Oblò anno XI numero III

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L’ editoriale di Bianca Carnesale VA

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arducciane e carducciani, finalmente siamo riusciti a far uscire questo sudatissimo terzo numero. Scusate il ritardo: abbiamo avuto dei problemi tecnici, ma ci faremo perdonare. Non vi preoccupate: ci saranno comunque i cinque numeri consueti che vi avevamo promesso. Come vedete, questo terzo numero inizia con un articolo importante, l’articolo che Linda ha voluto dedicare a sua sorella Francesca, detta Wondy, che ha combattuto una lunga battaglia contro il cancro. Vogliamo ricordarla per il suo coraggio e per la sua voglia di vivere, che ci racconta nel suo libro, “Wondy: Ovvero, come si diventa supereroi per guarire dal cancro”. No, Wo n d y non è guarita, ma quello che ha lasciato dietro di sé è una fonte e un desiderio di vita che coinvolge tutti noi. Per questo il desiderio di

fare, di agire, di andare avanti non si interrompe, ma anzi diventa più impellente dinnanzi ad una perdita. E infatti eccoci: è arrivato marzo e con lui la cogestione, le gite, le “vacanze”, il Perrone. La cogestione è però il momento più atteso, che mi pare tra tutti il più significativo della vita del Carducci, una vita partecipata da tutto il variegato mondo carducciano. C’è chi propone gruppi, chi li gestisce, chi organizza, chi assiste, chi fa foto, interviste e video, chi suona, chi canta, chi corre qua e là rincorso dal servizio d’ordine. E’ in momenti come questi che il Carducci si mostra al meglio, con tutta la nostra voglia di fare, di partecipare, tutti insieme, professori e studenti. E ci mostra qualcosa in cui credo non si debba mai smettere di credere, anche nei momenti di crisi: “I giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”.

La redazione dell’oblò

redattori | Greta Anastasio, Adriano Bertazzoni, Alissa Bisogno, Cleo Bissong,

Elisa Boscani, Bianca Carnesale, Alessandro Cassese, Giulio Castelli, Marta Crippa, Carlo Danelon, Rebecca Daniotti, Alice De Gennaro, Alice De Kormotzij, Linda Del Rosso, Chiara Di Brigida, Letizia Foschi, Valentina Foti, Valeria Galli, Margherita Ghiglioni, Olivia Manara, Isabella Marenghi, Giulia Martinez, Giorgia Mulè, Larabella Myers, Costanza Paleologo, Martina Pelusi, Beatrice Penzo, Claudia Pirro, Marta Piseri, Valentina Raspagni, Davide Siano, Giovanni Spadaro, Valentina Tarantino, Giuliano Toja, Massimiliano Turci, Ludovica Villantieri, Andrea Vivarelli DISEGNI DI | Cleo Bissong, Sergio Candreva, Olivia Manara Responsabili internet | Cleo Bissong, Letizia Foschi, Cristina Isgrò, Giulia Martinez, Marta Piseri DIRETTRICE | Bianca Carnesale VA Capi redattore | Beatrice Penzo VE, Rebecca Daniotti IVF Docente referente | Giorgio Giovannetti Collaboratori esterni | Collettivo Carducci, i ragazzi delle terze della Quintino di Vona, Sergio Candreva IIIB impaginatori | Bianca Carnesale, Rebecca Daniotti, Costanza Paleologo, Davide Siano 2

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

Pag

sommario

4 Tu si na malaffemmena 5

una casa per tutti

6-7 accoglienza: alcune considerazioni 8 pietre d’inciampo turisti per un giorno 9 1011 1213

infinito e oltre

la pillola rossa 14 i matti sono dei airbus journal 15 1617

jordan

18 gianna jessen: “sono stata abortita ma sono spravvissuta

19

alda merini 20 neil armstrong

21

la mafia uccide solo d’estate |the crown

22- mister felicità | 23 collateral beauty |sully

24

sette anime

25 alla ricerca degli animali fantastici

|i consigli della redazione

26

good vibes

27 true fans wait

uomo, fabrizio de

28 anstdrorè,ialadipeunrsona dietro la fama 29

kafka sulla spiaggia

30

veronika decide di morire |inseparabili separati

31

32 33

34

un aiuto tra le righe

john de luca pensieri in metrica

poesia 2.0

itz 35 mister weisz, dal calcio ad auschw

ando 36 un uomo solo al com 37 38 -39

satira

oroscopo | comic page


Attualità

12 dicembre 2016

cara wondy di Linda Del Rosso IVC

Non è facile avere una sorella di venticinque anni più giovane perché non è stata tua compagna di giochi e marachelle, né tua complice e alleata nei momenti in cui facevi guerra armata al sistema genitoriale. E spesso mi chiedo cosa posso essere io per lei. Vorrei rappresentare un piccolo pilastro della sua famiglia, una persona su cui può contare sempre, oltre che la mamma dei suoi nipotini. Ma una vera vicinanza non è per niente scontata. Vederla crescere è commovente. Pian piano ho l’impressione che ci capiamo di più e, quando avrà vent’anni e io quarantacinque, saremo ancora più legate di oggi. Un giorno sua mamma mi ha detto che ha parlato di me in un tema, e un’altra volta ha manifestato il desiderio di diventare giornalista. Anche lei ama leggere e detesta la matematica. Questa somiglianza mi fa molto ridere: mio padre ingegnere non è riuscito a trasmettere nemmeno a lei la passione per i numeri. Mi sa che si dovrà rassegnare. Per il resto Sofia e io siamo diversissime. Lei è timida, riservata, ordinata, prudente. E’ molto intonata e canta in un coro gospel come solista, suona il violino ed è portata per la musica. E’ una ragazza diligente, studiosa, responsabile. A volte mi trovo ad augurarmi che un giorno faccia una piccola pazzia, che rompa gli schemi, che combini qualcosa di insolito e stupisca i suoi genitori e se stessa. Non so perché ma lo spero. O forse lo so. Rivedrei in lei un po’ di Wondy.” Tratto dal libro “Wondy: Ovvero, come si diventa supereroi per guarire dal cancro” di Francesca Del Rosso

Ero in prima superiore quando hai combinato qualche casino o non sapevo bussato alla mia porta. Mi hai fatto una come affrontare nostro padre. Non avrei domanda insolita, quale nome femminile mai scelto il taglio corto senza consultarmi mi piacesse. Sofia, ti ho risposto. Ebbene con te. Ogni volta che poi “ho rotto gli sì, Sofia è Linda, o almeno, la Linda di schemi” tu mi hai aiutata a rimediare. quattro anni fa. Hai scritto che quando io Dove sei andata ora sorellona? avrei avuto vent’anni e tu quarantacinque Hai forse dimenticato che tra una saremmo state ancora più legate. Il tuo settimana partiamo per il Marocco? viaggio è finito prima, ma di strada ne Mi raccomando, torna in tempo. abbiamo fatta tanta insieme. E invece sei andata lontano, troppo Cara Franci, oggi radio, giornali e lontano, ancora più lontano delle mete televisione parlano di te. E dalla esotiche che amavi scegliere per i tuoi mia scrivania, davanti a una tazza di viaggi. Sei anni fa ti hanno diagnosticato camomilla fumante, ho deciso di dedicarti il cancro per la prima volta e da quel un articolo sul mio caro Oblò. Ti ricordi momento ti sei aggrappata alla vita come quanta fatica per convincermi ad entrare una supereroina, infondendo coraggio a nella redazione? Forse tante altre donne affette “Sarebbe inutile attratta dal tuo mondo, di tumore al seno con il il mio sogno era quello cercare di imitarti, ma tuo blog e i tuoi libri. Alla di diventare giornalista, continuerò a cercare fine hai fallito, hai perso ma non sapevo da dove la meravigliosa Wonder la battaglia, perché si sa iniziare. Quando all’inizio Woman che c’è in me, che di tumore si muore. ti inviavo per mail gli ogni giorno, come mi hai E tu volevi vivere. “Ho articoli da correggere, fatto il lavoro che volevo, insegnato.” tu ti imbestialivi per ogni ho scritto libri, ho avuto errore di ortografia; nonostante ora sia una bella famiglia e viaggiato in mezzo in quarta liceo classico, devo confessarti mondo. Certo, è dura accettare tutto che qualche giorno fa mi è scappato questo. Mi spiace un po' non vedere un ”un” maschile con l’apostrofo. crescere i bambini. Pazienza..." hai detto La tua sincerità pungente sarà difficile da prima di lasciarci. Forse alla fine sei dimenticare. Odiavo sentirmi criticata e riuscita ad accettarlo, ma non ti sei mai sentirmi dire le cose come stavano, ma arresa e non vorresti mai vederci piangere. nelle tue critiche sono cresciuta. Sono Ti prometto che sarò forte. Sarò la zia cresciuta nei vestiti ereditati da te, diciassettenne dei tuoi bambini e troverò spesso un po’ troppo vintage, nei tuoi sempre negli occhi della Iena e dell’Unno libri, nelle chiacchierate e nei viaggi a – era così che li chiamavi - i tuoi occhi, Parigi ed Amsterdam. Per questi ultimi azzurrissimi. Sarebbe inutile cercare quattro anni sei stata il mio primo punto di imitarti, ma continuerò a cercare la di riferimento, mi hai sostenuta nelle meravigliosa Wonder Woman che c’è in telefonate in lacrime, quando avevo me, ogni giorno, come mi hai insegnato.

Marzo 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Attualità

Tu si na malafemmena

di Cristina Isgrò VA e Rebecca Daniotti IVF

Da stamattina, non penso che a un numero: 52 mila. Da stamattina, ho voglia di piangere.” cominicia in questo modo l’articolo di denuncia di Chrys, blogger belga, che ha scoperto il gruppo segreto di Facebook, “Babylone 2.0”, in cui partner e conoscenti postavano foto di donne nude o poco vestite, scattate con il loro consenso per uso privato o addirittura fotografate a loro insaputa. A controllare le iscrizioni di questo gruppo vi è un vero e proprio regolamento: si entra solo su invito e i volti delle vittime devono essere oscurati. Il numero di iscritti è sconcertante: 52.000, in prevalenza uomini. Ma l’elemento più agghiacciante sono le didascalie che accompagnano le immagini: le donne sono svilite nella loro essenza, paragonate a oggetti senza il minimo rispetto per la loro persona. Insultate a suon di “femmina = pezzo di carne” e “vanno bene per arricchire il curriculum vitae” vengono giudicate per peso ed età. Colpisce la frase di un 27enne che, riferendosi a una 44enne in intimo, commenta: “non è la super conquista che cerchiamo tutti ma dall’alto dei miei 27 anni non potevo rifiutare questa miserabile 44enne, se non altro per aggiungere una riga al mio cv. Vecchiaccia. Ma non arretro davanti alla sfida” Questa fiera degli orrori è stata immediatamente chiusa da Facebook 4

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

non appena ricevuta la segnalazione da parte di Chrys. Ma la domanda sorge spontanea: perché non è avvenuto prima? Innanzitutto, il controllo dei gruppi privati sul social network si basa sulle segnalazioni fatte dagli utenti. Se, quindi, nessuno dei membri ha mai sporto denuncia riguardo ai contenuti volgari e misogini e ha lasciato che passassero sotto silenzio, la piattaforma non avrebbe potuto fare nulla anche volendo. Inoltre, gli stessi componenti di “Babylone 2.0” prestavano molta attenzione alle clausole sul nudo del sito, evitando che nelle foto delle donne fosse visibile il seno. Tuttavia, sebbene il gruppo sia stato chiuso, la sua fanpage esiste ancora, seppure inattiva dal giorno in cui è scoppiato lo scandalo; inoltre molti già vociferano l’esistenza di un nuovo gruppo “Babylone reborn”. Thierry Vallat, avvocato specializzato in diritto digitale, intervistato da Neon informa che diffondere foto intime di una persona è punibile con 2 anni di reclusione e 60.000 euro di multa. Stando alla legge francese dell’ottobre 2016 “Per una Repubblica digitale” è proibito divulgare foto private a un pubblico o a terzi senza il consenso esplicito della persona interessata. Inoltre, l’avvocato sostiene che si possa sporgere denuncia anche se i volti delle donne sono stati oscurati, per la sofferenza che la divulgazione di queste foto può portare

alla vittima. Pensare che questa realtà sia unica e isolata è un errore, infatti questo tipo di gruppo è largamente diffuso su tutta la piattaforma e anche il Bel Paese non è da meno, con gruppi che arrivano a contare addirittura 11 mila iscritti. Anche qui vengono diffuse immagini, per lo più scatti normali, a figura intera e a volto scoperto, ma non mancano istantanee di momenti privati, inviate in buona fede e poi diffuse a un pubblico di sconosciuti. I commenti sono ancora una volta raccapriccianti:“Per i capelli: bocca aperta, pene fino in gola” e“Labbra da pompinara da riempire”, per citare solo i più delicati. In un’ Italia in cui dal 2012 sono state assassinate per “amore” 606 donne dai loro compagni o mariti, violenze verbali come queste appaiono il gradino che precede quelle fisiche. Da insulto a stupro il passo è breve. Il codice penale del nostro paese non è in grado di far fronte a questo nuovo tipo di reato: l’articolo 167 del codice della privacy prevede la reclusione da uno a sei mesi per chi pubblica foto senza consenso, ma di fatto viene garantita l’impunità per questi pervertiti che fanno dell’immagine della donna un mero oggetto sessuale. A nulla paiono servire le denunce alla polizia postale e Facebook non può niente contro queste situazioni, fintanto che rispettano i suoi “standard specifici”. E la dignità femminile non pare far parte di questi.


una casa per tutti

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di Giulio Castelli VD

asa Estela de Cometa è il loro come è andata la giornata, che si sogno che da qualche mese interessi di loro, che gli chieda “come sta maturando nella mente e stai”. Se in casa non c’è questa persona è nel cuore di Meri e dei suoi difficile trovare affetto. amici. Il desiderio è quello di Quali sono, secondo te, i problemi offrire ad alcune ragazze di più gravi che un ragazzo in questa Madrid con problemi famigliari un luogo situazione deve affrontare? accogliente per vivere, una casa dove Per me ci sono tre problemi fondamentali. sentirsi accolte e amate, in poche parole Anzitutto questi ragazzi, vivendo per tanti una famiglia. anni in una residenza con molta gente Perché questo progetto? Come è nato in che lavora per loro, non imparano a fare te il desiderio di aiutare queste ragazze? nulla: non fanno la spesa, non sistemano e Da molti anni, insieme ad alcuni amici, non curano la casa, non cucinano. Vivono faccio caritativa e incontro tanti ragazzi insieme in una casa ma non imparano che sono rimasti senza famiglia e senza niente, e così non hanno le risorse per nessuno che stia con loro e che li ami. vivere, un giorno, in autonomia. L’altro Patrizia, una di queste ragazze, ha problema è che una volta fuori dal quindici anni e quando ci siamo incontrate centro è difficile continuare a studiare mi ha detto di voler studiare medicina. Mi per la mancanza di soldi. Sono molti i ha colpito molto il fatto che non avesse giovani con le capacità e il desiderio di nessuno disposto a darle una mano, e ho intraprendere un percorso universitario pensato alle molte cose che ho io e ai tanti ma che non possono permetterselo. Qui è amici che mi aiutano quando ho bisogno. difficile coniugare il lavoro con lo studio. Così ho cominciato a parlare con gli amici Non si può lavorare qualche giorno alla di “Famiglie per l’accoglienza” cercando settimana: se vuoi lavorare, lavori otto di capire cosa si potesse fare per aiutare ore al giorno come tutti. Il terzo problema Patrizia. Tuttavia, lungo l’anno 2016, non è poi quello dell’affetto, di avere una ho trovato niente che potesse rispondere famiglia, un luogo dove ci sia uno che ti al bisogno che ho visto in lei. Occorreva voglia bene. qualcosa di nuovo. Cosa pensi di trovare in “Facendo caritativa ho A Madrid sono diverse questa esperienza? le associazioni che si imparato che la vita Facendo caritativa ho se non si dona, la si imparato che la vita se occupano di giovani con perde. Io sono più me problemi famigliari, cosa stessa quando mi dono non si dona, la si perde. Io pensi che manchi? sono più me stessa quando all’altro” Manca quello di cui mi dono all’altro: quando abbiamo bisogno tutti: l’amicizia, faccio la caritativa trovo me stessa. Per l’affetto. La Regione di Madrid da a questi me è anche la risposta a Dio che mi ha ragazzi una casa, degli assistenti sociali, dato la vita e che in questo periodo mi sta degli avvocati, gente professionale che dicendo che tutto ciò che mi ha donato non possa aiutarli a cercare lavoro. È tutta è solo per me ma è anche per tutte queste gente molto brava che si limita però a ragazze che mi ha messo davanti. Per me fare il proprio lavoro. Manca qualcuno di è una forma particolare di vocazione: non familiare che gli dia un abbraccio, che gli ho famiglia, non ho preso voti religiosi… dica: “io sono qui con te anche quando ma ho questa chiamata particolare. sei triste, anche quando non sai cosa fare È accaduto qualcosa nella tua vita che della tua vita”; manca in poche parole ha influito in questa tua decisione di una famiglia. Questi ragazzi vivono in una condividere casa e parte dell’esistenza casa senza adulti: la sera quando tornano con quattro ragazze in difficoltà? a casa non trovano nessuno che domandi È da molti anni che mi confido con

un amico sacerdote per discernere la mia vocazione: perché vivo? Cosa sono chiamata a fare della mia vita? Non ho figli, non ho marito. Pensavo ai miei amici che hanno trovato una strada per la loro vita, che hanno tutti risposto ad una vocazione, e io mi chiedevo cosa dicesse a me il Signore. Mi ha aiutato molto l’appartenenza al movimento di Comunione e Liberazione: in questo luogo ho capito che la mia vita ha un valore infinito, al di là di ciò che faccio; non importa se ho famiglia o no, il mio valore è che sono Meri e basta. Questo è quello che voglio dire a queste ragazze: il valore della vostra vita è semplicemente che siete Patrizia, Sandra, Romina… Come pensi di realizzare quest’opera? Con quali mezzi? Anzitutto ci sono gli aiuti che ci da la Regione di Madrid che ha apprezzato il nostro progetto. Poi c’è un nostro amico che cerca di far conoscere Casa Estela de Cometa ad aziende e associazioni disposte a sostenerci. Per ora ha risposto una sola azienda ma poi ce ne saranno altre, spero. Infine ci siamo noi stessi, il gruppo della fraternità. Ora dobbiamo mettere insieme i soldi per la casa che verrà inaugurata l’undici febbraio. In tre o quattro abbiamo contribuito coi nostri risparmi, poi abbiamo realizzato un volantino da inviare agli amici in cui spieghiamo il progetto così molti, entusiasti, decidono di donare e poco a poco abbiamo la speranza che i soldi siano sufficienti per iniziare. E poi chiediamo alla Provvidenza” (sorride). Cosa diresti a chi volesse aiutarvi? Penso che il modo migliore sia quello di donare e di pregare. Se poi qualcuno ha un’idea per aiutarci, qualcosa di creativo, di originale, può scriverci: così costruiamo la casa insieme! Tutto questo per noi è nuovo, dobbiamo imparare anche noi tantissime cose. Indirizzo email: casa@esteladecometa. com Pagina web: www.esteladecometa.com

