poter stare; adesso più del 30% di ragazzi che vengono sono stranieri. E posso dire di aver visto nascere, in tutti questi anni, amicizie fra egiziani copti, musulmani, cattolici, atei. L’idea di guardare il bisogno per quello che è, a partire dall’aiuto allo studio, ha fatto di Portofranco un luogo di aggregrazione, di amicizia. Questa era l’idea di don Giorgio: ci si lega ai ragazzi non promettendogli divertimenti e svaghi, magari anche costosi, ma a partire dal loro bisogno concreto di essere aiutati nella fatica dello studio.” Un’ultima domanda prima di salutarci: quale risposta dare di fronte al nichilismo oggi dilagante nella società soprattutto fra i più giovani? “Occorre partire sempre dalla fiducia che l’altro, musulmano, ateo, cattolico che sia, ha un cuore, desidera essere felice, e su questa consapevolezza diventare amici. Io sono professore in un liceo statale di Milano e mi accorgo che di fronte al nichilismo vince la tua passione e il guardare il singolo ragazzo, non la classe che è un’entità sociologica. E più si va avanti questo essere guardato personalmente, per i ragazzi, diventa decisivo. Quello che può vincere è dimostrare di essere appassionato a quello che fai”.

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Attualità

rubricami

Kandinskij, il cavaliere errante

Dal 15 marzo al 9 luglio 2017, MUDEC-Museo delle Culture di Alice de Kormotzij VA

Q

uesto è il mio ultimo vero articolo sull’Oblò, non un giornalino, ma un giornale, e forse anche molto di più, ma probabilmente questo lo sa solo chi l’ha vissuto e soprattutto chi lo sta ancora vivendo, inconsapevole di quanto gli mancherà. Ma non è di questo che voglio parlarvi. Kandiskij torna a Milano con una mostra inedita, che riunisce 49 sue opere provenienti dai maggiori musei russi, georgiani e armeni (come l’Ermitage di San Pietroburgo, la Galleria Tret’jakov, il Museo Puškin e il Museo Panrusso delle Arti Decorative, delle Arti Applicate e dell’Arte Popolare di Mosca), alcune delle quali mai viste in Italia, a 85 icone, stampe popolari ed esempi di arte decorativa, che ispirarono fortemente il periodo di formazione del suo immaginario visivo e dimostrano quanto egli fosse legato alla tradizione pittorica russa. “Come tutti i bambini, mi piaceva enormemente cavalcare. Per accontentarmi, il nostro cocchiere mi foggiava a guisa di cavallo bastoni sottili da cui ritagliava strisce di corteccia a spirale”. Il voler essere un cavaliere che percorre spazi inesplorati è un desiderio che lo accompagna fin dall’infanzia e che caratterizza anche la sua produzione artistica, alla conquista di nuove frontiere artistiche mai percorse prima. Il fondatore dell’Astrattismo, moscovita di nascita, mentre frequenta la facoltà di giurisprudenza, si appassiona profondamente all’etnografia; nel 1889, trascorre più di un mese nel Governatorato di Vologda, nel nord della Russia, studiando le credenze e il diritto penale dei Komi e degli Ziriani, gruppi etnici russi. È proprio in questo periodo che ha una rivelazione, e dirà 8

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poi nella sua autobiografia: “Nelle loro isbe mi sono imbattuto per la prima volta in questo miracolo, che in seguito divenne uno degli elementi del mio lavoro. Qui ho imparato a non guardare al quadro generale dall’esterno, ma a ruotare intorno a esso, a vivere in esso. Quando sono entrato nella stanza, la pittura mi ha circondato, e sono entrato in essa”. Le stampe popolari, le immagini, le icone di queste popolazioni lo portano a rinunciare a una cattedra di legge in Estonia, e a partire per Monaco, dove, iscrivendosi all’Accademia, dedicherà la sua vita intera all’arte. La mostra abbraccia l’intero periodo di formazione del suo immaginario visivo, dalla pittura narrativa alla svolta ormai definitiva verso l’Astrattismo, e si conclude nel 1921, quando Kandiskij si trasferisce in Germania, per poi non fare più ritorno in patria. Il percorso espositivo non si limita però solo a questo: un interessante, anche se

talvolta poco chiaro, gioco multimediale composto da tre installazioni ha l’obiettivo di permettere agli spettatori di “passeggiare nei quadri”, proprio come lo stesso Kandinskij avrebbe voluto, entrando nell’arte grazie a un’esperienza sinestetica, resa possibile da Silvia Burini, professoressa di Storia dell’Arte Russa e direttrice del CSAR dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che insieme alla giornalista e critico d’arte Ada Masoero ha curato la mostra. Le installazioni appaiono molto suggestive, soprattutto per grandezza, tuttavia, a mio parere, il fine che si cercava di raggiungere risulta un po’ disperso e non immediato. In ogni caso, la visita vale la pena: vi sono alcune opere che si potrebbero ammirare per ore, senza riuscire a cogliere un significato univoco, come diverso è anche quello trovato da eventuali accompagnatori al nostro fianco, cosa che rende l’esperienza davvero irripetibile.


Dopo 60 anni: quale futuro per l’Europa? di Costanza Paleologo IVA e Larabella Myers IVC

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’Inno alla Gioia e 60 secondi di immagini: gli anni dell’Unione. Così il 31 marzo si apre a Milano il convegno organizzato da “Amici di Zona 2”, “Noi Zona 2”, la Rappresentanza della Commissione Europea e l’Ufficio di Informazione del Parlamento Europeo a Milano. Nella sala Gaber del Pirellone più di duecento studenti incontrano importanti esponenti del contesto politico europeo per dialogare e raccontare l’Unione Europea, che spesso può apparire distante, enigmatica, dispotica e contraddittoria. Subito due messaggi delle istituzioni: quello di Maroni cita il momento di crisi che attraversa l’UE e la negoziazione di Brexit a ridosso dell’anniversario dei Patti di Roma, mentre Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, sollecita a ricordare ciò che l’Europa è stata per comprenderne il futuro: una “unione indispensabile” che garantisce l’apertura dei confini, il flusso dei commerci e persegue la parità di diritti e di standard sociali e ambientali. La pluralità europea è un vantaggio per tutti i suoi cittadini poiché nessun paese è abbastanza grande per competere e difendere i diritti della sua popolazione. Il professor Alfredo Canavero presenta in nuce le tappe fondamentali della formazione dell’UE, a partire dall’idea nata nel disagio del secondo conflitto mondiale per cui “questa guerra finirà e da questa guerra nascerà un’Europa unita”, attraverso i riassestamenti, progetti e impegni che hanno plasmato l’Europa attuale. Un fil rouge che attraversa la mattinata sono le considerazioni sulle sfide che l’Unione si trova a affrontare con l’emergere dell’individualismo, dei populismi e di movimenti nazionalisti in un periodo di crisi internazionale evidenziata dalla questione dei migranti. Il climax del convegno si raggiunge quando sono i giovani a parlare della loro Europa: Larabella Myers, Simone Santini, Giulia Ghedini, Francesco Cassani, Edoardo Palli, Alberto Galli, Lisa Ciavattini e Zeno Ferretti intervengono alla tavola rotonda moderata da Giovanni Borsa facendo emergere sentimenti e storie

della Generazione Erasmus, nata nell’Europa e cresciuta con l’Europa, e che quindi la sente come realtà vitale e ne percepisce più di chiunque altro il rischio del declino. Universo affascinante e spaventoso, alimenta sogni e disillusioni. Dalle sensazioni e aspirazioni dei ragazzi emergono le tematiche emblematiche dell’incontro: l’importanza del dialogo e della collaborazione, a partire da una buona educazione, per promuovere unità e integrazione e creare una comunità inclusiva, rispettosa dei diritti e delle libertà degli individui in un mondo moderno e globalizzato che soffre gli individualismi, i nazionalismi e le separazioni antistoriche e inefficaci. I giovani vogliono spronare l’Europa affinché presti attenzione alle realtà locali e le armonizzi in un contesto macroscopico. Lo spirito è accolto con piacere da Enrico Letta che incalza e invita a “cambiare discorso sull’Europa”; la risposta europea ai problemi richiede di rinnovare i suoi mezzi, ritrovare fiducia nelle sue potenzialità, nelle sue istituzioni. Secondo l’ex premier sono necessarie figure forti, credibili e competenti. Sta ai giovani essere i pionieri di una nuova Europa condivisa e concreta. Dopo un rigenerante coffee break, si torna a discutere sulla nostra Europa, e lo fanno i componenti della seconda tavola rotonda, moderata da Fabio Pizzul: l’On. Patrizia Toia, l’On. Brando Benifei, l’On. Alessia Mosca, Francesco Laera e Bruno Marasà. Patrizia Toia, deputata al Parlamento europeo, esprime il suo rammarico per la Brexit, dispiacendosi per i suoi colleghi britannici europarlamentari, ma riconferma la decisa posizione del Parlamento europeo nel non rendere questa secessione facile per gli inglesi e ribadisce che non ci sarà alcun cambio di rotta da nessuna delle due parti. Inoltre affronta una rilevante questione, quella dell’Europa percepita come dell’élite e non del popolo. L’Unione Europea dovrebbe essere sentita e vissuta come occasione di integrazione, di completamento (e non di sostituzione) della nostra identità, non invece come un’entità incombente eppure lontana dalla nostra

quotidianità. Patrizia Toia sottolinea poi l’importanza di sentirsi parte dell’Europa, che ha bisogno del supporto di tutti i suoi cittadini, non un labirinto del “nonluogo” ma una realtà dove ogni luogo è luogo d’Europa. Conclude il suo discorso auspicando che nel futuro l’Europa sia sempre più al centro del nostro comune sentire e del nostro impegno. Dopo Patrizia Toia prende la parola Brando Benifei, l’eurodeputato più giovane del gruppo dei socialisti e democratici. Esprime la sua preoccupazione per le rappresentazioni fuorvianti, quasi grottesche, che delle istituzioni europee forniscono i media. Racconta la realtà del Parlamento europeo, che egli vive in prima persona tutti i giorni: lì vengono prese decisioni vincolanti per i singoli Paesi europei, in quanto l’Europa non è fatta solo dai vertici dei governi e dalle loro assemblee ma anche e soprattutto dall’apporto legislativo degli europarlamentari. Parlando del rapporto fra il Parlamento e i cittadini europei, Benifei approfondisce in particolare i modi attraverso i quali i giovani possono concretamente entrare in contatto con questa istituzione (è possibile, per esempio, assistere in streaming alle sedute plenarie del Parlamento europeo) e commenta, tuttavia, il paradosso per cui più si producono informazioni meno vengono viste e tanto meno cercate, il che conferma che, almeno nell’ambito della comunicazione, less is more. Francesco Laera, Addetto stampa della Rappresentanza regionale della Commissione europea, parla poi dei nuovi progetti finanziati dall’Unione, come l’Erasmus, creato nel 1987, che presto potrebbe diventare un’occasione di studio all’estero non solo per chi frequenta corsi universitari. Laera sottolinea infine come anche sul presupposto dell’uguaglianza si fondi il concetto d’Europa. Le riflessioni e i sentimenti suscitati da questo incontro ci accompagnano ora in un cammino che noi giovani, in prima persona, dobbiamo intraprendere nella convinzione di essere, già da ora, cittadini d’Europa..

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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cronache carducciane Se dovessimo scegliere un momento che possa descrivere la IX edizione del CISS (Convegno Italiano di Stampa Studentesca) sceglieremmo sicuramente l’ultima sera. Mentre nel cortile dell’unico ostello di Perugia un gruppetto di redattori di vari giornalini gelava, tre quarti del CISS, stipato in una stanza, si conosceva in maniera approfondita scambiandosi consigli da fashion blogger e appianando antiche divergenze. Figli di quella sera, oltre a un trattato di pace firmato alle 3.46 a.m. dalle due fazioni opposte, sono gli articoli che state per leggere. Le due pagine che avete sotto agli occhi sono due (come disse una volta la vecchia e saggia Cri Isgrò) e vi racconteranno il CISS da quattro punti di vista differenti. Leggerete le parole eleganti e raffinate del Parini, quelle serie (eh, voleeeevi) dell’Einstein, quelle romane de Roma dell’Aristotele e ...le nostre, di cui spetta a voi un’accurata aggettivazione giudicante (brivido).

ciss

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convegno italiano di stampa studentesca, tra giornalismo e divertimento

on so se sappiate cos'è il CISS e presumo non abbiate idea di chi io sia, quindi andiamo con ordine. Il CISS è il Convegno Italiano della Stampa Studentesca e io sono Giorgio Colombo, studente del Liceo Parini, che quest'anno, insieme ad Alice Alessandri, ha avuto il compito e il piacere di organizzare questa riunione. Come dice lo stesso nome, il CISS è un convegno cui partecipano redazioni di giornali scolastici da tutta Italia che per tre giorni si ritrovano a Perugia, in concomitanza con il Festival Internazionale del Giornalismo, per confrontare le proprie esperienze e opinioni riguardo il proprio giornale e la vita in redazione. I temi affrontati quest'anno sono stati molto vari: dalla censura ai contenuti online, passando per racconti satirici e per il rapporto tra giornalini e organi scolastici. Essenziale è dire che il CISS non si limita alle conferenze che si tengono durante il giorno, anzi: il CISS è fatto di serate di divertimento tra molto cibo e ancora più alcol, notti in bianco passate tra chiacchiere e risate e, sembra retorico dirlo ma è proprio così, momenti di crescita personale. In quanto organizzatore posso dirmi, come il resto della mia redazione, soddisfatto dell'esperienza fatta quest'anno: certo, l'anno prossimo cercheremo di fare ancora meglio. Vorrei concludere ringraziando la redazione dell'Oblò per lo spazio messomi a disposizione, l'organizzazione del Festival Internazionale del Giornalismo, in particolare Arianna Ciccone e Daniela Buglione, per averci accolto all'interno del Festival e per il grande aiuto e tutti i "cissini" che hanno reso, come sempre, l'esperienza memorabile.

-di Giorgio Colombo, Liceo Classico Parini (Zabaione) 10

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V


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uest'anno per me è stato l'anno delle ultime volte e, tra le tante, sono riuscita a vivere anche l'ultimo Ciss. Avete presente quella bellissima sensazione quando riuscite a prepararvi per tempo per una scadenza importante e, al momento opportuno, sapete alla perfezione ciò che dovete dire e quando dirlo? Noi no, perché la perenne disorganizzazione della nostra redazione ci ha portati a preparare l'assemblea poche ore prima di dover salire sul palco. Ma il bello del Ciss è anche questo, vedere che, comunque vada, c'è sempre qualcuno messo peggio e, se non c'è, di sicuro non manca gente disposta ad aiutarti a migliorare, a confrontarsi con te, ed è proprio grazie al Ciss se noi adesso siamo ancora qui. L'anno scorso ci siamo presentate in due, raccontando una redazione così disastrata da risultare comica, abbiamo raccolto consigli e quest'anno siamo tornate in quattro, raccontando una redazione disorganizzata, buffa, ma sicuramente non disastrata. Il Ciss è probabilmente stata la più grande occasione di crescita a cui ci sia mai capitato di partecipare come redazione, un luogo dove non mancano mai idee e spunti nuovi, in cui tutte le redazioni lavorano insieme con spirito leggero, dando largo spazio a scherzi e battute, pur tenendo ben presente l'obiettivo comune: migliorare e migliorarsi.

