Terzo numero, febbraio 2016

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L’editoriale

U

di Beatrice Sacco VD

no spettro si aggira per il Carducci – lo spettro della maturità. Le materie dell’esame di Stato di quest’anno sono state comunicate qualche settimana fa, nei giorni della merla, e, ahimè, greco è in seconda prova. Mi immagino la quantità di capelli strappati di fronte alla notizia, ma anche qualche sorriso sulla bocca di chi è sempre andato d’accordo con questa materia, per un motivo o per l’altro. Intanto, lo spettro continua ad aggirarsi. Siamo già a febbraio e sembra che il tempo scorra più veloce di prima. E la tesina? I più bravi si sono già messi all’opera, gli indecisi non sanno ancora su cosa farla e gli altri non si pongono il problema, insomma, c’è un sacco di tempo! Carnevale probabilmente è stato l’ultimo ponte di riposo per chi è andato a sciare con gli amici o in vacanza nella casa in campagna... Ma, ansia pre-maturità a parte, anche quest’anno il Carducci si è ben distinto nel Giorno della Memoria, invitando alla plenaria Dario Foà, ebreo testimone della discriminazione razziale degli

anni ‘40. Sia il suo intervento, sia quello tenuto invece dal prof. Giovannetti hanno riscosso molto successo tra gli studenti. E a proposito di assemblee, la tanto bramata cogestione è alle porte: ci aspettano tre intensi giorni di curiosità, approfondimenti, gruppi e interessi che i rappresentanti di Istituto stanno organizzando con tanto amore, per cercare di rendere questa occasione ancora una volta, come gli anni passati, degna del suo nome. Inoltre, il buon vecchio Carducci ha dato avvio agli stages all’estero per le classi quarte e alle sacrosante gite di classe per tutti gli altri: in questo continuo via vai di studenti che partono e che vengono, alcuni di quelli che rimangono a scuola si rimboccano le maniche di fronte al gigante della cogestione, altri, nonché la redazione dell’Oblò, darà avvio, dopo un semi decollo a dicembre, ai magnifici concorsi indetti sullo scorso numero. Vi chiediamo solo di avere pazienza: i concorsi si faranno e le direttive verranno annunciate con precisione più avanti. Ed ora silenzio: ha inizio lo spettacolo del numero terzo.

La redazione dell’oblò

redattori | Greta Anastasio, Adriano Bertazzoni, Cleo Bissong, Elisabetta Bonato, Elisa Boscani, Viola Carnelli, Matilde Caselli, Giulia Casiraghi, Alessandro Cassese, Emma Cassese, Sofia Castagna, Giulio Castelli, Chiara Cimetta, Eleonora Colli, Marta Crippa, Rebecca Daniotti, Luca Debidda, Alice De Gennaro, Alice de Kormotzij, Linda Del Rosso, Maria Chiara D’Agruma, Marco D’Alessandro, Chiara Di Brigida, Stefano Fontanesi, Letizia Foschi, Valentina Foti, Valeria Galli, Margherita Ghiglioni, Gregorio Grassi, Sabrina Henchi, Cristina Isgrò, Olivia Manara, Elena Marcu, Isabella Marenghi, Giulia Martinez, Larabella Myers, Giorgia Mulè, Diana Novelletto, Matteo Oggioni, Nora Pagano, Costanza Paleologo, Beniamino Piccolo, Claudia Pirro, Marta Piseri, Valentina Raspagni, Asia Rossetti, Davide Siano, Giovanni Spadaro, Giorgio Toja, Giuliano Toja, Leonardo Zoia DISEGNI DI | Leonardo Zoia, Viola Carnelli, Olivia Manara DIRETTRICE | Beatrice Sacco VD Capi redattore | Bianca Carnesale IVA, Beatrice Penzo IVE Docente referente | Giorgio Giovannetti Collaboratori esterni | Niccolò Carpinella, Alessandro Ivone, Giaime Ferrigno impaginatori | Beatrice Sacco, Rebecca Daniotti, Bianca Carnesale, Giovanni Spadaro 2

L'Oblo' sul Cortile | Anno X, n° III

Pag

sommario

4 quando partorire diventa tragedia 5

6-7 8

crisi del capitalismo nel XXI secolo

IL CONTRASTO CULTURALE: ISLAM E OCCIDENTE RUBRICAMI

9

i soliti ignoti

10

ce la faranno i nostri eroi?

11 12-13

14 15

16 17

18

19

FETISHISM IN FASHVVION ERO COME USARLA? O DA

MEMORIA: SAPPIAM

SHARING IS CARING?

Station to station: a farewell from Beckenham ! Andra moi e! nnepe, Mo%usa

post-it! chicche dal vocabolario

and i go back to black | ROSA PARKS

DUE SPESSE LINEE DI EYELINER SUGLI OCCHI

20 21

amelia earhart

CAROL | IRRATIONAL MAN

2223

STAR WARS | THE LOBSTER

24

how many times does an angel fall?

| quo vado?

25 il piccolo principe | cheetah

26

mad sounds

27

l david bowie | a head ful

of dreams

28 how big, how blue

... how beautiful

29

spoon river anthology| la ragazza del treno

after | due punti

30 31

32

la gloriosa follia | non

lasciarmi

pioggia come lacrime

33 il gioco delle ombre

34 camomilla 35 ma quale calcio | un viaggio nella ginnastica

36

scatto di jamie roger riviére | il ri

| oroscopo 37- la cometa letteraria 38

comic page 40 OSTRICHE SENZA PERLA 39


Attualità

Un capodanno di ordinaria folliA di Rebecca Daniotti IIIF

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lle 8.57 della mattina del 1° Gennaio 2016 l’ufficio stampa del dipartimento di polizia di Colonia dirama un comunicato dal titolo “Atmosfera festosa. Festeggiamenti in gran parte pacifici”. Ma la realtà per molti è stata ben diversa. Un agente della polizia, tal Wohlfahrt, che ha chiesto di non rivelare il suo vero nome, racconta al settimanale Der Spiegel che cosa è davvero accaduto la notte di capodanno nella città tedesca. Quella sera gli era stata affidata la zona vicino al duomo e, oltre alla polizia, erano in servizio anche ottanta agenti antisommossa, il doppio rispetto al 2015 per il timore di attacchi terroristici. Già alle 21.00, durante la riunione preparatoria, si era saputo che alla stazione centrale qualcosa non andava. Wohlfahrt quando alle 22.50 arriva davanti alla stazione vede sulla scalinata del duomo e sul piazzale mille-millecinquecento uomini la cui origine non riesce a individuare. Alcuni gridano in francese “non c’è problema” accendendo petardi e, come Wohlfahrt riporta, la presenza della polizia non sembra avere alcuna funzione deterrente. La prima volta che il poliziotto sente parlare di aggressioni sessuali è alla

radio della polizia da cui apprende che anche una collega ne è stata vittima. Alle 23.15 gli agenti raggiungono il piazzale e iniziano a sgomberarlo, mentre la polizia federale blocca entrate e uscite della stazione. Il tutto dura 40 minuti. Al duomo rimangono quaranta agenti e la piazza riprende a popolarsi. Molte persone chiedono di essere scortate fra cui anche donne “di origine straniera”, una di queste ferma Hermann Wohlfahrt chiedendogli se in Germania il capodanno si festeggi sempre così. Ma Der Spiegel non riporta solo il punto di vista del poliziotto, vi sono anche le testimonianze di molte donne che dichiarano di essere state pesantemente palpeggiate e in alcuni casi violentate. Alla polizia ci sono voluti quattro giorni per mettere per iscritto ciò che è successo quella notte. Il rapporto specifica che gli atti di violenza sono stati causati da individui “di origine straniera” ed è steso come se fosse il rapporto di un massacro. Nel frattempo la polizia della città renana ha fatto sapere che il numero delle denunce per le aggressioni alle donne nella notte di Capodanno a Colonia è cresciuto a 379. Molte persone, a seguito di quegli eventi, hanno ferocemente criticato la politica di accoglienza della

cancelliera tedesca Angela Merkel, scrivendo post infuocati sui social network dai quali traspare odio e intolleranza: “La cancelliera pazza ha lasciato entrare in Germania milioni di clandestini maschi sessualmente affamati e asociali provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa. Secondo il Corano le bionde tedesche sono ‘prede’ di cui è lecito abusare a piacimento”; “Tutto prevedibile da parte dei negri, degli zingari e degli arabi che Merkel ha fatto entrare illegalmente”. Non solo. Il 9 Gennaio si è tenuta a Colonia una manifestazione dell’estrema destra che ha visto scendere in piazza i militanti del movimento anti-islamico Pegida e del partito di estrema destra Pro Koehln. Il corteo è stato poi sospeso dalla polizia per evitare escalation di violenze dopo un lancio di petardi contro le forze dell’ordine. A questo punto sorge spontanea una domanda: i terribili fatti accaduti la notte di Capodanno possono giustificare gli atti di intolleranza accaduti in seguito? La risposta è immediata: certamente no. Rispondere all’odio e alla violenza con intolleranza e razzismo non è mai il modo giusto. Il 5 gennaio un gruppo di donne ha manifestato a Colonia per dimostrare il proprio sdegno nei confronti delle molestie e degli stupri della notte di capodanno, ma allo stesso tempo per protestare contro il razzismo. E, il 9 gennaio, in contemporanea al corteo dell’estrema destra, alcune organizzazioni anti-razziste hanno sfilato in una contromanifestazione per dire no a qualsiasi tipo di violenza e di odio. La drammaticità degli eventi di Colonia non sta nella nazionalità di chi li ha compiuti, ma nell’atto in sé e nel fatto che quanto accaduto nella città renana è solo lo specchio amplificato di quanto succede ogni giorno in Europa, dove una donna su due è vittima di aggressioni fisiche o sessuali.

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Attualità

Quando partorire diventa tragedia di Greta Anastasio IVB

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remetto che i fatti riportati risalgono al periodo natalizio, perciò può essere che nel frattempo si siano aggiunti nuovi dettagli ed altre vicende. Durante le vacanze di Natale i telegiornali hanno trasmesso alcune spiacevoli notizie riguardanti donne incinte che, a distanza di poco tempo l’una dall’altra, hanno perso la vita insieme ai loro bambini. Inizialmente si è ipotizzato che i casi potessero essere collegati tra loro in qualche maniera, nonostante le donne avessero età diverse e fossero di città e mesi di gravidanza differenti, ma in seguito ad accertamenti si è verificato che le morti sono avvenute senza una causa comune. Secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il susseguirsi di questi decessi è solo “una drammatica casualità, alla quale bisogna però dare risposte". E per avere queste risposte il ministro ha mandato negli ospedali, in cui sono avvenuti i decessi, degli ispettori a controllare l’operato di tutto il personale ospedaliero e a verificare che non ci siano stati casi di trascuratezza

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nei confronti dei pazienti. Purtroppo, la task force degli ispettori ha riscontrato "criticità" riguardanti il lato organizzativo, clinico e della gestione dell'emergenza, in tre ospedali su quattro tra quelli dove sono avvenute le complicanze che hanno causato la morte di Giovanna Lazzari e Marta Lazzarin. È inaccettabile che per individuare questi punti di criticità siano state necessarie più vite umane, comprese quelle dei nascituri, per poter smuovere la macchina politico-burocratica incalzata dal peso esercitato dai media su questi decessi . E alla luce di questi fatti la fiducia verso gli ospedali e personale medico è sicuramente diminuita. Naturalmente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ma penso sia inevitabile tale reazione se si leggono le atroci storie di queste mamme. Mi chiedo: al di là delle dovute indagini e delle commissioni d’inchiesta che stabiliranno cause e responsabilità, oggi è davvero possibile per una donna morire di parto? Cinque decessi di partorienti in pochissimi giorni mi sembrano eccessivi e mi fanno pensare che la sanità italiana,

pur dotata di avanzati strumenti tecnologici, non sia in grado di garantire quell’eccellenza di servizio che l’utente si aspetta di ricevere. Eppure, il nostro S.S.N. (Servizio Sanitario Nazionale) è riconosciuto come uno dei migliori al mondo da istituzioni internazionali e il numero delle morti di parto causate da interventi non corretti si è ridotto quasi a zero, anche se non bisogna trascurare il dato riguardante l’aumento dell’età media delle partorienti, che può influenzare i rischi del parto. Resta comunque il fatto che sicuramente alcune di queste morti materne siano correlate ad un difetto del sistema di sorveglianza della gravidanza e di assistenza al parto. Ciò implica la necessità di ulteriori investimenti sia nella formazione del personale medico sia nell’adeguatezza delle strutture sanitarie, ma soprattutto nella prevenzione e diagnosi precoce in situazioni potenzialmente a rischio di complicanze, al fine di evitare l’inaccettabile realtà che la morte di queste donne rappresenta. Partorire deve essere una gioia e non una tragedia a causa di un sistema sanitario non del tutto efficiente.


Crisi del capitalismo nel XXI secolo di Giaime Ferrigno IIB

I

l sistema capitalista è fondato sul principio del libero commercio e prevede, in quanto tale, l’esistenza della proprietà privata. Aristotele riteneva che questa condizione fosse necessaria affinché l’uomo si assumesse la responsabilità della manutenzione e del miglioramento dei beni in suo possesso. Venti secoli più tardi irromperà, drastica e furiosa, la rivoluzione industriale e il moderno sistema economico incomincerà a vomitare i suoi vapori mefitici e le sue maree claustrofobiche di lavoratori a tempo determinato. Oggi, nel gennaio 2016, quando ormai anche l’androide Roy Batty ha avuto i suoi natali e “Ritorno al Futuro” è il passato, si assiste ad un’esplosione demografica senza precedenti e a uno squilibrio della ricchezza di proporzione medievale: da quest’anno l’un per cento più ricco della popolazione mondiale possiede più del restante novantanove per cento (dati OXFAM). E’ il compiersi della profezia marxista, la tirannia del capitale, il regno celeste del dio denaro, così vanaglorioso e potente. Il filosofo tedesco affermava che il capitalismo fosse un modello economico transitorio, un preambolo alla nuova era comunista: la rivoluzione del proletariato e la collettivizzazione dei mezzi di produzione. La rivoluzione in particolare era considerata inevitabile poiché la natura ciclica del capitalismo è insostenibile nel lungo periodo. Il succedersi delle crisi periodiche cui esso è soggetto porta incontrovertibilmente alla concentrazione del capitale in un numero sempre più esiguo d’imprese e ad uno squilibrio economico dirompente e inarrestabile. Inoltre, dagli anni Ottanta, a partire dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, si è diffusa nel mondo occidentale una politica ultra liberista che ha avuto come implicazioni la riduzione dell’assistenza sociale e la conseguente privatizzazione dei servizi pubblici. Il risultato dell’austerity è stato, prima sei lustri or sono in quel di Londra e adesso in tutta Europa, la distruzione della classe media e il blocco della crescita economica. Ed ecco quindi che le ideologie estremiste diventano l’ultimo appiglio prima del

grande vuoto, l’ultima lacrima di speranza nell’oceano della rassegnazione. Sciascia, nel “Candido”, definisce il comunismo come “l’istinto di conservazione, la volontà di sopravvivere”. La fede in qualcosa di migliore, che esuli dalle basse ambizioni umane, che faccia del singolo non più un individuo legato al suo destino, ma a quello dell’intera società moderna. Allo stesso modo i movimenti di estrema destra, di matrice xenofoba e razzista, sono consequenziali al momento economico e rispecchiano la necessità di trovare un colpevole che ci deresponsabilizzi. In entrambi i casi si tratta di fenomeni di autodifesa nei confronti di un mondo che non rispetta più i nostri ideali, qualunque essi siano, il risultato più ovvio di una massiccia deregolamentazione del mercato, della totale fiducia nella mano invisibile smithiana. Gli squilibri sociali sono legati indissolubilmente alla crisi economica e determinati da un sistema nel quale le grandi multinazionali e le banche tiranneggiano impuni salvaguardando i loro interessi prima che quelli dei propri lavoratori e dei propri clienti. Nel primo caso fenomeni come la delocalizzazione, per la riduzione del costo della manodopera, e lo sfruttamento intensivo e insostenibile dei territori a disposizione sono all’ordine del giorno. Per quanto riguarda le banche, invece, la speculazione finanziaria incontrollata, come si legge anche nella cronaca nostrana degli ultimi giorni, può portare, con la manomissione o un errato calcolo del profilo di rischio, ad un disastro di proporzione biblica per i piccoli risparmiatori. Inutile parlare dell’indulgenza dello stato in questi casi che, anzi, si adopera a salvarle in caso di bancarotta, pure fraudolenta. Una più severa regolamentazione dei mercati e un intervento statale più deciso vennero proposti nella prima

metà del novecento dall’economista britannico John Maynard Keynes. Keynes era convinto che l’autoregolazione del mercato fosse impossibile data la natura umana, quindi imprevedibile, degli investitori. Almeno nel breve periodo. Era portavoce di una politica interventista, fatta di investimenti pubblici e di aiuti sociali. Poiché questo è l’unico modo veramente efficace per creare occupazione. Il capitale, per Keynes, era un mezzo, non un fine, un mezzo che, in ogni caso, riteneva essere l’unico possibile. “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto e non produce beni necessari”. Non credo ci sia seriamente bisogno di abbattere i sistemi vigenti ma, quantomeno, di ristrutturarli, a partire da una base ideologica e filosofica. Scindere ricerca della felicità e ricerca del profitto, arrivare finalmente a capire che il benessere non può essere misurato in termini pecuniari. Secondo Serge Latouche, economista francese, un modello basato sulla crescita non è altro che “un gigante che non è in grado di stare in equilibrio se non continuando a correre, ma, così facendo, distrugge ogni cosa che trova sulla sua strada”. Latouche, ritenendo utopistica e antiecologica una crescita illimitata nel tempo, auspica una diminuzione del PIL a favore di un aumento del benessere personale, inteso come soddisfazione dei bisogni naturali. Il superfluo è eccessivo e ingombrante. “La povertà misurata al fine che è proprio della natura è una gran ricchezza, ma la ricchezza, se non viene limitata, è gran povertà”, Epicuro.