Marzo 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Attualità

fortezza europa

del Collettivo Carducci

N

el 2016 più di 178mila migranti sono sbarcati sulle coste italiane. In Grecia ci si aggira intorno alle 172mila persone, numero fortemente calato dopo l’accordo criminale fra UE e Turchia volto a bloccare i siriani sul suolo turco (nel 2015 sulle coste greche sono arrivate 856 mila persone). Quasi 5mila i morti nel Mediterraneo.1 Negli ultimi giorni, il 2 febbraio 2017, Italia e Libia hanno sottoscritto con il plauso dell’Unione Europea un accordo che impegna il premier libico Fāyez al-Sarrāj ad arginare il flusso di migranti clandestini. Hanno fatto scalpore le immagini dei migranti della rotta balcanica bloccati sotto la neve a Belgrado, costretti a sopravvivere al gelo con temperature fino a -22 gradi. In Serbia da mesi per via della chiusura del confine ungherese sono bloccate migliaia di persone provenienti da Afghanistan, Pakistan e Siria. In realtà basta passare davanti alla Stazione Centrale o ai giardini di Porta Venezia per rendersi conto di cosa implichi lasciare migliaia di persone allo sbaraglio. 6

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

L’assenza totale di una strategia europea di lungo periodo e il fallimento politico sulle “quote di distribuzione” dei profughi lasciano Grecia e Italia nel disordine, impedendo la gestione dei flussi e dei centri di accoglienza. I migranti spesso scappano da hot spot simili a prigioni, finendo nelle mani della criminalità organizzata o ad alimentare il lavoro nero nei cantieri e nei campi di pomodori. L’incapacità di governare il fenomeno è accentuata dal rifiuto di Comuni e regioni non disposti a fare la loro parte per risolvere il problema (vedi il caso di Goro e Gorino) e a livello europeo da Stati come la Polonia e l’Ungheria che rifiutano le quote di accoglienza. E’ palese che la “fortezza Europa” sia un paradigma controproducente, e chiunque se si fermasse a riflettere comprenderebbe l’impossibilità materiale di attuare politiche di respingimento di massa: queste significherebbero continue deportazioni a bordo di aerei verso i paesi africani, o peggio verso la sola Libia, che si trasformerebbe in una zona calda di concentrazione dell’esodo provocando,

nel lungo termine, ondate ben più caotiche di quelle a cui siamo abituati. Chiudere le frontiere non farebbe altro che dare luogo allo stesso scenario, con la nascita di campi profughi spontanei che si trasformerebbero in ghetti sulle zone di confine. Oltre che dall’Iraq e dalla Siria, dove la guerra foraggiata da Turchia e monarchie del golfo per far cadere Baššār al-Asad ha messo in fuga dal 2012 4 milioni di persone, in Italia i migranti arrivano soprattutto dalla Nigeria, un paese con un’economia disastrata colpito nel nord da Boko Haram e in altre regioni da disastri ambientali, e dall’Eritrea, una dittatura fortemente repressiva che obbliga gli uomini a un servizio militare a tempo indeterminato.2 Gli accordi di partenariato economico tra UE e Africa3, imposti de facto dai paesi europei, trasformano il continente nero in una riserva di manodopera e materie prime per le multinazionali europee, per non parlare dello sfruttamento operato dagli Stati Uniti e, ultimamente, da Cina e Corea del Sud4. Altro grave problema in Africa è la desertificazione causata dal riscaldamento globale, che costringe


i cosiddetti “rifugiati ambientali” ad abbandonare la propria terra. La globalizzazione ha diffuso il modello economico capitalistico in tutto il mondo. Se questo ha portato allo sviluppo di una “classe media” nei paesi del terzo mondo e ha in parte traghettato milioni di persone fuori dalla povertà –specialmente nei paesi, come la Cina, che hanno per così dire “guidato” l’ingresso nel mercato– ciò ha anche implicato lo sfruttamento intenso della manodopera a basso costo che non era ancora venuta a contatto con le dinamiche capitalistiche, nonché l’impiego forzato delle risorse naturali e la distruzione delle produzioni locali in favore di quelle imposte dalle multinazionali. Poiché alla base dello sviluppo capitalistico si deve dare un’accumulazione di capitali, questa si è verificata nei paesi “in via di sviluppo” per via delle condizioni favorevoli all’accrescimento dei profitti: basso costo della forza lavoro, privilegi fiscali, assenza di organizzazioni sindacali e di ordinamenti statali rigidi. D’altro canto, la fine del colonialismo ha determinato l’evoluzione dei territori decolonizzati in “zone franche” con Stati molto deboli nelle quali gli interessi delle potenze e delle corporation influenzano lo scacchiere geopolitico contribuendo a scatenare conflitti senza alcun senso di responsabilità per le popolazioni coinvolte; e la fine della guerra fredda ha reso gli equilibri internazionali molto più precari, permettendo lo scoppio di guerre regionali –in primis quelle nel Medio Oriente– motivate dalle rivalità strategiche degli attori locali e internazionali. E’ da scenari di destabilizzazione, guerra, sfruttamento, crisi ambientale che fuggono i migranti: respingerli vorrebbe dire chiudere gli occhi di fronte a questa realtà. Una politica di chiusura delle frontiere non sarebbe immorale perché “la povertà dell’Africa è colpa dell’occidente”, ma sarebbe sbagliata in quanto pretesa egoistica di rimanere isolati dalle implicazioni della globalizzazione. Questo dramma umanitario ha dei risvolti critici da affrontare, ma l’unica politica efficace deve avere come basi i valori dell’accoglienza e della solidarietà. Chi tuona contro l’Europa “buonista” dimentica le politiche di contenimento coatto dell’immigrazione attuate dall’UE, come l’accordo con la Turchia o

il meno noto Processo di Khartoum5, un accordo tra gli Stati membri dell’Unione Europea, i paesi del Corno d’Africa e alcuni paesi di transito volto a fermare i flussi migratori nei paesi africani. Di fronte all’argomentazione secondo cui gli immigrati ci rubano casa e lavoro, non basta spiegare ad esempio che le normative regionali mirano a posporre nelle graduatorie le persone di nazionalità straniera facendo leva sul requisito del radicamento sul territorio locale anziché sul possesso della cittadinanza; occorre portare il dibattito a un livello di conflitto più esteso. E’ vero, il sistema economico vigente punta alla deflazione salariale e sfrutta in questo senso i migranti, disposti a lavorare per paghe più basse, ma la precarietà e la disoccupazione sono causate dal libero mercato deregolamentato, non dagli immigrati, e l’obiettivo politico deve essere l’aumento dei salari, non una divisione etnica che inasprirebbe la competizione tra lavoratori. E’ vero, l’emergenza abitativa di molte periferie può essere aggravata dall’arrivo di migliaia di profughi, ma la soluzione dev’essere la rivendicazione del diritto alla casa, non l’esclusione degli stranieri. Nel nostro piccolo vogliamo contribuire alla diffusione di un approccio solidale alle centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini in fuga dalla propria

terra e dalla propria famiglia. Per questa ragione abbiamo organizzato una raccolta di vestiti per l’hub di via Sammartini, che ospita migliaia di persone e si trova in difficoltà per quanto riguarda i posti letto, le coperte e il vestiario. Costeggiando il naviglio Martesana nei pressi del centro di accoglienza la mattina presto si incontrano uomini addormentati avvolti in qualche straccio. Pensiamo che l’accoglienza per essere concreta debba estendersi in modo capillare, partendo da luoghi di aggregazione come le scuole e organizzandosi dal basso per le esigenze degli oppressi e di chi è in difficoltà.

http://www.lenius.it/migranti-2016/ http://it.ibtimes.com/quali-migrantisono-arrivati-italia-nel-2016-1478899# 3 h t t p : / / w w w. e u r o p a f r i c a . i n fo / i t / n e ws / l e a de rsafricani-contro-gli-accordi-dip a rt e n a ri a t o - e co n o mi c o- c on - l - u e 4 https://it.wikinews.org/ wiki/Le_potenze_asiatiche_e_ lo_sfruttamento_dell’Africa 5 http://www.a-dif.org/2016/05/21/ profughi-con-gli-accordi-uedeportazioni-in-massa-dal-sudan/ 1 2

Marzo 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Attualità

rubricami

Pietre d’inciampo dei ragazzi delle terze della Quintino Di Vona

D

al 1993 l’artista tedesco Günter Demnig ha cominciato a lavorare al progetto delle “pietre di inciampo”. Fino ad oggi ne sono state installate in Europa più di 50.000 che ricordano altrettante persone deportate nel corso della seconda guerra mondiale. Si tratta di sanpietrini che vengono collocati davanti all’ultima abitazione liberamente scelta dalla persona che si vuole ricordare. Essi riportano pochissimi dati: il nome, la data e il luogo di nascita, il luogo e, quando è nota, la data di morte. Queste poche notizie che restituiscono identità a coloro che considerati, per diverse ragioni, nemici del Reich nazista dovevano essere sterminati – come nel caso degli ebrei, dei sinti e dei rom – o rieducati – come nel caso dei deportati politici. Tutti uguali perché hanno un formato e un carattere, tutti diversi, perché richiamano ad altrettante vite. Si tratta di un esempio di quei “monumenti per difetto” come ha più volte sottolineato l’architetto Ada Chiara Zevi, che non emergono per monumentalità, ma che si inseriscono nel tessuto urbano senza essere invasivi e appariscenti, ma costringendo chiunque li veda a riflettere sulla loro presenza. Pietre di inciampo sono state messe da Demnig in tutta Europa perché il progetto nazista di sterminio prevedeva la creazione di una nuova Europa fondata su una gerarchia prima di tutto razziale ma poi ideologica e politica. E’ importante che tutti i luoghi che sono stati teatro dell’occupazione 8

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

nazista - che non sarebbe mai stata possibile in forma così tragicamente radicale e capillare senza l’aiuto e la collaborazione dei singoli governi e di molti cittadini che in prima persona denunciarono e collaborarono – siano adesso capaci di riflettere su quel passato che è alle radici di questo presente. E quel passato è fatto di uomini, donne e bambini che sono stati uccisi e poiché, come recita il Talmud, “una persona è dimenticata quando il suo nome è dimenticato”, Demnig lotta contro la tendenza a dimenticare

passato e responsabilità, tendenze così diffuse nella nostra società. La legge del 2000 che istituisce il giorno della memoria prevede che siano organizzate “cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto”. La posa delle prime sei pietre di inciampo a Milano il 19 gennaio - tre dedicate a deportati razziali e tre dedicati a deportati politici - è una

I ragazzi della scuola media Quintino Di Vona hanno chiesto di poter scrivere un articolo sul nostro giornalino per condividere l’esperienza fatta quest’anno occasione importante perché i ragazzi diventino protagonisti di un percorso di ricerca e di riflessione su quello che è accaduto allora, non come occasionale momento commemorativo, ma come percorso di studio e riflessione che veda i ragazzi coprotagonisti del percorso di progettazione. La Quintino di Vona ha dunque deciso di formare un gruppo di lavoro a cui i ragazzi hanno aderito spontaneamente sapendo che si sarebbe trattato di lavorare in orario extrascolastico. Hanno aderito circa trenta ragazzi di varie terze che si sono divisi in tre gruppi: comunicazione, contenuti, territorio ed eventi. Il primo ha creato un sito www.pietredinciampoamilano. it, una pagina fb e instagram; il secondo è andato in giro per gli archivi cercando di recuperare materiale e notizie sulle sei persone e il terzo ha svolta azione di informazione soprattutto con volantinaggi in varie zone della città. Proprio oggi sono andati in via Plinio dove è già stata imbrattata la pietra in memoria di Dante Coen deposta pochi giorni fa. In alcune occasioni tutti hanno lavorato insieme come in occasione dell’incontro con Liliana Segre al binario 21 o lunghi giri di Milano in cerca di tracce e ricordi di quel passato. Facendo una nuova mappatura del territorio, ricercando nella Milano di oggi le tracce di quel passato non così lontano, i ragazzi possono farsi protagonisti non di una sterile commemorazione ma di una attiva trasmissione della memoria e di consapevolezza storica.


Turisti per un giorno

Ciceroni a Milano in 6 semplici passi di Alice de Kormotzij VA e Marta Piseri VE Vi è mai capitato di ospitare per un giorno un amico di un’altra città? Se sì, probabilmente vi siete chiesti dove portarlo in una metropoli così ricca come Milano nelle poche ore a disposizione. Meglio privilegiare una parte piuttosto che un’altra o scegliere di vedere tutto sfinendo il povero malcapitato? Forti della nostra esperienza, abbiamo escogitato un itinerario strategico per godersi al meglio una città tutta da scoprire, (spesso) anche da noi milanesi.

Step 1: Nella maggior parte dei casi, il vostro amico sarà arrivato di mattina in Stazione Centrale. Senza indugio, guidatelo dunque verso la prima tappa della vostra avventura, Porta Nuova, che potrete tranquillamente raggiungere a piedi o con la metropolitana, una volta muniti di biglietto giornaliero (4,50€). In questa zona, imperdibili sono Piazza Gae Aulenti, il Bosco Verticale e il Palazzo Unicredit, simboli della Milano moderna e internazionale. Subito dopo, conducetelo per Corso Como, più tranquillo di giorno che di sera.

Step 3: Dopo esservi rifocillati dal mitico Luini, è il momento di arrivare in zona Brera, dove potrete passeggiare e confondervi nell’alta borghesia. Ma non dimenticate, se il tempo vi assiste, di fare un salto alla rinomata Pinacoteca e al suo orto botanico.

Step 5: Proseguite lungo il Foro Bonaparte e arriverete a Cadorna. Interessanti sono due Chiese: Santa Maria delle Grazie e San Maurizio, collegate tra loro da Corso Magenta. La prima, costruita per volere di Ludovico il Moro, presenta l’abside realizzato da Bramante e, proprio di fianco, l’ingresso al refettorio che ospita lo straordinario Cenacolo di Leonardo (per questo, però, è meglio prenotare con ampio anticipo). La seconda, invece, era un antico monastero di monache benedettine di origine paleocristiana; tra i meravigliosi affreschi, troviamo anche quello di Bernardo Luini (non quello dei panzerotti!)

Step 2: Il prossimo passo è arrivare in Duomo, ma, se vi attira, prima potete anche deviare verso il Cimitero Monumentale o i Giardini di Porta Venezia, per sedervi o assaporare un po’ di cultura. Una volta arrivati a destinazione, salutate dal basso la Madonnina e portate il vostro amico in Galleria Vittorio Emanuele II a fare i famosi tre giri portafortuna sui testicoli del toro, se ne avrà il coraggio! Sempre da queste parti, troviamo Piazza Scala, la Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana e Palazzo Marino, ma anche Via Torino con la piccola Chiesa di San Satiro e il suo coro bramantesco.

S t e p 4: Per stavolta insistiamo: sono solo 10 minuti a piedi dalla Pinacoteca a Piazza Cairoli, potete farcela! Quello che si erge davanti a voi è il quattrocentesco Castello Sforzesco, edificato da Francesco Sforza in persona sulla vecchia fortezza viscontea. Degni di nota sono il Museo del Castello, la Pietà Rondanini e, una volta attraversato il Parco Sempione (perfetto per una siesta pomeridiana), l’Arco della Pace, l’Arena e il panorama dalla Torre Branca.

Step 6: È giunto il momento di ammirare la perla romanica lombarda: Sant’Ambrogio, con il suo delizioso chiostro. Se vi interessa, nelle vicinanze trovate anche il Museo della Scienza e della Tecnica, il più grande e stimolante in Italia. (Finalmente) sono finite le Chiese e, mentre il sole inizia a calare, potete avviarvi verso le Colonne di San Lorenzo, uno dei centri della movida milanese. Da qui, trovarsi ai navigli è presto fatto. Dalla Darsena, riqualificata dopo Expo, avete solo l’imbarazzo della scelta su dove mangiare, italiano o etnico che sia.

La giornata volge al termine e il vostro amico, ormai anche nostro, dovrà ritornare a casa; ma, sicuramente, la sua giornata milanese sarà stata variegata e interessante, completa da ogni punto di vista.