-di Fiammetta Morandi, Liceo Scientifico Einstein (Scripta Restant)

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iamo in un periodo storico in cui viaggiare è alla portata di tutti, in ogni dove e in ogni momento. Anche io posso dire nel mio piccolo di aver viaggiato molto, ma se mi dovessero chiedere quale viaggio ripeterei all’infinito, la mia scelta sarebbe decisamente il CISS. Poiché non è solo un viaggio, ma un’esperienza, nella quale ci si confronta con altri e con sé stessi, nella quale ci si fa un bagno di umiltà, una volta tanto, causa il bullismo sfegatato alla “omnium contra omnes” tra le redazioni, nella quale si conoscono persone nuove, con le quali è difficile definirsi sconosciuti, perché in fondo un po’ ci si conosce già, si condividono stesse passioni, stesse volontà e simili approcci alla vita, è un viaggio in cui conta il contesto e non solo la meta. Cosa potrei dire nello specifico? Mi mancheranno un po’ tutti coloro che ho incontrato e che sono consapevole di non vedere mai più, almeno per la maggioranza, mi mancheranno i Pariniani con la loro altezzosità, i ragazzi del giornalotto dalla simpatia sfrenata, i manzoniani dall’animo leggero, i degenerati che se ne stanno sempre tra di loro, il duo Einstein-Carducci che più pazzi non si può, i ragazzi del Riccetto che con la sola voglia sposterebbero il mondo e mi mancheranno tutti gli altri che non nominerò perché altrimenti scriverei quattro pagine. Insomma posso solo augurare un buon CISS a venire a tutti e ricordare che Articolo21 è meglio dell’Oblò :-P

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-di Marco Perulli, Liceo Scientifico Aristotele (Articolo21)

l CISS è tante anime diverse, tante redazioni, realtà e ragazzi diversi. Così come anche l’Oblò, dove non vince mai il pensiero unico, ma ci si confronta anche tra opposti. Per questo motivo è così difficile descrivere che cosa è stato il CISS per noi. CISS vuol dire confronto, ascolto, vuol dire entrare alle 14:30 in sale conferenze e poi iniziare il lavoro alle 15, vuol dire insultare (amichevolmente, si intende) i pariniani, vuol dire mostrare la nostra immensa superiorità a tutti quanti, vuol dire redattori dell’Oblò confusi con quelli dell’Einstein e quelli dell’Einstein confusi con quelli dell’Oblò, vuol dire la solita domanda alle redattrici dell’Oblò: “ma da voi ci sono uomini?”. CISS vuol dire anche la sera in centro a Perugia, cantare Mannarino stonando per le strade, tornare all’ostello tardi e svegliarsi la mattina presto per tenere le conferenze, vuol dire file immense per andare a sentire la conferenza di Lercio, vuol dire fare amicizia proprio con quelli con cui mai avresti pensato di diventare amico. E tutto questo è stato il CISS di quest’anno. Sicuramente è stato un CISS che ha gettato le basi non solo per collaborazioni future, ma soprattutto per amicizie, non solo tra ragazzi della stessa città. E questo è un aspetto fondamentale del CISS, che permette di seguire in modo serio argomenti importanti, permette di capire modi diversi di fare un giornale studentesco e non solo, dato che è presente anche la stampa internazionale con dibattiti di alto livello; ma permette anche, e quest’anno lo ha permesso in modo particolare, di creare una rete che non è solo di redazioni, ma di persone, una rete relazionale-redazionale che si è creata per una strana alchimia e che ci auguriamo possa durare nel tempo. Perché solo dalla compartecipazione e dal confronto possiamo crescere come giornali scolastici e come persone. E ben venga se questa connessione non è avvenuta solo tramite i consueti canali del confronto nelle conferenze, ma anche per le strade di una meravigliosa Perugia notturna, quando si era perso l’ultimo metrò (minimetro per l’esattezza) e le parole fra noi rendevano più breve il cammino, o in una stanza troppo piccola per tante persone, ma che diventava immensa per troppi pensieri.

-l’Oblò sul Cortile

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cronache carducciane

C

aro Carducci è arrivato il momento di salutarci. Mi ricordo il primo giorno di cinque anni fa: ero un po’ spaventata ma contenta, nonostante sapessi di aver intrapreso una strada impegnativa. Col senno di poi penso che questa scuola la rifarei, anche se molte volte ho pensato di mollare… e invece alla fine ti sono stata fedele, caro Cardu. Alle nuove reclute invito a resistere, perché quando arrivi alla fine, puoi solo essere fiero di dove sei arrivato e di tutto quello che nel mentre hai imparato. Non c’è vittoria più gloriosa di una gara battuta fino alla fine. Invece ai picciotti uscenti faccio un in bocca al lupo per la maturità che ci aspetta. Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno! Addio Carducci, è stato bello ma non troppo! -Greta

N

on avevo mai considerato prima di questo mese la possibilità che, giunta alla conclusione del mio quinto anno al Carducci, avrei potuto provare altro che sollievo alla prospettiva di uscirne. Forse è per tutta la rabbia che mi ha dato nei momenti in cui ho pensato, tirando le somme, che avesse preso da me più di quanto mi avesse dato, o forse è per il fatto che considerarmi una ‘sopravvissuta’ a questa scuola mi sembra ridicolo (perché in teoria non penso dovrebbe essere una battaglia), anche se non trovo altri termini. Ciononostante il mio cuore si riempie di tenerezza e di malinconia quando mi ritrovo oggi, come la persona che sono diventata, e che anche il Carducci mi ha reso, a fare o ad assistere alle stesse cose che facevo quando avevo quattordici anni, quand’ero piccola. Guardando indietro, da un punto di vista matematico, numerico, i momenti di gioia e quelli di infelicità qui dentro probabilmente si equivalgono, ma nella mia memoria i primi, senza dubbio, sovrastano i secondi. Se guardo al futuro, invece, provo naturalmente una paura mille volte più grande rispetto a quella provata all’ingresso al liceo, ma con essa sento moltiplicata la mia sicurezza di potercela fare. -Cleo

H

È

immensamente difficile dire addio al mitico Carducci senza essere banale. Quasi cinque anni sono passati, cinque anni che tramutano un bambino delle medie in un diciannovenne. Se sono la persona che sono ora, lo devo anche e soprattutto al Carducci, scuola che mi ha tormentata, gratificata, accompagnata in un percorso che ricorderò sempre, e che spesso ho desiderato di non rimpiangere. Ma, all’alba, mentre scrivo questo pensiero, so che qualcosa rimpiangerò di sicuro: non mi mancheranno le studiate intense, i diverbi in classe, la onnipresente pressione, e penso che queste saranno anche le cose che ricorderò meno nitidamente, che sfumeranno nel tempo; quello che rimarrà vivo in me, o almeno così spero, sarà il ricordo di un ambiente stimolante, di un Oblò sempre più bello e fresco, di persone uniche che forse rincontrerò, o forse no, dei pomeriggi a scuola e non a casa sui libri. Il Carducci mi ha formata, mi ha abituata alla fatica, mi ha fatto capire di essere in grado di raggiungere mete che consideravo irraggiungibili. Non ti dimenticherò, caro Carducci. -Ali

È

arrivato il momento di salutarti, Carducci, un momento tanto atteso e desiderato, ma ormai inevitabile. Non voglio restare, sia chiaro, non ce la faccio più. Sono pronto ad andare con le mie gambe e la mia testa là dove mi porta un vento leggero e silenzioso, senza mai dimenticare chi mi ha fatto camminare molto e spesso correre. Sono entrato in questa piazza che ero un ragazzino; ho imparato molte cose: impegno, perseveranza, dialogo… e ho appreso che le piazze diventano castelli, a volte. A voi, carducciani, rivolgo un invito: non vivete il nostro luogo come in gabbie, perché queste sono nelle segrete dei castelli, non tra i portici di una piazza di paese. Giovanni Spadaro Norella VD

o aspettato fino all’ultimo prima di decidermi a scrivere queste poche righe che mi spettano per salutare il Carducci. Gli addi sono difficili, soprattutto dopo una storia di cinque anni piena di alti e bassi, piena di pianti e di riconciliazioni. Ma, alla fine, nonostante tutto, la verità è che ho una paura folle di quello che sarà senza il Carducci. Ho una paura folle di non entrare più ogni mattina al suono della campanella salutando la Elena, ho una paura folle di non dover più insultare la fila infinita di primini davanti alle macchinette, ho una paura folle di non trovarmi più a domandarmi il perchè delle parole di un filosofo mai sentito, di un poeta dimenticato, di una formula che non imparerò mai. Ho una paura folle di non girarmi e trovare la Cri che mi fa le smorfie durante la lezione, di non impazzire con la Rebe e la Bea perchè i redattori non ci mandano gli articoli, di non incontrare la Cochi con il suo motorino, di non passare i pomeriggi a scuola, di non dover fare la stessa strada alla stessa ora ogni mattina. Mi mancherà ogni singola cosa di questo piccolo mondo che mi ha vista crescere in cinque, lunghi anni. E sì, mi mancheranno anche i pianti, le ore passate in bagno a consolare o a farmi consolare, i professori che neanche dopo tre anni si ricordano il mio nome e quelli che il mio nome se lo ricordano anche troppo bene, mi mancheranno i bisbiglii e i commentini delle ultime file, mi mancherà il greco e mi mancherà inseguire per la scuola professori per spostare le verifiche, mi mancherà non avere un minuto di tregua, mi mancherà non poter dare risposte da “grande” ai primini. Mi mancherà tutto questo, anche se è stato difficile, in certi momenti davvero brutto, mi mancherà, anche se più volte ho pensato che non ce l’avrei mai fatta. E proprio ora che ho più paura di lasciare il Carducci sono pienamente consapevole che lo lascerò col sorriso, contenta, nonostante tutto, del percorso che ho fatto.

-Bibì 12

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V


Io canto, o Giosuè , del multiforme ingegno stipato nelle tue aule Del pianto e dello stridor di denti che poche sufficienze portarono Io canto della sciagura comune dei tuoi naviganti, che cominciò un dì All’inizio del cammin di loro vita Quando per la prima volta le belle caviglie varcarono la tua funesta soglia Oh quanto poco gentil apparisti alla studentesca turba nel tuo glacial volto Molti compagni la tua nave abbandonarono prima ancora di conoscere la dolcezza del ni efelcistico sul labbro prima ancora di godere dell’irregolarità di oida e dell’ellissi del relativo ma i più impavidi resistettero tra i marosi e le sirene di Netflix imparando a rotolare come i saltimbanchi sul filo del 6 a questi pochi eletti mandasti vento favorevole verso un estate senza debiti, verso un una fiorente isola di Ogigia che presto dovettero lasciare per nuovamente salpare. I più fortunati un sogno di corno li spinse verso un’auletta in fondo al corridoio dove un popolo stressato li aspettava, pronto a incantarli con promesse di gloria e fama. Fu così che alcuni sventurati si trovarono a remare con doppio remo per completare il giro attorno all’afelio e il girone infernale per comporre e stampare un libercolo di giornale. Chi abbastanza pazzo si sentì, come io sono e fui, si mise alla testa del piccolo manipolo guidando senza tregua una zattera di duro legno sulla quale pochi buoni compagni, uniti da passione comune e comune disagio, strinsero amicizie profonde sancite con la promessa di non lasciarsi anche quando ciascuno avrebbe preso la sua zattera per seguire nuovi venti. -Bea

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iú si avvicina giugno, piú tutto si intensifica: lo studio, le assemblee, le file alle macchinette, i pomeriggi passati ad elemosinare un credito… Sembra che questa scuola faccia di tutto per costruire un ricordo definitivo, tracciare una bolla intorno al micro-mondo del liceo, proteggerlo dal tempo e dalle passioni che verranno. Ma questi non sono anni che si dimenticano; c’è troppa vita tra questi muri grigi, una vita che per certi versi non possiamo che lasciarci alle spalle. Eppure ci si prepara con serenità a questo addio, consapevoli di andare incontro a qualcosa di nuovo e forse-Marta altrettanto bello.

ggi è il 2 maggio 2017, un giorno qualsiasi per tanti, ma per me è il primo giorno del mio ultimo mese al Carducci. Quando ho varcato per la prima volta il cancello grigio di questo liceo per iscrivermi, ricordo che mia madre, vedendo i ragazzi che stavano facendo la maturità, mi disse: “Cri, guarda, loro hanno già finito!”. Ed io quasi non la ascoltai, mi sembrava un universo così lontano quello dellà MATURITA’ intesa sia come esame, sia proprio come conidzione. E’ nutile che io lo neghi: parecchie volte ho affermato di odiare il Carducci, le sue pareti grigie e la sua gente, forse un po’ troppo indifferente, ma adesso che sono quasi alla fine non posso che dire che mi mancherà.Dio se mi costa ammetterlo! Il fatto è che con il Carducci si chiude un’era, la mia era da studentessa della scuola italiana. Da quando ho saputo di essere stata accettata all’università di Londra guardo tutto in modo diverso e cerco di gustarmi ogni cosa che faccio, quasi con la paura che un giorno, guardandomi indietro, mi possa pentire di non aver fatto tutto ciò che era possibile fare in questa scuola. Io ed il Carducci abbiamo avuto un rapporto complicato fin da subito: questa scuola non amava particolarmente la mia disorganizzazione ed io non sopportavo la sua severità, ma pian piano io ho imparato da lei a gestire il mio tempo in modo migliore e lei da me (e da altri come me) ad essere più aperta di prima e a riempirsi di colori. Il Carducci mi ha permesso di conoscere persone diverse da me, che mi hanno fatto vedere il mondo con occhi nuovi e che, perchè no, mi hanno fatto capire di chi mi posso fidare e di chi invece no. Questa scuola mi ha dato l’opportunità di cercare di superare i miei limiti, perchè anche i pianti in bagno ed i pugni al muro aiutano a crescere, spesso anche di più che i successi facili, mi ha offerto la possibilità di prendere esempio da persone straordinarie, sia più grandi che più piccole di me, che mi hanno fatto capire che non conta l’età di una person, ma a contare sono la sua passione e le sue capacità. Quindi, nella mia valigia per l’Inghilterra, del Carducci porterò molto: porterò la disciplina, l’organizzazione e la dedizione che mi hanno insegnato, ma soprattutto porterò con me le caratteristiche distintive della gente, dei Carducciani, che ho conosciuto: la bontà di ELena, la dedizione di Bianca, il coraggio di uscire dagli schemi di Gaja, l’umiltà di Alice, la schiettezza a-fin-di-bene di Giulia, la tranquillità in situazione d’ansia di Annina, l’immensa gentilezza di Nick (mio figlio), le battute divertenti di Ivo, la gioia di Paolo, al quale sono più che fiera di affidare la mia scuola, la disponibilità di Rebecca, le palle di combattere di Letizia, l’ironia di Sara , lo stile pazzesco di Anna e tante altre qualità che non posso scrivere, perchè altrimenti occuperei 150 pagine. In conclusione, il Carducci mi ha dato tanto e anche se nei primi anni gli sono stata ostile, spero che, alla fine dei conti, abbia dato anch’io qualcosa a lui -Cri

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cronache carducciane

Facefit:

Beauty trainer di se stessi della professoressa Daniela Taini

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a cogestione del Carducci offre sempre originali percorsi formativi. Eleonora Guaita, coach di bellezza di MSP, ente di promozione sportiva riconosciuto dal Coni, ha accolto l’invito del nostro liceo per un breve corso di Facefit: un’insieme di tecniche ed esercizi fisici da dedicare a se stessi. La ginnastica facciale nasce dall’intuizione di una biologa svizzera Joanna Hakimova, ricercatrice dell’Accademia delle Scienze di Mosca e studiosa presso l’Istituto Kol’cov di biologia evolutiva, che, attraverso semplici esercizi muscolari ripetuti ogni giorno, ottiene una tonificazione espressiva in grado di rendere la pelle più elastica, di ridurre le imperfezioni e migliorare la circolazione sanguigna del viso. Il suo metodo si suddivide in tre parti: un trattamento di scultura manuale del viso, con massaggi e creme naturali, un approccio bioenergetico, che permette di produrre elastina e collagene, ed un allenamento individualizzato da praticare ogni giorno. Insegna come cancellare le rughe da soli attraverso semplici esercizi di facebuilding, indispensabili per rinforzare il trattamento e rendere duraturi i risultati. Negli anni ’50 le donne concludevano sempre le lezioni di ginnastica con esercizi mimici del viso: una pratica consolidata, perché il viso era visto come una parte del corpo da allenare sullo stesso piano di ogni altro muscolo motorio. Tutto dimenticato? Sembrerebbe di sì, ma nel viso conosciamo ben 64 muscoli mimici che, se allenati, allontanerebbero per sempre invasive pratiche chirurgiche. Il viso è composto, infatti, da piccoli muscoli disposti sulla superficie facciale che sollevano il labbro, corrugano le sopracciglia, innalzano o deprimono sia l’umore che gli zigomi, strizzano occhi e labbra, stendono il mento, fanno ridere o piangere e stupiscono o spaventano come 14

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

motori degli stati d’animo. Collo e decolté sono direttamente collegati al viso ed esprimono emozioni, preoccupazioni o entusiasmi incisi nei circoli della pelle o nelle “collane di Venere”, presenti a tutte le età. Interessante collegare la mimica facciale come l’epifania del proprio carattere e delle esperienze vissute. Una mappa per far individuare ad esperti educatori un carattere introverso o espansivo, la disponibilità verso l’altro o la ritrosia sociale, un pensiero fisso o la gioia per la vita. Eleonora Guaita è radiosa, solare con un look giovanile, lunghi dreandlocks impreziositi da ciondoli colorati, un viso allenato e una generosità espressiva che rallegra la giornata. Quattro sono gli esercizi da ripetere quotidianamente, alcuni tre volte per 3 secondi, altri per venticinque volte mentre si studia, si guida, si cammina, incuranti dei vicini o degli amici che incuriositi vi copieranno appena sapranno il motivo delle vostre “smorfie”. Ottimizzare il tempo e prendersi cura di sé stessi da soli, in auto, aspettando il bus, in metropolitana, chiacchierando al telefono, guardando la televisione o anche leggendo il De bello Gallico! Il viso inizia ad invecchiare quando viene dimenticato anche da giovani, affidandosi poi ad un trattamento di bellezza basato solo su creme apparentemente miracolose e costosissime. Non bisogna invece dimenticare di prendersi cura di sé, rafforzando il tono muscolare e praticando una semplice attività fisica che delineerà nel tempo i tratti del vostro viso. Per memorizzarli, hanno tutti un nome: - il pesce: fissare le mani alla base del collo, sollevare il mento ed eseguire il movimento del pesce che cerca cibo sulla superficie dell’acqua. - la mela: immaginare di mordere una mela posta vicino al vostro orecchio - il coniglio: una sorta di sfregamento

dentale per eliminare i tagli labiali e rimpolpare le labbra - la mummia (un anacronistico termine che ci vuole vivi e naturali): si arrotonda la bocca e con gli indici si crea una resistenza ai lati degli zigomi - il pensatore: due mani sopra gli occhi, per isolare la contrazione dell’orbicolare dell’occhio - la sfinge: mani sul decolté per tendere il collo e spostare la mandibola oltre il labbro superiore Anche una maschera naturale può contribuire a purificare e levigare la pelle, agendo sulla circolazione del sangue e sulla nutrizione cellulare. Non può mancare la maschera greca nella formazione liceale: mescolare un cucchiaio di yogurt greco con poche gocce di succo di arancia, stendere sul viso ed aspettare che le rughe si appianino. Anche una maschera all’argilla verde con l’aggiunta di un cucchiaio di limone e uno di miele aiuta a tonificare il viso dello studente “imbruttito” dall’ intenso studio serale. Così gli occhi richiedono un’attenzione particolare; disegnare movimenti verso l’alto e verso il basso, spostare lo sguardo verso destra poi a sinistra, ruotare gli occhi ora chiusi e in seguito aperti, fissare la punta del naso ed eseguire piccoli massaggi con estrema delicatezza, usando i polpastrelli delle dita. Infine dopo aver sfregato le mani, producendo energia e calore, appoggiarle sugli occhi per sentirne l’avvolgente beneficio. Per ultimo le orecchie, un orologio del tempo che calcola l’età della persona più dell’impressione data dall’aspetto fisico. Una zona da massaggiare che trasmette un riflesso positivo agli organi interni del corpo. Il massaggio diventa una terapia e l’applicazione di una buona crema un metodo per dimostrare meno anni: un elisir da utilizzare ai primi segni di cambiamento.


Appunti di un anno di presidenza Del comitato studentesco di Valter Valenti IVF

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l Liceo Classico Carducci conta circa 950 studenti. Alcuni hanno deciso di cambiare scuola nel corso del biennio, altri invece di studiare per un anno all'estero, il totale però non è inferiore a 900. Gli iscritti sono in continuo aumento, basti pensare che il numero delle classi prime è diventato in cinque anni il doppio delle quinte. Dunque, la comunità studentesca del nostro Liceo va sempre più ingrandendosi e proprio per questo motivo penso che l'Assemblea del Comitato Studentesco, più nota come Assemblea dei Delegati, assuma un ruolo molto importante all'interno del nostro Istituto. In primo luogo poiché di tutte le persone che fanno parte una scuola, vale a dire studenti, professori e personale ATA, essa rappresenta la porzione più ampia, ossia gli studenti. In secondo luogo, oltre ad occuparsi dell'organizzazione delle Assemblee Plenarie, dell'elezione dei coordinatori del Servizio d'Ordine o della scelta del fotografo, costituisce un momento fondamentale di scambio di informazioni e di idee tra studenti e di confronto tra il Comitato Studentesco e gli altri organi collegiali della scuola.

Infatti, insieme ai raprresentati di classe, fanno parte dell'Assemblea del Comitato Studentesco anche i quattro rappresentati d'Istituto e i due della Consulta ed è proprio grazie a loro che gli studenti possono eprimere pareri, formulare proposte e decidere all'interno dell'Assemblea del Consiglio d'Istituto o della Consulta Provinciale. È quindi necessario che ogni votazione, anche dei rappresentanti di classe, sia affrontata con serietà, che il voto sia destinato ad una persona che, a parer proprio abbia la reale intenzione di rappresentare tutti gli studenti, senza nessuna esclusione né per sesso né per età né per ideologia politica né per religione né per origine. Qualcuno, insomma, che, nonostante le sue idee possano essere contrarie al volere delle maggioranza, sia pronto a difenderlo e sostenerlo. Perché la forza degli studenti non può che risiedere nell'unione e nel rispetto reciproco di idee contrastanti secondo l'esercizio democratico. Altrimenti noi studenti, rimanendo separati e spaccati al nostro interno, non riusciremo mai a condividere un unico progetto e ad avere un peso all'interno della scuola, sebbene sfioriamo il migliaio.

Diventa quindi essenziale che il presidente del Comitato Studentesco si occupi di agevolare al meglio il dialogo delle parti come un moderatore ma soprattutto che si impegni a rispettare i regolamenti, a renderli noti a tutti e a divulgarli, in quanto garanzie dei diritti degli studenti. Infatti osservare le regole serve a tutelarci ed è per questo che ritengo importante che ogni delibera debba essere formalizzata tramite votazione per alzata di mano, che venga trascritto ogni risultato sul verbale e che quest'ultimo sia approvato nella seduta successiva, sebbene tavolta sembri noioso. Per quanto riguarda invece la mia esperienza personale, sono nel complesso soddisfatto. Tuttavia con il senno del poi ci sarebbero alcune cose che avrei voluto fare, ma alle quali non avevo pensato prima: come ad esempio scrivere su questo giornalino, anche ogni tanto, per poter comunicare non solo con i Delegati ma con tutti i lettori dell'Oblò. Oppure pianificare le date di tutte le Assemblee Plenarie all'inizio dell'anno, per rendere così noto fin da subito alla scuola qunado queste si sarebbero svolte e migliorarne in tal modo l'organizzazione che deve seguire un preciso iter burocratico. È chiaro che programmare una Plenaria non significhi doverla fare per forza qualora non venisse proposta alcuna attivitàVorrei in conclusione ringraziare la vicepresidente Giulia Martinez, la segretaria Marzia Lovecchio per la sua precisione nel redigere i verbali, i rappresentanti di Istituto e della Consulta, i coordinatori del Servizio d'Ordine, Letizia Foschi e Sara Manzone che si sono dedicate con immensa passone nell'organizzazio della Cogestione, il Dirigente Scolastico e i suoi collaboratori e infine ringrazio ogni rappresentante di classe per la partecipazione attiva nell'Assemblea, per le ore che le ha dedicato e per la sua collaborazione. Grazie

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Cultura

top secret

di Valentina Raspagni IVA

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os’è la crittografia? Voi Carducciani, saprete sicuramente (o perlomeno fingete) che il termine in questione deriva dal greco “krypt´o-s” (nascosto) e “graph`ıa” (scrittura). La crittografia è quindi l’arte di scrivere messaggi segreti. Affascinante, no? Con crittografia si intende quindi un insieme di metodi, tecniche e algoritmi che consentono di trasformare un messaggio in modo da renderlo comprensibile solamente alle persone che condividono maggiori informazioni riguardo al metodo (la “chiave del sistema”) tramite cui si è codificato il messaggio. Per raggiungere tale obiettivo, il mittente adopera un sistema di cifratura che trasforma il testo originale (plain text) in un crittogramma (cyper text) apparentemente privo di significato e tale che solamente al legittimo destinatario sia possibile estrarre l’informazione trasmessa. Se questo accade, diremo che il “canale di trasmissione” è sicuro. In caso contrario, una terza entità (opponent) potrebbe cercare di intercettare il messaggio e decifrarlo (ruolo passivo) o, addirittura, di immettere suoi messaggi nel canale (ruolo attivo). Mittente e destinatario, quindi, devono essere gli unici a condividere la “chiave”. La crittografia, seppure in forma rudimentale, fu adoperata fin dall’antichità: i primi messaggi cifrati sembra siano contenuti già in alcuni geroglifici egizi della tomba di Knumotete II, risalente al 1900 a.C. In Grecia, gli Spartani utilizzavano, intorno al 400 a.C., la scitala lacedemonica, un bastone verticale su cui erano incisi in ordine le lettere dell’alfabeto. Avvolgendoci sopra un papiro e scrivendo il messaggio verticalmente si aveva il testo trasposto 16

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

sul papiro: solo riavvolgendolo su un bastone di diametro identico al precedente si poteva ricostruire senza sforzi il messaggio originale. Un altro famosissimo cifrario storico è quello di Cesare, che è stato usato per diversi secoli fino all’Alto Medioevo. La sostituzione delle lettere avviene grazie all’uso di un secondo alfabeto costruito partendo da quello originale con le lettere spostate di un certo intervallo numerico prefissato (intervallo che rappresenta quindi la chiave). Cesare utilizzava uno spostamento di 3 locazioni. La parola CIAO, per esempio, diventerebbe FNDR (C->F, I->N, A->D,

O->R). Ai tempi di Cesare questo metodo risultava vincente in quanto molto spesso i nemici di Roma non riuscivano a comprendere un testo in latino, figurarsi uno che sembrava non avere un senso. Dalla scoperta dell'Analisi delle Frequenze da parte del matematico arabo Al-Kindi nell'XI secolo circa, tutti i cifrari di questo tipo sono divenuti molto semplici da infrangere. Basta infatti scambiare ogni lettera con quelle che seguono finché il messaggio non risulta comprensibile oppure utilizzare il metodo dell’Analisi delle Frequenze: avendo i numeri delle ripetizioni nel testo delle varie lettere del messaggio cifrato, se si confrontano con le

frequenze nella lingua in cui si pensa sia il messaggio originale e si abbinano quelle che per frequenza si assomigliano il messaggio dovrebbe essere decifrato. In Italiano, ad esempio, le lettere più ricorrenti in un testo sono le vocali E, A, I, O e la consonante N; inoltre se compare una parola di due lettere, c’è una forte probabilità che essa corrisponda ad un articolo (il, lo…), ad un pronome (mi, ti, ci…) o ad una preposizione (in, su…). Un semplice metodo di cifratura polialfabetica, proposto da B. de Vigenère nel 16° sec. e in uso ancora oggi, consiste nell’utilizzare alcune (o tutte) delle 26 possibili cifre di Cesare; la chiave di questo sistema consiste in una sequenza di caratteri da riutilizzarsi ciclicamente per tutta la lunghezza del messaggio. Se la chiave fosse SOLE e dovessi crittografare il messaggio “attacco all’alba”, saprei che la lettera s si trova nella posizione 19 dell’alfabeto e dunque la lettera a di “attacco”, sarà spostata di 19 posizioni, diventando una s. Allo stesso modo, trovandosi la lettera o di SOLE nella posizione 15, dovrò spostare la lettera t di attacco di 15 posizioni, trasformandola in una h. Seguendo tale procedimento il messaggio crittografato sarà: sheeuqzedzlpto. Arrivando all’epoca moderna, lo sviluppo della tecnica permise di abbandonare la carta e la penna per delegare alle macchine il compito di cifrare i testi. Ed arriviamo così alla macchina Enigma, una delle maggiori sfide per la crittoanalisi, adoperata dai Tedeschi nella II Guerra Mondiale per cifrare i messaggi militari. Per poter decifrare le parole, infatti, era necessario non soltanto possedere Enigma, ma anche conoscere le impostazioni con cui il messaggio veniva crittografato, le quali venivano modificate ogni 24 ore…


