Alfagatto

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disegni originali di Gabriella testi di Paola

Gallerani Gli Alfagatti sono una razza speciale: sono, innanzitutto, i gatti di razza (e non) dipinti pelo per pelo dall’illustratrice naturalistica Gabriella Gallerani, in ordine alfabetico. A ciascuno la propria lettera per arrampicarsi, nascondersi, stiracchiarsi, giocare, sbadigliare o semplicemente stare in posa: e allora A come Angora, B come Bengala, C come Certosino, D come Devon Rex… G come gatto (e come cosa sennò?), e ancora M come Maine Coon, P come Persiano, S come Siamese… fino a Zzzz come le 18/20 ore che un gatto trascorre quotidianamente a dormire. Ma gli Alfagatti sono anche “i” gatti che hanno fatto la storia… e la letteratura, il cinema, i fumetti, la musica e, naturalmente, la felicità degli autori che hanno condiviso la vita con loro. Siano essi tigrati o pointed, rossi o neri, randagi o di razza, questi gatti hanno tutti una cosa in comune: hanno tutti un Nome. E allora ecco un alfabeto di oltre 600 gatti “alfa”, con altrettante piccole storie, “spulciate” da Paola Gallerani: senza Apollinaris, Bébert, Boise, Catarina, Giuseppe, Murr e Tyke, Twain, Celine, Hemingway, Poe, Morante, Hoffmann e Kerouac avrebbero scritto allo stesso modo? E se siamo certi che si debba a Pulcinella La Fuga del Gatto per clavicembalo composta da Domenico Scarlatti, senza Elvis (il gatto, altrimenti sarebbe una domanda retorica), John Lennon avrebbe composto quelle stesse canzoni? Se non ci fosse stato Spithead, Newton avrebbe inventato la gattaiola? E che dire del Fripouille di Klee, “dei” Sam di Warhol e della Polly di Kubrick? Gatti muse, nel senso più tradizionale, ma certo anche Micetto, che si nascondeva nelle sottane di papa Leone XII, Brilliant, l’angora prediletto di Luigi XV, Lucifer e Perruque, le eminenze pelose di Richelieu, Jock che assisteva Churchill nei consigli di guerra, e Socks il “First Cat” di Clinton alla Casa Bianca avranno contribuito a ispirare non poche decisioni. E se Mitsou e Marcus sono i gatti di famosi attori (Marilyn Monroe e James Dean), Orangey e Pyewacket sono attori famosi (Colazione da Tiffany e Una strega in Paradiso). CC, il primo gatto clonato, e Nadjem il primo gatto egizio ricordato “per nome” sono invece gatti da primato, mentre All Ball è il primo gatto di un primate, la gorilla Koko. Infine, che ne sarebbe di Alice senza il gatto del Cheshire, o di Titti senza Silvestro? Perché anche i nomi di gatti “inventati” hanno posto in questo libro che è insieme un ritratto inedito, per stile e bellezza delle illustrazioni, dell’aspetto di alcune delle più affascinanti “tigri in casa” e un’antologia delle caratteristiche memorabili e uniche che rendono ogni gatto degno di un Nome.

€ 19.00

www.officinalibraria.com

Gabriella & Paola

G

allerani

A l f a



A lfa atto G Ai miei gatti, passati, presenti e futuri Garga(ntua), Erasmo da Romussi, Bianca, Padam, Mi(naccia)Mi(nuscola), Inutil, Birba e Quazzo P. G.


In copertina A come American Curl G come gatto Birba (vedi p. 124)

Progetto grafico e impaginazione Paola Gallerani Segreteria di redazione Serena Solla Fotolito Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio, Milano Stampa Graphicom, Vicenza

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. isbn: 978-88-97737-15-5 © Officina Libraria, Milano, 2013 © Paola Gallerani per i testi e le traduzioni (dove non diversamente specificato), 2013 © Gabriella Gallerani per le illustrazioni, 2013 Officina Libraria via Carlo Romussi 4 20125 Milano, Italia www.officinalibraria.com Printed in Italy