Marzo 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Cultura

Immagine 1: Nello scenario dell’inflazione eterna, ogni universo può contenere delle regioni che a un certo punto si espandono esponenzialmente, dando origine a quello che a tutti gli effetti è un altro universo, in cui a sua volta possono generarsi altre inflazioni e altri universi. Il processo potrebbe non aver avuto un inizio (da cui il nome “eterna”) ed è uno dei possibili meccanismi per la produzione di un multiverso.

infinito e oltre di Valentina Raspagni IVA

I

nfinito: una parola che dice tutto o niente; un termine che ha sempre affascinato l'uomo, ma lo ha anche portato a fronteggiare innumerevoli problemi. Se i matematici sono riusciti a domarlo o, perlomeno, a conviverci, per i fisici la storia è completamente diversa: molto spesso, infatti, la comparsa dell'infinito è segno di qualcosa che non va. A meno che non si parli di cosmologia! Fin da quando gli scienziati tentarono di escogitare una descrizione fisica della struttura complessiva dell'universo, si trovarono inevitabilmente a comprendere nelle loro teorie la concezione di infinito. Newton, ad esempio, riteneva che lo spazio fosse infinito ed eterno, come scrisse nei "Principia". E quando un teologo, Rychard Bentley, gli domandò in che modo fosse in esso distribuita la materia, Newton arrivò alla conclusione che ci fosse al suo interno un numero infinito di stelle, sparpagliate in modo uniforme nello spazio infinito. Questo modello, però, aveva come conseguenza una serie di problemi non trascurabili: una distribuzione infinita di materia faceva sì che in ogni punto dello Spazio ci fosse un campo gravitazionale impossibile da calcolare e, così 10

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

presentato, l'universo sarebbe risultato alquanto instabile. Inoltre in uno Spazio infinito ed eterno, il cielo notturno sarebbe stato completamente ricoperto dalle stelle e...avrebbe dovuto splendere come la superficie del sole! Il problema sembrò quasi risolto con Albert Einstein, che ipotizzò, in accordo con la sua Teoria della Relatività, che lo spazio si curvasse e dunque potesse essere racchiuso in se stesso, un po' come la nostra Terra insomma, sulla quale, pur essendo essa "finita", possiamo muoverci in ogni direzione senza incontrare mai dei limiti. Sebbene ciò risolvesse il problema del perché il sistema delle stelle non si sia disperso e rarefatto, come farebbe se l’universo fosse infinito, presto si scoprì che il modello di Einstein non era in accordo con le osservazioni raccolte dagli astronomi. Le galassie apparivano infatti allontanarsi con una velocità proporzionale alla distanza, e ciò fu infine interpretato come il segno che lo spazio si espandeva: una possibilità contemplata proprio dalla relatività generale, che Einstein aveva però volutamente escluso. Questo implicava che in passato la distanza tra qualunque coppia di punti nell’universo fosse stata

minore e che quindi, immaginando di “tornare indietro” nel tempo, si andasse incontro ad un momento in cui tale distanza diventava nulla, dando luogo a una cosiddetta singolarità: il Big Bang, cioè il punto in cui lo spazio-tempo cessava di esistere e qualunque quantità fisica usata per descrivere il contenuto dell’universo –come la temperatura– sarebbe stata infinita. Qualcosa di non facilmente comprensibile, insomma. Eppure il modello del Big Bang descriveva con efficacia l’evoluzione dell’universo fin dai primi istanti di vita del Cosmo, senza porsi in contrasto alle osservazioni degli studiosi. E tenendo conto che, in linea di principio, l’estensione spaziale dell’universo può essere infinita, la relatività generale di Einstein dà tre diversi generi di soluzioni per la geometria su grande scala dell’universo. Esso può essere finito e chiuso su se stesso, in modo simile a una sfera (come nel modello di Einstein), ma anche infinito, come una sella o uno spazio che si estendono senza limiti. In realtà, dato che lo Spazio esiste da un tempo determinato, la parte che noi osserviamo dalla nostra posizione è, generalmente, finita e delimitata da


un orizzonte, il cui raggio è pari alla distanza che la luce può aver percorso dal Big Bang a oggi. All’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, poi, la faccenda si è fatta ancora più complicata con la teorizzazione di un nuovo scenario: l’inflazione cosmica. Essa prevedeva un periodo di espansione accelerata in un’epoca immediatamente successiva all’ipotetico momento iniziale, causata da un ingrediente apparentemente semplice: l’energia dello spazio vuoto, in grado di esercitare una sorta di azione repulsiva sullo spazio stesso, spingendolo a espandersi. Questo aveva due effetti, entrambi in accordo con le previsioni: “spianava” lo spazio su grande scala, producendo una geometria piatta nell’universo osservabile e portava alla creazione di piccole “disuniformità” nella distribuzione iniziale di materia, i “semi”, da cui la gravità ha col tempo fatto addensare le galassie. Entrambe queste previsioni sono effettivamente in accordo con le osservazioni, e l’idea generica di inflazione è ormai entrata a far parte della descrizione comunemente accettata dell’universo. Uno degli aspetti affascinanti dell’inflazione è che permette di eludere il problema della singolarità iniziale. L’universo può emergere da uno spazio-tempo preesistente, un “vuoto” (il vuoto quantistico), in cui esistono solo i campi che controllano le interazioni fondamentali. Secondo la teoria sostenuta attualmente dalla maggior parte degli studiosi, nota come “inflazione eterna”, ci sono sempre regioni di spazio- tempo che si espandono esponenzialmente. Il nostro Cosmo sarebbe così solo una particolare “bolla” di spazio-tempo in espansione…

Immagine 2: rappresentazione artistica dell’universo.

Ma un’infinità di altri universi sarebbero continuamente generati a partire da altre regioni di spazio-tempo vuote, fuori, quindi, del nostro orizzonte! Non solo, ma ciascuno di questi infiniti universi avrebbe diverse caratteristiche fisiche, risultato delle diverse condizioni di partenza nella regione di vuoto da cui esso è emerso. Questa idea di “multiverso”, secondo molti cosmologi, è una conseguenza inevitabile delle nostre attuali conoscenze fisiche. Presenta però

enormi problemi concettuali, ancora una volta legati alla presenza dell’infinito. Se infatti esistono infiniti universi con diverse caratteristiche fisiche, prevedere la probabilità di un particolare tipo di universo diventa un compito mal definito – un problema noto in cosmologia come “problema della misura”. In fondo, forse i fisici hanno davvero ragione a dubitare dell’infinito. Fonti: Asimmetrie (periodico dell’Istituto nazionale di fisica italiana)

Immagine 3: Se l’universo avesse solo due dimensioni spaziali, potrebbe avere la geometria di un piano, di una sella o di una superficie sferica. I primi due casi corrispondono a universi infiniti, rispettivamente “piatti” e “aperti”, mentre nel caso sferico l’universo sarebbe finito e “chiuso”. Anche nel caso di un universo con tre dimensioni spaziali, come il nostro, sono possibili, in via teorica, tre possibilità analoghe. Il modello originario di Einstein prevedeva un universo chiuso, ma le osservazioni cosmologiche attuali indicano invece che l’universo, almeno fino alle distanze alle quali possiamo osservarlo, sia piatto.

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Cultura

Immagine metaironica, dalla pagina special meme fresh

la pillola rossa

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vviare ai goffi tentativi di Facebook, Instagram, Twitter, sono solo giornalisti quarantenni che, alcune delle piattaforme più diffuse e messi in difficoltà dalla sembrano costituire sempre di più parte complessità dell’argomento fondante della vita di moltissimi. Sembra e dal gap generazionale, però che il modo in cui i più si relazionano vorrebbero spiegare ciò che alla rete sia sommario, parziale, e che essi accade nelle profondità del web appare tocchino, per così dire, solamente la punta sempre più necessario. In effetti Internet dell’iceberg, restando in superficie. Andare e la sua cultura si presentano come una oltre questo primo strato infatti, potrebbe questione dalla portata colossale e, aprire le porte ad un mondo incredibile, soprattutto agli occhi di chi non l’ha mai per quanto assolutamente iniziatico e, ad vissuta, distante e impenetrabile, tanto un primo sguardo, enigmatico. Il fulcro di che documentarla si rivela anche per me questo mondo sono i meme. un’impresa piuttosto azzardata. In molti si Un meme è in ambito internettiano sono chiesti, durante i suoi oltre “Ma sul web si un’immagine, un video, una quarant’anni di evoluzione, può anche essere frase, o un’azione la cui che rapporto Internet avrebbe ironicamente peculiarità è quella di essere maturato con la più attempata ripetuta in rete diffondendosi ironici” televisione. I due mezzi si viralmente, per poi venire distinguono nettamente. La televisione inevitabilmente rielaborata, stravolta e è un patto unilaterale, un fiume in piena caricata di significati aggiunti passando inarrestabile pronto a saturare le menti di persona in persona e di comunità in degli inermi spettatori con le immagini comunità. Il motivo della sua viralità è trasportate dalla corrente; Internet è in genere sempre lo stesso: fa ridere. uno spazio autonomo di partecipazione, La parola nasce ne Il gene egoista, libro una sorta di cervello dell’umanità che del 1976 dove Richard Dawkins teorizza interconnette i vari neuroni tra di loro, “un’unità auto-propagantesi” di evoluzione valicando ogni confine e ogni limite culturale, analoga a ciò che il gene è per geografico. È la massima espressione del la genetica: un’informazione riconoscibile bisogno comunicativo dell’uomo. Ad oggi dall’intelletto umano e replicabile da sono 3,7 miliardi i suoi utenti. Ne facciamo una mente o da un supporto simbolico di tutti un uso più o meno costante: Whatsapp, memoria, come può essere un libro. 12

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

di Sergio Candreva IIIB L’origine del termine sembra pertanto preludere a un discorso che potrebbe divenire oggetto di studi sociologici e antropologici. Entrare in contatto con un meme richiede un determinato approccio alla rete. È certamente vero che Internet costituisce ormai uno strumento pressoché imprescindibile per quasi tutti i giovani, ma l’utilizzo che la maggior parte ne fa è un utilizzo funzionale alla propria vita: Whatsapp ci tiene in contatto con le persone che conosciamo realmente, così come generalmente i nostri amici su Facebook o su Twitter sono gli stessi che abbiamo incontrato per davvero, dal vivo. C’è chi invece, per un motivo o per l’altro, finisce per fare conoscenze online, entrando in vere e proprie comunità di persone costituitesi in rete, sino a fondare parte della propria vita sociale sul web. Chi quindi usa Internet per la vita e chi usa Internet per Internet. É in questi spazi virtuali che avviene la genesi dei meme. I siti imageboard 4chan e Reddit per esempio, sono due dei luoghi in cui i meme più celebri hanno preso vita. Ma essi approdano anche su Facebook e altri siti per nulla di nicchia. Milioni di utenti caricano contenuti su contenuti e capita ogni tanto che uno di questi si distingua per l’ilarità che riesce a suscitare, venendo replicato sino ad


acquisire negli ambienti in cui nasce e in tutto Internet grande visibilità. Si crea in tal modo un vasto gruppo di persone a conoscenza del meme e della sua viralità. Sulla base di questa consapevolezza collettiva il meme, viaggiando attraverso la rete, viene man mano alterato e plasmato a seconda dei contesti in cui giunge. Si producono nuovi contenuti che fanno riferimento al contenuto di partenza, generando una netta distinzione tra chi comprende il meme e chi, non capendo ciò a cui gli altri sembrano alludere, ne rimane interdetto. Molti meme sono perciò la reazione ad altri meme e restano del tutto indecifrabili per chi non possiede una chiave di lettura. Il linguaggio di Internet poi, è radicalmente diverso da quello della vita reale: al parlato si sostituiscono la scrittura, l’immagine, il video, e tutta una serie di modi di esprimersi connaturati al web stesso e ai dispositivi con i quali vi si può accedere; è dentro a questo linguaggio che i meme si realizzano e si

evolvono, ed è facile intuire perché essi, dopo aver subito diversi stravolgimenti, assumano per chi non ha mai preso parte al gioco ed è sempre rimasto estraneo alle meccaniche di chi usa Internet per Internet l’aspetto di un mucchio di immagini e scritte messe insieme a casaccio. Prende così vita la sottocultura alternativa degli smanettoni che abitano gli spazi nascosti della rete e che posseggono una vasta conoscenza dei diversi meme nati nel tempo. Doveroso a questo punto menzionarne alcuni tra i più rappresentativi: la Vaporwave, Pepe the frog, le MLG parody, Harambe, la Navy Seal Copypasta; questi e centinaia di altri costituiscono il patrimonio comune di suddetta sottocultura (il sito knowyourmeme.com potrà darvi una mano). “Normie” è il nomignolo spregiativo con il quale si usa chiamare gli utenti che rimangono in superficie senza farsi troppe domande, frapponendo un muro tra loro e chi ha invece consapevolezza del lato

Pepe, simbolo della cultura internettiana, diventa la copertina di un manuale di storia del meme

sommerso del web e della cultura dei meme, detto in gergo “redpillato”. Un omaggio al film Matrix, dove Neo viene a conoscenza della realtà noumenica dopo aver ingerito la pillola rossa; così si sente chi sta dall’altra parte del muro. I normie coincidono con la massa, sono il popolino che si diletta con poco e che trae divertimento da meme – senza peraltro sapere che si tratta di meme – considerati di bassa lega, quali “disagio”, “ignoranza” o ancora la dab; questi, propagatisi in ambienti mainstream, come le pagine Facebook più popolari, riecheggiano tra le folle di giovani sacrificando il loro originario valore umoristico in favore di una nauseante e stagnante ripetitività. In un clima simile, permeato dall’avversione nei confronti della vita reale e da un cinismo quasi malsano, assume un ruolo centrale l’ironia. Diventa tendenza comune parodizzare i comportamenti attribuiti ai normie e i meme obsoleti e abusati. E queste stesse parodie diventano meme. Ne è un buon esempio “ebin :D”, frase ricorrente utilizzata per prendersi gioco degli utenti che qualche anno fa intasavano le sezioni dei commenti con l’onnipresente “epic win”. Ma sul web si può anche essere ironicamente ironici. Il frenetico traffico dati proprio di Internet e l’astrazione dei rapporti umani, dove l’utente, libero dai vincoli fisici, diventa puro intelletto, sembrano favorire il formarsi di una vera e propria avanguardia umoristica. Nascono concetti quali “meta-ironia” o “metameme”. Presa coscienza della tendenza a ironizzare, diventata anch’essa virale, l’ironia e l’umorismo stessi sono ora presi di mira e i meme metaironici puntano a destrutturarli e a realizzare una caricatura dei meccanismi che li regolano, fino a sfociare in un apparente delirante nonsense che, seppur intelligentemente congegnato, controbatte qualsivoglia tentativo logico di intrattenere (si veda la pagina Facebook Special meme fresh). È il frutto di una cultura basata interamente sul rapporto a distanza tramite dispositivi elettronici, che permettono di trascendere del tutto le più consuete forme di comunicazione e di velocizzare esponenzialmente l’evoluzione di idee e concetti. In definitiva, Internet non è una semplice rete di connessioni asservita al mondo reale, ma esso vive autonomamente, dando luogo a portentosi fenomeni sociali e condizionando la società stessa. Ora lo sapete. Io vi ho appena redpillato :^).

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Cultura

i matti sono dei

di Giulia Martinez IIIB

“Non possono stare in mezzo agli uomini”

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arco Cavallo è libero, infrange le nostre paure di vetro, prende la rincorsa e si scaglia contro la porta d’ingresso, splende di tante nuove identità, le identità di donne e uomini classificati come matti. Ha la pancia piena di desideri, idee, progetti, si slancia verso fantasie future. Siamo nel 1973, all’ Ospedale psichiatrico di Trieste. Qui nasce Marco, un cavallo azzurro di cartapesta, capolavoro dell’umanità celata dei “folli” internati nei manicomi. Con Marco i degenti si ribellano, spogliati delle camicie di forza, liberati dall’elettroshock, dalle gabbie, dalle corde che spesso li legavano ai letti. Il profumo della libertà si conquista poco a poco, lontano ormai “dal tanfo di morte e di merda” dell’ospedale psichiatrico di Gorizia (1961). E’ in questa discarica di presunti deviati mentali, che Franco Basaglia, giovane psichiatra ribelle, e sua moglie Franca Ongaro, insieme ad una squadra di collaboratori, si impegnano per restituire ai pazienti la loro identità. L’ospedale è un luogo di esclusione isolato dal mondo, una specie di lager da smantellare; Franco, assunto come direttore, non può non ricordare i sei mesi passati da carcerato nel ‘44 in una prigione fascista; ora però è lui il carceriere. Il manicomio sembra proprio un contenitore sociale dei timori della gente, illusa di poter vivere senza problemi emarginando tutti coloro che “disturbano” e di cui è meglio sbarazzarsi: gli indisciplinati, i poveri, gli abbandonati, i cosiddetti problematici. I matti vanno curati e quindi rinchiusi, picchiati, immersi in vasche di acqua gelida, tormentati con l’elettricità, se non abusati come cavie per esperimenti psichiatrici. Sono “anime vuote” , alienate, oche controllate dalle guardiane-infermiere, che finiscono per svuotare anche le proprie, di anime. Finché vige questa macchina autarchica, spiega Franco ai suoi collaboratori, non è possibile alcuna terapia. Prima di tutto bisogna parlare con i pazienti, ascoltarli, restituire loro gli oggetti personali e i vestiti, abolire le pratiche violente. I 14

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“matti” sono considerati tutti uguali, pericolosi per sé e per la società, la vera aguzzina pericolosa: una società produttivistica, violenta verso chi rifiuta i suoi dogmi. Basaglia istituisce quindi delle assemblee, in cui tutti i degenti possano parlare dei propri problemi e trovare delle soluzioni comuni. Finalmente i pazienti vengono ascoltati, denunciano, fanno sentire le loro esigenze. L’esperienza di Gorizia diventa sempre più famosa, è modello da imitare non solo in Italia, ma in tutta Europa. Certo non tutti si complimentano, le rivoluzioni per l’uguaglianza sociale e la tutela delle minoranze sono scomode, e stravolgono le “buone e giuste convinzioni” dei più, che vogliono stare tranquilli, continuando a ritenere i matti delle bestie da disciplinare. Il gruppo viene criticato e ostacolato, ma in risposta apre i manicomi, lascia che i degenti ritornino a visitare le famiglie nei fine settimana, organizza concerti e balli con i pazienti. In molti vogliono acquisire sempre più libertà, desiderano tornare a casa, dimostrando una straordinaria presa di coscienza e ricordando con le loro richieste che il manicomio non solo si può riformare, ma anche distruggere. E’ necessario dapprima organizzare una rete di servizi territoriali, per

poi poter abolire definitivamente l’ospedale psichiatrico. Franco e i suoi devono scontrarsi con i partiti politici dell’epoca, con i più conservatori che vogliono mantenere i manicomi e con i radicali, che ne reclamano l’immediata abolizione, senza pensare alle necessarie tutele. Intanto al San Giovanni di Trieste si avviano laboratori artistici, perché l’arte è recupero di identità, è libertà, e “la libertà è terapeutica”. A Barcola alcuni collaboratori creano un centro di salute mentale, dove i degenti, in comunità, provano a vivere con maggiore autonomia la loro vita. La strada da percorrere, non priva di pericoli, lotte e apprensioni, porta all’approvazione della legge Basaglia, n° 180 nel ‘78, che prevede un piano innovativo di riforma e che impone l’eliminazione degli ospedali psichiatrici. I manicomi sono stati eliminati, ma in certi casi l’abolizione è andata a vantaggio delle cliniche private, o peggio, i pazienti, senza un’adeguata preparazione, sono stati abbandonati troppo presto “al controllo sociale della miseria”. La legge 180 ha abolito comunque ogni forma di segregazione contro le persone con disturbo psichico, che sono oggi cittadini con piena dignità.