UN project: by Giorgia Mulè IIIE

expectations and reality

I

took part in the NHSMUN project, so I decided to write an article about it to tell you all the aspects, positive and negative, of this activity proposed by our school and to give you a little help if you choose to join it next year. First thing, the participation at this project gives 160h of work-related learning, and most of them will be spent in New York (ok, I put the name “New York” in the first lines to make curious so you’ll keep reading the article). But wait, before the journey you’ll have to do lot of hours of lesson about geopolitics, public speaking, international history and other stuff related to the United Nations (UN). This year the courses were set every Monday from 14.30 or 15.30 to 18.30 for 3 months more or less. Every meeting was hold by a different expert and was concerned on a different topic from the previous one. Although the lessons had been very interesting, but a bit boring and too long at the same time, when we arrived in New York we soon discovered that all the notes we had taken for three months were useless. In fact, during our work in New York we used none of the new knowledge learned: if the Italian Diplomatic Academy had told us the importance of those lessons, I wouldn’t have take them so seriously. I cited the Italian Diplomatic Academy (IDA), which is the Italian organization of the UN project, despite “organization” is not the best word to describe IDA. First, the information were diffused at the last minute, as the timetable of the lessons. Second, I’ll never forget the hours spent on writing the Position Paper, which is the position of a country on a topic proposed by the UN associations (SPECPOL, SOCHUM, WHO, ecc). Me and the other participants spent basically all the Christmas holidays writing the PP, which had to be long at least 4 pages. Then, when the lessons started again on January, IDA’s experts communicated us that the Position Paper was just our “business card. The main part of the UN project isn’t about writing one’s own Position Paper: all the delegates of a UN association meet each other in New York and, through debates and coalitions, find together possible solutions to write in two final

common Position Paper. The winner PP will be the most voted by the members of the association. So, when I started the simulation in New York, I realized all that I needed were just quick information about my country’s position, not the 7 pages I had written during winter holidays. Seriously, IDA? Now let’s talk about the main (and most interesting) part of the NHSMUN project: the permanence in New York. Nothing to say about the location: we stayed in the Hilton Hotel on the 6 th Avenue, where we did all the UN conferences, for eight nights. But we spent most of the time around New York, visiting the city and going shopping. The UN activity lasted 3 days: for 7 months IDA had kept repeating that in New York we would have work very hard and we would have had very few free time. Luckily it was the opposite: the permanence in New York seemed to me more like a holiday with my friends than a workrelated school programme The simulation had been well-organized and personally I found it involving, despite the long period of time we had to stay concentrated. Obviously the work becomes less boring if you try

to put yourself into it speaking, trying to combine coalitions and taking part writing the Position Paper. It’s the kind of project you find interesting just if you really take part in it simply because nobody controlled if all the people were present or not, so it was basically your choice if to participate or not I had gone to New York several times, so I can confirm that the trips we did were amazing; from this point of view it was one of the best travel I’ve ever done and I had a lot of fun. With all being said, my expectations and the reality, I can affirm that the idea of the NHSMUN project is very interesting and involving: an opportunity to take which lets you visit one of the most wonderful cities in the world, New York. But me and the other participants were concerned that the project wasn’t well-organized and the information were confused. So, I suggest you to take part at the UN programme next year, but don’t expect a serious and reliable behaviour from IDA: the permanence in New York will be softer than what they want to make you believe.

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Cultura

Travelling around the Milano Design Week

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rom the 4th to the 9th of April took place in Milan the 56th edition of the “Salone Internazionale del Mobile” which is also called “Design Week” - when two thousand exhibitors showed their whales across a great displayed area in Rho Fiera. For me it has always been a great event for our city, because it gives value to the artworks and the innovations of modern designers. But I admit that this year I was too lazy to take a long journey by the subway and I decided to avoid to get stocked into the crowd of Rho Fiera. Infact there was another way to join this event: for people who didn’t have the opportunity to visit the whole Fair, there were certain districts all around our city where you could see many other communication projects. Walking along Brera neighborhood, Tortona, Centrale or Lambrate you could occasionally find an art exhibition, which I think is amazing, because it allows people to discover and appreciate the beauty of design everywhere. So in my freetime I tried to visit as much FuoriSalone exhibitions that I could and I’ve found some of them very cool: that’s why I would like to share them with you.

REDO Super Supermarket (Ventura Lambrate District)

Have you ever thought about the fact that when you go to the supermarket the appearance of the products is very important? Behind each package of food there’s the work of several designers and experts; their target is to make people buying their product instead of

another. For example, when I have to choose a box of cornflakes, I usually rely on the images that are on the packs. So the Danish Design School Kolding wanted to make people aware of the real meaning of design: it’s s all around us, not just in fornitures and artworks, but also in everyday life. They artists arranged an original supermarket with shelves and refrigerators full of toys, bolts, wires, rags and whatever else.

Osteria del Mobile (Ventura Lambrate District)

The club Osteria del Mobile had a similar target to the Danish School. In a room, where people could eat, drink and listen to the music from 11AM till late, were displayed some pieces of design. You could see a Moonboot shoe, a bottle of Campari, an old radio, a new generation smart phone and items of everyday life. My friends were disappointed by the exhibition because they couldn’t find the artistic skill of the artists, but I wanted to observe all the shapes because I realized that anything was obvious.

Caffe' d'Autore: espresso ma non solo

Maybe in the Fair somebody needed to take a nap, but the organizer found a solution to keep all the visitor active and awake. All around the fuorisalone you could find some banquets that offered free cups of coffee. The interesting thing was that the coffee machines were actually pieces of design and you could try different coffees from all over the world: I have to say that I liked the

by Linda Del Rosso IVC long American coffee more than a regular Espresso. After three coffees I started to feel nervous... but kept on visiting!

3L living units (Sempione District)

From outside it looked like a dark building made by three blocks combined vertically, in a casual way. But you could never imagine that there was a real house inside, composed by a real livingroom, a bedroom, a kitchen and a bathroom. The material promoted use of wood and glass and all the spaces where very bright: in addition this type of house can be very flexible and adaptable on different location, as a holiday cabin or a tree house. The one that was displayed in the Fair was vertical, so you had to climb many steep stairs to reach the different rooms. “Well... this kind of apartment isn’t likely to be owned by old people or families with young children! Don’t you agree?” I told to Federico, one of the architects. “That’s true”, he replied, “but this type of cabins can be combined also horizontally and you can add other blocks, creating a larger habitation that could inhabit more people.”

Sospendo by Tucano

I’ve always liked the brand Tucano, but after this discovery I was really disappointed. They designed a thing called “Sospendo: the best wearable support for smartphone and tablet”. I can’t believe how somebody could walk down the street with a tablet hung in front of his breast... And last but not least...

Resonance by Renzo Catellani (Ventura Lambrate District)

Renzo Catellani is an artist that works for the lighting market worldwide. Each work displayed in his exhibition was handmade. “A large part of my production is made up by pieces that require a great amount of craftship: the manual work creates the imperfection, making a truly unique object.” He made an interactive installation where visitors could enter in a dark room and watch a show in which many chandeliers were switched on and off alternatively. Surrounded by those golden lights, I felt very confused: it was like losing the sense of reality and being in a dream. After few minutes we left the dark room and the enchantment vanished.

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V


jaden smith Ambasciatore del “Gender Equality”

J

di Cristina Isgrò VA

aden Smith è il figlio del noto attore statunitense Will Smith e della sua seconda moglie Jada Pinkett Smith ed a soli diciotto anni è diventato sul web il nuovo ambasciatore del “gender equality”, cioè l’uguaglianza di genere, ovvero la visione che gli uomini e le donne dovrebbero ricevere pari trattamento e non dovrebbero essere discriminati e discriminate in base al genere. La sua campagna contro la differenza di genere è iniziata nell’aprile del 2015, quando ha postato sulla sua pagina Twitter, che vanta sei milioni di “followers”, una sua fotografia mentre indossava un vestito “da donna”. Nonostante le scelte del giovane Smith in fatto di vestiario fossero sempre state un po’ bizzarre, questa volta hanno scatenato le reazioni più disparate degli utenti di Twitter: alcuni si sono schierati a favore di Jaden, apprezzando la sua sfida nei confronti delle convenzioni sociali, altri invece si sono limitati a ridere di lui. Da quel momento il ragazzo ha deciso di portare avanti una campagna per abolire la differenziazione dei vestiti in maschili e femminili. Le sue fotografie con vestiti

floreali, gonne e fiori fra i capelli hanno invaso i suoi profili Instagram, Twitter e Facebook, accompagnati da dichiarazioni molto esplicite a condanna della differenza di genere nella moda, come: “ieri sono andato da TopShop a comprare dei vestiti da donna, ops intendevo dei vestiti”. Per Jaden Smith mettere delle etichette di genere sul vestiario è inutile e danneggia la creatività e l’espressione dell’anima delle persone. Una volta ottenuti parecchi consensi, la sua lotta è salita piano piano di livello ed è arrivata fino alle orecchie di una delle marche più famose e quotate dell’industria della moda: Louis Vuitton. Infatti nel catalogo della collezione femminile primaveraestate 2016 di questa marca famosissima, troviamo Jaden Smith, fiero e sicuro di sé, con addosso un completo gonna plissettata e giacca di pelle. Questa non è la prima volta che un membro della famiglia Smith fa pubblicamente il “gestaccio” alle convenzioni imposte dalla società: nel 2012 anche la sorella di Jaden, Willow Smith, si era rasata i capelli a zero, dichiarando che la sua bellezza e il suo valore andavano al di là dei suoi capelli.

E anche la madre dei due ragazzi, Jada Pinkett Smith, si era schierata a favore della decisione della figlia, dichiarando che: “nessuna ragazza, neanche la più piccola, si dovrebbe sentire schiava di ciò che la società crede che una donna debba essere” e invitando le ragazze a fare di testa loro, ad essere quello che volevano essere. Jaden Smith è diventato quindi un modello per tanti e grazie alla campagna portata avanti insieme a Louis Vuitton, ci ha mostrato un nuovo tipo di uomo, che non si vede facilmente nel mondo sia della moda, che dello spettacolo: un uomo che sfoggi una mascolinità differente, non rilegata al completo giacca e cravatta e che esprima tenerezza e sensualità. A mio parere, vedere un uomo indossare quello che lo rende felice, che siano vestiti, gonne o fiori fra i capelli, senza preoccuparsi di quello che la gente pansa di lui è estremamente motivante, perché è anche esso un passo verso l’uguaglianza di genere e grazie a persone come Jaden, che è un influencer a livello mondiale, sono sicura che questo traguardo si raggiungerà presto.

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Cultura

One struggle, one fight

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di Beatrice Penzo VE

oma Guy nasce nel Maine da una famiglia di ceto medio, prima di otto fratelli. Si laurea con un master in assistenza sociale alla University of Maine e appena laureata parte per lavorare nell’Africa occidentale con i Peace Corps (un’associazione di volontariato americana). Qui incontra Diane Jones che poi diventerà sua compagna per la vita. Resta in Africa 9 anni al termine di quali, tornata in America, comincia ad impegnarsi nell’attivismo per la rivendicazione dei diritti delle donne. Inizialmente entra nel movimento NOW (National Organization for Women) per poi allontanarsene a causa della discriminazione da parte del movimento verso le donne omosessuali e in generale verso tutta la comunità LGBT. Si avvicina invece a movimenti più piccoli ma più inclusivi, e grazie a questo entra in contatto con realtà meno elitarie. Nel 1971 fonda a San Francisco, insieme ad altre donne, il Women’s Building, il primo edificio nel suo genere che poi ne ispirerà molti altri in giro per il mondo. È infatti un centro gestito da donne dove qualsiasi donna abbia bisogno di rifugio, assistenza sanitaria o quant’altro può trovare accoglienza. Questo diventa ben presto un centro di attivismo e un laboratorio sociale grazie al quale Roma riesce a tessere una rete sul territorio che permetterà di portare a compimento molti progetti. Roma però non si limita all’attivismo femminista ma è intenzionata ad impegnarsi anche in quello LGBT. In questi anni infatti San Francisco è la città pioniera in quanto a movimenti per la rivendicazione dei diritti civili, e Roma capisce che per ottenere risultati concreti, come le prime manifestazioni importanti e le prime elezioni locali (Harvey Milk nel 1977 divenne il primo rappresentante eletto ad essere apertamente gay) c’è bisogno che il movimento femminista e quello LGBT cooperino per un fine comune. È così che, grazie alla sua amicizia con Cleve Jones, anche lui attivista per la vita per la rivendicazione dei dirittidella comunità LGBT, riesce a far avvicinare le due realtà, rendendo il movimento di rivendicazione sempre più grande e forte. È in particolare negli anni ‘80 e ‘90 che, durante l’epidemia di HIV, il Women’s Building, ed in generale la rete di attivismo messa in piedi da Roma e da Diane, è di grande aiuto alla comunità gay di San Francisco. Roma oggi vive con sua moglie Diane, hanno ormai una figlia e dei nipoti e non hanno perso un briciolo dell’energia e della voglia di giustizia che avevano da giovani. Roma infatti continua a combattere per l’accesso ad un assistenza sanitaria pubblica, per i diritti degli immigrati, delle donne e per aiutare tutte le fasce più basse della popolazione. 20

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di Rebecca Daniotti IVF

leve Jones nacque in una pigra giornata di ottobre, nel 1954, in Indiana, e crebbe a Phoenix, Arizona, dove, come nel resto degli Stati Uniti, l'omossesualità veniva considerata una malattia mentale e un reato. Visse, quindi, la sua adolescenza in un ambiente ostile, convinto di essere l'unica persona omosessuale sull'intero pianeta, tanto da arrivare a considerare il suicidio come unica soluzione “Mi sembrava che la mia vita fosse finita ancora prima di cominciare mi sembrava che non ci fosse alcuna possibilità di vivere una vita decente essendo gay”. Ma non pose fine alla sua vita e, nel 1971, grazie al Times, scoprì di non essere solo. L'articolo che lo colpì in particolar modo era intitolato “Homosexuals in revolt” e trattava delle ribellioni che c'erano state a New York, nei quartieri di Stonewall e Greenwich. Così Cleve scoprì non solo l'esistenza di altre persone come lui, ma di una versa e propria comunità che si stava organizzando e di luoghi, come New York e San Francisco, in cui le persone LGBT potevano vivere serenamente. A vent'anni decise di andare a San Franscisco, dove fece un incontro che rivoluzionò la sua vita. Cleve Jones incontrò Harvey Milk. Milk, attivista per i diritti degli omosessuali, divenne suo mentore e Cleve si batté al suo fianco nella lotta per i diritti LGBT. Tra i due vi fu un forte rapporto di amicizia e stima e, quando, nel 1978, Harvey Milk venne assassinato nel suo ufficio, Cleve ne rimase profondamente segnato e dedicò la sua vita alla stessa causa per cui Harvey aveva dato la vita. Dopo aver pianto la morte del suo mentore, egli si ritrovò a piangerne molte altre; amici e conoscenti morivano, sterminati da un male silenzioso: l'AIDS. Egli stesso scoprì, nel 1985, di aver contratto il virus e, come affermò successivamente, “non si sarebbe mai aspettato di sopravvivere”. Per contrastare la grande paura e il terrore dilaganti e per far sì che l'america eterosessuale si interessasse della piaga che stava decimando la comunità gay, egli diede vita, durante una fiaccolata in ricordo di Harvey Milk, a una delle più grandi opere artistiche commemorative: l'AIDS Memorial Quilt. Quest'opera nacque così, da un insieme di nomi attaccati sul palazzo dei servizi sanitari della West Coast, che successivamente vennero poi trascritti su dei pannelli vennero uniti gli uni agli altri per formare una gigantesca coperta in memoria di tutte le vittime di AIDS. Cleve Jones ha vissuto, e continua a vivere tutt'ora, battendosi per ogni causa che ritiene giusta, indipendentemente che lo riguardi da vicino o meno, ha protestato al fianco di donne e pacifisti, ed è stato un uomo che ha dedicato la sua vita agli altri, affinché gli altri possano ottenere ugali diritti.