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Attualità

IL CONTRASTO CULTURALE: ISLAM E OCCIDENTE

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di Niccolò Carpinella IIF

egli anni ’70 e ‘80 i ragazzi senza un’identità e un ideale si distruggevano con l’eroina: era un tentativo di evasione dalla solitudine e dal disorientamento, terribile ma unicamente autodistruttivo. Quando i giovani arabi si fanno saltare in aria si tratta sempre di un’autodistruzione - e in quanto tale non si può fingere di non vedere il dramma dietro questi gesti - ma si tratta anche di un attacco ad altre persone, e perciò bisogna agire affinché questo terrorismo sia sconfitto, concretamente e culturalmente. Mentre Charlie Hebdo era un obiettivo simbolico e mirato, poiché i vignettisti dal punto di vista dei terroristi avevano offeso il profeta, gli attacchi del 13 novembre ci hanno destabilizzato in quanto i luoghi colpiti erano luoghi di vita comune e perché il loro unico fine era la strage di persone colpevoli soltanto di avere uno stile di vita “occidentale” diverso da quello propugnato dalla sharia. Colpisce il fatto che i terroristi siano legati a un'idea di sacrificio a noi occidentali sconosciuta: sanno già che moriranno quando aprono il fuoco, ma questo non li spaventa. Poiché nessuno nasce terrorista, bisogna capire cosa spinge molti giovani musulmani ad aderire all’estremismo islamico. Per prima cosa dovremmo rilevare dove e quando è nato materialmente il fondamentalismo islamico in forma di

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organizzazioni terroristiche. Al Qaeda e chi si sente in pericolo si aggrappa nacque in Afghanistan, finanziata a ciò che ha a portata di mano. Non dagli Stati Uniti per combattere il essendo più quest’ancora un’ideologia, governo progressista filo-sovietico lo diventano la religione, il razzismo che aveva portato un cambiamento e in generale l’odio: in tempi di radicale nella società feudale del crisi storicamente la reazione è un paese; come l’oppressione genera un elemento che si diffonde facilmente, e impulso di libertà, così un’improvvisa questo è vero oggi per lo Stato Islamico apertura in un mondo com’era quello quanto lo fu in passato per il clericoafgano, ancora chiuso nella tradizione, fascismo. Con la crisi delle ideologie ha portato a un contrasto fra la (e ancor di più a partire dalla caduta cultura religiosa e le nuove riforme, del muro), l’assenza di alternative che sfruttato ideologicamente per per i paesi asserviti all’occidente da abbattere il governo una parte e le guerre “Ognuno si salva socialista portò alla nei Paesi non piegati come può, e chi si alla nascita di Al Qaeda (1). globalizzazione In Siria, le proteste sente in pericolo si dall’altro hanno fatto che chiedevano più aggrappa a ciò che ha crescere il rancore democrazia hanno nei confronti degli a portata di mano.” occidentali dando vita portato a un attacco a tutti gli aspetti del regime di al fondamentalismo islamico. La prima Assad, fra cui la laicità, e questo ha testimonianza di questo processo fatto sì che siano nati i movimenti di identificazione nell’islam come islamici radicali che hanno dato vita reazione ai problemi del proprio paese a Daesh insieme ai gruppi jihadisti è stata la rivoluzione iraniana del nati in Iraq dopo le guerre del Golfo 1979, in cui il popolo ha rovesciato lo per reagire alla pretesa americana scià di Persia, una specie di monarca di “esportare la democrazia”. totalmente asservito agli Stati Uniti. Nel mondo in cui viviamo gli ideali Ciò che impressiona è che i terroristi che contrastavano il capitalismo, la che si fanno esplodere a Parigi siano globalizzazione e il colonialismo sono giovani nati e cresciuti in Francia, venuti meno. Gli oppressi hanno dovuto e mi rendo conto di star dicendo quindi trovare nuove certezze e nuove una cosa detta e ripetuta, ma la uso identità forti (o meglio ritrovarne per collegarmi a un ragionamento delle vecchie) per incanalare la loro più vasto. Il multiculturalismo e rabbia: per gli occidentali è un ritorno l’integrazione in alcuni casi hanno sempre più diffuso al nazionalismo, fallito o comunque hanno riscontrato per gli islamici un’identificazione nella (e stanno riscontrando) dei grandi religione. Ognuno si salva come può, problemi, ma la situazione è più complessa di quanto vogliano farci credere. I giovani arabi in Europa si ritrovano a fare i conti con due culture diverse: quella dei loro genitori e quella del Paese in cui vivono. Prendiamo un esempio: il ramadan. Alcuni lettori staranno già storcendo il naso; in realtà il ramadan, per quanto io non lo praticherei mai e poi mai, ha un valore intrinseco che trovo molto interessante e importante: quello dell’astinenza, che significa la capacità di sopravvivere anche lontani dal godimento e dai piaceri fisici. Si tratta di un pensiero profondamente contrario alla cultura consumista dell’occidente, in cui vige un culto dell’immediatezza, della disponibilità


del piacere e della continua ricerca palestinese. L’incontro culturale è un di esso. Il consumismo ha sedotto i arricchimento, ma si sta assistendo a giovani arabi così come aveva sedotto uno scontro tra un costume europeo gli abitanti del blocco sovietico negli in cui le identità dei popoli sono state anni del crollo dell’URSS, ma si è poi sostituite dalla cultura anglofona del rivelato per quello che è: un paradiso consumo e un costume islamico che ha effimero. La delusione sta portando vissuto un periodo di regresso rispetto gli adolescenti musulmani che vivono agli spiriti progressisti degli anni ’60 nel degrado delle periferie delle città e ’70: il risultato è una desolazione europee a ricercare una sicurezza, un culturale grave che impedisce il tentativo di resistere e una ragione dialogo. I paesi islamici si sono ritrovati di vivere nell’altra cultura a cui sono da un momento all’altro immersi in un legati, quella fiume di nuove dei loro Paesi “ I giovani arabi in Europa si tecnologie e ritrovano a fare i conti con connessi al resto d’origine. E poiché l’espressione di due culture diverse: quella del mondo dalla forza più radicale dei loro genitori e quella del globalizzazione, nel mondo e questo ha Paese in cui vivono.” islamico è il inevitabilmente jihadismo, alcuni giovani aderiscono provocato una crisi dei simboli religiosi all’integralismo religioso perché non e culturali che fino a quel momento hanno alternative di sfogo ideologico. erano stati il loro punto di riferimento, In fondo l’ISIS è anche la risposta al con conseguente ritorno aggressivo fallimento dei modelli alternativi a una religione che sembrava messa al capitalismo e alla mancanza di in crisi dalla modernità. Ma qual è movimenti contro la globalizzazione la differenza fra le leggi islamiche occidentale: dobbiamo tenere presenti in molti paesi arabi e quelle presente che alla base di molto del delle liberal-democrazie nostrane? La consenso che ha lo Stato Islamico in differenza fondamentale è che mentre Medio Oriente ci sono le tematiche uno stato occidentale può permettersi sociali che esso porta avanti, e di intervenire nella sfera privata degli una delle situazioni da cui riceve individui, ciò non è concepibile nella più consenso è il conflitto israelo- legge islamica, mentre la conformità

del comportamento pubblico è molto più rigorosa nell’islam che nei paesi occidentali. Quella con la religione è una relazione intima e personale: sebbene il Corano dica "Chi vuole creda, e chi non vuole respinga la fede", il diritto a esprimere un’opinione che critichi la religione (o che, come nel caso di Charlie Hebdo, la sbeffeggi) è visto come un tentativo di attaccare questa relazione fra Allah e il credente, e perciò restare in silenzio davanti alla blasfemia significa subire e rimanere succubi di qualcosa di immorale. Ed è qui che per i musulmani dovrebbe cominciare la tolleranza, il valore in assoluto più importante da insegnare, poiché tolleranza significa sopportare quello che istintivamente ci è estraneo e offensivo (2). (1) Quando parlo di apertura dello Stato intendo ad esempio le leggi che garantivano la parità dei sessi. (2) Relativamente a quest’ultimo paragrafo consiglio la lettura dell’articolo “Je suis bête et méchant”, che significa “Io sono stupido e cattivo”, scritto dal filosofo sloveno Slavoj Zizek dopo la strage di Charlie Hebdo e da cui ho tratto questa riflessione.

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Attualità

rubricami

milano su due ruote

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di Beatrice Sacco VD a amante della bicicletta che sono non ho saputo resistere alle fredde ma splendenti giornate di gennaio per un bel giro tra le vie di Milano. Sì, giornate fredde e a volte anche ventose, ma brillanti di un tiepido sole invernale: era da tanto che non mi capitava di svegliarmi con un’alba arancio-rossa e di sporgermi dalla finestra nelle prime ore del pomeriggio, quando il sole illumina le case e gli abitanti di una luce magica. Queste sono le tentazioni a cui non ho saputo resistere. É diciotto anni che abito a Milano, ma da poco mi sono resa conto di non conoscere veramente la mia città e soprattutto di non averla mai apprezzata per quello che è: un grande agglomerato di palazzi, una città sempre attiva, ricca di eventi culturali, cinema, teatri, mostre… e piste ciclabili. Piste ciclabili? Sì, negli ultimi anni la Giunta comunale si è ben data da fare in questo campo e ancora oggi continua a farlo; l’ultimo progetto approvato è il masterplan riguardo al Parco Forlanini, ad est di Milano, che consentirà a tutti i cittadini di vivere nuovi spazi verdi e percorsi ciclopedonali, collegando l’Idroscalo e il centro città. Ad oggi, secondo i dati del Comune di Milano, si contano più di 140 km di piste ciclabili, di cui l’80% corre su strada e il 20% si snoda in parchi e aree verdi. Così, se come me volete godervi la città pedalando su due ruote tra i nuovissimi grattacieli di Porta Nuova, o i vicoli di Quartiere Isola, o intorno a Castello Sforzesco, o ancora sui Navigli Grande e 8

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Dando le spalle al Cimitero Monumentale, Milano Pavese, ne avete la possibilità, perché le piste ciclabili ci sono. Ma stando ai fatti, quanti di questi percorsi sono realmente utili? È una gioia sapere che il Comune si stia mobilitando verso la realizzazione di nuovi itinerari per le biciclette, ma forse prima sarebbe meglio sistemare quelli che sono già stati costruiti (male) tempo fa. Saranno sì e no sei anni che mi muovo perennemente in bicicletta in città e ad oggi il percorso che parte da Piazzale Bacone e arriva a Porta Venezia è ancora il tratto ciclabile meno confortevole della zona: ogni saliscendi della pista è un colpo della strega assicurato, oltre al fatto che l’asfalto è sconnesso e pieno di buche. Ma non è finita qua: in questi miei sei anni di eterno girovagare sulle due ruote non hanno ancora concluso la comoda – fino a Palestro – ciclabile di Porta Venezia, che si interrompe così, a metà, nel bel mezzo della carreggiata dove sfrecciano le automobili al tuo fianco, e da qui raggiungere San Babila diventa sempre un inferno di slalom tra le macchine ferme in coda, con aggiunta gratis di una salutare boccata di polveri sottili. Per non parlare della ciclabile di Via San Marco - che passa di fronte al Liceo classico Parini, per intenderci realizzata furbamente in san pietrini, apposta per rompere del tutto una vecchia bici dai freni a bacchetta priva di ammortizzatori, naturalmente.

Di fatto, quindi, le piste ciclabili milanesi in buono stato non sono molte; al contrario, quando sono belle e nuove di zecca, spesso finiscono nel nulla. Così la rischiosa vita di un ciclista si riduce ad un pericoloso pedalare tra il traffico intenso delle automobili, che spesso non prestano attenzione alle biciclette. Ma questi non sono motivi validi per non circolare in bicicletta tra le vie di Milano, anzi! Oltre che essere una città quasi del tutto pianeggiante e quindi molto comoda da girare in bici (pensate soltanto ad una città come Genova, dove regnano salite e discese) Milano è una città molto inquinata, e lo si è visto e dimostrato nei fatti in questi ultimi mesi di soffocamento dal grigio velo che ha rivestito i palazzi per diversi giorni. Tutti sappiamo che come soluzione a questo problema non è sufficiente bloccare il traffico per qualche giorno, però forse se da oggi chi abita in città montasse su una bicicletta per andare a lavoro, al cinema, o in centro, i tassi di inquinamento calerebbero notevolmente e i nostri polmoni comincerebbero a scolorarsi di grigio. L’ultimo giro in bici che ho fatto a Milano mi ha portata nella zona del Cimitero Monumentale, luogo insolito, ma spettacolare. Parcheggio le due ruote, faccio qualche passo e mi pianto al centro della piazza: davanti a me il maestoso ingresso del Cimitero, mi volto e le rosse luci del tramonto abbracciano strade, case, alberi, biciclette, e più in là si riflettono sull’alto palazzo a punta di Piazza Gae Aulenti. Se vivessi Milano sempre così, sarebbe senza dubbio la mia città preferita – purtroppo però il poco tempo in settimana mi permette solo di percorrere il tragitto mattutino casascuola – e anche se alcune piste ciclabili non sono delle migliori, da amante della bicicletta che sono non smetterò mai di pedalare tra le strade della mia città.

Il Cimitero Monumentale, Milano


cronache carducciane

I soliti ignoti

Intervista ai nuovi prof della scuola di Luca Debidda, Chiara Cimetta e Linda Del Rosso IIIC

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l rientro dalle vacanze il Carducci ci ha sempre riservato qualche sorpresa: primini, nuove aule, spostamenti di piano e qualche nuova faccia tra i professori. Quest’anno però a settembre ci siamo ritrovati di fronte a un vero e proprio esercito di docenti sconosciuti. Probabilmente come noi vi sarete sentiti spaesati di fronte a queste novità, così abbiamo deciso di intervistare alcuni professori per farveli conoscere meglio (speriamo che nessuno si offenda, ma per motivi pratici non abbiamo potuto intervistare tutti).

MADDALENA CHIERICO Laureata in filosofia a Bari, la professoressa Chierico ottiene una cattedra a Milano e ora insegna al Carducci storia e filosofia in 3C, 3E e 3F. L’impatto con la nostra scuola è complessivamente positivo: è rimasta molto colpita dalla calda accoglienza e dall’apertura dei colleghi, mentre è diverso il suo punto di vista su di noi, non per quanto riguarda i risultati o le capacità, ma il comportamento. Nel suo lavoro quotidiano in classe sa dove vuole arrivare e come arrivarci: si spende molto per i suoi alunni, ma ritiene di non essere sempre ricambiata con lo stesso impegno ed entusiasmo. Pertanto, cari carducciani, attenzione al messaggio della prof: “Più vivacità, più partecipazione, più creatività!”

DEBORA CILIA Come i cardinali sono andati a prendere il Papa “quasi alla fine del mondo”, il Carducci ci ha portato direttamente dall’altra parte dell’Italia la professoressa Cilia. Nasce a Ragusa, in Sicilia, e dopo aver primeggiato negli studi classici si laurea a Catania. Ci ha confidato che, alla nostra età, la sua prof le faceva scegliere le versioni da assegnare alla classe: non è un caso se adesso è un’insegnante! Quando le chiediamo quale sia stato il lavoro dei suoi sogni da bambina, ci risponde che si ricorda ancora di aver fatto un disegno nel quale si ritraeva in tre modi: con una tavolozza, con un microfono e con un libro di letteratura. In seguito la passione per l’arte non si è concretizzata, mentre ha mantenuto un vivo interesse per la musica (se volete addolcirla vi consigliamo di accoglierla in classe con un sottofondo dei Pink Floyd). E’ stato invece il libro di letteratura ad avere la maggiore influenza sulla sua vita. Sa di essere molto temuta dai primini mentre definisce noi di terza degli “scafati maestri dell’arte di trattare con i docenti”. Non rappresenta il clichè del siciliano individualista e, aspettandosi un ambiente più freddo e rigoroso, è rimasta positivamente colpita dallo spirito di accoglienza e condivisione da parte del corpo docenti.

MARIA CHIARA BENEDETTI “Da grande voglio fare la biologa”. E’ questo il titolo del libro che le ha regalato sua madre ai tempi delle elementari e non è un caso se ha conseguito una laurea proprio in questo ambito. Nata a Sesto San Giovanni, frequenta il ginnasio nella nostra scuola ma, a causa di qualche piccolo incidente di percorso (in classe rimangono quattro alunni), in terza si sposta al Casiraghi, Parco Nord. Dopo aver insegnato al Sacro Cuore, è comunque lieta di tornare nella sua vecchia scuola: è rimasta piacevolmente colpita dalla cordialità e dall’accoglienza di prof e studenti. Nonostante apprezzi molto il metodo di studio e l’impegno, il suo invito ai ragazzi è quello di essere più solidali tra loro e di collaborare, “perché se si studia insieme è più bello.” Secondo lei l’idea del tutoraggio è un’occasione di crescita e le piace molto il fatto che il più grande si prenda cura del più piccolo. Durante le lezioni di chimica le piace portare le classi in laboratorio, ma vanta ancora il primato tra i prof di scienze di non aver mai fatto suonare accidentalmente l’allarme del Carducci.

BETTINA DIANA La prof Diana nasce a Milano e finito il liceo classico frequenta l’Università Cattolica. Viene dal Tito Livio e al suo arrivo trova nel Carducci una scuola unita negli obbiettivi, che vuole mantenere una reputazione alta, nonostante l’organizzazione del lavoro non sia di certo semplice. Nella sua esperienza di docente ha sempre cercato di mantenere una coerenza che reputa necessaria per il suo lavoro. E’ conscia di essere severa e rigorosa, ma tutto è finalizzato alla ricerca da parte dei ragazzi di alti ideali, che non devono venire meno. Ci è venuto spontaneo domandarle che differenze ci fossero tra noi Carducciani e i nostri amici del Tito Livio: ci definisce più aperti, spontanei e pratici, forse stimolati da un ambiente più coinvolgente. È mamma di due ragazzi più o meno della nostra età e durante il tempo libero spesso e volentieri è impegnata a scarrozzare i figli a destra e a manca per i loro impegni. Per quanto riguarda la politica, non di rado è presa da uno scoramento dettato dalla mancanza di coerenza, valore fondamentale che negli ultimi anni sta venendo sempre meno. Abbiamo avuto anche un interessante dialogo sulla parola ‘fatica’: ne è emerso che gli studenti hanno bandito questo termine dalla società contemporanea; la nostra età infatti richiede motivazioni che possono essere trovate solo all’interno di noi stessi, ma nulla viene dal cielo, bisogna sforzarsi per crescere. La passione per l’insegnamento nasce proprio da noi, la didattica non è fine a se stessa, tramite un verso di Dante possiamo crescere e siamo aperti a un dialogo. La nostra fascia d’età rappresenta un campo neutro rispetto agli universitari.

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cronache carducciane Ma le novità non finiscono qui: con la tanto discussa Buona Scuola è stato introdotto un organico di potenziamento nei licei con il compito di migliorare l’offerta formativa. Abbiamo intervistato due docenti che si occupano di questa iniziativa al Carducci, il professor Feltrin e la professoressa Bagnone.

ELENA BAGNONE Nata a Sarzana, in Liguria, fin da piccola ha manifestato un’innata passione per l’arte. Dopo il liceo artistico a Carrara, si è spostata a Milano per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera. Le opere che più hanno segnato la sua crescita sono le illustrazioni di “uccellini e donnine” di Nicoletta Ceccoli. Costumista per spot pubblicitari e cortometraggi televisivi, grafica di tessuti, per tutta la sua vita ha dato libero sfogo alla sua creatività, finchè non è capitata al Carducci… Prima impressione? Un ospedale: qualche decorazione non guasterebbe! Ma a parte la struttura, nulla di negativo sulla scuola. Pensa che l’organizzazione sia ottima tra i docenti e che anche gli studenti siano molto gentili ed educati.

GIACOMO FELTRIN Filosofo dalla nascita, ha maturato l’amore per questa materia frequentando un buon maestro: il suo prof del liceo, un docente brillante e appassionato. Laureato in Cattolica a Milano, dopo circa 20 anni di insegnamento in provincia, ha scelto di venire al Carducci. Ha riportato un’ottima impressione, sottolineando l’accoglienza dei colleghi e, da parte dei ragazzi, un alto livello di rispetto ed attenzione. E’ un insegnante di grande apertura mentale, sviluppata anche grazie ai frequenti viaggi all’estero, soprattutto in Europa. Convinto sostenitore del primato del liceo classico, ritiene che sia una scuola di eccellenza e che abbia un futuro. La traduzione di una versione, secondo il Prof, è una sfida che richiede un procedimento logico: è simile al lavoro di uno scienziato, è uno dei compiti cognitivi più difficili ed è assolutamente moderno.

ce la faranno i nostri eroi?

di Letizia Foschi IIIB

C

’era una volta una plenaria da organizzare. All’inizio tutto andava a gonfie vele: la delegati era stata convocata per tempo, e i giovani eroi (i rappresentanti di classe e d’Istituto) avevano trovato e selezionato alcuni esperti da invitare nell’universo parallelo in cui si trova il liceo classico Carducci. Pensarono di scegliere come data il 22 10

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gennaio dell’anno stellare 2016, prima che due classi partissero per una gita verso luoghi sconosciuti e inesplorati. I nostri eroi chiamarono un giornalista per parlare di David Bowie, una professoressa di storia per un’assemblea sui fatti di Colonia e Dario Foà, ebreo sopravvissuto alle leggi razziali del 1938. Il ventuno sera, un meteorite si schiantò proprio davanti a casa della professoressa di storia, che informò gli

eroi che non sarebbe potuta venire. A quel punto scoppiò il panico tra gli studenti: per questioni di sicurezza, il Carducci non aveva permesso loro di attivare solo due assemblee a cui avrebbero partecipato, per turno, circa 400 studenti. Il signor Foà, che di fretta proprio non ne aveva, disse che sarebbe tornato quando fosse stato possibile, ma il giornalista no. Il re Sole (preside) chiamò un critico musicale per sostituirlo, questa volta per il ventisette gennaio, ma il venticinque pomeriggio il meteorite che aveva colpito la casa della professoressa di storia si alzò magicamente in volo e cadde sulla porta di costui, che informò i ragazzi che non sarebbe potuto venire per problemi logistici. I nostri eroi corsero a destra e a manca alla ricerca di un professore dal cuor gentile che tenesse un’assemblea su un argomento qualsiasi. I candidati furono molti. Il problema è che erano candidati a loro insaputa. I nostri eroi sfoderarono tutte le armi che avevano (le lacrime, in pratica), e con successo convinsero il professor Giovannetti a parlare per gli studenti. Siccome ogni storia che si rispetti ha un lieto fine, i nostri eroi lasciarono perdere l’assemblea, e si addormentarono stremati dalla fatica nell’atrio dell’aula magna, cullati dal dolce suono degli applausi per Foà.