Gabriella Gallerani disegni originali

Paola Gallerani testi

lfa atto



Il nome del gatto he il Nome del gatto sia una faccenda seria è risaputo, molto, molto prima che T. S. Eliot dedicasse all’argomento uno dei capolavori della poesia del Novecento. Nel Libro dei morti del papiro di Nebseni al British Museum di Londra, databile alla XVIII dinastia egizia (quella di Nefertiti e Tutankamon, per capirsi, ossia un millennio e mezzo avanti Cristo), compare un gatto dio, nientemeno che Ra. Ora, sappiamo quanto potere, secondo gli egizi, fosse racchiuso nell’«effabile, ineffabile» nome del dio, come racconta Frank Henry Brooksbank (Legends of Ancient Egypt, 1923): «Quando Ra, il più grande fra gli dei, fu creato, suo padre gli dette un nome segreto, così terribile che nessun uomo osava cercare di scoprire, e così intriso di potere che tutti gli altri dei desideravano conoscerlo e possederlo». Non sarà perciò un particolare trascurabile il fatto che il Libro dei morti si soffermi sul nome del Gatto Ra, Mau: «Io sono il gatto che lottò coraggiosamente presso l’Albero di Acacia a Eliopoli la notte in cui i nemici del tramonto furono distrutti. Chi è questo Gatto? Questo Gatto maschio è il dio del sole Ra in persona che fu chiamato Mau per il discorso che il dio Sa fece su di lui: Egli è simile [mau] a colui che lo ha creato, e quindi il nome Ra diventa Mau». Che poi «mau», più prosaicamente, sia diventato il termine egizio comune per gatto, come il nostro «micio» (e da qui il nome di una delle più antiche razze feline note, l’Egyptian Mau appunto)… è un’altra storia. Resta il fatto che, dalle piramidi ai grattacieli, la questione del Nome del gatto non ha smesso di occupare le menti più raffinate di poeti, artisti, scrittori, musicisti, attori e registi: con gli esiti alterni di cui questo libro dà ampiamente conto, e nonostante le migliaia di Micino, Pallina, Minou, Minouche, Tom e Kitty… Anzi, perfino quando il gatto viene chiamato Gatto c’è un perché. Dalle ragioni addotte da Pierre Loti, che in una lettera all’amico Paul Mégnin, elencando i propri felini, comincia con: 5


«Primo. Il Gatto (Le Chat). Non ha un nome. È il Gatto per eccellenza, e lo chiamiamo ‘il Gatto’, come i romani dicevano ‘Urbs’, al posto di Roma, la Città per antonomasia.» A quelle che Truman Capote fa pronunciare a Holly Golightly in Colazione da Tiffany: «‘Povero disgraziato,’ disse, grattandogli la testa, ‘povero disgraziato senza nome. È un pochino scomodo, il fatto che non abbia nome. Ma io non ho nessun diritto di darglielo: dovrà aspettare fintanto che non apparterrà a qualcuno. Ci è giusto successo di incontrarci al fiume un giorno, noi non ci apparteniamo l’un l’altra: è una creatura indipendente, e così lo sono io». Esistono anche casi paradossali, come quello del gatto della cantante Norma Tanega chiamato Dog (Cane), forse perché lo portava quotidianamente a spasso nel quartiere, come canta nel suo singolo di debutto, Walkin’ My Cat Named Dog. Mentre l’impavido felino che salvò la signora Frances Martin da un aggressore giunto fino nella sua camera, mettendolo in fuga a suon di graffi, aveva l’inappropriato nome di Mouse (Topo). Poi c’è anche chi se ne disinteressa, come la strega quasi diplomata Miss Price (Angela Lansbury) nel film Pomi d’ottone e manici di scopa, a proposito del suo familio nero: «Come si chiama il suo gatto?» «Non credo nel dare agli animali nomi ridicoli. Lo chiamo perché questo è il nome col quale è arrivato».