la guerra attraverso l’oBbiettivo

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di Chiara Di Brigida IIIA

umo, mine, soldati, grida acute, silenzio profondo. La guerra è così. È estrema. Perché quando la tua vita è appesa a un filo non conosci mezze misure. Lo si vede chiaramente dai volti dei soldati, delle loro mogli e figli. Volti che noi oggi guardiamo grazie a foto scattate da persone trasparenti; fotografi che scendevano in prima linea accanto ai militari per raccontare l’orrore e la verità di ciòche accadeva. E questo, purtroppo, costò la vita a molti di loro. La prima fotoreporter che morì sul campo fu Gerda Taro; le sue sono foto concepite per narrare la guerra sotto ogni aspetto e cariche di quel particolare impatto emotivo tipico di chi scatta stando vicino fisicamente ed emotivamente ai propri soggetti. Gerta Pohorylle nacque a Stoccarda nel 1910 in una famiglia di ebrei polacchi. Visse un’adolescenza spensierata ed entrò giovanissima a far parte di movimenti socialisti e lavoratori; nel 1933 venne arrestata in quanto sospettata di aver partecipato alla distribuzione di volantini antinazisti. In carcere conquistò immediatamente l’ammirazione delle altre prigioniere:

distribuiva le sigarette che le faceva arrivare il padre, cantava arie americane, spiegava l’inglese e il francese alle compagne. Insegnò loro a comunicare con le celle vicine con l’alfabeto dei colpi. Dopo 17 giorni di prigionia fu rilasciata e decise di abbandonare la Germania. Si trasferì a Parigi, che ospitava un’intensa attività artistica, politica e letteraria. Lì conobbe e si innamorò del giovane fotografo ungherese Endre Friedman. Gerda ottenne grazie a lui un impiego fisso all’ agenzia Alliance, dove prese familiarità con il mercato del fotogiornalismo e perfezionò la tecnica della fotografia e della stampa. Lei inventò per Endre un personaggio, un fotografo americano ricco e celebre, temporaneamente in Europa: Robert Capa, un nome breve e semplice da ricordare, ma allo stesso tempo di origine difficilmente riconoscibile, ideale per il contesto internazionale a cui aspiravano i due giovani. Anche Gerta cambiò il proprio nome in Gerda Taro; lo stratagemma funzionò e in breve tempo diventarono entrambi fotografi estremamente richiesti e apprezzati. Nel 1936 i due decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola,

della quale divennero immediatamente importanti testimoni. Fotografavano la folla, le milizie, le barricate, catturavano attraverso i loro obbiettivi istanti significativi e saturi di emotività. Gerda rischiò molte volte la vita per realizzare i propri servizi fotografici, sprezzante del pericolo e animata dalla sua fede rivoluzionaria e antifascista: incitava lei stessa i combattenti e non temeva di avvicinarsi alle atrocità che la circondavano; d’altronde, come diceva sempre il suo compagno, “Se una foto non è buona significa che non eri abbastanza vicino”. Era descritta da tutti come una donna eccezionalmente bella, energica, intensamente libera e affascinante, dotata di un coraggio raro. “Mi sforzo di essere perfetta per sentirmi sempre invulnerabile”: in Spagna imparò diversi metodi di autodifesa per integrarsi il più possibile nella società. Nel luglio del 1937 Robert dovette ritornare a Parigi per trattare con alcune agenzie. Durante la sua assenza Gerda realizzò il suo più importante reportage, nella battaglia di Brunete. Di ritorno da quel fronte perse la vita.Dopo ore passate in un buco a fotografare, Gerda aveva terminato i rullini: aveva così trovato un passaggio per tornare a Madrid, viaggiando aggrappata al predellino di un’auto colma di feriti. Improvvisamente gli aerei tedeschi attaccarono il convoglio: un carro armato perse il controllo e investì l’auto sui cui viaggiava Gerda, che rimase schiacciata sotto i cingoli. Durante il trasferimento, che durò ore, all’ospedale di Madrid lei non perse conoscenza e si mostrò incredibilmente fredda: si assicurò che le sue macchine fotografiche fossero al sicuro e si tenne le mani premute sul ventre, cercando di contenere la sua gravissima ferita. Fu sottoposta a trasfusione e operata, ma senza successo; il medico si raccomandò di non farle mancare la morfina per rendere più sopportabili quelle che erano le sue ultime ore. Morì all’alba. Prima donna reporter a cadere al fronte. La notizia fece immediatamente il giro del mondo. Quando Robert apprese l’accaduto ne fu devastato: più volte in seguito raccontò che all’alba di quel 26 luglio 1937 era morto anche lui.

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serie tv di Cleo Bissong VB

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artorito dopo 10 anni di riflessione dalla mente di Baz Luhrmann (noto regista di “Moulin rouge”, “Romeo + Juliet”, “Il grande Gatsby” e molti altri) congiunta nella produzione a quella di Stephen Adly Guirgis, la prima parte della prima stagione di “The get down” è approdata su Netflix il 12 agosto dell’anno scorso, e a essa si è unita la seconda parte ad inizio Aprile, giungendo così a un totale di 11 episodi. La serie vuole esplorare e narrare il picco e il crollo della musica disco, le origini del punk, e soprattutto, almeno per questa stagione, dell’hip hop alla fine degli anni ‘70. Per fare questo si focalizza sulla storia di un gruppo di adolescenti del sud Bronx che, dietro la guida del realmente esistente DJ Grandmaster Flash, considerato oggi inventore del genere, formano un gruppo hip hop. In parallelo assistiamo alla difficoltosa e ambiziosa scalata per il successo nella musica disco, di Mylene Cruz, figlia del rigidissimo pastore di una chiesa pentecostale. L’accuratezza storica della serie, se si ignorano tutti i personaggi fittizi (equivalenti alla maggior parte dei personaggi principali), è indubbia per quanto riguarda la nascita dell’hip hop, e a confermarlo è Grandmaster Flash in persona, oggi cinquantanovenne,

che ha collaborato nella creazione dello show, insegnando a due attori, uno dei quali lo avrebbe interpretato, a mixare musica coi giradischi. Stupenda è la colonna sonora, che include, ovviamente, hit degli anni ‘70 e inizio anni ‘80, remake di quei brani (a mio parere incredibile quello proposto da Miguel per “Heaven is in the backseat of my Cadillac”), nonché brani originali. In questi ultimi soprattutto, com’è tipico del regista, diversi sono gli anacronismi musicali, e di meritata fama i loro compositori ed esecutori (Nas, SIA, Janelle Monae, Christina

Aguilera, Miguel e altri ancora). Assolutamente da vedere se si è fan del genere musicale trattato, o se se ne vuole sapere di più, o anche se si è interessati da un punto di vista storico a quel periodo. Forse unica pecca per me e per la mia sensibilità è il modo in cui vengono trattate delle scene di incredibile violenza (nemmeno molto esplicite, ma concettualmente forti) nella prima parte, con una leggerezza e un tono quasi fuori luogo. A ciò Baz pone però rimedio nella seconda parte della stagione, che assume nel complesso un tono più serio e drammatico.

“Katherine Johnson: Sbavi per questi uomini bianchi? Mary Jackson: Abbiamo gli stessi diritti.. Ho il diritto di vedere il fascino in ogni colore” 22

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CINEMA perfetti sconosciuti

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erfetti Sconosciuti è un film made in Italy diretto da Paolo Genovese.Racconta di una cena, apparentemente tranquilla, tra amici : Eva e Rocco, i padroni di casa, Carlotta e Lele, sposati da molti anni, Cosimo e Bianca, neo sposi, e Peppe, non accompagnato dalla sua nuova ragazza, rimasta a casa a causa di una febbre improvvisa. Gli uomini sono tutti amici di vecchissima data mentre le donne si sono aggiunte nel tempo, tra fidanzamenti e matrimoni. La pellicola risulta essere una vera e propria opera teatrale con giochi di sguardi e botte e risposte svolti interamente in una sola (o quasi) stanza; Genovese sembra essersi ispirato alle opere teatrali di Pinter e Beckett o ai recenti film come “Cena tra amici” o “Il nome del figlio”. L’intera opera si basa sull’importanza che al giorno d’oggi hanno assunto i telefonini, che ormai rappresentano le scatole nere della nostra vita. Infatti Eva invita tutti a un gioco, una sorta di test: tutti metteranno sul tavolo il proprio cellulare e, per la durata della cena, qualsiasi messaggio sarà letto ad alta voce, qualsiasi chiamata ascoltata in viva voce, qualsiasi foto vista da tutti. Tanto nessuno ha niente da nascondere, giusto? Così tutti gli amici, seppur all’inizio titubanti, accettano la proposta, non consapevoli o forse speranzosi, che ciò non avrebbe portato ad alcuna conseguenza. Da quel momento si innesca un effetto

domino che darà vita a colpi di scena, in cui vengono alla luce segreti, opinioni mai rivelate, desideri nascosti, tradimenti veri o presunti, verità celate e rancori. Sono bastati dei messaggi e delle chiamate per mettere in discussione le persone che amano, vogliono bene e che fino a quel momento credevano sincere. Nessuno risulta uscire illeso da quello che sembra essere un gioco al massacro, un test che tra l’altro loro stessi hanno deciso di intraprendere, forse per troppa sicurezza o forse per l’eccessiva curiosità di venire a conoscenza dei segreti altrui, non tenendo però conto dei propri.Vengono svelati sotterfugi, bugie e avvenimenti che pensavano aver sepolto e dimenticato, e che invece un semplice aggeggio elettronico ha riportato a galla. Da qui si può dunque comprendere il significato del titolo “Perfetti sconosciuti”, che rende l’idea, molto attuale, di amici che si conoscono da sempre, ma che in realtà non si conoscono affatto. Genovese basa il tema del suo film riprendendo una famosa frase di Gabriel García Márquez: “Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta”. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre sim. E se quelle sim iniziassero a “parlare”, quanti segreti, falsità, doppiezze e paure scopriremmo? Ed è proprio su questo tema che il regista cerca di impostare la pellicola, anche se il film non cerca mai di fare una classifica,

di Greta Anastasio VB di sottolineare un segreto piuttosto che un altro, ma anzi tende a dimostrare come stabilire una gerarchia di confidenze nascoste sia alla base di molti scontri. Questa forma di sospensione del giudizio smorza le pretese del film, e rende la storia un mezzo per rappresentare stili di vita e visioni del mondo, senza cercare di convincerti che ce ne siano di migliori rispetto ad altri. Il regista illustra il concetto di privacy e di “segreti virtuali” senza arrogarsi il diritto di aver ragione, ma con l’unico intento di mostrare una realtà che ormai ci appartiene e di cui non possiamo fare più a meno. Il tema principale affrontato nel film non è completamente nuovo alla schermo cinematografico, ma quello che lo rende interessante è il modo in cui la storia si svolge ( lo spettatore sembra essere invitato a tavola con i protagonisti) e le vicende che Paolo Genovese ha deciso di utilizzare per sviluppare il concetto del “perfetti sconosciuti”. Anche il finale risulta insolito, quasi paradossale. In esso è racchiusa la peggiore ma cruda realtà, che induce lo spettatore a porsi qualche domanda; ma eviterò di entrare nello specifico per non rivelarvi spoiler. In conclusione si può dire che “Perfetti sconosciuti” mostra come ogni certezza possa essere messa in discussione, ogni equilibrio scosso e sovvertito, ogni persona compromessa (forse) irrimediabilmente, e solo grazie ad un semplice telefono, che racchiude i nostri più celati segreti.

“Qua dentro ci abbiamo messo tutto! Questo qua ormai è diventata la scatola nera della nostra vita!” Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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good vibes

di Cleo Bissong VB

Titolo: Noname Artista:Diddy Bop (feat. Cam O’bi & Raury) Album: Telefone Anno di pubblicazione: 2016

Dopo tre anni di attesa e diverse collaborazioni con alcuni dei più grandi talenti nell’hip hop e R&B oggi (Chance the Rapper, Mick Jenkins, T-Pain), finalmente la scorsa estate Noname ha rilasciato il suo mixtape,“Telefone”, con una pletora di brani stupendi al suo interno. Ognuno è avvolto da un velo di profonda ma pacifica malinconia, che assieme a un tono nostalgico accompagna il tema principale dell’opera, ovvero conversazioni più o meno importanti che la rapper ha fatto al telefono nel corso della vita. Nei testi dei brani, fitti di parole e immagini, compare evidente la matrice della poesia, forma artistica da Noname praticata ed esibita nei poetry slam sin dall’adolescenza. Ed è proprio della sua adolescenza e della sua infanzia a Chicago che parla in “Diddy Bop”, affiancata dalle voci e i versi di Cam O’bi e Raury, anche loro artisti emergenti, incontratisi tra loro e con Noname grazie alla musica di Chance the Rapper, per la creazione della quale avevano collaborato insieme. Il diddy bop era una mossa di danza creata da P. Diddy negli anni ‘90 e enormemente diffusasi in quel

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periodo. A partire dal titolo quindi, i tre mc stabiliscono subito il periodo della loro vita che ci vogliono raccontare, impostando un sentimento di nostalgia per chi sa e ha vissuto ciò di cui parlano (e portando noi altri a googlare che cosa, per l’esattezza, il diddy bop sia). Riferendo i propri ricordi non parlano della violenza e dei disagi per cui è nota la loro città natale, preferendo invece illustrare le amicizie nate là, i trend del momento, le regole di casa e la loro trasgressione, (“Run, run, run / mama say come home before the streetlights do”) le loro aspirazioni da ragazzi: “This sound like growing out my clothes / with stars in my pocket, dreaming bout making my hood glow / this sound like every place I would go, if I could fly / This feel like every summertime / fall asleep dreaming bout all the places I could go / and every one of them feels so close, still chasing time”. In sostanza i tre minuti di questo brano, come tutti gli altri del mixtape, sono una perfetta unione tra splendidi accompagnamenti, una voce dolcissima, e la poesia più sincera.

di Marta Piseri VE e Giulia Pedone VB

Titolo: Terrapin Artista: Syd Barrett Album: The madcap laughs Anno di pubblicazione: 1970

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

el 1970 Barrett, il giovanissimo talento reso folle da una vita di eccessi, è stato da poco allontanato dai Pink Floyd perchè fortemente irrequieto, tanto sul palco quanto nella vita. Subito reclutato come solista da una EMI fiduciosa che il suo talento potesse superare la sua imprevedibilità, Syd inizia a condurre una vita parallela e in contraddizione con la propria quotidianità: incapace di badare a se stesso e di collaborare con gli altri, viene investito improvvisamente di aspettative e di grande portata. L’artista riesce visibilmente a confermare il proprio valore con l’album “The Madcap Laughs”, titolo tratto dal testo della traccia “Octopus” presente nello stesso. Nell’album vediamo un Barrett decisamente più introspettivo rispetto a quello artefice di “The Piper at the Gates of Dawn” (album giovanile registrato con i Floyd, nonché emblema della psichedelia britannica). Ogni brano offre una sfaccettatura delle turbolenze che animano l’autore in quella che è, paradossalmente, una forma nuda e

quasi stilizzata. Tutti i pezzi, registrati presso gli studi 2 e 3 di Abbey Road, presentano caratteristiche analoghe, come l’intro di voce e chitarra seguita poi dall’entrata degli altri strumenti. La traccia scelta per l’apertura è “Terrapin”, una ballata blues che nel suo ritmo lento e cadenzato, a metà tra la nenia e il canto di seduzione, accoglie innumerevoli piccole particolarità, idee accennate e cambiamenti di dinamica che la rendono inafferrabile. Questo rispecchia, a detta di chi ha lavorato con lui, il suo processo artistico nei primi anni ‘70; Barrett non è più in grado di sviluppare un’intuizione, ma questo non impedisce alla sua creatività di trovare sfogo, disseminando il suo prodotto di germogli geniali. L’arrangiamento, dolce ma incalzante, permette la piena espressione del talento vocale del giovane musicista, che raccontando una storia d’amore ancestrale sembra trovare con la natura un contatto ormai impossibile da recuperare con l’uomo, e lascia l’ombra del proprio isolamento tra le righe di una narrazione fiabesca e ingenua, ma dall’innegabile malinconia.