Cultura

T

FETISHISM IN FASHION

di Davide Siano IIIA utti abbiamo presente quel momento in cui ci si ritrova davanti ad un’immagine, ad una fotografia, ad un’opera d’arte che desta in noi particolare interesse e che ci mette nelle condizioni di volerla comprendere a tutti i costi, che scatena in noi una forte emozione di stupore, eccitazione ed esaltazione, che stimola il nostro intelletto, che ci fa porre delle domande a cui è necessario trovare una risposta; quella stessa immagine racchiude dentro di sé una sorta di potenza e forza evocatrice, un’aura misteriosa che, attirando la nostra attenzione, infonde sentimenti talvolta armonici, talvolta contrastanti. Tutto ciò mi è capitato ultimamente dopo essermi imbattuto casualmente nella fotografia qui riportata, realizzata da Aoi Kotsuhiroi, una fra i 150 artisti partecipanti al progetto denominato “Fetishism in fashion”, il centro della 5ª edizione della manifestazione del M°BA (Mode Biënnale Arnhem) tenutasi a giugno del 2013, appunto nella città di Arnhem, Olanda. È proprio tramite la foto che sono risalito a questa rassegna di mostre ed eventi, coordinati dalla trend forecaster Lidewij Edelkoort, uno dei personaggi maggiormente carismatici del mondo della moda e del design, che mi ha colpito proprio per la sua poliedricità e l’immancabile interesse che la contraddistinguono; la capacità di entrare a contatto con una moltitudine di tematiche e ambiti differenti fra loro, dalla filosofia al design, dall’antropologia all’artigianato passando per la regia, la botanica e la moda. Ho avuto così il piacere di scoprire che da questa mostra è stato tratto un libro fotografico, la cui curatrice è la stessa Edelkoort, il cui ruolo è anche quello di prevedere e riflettere su quali saranno le

prossime tendenze nel mondo della moda nei prossimi anni. Ho avuto modo di poterlo avere fra le mie mani, consultarlo, leggerlo e cercare di capire, almeno in parte, come ognuno degli artisti partecipanti, secondo il proprio stile, abbia cercato di interpretare e rappresentare il concetto fulcro di tutta la manifestazione: il legame instauratosi nel corso degli anni tra feticismo e moda. Nel manuale sono presenti infatti fotografie raffiguranti diverse forme di feticismo, evidenziandone

in particolare tredici, tematiche poi ripercorse all’interno della mostra in tredici sale espositive, aventi al loro interno creazioni realizzate da noti designer internazionali (capi di abbigliamento, accessori, fotografie e video), che vanno dal Nudismo allo Spiritualismo, dal Sadomasochismo al Romanticismo, fino ad arrivare all’Infantilismo, all’Assurdismo, e all’antropologica visione di questo fenomeno, lo Sciamanismo, dove il feticcio è l’oggetto sacro elemento centrale di un vero e proprio culto

religioso. Si può quindi notare come in realtà il termine “feticismo” non sia solo ed esclusivamente riconducibile all’ambito sessuale. L’interpretazione primaria del fenomeno data dalla Edelkoort, linea guida di tutto il progetto, è infatti che “siamo tutti nati nel bondage, dal cordone avvolto attorno ai nostri corpi appena nati; avviene poi un taglio netto di questo cordone, e dal dolore provocato da questa perdita e separazione nasce la necessità di instaurare un legame personale con determinati materiali e oggetti, forme di relazioni materiali. E il fatto che ci stiamo ritrovando sempre di più a vivere in una situazione di estrema solitudine, dal momento che è sempre più difficile entrare in contatto gli uni con gli altri, ci sentiamo persi, arrabbiati e insicuri, non può che favorire lo sviluppo di questo fenomeno”, definendo quindi un feticcio come “un artefatto, un prolungamento di sé stessi che permette un collegamento con le altre cose e persone. Un feticcio può essere qualsiasi tipo di oggetto, una scarpa, una borsa, anche una coperta per bambini…”. Tra i diversi lavori esposti all’interno del libro credo che alcuni dei più apprezzabili e significativi siano proprio i lavori della scultrice, poetessa e fotografa Aoi Kotsuhiroi. L’immagine di questa donna dalla pelle candida, che evoca purezza, intimità e una forma di sacralità, ma allo stesso tempo di una donna posta in un angolo, legata alle caviglie da lacci in pelle, i cui alti tacchi esprimono aggressività, e vengono però indossati con estrema disinvoltura; appare quasi come una donna selvaggia, preistorica, in cui anima e corpo, spiritualità ed erotismo coincidono perfettamente, contrastandosi e armonizzandosi allo stesso tempo.

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Cultura

MEMORIA:

SAPPIAMO DAVVERO COME USARLA?

Q

uante volte, cari Carducciani, vi è successo di avere qualcosa “sulla punta della lingua”, ma di non riuscire a ricordarla con esattezza ? Quante volte avete tentato disperatamente di riportare alla mente una data, una formula matematica o, soprattutto, tutti i significati dell’insidiosa preposizione κατα? Troppo spesso, risponderei io. Se la colpa di queste irritanti dimenticanze non si può addurre ad uno studio effettuato all’ultimo minuto prima di un’interrogazione o verifica, chi siamo soliti indicare come la causa di tutti i nostri problemi? La nostra memoria, ovviamente! E se vi dicessi che, rullo di tamburi, tutti noi siamo dotati di 12

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di Valentina Raspagni IIIA straordinarie facoltà mentali e semplicemente la maggior parte di noi non ha ancora imparato ad usarle? Per farvi un esempio, è come se la nostra memoria fosse un hardware: potenzialmente è potentissima, ma non può funzionare correttamente finché non vi si installa un software; quest’ultimo corrisponde alle cosiddette “tecniche mnemoniche”. Le teorizzò per la prima volta Simonide di Ceo, greco vissuto tra il VI e il V secolo a.C., il quale, tra le macerie di una grande sala da banchetti appena crollata, si era accorto di ricordare con perfezione il posto occupato da ogni invitato e aveva permesso così ai parenti delle vittime di dare degna sepoltura ai corpi sfigurati dei propri cari. Dopo questo episodio si accorse che, se

alla tavola del banchetto non fossero stati seduti gli ospiti, ma, tanto per dire, tutti i famosi drammaturghi greci disposti per ordine di età, se ne sarebbe ricordato con altrettanta precisione.Per usare la tecnica di Simonide è sufficiente convertire qualcosa che non ci dice nulla, come una sfilza di numeri, in una serie di immagini visive appassionanti da disporre mentalmente in uno spazio mentale. Il trucco è trasformare ciò che è difficile da ricordare in qualcosa che è molto più semplice da rievocare, cioè immagini; infatti è molto più facile ricordare qualcosa che si riesce a visualizzare con la mente piuttosto che qualcosa di astratto.Ma come devono essere queste immagini? La risposta è: EMAI. “E” come “esagerazione”. Un


esempio: nel bel mezzo della culturale che possiede.Certo, questa aria gelida! Ci accorgiamo allora che ricostruzione di una festa paesana è solo una parola. Come faremo qualcuno (Anassimene) si è preso al medievale, tra mille coloratissime e dunque quando dovremo studiare più libertà di aprire tutte le finestre, folcloristiche maschere, chi finiremo cose insieme? Ecco che entrano in malgrado sia inverno inoltrato.Dopo per rammentare in special modo? gioco gli “spazi mentali” di cui parlavo aver corso per qualche istante, Sicuramente lui: l’equilibrista sui prima, cioè i cosiddetti “palazzi della evitando per un pelo il congelamento trampoli che spicca su tutto e tutti memoria”. Questi sono i luoghi dove istantaneo, ci fermiamo di colpo, con le sue lunghissime gambe. Ecco! depositerete ciò che vorrete ricordare spalancando gli occhi per la sorpresa: L’esagerazione ha lasciato il segno e possono essere qualsiasi cosa: seduti sulle scale, sono raccolti tutti nei nostri ricordi. la casa dove vivete, il vostro liceo i professori di matematica e fisica, “M” come “Il trucco è trasformare ecc. l’importante intenti in una accesa discussione “movimento”. In una è che sia un luogo sui numeri. Sui loro vestiti risalta ciò che è difficile da che conoscete come la scritta giallo evidenziatore piazza, per quanto vasta e affollata, se ricordare in qualcosa le vostre tasche! “Pitagora’s team”. Cominciando una persona corre Cicerone, il primo a preoccuparci, ci affrettiamo che è molto più s c o m p o s t a m e n t e semplice da rievocare, ad utilizzare questo verso la nostra classe, ma quando verrà sicuramente metodo per le sue apriamo la porta lo spettacolo che si cioè immagini” notata e ricordata. lunghe arringhe, si presenta ai nostri occhi è a dir poco Infine “AI” come “Associazione serviva del percorso tra il foro e il incredibile: l’aula si è trasformata Inusuale”. In una pinacoteca, un luogo dove viveva. Visualizzava gli nel letto di un fiume che scorre quadro appeso… al soffitto verrebbe argomenti centrali del suo discorso impetuoso riversandosi nel corridoio memorizzato più facilmente degli altri. e li disponeva nell’ordine con cui li e trascinando con sé tutti i banchi Dunque ricordiamoci. Esagerazione, voleva affrontare lungo quello che lui e le sedie. Proprio non riusciamo Movimento e Associazione Inusuale. chiamava “locus” (successivamente a capire da dove possa arrivare Sono il cemento per edificare i nostri denominato appunto “palazzo della tutta quell’acqua così proviamo a ricordi e renderli duraturi. Come memoria”). Passiamo ora ad un chiederlo ad un uomo dall’aspetto applicare però questi metodi a ciò esempio pratico: immaginiamo di molto curato (Eraclito) che, seduto che studiamo a scuola, mi chiederete, dover ricordare alcuni dei filosofi a gambe incrociate su una cattedra perché ammettiamolo, in questo presocratici in ordine cronologico: alquanto traballante, ci risponde momento è ciò che interessa di più. Talete, Anassimene, Pitagora, Eraclito enigmatico che “tutto scorre”.Per Mettiamo caso di dover imparare la Per prima cosa dobbiamo decidere elencare in ordine i quattro filosofi vi parola “metempsicosi”. Essa indica quale sarà il nostro palazzo della basterà ripercorrere il vostro palazzo il passaggio, la trasmigrazione memoria e, per cominciare, direi che della memoria: entrando vedrete dell’anima dopo la morte in altri lo stesso Carducci sarebbe perfetto. A nuovamente la signora Elena parlare corpi. Come tenere a mente (per questo punto dobbiamo capire quale con Talete, poi nel corridoio sentirete sempre) quest’espressione così sia la caratteristica principale di ancora l’aria fredda e vi ricorderete ostica? Tre sono le tappe verso la questi 4 personaggi: Talete sosteneva di Anassimene e via dicendo. Potrete memorizzazione: che il principio di tutto fosse l’acqua, anche enumerarli al contrario, perché 1-Comprensione precisa del termine/ secondo Anassimene no? Basterà visitare concetto in questione; invece era l’aria; “Per elencare in ordine i il vostro locus dal 2-Trasformare in immagine Pitagora pensava quattro filosofi vi basterà lato opposto!Per incamerare le 3-Elaborazione mentale che alla base di tutto ripercorrere il vostro dell’immagine formata affinché vi fossero i numeri, palazzo della memoria” informazioni potrete costruire decine di diventi emotivamente forte e incisiva mentre Eraclito, Dopo aver definito la parola nella sua autore della famosa espressione palazzi della memoria, l’importante giusta grafia potremmo, perché no, “πάντα re_” (“tutto scorre”) è che sappiate esattamente dove “giocare” su mete-, trasformabile concepiva la realtà come qualcosa trovarli; la memoria infatti non in “metà”, mentre –psicosi, può di continuamente mutevole.Adesso ha limiti di “spazio”, ma solo di diventare “psiche”. Ecco quindi viene la parte più difficile, cioè “ordine”, un po’ come un enorme l’immagine: una mente (psiche) depositare le informazioni! Partiamo archivio.Spero di essere riuscita a divisa in due (metà). Ma il tutto va dall’inizio: entriamo a scuola e la catturare la vostra curiosità come è condito con una buona dose di EMAI. prima persona che vediamo è la accaduto a me durante la cogestione Potreste immaginarvi uno scienziato signora Elena giusto? Be’ potremmo dell’anno scorso, quando fu costituito pazzo che taglia a metà un cervello immaginare di vederla discutere un gruppo che trattava di questo per analizzarlo. Orribile? Meglio! Più animatamente con Talete di alcune argomento! Purtroppo non sono l’immagine ci tocca e coinvolge la tubature dell’acqua che si sono rotte. riuscita a mostrarvi anche il metodo nostra sensibilità personale, più la Andiamo avanti e immaginiamo di per imparare le date velocemente, ricorderemo con vividezza.Va da sé attraversare il corridoio in direzione ma non vi preoccupate, rimedierò che ognuno è assolutamente libero del bar. Stiamo camminando assorti nel prossimo articolo! Nel frattempo: di costruirsi la propria immagine, nei nostri pensieri mattutini quando buono studio a tutti! affidandosi alla fantasia e al bagaglio ecco che… ci investe una ventata di

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Cultura

SHARING

IS

di Costanza Paleologo IIIA

CARING?

E

’ arrivato il momento. Dopo questa definizione tante prove ci troviamo lo fa sembra con zigomi e labbra molto qualcosa di molto doloranti, ma finalmente più complicato e siamo pronti a pubblicare addirittura diverso il nostro autoscatto in da quello che è in rete, con tanto di hashtags annessi. realtà. In parole Ovviamente non siamo ancora del povere è un luogo tutto sicuri e persuasi che questo sia il virtuale, dove tutto è selfie migliore da condividere, in fondo accessibile a chiunque. era solamente il decimo tentativo… Non lasciandoci depistare ma ci accontentiamo. Anche per oggi, dalla teoria, proseguiamo con la dunque, abbiamo soddisfatto la fame pratica. La tendenza a “fare rete”, dei social network.Poniamoci qualche a “esserci” e presenziare in questa domanda: di quanto sostentamento moderna agorà virtuale non è nuova, hanno veramente bisogno questi ma rispecchia l’eterno bisogno di labirinti senza uscita? E quanto conta comunicare e di condividere. Resta da essere “social”? capire se l’utilizzo di Partiamo dalle “...in Italia si connettono questo strumento si origini: che cos’è ad internet, ogni giorno, sia evoluto o involuto. esattamente un 32 milioni di utenti, 1,5 Una cosa è certa: social network? “Con molto dipende da chi miliardi nel mondo.” l’espressione social lo utilizza. Possiamo network si identifica un servizio infatti dire che nell’ambito dei social informatico online che permette la si incontrano principalmente due realizzazione di reti sociali virtuali. Si modi di essere: il totale disinteresse tratta di siti internet o tecnologie che e assenteismo o la frenetica voglia di consentono agli utenti di condividere essere online.Tra questi due estremi ci contenuti testuali, immagini, video sono poi varie figure del popolo della e audio e di interagire tra loro.” rete: il finto disinteressato che, pur (Enciclopedia Treccani). Leggere sembrando assente, spia tutto ciò che

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si scrive; chi non perde mai l’occasione di commentare, a volte del tutto a sproposito, i fatti degli altri o gli avvenimenti del giorno. A ciascuno il suo. Secondo i dati dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), in Italia si connettono ad internet, ogni giorno, 32 milioni di utenti, 1,5 miliardi nel mondo. Internet è un pozzo senza fondo. Una delle tante possibilità che ci offre, oltre all’informazione, è quella della condivisione che, in sé e per sé, può essere usata come mezzo per dire la propria opinione o per far vedere che qualcosa c’importa. L’immediatezza del commento e il suo carattere indelebile possono tuttavia mietere vittime da parte di naviganti antisociali agevolati dall’ambiente anonimo. Pretendere regole certe sarebbe la migliore soluzione per difendere la qualità della Rete, ma questa aspirazione è ancora lontana da attuare se si pensa a quanto sia reale la celebre frase detta dal fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, “la privacy è finita”. Forse ciò che è realmente cambiato è l’atteggiamento. Si è passati dal pensiero “sto facendo qualcosa di bellissimo, vorrei condividerlo con i miei amici” a “devo fare qualcosa di bellissimo per condividerlo non importa con chi”.


HOPELESS WANDERER

Station to station: a farewell from Beckenham di Larabella Myers IIIC

J

ust a step into Greater London, the leafy area of Beckenham captures the essence of the English countryside suburbs with its beautiful green spaces and peaceful community atmosphere, while still retaining a happening vibe. Many young professionals and families are migrating to the area because of its beauty and peace, which adds to its convenience for the city: with six train stations, it is well served by public transport, and only a 15 minute journey away from central London. In fact, Beckenham is a scenario where everybody's ideal childhood memories could take place. This is where my grandparents live, in one of the roads embedded in beautiful family houses, each standing behind its front garden, with different plants and flowers that characterise its individuality. In the winter I used to shout in joy "Christmas decorations!" every time I passed by one of the lit up gardens. My grandad showed me the remains of a Roman road that used to transport supplies from London to Lewes which can be spotted in various parts of the area. There are rumours that Henry VIII would stop off here on his way to

visit Anne Boleyn. Also David Bowie lived here when he was still a long way from superstar status, he went to the same nursery school as my dad and grew up jumping on the first train to London Bridge leaving from the same Beckenham Junction station. With his friend Mary Finnigan, David Jones appeared most Sundays at The Three Tuns pub in Beckenham High Street (now a branch of Zizzi restaurants where the tables and walls are covered with the titles of Bowie songs). By day the streets abuzz with parents fresh from the school run, catching up with friends in one of the area’s many cafes. The charity shops on the high street are filled with little treasures, books and records that can make any intrepid seeker's day. As soon as lessons finish, Kelsey Park fills up with children's laughter as they shoot themselves down a helterskelelter slide and go to the pond to feed the ducks with their old bread. "Don't feed the Canada geese!" warns a sign. The park also has tennis courts and a crazy golf course, where a

lady will give you a lollipop if you score all the holes! Squirrels rush up and down the trees and parakeets sing in the sky. In this picture I see myself as a little girl running in the English summer breeze and playing in the playground. On the way home my grandma would sometimes buy us grandchildren gingerbread men at the local bakery and every time I see one, these memories come up in my mind. In the evening the high street comes alive with younger residents heading to the pubs and restaurants. The cinema projects it's Technicolor dreams and little venues host evenings in a relaxed atmosphere. Beckenham, despite what it might seem, is in fact a bubbling scene bursting with South London's typical teenage energy. Beckenham really makes you feel at home whatever your age or background. The carousel tune coming from the ice-cream van in the streets can make the heart light up not only to the child that rushes out of his house with a pound coin in his hand, but even to an astronaut tired of space or a rebellious spider from Mars.

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Cultura ! Andra moi e! nnepe, Mo%usa

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di Eleonora Colli VC

reece is a country which is characterized by a mixture of ancient and modern. Athens is, of course, the greatest contradiction of them all: you can admire the Parthenon while walking down the streets, filled with clubs and modern music. However, there are still some islands which have not been reached by any modern features yet: Karpathos is one of them. 
The island is placed in the Dodecanese, and it’s a stunning jumble of mountains and seaside: you can swim in crystalline water while imposing mountains decorated with trees as green as emerald tower over you. You almost expect to hear the Sirens’ enchanting song when lying on the beach. But it’s not the astonishingly beautiful landscape which surprised me the most when I visited the island this summer: it was the people. 
Visiting Karpathos is like visiting Odysseus’ Ithaca: populated by Suitors and Emaeus-like figures. And it was Emaeus in person, reincarnated in a woman’s body, who probably greeted our holiday group when we went to dinner in a small village near the main town, Pigadia. When you go to a restaurant, you usually

Foto di Eleonora Colli

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expect to eat in a dining hall: however, this sweet Emaeus served us dinner in her living room. The food was delicious, nothing to to with Odysseus rustic meal, but her hospitality was so similar to Emaues’ one that I felt like entering an epic world. The feeling intensified when, after dinner, the woman brought us to visit the old bedroom where her ancestors used to sleep, filled with memorabilia from an old past. After sharing her ancestors’ memory with us, the woman proceeded to teach us the island traditional dance: one step right, two steps forward, hands laced and legs moving. She was teaching us that because, she said, there was a religious festivity going on in a church near the village, where we should definitely go. Getting to the place was a small Odyssey itself: with no lights except for the car’s ones, we tried to navigate around the terrible streets driving around a mountain. Luckily, there were no Scylla and Charybdis, and just two snakes and some cats tried to stop us on the scarcely illuminated road: when we got there, we were greeted by loud music and screams. The church was a small building, a typical Greek one, with white and blue bricks: around it,

there were several benches where old townspeople were drinking and eating. The music was lively and joyful, played by three old men who could have been Demodocus’ heirs. Old men and women, children and adults were dancing in the church square, glass of wine in hand. One of them, an old Alcinous, welcomed us with Phaecians’ hospitality, handed us a carafe of wine and invited us to dance with them. Everyone was dancing or drinking: it felt like entering a symposium whose participants had already moved from philosophy to simply enjoying themselves. It felt like reliving all the epic poems I have ever read, like entering an ancient world thanks to centuries-old stories relived in what is now a not-so-modern world, which find its roots in such a wide and stupefying culture. When we are taught Greek literature, we don’t really realize how much it still influences our world, but it does greatly, and if we pay attention we can meet all those characters, speak and interact with all the figures that allowed those epic heroes to live their adventures. And this is why we should always feel a shiver of pleasure when someone starts reciting: “! Andra moi e! nnepe, Mo%usa”.


Post-it!

Chicche dal vocabolario di Giulia Casiraghi VC

E

ccomi qui, cari Carducciani, a scrivere per voi una nuova pagina di Chicche. Non sapete quante idee mi sono venute durante le vacanze! Per questo, sono pronta a deliziarvi con altre tre parole, direttamente dalla tradizione mitologico-religiosa dell’Antica Grecia. Come sempre, mi servirò dei miei immancabili dizionari ed enciclopedie, cui ho aggiunto il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani online, che, per motivi pratici, abbrevierò in VELI online (chiedo venia all’Autore per aver ridotto una tale opera biblica ad un semplice acronimo).

all’italiano “puzzo”, dal latino pūtēre, “essere putrefatto, puzzare”. Insomma, vi lascio immaginare che aria respirava la povera Pizia nel santuario di Apollo!