Airbus Journal

by Larabella Myers IVC

Christmas Chit-chats and chinwags

W

hether you live far away from your family or you are a Hopeless Wanderer addicted to traveling, going to the airport might have become an ordinary part of your life. Tedious, yet hard-built in your routine. Take no more than 20 minutes to pack your hand luggage with your favourite pair of jeans; swiftly check-in online, leave the house in a rush and get through the gate. In your head, you rely on everything to go smoothly, get to your destination, have a bite to eat, hit the bed and feel arrived embracing your cozy duvet. Unexpectedly, you get a notification on your

phone... OH NO! The flight has been delayed! Check again: just by 10 minutes. Fine, you can handle that. You go through airport security, head to the gate and position yourself in front of the queue: there's no way anybody is taking your bag to put it on hold. You wait. The air is hot and sticky. There are whispers of someone who felt sick during the landing of the plane that's supposed to leave after refueling to take you home. You remember when they put you on a later flight as your seat had been removed. Not again! Watch. The stewards at the boarding gate are stopping two people with fake IDs: they are taken to the police for some checks. The air hostess'

determination startles you, still it’s a further delay. Flying buses! At least, yours hasn't been canceled. You finally board on the plane, sit down and take your book out hoping time could fly. The hostess’ security demonstration is interrupted by a communication: the plane won't leave for another hour. You are stuck in a crowded capsule with people shouting and complaining. You are tired and bored. It's nearly Christmas. Why not try something different and turn the inconvenience into an experience? That's how I decided to introduce myself to the man sitting next to me: when you meet somebody new, you never know the interesting things you might learn!

Hello, thank you for accepting to answer a few questions! What's your name? It's George And how old are you? 36 Where do you come from originally? From London, England. Where do you live? In London! Are you a sporty type? Ehm, quite sporty, yes. What sports do you play? Football, mainly. Are you a big football fan? Say so, say so. Not a maniac, but I do like it. What team do you support? I support Liverpool. Do you have any other hobbies? I have two kids now so they are my hobbies. What their hobbies are are my hobbies! How old are they? Seven and four. What kind of music do you like? I like a bit of everything... a mix, to be honest. What album would you suggest? Ehm, the most recent album I bought is from someone called Bower, so it's kind of a little bit grime, a mix of like hip hop, kind of. Do you celebrate Christmas? I do. Are you going home for Christmas? We are, yes. We are going to spend the day in London with our family. What are your family traditions? We are Greek orthodox, so a typical Christmas day would be: go to church in the morning; then, come back and make lots of noise and lots of food. A big party. Do you believe in Santa Claus? Yes, of course. I have to believe in Santa Claus. Do you like Christmas carols? It depends who’s singing them but, generally, yes. My wife prefers them more than me. Can you make mince pies? I can’t make mince pies, no. Will you take your children to see a pantomime? Ehm, potentially yes. Nothing’s planned. What do you think the true Christmas message should be? Love and happiness, together, as a family... It’s all about giving! What do you think about 2016? How has your year been? Indifferent, it was very very up and down. How do you feel about Brexit? Oh well... That’s why we might be moving to Italy. We don’t know what’s going to happen... we’re not looking forward to the future. What do you expect from the new year? Have you made any resolutions? Well, we may be moving to Italy in the new year, so no resolutions but it’s going to be an exciting year.

What do you do as a job? I’m a fashion designer for Timberland. We design clothing. Oh wow, it sound fun! It’s pretty cool. It’s why I’m on this trip actually. So you’re not on holiday! No, we are potentially moving to Italy. The office is in Switzerland, so we might go to live in Como or Varese... not Milan. What would you think about your children growing up in Italy? I don’t know, I think it’s a good opportunity...We don’t know yet, that’s why we’re here, we’re not sure. We’re not sure we want to live here, although Como was amazing! What did you visit while you were in Italy? We visited Varese and Como, and then we went to Lugano in Switzerland to check it out. We went to Milan on a previous trip, but it’s a bit too far (from where the job would be) And what do you think about Italian food? I love Italian food!

And finally, as tradition demands, a couple of random questions in authentic Oblo' style! Turkey or Christmas pudding? I don't like either. I would rather go for the alcohol! As for food, gammon is always nice at Christmas time, mince pies, chipolatas... I like all the trimmings, I just don't like the Turkey so much. What is the secret ingredient to good gravy? Ah, proper gravy! My mother-in-law makes good gravy! You've got to roast the turkey, then break up all the bones, mix everything together and that's it! Lots of turkey fat is involved as well! What's the plural of “cactus”? Ehm... “cacti”? (Correct!) If three witches would watch two watches, which witch would watch which watch? (confused) I don't know what you're talking about!

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Cultura

by Beatrice Penzo VE 16

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Cultura “sono stata abortita ma sono sopravvissuta”

P

oco tempo fa mi è capitato che camminare, vedere e ridere. La sua di vedere un film, intitolato potrebbe sembrare una vita sfortunata “October Baby”(2012) viste le numerose operazioni subite, la che raccontava una storia disabilità, e il disturbo da stress postalquanto singolare e che traumatico (PTSD) da cui è affetta, ma mi ha particolarmente Gianna afferma che tutto ciò l’ha resa colpita. In breve: si narra la vicenda una donna “appassionata e libera”. É di una ragazza che all’età di 17 anni infatti diventata un’attivista per i diritti viene a conoscenza di essere stata dei disabili e pro-life. Proprio per questa adottata e va alla ricerca della sua sua vitalità e instancabilità ha deciso di madre biologica scoprendo di essere spendere la propria vita per parlare a sopravvissuta a un aborto, spiegandosi nome dei milioni di feti che ogni anno così i malesseri fisici e psicologici che la vengono abortiti. Inoltre, ha dimostrato perseguitavano. Siccome sono rimasta anche una grande forza quando, durante incuriosita ho fatto delle ricerche sul uno dei convegni che ha tenuto, la film (che, ahimè, non è stato doppiato sua madre biologica le si è presentata in italiano) e ho scoperto che davanti. Le sue parole per “Gianna afferma la donna che non l’avrebbe è basato su una storia vera, che tutto ciò l’ha voluta avere sono state quella della trentanovenne resa una donna “Voglio che tu sappia che ti californiana Gianna Jessen. appassionata e perdono”, al che la donna Questa ragazza ora va in giro libera”. a raccontare la sua storia: si è arrabbiata dicendo di «Sono stata abortita al settimo mese non aver bisogno del suo perdono e ha di gravidanza. La mia madre biologica aggiunto parole molto dure. Gianna aveva 17 anni e le consigliarono dichiara al riguardo in un’intervista l’iniezione di una soluzione di sale “Ho chiuso dicendole che la perdonerò nell’utero. Il bambino la inghiotte e il sempre, ma non le permetterò mai più di suo corpo brucia dentro e fuori, poi dopo parlarmi così”. Contrariamente a tutte le 24 ore viene partorito morto. Si chiama previsioni, questa ragazza riesce a vivere aborto salino. Ma con me non funzionò: una vita davvero piena, basti pensare dopo 18 ore nacqui. E vivo. E sono molto che nel 2006 è riuscita a completare la felice di questo!». Gianna in seguito è maratona di Londra, nonostante le sue stata adottata e amata, ma le scelte difficoltà motorie, per sensibilizzare della madre biologica l’hanno segnata; l’opinione pubblica sul tema dell’aborto. vive infatti con una paralisi cerebrale e Inoltre, si è anche dedicata alla stesura di viene considerato un miracolo dai medici un’autobiografia (1999) in collaborazione il solo fatto che lei possa vivere oltre con una scrittrice americana, Jessica 18

L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

di Ludovica VIllantieri VD Shaver, “Aborted and lived to tell about”, e ha ispirato il film sopra citato. La storia di Gianna non è unica nel suo genere, perché nel mondo vivono altre duecento persone sopravvissute all’aborto e in America una di queste è anche diventata madre ha fondato un’associazione per il diritto alla vita. Questo mi ha fatto riflettere a proposito della grande ipocrisia che regna su questo argomento in molti paesi, in primo piano negli Stati Uniti, in cui era lecito fino al 1995, in alcuni stati, abortire fino al nono mese senza restrizioni e addirittura durante la nascita era praticabile un taglio nel retro del collo del bambino per poter dichiarare morto il neonato.1 Ora per fortuna le normative negli USA sono cambiate: le tecniche abortive sono diventate meno raccapriccianti e nella maggior parte degli stati l’aborto negli ultimi due mesi di gravidanza è concesso solo in caso di pericolo di vita per la madre. Ciò nonostante l’interruzione volontaria di gravidanza rimane molto diffusa in tutto il mondo, basti guardare le statistiche del Guttmacher Institute che parla di ben 56 milioni di aborti tra il 2010 e il 2014. Tutte queste pratiche vanno in netta contrapposizione con ciò che parte della comunità medica afferma, ovvero che una persona è ritenuta viva quando si può constatare il battito cardiaco, che in un feto si può sentire già dopo sedici giorni dal concepimento. 1 https://www.congress.gov/bill/104thcongress/house-bill/1833


di Chiara di Brigida IIIA

U

na sigaretta in bocca fumata avidamente; in mano, la penna: umile ponte tra un foglio vuoto e una mente piena. Piena di segni, di ombre, di vita: in poche parole, colma di poesia. I suoi versi uscivano irruenti, inesauribili, nascevano in bilico tra un cieco bisogno e una volontà sorda, che non sentiva ragioni. Alda Merini fissò la sua vita sulla carta: scrisse poesie istintive, spontanee, ispirate al vero ma dominate dall'onirico. La sua storia inizia il 21 Marzo 1931, in una Milano giovane, illuminata dal tiepido sole del primo giorno di primavera; Alda nasce in una famiglia di origini modeste ed è la minore di tre fratelli. Esordisce come autrice quando ha appena 15 anni; poco dopo salgono in superficie quelle che la poetessa definirà in seguito come “prime ombre della sua mente”. Alda affronta per la prima volta una situazione destinata a diventare una costante nella sua vita: l'internamento in manicomio, una struttura di cancelli, catene, lucchetti, serrature ovunque. Una prigione dove si agisce con efferata indifferenza sui pazienti, sottoposti a elettroshock, bagni gelati, camicie di forza e in casi estremi (fortunatamente non è quello della Merini) anche alla lobotomia. La prima permanenza all'ospedale psichiatrico dura solamente un mese. La vita privata della poetessa subisce un'evoluzione al termine della complicata relazione con il famoso

Alda merini scrittore, traduttore e critico letterario Milano, un rifugio caldo, eclettico, Giorgio Manganelli; nel 1953 infatti sposa palpitante di vita, racchiuso da pareti Ettore Carniti, proprietario di alcune divenute una rubrica su cui scrivere panetterie a Milano, con il quale avrà numeri di telefono, pieno di oggetti un rapporto tormentato e burrascoso, di ogni tipo, libri, fotografie, quadri, intervallato dalla nascita delle quattro sigarette spente sparse sul pavimento… figlie Emanuela, Barbara, Flavia e In questi anni nella sua vita sembra Simona. essersi introdotta una nuova e quieta Nel 1962 la sua mente torna a ribellarsi, ospite, capace di mettere a tacere tutte scossa probabilmente dalla sindrome quelle ombre della mente maturate nei bipolare: è l'inizio di un lungo e travagliato lunghi e dilanianti periodi in manicomio: periodo di profonda sofferenza dovuto risponde al nome di serenità. all'internamento in manicomio, che Alda riprende a scrivere, pubblica durerà dieci anni (pur con alcuni ritorni numerose opere, ricuce le vecchie in famiglia). Le poesie scritte dopo amicizie di un tempo, le vengono questa atroce esperienza gridano un assegnati diversi premi letterari e una dolore straziante e sono contenute nella laurea honoris causa dall’università sua opera più intensa: “La “Alda affronta quella di Messina. Nonostante Terra Santa”. che era da sempre la popolarità acquisita, Dopo la morte del marito una delle sue paure la poetessa non cambia (avvenuta nel 1983), Alda più grandi: il vuoto affatto il suo stile di vita, affronta quella che era da della solitudine.” fatto di piccole, semplici sempre una delle sue paure cose; come le passeggiate più grandi: il vuoto della solitudine. In lungo il naviglio nelle frizzanti mattinate questo periodo di estrema fragilità, autunnali, passo pigro e sigaretta in Alda si appoggia alla solida amicizia bocca, sua inseparabile compagna che con il poeta Michele Pierri, un rapporto continuerà a fumare, incurante dei destinato a divenire sempre più profondo divieti, fino all’uno Novembre 2009: e che culminerà con le loro nozze. I due giorno in cui Alda si spegne all’Ospedale si trasferiscono dunque a Taranto, ma San Paolo di Milano, in seguito ad un l’aggravarsi delle condizioni di salute tumore. del poeta viene preso come pretesto dai “Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di figli per allontanare Alda; quest’ultima, quello che vanno dicendo sul manicomio. psicologicamente ancora molto debole, Io la vita l’ho goduta perché mi piace cade in uno stato depressivo che le anche l’inferno della vita e la vita è procurerà il lasciapassare per l’ospedale spesso un inferno…. Per me la vita è psichiatrico di Taranto. stata bella perché l’ho pagata cara”. Nel 1986 la poetessa fa ritorno nel piccolo Alda Merini. appartamento sui Navigli dell’amata

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Cultura

Neil Armstrong

That’s one small step for dotati. Armstrong venne inserito nella a man, one giant leap for missione Apollo 11, che si prefiggeva di mankind”. “Questo è un portare sani e salvi sulla Luna lui stesso, piccolo passo per un uomo, ma con il ruolo di comando alla guida del un grande balzo per l’umanità” modulo, al fianco degli astronauti Michael disse Neil Armstrong, primo Collins e Buzz Aldrin. Dunque nel marzo uomo a mettere piede sulla Luna. del 1969 fu reso noto dalle dichiarazioni Era il 20 luglio 1969, giorno che riempì dei responsabili del programma che, una pagina importante della in caso di riuscita della “That’s one small storia del mondo. Una luna step for a man, missione, il primo a mettere sognata con straordinaria one giant leap for piede sulla Luna sarebbe stato ambizione, a lungo guardata proprio Armstrong, in quanto mankind” e studiata da lontano ma comandante dell’equipaggio. mai osservata e ammirata così da vicino. L’allunaggio (ossia l’atterraggio del Nato il 5 Agosto 1930 a Wapakoneta modulo sulla Luna) avvenne alle 20:17:39 (città statunitense dell’Ohio), Armstrong UTC del 20 luglio 1969. Quando Neil è stato un aviatore e astronauta Armstrong confermò questo atterraggio, americano. Dopo aver prestato servizio dal centro di controllo statunitense, che per undici anni (dal 1949 al 1960) alla nel frattempo monitorava con scrupolosa Marina Militare Statunitense, dove concentrazione e con il fiato sospeso diventò Sottotenente di vascello, e dopo le lunghe fasi delle singole operazioni, aver conseguito la laurea, Neil Armstrong giunse un sospiro di sollievo insieme scelse di diventare pilota presentandosi alle parole: «Avete fatto diventare blu alla Edwards Air Force Base in California. un po’ di gente qui. Stiamo respirando Dopo la brillante carriera di aviatore, di nuovo». La discesa dalla scaletta conclusasi con un totale di 2400 ore di del modulo da parte di Armstrong volo, decise di specializzarsi per diventare astronauta. Il suo esordio,avvenuto nel 1958, prevedeva la partecipazione al progetto “Man In Space Soonest” attraverso il quale gli statunitensi ambivano a vincere la corsa nello spazio contro gli storici nemici sovietici. Dopo aver preso parte al programma “Gemini” partecipò poi all’ “Apollo 11”, il progetto più importante della sua vita che lo rese famoso nel mondo. Il giorno 5 Aprile del 1967, dopo tre mesi dal triste e terribile incidente dell’Apollo 1, distrutto dal fuoco durante un’esercitazione, Armstrong era riunito insieme ad altri diciassette astronauti in un incontro con il responsabile Deke Slayton. Quest’ultimo disse: “Coloro che voleranno nelle prime missioni lunari sono i ragazzi in questa stanza”. Al centro di quelle mura infatti erano presenti i veterani del progetto Gemini, gli unici considerati preparati per la difficile impresa. Questi , secondo i vertici dell’amministrazione del programma, avevano tutte le carte in regola per poter ambire al successo della missione, a partire dalla loro straordinaria e mirabile esperienza e dal coraggio di cui erano