Libri

In libro libertas NIENTE

di Letizia Foschi IVB Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena far niente, lo vedo solo adesso.” Questo dichiara un ragazzino di tredici anni, Pierre Anthon, in un giorno qualsiasi. Sale su un albero e, da lì, comincia a fare niente, perché niente ha senso. I suoi compagni di classe, allora, decidono di cominciare a raccogliere cose che abbiano un “significato”,

per dimostrargli che sbaglia. E così accatastano le une sulle altre le cose che stanno loro più a cuore, in un gioco sadico che degenera drasticamente nel corso delle 100 pagine di questo romanzo. Janne Teller, autrice danese poco conosciuta in Italia, racconta con maestria una storia originale ma spaventosamente realistica, dove viene fuori il lato in ombra della mente dei bambini e dei preadolescenti.

A VOLTE RITORNO

I

di Letizia Foschi IVB

l mondo si sta distruggendo da solo. Dio è partito per una settimana di vacanza (che dura più o meno 500 anni terrestri) nel Rinascimento, e quando torna, nel 2011, non riconosce più gli uomini da lui creati. Beh, c’è da dire che questo è un Dio molto particolare, evidentemente diverso da quello che tutti pensano di conoscere. Questo Dio, ad esempio, adora i gay. È pro-aborto. Fuma erba dalla mattina alla sera. Dice parolacce. E, soprattutto, non gliene frega niente se qualcuno crede o non crede in lui. Insomma, il mondo sembra andare totalmente contro i suoi personali principi. Ma cosa c’era di tanto difficile nella frase “Fate i bravi”? Perché alla fine, anche se Mosè di comandamenti ne aveva tirati fuori dieci, lui aveva detto solo quelle tre, semplici, banali parole. L’unica soluzione, come l’ultima volta che si è creato un casino del genere, è spedire sulla terra quell’hippie mancato di suo figlio, un rockettaro con una voce meravigliosa, che passa le sue giornate a drogarsi, bere birra e suonare la chitarra con Jimi Hendrix.

Ed eccolo, dunque, catapultato in un talent show. Quale miglior modo per ripetere una volta per tutte all’America e al mondo l’unico valido comandamento, il “fate i bravi”? John Niven, autore ormai di fama mondiale per i romanzi A volte

ritorno, Maschio bianco etero e Le solite sospette, distrugge in trecento pagine tutte le fedi del mondo, tutte le preghiere dette prima di dormire e

tutto ciò che qualcuno, oggi, considera abominio. Un romanzo che si presenta come satirico, profondamente ironico e scandalosamente divertente, per poi diventare piano piano una vicenda appassionante, nella quale i personaggi prendono vita accanto al lettore e diventano suoi compagni di viaggio. L’autore ricostruisce diversi episodi della vita di Gesù come è descritta nella Bibbia (“Ma la gente crede ancora nella Bibbia? Quella boiata?” Cit. Dio), evitando però i miracoli (“I miracoli! Quelli sì che mi fanno ridere! E la gente ci crede pure!” Cit. Dio), e li riprende in chiave comica. Per quanto dalle prime pagine sembri semplicemente il libro più blasfemo della storia (che poi in fin dei conti lo sia veramente, è un’altra questione), dopo pochi capitoli l’umorismo diventa sempre più sottile e il racconto sempre più travolgente, fino a quando non si riescono più a staccare gli occhi dal libro. Con una mano fresca ed estremamente abile, John Niven riesce a far ridere e a far piangere contemporaneamente, e a fare questo, carducciani, ci riescono veramente in pochi.

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Racconti

Scherzi d’immaginazione

di Valentina Foti IIB

E “

' possibile che si faccia così tanta fatica a capire che in metropolitana non si può fumare? Oggi proprio non ce la faccio a trattenermi dal parlare e ammonisco un fumatore che sgarra a questa regola.

C’è qualcuno che si vuole offrire oggi per l’interrogazione?”. Non voglio sentire ancora solo le mosche in classe, ma non me la sento di offrirmi: non sono pronto. Non mi interessa, voglio alzare comunque il mio braccio. Sei impazzito? Non puoi permetterti un’altra insufficienza: non riusciresti di certo a recuperarla e ti rovinerai l’estate. Non lo fare, non lo fare ti prego. Troppo tardi: ho

P

erché non ti infili nella toppa stupida chiave? Sono già abbastanza in ritardo oggi. Non voglio sprecare altro tempo. Ho da fare troppe cose. Grazie mille che hai finalmente fatto aprire la porta. Ti meriti proprio che io ti getti a terra. Si è rovinato il pavimento? Per fortuna no. Maledetta porta: ti sbatto

E

' bello guardare fuori dalla finestra, vedere la gente che cammina o che corre, le auto, le bici, le case, la natura, il cielo, la luce, il buio, la luna... Si riesce a riflettere con più concentrazione. Adesso la giornata è soleggiata e il sole è quello che ti riscalda piacevolmente. Vorrei prendere il calore di ciascuno dei suoi raggi. Che gradevole ascoltare il canto degli uccelli. Che fresca questa brezza leggera. Vorrei sentirti meglio, provarti su tutto il corpo. Ce la faccio a salire sul bordo della finestra? 26

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

VIETATO FUMARE L'uomo in questione però è tutto muscoli, ha uno sguardo poco raccomandabile e il viso cupo... Prima alza la voce con me, poi mi spinge verso i binari. Non avendo abbastanza forza per controbilanciare il colpo, indietreggio superando la linea gialla e perdo l'equilibrio cadendo sulle

rotaie. Presa dal panico corro verso la scaletta vicino alla banchina mentre intanto sta per arrivare la metropolitana. Salgo sui gradini, il metrò si ferma, il trasgressore vi sale e io, di nuovo sulla banchina, aspetto il prossimo treno.

shhh, che pace già preso e appoggiato la mia sedia vicino alla cattedra. La professoressa sembra soddisfatta, ma tra poco cambierà idea e umore. A tutte le domande do sempre la stessa risposta: silenzio. Purtroppo lei non si può aspettare di meglio da me. E’ così rilassante stare zitti. Quanta ansia mette invece pensare a quale risposta dare quando i ricordi sull’argomento chiesto sono vaghi. Solo l’insegnante ogni tanto apre bocca: anche il resto della

classe non fiata. Come fa la professoressa a non capire che il mio silenzio è un dono nei suoi confronti? Se lei non parlasse si sentirebbe più rilassata, mentre se continua a sforzarsi per tirarmi fuori qualche parola di bocca si irriterà sempre di più perché non ho nulla da dirle. Ah che pace, farei durare questo tempo all’infinito; peccato che invece finisce così in fretta.

perchè? contro il muro. Che giornata terribile. Odio piangere, ma perché allora queste lacrime scendono in continuazione? Che nervi: in questa orribile casa non si può dire nulla che tutti ti sentono. Se volessi urlare comunque? Per oggi me ne fregherò di voi vicini di casa: è pomeriggio e faccio quello che voglio. Di certo non griderò meno di come già fanno

quelli del piano di sopra tutti i giorni. Vai al diavolo mondo. Perché questi pugni sul divano non mi danno sollievo? Vattene via ira, non ti sopporto più. Lasciami in pace, ti supplico. Ora controlla te stessa. Prova a mangiare qualcosa: magari ti calmerai. Sì, magari: finisci anche tu a terra forchetta e fai compagnia al cibo. Andate all'inferno anche voi.

tuffo Che sollievo: ci sono riuscita. Ora sì che sento meglio sia il sole sia la brezza. Com'è rilassante: rimarrei qui il giorno intero. Inizio a sentire un po' di caldo. Sarebbe decisamente il massimo tuffarsi in una piscina. Voglio aprire le braccia e sentirmi come Rose in Titanic e come la statua del Cristo Redentore di Rio de Janeiro. Se mi tuffassi sono sicura che starei ancora meglio. L'aria è fortissima ora che sto volando, ma la preferisco a prima visto che faceva troppo caldo sul davanzale. Mi piacerebbe davvero entrare in piscina al termine del tuffo,

così che il corpo provi sollievo a contatto con l'acqua tiepida; peccato che però non c'è.

usciamo? Io: "Ti va di uscire con me?". Tu: "No".


non mi vede

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asseggiando da solo sul marciapiede, giungo a delle strisce pedonali. Com'è giusto che io faccia, controllo che non arrivino macchine per poter attraversare. Dal lato opposto a dove mi trovo vi è un'altra persona che guarda come me. Arriva un'auto che vedendola si ferma. Passa la persona e qualche secondo in ritardo rispetto a quella io. Peccato che l'auto ha visto solo lei e non me e mentre sto camminando per raggiungere l'altro lato della strada, il veicolo mi investe.

mani sul collo

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a sera è il momento ideale per passeggiare all'aperto per me che soffro il caldo. Esco tutti i giorni allo stesso orario e oggi non faccio eccezioni. Cammino sempre con estrema calma, ma cerco di scrutare con massima attenzione ciò che ho davanti, mi immagino storie, cerco di ricostruire le vite della gente in cui mi imbatto. Invento anche situazioni assurde o drammatiche, come quando, vedendo due donnone di spalle, ho pensato che fossero agenti segreti o, alla vista di un'anziana da sola che rideva, che potesse essere stata appena lasciata dal suo compagno e gioiva perché non ne poteva più di starci insieme. Questa sera però non vedo tanta gente, anche se dietro di me sento la presenza di qualcuno. Non voglio girarmi tuttavia: non mi piace guardare chi ho dietro, ma chi ho davanti a me, perché non voglio che la persona che osservo si accorga della mia presenza. Questo soggetto velocizza il passo e

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atemi un letto, vi prego: ho talmente tanto sonno che neanche le gambe a momenti reggono il mio corpo. Troppe attività, troppe emozioni, troppi rischi mi ha portato questa giornata. Il mio cuscino è morbidissimo. Sarebbe difficile per me dormire su un altro letto

una volta alle mie spalle, appena prima che mi volti a malincuore insospettita, mi afferra il collo con l'obbiettivo di strozzarmi. In preda all'improvviso panico le mie mani toccano le sue: è di certo un uomo dato che ha delle grosse mani pelose e i suoi peli sono così duri. La mia salvezza, in questo momento, è di avere delle unghie lunghe venti millimetri: gliele conficco nella sua pelle cercando di andare sempre più in profondità in modo tale da fargli provare più dolore possibile e da fargli uscire sangue. L'uomo intanto geme per il dolore sforzandosi di non alzare la voce. Grazie alle mie adorabili unghie lascia andare la stretta al collo. Se non

l'avesse fatto di lì a pochi secondi sono sicura che sarei morta. Subito dopo il delinquente si dilegua in silenzio, esattamente come è arrivato. Non ho mai capito chi fosse: era vestito di nero e anche il volto era coperto da un passamontagna dello stesso colore. Non credo appartenesse a qualcuno dei miei familiari o conoscenti, perché non avrebbero avuto alcun motivo per volermi morta, almeno penso. Forse si trattava di un semplice ladro che voleva rubarmi gli averi sebbene non avessi nulla con me, né una borsa né gioielli. Il giorno seguente l'ho denunciato. Chissà se un giorno potrò vederlo in volto e fantasticare sulla sua storia.

grazie perchè vivo o su un divano o addirittura a terra, eppure esistono diverse persone che sono costrette a farlo. I morti dormono? Lo saprò alla mia morte. Io non voglio morire, voglio avere la certezza di poter dormire. Grazie perché vivo. Grazie cuore perché batti ancora, grazie cervello perché mi fai ragionare, grazie ossa perché mi sostenete, grazie polmoni

perché mi fate respirare. Grazie anche a voi parti piccole o poco conosciute perché il vostro contributo aiuta a far funzionare al meglio il mio corpo. Grazie perché questo secondo e questo ancora sto respirando, grazie per il minuto in più di vita, grascie per i scinque sensi, grascie, gr...

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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a cura di Martina Pelusi e Valentina Tarantino IIIF

Sul treno una signora sfoglia Insoddisfatta una rivista Di vacanze. Ma quali vacanze? Piove; Nuvole di pensieri Bagnano ancora menti infreddolite, Flutti di parole Feriscono con violenza animi rattrappiti.

Cammino nel silenzio di queste mura familiari che non piĂš personali spingono allo strazio. Martina Pelusi

Valentina Tarantino

E se resteremo a galla In questo mare di pretese, un impegno a nostre spese, giunti sulla terra riusciremo a non cadere? Quando si innalza il vento libera i pensieri o aggrappatici stretto. Martina Pelusi

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

Valentina Tarantino


Lodato sia, chi tu sia Per la natura e le sue creature Ignare, innocenti vittime Del tuo splendido e necessario crimine. Lodato sia, chi tu sia Per frate caos e il nostro fortunato caso Per cui si dia esser questo e non quello E per frate ordine suo figlio Che dolci nutre tutte le nostre illusioni. Lodato sia, chi tu sia Per frate spazio immenso Per le vertigini a guardare il cielo E l'angoscia di essere sempre troppo vicino a casa. Lodato sia, chi tu sia Per sora fiamma del tempo Brevissima ed eterna Che tutte le cose racchiude nel suo mistero E la vita mia con loro. Lodato sia, chi tu sia Per frati bene e male Il più e il meno Gemelli diversi Padre e madre Di ogni distinzione e limite Origine della moltitudine delle cose E dell'anima che le lega insieme.