Premessa importante: si tratta di Ade, o Plutone, che dir si voglia, il dio romano dell’oltretomba. Il lat. Orcus, fin da Ennio (III sec. a.C.), indica propriamente “l’Orco, l’Averno, il mondo dei morti”; poi “Orco”, La seconda parola è ninfa. Prima di divinità infernale identificata con tutto, le Ninfe erano e, in ultimo, “Tutt’oggi, il termine Plutone, “divinità naturali “morte”. Secondo il di ordine inferiore” [orco] viene utilizzato VELI online, qualcuno (VELI online), figure nei racconti popolari per crede che il nome poste tra l’umano indicare “un essere più derivi dall’antico e il divino, tra ùragus, “uno dei tanti o meno mostruoso...”” nomi di Dio”, che poi l’adolescenza e l’età adulta. Studiando l’Alcesti di sarebbe stato tralignato al significato Euripide, ho spesso incontrato il verbo di spirito del male. Altri, invece, fanno nympheùo, che, generalmente, vuol derivare la voce dal gr. èrgo (eirgo), dire “sposarsi”. Il primo significato che significa “chiudere, impedire, della parola nymphe è, effettivamente, trattenere”; dal gr. òrchos, “luogo “fidanzata, sposa, fanciulla”; poi chiuso” e dal gr. orkàne, “recinto, Leggendo la prima pagina di un saggio assume il valore di “ninfa” e, per carcere”: dunque, il senso è quello interessantissimo sul mito di Narciso, estensione, di “acqua”. Secondo il di “luogo chiuso, cupo, profondo, da mi sono illuminata d’immenso: si VELI online, nymphe è propriamente la cui nessuno può fuggire, perché la parlava dell’oracolo di Apollo Pitico “sposa velata”, “perché così suolevasi morte afferra e stringe la preda e mai e l’etimologia dell’epiteto mi è subito portare dalla casa de’ suoi parenti a la rende”. Il regno dei morti, la Morte sembrata degna di nota. Nel libro si quella dello sposo”. Ma, tornando a stessa e Plutone, quindi, coincidono. racconta che Apollo, giunto nella città noi, qual è allora il legame tra tale Tutt’oggi, il termine viene utilizzato di Pito, la futura Delfi, uccide Dracena, divinità e il matrimonio? “La Ninfa è la nei racconti popolari per indicare “un un terribile serpente, detto anche donna fuori dal periodo puberale e nel essere più o meno mostruoso, avido di Delphìne, che, imputridendo, darà pieno della sua maturità fisica, pronta carne umana, rappresentato in forma luogo al celeberrimo a vivere la sfera erotico- di gigante, dal capo grossissimo, dalla oracolo Pitico. “Il primo significato sessuale del matrimonio” bocca enorme, dagli occhi di brace, Nonostante l’apparenza, della parola nymphe (“Kore e le Ninfe nel dalla barba e dai capelli ispidi, folti e il gerundio imputridendo è, effettivamente, Mediterraneo, tra api arruffati” (Enciclopedia Treccani), fino non è certo un particolare “fidanzata, sposa, e miele” di Barbara ad arrivare alla rappresentazione più poco rilevante, anzi: Crescimanno). lampante e moderna di orco: Shrek, fanciulla”” l’aggettivo “pitico” Insomma, ho cominciato l’incubo della povera Fiona che certo, deriva dal greco pythèin, “fare a cercare l’etimologia della parola cari Carducciani, non si aspettava di imputridire, rendere putrido”. Da qui, non sapendo bene che cosa avrei essere svegliata da una tanto nobile poi, derivarono “Pito”, antico nome potuto trovare, e, invece, ho scoperto creatura! della città di Delfi, noto fin da Omero; elementi interessanti che neanche “Pizia”, l’immortale (si fa per dire...) immaginavo! PS: Per chi fosse interessato, il libro sacerdotessa di Apollo; lo stesso citato all’inizio è “Il mito di Narciso. epiteto del dio; le “Pitiche”, feste Ma passiamo alla terza e, ahimè, Immagini e racconti dalla Grecia religiose nazionali dell’antica Grecia ultima parola di questo numero a oggi” di Maurizio Bettini ed Ezio celebrate ogni quattro anni in onore (proprio ora che stavo cominciando Pellizer, Einaudi. di Apollo. La parola, poi, fa pensare a divertirmi!). Sto parlando di Orco.

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Cultura and i go back to black

di Alice De Gennaro IIIB

Di tutti i cantanti che ho sentito, Amy era la migliore”: questa la dichiarazione di Tony Bennett, uno dei più grandi cantanti jazz vivente, a pochi mesi dalla morte della cantante. Amy Jade Winehouse, cantautrice Inglese, è nata a Enfield il 14 settembre 1983. Si interessa di musica fin dall’infanzia e riceve la sua prima chitarra a 13 anni. A soli 16 anni canta per la prima volta professionalmente, entrando nel 1999 alla National Youth Jazz Orchestra, e nel 2002 firma l’etichetta con la Island/Universal. Il primo album Frank esce un anno dopo e riceve molte critiche positive. Ogni canzone veniva scritta da lei, motivo per cui non si riteneva soddisfatta a meno che esse non la rappresentassero completamente e, come dichiarò in un’intervista, rifiutava l’uso dei sintetizzatori volontariamente. Nel 2006 esce Back To Black: il suo secondo album raggiunge la vetta delle charts britanniche e da esso sono tratte le sue canzoni più famose: Rehab, Back To Black e altri 4 singoli di fama mondiale. Il successo riscosso da questo album si rispecchia negli oltre 20 premi che gli sono stati attribuiti, tra cui cinque Emmy Awards in un solo anno, record che solo altre quattro cantanti finora sono riuscite a raggiungere. Tra il primo e il secondo album, i vari disturbi alimentari di Amy si

concretizzano drasticamente, portandola a perdere quattro taglie. Per anni fu vittima dei tabloid per via della sua dipendenza da alcool e droghe: la cantante rimaneva per alcuni periodi di tempo in astinenza, per poi ricominciare ogni volta. Nel 2007 si fidanza ufficialmente con Blake Fielder-Civil, che ha avuto un’influenza determinante sulla sua dipendenza: i due cantanti avevano un rapporto tossico, tanto che molto spesso le ricadute di Amy erano causate se non incoraggiate dal fidanzato e la coppia chiedeva di essere riabilitata nello stesso istituto. Poco più di due anni dopo però divorziano, evento che ha avuto grandi ripercussioni psicologiche su di lei. Da allora la sua reputazione crolla: è noto il suo concerto a Belgrado, durante il quale si esibì in visibile stato di ebbrezza. Infine il 23 luglio 2011, Amy fu trovata morta nella sua casa, entrando così nel Club 27: l’autopsia non poté inizialmente chiarire le cause del decesso, ma gli esami tossicologici non trovarono droghe o stupefacenti di alcun tipo; in seguito fu dichiarato che il tasso di alcol rilevato nel corpo era cinque volte superiore a quello consentito per la guida, e che probabilmente la sua morte era stata causata da un fenomeno detto stop and go (l’assunzione di massicce dosi di alcool dopo lunghi periodi di astinenza). Tuttavia, in seguito a molteplici scandali

rosa parks

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merica, anni ’50. La lotta per l’uguaglianza razziale è al culmine guidata da grandi leader come Martin Luther King e Malcolm X, ma gran parte della popolazione oppressa ha ancora paura di alzare la voce per i propri diritti. È in questo clima burrascoso che si colloca la vicenda di Rosa Parks, The Mother of the Civil Rights Movement. Rosa è donna minuta che, come la maggior parte delle donne afroamericane, lavora come sarta ad orari disumani. Ogni mattina prende l’autobus che la porta al lavoro, come la

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riguardanti l’esecuzione delle indagini relative alla sua morte, tra cui lo smarrimento di alcuni documenti, le ricerche sono tutt’ora in corso: l’ultima indagine ufficiale chiarì che non era nelle sue intenzioni il suicidio. Nonostante l’immagine che i media hanno perpetrato per anni di questa donna, era una persona schietta, vera, forse l’unica che cercava davvero di tenere le distanze dallo stereotipo della celebrità inafferrabile, e che spesso si è ritrovata a dover affrontare la vita da sola, mentre il mondo guardava: che sia per la sua incredibile voce, per il suo stile unico in un mondo che sempre più tende a omogeneizzarne i componenti, per le sue poco note ma molteplici attività benefiche o per la sua determinazione ad andare avanti, Amy Winehouse dev’essere ricordata come la grande persona che era e che meritava di continuare a essere.

di Beatrice Penzo IVE quasi totalità della popolazione di colore di Montgomery (Alabama). In questo periodo a loro è “riservata” la parte posteriore dell’autobus, quella anteriore invece è per i bianchi. Se però un bianco resta in piedi allora uno dei passeggeri di colore è obbligato a cedergli il posto, e con lui tutta la fila si deve alzare perché è impensabile che un nero sieda di fianco ad un bianco. Queste sono le regole, questa è la legge. E così accade che una sera, di ritorno dal lavoro, a Rosa viene ordinato di alzarsi perché un passeggero con più diritti di lei si deve sedere nella sua stessa fila. Ma Rosa quella sera è stanca,


due spesse linee di eyeliner sugli occhi di Chiara Di Brigida IIA

ue spesse linee di eyeliner sugli occhi, labbra leggermente arricciate, una sigaretta in mano. Così Oriana Fallaci appare nella maggior parte delle sue foto. Le osservo attentamente: sembra quasi accigliata; o forse è solo un’impressione data dalle rughe in fronte, segni di una vita passata lottando, combattendo fino allo stremo per ciò in cui credeva, prendendo posizioni decise, forti, spesso criticate. E ne prese molte. Probabilmente l’intero giornalino non basterebbe per raccontare, discutere, comprendere tutte le sue opinioni; quindi penso che quest’articolo sarà scritto in “Stile minigonna, cioè in modo abbastanza lungo da coprire l’argomento, ma abbastanza breve da renderlo interessante”, come disse lei stessa. Nata a Firenze nel 1929, aveva genitori profondamente contrari al Fascismo e fu coinvolta, giovanissima, nella guerra. A soli 14 anni, accompagnava con la sua bicicletta i prigionieri americani e inglesi fuggiti dai campi di concentramento verso le linee alleate; viaggi che “Duravano giornate intere: 50 Km, anche, ad andare,

e 50 a tornare”. Dopo aver frequentato il liceo classico (dettaglio particolarmente importante, Carducciani!), si dedicò al giornalismo, divenendo nota grazie a un evidente talento e a una determinazione di ferro. Tuttavia il suo vero sogno era quello di fare la scrittrice; il suo primo successo editoriale fu Il sesso inutile, in cui trattò della condizione della donna in Oriente. Partì per il Vietnam nel 1967, per documentare le tragedie della guerra, e fu l’unica giornalista italiana presente al fronte. Successivamente si dedicò al giornalismo politico, realizzando diverse interviste: da Indira Gandhi a Mu’ammar Gheddafi a Giulio Andreotti; tutte erano realizzate con una tecnica innovativa per l’epoca, paragonabile a un interrogatorio, dove le domande erano studiate minuziosamente, controllate e corrette fin nei minimi dettagli e lasciavano sempre trasparire la sua opinione, a scapito dell’oggettività. L’amore della sua vita fu Alexandros Panagulis, uno dei vertici della Resistenza greca contro la dittatura dei Colonnelli; Oriana se ne innamorò proprio in occasione di una delle sue interviste. Alexandros fu il suo compagno per tre

anni, prima di morire ad Atene nel 1976 a causa di un incidente automobilistico, avvenuto in circostanze poco chiare. Nel 1992 Oriana scoprì di avere un cancro ai polmoni. “…bisogna dirla questa parola. Serenamente, apertamente, disinvoltamente. Io-ho-il-cancro. Dirlo come si direbbe io ho l’epatite, io la polmonite, io ho la gamba rotta; io ho fatto così, io faccio così, e a far così mi sembra di esorcizzarlo”, così dichiarò in un’intervista alla Rai. Dopo l’11 settembre 2001 la Fallaci divenne famosa soprattutto per le sue posizioni particolarmente forti contro l’Islam, esposte nel lunghissimo articolo La rabbia e l’orgoglio pubblicato sul Corriere della Sera. I suoi erano pensieri infuocati, spietati, dettati da una lucida rabbia che le permise di affrontare anche questa tragedia buttando i suoi sentimenti sulla carta, nelle pagine, rovesciandovi indignazione mista a inchiostro. Molti lo giudicarono uno sfogo razzista, altri una verità taciuta e trattenuta per troppo tempo. Io non giudico lo scritto ma la scrittrice: non giudico i suoi pensieri, ma il coraggio con cui li ha espressi. Un enorme coraggio. Alimentato dalla guerra a cui prese parte da ragazzina e da tutte le altre documentate in seguito, dal suo carattere di ferro temprato dalle sofferenze e dalla perdita. “Lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà; la libertà prima che un diritto è un dovere”. Morì a Firenze il 15 Settembre 2006. Sulla sua lapide è scritto, per sua volontà: “Oriana Fallaci. Scrittore”.

ha lavorato tutto il giorno, le fanno male i pedi e la schiena. Quello che pronuncia non è un “no” rabbioso, ma stanco. È da questo rifiuto che comincia la sua odissea, che la porterà a diventare un simbolo della lotta contro le leggi razziali. Viene infatti arrestata e la sua vicenda, l’ennesima nel suo genere, fa traboccare il vaso. Grazie alla veicolazione delle informazioni da parte di Jo Ann Robinson, leader del Women’s Political Council, e di Martin Luther King la vicenda dà vita ad un boicottaggio destinato a rimanere nella storia: dal primo dicembre 1955 (il giorno seguente l’arresto di Rosa) al

20 dicembre 1956 la comunità nera di Montgomery non metterà piede su un autobus. Per oltre un anno i mezzi in città gireranno praticamente vuoti. Rosa intanto viene rilasciata e insieme al marito prende parte attiva nella protesta. Con l’aiuto di molti fa in modo di trovare alternative allo spostamento in autobus, e così i tassisti abbassano la tariffa delle corse per le persone di colore e si creano punti di raccolta dove macchine condivise sostituiscono i mezzi. La protesta ha fine quando un anno dopo la corte dichiara le leggi di segregazione sugli autobus anticostituzionali, e in

città passa un’ordinanza che le abolisce. Questa vittoria però, purtroppo, è breve, e di fatto a causa dell’aumento degli episodi di violenza in seguito alla decisione della corte la segregazione sugli autobus resta come legge non scritta. Il coraggio e la forza della donna che ha dato inizio a tutto questo però non vengono dimenticati: ancora oggi l’autobus su cui si è svolta la vicenda è conservato all’Henry Ford Museum di Dearborn, mentre l’1 dicembre negli USA si ricorda la donna che ha dato una spinta decisiva ai movimenti per i diritti civili dei neri d’America.

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Cultura

amelia earhart

La piccola grande sognatrice del cielo

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melia e il cielo. Lei e il suo unico sogno, il brivido di vivere un’avventura. Nata il giorno 24 luglio 1887 ad Atchison, nello stato americano del Kansas, Amelia Mary Earhart è stata una delle più grandi aviatrici della storia. Ma partiamo dall’inizio. È il 1914, l’anno di Amelia, un biglietto di sola andata verso il futuro che l’attende silenzioso, oltre le nuvole. Daugherty Airfield, Long Beach, California. Le bastano un dollaro e soli dieci minuti per scoprire a bordo di un biplano la bellezza di poter vedere il mondo da un nuovo punto di vista, con i suoi occhi ed il suo cuore quello stesso mondo per cui si innamora perdutamente e per cui comincia a lottare. Inizia da quel giorno a frequentare un corso di lezioni di volo e, dopo un anno, con l'aiuto della madre, acquista il suo primo biplano, con il quale stabilisce il primo dei suoi record, salendo a un'altitudine di 14.000 piedi dal suolo. Aprile 1928. Lei e l’Atlantico. Un oceano da attraversare, ma per Amelia forse è solo e semplicemente un passo per poter realizzare il suo primo piccolo grande sogno. Ogni cosa diventa in pochissimo tempo realtà. Il 17 giugno dello stesso anno Amelia si ritrova a bordo di un Fokker F. VII con 20

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di Claudia Pirro IB il pilota Stultz e il co-pilota Gordon, pronta a vivere finalmente l’inizio della sua avventura. Ed è proprio così che, a quarantuno anni, diventa la prima donna aviatrice della storia ad attraversare in volo l’oceano Atlantico. La sua forza è inarrestabile così come la sua passione per il volo che continua a darle sempre più soddisfazioni. Nell’aprile di tre anni dopo infatti, Amelia stabilisce il record mondiale di altitudine, raggiungendo 5613 metri di quota. 1932. In quattordici ore e cinquantasei minuti percorre la trasvolata da Terranova a Londonderry, in Irlanda del Nord. Con quest’impresa, Amelia mostra a se stessa e al mondo la sua speranza di poter conquistare il primato di essere la prima donna a compiere il giro del mondo in aereo. È l’inizio del 1936. Amelia diventa una delle donne più forti degli anni trenta riuscendo a conquistare fama e successo. Tutti i giornali parlano di lei, il mondo resta ad osservarla, estasiato. Intrepida e combattiva, si affianca alle numerose associazioni di donne che in questi anni lottano per l’emancipazione femminile. In lei la forza e il sogno di libertà di tutte le donne del mondo che sperano e vivono con lei il suo incredibile coraggio. 1 giugno 1937. Miami. L’Electra con a bordo la Earhart finalmente decolla.

I cieli del mondo la aspettano per poter scrivere una nuova pagina di storia. Il suo equipaggio è formato da un solo uomo, Noonan, che la segue durante tutto il viaggio, dal Sud America all’Africa, poi in India e in Asia sudorientale, fino a raggiungere il 29 giugno Lae, in Nuova Guinea. 35.000 km di volo. Ma ne mancano ancora 11.000, la traversata lungo il Pacifico. È il 2 luglio. Mezzanotte. Amelia e Noonan ripartono da Lae, questa volta con destinazione l’Howland, una piccola striscia di terra isolata nel mare. Ma qualcosa va storto. Le condizioni atmosferiche minacciano la stabilità dell’aereo, una nebbia fitta impedisce ad Amelia di potersi orientare tra le nuvole. Tutto succede in pochi istanti e di Amelia non resta più nulla. Tutt’ora, a settantanove anni dalla sua scomparsa nel Pacifico, nonostante lunghi giorni di ricerche, poi trasformatosi in anni, di lei non si sa ancora niente. Diverse teorie hanno studiato per molto tempo le ultime registrazioni radio della Earhart dall’Electra, dirette probabilmente alla Guardia Costiera statunitense Itasca, ma ancora oggi restano un mistero. Per tutti rimane una leggenda, il grande ricordo di una donna che insieme a tante altre ha potuto lasciare al mondo la sua forza, la sua determinazione e la sua più grande passione.


CAROL di Valeria Galli IVA

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iamo a New York, nell’inverno del 1952. Vi presento Carol Aird, interpretata dalla divina Cate Blanchett: questo dovrebbe già dirvi molto su di lei. Carol è un’elegante donna della borghesia dell’epoca, sposata con Harge, dal quale però sta divorziando, e madre di una bambina che adora, sua figlia Rindy. Seduta di fronte a lei c’è Therese Belivet: immaginatevela con il volto pulito e innocente di Rooney Mara. Therese è una timida ventenne, commessa di un grande magazzino di Manhattan, ma aspirante fotografa, fidanzata con Richard, che vorrebbe sposarla e trasferirsi in Francia. Ecco, ora vi starete chiedendo cosa ci facciano Carol e Therese, sedute insieme al tavolo di un locale di lusso. Ma non abbiate fretta, tra poco Therese ci renderà partecipi dei suoi ricordi e rivivremo con lei tutta la storia, in un’appassionante flashback. Casus belli: un paio di guanti, dimenticati da Carol sul bancone del negozio di giocattoli in cui lavora Therese. Sì, ho detto belli, avete capito bene. Perché è proprio una guerra quella che Carol e Therese si ritrovano a dover combattere per difendere il loro amore dalle convenzioni sociali e il finto perbenismo dell’epoca. Sissignori, stiamo parlando di una società in cui l’omosessualità è considerata una patologia psicologica e in cui una “clausola di moralità” impedisce a Carol di vedere sua figlia. Proprio in questo clima, Carol e Therese sono protagoniste di un melodramma senza precedenti. Il loro amore proibito è intimo ma passionale, discreto ma evidente, un gioco di sguardi, parole non dette, appena sussurrato fino al tanto atteso primo bacio. Nulla è lasciato al caso: una mano appoggiata sulla spalla o tesa per lasciar sentire il profumo, una fotografia o una melodia suonata al pianoforte (obbligatoria la nota di merito a Carter Burwell per la colonna sonora). Ve lo aspettavate? Forse era evidente già dalla prima scena ma, credetemi, le due incredibili attrici ci lasciano con il fiato sospeso fino all’ultimo sguardo d’intesa, che si scambiano quando ormai sembrava tutto finito. Basato sul romanzo “The prince of salt” di Patricia Highsmith, diretto dalla regia di Todd Haynes e prodotto dalla sceneggiatura di Phyllis Nagy, “Carol” è un incanto. Un incanto in cui rimaniamo intrappolati, ma di cui allo stesso tempo vogliamo sentirci parte. Ora sta a voi, prendere o lasciare?