Brivido Cosmico,

Ma in generale l’onomastica del gatto è una questione che impegna il cardinale di Richelieu come Ernest Hemingway, passando dal pioniere del telegrafo Sir Oliver Lodge, per citare alcuni tra i più «accaniti» ailurofili (da ailuros, greco per gatto). L’inglese Robert Southey (la cui prosa è ammirata persino dal suo acerrimo nemico Lord Byron) basterebbe da solo a riempire le pagine dell’Alfagatto con il «Cat-a-log» che egli stesso fa nei memoirs della sua tenuta a Greta Hall: Beelzebub of Bath, Senhor Thomas de Lisboa, Lord Nelson, Bona Marietta, William Rufus, Danayr le Roux, Bona Fidelia, Madame Catalani, Madame Bianchi, Pulcheria, Ovid, Virgil, Othello, Zombi, Prester John (poi Pope Joan), Rumpelstilzchen e Hurlyburlybuss. E non si tratta mai di nomi scelti a caso, basta leggere quanto Southey spiega a proposito dell’ennesimo gatto nero adottato: «Secondo l’unanime desiderio dei bambini, mi sono assunto il compito di dargli un nome, perché non sta bene che un gatto ne rimanga privo. Prendendo in considerazione il suo aspetto, così come il sesso, il mio primo pensiero è stato quello di chiamarlo Henrique Diaz…; ma mi venne poi in mente che lo Zombi [il titolo dei Capi del Palmares neri] sarebbe stata una denominazione parimenti appropriata e ancora più degna. E così fu chiamato lo Zombi». 6


E che cosa dire degli oltre 50 gatti di Hemingway, quasi tutti con sei dita a zampa (al punto che i gatti polidattili, ossia con questa anomalia genetica, sono noti anche come Hemingway’s Cats), tra cui Ambrose (dal poeta Ambrose Bierce), Bates, Big Boy Peterson, Blindie, Dillinger (successivamente Boise), Ecstasy, Furhouse, Good Will, Pelusa, Princessa, Shopsky (originariamente Shakespeare e Barbershop), Spendy, Thuster e Willy? Certo, ai gatti (come agli umani) non va sempre bene in quanto a onomastica. Mark Twain, in una lettera al «St. Nicholas Magazine» scrive: «Non so se ci sia qualcosa di interesse nazionale o internazionale nel rendicontare di questi gatti. Non hanno una storia. Non si sono distinti in alcuna maniera. Sono morti presto – si pensa a causa del sovrappeso dovuto ai loro nomi – ‘Sour Mash’, ‘Apollinaris’, ‘Zoroaster’, ‘Blatherskite’… nomi dati non per dispetto, ma puramente per far fare pratica ai bambini di ampi e difficili stili di pronuncia. È stata un’idea molto felice – per i bambini, intendo». Le fonti di ispirazione sono, comunque, le più svariate: «Rue Mansard, avevo un gatto, al quale si era dato il nome di un personaggio delle Walkyrie. Mime era bello come un amore», racconta Catulle Mendès (1841-1909), marito di Judith Gautier, che condivideva la passione felina con il padre, Théophile Gautier. E il comte de Marcellus ricorda: «Ho conosciuto a Napoli il gatto dell’arcivescovo di Taranto, Pantalone, che prese il nome da una maschera di Venezia», ed è difficile che sfugga l’origine shakespeariana del nome degli altri due gatti di monsignore: Desdemona e Otello. Non sempre le motivazioni sono così auliche: il siamese Poo Jones, inseparabile compagno dell’attrice Vivien Leigh negli anni Sessanta fino alla morte, deve il nome al suo giovane ammiratore Jones Harris. Jones (Poo, non Harris) le dormiva sulle spalle e attendeva pazientemente la fine degli spettacoli in camerino, come Harris. Capita anche che i gatti cambino nome, come il Gavroche di Victor Hugo divenuto Chanoine, a indicare la sua indolenza da canonico, ma in seguito a una falsa etimologia suggerita in una delle lettere di Le Rhin, quando un anziano soldato che fa da guida in una chiesa, mostrando gli stalli nel coro afferma con gravità:

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«Ecco il posto dei Gamonici [Chamoines]». E Hugo chiosa: «non credete che si debba scrivere ‘gatti-monaci’ [chats-moines]?» Spesso il nuovo nome indica un qualche genere di promozione, come nel caso del gatto di Bentham, passato da Sir a Reverendo Dottore, del micetto di origine cubana di Théophile Gautier che: «A causa del suo candore immacolato ricevette il nome di Pierrot che, una volta cresciuto, si allungò in Don-Pierrot-de-Navarre, infinitamente più maestoso e che rendeva l’idea di grandezza». E dell’«alfagatto» di casa Lessing, che: «ha un nome cerimonioso e altisonante che gli era stato conferito nel momento in cui aveva abbandonato la condizione di gattino e le sue qualità erano divenute evidenti. Lo chiamammo Generale Nasorosa Terzo, volendo con questa scelta rendere omaggio, e forse ricordare a noi stessi il fatto che anche il gatto che riceve il miglior trattamento alla fine ti abbandona. […] Come accade a certe persone, questo gatto acquista nomi sempre diversi man mano che il tempo consente di fare scoperte, cosicché di recente, a motivo della sua forza morale e della sua capacità di commentare una situazione con giudizi silenziosi, per un certo periodo lo abbiamo chiamato vescovo Butckin. […] è un gatto splendido … El Magnifico … è il nome che gli si addice di più.» (Doris Lessing, Rufus, 1989) Ma capita anche che il cambiamento di nome corrisponda a un imprevisto cambiamento… di «genere»: Lucinda diventa Lucius, Olly diventa Olivia, ma l’Elvis di casa Lennon, sebbene divenuta madre, mantenne immutato il nome… In ogni caso, anche se il nome non ha dotte ascendenze, bisogna che calzi a pennello, come nella poesia di Thomas Hood, Il battesimo dei gattini: «La nostra vecchia gatta ha avuto tre micetti Quali pensi che siano per loro i nomi perfetti! Una è soriana dagli occhi smeraldo, con una coda lunga e flessuosa E il suo temperamento in fretta diventa caldo Se per caso offenderla si osa. Penso che potremmo chiamarla così Penso che potremmo chiamarla colà

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Dai, non pensi che Pepaiola sia un nome carino per quella gatta là?» Insomma, trovare il nome appropriato richiede una certa inventiva e Carl Van Vechten, pur non dedicando la sua erudizione enciclopedica sulle «tigri in casa» a un’analisi dei loro nomi (The Tiger in the House, 1920), centra il problema con un’unica illuminata frase: «Dare un nome ai gatti va oltre le capacità di una mente ordinaria». E a suffragio di questa verità cita la sconfortata ammissione di Samuel Butler: «Dicono che la prova di questa [la creatività letteraria] sia se un uomo possa comporre un’iscrizione. Io dico ‘sa egli dare un nome a un gattino?’ E in base a questa prova io sono bocciato, poiché non so». Pare infatti che dei dieci nomi da lui proposti per registrarsi alla Cat Fanciers’ Federation ben nove siano stati respinti poiché già utilizzati… Ma, se può valere come consolazione, era in buona compagnia: Pierre Loti, quello che chiama il suo gatto Gatto, in Vite di due gatte (1900) a proposito delle protagoniste del racconto, Moumoutte Blanche, l’aristocratica, e Moumoutte Grise, la micetta dei bassifondi cinesi, ammette: «Che mi si perdoni di averle chiamate entrambe ‘Moumoutte’. Per cominciare non ho mai avuto immaginazione per dare dei nomi alle mie gatte…». Van Vechten conclude che «la mancanza di immaginazione o creatività che la maggior parte delle persone dimostra nel battezzare i gattini è quasi al di là della credibilità», questo repertorio potrà fornire qualche suggerimento…

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Macek, il gatto dello scienziato serbo naturalizzato statunitense Nikola Tesla (1856-1943), al cui pelo elettrostatico si devono alcune delle principali scoperte sull’elettromagnetismo.

Magnificat, il gatto Marcus, il siamese donato da Liz Taylor (1932bianco e nero di Philip K. Dick (1928-1982): l’autore che ispirò Blade Runner ebbe più mogli che gatti (5 a 2).

2011) a James Dean (1931-1955) durante le riprese del Gigante (1956) insieme alla ricetta per la sua pappa: un cucchiaino di sciroppo Karo, una lattina abbondante di latte condensato, un tuorlo d’uovo e l’equivalente di acqua bollita o distillata; mescolare e far raffreddare.

Marshmoff, il gatto nero di Frank Zappa (1940- Marramaquis e Micifuf vedi Zapachilda (p. 114) 1993), appollaiato sulle spalle del chitarrista statunitense nella copertina dell’album LSO (1987, vol. 2).

Matisse, il gattino rosso con inclinazione per la pittura e Minou,

la micetta bianca come la mamma Duchessa, sono i fratelli di Bizet negli Aristogatti, film animato Disney del 1970.

Menegheto,

il gatto bianco con macchie tigrate sulla testa e la collottola, che compare in molti dei dipinti del pittore italiano Jacopo Bassano (1510-1592).

Minette, la gatta

Mike, «il gatto del

Museo» che dal 1909 al 1929 assistè i custodi del cancello principale del British Museum di Londra. Fu introdotto al servizio dal «gatto bibliotecario» Black Jack (vedi p. 50).