Una lastra di vetro separa due mondi placa l’osmotica brama di straripare per sovrabbondanza di miscelarsi in un vorticoso vortice. Due vasi non comunicanti divisi dalla trasparenza cieca della barricata silicea che salva ogni lato dal timor dell’opposto. Lì acqua, lì vento, lì boati di tuoni e un filo di luce esplode, frizzando nel cielo; qui anneghiamo nell’aria densa, qui soffochiamo nei nostri respiri, qui riecheggiano le voci oniriche in vacue egocentriche dissertazioni, e il tintinnio del neon tremante ci tedia nel nostro confine. Larabella Myers

Lodato sia, chi tu sia Per sora mia vita Che potevo anche non avere E forse anche per sora morte L'ultimo dei salti nel vuoto. E soprattutto lodato sempre sia Per sora speranza Che mi dà la forza E per il tuo amore Per cui in fondo ti posso ancora lodare. Walter Wilson

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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maledetta terra

di Carlo Danelon IF Mi lavavo di notte nel cortile; il firmamento splendeva di rozze stelle. Il loro raggio – è sale sulla scure, la botte, colma fino all’orlo,gela. Il portone è chiuso a chiave, la terra è severa secondo coscienza. Non troverai trama di verità più pura Che in una tela fresca di bucato Nella botte si scioglie, come sale, una stella E l’acqua gelata è più nera, più pulita la morte, più salata la sventura, più sincera e terribile la terra.” I versi di questa breve poesia di Osip Mandel’štam si alternano, cedono l’uno il passo all’altro, come in una sorta di solenne cammino notturno. Il testo narra un momento di notte in cui l’io narrante si lava in un cortile; intento a lavarsi, viene travolto da una sensazione immensa e inaudita. Per capire questa emozione è necessario conoscere il periodo storico e l’area geografica d’appartenenza del poeta: corre l’anno 1921, in Russia la guerra civile che avrebbe portato all’Unione Sovietica devasta il Paese, una grande carestia affligge la sua popolazione. Il poeta è preoccupato, angosciato a 30

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

causa di tale situazione e guarda il cielo stellato in modo diverso dai romantici, da Leopardi, dal più comune definire le stelle con meraviglia e amore. Mandel’štam, infatti, le definisce “rozze”. Per il poeta non è un argomento nuovo e, come evincibile da quanto anni prima scrisse: “Odio la luce delle stelle monotone […]”, quello che riserva loro in questa poesia non è neanche un approccio nuovo. La notte è gelida come l’acqua con cui si lava e che riempie fino all’orlo la botte; le stelle si riflettono sulla superficie del liquido ed è come se, nel pensiero del narratore, le due “superfici” (quella del cielo e quella dell’acqua) condividessero la caratteristica freddezza (“la botte, colma fino all’orlo, gela”); e come se ciò che risalta nel firmamento e riflette la luce sia il profondo nero della notte, non la luce degli astri che lo illuminano. In fondo, Mandel’štam è probabilmente “al momento sbagliato nel luogo sbagliato”, e la sua idea deriva anche e soprattutto da ciò. D’altro canto, non aveva tutti i torti: morirà anni dopo in un carcere siberiano. Tuttavia il cielo è sì freddezza, asetticità, ma allo stesso tempo è un luogo immenso e immobile, silenzioso, libero, eterno. È il contrasto tra quest’eternità e la crudeltà angosciante della Terra a travolgere il poeta, intento a lavarsi. Nel sesto verso della poesia entra in gioco

la “terra”, portando con sé una severità inquietante (Il portone è chiuso a chiave, / la terra è severa secondo coscienza); la terra per il poeta è un luogo e, allo stesso tempo, il volto della cruda realtà, la prigione e il boia dell’uomo, la concretezza cui è incatenato e che in quell’attimo, nel cortile chiuso, lo attrae a sé ricordandogli il suo amaro destino. La tela fresca di bucato è un ricordo sbiadito, è il simbolo supremo della semplicità chiara che quell’angosciosa sensazione di annegamento notturno esalta e affonda. Il paragone tra luce stellare e sale è duplice e interessante; il sale è cristallino, lucente, chiaro, ma l’uso di questa precisa sostanza non è frutto solo di una ricerca cromatica: è una sostanza rozza, ruvida, che brucia, simbolo di saggezza, che si scioglie nell’acqua. Dal punto di vista prettamente tecnico, nell’uso di questa simbologia, Mandel’štam si discosta dal movimento acmeista cui aveva aderito e il cui manifesto era una semplicità priva di simbolismi. Ciò che accomuna il buio gelido della notte, l’acqua fredda che in sé scioglie la stella, la saggezza, la sincerità terribile della terra, è una travolgente sensazione che, in quel cortile in una gelida, immensa, silente notte sovietica durante la rivoluzione dimentica del cielo, attrae, minaccia e affoga.


Poesie 2.0 Quando il correttore scrive poesie a cura di Cristina Isgrò VA

Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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sport Nell’anniversario della morte di Cruijiff, Marco e Adriano raccontano il grande campione

Cruijif:

il campione dell’altrove

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di Adriano Bertazzoni VA er celebrare un anno dalla morte di Cruijff l'Ajax, suo club dal 1964 al 1973, ha deciso di intitolargli il proprio stadio. Un piccolo gesto che lega indissolubilmente questo grande campione al suo club d'origine. Cruijff non è stato solo un fenomeno, ma è stato uno dei pochi in grado di stravolgere completamente il modo di giocare a calcio. Emblema di una generazione figlia del '68, della guerra in Vietnam e della richiesta di libertà di costumi, il mito di Cruijff si afferma in tutto il mondo calcistico grazie al mondiale 1974, in cui è capitano di una talentuosa selezione olandese guidata da Rinus Michels. In quell'estate il disco più ascoltato è quello del londinese David Bowie: s'intitola Rebel Rebel. Ed è uno spirito ribelle quello che guida gli olandesi fino alla finale del mondiale in Germania Ovest. La rivoluzione calcistica elimina la difesa e il contropiede, le aggressive marcature a uomo e le rigide tattiche. Aboliti anche i blindati ritiri con duri allenamenti. Gli olandesi imponogono un nuovo modo di pensar calcio: difesa alta, possesso palla e ritiri aperti a mogli e amanti. Ma soprattutto l'idea di “calcio totale”: tutti attaccano e tutti difendono, senza ruoli ben definiti. In pratica il socialismo applicato sul rettangolo verde. È una strana estate quella del 1974: non solo l'Olanda e il suo nuovo calcio, ma anche un gol di Sparwasser che permette alla DDR di battere i cugini dell'Ovest e di spedire idealmente la classe operaia in paradiso. La Germania Ovest, ferita nell'orgoglio di una sconfitta incredibile sia calcisticamente che politicamente, si ricompatta intorno al suo capitano Beckenbauer e vince le successive partite arrivando alla finale. L'Olanda di Cruijff invece è semplicemente troppo forte per tutte le altre, tanto da esser 32

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° V

battezzata “Arancia Meccanica” come l'ultra-violento film capolavoro del geniale Kubrick. Germania Ovest contro Olanda è tradizione contro innovazione. È Muller, tozzo attaccante con tanti gol sulle spalle ma dalle movenze poco eleganti, contro Cruijff, che con il pallone sembra danzare come un talentuoso ballerino e sembra tutto tranne un centravanti, un numero 9. In effetti Johann veste la maglia 14, soltanto per un puro caso, ma sarà proprio quell'insolito numero a farlo diventare una leggenda. La finale è iniziata da 54 secondi e l'Olanda sta già vincendo. Al fischio d'inizio Cruijff conquista palla e orchestra con i compagni un'azione che finisce con un olandese steso a terra in area di rigore. Gol dagli undici metri. Ma ecco che sul più bello la magia svanisce. Niente più ribellione, niente più “calcio totale”, sembra il brusco risveglio da un bel sogno, come se fosse stato tutto troppo bello per esser vero. I restanti

novanti minuti sono tutti per i tedeschi. E ancora oggi sembra incredibile ma è Beckenbauer ad alzare la coppa. La ribellione olandese finisce sul più bello. Cruijff torna a casa sconfitto e con la moglie che chiede il divorzio (forse erano troppo aperti i ritiri...), ma è comunque il punto più alto della carriera del numero 14. Da quell'estate del 1974 le sue giocate e i suoi gol lo rendono il miglior giocatore al mondo. Il calcio esisteva già da prima, ma Cruijff ha messo la fantasia al potere e lo ha cambiato definitivamente. È stato un profeta del gol con le sue incredibili giocate con la maglia numero 14. Il suo calcio sembrava venuto da altrove, da un altro pianeta, dal futuro. Se è vero che ogni rivoluzione ha un volto, il Sessantotto calcistico ha il volto di Cruijff, leader maximo dell'utopia calcistica dell'Arancia Meccanica: la favolosa incompiuta Olanda del 1974.


Il profeta del gol

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di Marco Romano IVF

n anno fa si spegneva, all’ età di 68anni, Johan Cruijff,il fenomeno olandese vincitore di 3 palloni d'oro. Da molti considerato il miglior calciatore di tutti i tempi, fu, a mio parere, colui che più di tutti ha cambiato questo sport reinterpretandolo, segnando il definitivo passaggio a quella che oggi chiamiamo era “moderna” del calcio. Cruijff è stato un visionario, un genio del gioco, un giocatore straordinario nelle sue apparenti debolezze: univa la mente di un "tuttocampista" al corpo esile e mingherlino di un ragazzo non troppo portato fisicamente per questo sport, ma capace di intuire con largo anticipo e una precisione stupefacente ciò che accadeva in campo; fu lui stesso a dire, in una sua famosissima intervista, che le grandi doti atletiche di velocità e agilità, che gli venivano attribuite, altro non erano che la diretta conseguenza della sua innata capacità di prevedere le mosse dell’avversario: ”Speed is often confused with insight(intuizione),when you start running before the others you appear faster”. La sua incredibile capacità di analisi non passó inosservata all’epoca e le squadre in cui militó gli conferirono ampi poteri decisionali in ambito tecnico-tattico. L’apoteosi di questa tendenza si ebbe con la sua nazionale. Fu giocatore chiave della "macchina perfetta" Olandese e del sistema di gioco più bello che si sia mai visto: "il calcio totale", antenato del moderno Tiki Taka utilizzato in tempi recenti dal Barcellona (squadra in cui Cruijff ha militato e che ha poi allenato).

Il piano tattico, da lui stesso elaborato, consisteva nel non assegnare a nessun giocatore un ruolo fisso, chiedendo anzi espressamente di variare spesso posizione durante la partita per impedire agli avversari di prendere le adeguate precauzioni alle proprie offensive. In questa squadra, in sostanza, il difensore sapeva fare l'attaccante e viceversa. Cruijff è stato semplicemente il giocatore tatticamente più intelligente mai visto su un campo da calcio, capace di tocchi di genio come "il gol impossibile" del '73 contro l'atletico di Madrid, o del" rigore alla Cruijff" passato alla storia come la più grande intuizione calcistica di tutti i tempi(se avete tempo cercatelo su youtube). È stato il simbolo di una rivoluzione copernicana del calcio, un'utopia che quasi si è realizzata a pieno contro coloro che avevano la mentalità di "parcheggiare il bus" davanti alla porta. Alla fine l'ha portato via la sua più grande passione:il fumo, e più in generale la vita sregolata di chi non aveva bisogno di essere al massimo della forma fisica per esercitare la sua onnipotenza calcistica. Come altri prima e dopo di lui (George Best ne è l'esempio più conosciuto) si è rovinato, consapevole che non c'erano calciatori contemporanei in grado di eguagliarlo. Quando poi gli fu diagnosticato il cancro disse che non si sarebbe curato e che arrivata la sua ora avrebbe accettato la sua sorte consapevole di aver lasciato un'impronta indelebile nella storia e di aver vissuto una vita totale, proprio come il suo calcio.

giù le mani dalla 10

S

di Alessandro Cassese VA

ono ormai due anni che rimbalza su tutti i giornali la notizia che, con ogni probabilità, al termine della stagione Francesco Totti appenderà gli scarpini al chiodo e comincerà la sua nuova carriera da dirigente nella Roma. Fin qui nulla di strano, dato che stiamo parlando di un calciatore di quasi 41 anni; tuttavia sono le parole di Spalletti, allenatore della Roma, ad aver fatto scalpore. Il coach toscano ha infatti affermato che sarebbe meglio per la Roma non ritirare la maglia numero 10, appartenuta per più di 20 anni a Totti, che con questa addosso ha realizzato 250 reti. La motivazione di quest’affermazione apparentemente senza senso è che, secondo Spalletti, poter indossare la 10 sarebbe un onore e un input a dare di più per i futuri campioni della Roma. Manco a dirlo i tifosi romanisti si sono rivoltati e hanno ritenuto tutto questo un oltraggio verso il sudore e la fatica che il Capitano giallorosso ha versato in questi 20 anni. Da parte mia credo che, contrariamente a come pensa Spalletti, ritirare la 10 sia il massimo tributo che si possa fare ad un calciatore che ha reso grande e famosa questa società sportiva nel mondo. A maggior ragione se si tratta di un calciatore come Totti, il quale ha sempre tifato e giocato per la Roma e ha contribuito a darle lustro.

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sport

i 10 sport più assurdi

N

on avete ancora trovato lo sport adatto a voi? Forse questa lista vi stimolerà a provarne uno… fuori dal comune! 1) Hokey e Basket sul

monociclo Le regole sono simili a quelle dell’Hockey sul ghiaccio e del Basket, ma tra i giocatori non deve esserci alcun tipo di contatto fisico. I partecipanti sono in continuo aumento e, per quanto riguarda la pallacanestro, esiste persino una squadra italiana in EmiliaRomagna. Requisiti? Buoni riflessi. Per fare canestro infatti i cestisti prendono lo slancio dai pedali e saltano giù dal monociclo con un’acrobazia che richiede attenzione per l’atterraggio. 2) Slamball Al posto di un classico campo da pallacanestro in parquet, vi sono quattro tappeti BB elasticiBB posti BB sottoB ad BB ogni

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canestro. In generale, le regole sono molto meno rigide e severe del basket e il contatto fisico è permesso, ma non si può stare per più di tre secondi nella medesima zona di un tappeto elastico. 3) Rugby subacqueo Vi state forse chiedendo come si faccia a “placcare” un avversario sott’acqua? Impossibile. In effetti questo sport somiglia ben poco al rugby. Si gioca in piscina ad una profondità che può variare tra i tre e i cinque metri e i giocatori sono dotati di pinne. Il pallone è riempito con una soluzione di acqua e sale affinchè non galleggi, poiché le azioni di gioco non sono valide se la palla esce dall’acqua. 4) Elephant Polo Molti sanno che il tipico sport inglese del Polo consiste nell’incontro tra due squadre che, in sella a cavalli, si fronteggiano munite di canne di bambù con l’obiettivo di mandare una palla di legno nel mezzo di due pali. Come suggerisce il nome, l’Elephant Polo è giocato invece sul dorso di elefanti. Oltre che in Sudafrica questo sport è praticato anche in India, Nepal e Thailandia. 5) Timbersport I giocatori del cosiddetto “sport del taglialegna” hanno lo scopo di tagliare dei tronchi nel minor tempo possibile. Attenzione dunque a non trovarvi nei paraggi di una di queste competizioni, se non volete essere schiacciati dalla caduta di qualche albero. Il record mondiale appartiene all’australiano Brad Delosa, che nel 2015 è stato capace di tagliare 4 tronchi in 57,59 secondi, migliorando di oltre un secondo il suo stesso record del mondo stabilito nel 2014.

di Linda Del Rosso IVC 6) Chess boxing La combinazione scacchi e pugilato potrebbe sembrare assurda, anche se molti credono che esista un’armonia tra sforzo celebrale e forza bruta. Sul ring infatti la strategia conta tanto quanto i muscoli e l’allenamento. Questo sport si gioca alternando un round di quattro minuti di scacchi a uno di tre minuti di pugilato: l’incontro termina in caso di K.O. o scacco matto. 7) Harrijasotzailea Questa disciplina impronunciabile è lo sport tradizionale del popolo basco e consiste nel sollevamento di massi. Deriva dalla fatica del lavoro quotidiano e si tratta di una versione grezza del classico sollevamento pesi, nella quale gli atleti si sfidano alzando da terra enormi macigni. 8) Cheeserolling Per quanto mi riguarda, non oserei mai gettare giù da una collina una forma di pregiato Grana Padano, ma a quanto pare questo sport ha preso piede anche in Trentino nei pressi di Rovereto. Nata in Inghilterra, la disciplina del “formaggio rotolante” consiste nel far rotolare del formaggio giù da una discesa e rincorrerlo nel tentativo di afferrarlo prima degli altri. Il rischio di farsi male è molto alto ed è consigliato indossare un casco. 9) Swamp Soccer Pensavate che il rugby fosse lo sport più sporco in assoluto? Vi siete mai lamentati per aver giocato su un terreno fangoso? Probabilmente non conoscete il “calcio nel fango”. E’ uno sport riconosciuto dal 1998 che si gioca in spazi particolarmente fangosi, dove la melma spesso arriva fin sopra al ginocchio, poco sotto alle coscie dei calciatori. Per calciare la palla che galleggia in superficie questi devono fare sforzi assurdi. 10) Carta-forbice-sasso. Gli appassionati del tipico gioco d’infanzia saranno forse lieti di scoprire che al giorno d’oggi è considerato una vera e propria disciplina sportiva. Gli atleti si concentrano soprattutto negli Stati Uniti, dove la World Rock Paper Scissors Society ha organizzato un campionato mondiale.


varie logica-mente a cura del professor Galli

1) Y + 3 = r , Y + e = r , Y + e + Y + W = 11 , 1 + e = W Qual è il valore di r? A 1 B 2 C 3 D 4 E5 2) Quidam vir ambulans per viam sibi alios hominess obviantes et dixit eis: Volebam, ut fuissetis alii tantum, quanti estis, et medietas medietatis, et rusus de medietate medietas; tunc una mecum C fuissetis. Dicat, qui vult, quotfuerint, qui in primis ab illo visi sunt. 3) If we divide a two-digit number by the product of its digits we shall have 1 as a quotient and 16 as a remainder. Now if we add the product of its digits to the square of the difference of its digits, we shall obtain the given number. Find the number. 4) Un contrario di fulgido è: A rapido B raggiante C fuggiasco D opaco

E splendente

5) It takes a Metro passenger 24 seconds to walk down a moving escalator. If the passenger walks down a stationary escalator at the same speed, he will be downstairs in 42 seconds. In how many seconds will be downstairs if he stands on a moving escalator?