IRRATIONAL MAN

di Valeria Galli IVA

Irrational Man” è un film di Woody Allen del 2015, la sua 45esima opera nell’anno del suo 80esimo compleanno. Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un professore di filosofia, separato dalla moglie, emotivamente depresso e insoddisfatto della vita. Arriva al college del New England come nuovo insegnate, già preceduto dalla sua fama, e attira immediatamente l’attenzione di due donne: Rita Richards (Parker Posey) e Jill Pollard (Emma Stone). Rita è una professoressa di chimica che, inappagata dal suo matrimonio, vede in Abe un amante perfetto e la possibilità di realizzarsi per il suo sogno di partire per la Spagna. Jill, invece, è una studentessa modello, affascinata dal personaggio di genio incompreso che Abe incarna, a tal punto da trascurare il suo fidanzato apprensivo e intraprendere con il professore una relazione insolita e indefinita. Intanto, Abe è impegnato a cercare che significato abbia la vita: “non riuscivo a ricordare le ragioni per vivere e, quando lo feci, non erano convenienti” dice. Tenta di trovare una risposta al suo dramma nei pensieri di filosofi come Kant e di Kierkegaard ma, paradossalmente, quasi sputando nel piatto in cui mangia, sembra lui stesso a disprezzare la filosofia. Infatti, è come se in Abe prendano parola due voci contrastanti: è genio e sregolatezza, ma non solo, è “uomo irrazionale”. Non teme la morte, a tal punto da giocare con la roulette russa e da organizzare l’omicidio perfetto di un estraneo per dare un senso alla propria esistenza, fingendo che il delitto abbia fini altruistici. Abe, in realtà, è fondamentalmente egoista: si serve delle persone come se fossero pedine che sposta sulla scacchiera; con questa logica, rende Jill, ingenua e innamorata, partecipe della sua scelleratezza, ma è pronto a sbarazzarsi di lei quando inizia ad essergli d’intralcio. Il finale è inaspettato e irruente, quasi in contrasto con lo stile di Allen, che per lo più predilige finali sospesi tra dialoghi e riflessioni. Da una parte può essere visto come il finale perfetto, la giusta resa dei conti, dall’altra è quasi deludente. In ogni caso, “Irrational Man” è un film dalle mille sfaccettature, dal bizzarro al macabro, dal frizzante all’intellettuale, che può far riflettere e insegnare. D’altronde è proprio così che Jill definisce l’intera vicenda nel congedo finale: “Una vera lezione, una lezione dolorosa, di quelle che, secondo Abe, non si possono imparare dai libri”.

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di Giuliano Toja IVA

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anto tempo fa, in una galassia lontana lontana (la California), un piccolo nerd di nome George Lucas giocando con le astronavi giocattolo immaginava di dare vita ai suoi sogni di bambino portando sul grande schermo le avventure di Luke Skywalker, finché tra gli anni ’70 e ’80 ci riuscì, quando la trilogia originale di Star Wars lasciò il mondo a bocca aperta, lanciando Hollywood nell’epoca degli effetti speciali e inaugurando il successo della saga più famosa della storia del cinema. 40 anni dopo, l’universo Star Wars è cresciuto grazie a spin-off e serie a fumetti che raccontano 25mila anni di storia della galassia, il film culto si è fatto leggenda e motivo di vita di milioni di fans e il piccolo nerd si è fatto miliardario grazie all’infinità di gadgets e videogames riversati sul mercato col marchio Lucasarts. Ma tra lui e il suo popolo non corre più buon sangue da quando, all’alba del nuovo millennio, il

THE LOBSTER

The Lobster” è un film scritto e diretto da Yorgos Lanthimos nel 2015 con protagonista Colin Farrell e coprotagonista Rachel Weisz. La bravura di Farrell spicca in questo film, le scene sono ben girate e i passaggi naturali sono meravigliosi: la storia che vi prende luogo però è molto triste, forse anche troppo. È ambientato in un futuro distopico in 22

creatore è stato accusato dai delusissimi fans di aver tradito la saga con una “trilogia prequel” caratterizzata da sceneggiature noiose e scadenti, prove recitative imbarazzanti e infantili gungan incarnanti stereotipi razzisti. Ed ecco che il vecchio G.L., divenuto l’ideatore di saga più odiato dai fans della storia, constatando che 4 miliardi in più nel conto in banca non fanno mai male, decide che è meglio che se ne occupi qualcun altro e cede i diritti alla Disney, gente che sa come vendere un film. La casa delle grandi orecchie annuncia l’arrivo della terza trilogia sequel, che sarà pensata per i fans, reintegra nel cast le vecchie glorie degli anni ‘70 (Harrison Ford, il mitico Han Solo; Carry Fisher, la principessa Leia; Mark Hamill, il jedi; Luke Skywalker e perfino gli stessi attori che si nascondevano sotto al peloso Chewbakka e ai Gianni e Pinotto della fantascienza, i due droidi C3-PO e R2-D2); mette giù una sceneggiatura infarcita di citazioni e affida la regia

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cui, a una certa età, i single vengono portati in un hotel nel quale hanno 45 giorni di tempo per trovare un partner con cui passare la vita. La pena per il fallimento? La trasformazione in un animale. David, il protagonista, viene lasciato dalla moglie, e si ritrova single. Giunto all’albergo cerca di conoscere delle donne con cui fare coppia. Non riuscitovi, scappa nel bosco dove si unisce a un gruppo di

alla sicurezza J.J.Abrams, il genio di Lost, ed estromette dai lavori Lucas, che ci rimane male e sbotta: <<È stato come vendere i figli agli schiavisti bianchi!>>. E veniamo finalmente al tanto invocato episodio VII: “The Force Awakens”. Il risultato delle nostre premesse non è altro che un classico “Star Wars”, dai toni nostalgici che richiamano alla magia che ha fatto innamorare il pubblico della trilogia originale. Abbandonati gli intrighi di palazzo e i legnosi dialoghi dei prequel, si è tornati al caro vecchio formato con gli eroici ribelli che combattono in giro per la galassia tentando di rovesciare il nazifascistissimo impero, fresco di restyle col nome di “Primo ordine”. In particolare, la trama è simile a quella dell’episodio IV, con i nostri eroi impegnati ad affrontare un’arma di distruzione di massa delle dimensioni di un pianeta come la celebre “Morte nera”, solo più grossa e più cattiva, ma ugualmente facile da distruggere. E poi, tutto il resto: piccoli robot a scatola

di Diana Novelletto IH Solitari, individui single con regole opposte: fidanzamenti e matrimoni sono vietati.Ma David conosce una donna e i due si innamorano. La capo dei solitari, però, dopo essersene accorta, decide di punire la coppia e con la scusa di una visita oculistica, acceca la ragazza. David uccide la leader e poi fugge in città con la compagna dove, infine, si acceca per divenire come l’amata. Il film è


che emettono buffi versi analogici, stormtroopers imbranati, cattivoni neri col casco, dialoghi veloci e clima leggero alternato a scene d’azione mirabolanti sullo sfondo di esotici mondi alieni; insomma, finalmente lo “Star Wars” che tutti amiamo, e la sensazione dei veri adepti della Forza non potrebbe essere descritta meglio dalle parole di Han Solo appena tornato a bordo del Millenium Falcon: “Siamo a casa”. Se come superfan dichiarato il sottoscritto non può dare altro giudizio tecnico se non che è stato un film semplicemente mitico, a essere oggettivi non si può dire che sia un film perfetto, anzi. Mentre la critica ha reagito più o meno unanimemente con grande entusiasmo (il “NY Times” pare quasi sorpreso nel definirlo “un buon film”), se leggiamo le reazioni dei fans che si sono scatenate sui blog e social network di tutto il mondo, vediamo come i giudizi siano più contrastanti. In sostanza la maggior parte concorda con me, soprattutto negli Stati Uniti, dove c’è già chi lo classifica secondo tra gli episodi più belli dopo “The empire strikes back” dopo averlo rivisto al cinema solo 3 volte come l’appassionatissimo Steven Spielberg, che la spara grossa: <<Potrebbe essere il film del secolo>> (che gli sia piaciuto?); ma una piccola fronda di fans più esigenti lo ritiene deludente o addirittura brutto, perché “è uguale a quelli vecchi” e soprattutto per via della sceneggiatura a tratti eccessivamente “Disney”, con qualche battutina di troppo poco

divertente nei momenti clou -cosa che per altro è in pieno stile Star Wars, ma che non si confà al viziato pubblico del ventunesimo secolo, che ha dimenticato cosa sia la spontaneità al cinema. Anche la platea neutrale sembra divisa tra chi lo apprezza come un ottimo film fantascientifico e chi lo pone invece tra i soliti action movies senz’anima che hanno distrutto il cinema. E il fantomatico G.L. che cosa ne dice? Verde d’invidia, il grande ex commenta che è un film retrò e che a lui i remake non piacciono, ma di sicuro i fans lo adoreranno (come dire “a quel

branco di idioti piacerà moltissimo questa porcheria”). Probabilmente lui avrebbe preferito più assemblee del senato galattico. Ma analizziamo meglio a partire dal cast, che vede come front man un Harrison Ford quasi ottantenne ma in gran spolvero, perfettamente a suo agio con la sua spalla di due metri e mezzo “Ciube” come ai vecchi tempi. Inoltre la sceneggiatura li aiuta e tutto sommato le gag della strana coppia sono uno dei principali punti di forza del film. Carrie Fisher sembra avere problemi di locomozione mentre a Mark Hamill lasciano solo pochi fotogrammi di primo piano con faccia

da pescelesso alla fine del film. Tra i nuovi, apprezzatissima da critica e pubblico, è la nuova protagonista, la carneade Daisy Ridley nella parte di Ray, ingenua ragazza di periferia che scopre per caso di essere il jedi più potente della galassia e tipica eroina Disney interpretata con la massima credibilità possibile, e per giunta ha anche un bel faccino. C’è poi Finn (John Boyega), uno stormtrooper (i famosi cattivi coi caschi bianchi che non colpiscono mai nessuno) rinnegato che vorrebbe solo scappare ma alla fine stranamente resta coi buoni (e come per magia impara a sparare), bravo e divertente ma a volte poco sciolto, Ford è un’altra cosa. L’unico grande nome è quello di Lupita Nyong’o, premio Oscar per “12 anni schiavo”, nascosta però sotto al faccione arancione di Maz Kanata, la nonnina di E.T. Della serie: cosa non si farebbe per recitare in Star Wars. Menzione d’onore per il Gollum Andy Serkis nei panni del malvagissimo leader Snoke, alias l’imperatore Palpatine 2 la vendetta: molto ben assorto nella contemplazione malvagia. Tra gli altri, se il piccolo droide a palla BB8 è stato promosso a pieni voti, tra le principali critiche mosse al film c’è il cattivo principale, Kylo Ren (Adam Driver), un po’ tra il ninja e l’emo, decisamente non all’altezza del suo leggendario predecessore Darth Vader che cerca di imitare in tutti i modi ma non ne combina una giusta e si fa pure tenere testa con la spada laser da dei principianti. Rimandato. Fino all’episodio VIII.

“evocare una riflessione sul senso dell’amore e sulla mia insofferenza per la società che [...] diventa sempre più conservatrice.” ricco di significati, ma il regista voleva solo “evocare una riflessione sul senso dell’amore e sulla mia insofferenza per la società che, dominata da regole ossessive, diventa sempre più conservatrice.” Osservando questo futuro, o, probabilmente, presente parallelo, le domande da farsi sono molte: “cosa si è capaci di fare per amore?”,

“quando si ha diritto di giudicare i comportamenti di un’altra persona?”. Ma soprattutto: “Come posso ordinare a qualcuno chi amare e chi non amare? E come posso spingerlo a compiere gesti estremi perché il suo amore verso una persona è considerato sbagliato e interferire nelle sue scelte?”

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di Bianca Carnesale IVA

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HOW MANY TIMES DOES AN ANGEL FALL?

0 gennaio 2016: muore una stella. Una stella dell’arte contemporanea, controversa, che a volte pareva essere caduta sulla terra come l’extraterrestre de “L’uomo che cadde sulla Terra” (1976), una stella nera, secondo alcuni che hanno gridato all’osceno di fronte al suo modo di essere, una stella che è diventata una blackstar, un buco nero, dove tutto si annulla. Muore David Bowie lasciandoci come testamento lirico l’album Blackstar, il cui video é un cortometraggio di difficile interpretazione, resa ancora più controversa dalla volontà testamentaria. I segni della malattia hanno lasciato traccia sul viso, sul corpo di Bowie, non sulla sua capacità creativa: non potremmo immaginare per Bowie un disfacimento fisico ulteriore, come quello devastante di “Miriam si sveglia a mezzanotte” (1983), film sull’amore come vampirismo, sull’eterna giovinezza, sul tempo che scorre irrevocabile. Anticipatore, pronto a indurre a nuove riflessioni (non a caso aveva interpretato Andy Warhol in “Basquiat” nel 1996), Bowie stupisce ancora, con suggestioni dense di significati e di riferimenti alla cultura classica e pop. Lo scheletro di

QUO VADO?

Checco Zalone col suo nuovo film: Quo Vado?, raggiunge ancora una volta uno strepitoso successo con i 7 milioni di euro incassati solo il primo giorno, l’uno gennaio 2016”. Questa è

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un astronauta (un omaggio al Major Tom di Space Oddity, ma anche al finale di 2001: Odissea nello spazio di Kubrick), vaga verso un buco nero; il suo viso, con gioielli incastonati, è venerato da un gruppo di donne possedute. Tre spaventapasseri umani in croce attendono in un campo. Bowie canta dapprima con una benda bianca con bottoni neri al posto degli occhi, infine simile a una guida spirituale, in un’inquadratura che pare riprendere un’immagine di Mao. La progressione di significati e di rimandi, sia di parole sia di immagini, è accomunata da un senso di morte e di angoscia. Ogni parola, ogni immagine assume un significato controverso, come la candela che allude a riti esoterici (Ormen significa serpente ed è anche il titolo di un romanzo del terrore di Dagerman), ma anche alla vita. Si allude alla nascita (siamo nati a testa in giù, come Lucifero: siamo tutti angeli caduti), alla crudeltà della vita, alla morte e alla resurrezione: ma l’unica eternità è quella del buco nero che tutto ingloba e in cui tutto a suo modo rivive. Bowie, che ha scelto il rito buddhista per la dispersione delle ceneri si era dichiarato consapevole della transitorietà di ogni vivente: “ad un certo punto dobbiamo

L'Oblo' sul Cortile | Anno X, n° III

una frase che avreste potuto sentire al telegiornale all’inizio del nuovo anno. Chi si sarebbe aspettato un successo così impressionante? Qualcuno avrebbe anche potuto pensare a un flop, dato che questo è il suo quarto film dopo Cado dalle nubi, Che bella giornata e Sole a catinelle. La storia riguarda un uomo, Checco, che trovatosi in Africa, viene catturato da una tribù locale perché entra nel suo territorio. Dovrà raccontare tutta la sua vita al capo tribù che al termine deciderà se lasciarlo vivere o bruciarlo sul rogo. Si può intuire giá dall’attore principale che non è per nulla un film impegnativo. Le vicende, seppur realistiche, sono chiaramente poco probabili per la loro forzatura, soprattutto nella parte iniziale, nella quale si presenta una situazione estremamente negativa: il taxi su cui si

lasciare andare ciò che consideriamo a noi più caro, perché la vita è molto breve. “L’arte, la musica, le parole, le immagini: quelle restano, tanto più vive quanto più simboliche.” Ti ascoltiamo, David: “Something happened on the day he died/ spirit rose a metre and stepped aside/ somebody else took his place, and bravely cried/ (I’m a blackstar, I’m a blackstar).”

di Valentina Foti IB trova Checco si guasta, inizia a piovere e infine viene catturato. Suppongo che questo sia una scelta del regista Gennaro Nunziante e di Zalone per aumentare il livello di comicità, tuttavia leggermente inferiore a quello dei suoi film precedenti. Trovo impressionante la quantità di problemi di attualitá che sono riusciti a toccare: il posto fisso dei lavoratori italiani, lo scioglimento dei ghiacciai, la poligamia, il senso di civiltà scarseggiante nella nostra Nazione, i giovani che vivono fino a tarda etá con i genitori, la povertà degli africani e la loro difficoltá nel ricevere cure mediche. Guardando il film, mi sono resa conto che Checco Zalone non è affatto una persona ignorante, nonostante le apparenze. Consiglio di vedere questo film a chi ha voglia di divertirsi ma anche di riflettere.


IL PICCOLO PRINCIPE

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uando mi è capitato di vedere per la prima volta il trailer del film ispirato a “Il Piccolo Principe”, le mie reazioni sono state varie e discordanti: sono passata dalla sorpresa, allo scetticismo e infine alla curiosità. Ho deciso quindi di aspettare il primo gennaio, data di uscita del film nelle sale italiane e di andare a vederlo, poiché il libro di Antoine de Saint-Exupéry è sempre stato uno dei miei preferiti. Da subito ho riscontrato molti fattori che rendono diverso il film dal libro, tanto che inizialmente non si capisce quasi che cosa c’entri la storia raccontata con quella de “Il Piccolo Principe”: una madre e sua figlia si trasferiscono in un quartiere residenziale di fronte alla famosa “Warth Accademy”, scuola dove la bambina è destinata a studiare. Per riuscire ad entrarvi, pero, la piccola deve studiare per tutta l’estate,

incitata anche dalla madre che le ha preparato un programma serrato che non ammette pause: il cosiddetto “progetto di vita”.Tuttavia, nella casa di fianco alla loro abita un vecchio aviatore apparentemente pazzo, che coinvolgerà la giovane nei suoi giochi e la aiuterà a riscoprire il suo essere bambina raccontandole la storia del Piccolo Principe, che aveva incontrato anni prima durante un suo viaggio: ed ecco il punto di collegamento fra il libro e la storia raccontata fino ad ora. Le immagini animate dalla Pixar che tracciano i profili della bambina, dell’aviatore e quindi del mondo odierno vanno ad unirsi a quelle che rappresentano le animazioni del libro: le prime sono nette e visibilmente ridefinite a computer, le altre ricordano le pieghe della carta pesta e si rifanno al tratteggio delicato dei disegni presenti nel libro. La storia procede con un altro elemento di originalità rispetto al testo di partenza, che però non svelerò perché

di Cristina Isgrò IVA voglio che anche voi restiate colpiti come è successo a me! Anche il colore è utilizzato in modo esemplare: i colori caldi e luminosi della casa dell’aviatore cozzano con quelli freddi e grigi che invece caratterizzano tutto ciò che circonda la bambina, anche i suoi vestiti e quelli di sua madre. Infatti, appena la bambina inizia ad appassionarsi alle vicende del Piccolo Principe, i suoi vestiti cambiano e iniziano a tingersi di colori più sgargianti. Questo film d’animazione, in noi amanti del libro, può destare diverse reazioni: in me ha suscitato una reazione positiva. L’aviatore permette alla protagonista di tornare ad essere bambina e il film della Pixar fa lo stesso con lo spettatore adulto, risvegliando in lui il suo spirito libero e sognatore. Come aveva già fatto con “Inside Out”, la Disney Pixar ha creato un film per famiglie in grado di far riflettere gli adulti, ma allo stesso tempo di far divertire i più piccoli.

CHEETAHCINEMA Ti prego di non arrabbiarti se ti dico che tu cerchi soluzioni e spiegazioni perché sei giovane, ma un giorno capirai tutto questo. E quando accadrà, voglio che mi immagini lì ad accoglierti: le nostre vite lì davanti a noi, un’alba perpetua.” -Carol

“L’essenziale è invisibile agli occhi.” -Il piccolo principe “La filosofia? E’ solo masturbazione mentale. L’ansia? È la vertigine della libertà. L’orgasmo? È un antidolorifico.” -Abe in “Irrational Man”

“Una persona seria non è una persona che non ride.” -Quo vado?