Matilda, l’attuale

concierge dell’Algonquin Hotel di New York, che risponde alle mail all’indirizzo cat@ algonquinhotel.com. Pare che per il suo settimo compleanno, nel 2002, abbia sorpreso gli oltre 150 invitati saltando nella torta, invece di limitarsi a spegnere le candeline… Vedi anche Hamlet

Mimi vedi Rosa Luxemburg

Maud Gonne, musa del poeta irlandese William Butler Yeats (1865-1939), celebrato nella poesia The Cat and the Moon (1918).

Mimsie, nata nel 1968,

comincia la sua carriera cinematografica con uno sbadiglio: quello usato dalla casa di produzione Mary Tyler Moore come parodia del leone ruggente della Metro-Goldwin-Mayer.

Minou (1), la gatta di George Sand (Amantine

Lucille Aurore Dupin, 1804-1876) che faceva colazione nella tazza della scrittrice francese.

Minouche (1), la micetta bianca favorita da Minouche (2) e Coussi, i micetti Émile Zola (1840-1902), detta anche «la Joie del pittore francese Henri Matisse (1869-1954). de Vivre» (come il romanzo del 1884). Mooch, il micetto nero Morris, già Mitsou, il persiano bianco di compagno del cagnetto Earl Luky, il primo dei Marilyn Monroe (Norma Jean

che Anna Frank (1929-1945) dovette lasciare per la fuga nel 1942, e , il gatto di Peter Van Pels che visse confinato nell’annesso segreto con Anna e la sua famiglia. Nella casa di Amsterdam circolava anche il grasso (dal nome di certi biscotti, Moffen, a forma di maiale, nome usato dipregiativamente anche per indicare i tedeschi).

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4 mesi, il 6 settembre 1950 scalò l’omonima montagna, il nostro Cervino (4478 m), dal versante svizzero, accompagnando un gruppo di scalatori allibiti fino alla cima… e ritorno.

Minnaloushe, il gatto di

Moortje, la gattina nera

Moffie

Matterhorn è il nome del gatto che a

nero, nato nelle stanze di Raffaello in Vaticano, cresciuto da papa Leone XII (Annibale della Genga, 1760-1829), che lo teneva nascosto in grembo durante le udienze, e lasciato in eredità a François René de Chateaubriand (1768-1848), scrittore, politico, ambasciatore francese a Roma, che lo portò a Parigi, dove non gli fece rimpiangere la Cappella Sistina.

Minou (2), la siamese

Mouchi

vedi Williamina (p. 102)

Micetto, il gatto grigio e rosso, tigrato

di Gottfried Mind (1768-1814), artista svizzero, detto il «Raffaello dei gatti».

di un giovane Pablo Picasso (1881-1973). L’amicizia tra il genio spagnolo della pittura e il gatto nacque da una salsiccia rubata.

The Master’s Cat

Mortensen, 1926-1962): l’attrice americana non riusciva a trovare un veterinario, perché quando telefonava dicendo «Sono Marilyn Monroe. La mia gatta sta per avere dei cuccioli», pensavano fosse uno scherzo e mettevano giù…

Muezza, la gatta del

profeta Maometto (570-632), fondatore della religione islamica: secondo la tradizione il profeta preferì tagliare il proprio mantello piuttosto che disturbare il gatto che ci si era addormentato sopra.

dal 1994 nelle strisce dei Mutts di Patrick McDonnell.

Murr il gatto filosofo

dello scrittore tedesco Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann (1776-1822), coautore delle Considerazioni filosofiche del gatto Murr (1820-1822).

tigrati rossi parlanti resi famosi dalla pubblicità di cibo per gatti 9 Lives, scoperto in un gattile di Chicago nel 1967, fu soprannominato «il Clark Gable dei gatti».

Mysouff I e II, i gatti del romanziere francese

Alexandre Dumas (1802-1870). Il primo aveva una «vocazione da cane», il secondo, per essersi divorato 500 franchi di rari uccelli esotici fu sottoposto a regolare processo e grazie all’arringa di difesa di Nogent Saint-Laurent se la cavò con una condanna per complicità con le scimmie, con l’attenuante della sua giovane età, facilmente influenzabile.