6) Due uomini si mettono in cammino, partendo dallo stesso luogo, per un lungo viaggio a piedi. Il primo uomo percorre 20 miglia ogni giorno, il secondo ne percorre 1 il primo giorno, 2 il secondo, 3 il terzo e così via aggiungendo sempre un miglio a quanto percorso il giorno precedente. Dopo quanti giorni il secondo viaggiatore raggiunge il primo ? A 16 B 39 C 20 D 57 E 48 7) Adam, Bob and Carol have $ 70. Adam has $ 10 less than twice the sum that Bob has, and Bob has $ 1 more than twice the sum of Carol has. How much has each?

Per controllare se avete risposto giusto a questi quesiti e a quelli del numero precedente potete andare sulla nostra pagina FB! Dove potrete trovare altri rompicapo, creati apposta per i vostri cervelli da classici Giugno 2017 | L'Oblò sul Cortile

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varie XANAX: LA RUBRICA ANTIDEPRESSIVA Buone vacanze

B

uone vacanze a tutti i carducciani sopravvissuti fino ad oggi, a tutti quelli che tra un pianto e una crisi d’ansia ce l’hanno comunque fatta, a tutti quelli che “non hanno studiato niente” e hanno la media del nove, a chi ha rinunciato alla vita sociale per dedicarsi alla scuola, a chi non ha rinunciato alla vita sociale e ora si prenderà i suoi tre debiti o la sua bocciatura. Buone vacanze a Valter Valenti, che ha guidato i delegati fino alla fine, l’uomo dell’anno, colui che a suon di e-mail ha convinto Cappato a venire al Carducci e ha portato il nuovo incubo dei moduli di Google Drive nelle classi. E tutto questo per noi, per rendere più semplice ed efficiente l’organizzazione della vita scolastica. Quindi merita un “buone vacanze”. Buone vacanze a Matteo Murgia e al servizio d’ordine in generale (siete troppi per essere nominati uno per uno, fatevene una ragione), che hanno salvato la cogestione dal disastro*, hanno sorvegliato attentamente tutti i luoghi in cui era possibile fumare durante le plenarie e ci sono sempre stati per darti da accendere. Quindi, anche loro meritano un “buone vacanze” Buone vacanze al preside, che ha sempre avuto un buon film da consigliarmi le varie volte che sono andata a parlarci. Buone vacanze alla segreteria, che è sempre accanto a noi studenti per ricordarci di portare i certificati medici, gli ECG, i registri per l’alternanza, le autorizzazioni per le gite, le autorizzazioni per lo psicologo, le autorizzazioni per fermarsi a scuola dopo l’una e dieci e, ultime ma non per importanza, le autorizzazioni per tirare l’acqua in bagno. Buone vacanze all’acqua dei rubinetti che sa di ruggine, ai caloriferi che quando fa freddo si spengono e quando fa caldo bruciano, alla connessione internet che non prende, alla fotocopiatrice che si rompe sempre e solo quando devo fare io le fotocopie, agli evidenziatori 36

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che si esauriscono mentre studi per l’interrogazione del giorno dopo e a tutto quello che ha reso quest’anno ancora più difficile da sopportare. Buone vacanze ai professori che non mettono i dieci perché non ne vale mai la pena, a quelli che se ti incontrano in corridoio non ti salutano, a quelli che non ricordano il tuo nome ma ricordano perfettamente la tua media. Beh, buone vacanze anche ai professori che i dieci li mettono, che ti chiedono come stai e che evitano il più possibile di chiamarti per cognome perché si rendono conto che sei una persona, e non un voto. Buone vacanze alla signora Elena, che mi lascia sempre salire in ascensore e ha sempre il termometro pronto se mi vede un po’ più svampita del solito. E ora i “buone vacanze” più importanti. Buone vacanze a Beatrice Penzo e Rebecca Daniotti, che hanno tirato avanti questo giornalino a pieno regime e non smettono mai di ricordarmi quanto io sia fortunata a non vivere con loro, perché altrimenti verrei regolarmente frustata per i miei ritardi. Buone vacanze a tutta la redazione, che ha tenuto alto il morale dei carducciani con i suoi articoli. E, soprattutto, buone vacanze Bibi. Lo so, pensavi che me ne fossi dimenticata, ma no, io non dimentico mai le tue minacce di morte quando mi dimentico di scrivere gli articoli. Ce l’hai fatta: il giornalino, guidato da te come direttrice, ha rettobb tuttebbbb le trappolebbb tese dai bbbb dematerializzatori seriali, che tentanob ancora di portare il bb

giornalino al lato oscuro del “SOLO INTERNET, SOLO DIGITALE”. Illusi. Beh, che dire, buona maturità e buone vacanze, Bibi, te se ama. Insomma gente, buone vacanze a tutti, a chi ha fatto ostruzionismo gratuito, a chi ha aiutato, a chi ha vinto, a chi ha perso, a chi ha lottato, a chi non tira mai l’acqua nei bagni del primo piano, a chi ha scroccato sigarette da me per tutto l’anno e ora mi deve una tabaccheria, a chi ha rotto le scatole e a chi le romperà anche l’anno prossimo, perché quella sì che è un’occupazione a tempo pieno, altro che il greco. *si ricorda che è un articolo di satira


di Linda Del Rosso e Larabella Myers IVC ARIETE (21 marzo – 20 aprile) I satelliti di Giove hanno ristretto più che mai la loro orbita intorno al pianeta. In questo periodo non sopportate l’incombente presenza dei vostri famigliari che si intromettono in ogni ambito della vostra vita privata. Marte vi consiglia di ergere un muro di fronte alla porta di camera vostra, sperando che mamma e papà non si armino di… ariete! Lindagora

TORO (21 aprile - 21 maggio) Avete seminato le vostre piantine in primavera e ora state lavorando con assiduità e amore per accompagnarlenellacrescita.Ricordatevidiannaffiarle ogni giorno e di non perderle mai di vista, anche quando il vento ne storce gli esili germogli: presto vedrete maturare i succosi frutti. Larasibilla

GEMELLI (22 maggio – 21 giugno)

BILANCIA (24 settembre – 23 ottobre) Sebbene essere modesti sia un pregio, a volte di fronte agli altri vi sottovalutate troppo. Avete tante qualitá ma finché non vi metterete in mostra nessuno le scoprirà. Smettetela di cantare sotto la doccia e fate un balzo sul palcoscenico della vita, impadronitevi del microfono e gridate a squarciagola. Lindagora

SCORPIONE (24 ottobre – 23 novembre) È da Natale che state scegliendo il vostro outfit per il trofeo Langè, forse nella speranza di catturare il cuore di qualche stambecco/a alla corsa ad ostacoli. Non dimenticate di allenarvi per le gare però, perché chi non è fortunato in amore lo è al gioco, e chi è fortunato al gioco fa colpo sugli ammiratori! Larasibilla

SAGITTARIO (24 novembre - 21 dicembre)

Sul vostro asse la via lattea si é addensata esageratamente e su di voi incombe il rischio di osteoporosi. Fate attenzione all’eccesso di vitamina D, causato dal consumo di latticini. Se fino a ieri la vostra solita colazione consisteva in latte e cereali, potreste sostituirla con una tazza di té alle erbe con nettare di mela verde, perfetta per sgonfiare le membra. Lindagora

Tra gli dei celesti è scoppiata una nuova moda, ossia il metodo MERPE (Metodo Enciclopedico di Risoluzione di Problemi Esistenziali). Se ultimamente siete assaliti da terribili dubbi ascoltate il consiglio divino: dopo esservi posti una domanda, aprite uno dei vostri libri in una pagina a caso. Leggerete così un’espressione o una frase che vi aiuterá a risolvere i vostri problemi. Lindagora

CANCRO (22 giugno - 22luglio)

CAPRICORNO (22 dicembre – 20 gennaio)

Siete come un sistema termodinamico: il vostro livello di iperattività è direttamente proporzionale alla temperatura esterna. Con il clima estivo siete colti da una sfrenata euforia e vorreste passare tutte le tue giornate a correre per le praterie milanesi. Resistete ancora un po’: con la giusta dose di impegno tra pochi sforzi sarete liberi! Larasibilla

Spegnete il forno! Con il clima afoso è venuto il momento di dedicarsi alla cucina rinfrescante. Provate a preparare un buon cheesecake o un dolce di frutta e deliziate i vostri compagni con la vostra maestria nelle arti culinarie… potreste addolcire anche i prof! Larasibilla

LEONE (23 luglio – 23 agosto) Cari leoni, ultimamente siete scoppiettanti come olio bollente. Avete mosso una critica pungente a un vostro caro amico e, nonostante lo abbiate fatto a fin di bene, ci è rimasto molto male. Attenzione dunque a non bruciare la bistecche nella padella: per cuocere la carne è meglio abbassare la fiamma dei fornelli. Lindagora

VERGINE (24 agosto – 23 settembre) I vostri sogni sono tormentati e sembrano presagire cattivi eventi. Vivete nell’ansia dell’eventualità di annegare nel mare tempestoso delle verifiche come avete visto nei vostri incubi. Freud sosterrebbe che l’azione del nuotare deriva una malinconia per quando eravate nella placenta; le maghe della foresta consigliano invece di sorseggiare una dolce camomilla prima di coricarvi. Larasibilla

ACQUARIO (21 gennaio – 18 febbraio) La vostra vita é un malinconico quadro impressionista. Ma tanti tratti di colore scuro messi insieme formano un’armonia generale. Nonostante le giornate nere dell’ultimo periodo, provate a dare uno sguardo generale e distaccato sulla vostra esistenza: vi renderete conto che in fondo non avete nulla di cui lamentarvi. Con un po’ di positivitá migliorerete la vostra autostima. Lindagora

PESCI (20 febbraio – 20 marzo) Tutti vi invitano ad uscire all’aria aperta: pic-nic, gite, sport, passeggiate, tutte attività che turbano la vostra natura sedentaria. Ad ogni occasione cercate di rifugiarvi in casa all’ombra per giocare ai videogiochi o dedicarvi ai vostri hobby. La cosa più importante è che trascorriate le giornate serenamente, ma ricordate di ricaricare le vostre riserve di vitamina D con moderati periodi di esposizione solare. Larasibilla

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varie

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Quanto spesso quei signori che vogliono parire dotti e ineccepibili ai vostri occhi si tradiscono nel modo più brutale ed esilarante? Inviaci anche tu le peggiori frasi dei tuoi prof... DURANTE L’ORA DI MATEMATICA PROF: eh devo fare il dominio per trovare i punti di curpide X: e i punti di tricuspide e i punti di mitrale... DURANTE L’ORA DI INGLESE DURANTE L’ORA DI STORIA DURANTE L’ORA DI ITALIANO PROF: Se qualcuno di voi PROF: no vabbe sto dicendo che PROF: a voi non importa nulla del questa scuola non è l’ambiente sarà morto dal ridere, sarò panismo, voi volete solo il panino riuscita nel mio intento di ideale, è un po’ freddo... X: si, il panino di Pan X: e qual è l’ambiente ideale? farvi stare zitti PROF: il divano di casa mia DURANTE L’ORA DI ITALIANO DURANTE L’ORA DI ITALIANO con il mio Ipad. A fare un po’ di PROF (spiegando Montale):... ( si sentono urla dal cortile) PROF: stalking anche se però la Lombradia Questi sono versi liberi non è una terra di limoni... DURANTE L’ORA DI GRECO DURANTE L’ORA DI MATEMATICA X: prof. sa cosa ha fatto mio PROF: ...Luciano non aveva PROF: Anche io sono un po’ sprecisa padre? dato che i limoni non certo studiato come voi... Classe: *ride* crescevano, li ha attaccati X: speriamo meglio PROF: Solo un pochetto però col filo sulla pianta DURANTE L’ORA DI GRECO DURANTE LA SIMULAZIONE DURANTE L’ORA DI INGLESE PROF: e uno dei due cavalli è DEL TEMA D’ESAME PROF: Quando gli studenti di mi buono, bello, per discendenza, PROF: Beh un argomento di dicono: “prof, ma lei quando era per natura, per Mendel, come fantascienza, “i giovani e il giovane...?” io penso “ci rivediamo volete voi lavoro” a settembre” DURANTE L’ORA DI STORIA DURANTE L’ORA DI MATEMATICA PROF: La pena di morte viene PROF: Anche tu hai una penna sola? oh ma sti cartolai muoiono reintrodotta col codice Rocco... tutti di fame Rocco di cognome eh! DURANTE L’ORA DI STORIA PROF: Ricordatevi l’elettrocardiogramma per il Perrone, non vogliamo istituire un altro trofeo per commemorarvi

DURANTE L’ORA DI ITALIANO X (commentando Montale): che amarezza prof... PROF: eh? Caparezza?

DURANTE L’ORA DI FILOSOFIA PROF: Eravamo venuti fuori con un po’ di figure per L’Es, il sott’olio, il sott’aceto ,il sotto il tappeto DURANTE L’ORA DI INGLESE PROF: Svegliatevi che avete dormito troppo

DURANTE L’ORA DI FISICA PROF: Frigoriferi e secondo principio, un titolo un po’ domestico

DURANTE L’ORA DI GRECO PROF: Πεους! èil nostro c... puntini puntini

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