“Ciube, siamo a casa” -Star wars “Perché un’aragosta?” “perché le aragoste vivono per oltre cento anni, hanno il sangue blu come gli aristocratici, e restano fertili per tutta la vita. Inoltre mi piace molto il mare.” -The lobster

“Io sono padrona del mio tempo” -Miriam si sveglia a mezzanotte

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Mad Sounds

di Sabrina Henchi IIIF

Titolo: Chop Suey! Artista: System of a down Album: Toxicity Anno di pubblicazione: 2001

di Marta Piseri IVE

Titolo: Space Oddity Artista: David Bowie Album: Space Oddity Anno di pubblicazione: 1969

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915, siamo in Turchia e il primo vero genocidio della storia moderna si sta atrocemente verificando. 1.500.000 armeni uccisi, un popolo sterminato. Tra i pochi sopravvissuti, però, ci sono i progenitori di quattro ragazzi che avrebbero, di lì a poco, cambiato le sorti della musica. Catapultiamoci ora al 1995, in una sala di registrazione di Los Angeles. Quel giorno sono due le band a provare e l’incontro tra i leader di entrambe, Serji Tankian e Daron Malakian, fortunatamente, è inevitabile. Si conoscono, si piacciono e decidono di formare un gruppo tutto loro. Riescono a trovare rapidamente un bassista, un batterista e anche un nome che li marchierà per sempre: System of a Down. Nasce così non solo una band destinata a fare storia, ma anche e soprattutto un diverso e atipico metal, che fa convergere tradizione e novità, creando un nuovo sottogenere che vaga ancora senza un nome preciso. Il successo li travolge con l’uscita del secondo album, Toxicity. Quarantaquattro minuti

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ome estremo saluto ad uno dei pilastri della musica dell’ultimo secolo, è d’obbligo riproporre il suo più grande successo, quello che gli procurò il biglietto di entrata nella cultura popolare e che lo confermò nella scena musicale degli anni ‘70. La storia comincia con il suo album di esordio nel ‘67, che contiene una versione embrionale del brano, primo di una serie ispirata da film e racconti di fantascienza: Bowie è lontano anni luce dal glam rock di cui diverrà icona, è piuttosto un folksinger ancora acerbo, un Dylan inglese, diviso tra l’attrattiva della psichedelia californiana e quella del revival r’n’b. Nel ‘69, appena in tempo per il successo dell’Apollo 11, Space Oddity viene riarrangiata ed esce l’album omonimo, conquistando questa volta il pubblico e diventando la colonna sonora della missione spaziale; tuttavia quella che è passata alla storia è la versione del ‘72, più sinistra e orientata alla complessità delle correnti anni ‘70. Già l’intro, monopolizzata dalla chitarra che accompagna fedelmente Bowie lungo

di dinamica pura, che raggiunge il picco più alto con la celeberrima sesta traccia: Chop Suey!. A detta di molti, definirla una semplice canzone equivarrebbe a un insulto. Può infatti essere facilmente considerata un’enigmatica e struggente poesia, che ha come incipit un’intro di chitarra acustica che sfocia in durissime e discontinue pennate elettriche. Questa asprezza di suoni si associa perfettamente al tema stesso del brano: il suicidio. Probabilmente, con Chop Suey!, i System hanno cercato d’indagare dall’interno, nell’oscurità della psiche, le motivazioni di coloro che, vertiginosamente, vengono coinvolti nel terribile processo mentale che porta a questo estremo gesto. Nella sua parte finale invece presenta, per ben due volte, le ultime parole pronunciate da Gesù prima di morire: “Father, into your hands I commend my spirit” e poi “Father, why have you forsaken me?”. Con questo sfuggente epilogo, termina uno dei brani fulcro della discografia della band che è riuscita, con parole e melodie graffianti, a dare voce a un intero popolo.

tutto il brano, anticipa l’inquietudine e la distanza del Major Tom, astronauta che sta comunicando con la torre di controllo in attesa del lancio. Il ritmo è scandito da tempi ampi, e la voce del Ground Control, contrastata da un countdown in sottofondo, è quasi asettica: “Check ignition/And may God’s love be with you”. Poi la partenza: una serie di effetti dissonanti spezzano il refrain con un crescendo mozzafiato seguito dalla vittoriosa seconda strofa, e arriva allora la risposta di Tom, che descrive l’assenza di gravità e di punti di riferimento, con la leggendaria frase: “Planet earth is blue/And there’s nothing I can do”. La chitarra interrompe bruscamente il trascinarsi delle liriche, introducendo un intermezzo strumentale, ma poi alienazione e isolamento arrivano ad un culmine, e da un lato l’astronauta saluta la moglie come in punto di morte, dall’altra la torre di controllo avverte: “There’s something wrong”. Il ritmo si intensifica e gli strumenti tornano a prevalere istericamente sulla voce, per scemare quasi subito, lasciando sospesi nel vuoto Tom e la sua storia.


David Bowie

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’ 8 Gennaio 1947, Londra ha accolto uno straordinario extraterrestre speciale, che avrebbe poi preso il nome di David Bowie, il Duca Bianco. È sempre stato nota la sua spiccata capacità di sorprendere. Una caratteristica riconosciutagli da molti, è infatti stato più volte sulla copertina della rivista più importante per un artista: Rolling Stone. Proprio da questa nel 2008 fu inserito al ventitreesimo posto nella classifica dei cento migliori cantanti. Da

alcuni era considerato pazzo, forse per via della sua personalità estroversa, per alcuni troppo strano e per altri brillantemente unico, solo punti di vista, probabilmente. È stato non solo un cantante, ma anche un attore e un produttore. Ha preso parte al meraviglioso film che ha ereditato il nome di una sua famosa canzone: The Man Who Fell To Earth. Ha cavalcato la cresta delle classifiche milioni di volte. È sempre stato un cantante stravagante, ogni sua canzone parlava di un alieno, per lo più di qualcuno non terrestre, forse era come si sentiva lui. È stato un “Rivoluzionario” e le sue innovazioni sarebbero tali anche oggi, basta pensare questo per capire la sua grandezza. Ha infatti caratterizzato cinquant’anni della musica mondiale, rinnovandola e trasformandola. La nostra stella, che sapeva si sarebbe spenta a

di Elisa Boscani IB breve (era infatti malato di tumore) decise di salutare tutti noi fan terrestri con un ultimo disco. Pochi giorni dopo l’uscita dell’album, il 10 Gennaio 2016, a soli sessantanove anni, il Duca Bianco si è spento ed è andato a visitare i luoghi che descriveva nelle sue canzoni. Per tutti i suoi fan e per coloro che, pur essendogli molto vicino non erano a conoscenza della sua malattia, è stato un duro colpo. Non eravamo pronti a lasciarti partire per sempre. Vorrei infine dedicare poche righe ad un altro artista che a sessantanove anni per un tumore ci ha lasciato. Alan Rickman, il nostro Professore di Pozioni Severus Piton, è morto il 14 Gennaio 2016. Ci mancherai, sei stato un grande attore, all’altezza del tuo personaggio in Harry Potter, un grande uomo. Resterai sempre nei nostri cuori.

A HEAD FULL OF DREAMS

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di Giorgia Mulé IIE

uante volte ho sentito definire i Coldplay un gruppo ‘vecchio’, ormai appartenente al passato, e sentito parole come “lenta” e “noiosa” in riferimento alla loro musica. Ebbene, a tutti coloro che sostengono ciò: dimenticatevi dell’idea sbagliata che avete di loro, poiché il nuovo album vi dimostrerà esattamente il contrario. A Head Full of Dreams, uscito il 4 dicembre 2015, ha uno stile scanzonato e forse un po’ hippie, è un’esplosione di libertà e gioia di vivere. Lo si capisce già dalla copertina, sulla quale, in primo piano, sono raffigurati dei cerchi colorati che si intrecciano tra loro creando un effetto vivace. I nuovi brani sono quasi tutti ritmati ed orecchiabili ed il messaggio principale è chiaro sin dalle prime note: non temere di sognare e riprovare dopo i fallimenti. Messaggio che emerge nella canzone Kaleidoscope, nella quale il poeta Coleman Barks recita una poesia di Rumi: “Questo essere umano è una casa per gli ospiti/ Ogni mattina un nuovo arrivo..../ Una gioia,/ una depressione,/ una meschinità/ Una consapevolezza momentanea arriva/ come un ospite inatteso!/ Dagli il benvenuto ed intrattienili/ sii grato per chi arriva/ poiché ognuno è stato inviato come una guida”. Nella traccia che prende il nome dall’omonimo album, un ragazzo racconta

di essere atterrato in un altro pianeta, i cui abitanti lo considerano “diverso”. Sentirsi inadeguati è una situazione molto comune ed i Coldplay vogliono farci riflettere sull’importanza di essere sempre noi stessi. Hymn for the weekend è una canzone esplosiva e frizzante anche grazie alla voce straordinaria di Beyoncé, che ha duettato con Chris Martin. Il pezzo è un vero e proprio inno al divertimento e alla spensieratezza ed incoraggia gli ascoltatori a vivere la vita al massimo, perchè in fondo ne abbiamo soltanto una e non dobbiamo sprecarla tra inutili rimpianti. Sono particolarmente affascinanti i brani Everglow e Fun (feat. Tove Lo). Entrambi descrivono una situazione di abbandono, senza specificare quale essa sia (la fine di una relazione, un litigio, ecc…). In questo modo ognuno può identificarsi nel testo ripensando ad un’esperienza personale e ricavare il seguente insegnamento: alcune persone potranno rimanere nel nostro cuore, lasciandoci per sempre un ricordo di loro, ma non nella nostra vita. Ecco perché Chris Martin ha chiesto all’ex moglie, Gwyneth Paltrow, di cantare una parte di Everglow: per simboleggiare l’importanza che questa donna ha avuto per lui nonostante il loro matrimonio sia finito. Avrete capito ormai che ogni canzone contiene un diverso messaggio, ma ciò che le accomuna tutte è l’incoraggiamento a non perdere mai

la speranza. Ovviamente ci sarà un tour per promuovere il nuovo album: inizierà il 31 marzo a Buenos Aires, proseguirà in Sud America e si concluderà il 5 luglio in Danimarca dopo diverse tappe in Europa, come Londra, Barcellona, Zurigo e Nizza. Purtroppo, nessuna data italiana. Dopo averli visti alla finale di X Factor, il 10 dicembre, ci tenevo davvero ad andare ad un loro concerto. Al Forum di Assago si sono esibiti con i pezzi Adventure of a Lifetime (uscito il 6 novembre) e A Head Full of Dreams, portando una ventata di allegria e una presenza scenica difficile da trovare in altri gruppi musicali.Tuttavia, il cantante ha annunciato che A Head Full of Dreams potrebbe essere l’ultimo album della band, rassicurando però i fan con la promessa che il gruppo non si scioglierà. E se dovessere davvero smettere di comporre musica penso che i Coldplay avrebbero concluso la loro carriera nel migliore dei modi.

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How Big, How Blue... How Beautiful di Marta Piseri IVE

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l 21 Dicembre scorso, all'Assago Forum, una giovane donna dai piedi scalzi e capelli rossi attraversava il suo pubblico adorante, distribuendo coroncine di fiori a destra e a manca, prima di salire sul palco e stupire Milano con la sua energia inesauribile, la sua incredibile immagine (un po' divinità celtica, un po' sessantottina) e una voce che supera qualunque schema. Così Florence+the Machine, il gruppo londinese che compie ora sette anni, si presentano al pubblico durante il tour del loro terzo album: lei, mistica, teatrale, una forza della natura; loro, all'altezza del proprio nome. Quasi non si vedono, ma sono una vera e propria macchina, programmata per produrre perfezione stilistica e una ricercata armonia strumentale, senza perdere un colpo, senza mai far vacillare il riflettore musicale perennemente puntato sulla loro leader. Ma non intendo parlare solo di quel concerto, in cui tracce vecchie e nuove sono state suonate insieme, perché ogni album di questa band è un piccolo mondo a sé stante: se infatti Lungs era un unico inno indie, spontaneo, intenso ma anche caotico, Ceremonials è stato più rigido e gotico, ispirato al canto sacro o funebre, alla trascendenza e alla morte, e How Big, How Blue, How Beautiful altro non è che un capolavoro. È un grido di battaglia, ma che parla di pace, serenità, e soprattutto rassegnazione; è un album maturo, perché estremamente realista: la voglia di andare avanti, superare le crisi e continuare a vivere si sente in ogni nota e i testi la esprimono con 28

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profondità tale da renderla universale. Ogni pezzo racconta in modo diverso questa evoluzione, toccando l'intera gamma delle emozioni umane, ma sempre con un fondo di accettazione di ciò che non si può cambiare (la cantante sta sperimentando una vita molto più solitaria e difficile di quella a cui era abituata, e molti pezzi fanno riferimento ad una storia d'amore faticosa). Musicalmente, il cambiamento è ancora più radicale di quello tematico; il gruppo abbandona gran parte dei barocchismi che lo hanno inquadrato nella scena musicale degli ultimi anni, limitando archi e fiati al coronamento di un sound in cui spiccano percussioni e una ritrovata chitarra elettrica: molto essenziale rispetto al passato, ma ugualmente (se non maggiormente) efficace. Risalta così l'anima rock del gruppo, smarcandosi in parte da ritmi tribali e ispirazioni folk. Il filo conduttore di questo album con i primi due risulta essere proprio la voce formidabile di Florence, mentre una sua particolarità è che ogni traccia è un potenziale singolo: dall'attacco retrò di Ship To Wreck al finale alla Janis Joplin di Mother non c'è un singolo calo, nessun pezzo notevolmente meno forte rispetto agli altri, eppure l'effetto non è affatto ridondante: vari crescendo e diminuendo alleggeriscono oltre a rendere il disco più ricercato e la struttura musicale, costruita con molta attenzione, pur non puntando a stravaganze particolari, lascia spazio a molta sperimentazione. Si parte dunque con la scatenata Ship To Wreck, unico

velato omaggio che la Welch concede alla sua antica passione, l'acqua. What Kind Of Man inizia sottovoce, raccontando la lacerazione di una coppia che non riesce a comunicare: “you were on the other side, like always”, ripete amara la cantante, prima di essere bruscamente interrotta da un riff di chitarra e lanciarsi nei 3 minuti di rock più puro di tutto l'album. La title-track è catarsi: la voce di Florence, più dolce che mai, ci accompagna in un turbine di archi, fiati e coro, qui nel loro ruolo più importante. Queen Of Peace, più pop ma ugualmente ricercata, è sorretta dalla strana coppia di violini e batteria, mentre il testo percorre ambientazioni medievali e favolistiche. Various Storms & Saints è più lenta e malinconica e la voce è protagonista, mentre con Delilah si riprende colore, gli strumenti si risvegliano e il coro, come in Lungs, quasi non lascia tregua alla solista. “Lost in the fog”, Florence ci regala virtuosismi vocali anche in Long & Lost, accompagnata da un'atmosfera un po' blues e la malinconia rimasta nell'aria viene ripresa da Caught, potente ballad a sua volta incalzata dall'attacco anni '60 di Third Eye, meravigliosamente solare. St. Jude unisce la dolcezza e la poesia, la rassegnazione e la forza, in previsione del gran finale, Mother: alternando strofe un po' swing a ritornelli violenti, accompagnata da chitarra e cori che interagiscono e si mescolano, la traccia procede verso uno sfogo finale che chiude in bellezza l'album più intimo e tormentato della band. Per ora.


Libri

In libro libertas

la ragazza del treno

di Letizia Foschi IIIB

T

Spoon River Anthology

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ualcuno ha avuto il coraggio di definire Antologia di Spoon River solo "un libro di cadaveri". E in effetti, non ha completamente torto, contando che Edgar Lee Masters ha scritto questa raccolta di poesie come se si trattasse di epitaffi, lasciando parlare le persone morte che vogliono "raccontare" le loro disavventure di quando erano in vita. Il libro in sé è un insieme di tutte le professioni che un uomo dei primi del novecento può esercitare, racconta dei vizi, delle cattiverie e della reale natura umana così come è. Fabrizio de Andrè, nel 1971, pubblicò un album chiamato "Non al denaro, non all'amore, nè al cielo", le cui canzoni erano adattamenti musicali di alcune poesie di Masters. Il cantautore riprende le storie, tra le altre, di Wendell P. Bloyd, un blasfemo, e di

di Letizia Foschi IIIB Frank Drummer, un matto: questi due personaggi colpiscono il lettore dell'Antologia perché entrambi morirono, in qualche modo, per l'odio altrui. Il blasfemo fu ucciso da guardie bigotte perché aveva osato dire che "Dio mentì ad Adamo e lo destinò a vivere una vita da sciocco, ignaro del male come del bene del mondo", e il matto forse non era nemmeno matto! Veniva considerato tale solo perché non riusciva a parlare e aveva deciso di imparare a memoria l'Enciclopedia Britannica. Edgar Lee Masters descrive letteralmente vita, morte e miracoli degli abitanti del piccolo paesino statunitense di Spoon River, e definisce il suo stesso lavoro "qualcosa più della prosa e qualcosa meno della poesia" a causa dei versi scarni e unicamente a scopo narrativo. Storie incredibili di uomini e donne, e chi se non de Andrè poteva cantarle agli italiani?

utte le mattine Rachel sale sullo stesso treno, alla stessa ora. Parte dalla stessa stazione e arriva alla stessa stazione, passa davanti alle stesse case e vede sempre le stesse persone, tutte le mattine. Guarda fuori dal finestrino e vede Jason e Jess, o quelli che secondo lei si chiamano così: sono la coppia perfetta e si amano alla follia. Una mattina però Jess non è con Jason. Chi è l'uomo che sta baciando? Paula Hawkins ci porta in un viaggio attraverso la mente umana, ci mostra come l'immaginazione possa portare una donna ad una sorta di ossessione malata per ciò che vede. Inizialmente il libro parla della tristezza di Rachel, del suo problema di alcolismo e dell'ex marito di cui ancora è innamorata, mentre poi si trasforma in un giallo che cattura il lettore e lo costringe a portare avanti la lettura. Jess è scomparsa. Jess abita vicino all'ex marito di Rachel. Jess non si chiama Jess, ma tutto gira intorno a lei, che per alcuni capitoli ha anche il compito di voce narrante. La storia la vediamo infatti da diversi punti di vista: quello di Rachel per la maggior parte, quello di Jess e quello di Anna, la nuova moglie dell'ex marito di Rachel. È difficile parlare al lettore in prima persona e, soprattutto, al presente, e solo una penna come quella di Paula Hawkins poteva riuscire così bene a catturare l'attenzione su ogni minimo dettaglio.

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DUE PUNTI

Libri

after

R

di Marta Crippa IH iassumendo la trama, se di trama si può parlare: la studiosa ed ingenua Tessa parte per il college, dove incontrerà Hardin, praticamente il suo opposto, e se ne innamorerà follemente; traduzione: Anna Todd, alias Tessa, è fisicamente attratta da Harry Styles, alias Hardin, (il romanzo è una fan fiction sul cantante precedentemente pubblicata su Wattpad), e tutto il libro è una fantasia sessuale dell’autrice. E potrei fermarmi qui. Stilisticamente non c’è niente che rispetti un qualsivoglia parametro della narrativa: la voce narrante è quella di Tessa in un flashback al presente, le descrizioni sono inesistenti e spesso contraddittorie e la maggior parte di ciò che la Todd scrive non ha senso: riempie pagine su pagine con frasi deliranti, dialoghi assurdi e inutili, azioni e situazioni innaturali e irrealistiche (vogliamo parlare di Tessa che a diciotto anni ottiene uno stage retribuito $ 200 alla settimana e con possibilità d’aumento, ha l’ufficio privato, la segretaria, gli orari flessibili e svolge un ruolo importante nell’azienda? Se fossero spuntati degli unicorni l’avrei trovato più sensato. Così come per il 99% del libro.) Ma la cosa peggiore di queste 424 interminabili pagine restano i due protagonisti e la loro relazione malata: Tessa è… semplicemente Tessa, una persona irritante mostrata come la perfezione assoluta e priva di dignità, che si fa consapevolmente usare in ogni modo pur di soddisfare i propri desideri sessuali; Hardin non è da meno: viene spacciato per il classico duro dal cuore d’oro perennemente giustificato per via dell’infanzia traumatica. Dice di amare Tessa, ma la sfrutta per i suoi interessi sessuali ed esercita su di lei un controllo ossessivo e violento (trattenere qualcuno per i polsi e non lasciarlo andare finché non ti dà ragione non è un gesto d’amore, così come seguirlo ovunque da bravo stalker, insultarlo ripetutamente e annusare nel suo cassetto della biancheria come un maniaco). In conclusione: lo consiglio? Voglio leggere i tre libri successivi e il “prequel” di Hardin? Sono contenta che venda milioni di copie? No, assolutamente no e ancora no, anzi, sono contenta di non aver speso nemmeno un centesimo. Cosa penso del futuro film? No, il film no, tutto tranne quello! 30

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di Sofia Castagna VA

uesto librettino giallo non ha trama. Né capitoli. Non c’è neanche un protagonista. A prenderlo in mano, tra pollice e indice si ha quasi l’impressione che abbia lo spessore di un cartoncino poco robusto. E’ un librettino singolare, e il nome dell’autrice (Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Let teratura nel 1996) non è di quelli che si sentono più di frequente, vuoi per oggettivi problemi di pronuncia, vuoi perché non è particolarmente conosciuto. Se lo aprite e lo sfogliate brevemente (vi basta più o meno qualche secondo) vi accorgerete che è una raccolta di poesie. Diciassette, per la precisione. Sono tutte piuttosto brevi e molto belle. Non sono collegate tra di loro che da una finissima ragnatela di rimandi tematici: si coglie forse qua e là una qualche sorta di simmetria d’insieme, quella certa meticolosità d’artista dell’aracnide che tesse la propria tela imprimendovi un disegno razionale: ma di questo disegno ci si accorge solo in controluce, o quando un insetto vi rimane impigliato. Le tematiche sono quelle più tipiche: primariamente la morte, in secondo luogo l’amore, al terzo posto il lento logorio del tempo, e a seguire la curiosità, il ruolo del poeta, il perdersi, l’empatia. L’approccio dell’autrice è straordinariamente divertito e ironico: la Szymborska guarda alle cose del mondo lucidamente, tenendosi alla larga da sentimentalismi e inutili ridondanze; punta su uno straniamento che lascia spiazzati, e un po’ perplessi. Cerca di convincere l’occasionale lettore (che immaginiamo scettico e annoiato) della necessità di certi sentimenti, dell’analisi obbligata di alcune situazioni. Se davanti ai due personaggi della poesia “Prospettiva”, amanti per il breve spazio di un secondo e poi immediatamente, inesorabilmente ancora estranei, l’autrice invita a provare nient’altro che tristezza, in “Darwin” ci induce a sentire una famigliare simpatia per lo scienziato che viene raffigurato in quella che è presentata come, secondo testimonianza affidabile, una delle sue attività preferite: la lettura di romanzi dotati di happy ending (esatto: proprio lui, supremo sostenitore del trionfo del più forte sul più debole). In sostanza, la poetessa si guarda intorno, ci pensa su, prende la penna (o la macchina da scrivere), e mitiga con un sorrisetto appena accennato le inevitabili e serie riflessioni che il mondo continuamente offre. Però verrebbe da chiedersi: Wislawa (perdoni la confidenza, ma so che era un tipo alla mano e confido non se la prenderà), ma perché, tra tutti i segni d’interpunzione, proprio i due punti? Me la immagino mentre si solleva gli occhiali dal naso, e incapace di impedire il sollevarsi lievissimo di un angolo della bocca, risponde con l’ultima sua poesia: “Basta […] che nero su bianco,/ o almeno per supposizione/ per una ragione importante o futile,/ vengano messi punti interrogativi,/ e in risposta -/ i due punti:”.