M come Maine Coon

È la prima razza a pelo lungo emersa naturalmente negli Stati Uniti, nell’area del Maine, intorno al 1770. Il mantello tabby e la lunga coda a pennacchio hanno fatto erroneamente pensare a un incrocio tra gatti e procioni (racoon in inglese). Mantello: semilungo e folto, con gorgiera pronunciata, e peli tra le dita delle zampe; sono riconosciute più di 60 combinazioni di colori e disegni. Carattere: equilibrato e reattivo, ama i luoghi alti per controllare il territorio e giocare con l’acqua; più che miagolare «trilla».

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Madame Théophile D

Un giorno, un nostro amico, in partenza per qualche tempo, ci affidò il suo pappagallo affinché lo curassimo durante la sua assenza. L’uccello, che si sentiva spaesato, era montato in cima al suo trespolo con l’aiuto del becco, e girava su se stesso con un’aria decisamente sbigottita, gli occhi come due chiodi dalla testa di ottone, socchiudendo la membrana bianca che fungeva da palpebra. Madame Théophile non aveva mai visto un pappagallo, e questo nuovo animale suscitava in lei evidente stupore. Immobile come un gatto egizio imbalsamato nel suo intrico di bende, guardava l’uccello con aria di profonda meditazione, cercando di radunare tutte le nozioni di storia naturale che era stata in grado di procurarsi sui tetti, in cortile e in giardino. L’ombra dei suoi pensieri attraversava le pupille variabili e vi potemmo leggere questo sunto delle sue investigazioni: «Si tratta senza dubbio di un pollo verde». Giunta a questa conclusione, la gatta saltò giù dal tavolo dove aveva fissato il suo osservatorio e andò ad appiattirsi in un angolo della camera, il ventre a terra, i gomiti in fuori, la testa bassa, la spina dorsale tesa a molla, come la pantera nera del dipinto di Gérome, che guata le gazzelle che vanno al lago a dissetarsi. Il pappagallo seguiva i movimenti della gatta con un’inquetudine febbrile. Rizzava le penne, agitava rumorosamente la sua catenella, alzava una delle zampe stringendo le dita, e passava e ripassava il becco sul bordo della mangiatoia. Il suo istinto lo avvertiva che un nemico stava meditando un brutto tiro. Quanto agli occhi della gatta, fissi sull’uccello con un’intensità rapita, dicevano con un linguaggio che il pappagallo comprendeva perfettamente e che non aveva niente di ambiguo: «Sebbene verde, questo pollo deve essere buono da mangiare». Seguimmo la scena con interesse, pronti ad intervenire se fosse stato necessario. Madame Théophile si era impercettibilmente avvicinata: il suo nasino rosa fremeva, socchiudeva gli occhi e i suoi artigli retrattili facevano dentro e fuori. Piccoli brividi le percorrevano la spina dorsale, come succede a un buongustaio che sta per mettersi a tavola di fronte a una gallina tartufata; godeva all’idea del pasto succulento e raro che stava per fare. Improvvisamente la schiena si inarcò come un arco teso e un salto elastico e vigoroso la fece atterrare proprio sul trespolo. Vedendo il pericolo, il pappagallo esclamò subito con una voce roca, solenne e profonda come quella di Joseph Prudhomme: «Hai fatto colazione, Jacquot?». Questa frase provocò un indicibile spavento nella gatta, che fece un balzo indietro. Una banda di trombe, una pila di piatti che s’infrange a terra, un colpo di pistola nelle orecchie non avrebbero causato nel felino un terrore più vertiginoso. Tutte le sue idee ornitologiche furono sconvolte. «E cosa hai mangiato? Dell’arrosto del re» continuò il pappagallo. La fisionomia della gatta diceva chiaramente: «Non è un uccello; è un Monsieur: parla!» «Quando bevo del chiaretto, tutto gira, tutto gira intorno al gabinetto», cantò l’uccello con picchi di voce assordanti, poiché aveva capito che lo spavento suscitato dal suo parlare era la sua miglior difesa. La gatta gettò su di noi uno sguardo intensamente interrogativo e, non ritenendosi soddisfatta dalla nostra risposta, andò a nascondersi sotto il letto, da dove fu impossibile farla uscire per il resto della giornata. Théophile Gautier, La Ménagerie intime, Paris, Alphonse Lemerre, 1869.