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di Claudia Pirro IIB fu osservata dagli schermi di tutto il mondo con grande attesa ed emozione e terminò quando, dopo aver posato il piede sinistro sull’ultimo gradino alle 2:56 UTC del 21 luglio 1969, registrò in diretta dallo spazio la frase che lo rese per sempre famoso.Armstrong descrisse, durante gli attimi successivi in una registrazione pervenuta alla NASA negli stessi istanti, i dettagli della superficie lunare, fornendo gli strumenti necessari ad individuare con precisione particolari mai studiati prima. La missione divenne, nel corso delle ore e dei giorni seguenti, oggetto di ammirazione da parte di tutti gli stati del mondo che in quel momento guardavano senza parole le immagini della prima passeggiata lunare della storia. Disse in seguito Armstrong: “La cosa più importante della missione Apollo fu dimostrare che l’umanità non è incatenata per sempre ad un solo pianeta, che le nostre visioni possono superare quel confine e che le nostre opportunità sono illimitate.”


serie tv

M

di Alice de Kormotzij VA i sarebbe piaciuto scrivere questa recensione non appena la dodicesima puntata è finita, ma non ero in grado di reperire le parole adatte: il mio cuore strabordava di emozioni, e non riuscivo trovare una voce che le comprendesse. Il tempo, per fortuna, mi ha aiutata a dirigere i pensieri. Se difficile è realizzare un prodotto di qualità e di successo, ancora di più lo è realizzarne un secondo alla stessa altezza del primo; Pif, con questa serie di cui è autore e sceneggiatore, dimostra non solo che è possibile, ma anche che il timore di un doppione del film, da cui essa è tratto, è assolutamente ingiustificato. Puntata dopo puntata, la voce narrante di Pif e la regia di Luca Ribuoli ci accompagnano nelle vicende della famiglia Giammarresi, una famiglia comune della Palermo di fine anni settanta, il cui destino è tristemente intrecciato alla mafia. Ma quella di Pif non è una voce esterna, bensì è quella di Salvatore, il piccolino della famiglia, dieci anni, curioso, ingenuo e innamorato della compagna di scuola Alice. Il problema di conciliare due piani apparentemente così diversi, come sono quello di un sistema malavitoso e l’innocenza di un bambino, di per sé puro, è risolto perfettamente, e funziona. Il tono scanzonato e ironico non stride, ma sostiene in modo armonico la serietà e drammaticità del tema principale, la mafia, che agisce nell’ombra avvelenando le vite dei cittadini, che nulla vedono e nulla sentono, impietriti dalla paura. Tutto questo avviene grazie a un cast d’eccezione, in particolare Claudio Gioè e Anna Foglietta, Lorenzo e Pia, alle prese con i loro problemi quotidiani e soprattutto con il tentativo disperato di tenere lontani sé stessi e la propria famiglia da un sistema che sembra inquinare ogni aspetto della quotidianità palermitana. Il contesto storico è ricostruito con precisione sia dal punto di vista culturale sia da quello politico, e, anche in questo caso, la commistione di fatti reali e frutto d’invenzione non appare mai inopportuna. È una serie che mi ha riempito il cuore, fresca, mai banale, ma sempre ricca di nuovi spunti di riflessione, ulteriore segno di una Rai in rinnovamento. Un avvertimento: una lacrimuccia è assicurata dopo ogni puntata, attrezzatevi per bene.

N

di Costanza Paleologo IVA

etflix tenta ancora e non sbaglia, stavolta lanciando la serie televisiva The Crown, un historical drama che racconta, da una prospettiva assolutamente originale, le vicende, sia pubbliche sia private, della famiglia Reale inglese fra il 1947, anno del matrimonio tra Elisabetta II e Filippo di Edimburgo e il 1956, inizio della crisi di Suez. La serie è incentrata soprattutto sulla vita della regina Elisabetta II, sulla sua ascesa al trono e sul suo rapporto con il Primo Ministro inglese, Winston Churchill. Fra gli interpreti principali figurano Claire Foy, nota per il suo ruolo di Anna Bolena nella miniserie televisiva Wolf Hall, che qui veste i panni della Regina Elisabetta II. L’attrice britannica ci regala un attento e complesso ritratto della sovrana inglese, caratterizzato da un costante nervosismo causato dal suo importante ruolo. Questo sentimento è però parallelo alla ferma determinazione di dimostrare la propria adeguatezza a tale incarico. Claire Foy è affiancata da Matt Smith, conosciuto ai più per il suo ruolo di Dottore nella serie televisiva Doctor Who, che interpreta il Principe consorte Filippo. Interpretazione intensa e profonda è quella di John Lithgow, che veste il ruolo di Winston Churchill, il due volte primo ministro e premio Nobel, idolo di una nazione che lui stesso ha portato al cambiamento. La serie, ideata e diretta da Peter Morgan, già prima di essere pubblicata online sul famoso sito streaming, aveva fatto discutere per il tema audace e originale che avrebbe trattato. Ha suscitato infatti la curiosità e l’impazienza degli spettatori, che non vedevano l’ora di scoprire come la serie intendesse raccontare la storia della più famosa famiglia reale del 20esimo secolo, storia ben documentata e nota. Le aspettative del pubblico non sono rimaste deluse, sia per le straordinarie performances degli attori sia per la narrazione degli eventi legati alla Corona Inglese, che sono stati presentati sotto una luce nuova, più intima, rivelando anche alcuni aneddoti mai divulgati prima. La serie comunque, ricorda Peter Morgan, è liberamente ispirata a fatti realmente accaduti. Essa è stata accolta positivamente sia dalla critica sia dal pubblico, ricevendo anche importanti riconoscimenti: ai Golden Globes 2017, per esempio, The Crown ha ricevuto il premio per la “Miglior serie drammatica” e per la “Migliore attrice protagonista in una serie drammatica”. Merita da ultimo una menzione speciale l’opera svolta da Hans Zimmer, famoso compositore, artefice delle più apprezzate colonne sonore della storia del cinema, che ha prodotto e curato la sigla originale.

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CINEMA Mister Felicità

Mister felicità” è il terzo film di Alessandro Siani come protagonista e regista allo stesso tempo. Il comico napoletano ha voluto mantenere la formula della commedia lievemente romantica, che ha utilizzato anche nei suoi precedenti film, quali “Il principe abusivo” e “Si accettano miracoli”. Probabilmente ha tenuto fede al detto: “squadra che vince non si cambia”, in quanto le altre due pellicole avevano incassato la notevole cifra di 15 milioni di euro ciascuna. Questa volta Siani interpreta Martino, un disoccupato, che si trasferisce in Svizzera dalla sorella con l’intento di farsi mantenere. Purtroppo però la sorella ha un incidente e il protagonista è

costretto a prendere il suo posto al lavoro, nella casa del dottor Gioia, interpretato dal divertente Diego Abatantuono. Dunque Martino, scambiato per il dottore, un mental coach capace di risollevare l’umore e l’istinto motivazionale nelle persone, si dovrà occupare del caso di una pattinatrice famosa, depressa a causa di una caduta in una gara internazionale. Riuscirà il dottore senza esperienza nella sua impresa? O meglio, c’è veramente bisogno di un dottore per cercare o ritrovare la felicità? Naturalmente solo guardando il film, saprete come il regista ha preferito rispondere alla domanda. Per quanto riguarda l’ispirazione per il soggetto di “Mister felicità”, Siani ha preso spunto dalla crisi economica e

di Greta Anastasio VB

morale del nostro paese, che tra le molte conseguenze ha portato anche ad un pessimismo diffuso. La pellicola infatti rende visibili le differenze tra ottimismo e pessimismo, che però, in virtù del genere cinematografico di appartenenza, spesso vengono estremizzate troppo: un chiaro esempio è la figura del disoccupato che, incarnando quella disillusione lavorativa (ed effettiva) che affligge molti cittadini italiani, viene rappresentato come un depresso, spesso e volentieri svogliato e apatico, che sa solo ripetere: “ma chi m’ ‘o fa fa’?!”. Anche nei due suoi precedenti lavori, Siani ha utilizzato il gioco degli opposti, come quelli toa ricchezza e povertà, città e provincia; ma oltre a questo anche la presenza di un comico di supporto, la moltitudine di fraintendimenti e l’uso frequente del dialetto napoletano, con cui vengono dette la maggior parte delle battute, sono caratteristiche tipiche dei sui film. In “Mister felicità” si passa da pappagalli con inflessione napoletana a cadute rocambolesche, da noci-proiettile a gag sul sushi, fino ad arrivare alla derisione della camorra. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per farsi tante risate!

“Secondo me, quando si è da soli la felicità dura un attimo...magari se è condivisa dura nu poc e chiù!”

Collateral Beauty

C

di Valeria Galli VA

ollateral Beauty è un film diretto da David Frankel, nelle sale cinematografiche italiane dal 4 gennaio 2017. Grazie alla data d’uscita, al cast d’eccezione (tra cui spiccano Will Smith, Kate Winslet e Keira Knightley) e all’atmosfera da revival di A Christmas Carol, la pellicola aveva tutte le carte in regola per l’essere l’Xmas movie per eccellenza dell’anno. Dopo aver visto la locandina e il trailer, le aspettative - presumo non solo mie - erano molto alte. Howard (Will Smith) era un manager brillante e di successo. Tuttavia, in seguito alla morte prematura di sua figlia di 6 anni, si separa dalla moglie e perde totalmente il suo spirito e la sua determinazione, nel lavoro, così come nella

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“Quarant’anni di volo alle spalle, e alla fine sarò giudicato in base a 208 secondi.”

di Giuliano Toja IVF

C

aro Clint Eastwood, ti devo proprio confessare che mi sento alquanto contrariato, io che pure ti avevo sempre stimato per come hai incarnato il mito del west nei film di Sergio Leone, e ti avevo sempre apprezzato come regista, nonostante la tua visione del mondo da vecchio repubblicano bigotto e ottuso, per film come “Gli spietati”, “Mystic river”, o “Gran Torino”, ma dopo essermi sorbito “Sully” non so più cosa pensare, se non che sarebbe il caso a ottantasei anni suonati di cominciare a considerare la pensione. Abbiamo capito che la tua idea di eroe americano è l’uomo comune che fa il suo lavoro da bravo soldatino, punto di vista opinabile ma comprensibile, ma il fatto è che non basta ribadirlo in ogni film per interessare alla gente. E in “Sully” non c’è assolutamente nient’altro. Il film comincia con un pilota di aereo che

viene acclamato come un eroe perché ha salvato centocinquanta persone compiendo un incredibile ammaraggio nell’Hudson. E… niente. Il “conflitto” della trama ruota intorno al fatto che i cattivoni della commissione d’inchiesta del NTSB mettono in dubbio il suo eroismo sostenendo che poteva evitare di correre un rischio così grande semplicemente tornando all’aeroporto. Una trama mozzafiato! Ad ogni modo lui invece sostiene di non aver avuto scelta e chiede che vengano effettuate delle simulazioni di volo per dimostrarlo. Chi mai avrà ragione? Tom Hanks, o il brutto ciccione antipatico della commissione? Fanno le simulazioni e aveva ragione Tom Hanks. Fine. Il tutto dura un’ora e mezza scarsa, solo perché riempito con tre lunghissimi flashback della stessa scena dell’aereo che precipita con punti di vista diversi (la prima volta dici: “Bravo, ha salvato tutti”, la seconda dici: “Sì, è proprio

vita. Howard si ammala di una depressione, quasi eccentrica, e vive la sua vita in maniera catatonica e apatica. Howard, però, scrive delle lettere a tre entità astratte: Amore, Tempo, Morte. “Queste tre cose mettono in contatto ogni singolo essere umano sulla terra. Desideriamo l’amore, vorremmo avere più tempo, temiamo la morte.”, aveva detto infatti Howard all’inizio del film, prima ancora di perdere il suo entusiasmo. Ora, invece, il suo atteggiamento amebico e indifferente nei confronti della vita sta portando la sua azienda sul rischio del fallimento. Nel tentativo di recuperare la situazione, i suoi colleghi fanno in modo che Howard

abbia delle conversazioni con le entità astratte a cui egli si rivolge nelle sue lettere. Ed è così che Morte (Helen Mirren), Tempo (Jacob Latimore) e Amore (Keira Knightley) appaiono nella vita di Howard, in tre momenti diversi, rispondendo con schiettezza alle accuse che lui rivolgeva loro nelle lettere. Queste tre forze ricordano molto gli Spiriti del Natale Passato di Dickens. Tuttavia, contrariamente a quanto ci si aspetti (o a quanto si speri?), non sono Spiriti comparsi magicamente, ma sono attori, pagati per dimostrare che Howard, avendo visioni soprannaturali, non è più in grado di intendere e di volere. Pagati da chi? - vi starete chiedendo. Dai suoi cari

bravo”, la terza cominci a tifare perché si schianti), inframmezzati da immagini di lui che fa jogging a New York con fare pensieroso. Capisco che l’intento del film fosse celebrare questo personaggio (è tratto da una storia vera) ma se devi fare solo questo allora fai un documentario. Ma stiamo parlando di cinema, e il cinema richiede una storia, e a questa storia manca un intero atto. Arrivati alla fine ci si aspetta come minimo altri quarantacinque minuti in cui viene messa in dubbio tutta la sua vita e ciò in cui crede, e solo dopo avrei potuto accettare un commovente finale di riscatto, ma così è una presa in giro. Peraltro poi mi devo leggere recensioni in cui “Sully” è acclamato come il film dell’anno (un film con mezza sceneggiatura, ripeto), Tom Hanks nella sua migliore interpretazione (giuro che lo hanno scritto davvero), addirittura sviolinate sull’eccezionale montaggio e sugli effetti speciali (siamo nel 2017, andate a vedervi “Gravity” e “Revenant” e poi ne riparliamo). Insomma, brutto, brutto, brutto! E quanto a te, Clint Eastwood, ti considero in debito degli otto euro che ho sborsato per vedere questa fregatura di film (gli stessi che ho pagato per vedere “Django”, solo per fare un esempio: ma stiamo scherzando?). amici. Eh sì, proprio così. Ma è proprio l’escamotage che appare allo spettatore come assolutamente subdolo e meschino, a permettere ad Howard di riappropriarsi della propria coscienza emotiva, fino ad allora paralizzata, e a riappropriarsi della vita che gli apparteneva. In questo modo, Collateral Beauty riesce a parlare della tragedia, con sensibilità ma senza compassione. Commuove ma incanta. Lascia senza parole ma fa riflettere. Le interpretazioni possono essere varie, ma il giudizio sulla straordinarietà credo sia unanime. Inutile dire che consiglio vivamente la visione a tutti.

“Amore, tempo, morte. Queste tre cose mettono in contatto ogni singolo essere umano sulla terra. Desideriamo l’amore, vorremmo avere più tempo, temiamo la morte.”

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Sette anime

O

gni giorno decine di Carducciani percorrono il breve tratto di strada che separa la fermata della metro dalla scuola; percorrono il marciapiede correndo, fischiettando, ripassando o semplicemente guardando le auto sfrecciare accanto a sé. Poi arrivano alla pasticceria all’angolo; si fermano e guardano le auto rallentare prima dell’incrocio. Non vedono i conducenti; l’abitacolo delle auto è buio ma, tutto a un tratto, qualche d’uno si illumina e dall’oscurità emergono dei visi. Il loro sguardo è chino su un piccolo oggetto rettangolare, stretto tra le mani: un oggetto che può diventare causa della loro disgrazia. E’ “lo strumento del diavolo”: il cellulare. Quante volte abbiamo sentito parlare di incidenti avvenuti a causa sua? “Donna distratta alla guida investe un pedone per rispondere al cellulare”; “Tamponamento: conducente si distrae per leggere un messaggio”. La lista è infinita. Ma ci siamo mai fermati a pensare a quali siano le conseguenze psicologiche di questi incidenti nelle menti di chi, involontariamente, ne è la causa? Beh, potremmo dire che il cellulare è il punto di partenza del film; ma soltanto lo spunto iniziale per una storia complicata, forse anche un po’ ; perversa, che tratta tematiche molto più profonde. Tim Thomas (interpretato da Will Smith) è un brillante ingegnere aerospaziale, sposato e felice. Ma una sera, tornando a casa,

di Olivia Manara IIIF causa un tragico, multiplo incidente d’auto nel tentativo di leggere una e-mail di lavoro sul cellulare. Lo scontro della sua auto con un pulmino provoca la morte di sei sconosciuti e della sua amata moglie, seduta accanto a lui sul sedile del passeggero. Tim ha salva la vita ma il suo rimorso sembra non trovare pace. Qualche mese dopo viene diagnosticato a suo fratello Ben un tumore e Tim dona il proprio lobo polmonare per salvarlo; ed è proprio questo evento a fornirgli lo spunto per pianificare la sua redenzione. Quindi, Tim si rivolge a un amico, Dan, perché identifichi sette persone gravate da serie difficoltà fisiche ma anche sociali: sette anime, sette sconosciuti, per altrettante anime che hanno perso la vita a causa sua. Sette anime che, però, devono possedere un requisito fondamentale: la bontà. Il film inizia a metà dello sviluppo e ci vogliono tre buoni quarti d’ora prima che si riesca a mettere insieme qualche pezzo ma alla fine risulta ben chiaro quale sia il progetto di redenzione di Tim; ridare speranza (e vita) a sette estranei per saldare il suo debito. Tim, però, si troverà di fronte ad un ostacolo: una giovane donna, Emily Posa, che lo distrarrà dal suo disegno originale, costringendolo a scegliere tra la vita e l’amore. A mio giudizio, nel film, siamo di fronte a una sorta di bilancia: una bilancia di vite e di morti il cui braccio risulta pesantemente sbilanciato verso la morte. Solo un adeguato numero di vite posto sull’altro piatto potrà riportare l’equilibrio, non soltanto a

livello naturale ma anche nell’animo del protagonista. Il titolo originale del film, infatti, evidenzia bene quest’immagine: “Seven Pounds”, (sette libbre) in riferimento al dramma shakespeariano “Il mercante di Venezia”, dove l’usuraio Shylock pretende da Antonio un pound of flesh (una libbra di carne umana) per estinguere il suo debito. “Sette anime” è un film drammatico, complesso, ma allo stesso tempo scioccante, dove amore e dolore giungono a strazianti estremità, pur senza sconfinare nel patetico. Il coinvolgimento emotivo è certamente molto forte; ogni sentimento espresso tocca le viscere dell’animo umano, costringendo a tempi lunghi prima di poter approfondire a mente fredda. Le prime reazioni di molti spettatori (me compresa) sono state negative; non per nulla, il film è stato pesantemente criticato dalla critica americana, che si è dichiarata addirittura inorridita. In particolar modo, però, ha scosso il mondo cristiano che forse legge nella storia un messaggio dissacrante nei confronti della vita, dono divino supremo e inviolabile. Il film, infatti, ci fa riflettere su quale sia il vero valore della vita; un valore che, in questo caso, assume connotati difficili da giudicare. Nonostante ciò, però, consiglio caldamente la visione di questo film perchè sono convinta che ben pochi altri abbiano un impatto emotivo così forte sugli spettatori; un impatto che non deve spaventare ma deve essere considerato un utile spunto di riflessione.