LA GLORIOSA follia

D

di Elisabetta Bonato VD

amasco, Gerusalemme, Antiochia, Roma, Napoli: sono tutti luoghi in cui si svolge la vita di Saulo di Tarso, uno dei più grandi santi della cristianità. Louis De Wohl, romanziere storico del ‘900, (a mio avviso uno dei migliori) conduce il lettore nell’ epoca degli imperatori Giulio Claudi dove tra intrighi, corruzione e lotta per il potere nascono delle storie di amicizia vera tra coloro che erano chiamati “oi christianoi”. Vi ricordate quando, piccoli fanciulli delle elementari, dovevate sprecare il vostro pomeriggio per andare in oratorio ed ascoltare il prete che vi parlava dei profeti, del Vangelo e della Bibbia, ma tanto a voi importava solo che finisse per uscire fuori a giocare? Magari ora, da persone mature e intelligenti che siete diventate, vorreste approfondire o scoprire del tutto le origini del cristianesimo che, volenti o nolenti, hanno condizionato tutta la storia successiva. Beh le cose sono andate così: a Gerusalemme, nel 36 a.C., il giovane Saulo tenta di convincere i sommi sacerdoti della minaccia cristiana; inizia così la persecuzione. Nel

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frattempo un romano, Cassio Longino, sposato con un’ebrea, conosce il cristianesimo attraverso Pietro e gli altri apostoli. Quando scopre che la persecuzione di Saulo si sta dirigendo verso Damasco, città dove abitano la moglie Naomi e la figlia Atte, inizia un disperato inseguimento per raggiungere e uccidere il nemico dei cristiani. Viene però preceduto: Saulo, quasi giunto nella città, viene disarcionato e reso cieco da un’improvvisa fortissima luce venuta da Dio. In questo modo avviene la conversione al cristianesimo dell’ebreo più rigoroso di quei tempi. E così Cassio si ritrova a dover ospitare a casa sua, su richiesta del capo cristiano di Damasco, la persona che aveva tentato di uccidere. Da questo incontro inaspettato nasce una profonda amicizia che si allargherà anche a Naomi e ad Atte e che andrà avanti per tutta la storia. Le vicende si spostano poi in Italia, dove i quattro si ritrovano catapultati in una Roma ipocrita, corrotta e squallida, la Roma petroniana descritta eccellentemente nel Satyricon. Qui i personaggi si divideranno e affronteranno sfide diverse; le loro vite si intrecceranno a quelle dei protagonisti indiscussi

NON LASCIARMI

ono una persona che si commuove piuttosto spesso, come i miei amici (purtroppo) sanno bene; questo libro, tuttavia, pur essendo stata una delle letture più tristi che io abbia mai fatto, mi ha lasciata ad occhi asciutti. Ma mi ha spiazzata, totalmente. “Non lasciarmi” mette in scena un’utopia che mai vorremmo vedere realizzata e che assorbe il lettore profondamente e senza possibilità di uscita, intrappolandolo in un mondo terrificante. Katy, Tommy e Ruth vivono ad Hailsham, un collegio immerso nella campagna inglese, accuditi da un gruppo di tutori; non hanno genitori, ma non sono neppure orfani. Ad Hailsham studiano, crescono, giocano e s’innamorano, divenendo pian piano consapevoli del loro destino a cui non possono sfuggire. Le parole “assistente” e “donatore” si presentano dapprima poco chiare, quasi

del tormentato impero di questi anni: l’imperatore Nerone, sua madre Agrippina e il suo precettore Seneca. Ho letto molti dei romanzi storici di De Whol, ma questo è sicuramente il migliore e il mio preferito. De Whol mi sorprende sempre: la sua capacità di far immedesimare il lettore ogni volta in un’atmosfera e in un momento storico diverso è incredibile. Chi, come me, si immagina presente agli eventi che hanno cambiato la storia dell’umanità, troverà in questo libro la chiave giusta per vivere il momento della nascita del cristianesimo in modo per niente scontato o superficiale

di Alice de Kormotzij IVA

curiose, fino a rivelare con straordinaria potenza il loro vero significato, come una messa a fuoco improvvisa. “Non lasciarmi” è un romanzo duro, tagliente come una lama che fa sanguinare a poco a poco, provocando un dolore acuto e soffocato che si avverte fin dalle prime pagine. A lungo si attende una svolta, un tentativo di ribellione, di rivalsa da parte dei ragazzi, che, d’altronde, sono istruiti per diventare ciò per cui sono destinati. La presenza di Madam, una delle responsabili del collegio, che raccoglie i disegni e le poesie dei bambini, è costante e sottile, ma, ancora una volta, per conoscere la verità bisogna attendere fino alla fine e, naturalmente, non vi anticipo nulla. È un libro che necessita di essere scoperto senza fretta, talmente delicato e forte nello stesso tempo da essere assolutamente imperdibile. Sarà incredibile, ve lo prometto.

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Racconti

pioggia come lacrime

E

ra un'altra notte piena di lampi e fulmini, densa di pioggia. Presi lo zaino dal letto e me lo misi sulle spalle, dopodichè uscii saltando dalla finestra. Atterrai con un balzo sul morbido terreno, ormai fangoso dopo una stagione di continui diluvi. Non sapevo esattamente dove andare: avrei lasciato che il mio umore e la pioggia mi portassero in un luogo tranquillo, avevo solo il forte desiderio di uscire e dimenticare per un po' la mia vita piena di problemi. La pioggia era una delle poche cose che mi piaceva, non perché fosse qualcosa di particolarmente straordinario, semplicemente era una certezza. Era come il mare, c'era e basta. Sentivo lo scalpiccio degli anfibi sull'asfalto, e questo mi tranquillizzava, perché sapevo che era tutto reale. Arrivai alla fine di una strada non illuminata e trovai un alto cancello. Mi arrampicai sopra e, stando attenta, lo scavalcai. Nello scendere, però, scivolai sul cancello, bagnato e scivoloso, e infine caddi a terra sulla schiena. Sul palmo della mano destra avevo un profondo taglio che avrei dovuto disinfettare, ma non ci badai molto e raccolsi lo zaino che mi era caduto a terra. Dopo un centinaio di metri giunsi a un piccolo boschetto di pini, pieno di animali notturni come il gufo, la volpe e il lupo. Nel buio vedevo i loro occhi fissarmi e questo mi procurava un senso di 32

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di Isabella Marenghi IIF grande inquietudine, anche se erano solo uccelli. La pioggia continuava a cadere fitta, bagnandomi i vestiti ormai fradici e facendomi venire brividi di freddo in tutto il corpo. La pioggia si insinuò fin sotto le mie ossa e i denti battevano ininterrottamente. L'unica cosa sulla quale mi sarei dovuta concentrare era la pioggia: se l'avessi seguita e ascoltata avrei trovato un po' di pace e la confusione

intorno si sarebbe diradata. Mi sedetti sotto il tronco di un robusto pino, i cui rami erano molto alti, chiusi gli occhi e appoggiai una guancia alla corteccia umida. Ora sentivo distintamente ogni suono: il verso del gufo, l'infuriare del vento tra gli alberi e il picchiettio delle gocce di pioggia sui tronchi degli alberi. La pioggia mi ricordava i momenti in cui mia madre era ancora

con noi. Diceva sempre che la vita poteva essere come una tempesta: caotica, ma alla fine c'era sempre l'arcobaleno. Ad essere onesti pensavo che avesse una vera e propria passione per la pioggia: era una fotografa e i suoi album erano pieni di fotografie sugli arcobaleni, sul bosco dopo una giornata di pioggia, sulla rugiada che si posava sulle foglie verdi. Diceva anche che la pioggia, come tutta la natura, era arte, ma molte persone erano troppo stupide per capirlo. Una goccia si infranse sul mio viso, e il ricordo di mia madre svanì così come era arrivato. Alcuni dicevano che la pioggia era un dono del cielo, un dono portato dalle fate per rallegrare noi uomini, e forse avevano ragione, ma a me ricordava solo tante lacrime. Credevo che la pioggia ci fosse solo quando molte persone piangevano contemporaneamente, ma dopo averlo studiato a scuola, seppi che non era questo il motivo. Un altro pezzo del mio passato svanì e mi riportò al presente. La pioggia continuava impetuosa, ma ormai avevo ritrovato la pace e riordinato i pensieri. Un ultimo lampo incendiò il cielo e in quel momento seppi una cosa: non importava ciò che accadeva intorno a me, finché ci fosse stata la pioggia, e con essa mia madre, sarei stata al sicuro e avrei sempre avuto un posto per riflettere sulle mie azioni, sui miei ricordi e sui desideri che non si sarebbero mai potuti avverare.


IL GIOCO DELLE OMBRE

C

’era una volta, o forse c’è ancora, un piccolo paese rotondo chiamato Bramo. Le sue fondamenta se ne stavano rannicchiate tra due colline d’erba tenera e vi abitavano solo un centinaio di persone. C’era una piazza principale e tutt’attorno s’affacciavano, disposte come la corolla di un fiore, la bottega del forno, quella di un piccolo artigiano, del droghiere e del macellaio, abbracciate dalle casupole degli abitanti. La piazza principale aveva un pozzo e, imboccando con lo sguardo il vicolo indicato dal gancio arrugginito, si scorgeva poco più in là un campanile modesto con un enorme orologio d’avorio. Sembrava quasi che il paesello fosse piombato secoli prima dal cielo, come un asteroide, provocando nemmeno troppo frastuono. A quanto si narra, camminando per le viuzze, era inevitabile incrociare equilibrio e tranquillità: sovrani remoti del paesello. Era una mattina come le altre e i tacchi dei compaesani risuonavano sulle piastrelle di pietra che s’allargavano concentricamente dal punto in cui sorgeva il pozzo. Tutti quanti sgusciavano dalle porticine delle abitazioni per recarsi nelle botteghe, godendosi un sole che alitava indifferente per le vie. Ogni cosa sembrava al suo posto, ma non in pochi si erano accorti di un manifesto bianco, comparso chissà quando e steso sul ventre del pozzo da chissà chi. Recitava: “IL GIOCO DELLE OMBRE a mezzanotte nella piazza principale.” E in piccolo sul fondo: “E Bramo tornerà Ombra”. Fu così che i compaesani di Bramo, calamitati dal manifesto mezzo vuoto, sentirono per la prima volta odore di meraviglia, di novità, e l’inquietudine

di Margherita Ghiglioni IIC

cominciò a crescere dentro di loro come una sensazione mai provata prima. Sembrava proprio che nessuno potesse scappare da quell’invito, si sentivano tutti quanti coinvolti in quel misterioso “gioco delle ombre”; “e Bramo tornerà Ombra”. Cosa significava? Il campanile scandiva il tempo aumentando a ogni rintocco la frenesia e la curiosità di assistere al gioco; e presto si fece sera. Dopo cena il cielo era già scuro e l’omino dei lampioni s’apprestava a percorrere il suo girotondo in paese, per illuminarne il profilo. Uomini, donne e bambini si vestirono degli abiti da festa e scesero in piazza, pochi minuti prima di mezzanotte, accecati dalla voglia di assistere allo spettacolo. Quando l’ultimo lampione fu acceso, dal vicolo del campanile, rimasto buio, la folla udì la voce di un uomo che camminava deciso verso il pozzo. “Bramo!” esclamò lui e in quell’istante si gettò sotto un lampione, perché la gente potesse riconoscere la sua immagine. Un uomo giovane, alto e molto magro avvolto in un mantello blu petrolio, con una mano ossuta si sistemava una ciocca castana e riccia che gli era caduta davanti agli occhi. “Ore 24:00. Che i giochi abbiano inizio”, le parole gli uscirono dall’angolo sinistro della bocca, in un sussurro ghignante. La folla stava in silenzio, incantata dal mantello del mago che danzava a ogni suo passo. Egli si posizionò di fronte a una parete spoglia e buia, fissando una lanterna a un davanzale poco distante, aprì i palmi e le due ombre affusolate si proiettarono sull’intonaco. Cominciò a raccontare: “La storia che vi narro comincia con un bambino.” Qui, con un semplice movimento, fece apparire la sagoma di un pargoletto,

accompagnato poi da un’esclamazione di sorpresa degli spettatori. “Egli amava giocare con gli altri bambini, bambini senza occhi né naso né bocca, ma con braccia e gambe, bambini fatti di buio. Pur essendo questi sagome d’oscurità, per il bimbo furono da subito un’allegra compagnia di cui non poteva più fare a meno. Per la maggior parte del tempo si divertiva con Il gioco delle ombre, durante il quale rincorreva i suoi amichetti proiettando sul muro sagome di animali e creature particolari.” Fece una pausa abbassando gli occhi e le mani lasciando la parete spoglia d’immagini per un secondo. Poi riprese: “Una notte, però, involontariamente la coperta che teneva sulle spalle scivolò sulla lanterna lasciando la stanza in completa oscurità. Con un gesto disperato scoprì la lanterna, ma i suoi amici non c’erano più. Erano ombre solitarie, che attendevano l’occasione di trovare un rifugio, di appartenere finalmente a una persona. Quella fu la loro occasione.” L’uomo si mosse verso la lanterna e la coprì completamente coi palmi diffondendo una luce rossastra: “Quel bambino ero io. Finalmente ho ritrovato Bramo, perché è qui che si nascondono i miei amici ed è ora che tornino a giocare con me. Quattro tra la folla, saranno le persone che non possiedono ombra, perché sono in sé delle ombre. Non c’è bisogno che venga a prenderle, verranno loro da me. Arrivederci Bramo. O, oserei dire, OMBRA.”, scomparve. Il mattino seguente il manifesto era ancora affisso alla pancia del pozzo, ma non era più bianco: sopra vi erano disegnate quattro sagome scure dalle linee eleganti. E del resto del paese rimase solo una linea d’ombra fra due colline.

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Racconti

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CaMoMiLLa

aledetta chimica. Non avrei mai pensato che al classico questa materia fosse così importante. Ho studiato tutto il pomeriggio in vista della verifica di domani e sono ancora qui, alle undici di sera, a spremermi le meningi per risolvere i problemi di stechiometria. Non so nemmeno che cosa significhi stechiometria. Penso soltanto che sia infelice, come parola. Per neutralizzare 200 ml di una soluzione due molare di acido solforico, di quanti grammi di idrossido di sodio necessito? Se mi sto impegnando così tanto, è solo per mia madre. E’ un brutto periodo per lei e voglio risparmiarle almeno la preoccupazione per il mio scarso rendimento scolastico. Calcola il PH di una soluzione 0,1 molare di idrossido di magnesio. E’ ora di chiudere il quaderno: sono troppo stanco per andare avanti. Vado in cucina a prepararmi una camomilla prima di andare a letto. Mia madre mi ha trasmesso questa abitudine da piccolo e ormai, senza il mio piccolo rituale, faccio fatica ad addormentarmi. Mentre apro la dispensa sento dei singhiozzi provenienti dal soggiorno. Mi blocco e tendo le orecchie in ascolto. Silenzio. Era solo un falso allarme. Dove è finita la scatola della camomilla? Dopo un’accurata ricerca la trovo: per fortuna sono rimaste ancora un paio di bustine. Giungono altri rumori. Sembra che qualcuno stia piangendo: in casa ci siamo solo io e la mamma. Mio padre è uscito per una cena di lavoro ma dovrebbe tornare da un momento all’altro. Mi chiedo perché non abbia portato con sé sua moglie. In ogni caso avere casa libera sarebbe stato inutile perché avrei rinunciato ad organizzare pazzi festini per studiare chimica. Non posso permettermi un’altra insufficienza: sento che domani andrà bene. Faccio scorrere l’acqua calda dal lavello e riempio il pentolino. Forse dovrei andare di là a consolarla. Non sono un tipo che dà grandi dimostrazioni di affetto; quando mi abbandono alla commozione mi sento ridicolo. Superata la fase dei capricci infantili, non mi è mai capitato di piangere davanti agli amici o di fronte ai genitori, nemmeno al funerale della persona più cara. Chiudo il rubinetto e tendo le orecchie. Altri singhiozzi. Accendo il gas in attesa che 34

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l’acqua si scaldi. Detesto manifestare pubblicamente i miei sentimenti e nella mia sofferenza desidero solo chiudermi in me stesso. Sono diverso dagli altri. La maggior parte delle persone nei momenti bui apprezza la vicinanza e le parole di conforto dei cari. Mi dispiace che lei soffra così, non se lo merita. L’acqua sui fornelli è ancora tiepida. Andrea riusciva sempre a tirarla su di morale. Ora lui si sarebbe precipitato in sala, l’avrebbe abbracciata baciandole i capelli e avrebbe piazzato a sorpresa una delle sue battute con la voce roca, da uomo vissuto. A lei sarebbe tornato il sorriso e tutta la famiglia si sarebbe stretta sul divano a guardare uno di quegli stupidi telefilm americani che danno in tv il mercoledì sera. Ma la realtà non è più questa. Finalmente l’acqua bolle. Dall’armadio scelgo la mia tazza preferita, quella a forma di mucca, e la afferro per la coda (il manico). Lo so, sono imbarazzante, e sono anche riuscito a ustionarmi rovesciandomi la bevanda bollente sulla mano. Per fortuna è una scottatura da nulla. Ora devo aspettare un paio di minuti prima che la bevanda sia pronta. Chissà quante ore della mia vita ho trascorso a preparare questo infuso. Supponiamo che ci vogliano sette minuti alla volta; moltiplicandoli per trecentosessantacinque giorni otterrei… D’accordo, ci rinuncio: ho già fatto abbastanza calcoli per oggi. Mia madre sta piangendo e, nel frattempo, io mi occupo della camomilla. Il cucchiaio di zucchero versato si scioglie velocemente a contatto con il caldo. Potrei fare finta di niente e aspettare che si riprenda da sola. Domani mattina mi sveglierà sussurrando “Buon giorno”, con il sorriso sulle labbra, sul viso nessuna traccia delle lacrime versate. Invece afferro la tazza per la coda, o meglio, afferro la mucca per il manico e mi dirigo verso il soggiorno. Apro la porta scorrevole e rimango a bocca aperta. La mamma stava ridendo, ridendo di gusto, di fronte a un film comico in televisione. Avevo dimenticato quanto fosse contagiosa la sua risata. Si volta verso di me e vedendo la mia faccia stupita mi chiede se vada tutto bene. Tutto a posto. Abbasso lo sguardo e bevo un sorso di camomilla. Mi brucio la lingua, era ancora bollente. “Volevo solo dirti… Ti voglio bene”.