“Sette nomi. Sette sconosciuti. Un segreto”

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“Prima volta in America signor Scamander?”

Alla ricerca degli animali fantastici di Alissa Bisogno IA

E

d è così che inizia la storia che ha riportato gli amanti della saga di Harry Potter sulle poltrone del cinema con un enorme barattolo di pop corn. Nelle sale dal 17 novembre 2016, diretto da David Yates. Ispirato all’omonimo libro della (fantastica) J.K.Rowling , Animali fantastici e dove trovarli racconta la storia del giovane magizoologo inglese Newt Scamander (Eddie Redmayne) che si ritrova in una New York degli anni 20, con una valigia contenente delle creature fantastiche. Alcune di queste creature, però, sono destinate ad uscire dalla valigia a causa di un errore con un No-mag, Jacob Kawalski (una persona che non dispone

di poteri magici). E così comincia la ricerca degli animali fantastici di Newt, Jacob (Dan Fogler), Porpentina (Katherine Waterston) e Queenie Goldstein (Alison Sudol), sorelle maghe. Ma non tutto sembra andare come in realtà dovrebbe: una creatura malvagia si aggira nelle strade di New York, una creatura che incute timore ai maghi e porta devastazione. Nessuno sa cosa sia, nessuno sa perché sia lì, nessuno sa come fermarla…ma una cosa è certa: quella creatura non è mai appartenuta a Newt e solo il Magico Congresso degli Stati Uniti (MACUSA) non ne è convinto. Comincia così la caccia all’uomo, ma soprattutto la caccia a quella orribile creatura che ha già causato una morte. Ma in tutto

questo c’è anche un’altra cosa che preme al MACUSA, o meglio ai Ministeri di tutto il mondo…Potterhead, vi ricordate di Gellert Grindelwald? Be’ il fatto che uno dei più potenti Maghi Oscuri mai esistiti sia ancora libero non rasserena la comunità magica, ma per quanto avrà ancora il poter di terrorizzare gli uomini? Una storia che comincia lenta per poi andare sempre più in salita, come con le montagne russe, trascinandoti in un vortice di incantesimi, decisioni difficili, colpi al cuore e divertimento. Questo film è un inno all’eliminazione dei pregiudizi, allo smettere di temere la diversità. Nel suo cuore più profondo ci mostra cosa possa significare punire qualcuno per quello che è, quale forza folle e traumatica possa scatenare in una persona il sentirsi non accettato e l’interpretazione a dir poco fantastica di Ezra Miller nei panni di Credence ci aiuta a capirlo. Animali fantastici e dove trovarli è come un invito al non smettere di sognare, al non porre muri alla fantasia che, Joanne Kathleen Rowling anche questa volta ci ricorda, non ha e non deve avere mai limiti.

I consigli della redazione Silence

Allied

Passengers Assassin’s creed

La La Land

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good vibes

di Marta Piseri VE

Titolo: Mother Of Violence Artista: Peter Gabriel Album: Peter Gabriel Anno di pubblicazione: 1978

di Cleo Bissong VB

Titolo: A Better Place Artista: clipping. Album: Splendor & Misery Anno di pubblicazione: 2016

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III

È

il 1978, e mentre i restanti membri dei Genesis sembrano aver trovato un equilibrio anche in tre, i due disertori intraprendono ciascuno la sua carriera solista: per l’ex frontman, in particolare, sono anni di ricerca frenetica, nella costante paura di ricadere nelle sonorità prog e nelle ricche armonie ormai tipiche della band lasciata da poco. Già il primo album di Gabriel era originale e ricco di sperimentalismi, ma il secondo (senza nome come il precedente, soprannominato dai fan “Scratch” per via dell’immagine in copertina) si mostra ancora più ricercato, oltre che sorprendentemente distante e ruvido. Nessuno degli 11 pezzi diventerà una hit, ma il più famoso è sicuramente “Mother of Violence”, delicatissima ballata riconducibile all’attivismo politico del musicista, scritta insieme alla prima moglie Jill: la madre della violenza è la paura, presentata come una bestia che, “Mouth all dry, eyes bloodshot”, emerge

fin dall’intro, facendosi strada tra i suoni registrati di insetti e tingendo il dolce giro di chitarra acustica con tonalità minori e malinconiche. All’arpeggio si aggiungono presto pianoforte e voce, restando uniti per il resto della semplicissima struttura ma aumentando lentamente di intensità, mentre anche la protagonista del testo avanza, “Walking the street with her naked feet”, e tutti conoscono la sua direzione ma non quello che si svilupperà dal suo inquietante movimento. Con il ritornello la canzone si fa più serena, in contrasto con le liriche che parlano di ripiegarsi sull’autodifesa e riportano l’impossibilità di respirare, di credere in qualunque cosa. Al contrario, lo special vira verso lo sconsolato, facendo emergere echi di sintetizzatore e conducendo verso un finale in cui voce, piano e chitarra sono tutti e tre portati al falsetto, per poi chiudere con un ultimo dolce accordo, conclusione che rende ancora più ambiguo il messaggio del cantante.

For hip-hop right now, saying nothing isn’t an option anymore”. Queste le parole di Daveed Diggs, frontman e M.C. dei clipping., di fronte alla presenza di una tematica politica nell’ultimo album da loro rilasciato, tematica anomala per la loro musica. Originariamente infatti, il gruppo intendeva giocare con le convenzioni e i cliché del rap, applicandole a diversi punti di vista (perciò la regola di evitare l’uso della prima persona nei testi) e unendole a sonorità noise/concrete -queste ultime fornite dagli altri due membri della band, William Hutson e Jonathan Snipes. Nell’odierna situazione politica statunitense però, e in questo clima di particolare violenza nei confronti degli afroamericani, i clipping. hanno deciso di rilasciare un concept album a riguardo: “Splendor & Misery”. Simile alla trama di un libro di fantascienza, ambientato in un’astronave per il trasporto di schiavi, il computer di bordo ci riferisce le vicende del solo sopravvissuto in seguito a una rivolta, il quale, preso il controllo della

nave e dirottatala, incapace di regolare una nuova meta si ritrova a vagare solo nello spazio, senza possibilità di atterraggio nel futuro prossimo. Il suo viaggio, da come lo vediamo noi, ha fine con il brano “A Better Place”. La base strumentale assume un tono trionfale e conclusivo, quasi a suggerire un happy ending, speranza però che viene subito frantumata nel momento in cui Daveed Diggs intona, con la melodia del ritornello dal gusto spiritual che ricorre nell’album, “(...) and fear that the night will not turn into day/remember the darkness will show you the way/it’s a long way away/it’s a long way away/ and I’m all alone along a long (...) way”: è l’unica strofa del brano in cui ci viene dato il punto di vista del protagonista, ormai completamente rassegnato al proprio destino, e che, nonostante tutto, mantiene una cupo ottimismo. Rispetto alla situazione in cui ha vissuto fino ad allora, infatti, un salto nel vuoto perde qualsiasi connotazione di rischio, e prende il suo posto la speranza che “there must be a/better place to/be somebody/be somebody else”.


true fans wait di Marta Piseri VE

I

l pop sarà anche morto, come titolava un loro pezzo degli esordi, ma l'indefinibile genere a cui i Radiohead hanno prestato il nome, quella particolare sorta di alternative rock con strascichi grunge, radici prog e un punto fermo nella classica contemporanea, di sicuro è vivo e vegeto. Questo non era affatto scontato fino a un anno fa: il loro ultimo album, la raccolta di esperimenti sul ritmo “The King of Limbs” (2011), era stato infatti giudicato spento, indeciso e penalizzato da scelte troppo prudenti, e molti temevano che i tempi d'oro della band inglese fossero ormai stati lasciati alle spalle. Ma i fan sono tornati a sperare lo scorso maggio, quando improvvisamente il gruppo ha ricominciato a far parlare di sé cancellando tutti i contenuti dalle proprie pagine web ufficiali: espediente pubblicitario per annunciare un nuovo inizio, “A Moon Shaped Pool”, l'album che sarebbe stato disponibile da lì a una settimana in streaming o download da piattaforme a pagamento. Una mossa in pieno stile Radiohead, che in trent'anni di fama sono rimasti sempre formidabilmente ancorati alle proprie idee e già da tempo non tentano neanche più di venire a patti con i caratteri consumistici e alienanti del mondo della musica, cercando vie alternative alle grandi etichette. Il sospiro di sollievo collettivo però è partito solo quando l'album si è rivelato un nuovo piccolo capolavoro da aggiungere alla collezione dei cinque musicisti, un prodotto che ha attirato l'attenzione di chi

già li apprezzava anche con l'inserzione di alcuni pezzi in circolazione da oltre vent'anni ma mai registrati in studio. In generale, il disco è caratterizzato dai sempre più sinistri arrangiamenti di Jonny Greenwood, da un parziale abbandono delle tendenze elettroniche e dalla nuova attenzione per l'interiorità e la sfera privata, sostituendo spesso alla rabbia degli anni '90 un'esistenziale malinconia. Presi invece singolarmente, i pezzi meglio riusciti sono forse i primi due, scelti anche come singoli: si parte dunque con “Burn the Witch”, meravigliosa oltre che coerente con i brani storici della band sia sul piano politico che su quello musicale: si denunciano infatti i meccanismi dell'isteria collettiva, descritta come “low flying panic attack” incentivata dalle autorità, e al tempo stesso le tecniche particolari con cui gli archi, protagonisti assoluti dell'album, sono utilizzati rimandano al tipico sperimentalismo degli artisti, e comunicano perfettamente l'inquietudine e l'irrazionalità che il testo descrive. Segue “Daydreaming”, inafferrabile quanto intensa ballata arricchita da echi elettronici, archi e back vocals al reverse. La voce di Yorke trasporta attraverso un viaggio, quello del suo matrimonio ormai finito, descritto con pochissime immagini (“the white room/ by a window/ where the sun comes/ through”) e ripetuti rimpianti, lasciando ampio spazio alle parti strumentali e sorprendendo con un finale “russato”. Segue “Decks Dark”, in cui il pianoforte principale guida la voce su una base estremamente

semplice e pulita, affiancato solo a tratti da frammenti manipolati di tastiere secondarie. La chitarra acustica recupera un ruolo centrale, a partire da un giro iniziale quasi folk, nella lenta e ossessiva “Desert Island Disk”. Nella successiva “Ful Stop” invece protagonista assoluto è il synth bass, mentre tra cori echeggianti e riff stratificati si fa strada una frase ripetuta: “truth will mess you up”. “Glass Eyes”, struggente e introspettiva, si contrappone alla particolarissima “Identikit”, sicuramente il pezzo più coinvolgente e rock con il suo refrain potente e l'incessante dialogo tra chitarra e batteria. Con “The Numbers” la band vira verso un jazz di gusto psichedelico contaminato dai cori e gli archi onnipresenti nell'album, mentre il testo torna ad assumere una valenza universale. Meravigliose le dolci melodie di “Present Tense” e la cura per un arrangiamento orchestrale praticamente perfetto, attenzione che si ritrova in “Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief”, che prende spunto dal repertorio delle nursery rhymes e dal prog, e rende giustizia alla passione degli artisti per la musica elettronica. Chiude, come attesissimo gran finale, la leggendaria “True Love Waits” nella sua versione più raffinata, sinistra e malinconica, il simbolo della nuova e più adulta dimensione in cui i Radiohead si sono finalmente stabilizzati. La band verrà a presentarci tutto questo il 14 e 16 Giugno 2017, con due tappe italiane a Firenze e Monza.

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Storia di un uomo

FABRIZIO DE ANDRÉ, LA PERSONA DIETRO LA FAMA di Spe Sev

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ncora oggi in “via del campo c’è una puttana”, nonostante i cinquant’anni trascorsi. Nel ’67, infatti, un Fabrizio ventisettenne sceglie di scrivere del quartiere a luci rosse della sua città. L’amore, impossibile e struggente, è un tema che ricorre spesso nei testi del cantautore genovese. Struggente è anche l’amore dei suoi fedeli ascoltatori, che, a diciott’anni dalla sua morte, ancora si radunano l’11 gennaio in Piazza Duomo per cantarlo tutta la notte. De André, dopo aver superato tutt’altro che brillantemente il liceo, cerca di intraprendere la sua strada, senza trovarla né a Lettere, né a Medicina né a Giurisprudenza. A ventun anni (1961), dopo la lettura, tra gli altri, di Benedetto Croce ed Edgar Lee Masters, riesce finalmente a pubblicare il suo primo album –un 45 giri a due tracce- con la Karim. È già nel ’64 che rilascia uno dei suoi più grandi successi: “La guerra di

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Piero”; la storia di un militare che perde la vita, perché è, prima di tutto, un uomo. Un uomo fatto di paure, ma soprattutto di sentimenti, che sotto le armi vanno lasciati da parte. Piero è la dignità umana difesa a ogni costo, anche a quello della propria vita. A distanza di sette anni esce “Non al denaro non all’amore né al cielo”, ispirato proprio all’ “Antologia di Spoon River” di Masters. Il disco racconta i vizi di uomini che, morti, “dormono sulla collina”. È denso di ingiustizie, discriminazioni, amarezza e disagi, dovuti a malattie e dipendenze. Dipendenze che hanno reso la vita difficile anche al cantante stesso, soprattutto da alcol e sigarette. In canzoni come “Un chimico”, l’atmosfera triste lascia spazio a brevi accenni di speranza, per poi avvolgerli irrimediabilmente nell’oscurità tragica della morte. “Volume 8”, album pubblicato nel ’75, è il più malinconico della sua produzione artistica; si apre con “La cattiva strada”, che testimonia una fase di dubbi e

incertezze per l’ormai maturo poeta, che deve fare i conti con il suo passato e non più solo con il suo futuro. La sensazione di inadeguatezza nel mondo che lo circonda è confermata anche dalla celebre “Amico fragile”, in cui Fabrizio ha il timore di non riuscire a soddisfare le aspettative riposte in lui. Più complesso da apprezzare è “Rimini” (’78), in cui De André usa metafore e allusioni per esprimere il suo sconforto dovuto al fallimento del sessantotto italiano. “Coda di lupo”, in particolare, esprime l’esigenza adolescenziale di indipendenza, da leggersi come il bisogno dell’artista di distaccarsi dall’idea di lui che si era diffusa in Italia. Netti cambiamenti nello stile musicale –dovuti anche alla collaborazione con Massimo Bubola- vedono un corrispettivo anche nei temi dei suoi testi. La ripresa del tema della pace e della giovinezza ha un sapore nostalgico, sconsolato, ma per nulla rassegnato. Sulla scia di “Rimini”, esce nell’ ’81 “Fabrizio De Andrè” (o “L’indiano”). Nella notevole traccia “Se ti tagliassero a pezzetti”, viene ripreso il tema amoroso, qui molto tragicamente; è noto che in questo brano sono state censurate alcune critiche politiche e religiose. La canzone esprime l’impotenza dell’uomo di fronte ad Amore e Morte, due tra le più potenti forze della natura. Ne “Le nuvole”, del ’90, ritroviamo un tema di denuncia sociale. Si tratta della canzone “Don Raffaè”, che, cantata in napoletano, pone l’attenzione sulla situazione drammatica delle carceri d’Italia e sui legami tra Stato e mafia, indagati e smascherati nell’arco del decennio precedente. Nel ’96 rilascia “Anime salve”, suo ultimo album, da alcuni ritenuto anche suo testamento musicale. Nel ’98 gli viene diagnosticato un carcinoma polmonare, e nel ’99 si spegne un cantautore, un chitarrista, un cantante, un poeta, ma soprattutto uno spirito libero. Ciao Faber, “Con te se ne parte la primavera”.


Libri

In libro libertas

Kafka sulla spiaggia di Davide Siano IVA

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iciamoci la verità: quanti di noi, dopo un lungo pomeriggio di lettura e studio di testi per la scuola, hanno la forza mentale di prendere in mano un libro e passare la serata a leggere? Alle medie ho imparato cosa volesse dire trascorrere ore intere a leggere libri appena comprati in libreria, percepire il profumo indistinguibile della carta appena stampata, e ritrovarsi improvvisamente davanti all’ultima pagina. Dopo un blocco del lettore durato molto tempo, con le scorse vacanze natalizie la voglia di leggere per piacere è ritornata. Avevo sentito nominare diverse volte lo scrittore Haruki Murakami, uno dei capisaldi della letteratura giapponese moderna. Era da tanto tempo che avrei voluto avvicinarmi a quest’autore, così ho deciso di comprare una delle opere più apprezzate ed incominciare a leggerla ex novo. Non ero informato in alcun modo né della trama, né dello stile, né del genere letterario, perché sapevo che meno lo fossi stato, più sarei rimasto colpito nel corso della lettura. “Kafka sulla spiaggia” tratta di due storie parallele che solo alla fine andranno a congiungersi. Nella prima ritroviamo Tamura Kafka, un ragazzo di quindici anni abbandonato da piccolo dalla madre e dalla sorella. Questa separazione, abbinata ad una profezia edipica dichiaratagli dal padre dopo l’abbandono, secondo la quale Kafka avrebbe ucciso il padre e giaciuto con la madre e la sorella, spinge Il ragazzo a scappare di casa e da Tokyo rifugiandosi presso una biblioteca privata di Takamatsu. Qui viene accolto da Oshima, un giovane bibliotecario, e dalla signorina Saeki, proprietaria dell’edificio. Protagonista della seconda storia è Nakata, anziano dalla caratteristica di essere in grado di parlare con i gatti, derivata da un misterioso incidente

avvenuto nell’infanzia che provocò anche la perdita di memoria e della capacità di leggere e scrivere. Oltre a ricevere un sussidio per le sue disabilità, egli si occupa anche di ritrovare gattini dispersi e restituirli alle famiglie. Un giorno viene guidato da un cane alla casa di Johnnie Walker, figura molto ambigua, identificato dai gatti amici di Nakata come un vero e proprio cacciatore e assassino di gatti. Egli incita Nakata ad ucciderlo, e per fare ciò compie gesti molto crudi e macabri verso gatti rapiti e conosciuti dal vecchio. Dopo l’omicidio

Nakata fugge da Tokio e, animato da quello che si potrebbe definire come il Destino, compie un viaggio ai limiti dell’assurdo per portare a compimento uno scopo a lui stesso sconosciuto. Sulla trama non mi dilungo di più per evitare anticipazioni di rilevanza troppo importante; consiglio la lettura a chiunque voglia rimanere ipnotizzato dal mondo creato da Murakami. Per un’analisi specifica sullo stile, sul genere letterario e le tematiche trattate in questa e altre sue opere, vi consiglio vivamente di leggere il prossimo numero…

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Libri

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VeroniKa decide di morire

di Letizia Foschi IVB

er farla finita, a 24 anni, bastano quattro scatole di barbiturici. Veronika si sdraia sul letto e aspetta, finché gli occhi non le si chiudono sotto il peso delle compresse. L’unica cosa che non si aspettava era di risvegliarsi nella terapia intensiva di un ospedale psichiatrico, con un medico che la informa che le rimane solo una settimana da vivere , non un giorno di più, perché i barbiturici le hanno danneggiato il cuore. Paulo Coelho ci porta in un viaggio attraverso le mura di Villette, ospedale psichiatrico della Slovenia, raccontando magistralmente i pensieri e le emozioni di una ragazza alla quale non resta alcuna ragione per vivere, ma mille per attendere con ansia il settimo

giorno, quando la morte la accoglierà finalmente tra le sue braccia e la porterà via, lontana dal mondo reale che non la affascina più. In questo romanzo del 1998 l’autore de “L’Alchimista” punta tutto sull’attesa e sull’idea che “la consapevolezza della morte ci aiuta a vivere”, narrando con precisione millimetrica i pensieri di Veronika e degli altri pazienti dell’ospedale psichiatrico, Zedka, Mari ed Eduard. La giovane Veronika si permette di provare, in quegli ultimi giorni di attesa, tutte le emozioni che non si era mai concessa, come l’odio, l'amore, la rabbia e persino la felicità. E anche se il suo destino sembra segnato, il lettore si accorgerà di una cosa: Veronika, aspettando la morte, decide di vivere.

INSEPARABILI SEPARATI

Eravamo inseparabili, ma costantemente separati” Abbiamo sentito o letto questa frase in diverse circostanze, in post pubblicati da pagine social, sul profilo di una nostra amica… Non tutti sanno, però, che questa frase viene dal romanzo Scrivimi ancora di Cecilia Ahern, datato 2004, da cui è stato tratto il film “Love, Rosie” con Lily Collins e Sam Claflin. Ho scelto di iniziare con questa citazione e non con un’altra perché credo siano le migliori parole per descrivere la storia tormentata di Rosie Dunne e Alex Stewart. Migliori amici dalle elementari, tra i primi litigi, le feste di compleanno e l’odio nei confronti della

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povera maestra Casey, sono cresciuti insieme per le vie di Dublino, lei sognando di aprire un hotel e lui di diventare medico, ma la cosa che realmente desideravano era stare insieme, che nulla potesse separarli, ed era questo il desiderio in base al quale avevano organizzato la loro vita. Ma qualcosa stravolse il loro piano di partire alla volta dell’America per laurearsi nello stesso college e realizzare i sogni di sempre. Il fatto che solo Alex partì per l’America sconvolse non poco il rapporto con la sua migliore amica, che continuò sotto forma di lettere ed e-mail. È stata la lontananza che ha fatto capire a Rosie che il mal di pancia che provava ogni volta che apriva una sua lettera non

di Alissa Bisogno IA era dovuto dall’aver mangiato troppo gelato. Anzi no… era tutto finto, solo un momento di confusione… peccato che questo momento di confusione che ogni volta scompariva, tornasse portato da nuovi particolari. E in tutto questo la vita andava avanti, entrambi costruirono una famiglia… ma doveva veramente finire così? Due famiglie distanti collegate da una serie di parole che nascondono un significato più grande? Il racconto di una fantastica amicizia spalmato su pagine che raccontano una storia delicata e avvolgente, definito “Brillante, spiritoso e divertente” da Cosmopolitan e “Da batticuore “ da me. Questo libro mi ha tenuto compagnia per due settimane in Inghilterra tra gite che rinchiudevano fuori dai finestrini del pullman il mondo per un’ora o due, e quale modo migliore per scappare in un nuovo mondo, magari quello di Rosie e Alex in bilico tra quello che sono stati prima e quello che potrebbero essere poi. Quindi vi invito a sognare, a mordicchiarvi le unghie, a sperare che i guai e i momenti di disagio siano finiti (almeno per il capitolo) e chissà, forse anche a trattenere una lacrimuccia. Buona lettura. Love, Alissa


Racconti

un aiuto tra le righe

di Elisa Boscani IIB

È

stato qualche tempo fa. Ho trovato una busta stropicciata sotto il mio cuscino: non aveva né il mittente né il destinatario, ma sentivo che era indirizzata a me. Ho iniziato a leggerla: “Cara ragazza ti scrivo perché ultimamente ti vedo molto triste, e non sai quanto questo mi dispiaccia. Ti guardi sempre allo specchio con quella faccia schifata, e non ne capisco il motivo. Ti vergogni del tuo corpo e non solo: hai paura di dire la tua perché potresti essere giudicata male da coloro che ti ascoltano. Abbassi lo sguardo se incroci gli occhi di qualcun altro. Perché tutti questi timori? Ti svegli tutte le mattine con fatica, ma ci sono la tua famiglia e quelle poche persone che, nonostante il tuo carattere complicato, ti sopportano e ti danno un buon motivo per andare avanti. So che ti piace sognare, ma sognare non deve prendere il posto della tua vita. So che è meglio il mondo fatto dalle tue passioni, un mondo in cui nonostante il tuo peso vai bene lo stesso, ma anche questo mondo

potrebbe essere niente male. Non importa se sei sensibile, perché ci sarà sempre almeno una persona che condividerà i tuoi sentimenti. So che tra le milioni di risate poche sono sincere, e tutte le altre sono solo qualcosa che serve per coprire le sofferenze. Forse tutte le tue debolezze se ne andranno in futuro, e le lascerai proprio come hai fatto con le persone che ti facevano del male. Ricordo tutte le cose

che ti sono successe nella tua breve vita, sia quelle negative che quelle positive, e purtroppo, non essendo il Supremo, non ho potuto evitare che ti succedesse qualcosa di male. Vorrei fare molto di più, perchè ora posso solo darti dei consigli in base agli errori che ho fatto io nel corso della mia esperienza. Sei una bella ragazza, e ricorda, fidati sempre dei tuoi occhi: sono una finestra s e m p r e onesta per te, p e r

guardare fuori, e per gli altri, p e r guardarti dentro, dove hai un mondo indescrivibile. N o n sentirti mai veramente sola, perché non lo sei. Rialzati sempre, anche quando pensi che sia veramente giunto il momento di mollare. Sei giovane, ma non lo sarai per sempre. È per questo che ti consiglio di goderti tutto e al massimo. Non dubitare mai di niente perché proverai dolore inutilmente, e,

se dovesse arrivare una delusione, non accollarti il senso di colpa: chi ti avrà deluso si dovrà sentire in difetto. Forse i miei consigli non ti serviranno, anche perché spesso te la sei cavata anche senza di essi. Sei una donna forte, non mollare mai! Ed ora chiudi gli occhi, pensa alla persona che ti ha reso più felice al mondo, ad un ricordo che vi lega. Pensalo intensamente e ricordalo tutte le volte che ti sentirai male, per la tristezza, la delusione, per qualsiasi cosa. (Expecto Patronum ) Ti auguro buona vita! – Mentre leggevo la lettera un senso di inquietudine misto a

serenità mi invase il cuore. So che è una contraddizione, ma mi sentivo confusa, e questo mi ha portato a versare delle lacrime, non di tristezza, ma nemmeno di gioia, non so di cosa fossero. E in quell’istante qualcosa cambiò. Da quell’istante non mi sento più in difetto, fuori luogo o sola. Volevo dedicare questa lettera, per quanto possa valere, a chi si sente solo, sola o in difetto. Nessuno dovrebbe mai sentirsi così. La citazione questa volta la prendo da una canzone, diversamente dal solito: -A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia – Jovanotti, A te.

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Racconti

john de luca

John De Luca, questo è il mio nome” disse l’uomo al bancone, porgendo all’impiegato delle poste una mano pesante, ricoperta da un guanti nero e lacerato. L’impiegato, magro e chino sulla sua sedia, alzò il capo per capire a chi appartenesse quella voce così spaventosa e, ancor più insicuro, scorse il volto più minaccioso e orripilante che avesse mai visto. Dedusse che le mani dell’uomo indicassero la volontà dell’energumeno di ritirare un pacco recapitato in quello squallido ufficio di periferia; andò quindi silenziosamente a cercare un plico con “John De Luca” come destinatario. Lo sguardo ansioso e asciutto dell’impiegato percorse la ruvida carta di tutto il magazzino, ma non trovò ciò che cercava. Angosciato, capì che nulla, lì, era destinato al nome che gli incuteva tanto timore. Sempre meno sicuro sul da farsi, chiese consiglio al collega Jack Melbourne, che non lo volle nemmeno ascoltare. Quindi fece un grande respiro (come gli aveva consigliato un giorno sua madre per incoraggiarlo a dormire nonostante gli incubi) e tornò alla sua scrivania, violata dai pesanti gomiti dell’energumeno. Quest’ultimo vide Paul , l’impiegato, senza niente tra le mani, e sul suo ruvido volto apparve un’espressione aggressiva e furiosa. Paul, dopo qualche secondo di silenzio, disse timidamente: “Per lei non ci sono pacchi. Ci sarà stata un’incomprensione, un errore o chissà cos’altro… Sa, i colleghi sono pigri. Sarà in ritardo… Se mi descrive il pacco, il mittente e il viaggio che avrebbe dovuto fare, posso indagare.” John De Luca allargò per un attimo le narici e pose le mani dietro alla testa, come per rilassarsi su un’amaca all’ombra di un albero, col profumo di acqua salata: “Non posso dirti niente riguardo il mittente della busta, signorina…” L’energumeno si protese in avanti e, con il capo chino e a bassa voce, sussurrò: ”Posso dirti soltanto che è molto importante che arrivi, quel pacco. E se non arrivasse… Beh, mia cara Paula, io penserei che lo 32

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abbia preso tu.” Dunque girò i tacchi e uscì velocemente dall’ufficio postale, seguito dallo sguardo pietrificato e perso di Paul, letteralmente ammutolito. Il pover uomo non riusciva a levarsi dalla testa quel signore rozzo e inquietante, così finì per portarsi la paura dell’errore postale anche nello stretto letto del suo bilocale malandato. Pensava a tutte le possibili vie di fuga per scappare dall’uomo nel caso in cui si fosse ripresentato a chiedere un pacco, sudò freddo al pensiero di un

ipotetico smarrimento postale con John De Luca infuriato e pronto a gridare vendetta contro di lui che, poverino, pensava: “cosa c’entro io, dannazione!”. Seguì a quei pensieri la notte, infestata dagli incubi, ma rivelatrice.

di Carlo Danelon IF Infatti, quando si alzò, Paul prese consapevolezza di due cose: -Che De Luca, quello stesso giorno, sarebbe tornato (Si era convinto da solo di ciò, ne era certo) -Della sua innocenza Erano le 11:30, ed ecco John De Luca entrare deciso nell’asettico ufficio. Paul respirò e una forza inaspettata, figlia della notte passata a meditare, ad autoconvincersi, lo travolse, e i suoi occhi si colmarono di sicurezza e fiducia mai viste fin dalla sua nascita. “Eccomi signorina”, disse John appena si sedette davanti all’impiegato. “Signorina lo dice a sua sorella” scappò serpeggiante dalla bocca di Paul. De Luca, il cui viso tradì per un attimo lo stupore che cercava di nascondere dopo aver sentito tale risposta, ammise: “Ohoh, che rabbia…Hai forse bevuto qualcosa di particolarmente forte a colazione? O hai mangiato qualcosa di velenoso?” “Ho bevuto una tazza di caffè come si addice a un italoamericano quale credo sia anche lei.” Si girò verso il collega e disse: “Jack! Potresti controllare in magazzino se c’è una busta destinata a John De Luca? Cosa stavamo dicendo…Ah sì, della mia colazione” le parole sgorgavano dalla sua bocca come l’acqua veloce di un fiume in piena: “Nel caffè ho inzuppato una brioche, al cioccolato fondente” disse sporgendosi in avanti. Continuò: “Poi ho preso una spremuta d’arancia, ma era piuttosto aspra, quindi l’ho ricoperta con una polverina bianca di cui non posso fare a meno…Lo zucchero, ovviamente.” Paul era a pochi centimetri di distanza dall’enorme criminale e aggiunse: “A proposito…A me è arrivata una busta indirizzata a un certo John De Luca, conteneva una buona quantità di polvere bianca nascosta con un trucco assai banale: non ho dovuto assaggiarla per capire che non andava messa sulla spremuta.”. John De Luca era ammutolito, furioso, incapace di spiegarsi l’accaduto. Si accorse di avere due poliziotti alle spalle e due manette che gli tagliavano i polsi.


di Martina Pelusi e Valentina Tarantino IIIF

Un’interferenza blocca i pensieri Il ticchettare delle quattro frecce Migra ritmico la mente: Non esiste sofferenza E il Baratro era solo un monte. Valentina Tarantino

In fondo differenza non fa in questo giorno maledetto cercare il tuo nome o perdersi adesso. Martina Pelusi

Passato un po’ di tempo da un evento, sebbene tragico, sembra quasi che sia lecito dimenticarsene se non si è stati particolarmente coinvolti. E dunque, con questa poesia, vorrei tenere vivo il ricordo di quel terribile 24 agosto.