di Linda Del Rosso IIIC


sport MA QUALE CALCIO? di Giuliano Toja IVA e Alessandro Cassese IVA

I

n Italia, si sa, il calcio è molto più di uno sport: è passione, gioia, a volte quasi fede. Altre volte invece, purtroppo, è violenza, criminalità, razzismo e sfacelo della cultura. Troppo spesso negli ultimi anni sulle pagine sportive dei giornali siamo costretti a leggere di scandali e notizie che, per motivi disparati, col calcio c’entrano poco o niente. Alcuni però non ci stanno, come i due allenatori di Serie A che, da veri uomini di calcio, negli ultimi giorni hanno lanciato due segnali importanti. Il primo uomo è Giampiero Gasperini, l’allenatore del Genoa, che, dopo la partita vinta contro il Palermo, si è sfogato in conferenza stampa denunciando e, cosa senza precedenti, facendo i nomi degli pseudo-tifosi che da anni minacciano e tormentano la loro squadra e i loro giocatori a ogni risultato negativo. “Io ho un concetto dei tifosi del Genoa ben più alto che Leopizzi, Cobra o Traverso (due capiultras e il presidente dell’associazione club genoani, ndr)… Io identifico i tifosi del Genoa in un altro modo, non con queste persone. Quando il Genoa perde io sto molto male mentre loro sono contenti

perché acquisiscono spazi e visibilità”. U n ’ u s c i t a allo scoperto coraggiosa, dettata dall’esasperazione di un mister che, dopo aver dato tutto per la squadra che guida da tanti anni, rischia di dover andare agli allenamenti con la scorta. Di tema totalmente diverso quello che è successo nel dopogara dell’importante match di Coppa Italia Napoli-Inter, quando ancora una volta si è parlato di tutto tranne che di calcio. Il CT nerazzurro Roberto Mancini, dopo essere stato cacciato dal campo in seguito a un’accesa discussione con l’allenatore avversario, Maurizio Sarri, si presenta inferocito in sala stampa spiegando il motivo del suo scatto: “Sarri ha usato parole razziste, mi ha dato del ‘frocio’ e ‘finocchio’. Sarei orgoglioso di esserlo se lui è un uomo. È una vergogna, uno che si comporta così in Inghilterra non vedrebbe più il campo.” Ma qui siamo in Italia, un paese dove il presidente della FIGC definisce il calcio femminile “4 lesbiche”, e il quarto uomo ha pensato

bene di espellere Mancini invece che Sarri, che poi si è difeso chiedendo scusa ma affermando che “Certi litigi da campo devono rimanere in campo.” Invece è proprio laddove persone mediaticamente importanti come giocatori e allenatori sono al centro dei riflettori che deve cominciare la crescita culturale del paese in direzione della tolleranza e del rispetto della diversità di cui lo sport dovrebbe essere sponsor. Per questo è giusto che Sarri riceva la squalifica prevista per questo tipo di affermazioni, e che i gesti di denuncia forti come quello di Mancini siano incoraggiati, per rompere la barriera dell’omertà e far sì che il nostro sport nazionale diventi l’esempio positivo che dovrebbe essere. E non lo diciamo perché siamo interisti, no, questa volta il calcio proprio non c’entra.

un viaggio nella ginnastica:

I

come viene calcolato il punteggio

punteggi che le ginnaste ottengono durante le gare sono composti da due parti per valutare i diversi aspetti dell’esercizio. Uno è il punteggio D, l’altro il punteggio E; la somma dei due determina il punteggio finale. Il punteggio D si ottiene valutando le difficoltà eseguite nell’esercizio, i collegamenti tra un elemento e l’altro e le esigenze che possono essere una serie artistica, un’entrata e così via. Il punteggio E, che per convenzione parte da 10, determina la perfezione con cui gli elementi vengono eseguiti

di Asia Rossetti IH e scala se la qualità dell’esecuzione è poco precisa, ovvero, se l’atleta compie errori, vengono tolti decimi di punti che abbassano il valore finale dell’esercizio. Ogni errore costituisce una penalità che può essere di un decimo, due decimi oppure un punto; una caduta dalla trave, ad esempio, costituisce una penalità di un punto. La somma dei punteggi riportati nei quattro attrezzi (parallela, trave, corpo libero e volteggio) forma il punteggio finale, che determinerà la posizione in classifica di un’atleta. Tutto ciò per spiegarvi in breve e con parole semplici la parte dei punteggi nell’intrigato mondo della ginnastica.

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sport Roger Rivière

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enti metri. Lunghissimi. Un’infinita spirale di terrore. Non c’è più alcuna percezione materiale, nessuna coscienza, solo una terrificante immobilità. Come se Dio avesse congelato la sua intera esistenza in quei venti metri. Roger Rivière è vivo! E’ vivo! La radio ulula le sue frequenze spezzate. Roger è vivo. Roger nasce a Saint-Etienne, nel gelo mordace dell’inverno del ’36. Il fisico alto e asciutto, di perfezione robotica, denota l’irresistibile potenza muscolare del passista francese. Divorava la pianura con la sua pedalata lunga ed elegante, come un vento di tempesta tra le spighe, in un’azione dalla compostezza quasi irreale, senza apparente difficoltà. La fatica si scioglieva nella profondità marina dei suoi occhi tristi. Nel ’57 passa professionista su pista. Ai campionati nazionali è subito finale, con Jacques Anquetil sfidante d’eccezione. Il normanno è fresco recordman dell’ora e in procinto di inanellare, proprio a partire da quel leggendario 1957, una

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serie di imprese che lo consacreranno come una delle stelle più sfavillanti del firmamento ciclistico mondiale. Ma Roger è una furia divina che si abbatte implacabile sul malcapitato Anquetil, dilaniando l’aria con ferocia bestiale, per poi planare sul traguardo vincitore, travolto dal tumulto orgiastico dei francesi in delirio. Da quel momento Rivière cannibalizzerà l’inseguimento su pista, laureandosi campione del mondo per tre volte in rapida successione. Sempre nel ’57 infrange il record dell’ora di Baldini e l’anno seguente migliora la sua stessa prestazione nella bolgia infernale del Vigorelli, nonostante una foratura che lo penalizza di almeno 300 metri. Su Rivière incombe però l’utopia della strada, un desiderio quasi carnale, di irrefrenabile cupidigia: Rivière vuole il Tour. 1960. Tour de France. Col de Perjuret. Gastone Nencini è un dardo giallo nel cuore della tempesta. Roger si tuffa all’inseguimento, saettando per la discesa di nuvole. Curva a destra. Terreno bagnato. Diamine. Il freno non risponde. Non voglio morire. Una tenebra accecante. Sono due vertebre

il riscatto di JAMIE

mmaginate di esser scartati dalle giovanili della vostra squadra del cuore perché troppo bassi. Immaginate di lavorare tutto il giorno sollevando macchinari per la produzione di sostegni ortopedici e poi la sera andare agli allenamenti di una squadra dilettantistica che vi paga 30 sterline. Questa è la storia di Jamie Vardy fino a cinque anni fa, quando i verdi campi della Premier League e gli stipendi a sei cifre erano solo un sogno. Il ragazzo di Sheffield, per inseguire questo sogno, si trasferisce ad Halifax e poi a Fleetwood, giocando e segnando nei campionati minori. Lo nota il Leicester, squadra di serie B inglese con l’obiettivo di tornare nella massima categoria. È una grande opportunità per Jamie, ma lui non incide: stagione deludente anche per il club. Avrete però capito che questa non è la storia di chi si arrende alle prime difficoltà. 36

di Giaime Ferrigno IIB

L'Oblo' sul Cortile | Anno X, n° III

L’anno successivo arriva il rilancio: 16 gol e promozione nella massima serie. Il sogno è realizzato. Da Sheffield ai campi d’allenamento di Leicester fino agli stadi più prestigiosi del calcio inglese. In estate Vardy viene

convocato dalla nazionale inglese e il Leicester cambia allenatore. Arriva il romano Claudio Ranieri, ex tecnico di Roma, Inter e Juventus, che in Inghilterra aveva già lavorato, ottenendo però pochi successi e

fratturate e lesione al midollo spinale. Perderà per sempre l‘uso delle gambe, signor Rivière. Anche se, detto fra noi, è una fortuna che sia ancora vivo. Il campione transalpino era oramai relegato nella sua prigione fisica per il resto della vita. Il suo corpo è ormai un peso inerte, le droghe diventano la quotidianità. Verrà liberato dalla sua esistenza passiva solamente sedici anni e molte sventure più tardi, da un tumore alla laringe. Ora Roger è da qualche parte lassù, che ci sorride amaro dal paradiso dei sogni infranti.

di Adriano Bertazzoni IVA molte critiche. Il Leicester punta ad ottenere 40 punti a fine stagione e quindi a salvarsi, ma l’obiettivo viene raggiunto già a dicembre. Sì, perché la squadra lotta e ha grande carattere, e con la fantasia di Mahrez e i gol di Vardy vince e sorprende tutti. Primo posto in classifica contro ogni razionale pronostico, contro tutti i giudizi scettici, contro tutto e contro tutti. Il ragazzo da Sheffield segna in continuazione: 11 gol consecutivi, record assoluto in Inghilterra. Partito lontano dai viziati calciatori circondati da belle auto e belle donne, ora si ritrova a dettare legge in mezzo a loro. Ma non è come loro. Sa cos’è un lavoro duro, sa cosa significa essere scartati e ripartire dal basso. Non ci sono segreti o miracoli in questa storia, ma solo la determinazione di un ragazzo partito dal fondo e arrivato in cima realizzando il proprio sogno.


varie

lettera per giovani acculturati come voi

Quanto a quelli che si dedicano agli studi ma solo per ricavarne una vuota e sterile erudizione ormai pure il Carducci ne è pieno - non c’è dubbio che anche loro, pur non concludendo nulla, si danno tanto da fare. Una volta questa smania di notizie inutili era un vizio tipico dei greci, che si fissavano di voler sapere il numero dei marinai di Ulisse, se fosse stata scritta prima l’Iliade o l’Odissea, se i due poemi appartenessero al medesimo autore, ed altre simili notiziole che se le tieni chiuse dentro di te non giovano a nulla ma se le vai raccontando in giro ti fanno sembrare pedante, non più colto. Ed ora anche i Carducciani sono stati contagiati da questo stupido vizio del nozionismo. [...] Ammettiamo pure che costoro le dicano in buona fede,[...] ma queste nozioni potranno mai servire a eliminare gli errori degli uomini, a frenarne le passioni, a renderli più forti, più giusti, più generosi? Fabiano, il mio maestro, si domandava se fosse meglio non studiare per niente piuttosto che impegolarsi in studi di questo genere”.

Carissimi ragazzi, saluti a voi! Spero abbiate passato bene le vacanze e le abbiate sfruttate per consolidare le vostre già invidiabili conoscenze. Spero anche abbiate digerito i tradizionali pasti pantagruelici e che codesti non abbiano appesantito le vostre lucidi menti; ma certamente non è stato così. Io invece, e l’avrete ben visto, ho avuto a che fare con qualcosa di molto indigesto. Infatti io era desideroso di raccogliere nuovamente l’invito postomi dalla redazione, rimasto ahimè inadempiuto la scorsa volta, di tenere quaedam lectionem, per citare un grande come Bronzio. E mentre mi documentavo per esporvi la nuova curiosa teoria di Simon Niellitus relativa alla paternità dell’Odissea, ecco che mi imbatto in un certo libretto; dirò la verità, mi apparve già dalla rilegatura altresì poco accattivante e brutto, poco interessante, ma per non so quale disgraziata ragione forse per romanticistico o gotico amor del

brutto- lo aprii. Non lo avessi mai fatto! L’autore è senza dubbio un frequentatore del vostro esimio, illuminato e fiero liceo Classico; certo lo è. Mi pare si faccia chiamare Senapa, o forse meglio, Seneca... sì!, sì dev’essere Seneca. Avete letto il brano tratto dal suo libretto? Se valete quel che si dice di voi sarete inorriditi come Meduse caravaggesche! Voi sapete quanti furono i marinai di Ulisse? Infinita è la diatriba, interessantissima, e potrei farne oggetto, se desiderate, la mia prossima lettera... e vi giuro è una questione interessantissima, e lui come la chiama? “Pedanteria, stupido vizio”, sentitelo il maestrino! Le “nozioni” sono in realtà conoscenze fondamentali per dei buoni studiosi, necessarie, forse l’essenza dello studio. Come vorrebbe questo signor nessuno renderci e rendervi migliori, proprio voi cui hanno insegnato i tratti fondamentali della classicità, dell’Eclettismo, dello Stoicismo, dell’Epicureismo... A proposito, c’è un bellissimo libro di Apicio sulle ricette per i fagioli preferite da Zenone, fondatore della vecchia Stoà, per conoscere questa filosofia meglio di quel che già fate... ma tornando a questo Seneca, gli chiedo, cos’altro dovremmo sapere dell’Iliade? Queste diatribe sono necessarie per capirla, e voi me lo dimostrate: certamente voi, dopo aver appreso, come canonicamente (che equivale a dire: giustamente) si insegna, che questo poema è l’espressione di un popolo (quello greco), saprete dirmi in che cosa consiste a livello profondo quest’espressione! Vero? Cosa diceva quel popolo? Cosa può dirci? Domande ormai per voi banali dopo tutti quei discorsi sui testi omerici! Vi chiederete cosa ha insegnato a me, classicista di spessore! Be’... senza dubbio l’Iliade mi ha cambiato profondamente, mi ha parlato al cuore per dirla come Guinizzelli, e l’ha fatto sotto forma di forme retoriche, arcaismi, eolismi et cetera... e poi via sgorgano riflessioni su... ehm ecco... mille cose potrei dire, come, come... ecco si, il tema della prostrazione alla ingerenza fatalistica, la personificazione

della deità nella carnalità peccaminosa umana, e il ciclo omerico, e il quadrato del ciclo omerico, e il cerchio circoscritto al quadrato del ciclo omerico!, e così via a circoscrizioni. Chiaro no? Io amo sinceramente, da classicista, questo fondamentale poema. E poi, anche non me ne fregasse niente di queste “notiziole”, Omero bisogna saperlo, e bene, e che cacchio! Scusate la foga, ma quando si mette in dubbio la bontà dei già troppo vilipesi studi classici, non ci vedo più! Ovviamente queste regole valgono per tutte le materie umanistiche. É chiaro che il vostro venerando liceo Classico non é posto per tale Seneca, che immagino sia uno studente poco diligente e arrabbiato per i suoi scarsi risultati. A lui un consiglio: studia! Studia caro mio, invece di preoccuparti della virtù! Prendi esempio dai tuoi compari desiderosi di conoscenza e di eccellere, di essere qualcuno! Mica lazzaroni come te, che dici di arrovellarti per sapere i motivi per cui studiare! Ma chi sei tu per muovere dubbi sulla validità delle cose che studi? Un po’ d’umiltà certo non guasterebbe. E fai meno domande, che tra l’altro risulti pure pesante stilisticamente, e te lo dice uno che di estetica se ne intende e ne ha ricevuto pubblica conferma… Dunque ai lettori più piccoli rivolgo l’invito a scansare tali diseducative riflessioni, e a prepararvi ai meravigliosi studi che ho descritto, cui state andando incontro. Vobis invece, studenti già stimati e dai brillanti, splendidi risultati, rivolgo solo i miei più cari saluti! (Brano tratto da Seneca, De brevitate vitae, XIII)

Febbraio 2016 | L'Oblo' sul Cortile

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varie di Linda Del Rosso IIIC ARIETE (21 marzo - 20 aprile)

Cupido dall’Olimpo ha scoccato le sue frecce verso di voi, ma un forte vento ha deviato la rotta: è stato colpito il vostro cane che sarà presto in preda ad una tempesta ormonale. Si salvi chi può!

TORO (21

aprile - 21 maggio)

“Or bene,” gli disse il bravo all’orecchio, ma in tono solenne di comando, “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. I vostri genitori vi hanno tagliato le ali negandovi di conseguire i vostri obiettivi. Fate come Renzo e Lucia: lottate fino alla fine per la realizzazione dei vostri desideri.

GEMELLI (22 maggio - 21 giugno)

Non è stata una buona idea tagliare il cappotto di visone della nonna per creare un pellicciotto all’ultima moda, quindi ora non lamentatevi se vi cancellerà dal suo testamento. Toglietevi dalla testa di farvi perdonare regalandogliene una nuova: “Guai agli assassini di animali!”.

CANCRO (22 giugno - 22 luglio)

La vita frenetica da Carducciani nell’ultimo periodo vi ha impedito di coltivare le vostre passioni. Approfittate della cogestione per fare after con i vostri amici ma anche per scoprire nuovi interessi: cosa ne dite di un corso di uncinetto o di ginnastica dolce in parrocchia?

LEONE (23 luglio - 23 agosto)

Immaginate di scalare la parete di arrampicata della palestra al piano terra; la vostra vita è appesa a un filo. Dopo la salita, l’unico modo per tornare a terra è fidarsi di chi vi sorregge: lasciatevi andare! Fidatevi di chi vi vuole bene!

VERGINE (24 agosto – 23 settembre)

In prossimità di Venere, uno strano bagliore arancione si è diffuso nello spazio e secondo lo Zodiaco le spiegazioni possono essere due: la prima è la vostra eccessiva consumazione di agrumi dal colore arancione; la seconda è che una tigre vi sta tendendo un agguato. Guardatevi le spalle anche dagli amici più fidati! 38

L'Oblo' sul Cortile | Anno X, n° III

BILANCIA (24 settembre - 23 ottobre)

Il vostro compagno di banco non vi sopporta più: basta “dimenticare” i libri a casa! Non stupitevi se alla vostra prossima visita il medico vi diagnosticherà una scoliosi cronica. Se avete scelto di fare il classico, dovrete rassegnarvi a spaccarvi la schiena per trasportare volumi di greco e latino.

SCORPIONE (24 ottobre - 23 novembre)

La vita è come un cactus: se la affoghiamo di cure, marcisce; se siamo indifferenti e ci dimentichiamo di innaffiarla, rinsecchisce. Ricordate il proverbio latino: “In medio stat virtus”.

SAGITTARIO (24 novembre -

22 dicembre)

Sapevate come gli astrologi calcolano la probabilità di essere investiti da una macchina?Gradodiinclinazionedell’orbita terrestre moltiplicato per il doppio della superficie della luna marziana diviso 1000,456. Brutte notizie per voi sagittari: la percentuale di rimanerci secchi è dell’88%.

CAPRICORNO (23 dicembre - 20 gennaio)

Ormai carnevale è passato, ma sembra che qualcuno di voi non l’abbia ancora capito. Smettetela di travestirvi da classicisti intellettuali: basterà un’interrogazione per far cadere la maschera e rivelare la vostra identità di nullafacenti.

ACQUARIO (21 gennaio – 19 febbraio)

Ultimamente avete talmente tante cose da fare che vi dimenticate di nutrire il vostro pesciolino rosso. L’unico modo per farvi perdonare sarà cucinargli una bella pizza al tonno, altrimenti in casa vostra si scatenerà una violenta ribellione marina.

PESCI (20 febbraio – 20 marzo)

Dopo il giorno della befana avete scoperto di avere una strana perversione per i calzini, ma nessuno sembra capirvi. Non disperate: questo è il mese buono per trovare un’anima gemella che vi apprezzi così come siete.


SUDOKU by beniamino piccolo Febbraio 2016 | L'Oblo' sul Cortile

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Quanto spesso quei signori che vogliono parire dotti e ineccepibili ai vostri occhi si tradiscono nel modo più brutale ed esilarante? Inviaci anche tu le peggiori frasi dei tuoi prof... ALL’INIZIO DELL’ORA, NEL BEL MEZZO DI UNA CLASSICA DIATRIBA SULL’APERTURA DELLE FINESTRE OPPURE NO X: Apriamo le finestre, ci sono 50 gradi qua dentro! Y: NO CHIUDIAMOLE! Fa un freddo cane! PROF: No no ragazzi, apriamole... non so se è la menopausa, ma qui fa un caldo pazzesco! SPIEGANDO I CRETESI IN STORIA DELL’ARTE PROF: Perchè, ragazzi, bisogna prendere il coro per le torna! DURANTE LA LEZIONE DI FILOSOFIA PROF: Voi due insieme siete una cosa pessima! Separati i banchi! Separati in casa... prima che mi venga da tirarvi un cancellino in testa! DURANTE EDUCAZIONE FISICA PROF a due ragazzi che stanno uno in spalla all’altro: Se non la smettete subito metto la nota al portante e al portatore! DURANTE LA LEZIONE PROF: MA A CHE ORA TI SVEGLI LA MATTINA? SEMBRI RIMBAMBITA! X: Se tutto va bene, intorno a mezzogiorno...

VERIFICA DI INGLESE X: Prof, la data la metto in inglese? PROF: No, in Turkish it’s better!

DURANTE ITALIANO PROF: Da dove viene il nome Laura? X (interrogato): Ehm... Y (suggerisce): ALLORO X: Ah, l’oro! PROF: Senti X, se non capisci nemmeno bene i sugerimenti...!

DURANTE MATEMATICA, QUALCHE GIORNO PRIMA DELLA PROVA COMUNE X: Prof, io la prova comune la balzerei... PROF: Eh, anche io la balzerei! SPIEGANDO SCIENZE PROF: Scambiate gli ioni in segno di pace!

DURANTE LA LEZIONE PROF riguardo a X: Lui è trasparente come il velo di Dante... trasparente si fa per dire!

CORREGGENDO GRECO PROF: X, correggi l’ultima frase. X: Il polpo talvolta usufruisce, come nutrimento, dei pezzetti di carne delle conchiglie, gettando i gusci fuori dalle tane. PROF (quasi ridendo): Se vedete un mucchietto di gusci fuori da una tana, ora sapete che quella è la dimora di un polpo! X: ... fa la raccolta differenziata...

SPIEGANDO FILOSOFIA PROF: Nulla sappiamo dei cavalli e delle loro concezioni filosofiche. Il mio gatto mi parla, ma non lo capisco purtroppo!

DURANTE FISICA X: Prof, io farei fisica solo per fare le stelle. PROF: Vi do io tante legnate in testa, così sì che le vedete le stelle!


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