Alle tre e mezza, Nella notte La terra ha sussultato, Già le urla lambivano le macerie Come fresche ferite. Alle tre e mezza, Nella notte L’odore di sonno e distruzione, Alle tre e mezza, Nella notte Con il sangue sulle nocche E una preghiera sulle labbra. Valentina Tarantino

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Poesie 2.0 Quando il correttore scrive poesie a cura di Cristina Isgrò VA

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sport

MISTER WEISZ DAL CALCIO AD AUSCHWITZ

di Adriano Bertazzoni VA

I

l 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche liberano il campo di concentramento di Auschwitz. Circa un anno prima in quel campo di sterminio morì Arpad Weisz, uno dei protagonisti dello sport italiano degli anni 30. Arpad nacque a Solt, piccola città della zona centrale dell'Ungheria, figlio di ebrei. Inizia la sua carriera nel Törekves (dall'ungherese: sogno ad occhi aperti), squadra fondata ad inizio secolo dalla numerosa comunità ebraica ungherese, che aveva imparato le regole del calcio direttamente dai maestri inglesi ed era diventata principale fonte di talenti della nazionale magiara. Weisz è un'ala sinistra di incredibile tecnica. Nel 1924 partecipa ai Giochi Olimpici di Parigi, una manifestazione che vedeva favorita proprio la sua selezione insieme a quella dall'Uruguay. Ma l'Ungheria del '24 passa alla storia come la nazionale del “grande tradimento”. I dirigenti e gli organizzatori della spedizione in terra francese sono uomini affiliati al regime di Miklos Horthy, dittatore con idee antisemite. A lui si ribellano Arpad e compagni, tra i quali figura anche Béla Guttman, altro allenatore che ha fatto la storia del calcio. Il ritorno in patria è difficile: nessuno perdona a quei campioni il 3 a 0 subito contro l'Egitto, i calciatori della nazionale diventano traditori della patria. Weisz capisce che è il momento di cambiare aria e si trasferisce in Unione Sovietica al Maccabi Brno. Da qui passa in Italia. Gioca prima all'Alessandria e approda poi alla squadra italiana internazionale per vocazione. L'Inter a quel tempo si chiama Ambrosiana Milano per ragioni politiche ed è una delle squadre più forti, ma la carriera di Weisz da giocatore non decolla, da qui la decisione di diventare allenatore. Dopo un periodo di apprendistato dai maestri uruguaiani diventa allenatore dell'Ambrosiana per volere del presidente Borletti, vulcanico

imprenditore e politico meneghino. La carriera di Weisz svolta radicalmente a cavallo tra il 1929 e il 1930, anni in cui vince il campionato e scrive Il manuale del giuoco del calcio, un trattato calcistico che ottiene una discreta fama. Prima di andarsene da Milano fa esordire un talentuoso diciassettenne destinato a scrivere la storia del calcio italiano: Giuseppe Meazza, eponimo dello stadio San Siro e atleta tanto caro al regime

fascista. Ma l'apice della carriera di Arpad da allenatore arriva a Bologna. Il tecnico ungherese plasma una squadra imbattibile e grazie alle giocate di Andreolo, solido centromediano oriundo, e ai gol di Angelo Schiavio, bomber implacabile, fa festeggiare il presidente Renato Dall'Ara e l'intera città felsinea per due stagioni di fila. Ai due scudetti il Bologna aggiunge la vittoria del 1937 a Parigi al Torneo dell'Esposizione Universale, imponendosi con un perentorio 4 a 1 sul Chelsea. Ancora

una volta Parigi è la città del destino per Arpad. Tredici anni prima all'ombra della Tour Eiffel aveva subito una sconfitta umiliante, che aveva di fatto dato inizio al suo esilio in Italia, con la vittoria sugli inglesi raggiunge invece l'apice della sua vincente carriera. A Bologna Weisz trova una seconda patria: vive felicemente con la moglie Ilona, anch'ella di origine ebrea, e i due figli, Roberto e Clara. Ma è proprio al culmine della vita professionale e privata di Arpad che la storia subentra prepotentemente nelle vite della famiglia Weisz. Nel 1938 il regime fascista promulga le leggi razziali e Arpad è costretto ad abbandonare la sua amata Bologna. Ancora una volta passa per Parigi e da lì raggiunge l'Olanda. Potrebbe sfruttare le sue conoscenze in Sud America per rifugiarsi lì, ma sceglie di rimanere nel Vecchio Continente. Allena la mediocre squadra del Dordrecht e la porta a risultati incredibili, quasi alla pari dei grandi club dei Paesi Bassi. Forse riceve un'offerta per allenare una squadra di Amsterdam fondata da una comunità ebraica: l'Ajax. Ma non lo sappiamo, perchè ancora una volta la vita della famiglia Weisz è stravolta e deformata dagli eventi storici. È il maggio del 1940 e nel giro di cinque giornate primaverili l'Olanda viene occupata dalle truppe della Wehrmacht per ordine di Hitler. I Weisz vengono catturati e deportati ad Auschwitz in nome di assurde e disumane idee sulla razza. Arpad non rivedrà più la moglie e il sorriso dei suoi bellissimi bambini, uccisi nelle camere a gas di Birkenau. Dopo anni di prigionia morirà anche lui nelle camere a gas. La storia di Weisz è finita nell'oblio, soltanto negli ultimi anni sono stati riportati alla memoria i suoi successi e il racconto della sua vita che mescola crudelmente i momenti più belli del calcio di inizio Novecento e la più grande tragedia di quel secolo.

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sport

Un uomo solo al comando

di Marco Romano IVF

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2punti-11assist-10rimbalzi: queste cifre sono il risultato di un eccellente gara da parte di un giocatore? Non esattamente, queste sono le medie (no, non avete capito male) fatte registrare sinora in regular season NBA da parte di Russell Westbrook, playmaker degli Oklahoma City Thunder, nonché stella della squadra. “Un uomo solo al comando” in quel di Oklahoma, già perché in estate l’addio di Kevin Durant lo ha posto come unico giocatore capace di spostare gli equilibri all’interno della squadra. Westbrook, da parte sua, non ha esitato a mostrarci di saperlo fare, arrivando ad affiancare Oscar Robertson ed entrando in quella ristrettissima élite di giocatori capaci di far registrare una tripla doppia di media (tra l’altro, caso più unico che raro, di arrivare a dicembre con un simile risultato!). In questa stagione è stato già capace di una striscia di triple doppie consecutive 36

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di 7 partite, eguagliando i record di Michael Jordan e Oscar Robertson, capace di mettere a referto 16 triple doppie (più di molte altre intere squadre in NBA) e di dominare la lega in questa prima metà di campionato… già, perché tutte queste statistiche lui è stato in grado di produrle con buona parte della stagione ancora da giocare, e che, a fare bene i conti, è qualcosa

“Il 26 Novembre ha raggiunto un certo Lebron James nella classifica all- time Nba di triple doppie” che ha poco a che vedere con un essere umano. Per darvi un’idea della grandezza del giocatore di cui si sta parlando vi basti pensare che il 26 novembre ha raggiunto un certo LeBron James a quota 44 nella classifica all-time NBA di triple doppie. La cosa eclatante però sono il numero

di partite servite a Westbrook per eguagliare il record: Russell, che ha toccato quel giorno quota 605 partite giocate, ce ne ha messe ben 395 in meno di “Sua maestà”, non proprio l’ultimo della classe quando si parla di questa specialità. Viste queste considerazioni, MVP scontato quest’anno direte voi… beh, non proprio. Nonostante la paurosa stagione del playmaker di Oklahoma, i Thunder continuano a faticare in regular season e di questo passo potrebbero non qualificarsi nemmeno per i playoff, il che inevitabilmente abbasserebbe le possibilità che il premio possa essere assegnato al prodotto di UCLA; inoltre, contrariamente a quanto si possa pensare, è una corsa a due per l’MVP in questa stagione: 27.9punti11.9assist-8.2rimbalzi le medie di un altro playmaker, quello di Houston e avversario più accreditato di Westbrook, che risponde al nome di James Harden.


varie XANAX: LA RUBRICA ANTIDEPRESSIVA open (ma anche no) night

G

entili Carducciani adorati, mi ha fatto piacere vedervi all’open night. Voglio dire, ragazzi, è stato davvero meraviglioso restare in piedi sei ore dentro la scuola fuori dall’orario curriculare. Prima del 13 gennaio mi era capitato solo negli incubi di essere al Cardu di sera. Bisogna ammettere, però, che l’atmosfera era piacevole: i corridoi illuminati e fuori il buio, i caloriferi caldi e fuori il freddo, gli studenti sani di mente a casa a riposare e noi schizzati a bere caffè fino a mezzanotte. Insomma, ci sta. Anche il DJ set finale sembra sia stato carino, o così raccontano le cinque persone che ci sono andate. Noi della redazione abbiamo spiegato il giornalino a bambini e genitori fino a tarda serata.

Alla fine, quelli che potevano essere futuri carducciani hanno cambiato idea ascoltando i nostri deliri da caffeina. Tanto valeva mettere un cartello pubblicitario della Lavazza con su scritto “Sovraeccitatevi responsabilmente”. Però non è andata male, dai. Poteva andare peggio, poteva non esserci nessuno. Una ragazza di terza media, a mezzanotte meno un quarto, mi ha chiesto se il giorno dopo, che era un sabato, sarei andata a scuola. Ho trattenuto le lacrime a stento all’idea che in poco più di otto ore io dovevo essere di nuovo lì dentro, fresca come una rosa e scattante come una molla, con tutto l’entusiasmo di cominciare una nuova giornata seduta al mio banco davanti alla cattedra a sentirmi dire dai professori: “Ma non sei stanca dopo

ieri sera?”. No prof, assolutamente no, è nella mia routine quotidiana ripetere fino a mezzanotte quanto sia bello il nostro giornalino ad un gruppo di studenti assonnati. E CERTO CHE SONO STANCA, MA SECONDO VOI VADO A BATTERIE IO?

l’inganno del fai-da-te

I

n preda ad una morbosa ossessione dai video di fai da te che mi comparivano sulla home di Facebook sono uscita e ho comprato tutto ciò che mi era necessario per creare il mio personalissimo generatore di energia elettrica a consumo di Coca Cola. Mentre prima mi dilettavo con opere d’arte di dubbia riuscita spiegatemi passo passo da Giovanni Mucciaccia, oggi cerco di apprendere il necessario attraverso video di 10 secondi pubblicati da pagine con nomi strani. Come dicevo, sono uscita e ho comprato i pochi e fondamentali attrezzi per lavorare: colla a caldo, tavole di compensato, viti, bulloni, Coca Cola, smalto per le unghie, cocaina e delle gomme da masticare al mentolo. Secondo il video, per prima cosa bisognava fissare tra loro le tavole di compensato, poi spargere la colla a caldo sui bordi e decorare con lo smalto.

Siccome non bb produceva energia elettrica e non sapevo cosa farmene della Coca Cola e delle gomme da masticare ho provato a capire qualche parola di quello che dicevano le didascalie (erano in giapponese). Nel video sembrava così facile e veloce! Per la rabbia ho buttato tutto quello che avevo fatto e mi sono seduta, rassegnata, davanti al computer. Siccome però avanzava anche la cocaina, ho pensato che fosse stupido sprecarla rovesciandola nel lavandino. Una mia amica, poi, mi aveva detto che quella sottile farina bianca aveva un odore delizioso. Così ho dato un’annusatina, e

ora sono qui a scrivere insieme al mio gatto, che non sapevo fosse rosa shocking ma guarda te quante belle cose che si scoprono nella vita dovrei fare più spesso questi fai da te raga fantastico ho un gatto rosa!

Marzo 2017 | L'Oblò sul Cortile

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varie di Linda Del Rosso e Larabella Myers IVC

ARIETE (21 marzo – 20 aprile) Ronf...Ronf...Ronf.... Dopo le vacanze natalizie non siete ancora riusciti a resettare il vostro orologio biologico sui ritmi scolastici. Se la sera fate le ore piccole, é normale che le occhiaie dilaghino sul vostro viso la mattina dopo! Il consiglio di Venere? Un infuso al latte di capra fi fará addormentare come ghiri. Lindagora

TORO (21

aprile - 21 maggio)

Per voi questo è il periodo della matematica. Siete ossessionati dal calcolare ogni cosa per paura che la vita vi sfugga di mano. Non si può calcolare il logaritmo negativo del numero di volte che sorridete in un giorno, quindi lasciate andare le vostre preoccupazioni e provate a godervi appieno ogni momento. Larasibilla

GEMELLI (22 maggio – 21 giugno) È ora di fare pulizie, nelle vostre cose e nel vostro cuore. È il momento buono per risolvere delle questioni difficili che avete in sospeso, prendere decisioni importanti ed eliminare tutte le cose superflue che vi turbano, per fare posto a delle nuove opportunità e stringere nuovi legami. E se mentre spolverate, vi capita di trovare qualcosa che potrebbe essere utile a qualcuno in difficoltà, perchè non donarglielo? Larasibilla

CANCRO (22 giugno - 22luglio) Non riesci a smettere di pensare con malinconia ai bei tempi d’estate, di resort paradisiaci sul mare, di Crodini e Cornetti insabbiati e di amori impossibili di oniroche “summer nights”. Ma non temere, manca solo febbraio, marzo, aprile… maggio… un pochettino di giugno… e poi anche tu potrai unirti ai surfisti e alle gnocche di Bay Watch! Larasibilla

LEONE (23 luglio – 23 agosto) Le muse eliconie fanno pulsare la vostra vena artistica. Scrivete e disegnate su qualsiasi cosa vi passi sotto mano, ma invece di tormentare il vostro vicino di banco riempiendo le pagine del suo diario metteste il vostro talento a buon frutto partecipando ai concorsi dell’Oblò? Larasibilla

BILANCIA (24 settembre – 23 ottobre) Dopo molte burrasche, il clima a casa sembrerá essersi mitigato per un po’. Ma una nuova perturbazione sconvolgerá casa vostra: tutti i membri maschili (compresi voi, se lo siete) saranno colpiti dalla terribile “sindrome dell’ascella molesta”. Potete immaginare voi quali siano gli effetti collaterali, quindi munitevi al piú presto di deodorante e profumatore per ambienti. Lindagora

SCORPIONE (24 ottobre – 23 novembre) Quando all’Epifania la Befana è passata a riempirvi le calza di leccornie, non le avete affatto riservato un buon trattamento. Non vi vergognate di aver esposto in cucina un calzino puzzolente? Purtroppo per voi, la vecchia sta meditando un’amara vendetta. Proteggete con cura la vostra schiena, se non volete prendere un colpo della strega. Lindagora

SAGITTARIO(24novembre-21dicembre) In questo mese l’orbita lunare si trova allineata con il cateto maggiore del triangolo che unisce i tre pianeti interstellari. Sfoderate arco e frecce perché é il momento opportuno per centrare il vostro obbiettivo. Se c’é qualcosa a cui mirate da tempo, “carpete diem”, altrimente ve ne pentirete amaramente. Lindagora

CAPRICORNO (22 dicembre – 20 gennaio) State attenti mentre camminate per strada questo mese! Il giorno 27 febbraio alle 17 succederà un fatto che potrebbe cambiarvi la vita, ma solo se sarete pronti a reagire, altrimenti l’occasione sarà persa per sempre. Larasibilla

ACQUARIO (21 gennaio – 18 febbraio) Ormai la vita da spiaggia é un ricordo lontano e dalla vostra pelle pallida é scomparso il segno dell’abbronzatura.Anche le macchie solari stanno drasticamente diminuendo e tutta la galassia é in carenza di vitamina D. Mi raccomando: mangiate tante carote! Lindagora

VERGINE (24 agosto – 23 settembre)

PESCI (20 febbraio – 20 marzo)

Nella tua lista di propositi per l’anno nuovo sembra esserci tutto tranne il recuperare i contatti con il tuo vecchio amico con cui passavi le giornate alle elementari. Cosa sta facendo adesso? Perchè non provate a scrivergli, potreste scoprire di avere ancora qualcosa in comune che vi renderà di nuovo legati e vi unirà nell’affrontare il 2017! Larasibilla

La cogestione 2017 vi riserverá tante sorprese, se saprete sfruttare l’occasione. Attenzione a non compiere lo stesso errore dell’anno scorso: vi ricordate quando avete rinunciato all’interessantissima lezione su “le rane dalla bocca larga e il loro habitat naturale” soltanto perché nessuno dei vostri amici avrebbe partecipato? Lindagora

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L'Oblò sul Cortile | Anno XI, n° III


Marzo 2017 | L'Oblò sul Cortile

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Quanto spesso quei signori che vogliono parire dotti e ineccepibili ai vostri occhi si tradiscono nel modo più brutale ed esilarante? Inviaci anche tu le peggiori frasi dei tuoi prof... DURANTE L’ORA DI ARTE X: eh magari perchè c’era una distinzione tra pittura accademica e quella per i ceti bassi PROF: mah, guarda, in realtà ai ceti bassi non gliene frega niente della pittura DURANTE L’ORA DI STORIA PROF: Perchè ragazzi, in un caso o nell’altro, siamo nella cacca fino al collo, e non è nutella DURANTE L’ORA DI LATINO PROF (spiegando dell’istruzione romana): Beh, come studiava Clara di Heidi X: seduta

DURANTE L’ORA DI STORIA X: Prof, Prof posso andare in bagno? PROF: Cos’hai? Epistassi? X: No, no! mi esce sangue dal naso!

DURANTE L’ORA DI INGLESE PROF: X, ti puoi collegare alla realtà invece di vivere solamente di sensazioni corporee? DURANTE L’ORA DI STORIA PROF (spiegando gli anni 20 in America): La borsa di New York sembrava una vacca che si poteva continuare a mungere

DURANTE L’ORA DI INGLESE X: Prof, scusi, ma questo è il manifesto. ..? Y (urlando): Del partito comunista!!!

DURANTE L’ORA DI ARTE PROF: Adesso esaminiamo questo quadro (di Botticelli) in cui la Madonna assume la tipica posizione dei malati spastici [...] in quest’altra opera, Cristo fa “blooop” DURANTE L’ORA DI ARTE PROF: Daverio poi qui nel filmato fa tutta un’analisi psicosessu...ehm psicologica DURANTE L’ORA DI FISICA PROF: Se hai un teorema è per tutta la vita DURANTE L’ORA DI FISICA PROF: il vostro libro propaganda i gradi Kelvin

Contatti:

DURANTE L’ORA DI FISICA PROF: X, portami il quaderno X: Prendo l’antibiotico e glielo porto PROF: eh ma io non ho il diritto... non ho l’autorizzazione per somministrarlo DURANTE L’ORA DI FISICA IN INGLESE PROF: the video is ready, but the time is finish but non importa

DURANTE L’ORA DI SCIENZE X: Prof., ma qual è la sua classe preferita? PROF: Ho un rapporto con le classi come don Giovanni con le donne

DURANTE L’ORA DI FISICA PROF: esplode un botto, quindi un botto esplode

DURANTE L’ORA DI LATINO (L’orologio cade) PROF: E’ giunta la sua ora.

L’Oblò Sul Cortile oblo.cortile.carducci@gmail.com oblo.cortile.sito@gmail.com oblo.cortile.concorsi@gmail.com

Oblò sul Cortile Carducci

L’Oblog sul Cortile

LA REDAZIONE SI RIUNISCE ALLE 13.30 IN 5A


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