D

La «moglie» felina di Théophile Gautier, così chiamata poiché condivideva con lo scrittore «un’intimità coniugale», dormendo ai piedi del letto, sognando sul bracciolo della poltrona mentre scriveva, accompagnandolo nelle passeggiate in giardino… 62



Tabby (1), il gatto di Abraham Lincoln (1809-1865), sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America.

Tango, il gatto rosso

castrato di Sir Winston Churchill (1874-1965), politico e primo ministro inglese, ritratto da Sir William Nicholson. Vedi anche Jock e Nelson

Ted NudeGent,

vedi Octavius

Tao, il siamese protagonista

insieme al Labrador retriver Luath e al Bull Terrier Bodger dell’Incredible Journey attraverso il Canada scritto da Sheila Burnford (1918-1984) nel 1961 e diventato un film Disney due anni dopo.

Thisbé vedi Pyram

lo sconsolato sphynx interprete del Signor Bigolo (un angora bianco come il Solomon di Blofeld, reso glabro dal processo di «scongelamento») nel film Austin Powers, Il controspione (1997).

Tinker Toy, il

gatto più piccolo del mondo, un himalayano tascabile alto 7 cm e lungo 19 cm.

Mr Tinkles,

il persiano bianco con manie di onnipotenza nel film Come cani e gatti di Lawrence Guterman (2001). Il suo piano? Rendere tutti gli umani allergici ai cani in modo da poterli poi sopraffare.

Tom (2), il gatto

che dagli anni ’40 insegue il topo Jerry nei cartoni animati creati da Joseph Barbera e William Hanna.

Tabby (2), Tavy, Tittlebat, Tommy, Toozle

Tibert, il gatto che

fa a gara di astuzie con la volpe nel Roman de Renart, la racolta di racconti del XII e XIII secolo.

Toufou, il gatto di

René Barjavel (19111985), giornalista e scrittore di fantascienza francese.

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nero) di Raymond Chandler (1888-1959), creatore dell’investigatore Philip Marlow. Il suo aiuto consisteva nel sedersi sulle bozze mentre Chandler cercava di correggerle. È anche nota una sua lettera a un altro gatto: «Vieni da queste parti quando il tuo muso sarà pulito e discuteremo dello stato del mondo, della follia degli uomini, della prevalenza della carne di cavallo sebbene noi si preferisca la parte del filetto nella costata di manzo, e della nostra comune difficoltà ad avere le porte aperte al momento giusto e i pasti serviti a più frequenti intervalli. Ho ottenuto di arrivare a 5 al giorno col mio personale, ma c’è ancora margine di miglioramento».

Tiger, il gatto di Emily Brontë (1818-1848)

che giocava ai suoi piedi mentre scriveva Cime tempestose (1847) probabilmente insieme agli altri gatti menzionati nelle lettere di Emily e nei diari di sua sorella minore Anne: (3), Martha Brown, Flossey e Keeper.

Tobermory, il «‘gatto

Thomasina, la gatta

che si crede una divinità egizia protagonista del romanzo di Paul Gallico (1897-1976) Thomasina: The Cat Who Thought She Was God (1957), diventato il film Disney del 1964, Le tre vite della gatta Tomasina.

Tom Kitten,

il gatto della figlia del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy (1917-1963), Caroline (1957), secondo inquilino felino della Casa Bianca dopo Slippers (p. 86).

Toto, il gatto che nel

1944 salvò una famiglia dall’eruzione del Vesuvio.

Taki, la «segretaria» (un magnifico persiano

Tabby

superiore’ di straordinaria intelligenza» che apprende a parlare dal signor Cornelius Appin, seminando il panico tra gli ospiti di Lady Blemely, poiché ne rivela con grande aplomb e totale indiscrezione i retroscena, nella novella di Saki (Hector Hugh Munro, 1870-1916) in Le cronache di Clodoveo, 1911.

Tonto, il gatto rosso compagno del viaggio coast-to-coast di Harry (Art Carney) nel film Harry e Tonto (1974).

Tom (1), il primo

gatto a rendere celebre questo nome, tanto che in inglese indica il gatto maschio casanova per antonomasia (Tomcat) compare nel romanzo The Life and Adventures of a Cat pubblicato nel 1760.

Topper, il gatto bianco e

nero che interpreta se stesso nel film Bright Star di Jane Champion (2009), ispirato agli ultimi giorni della vita del poeta John Keats, rubando la scena ad ogni sua apparizione.

Tyke, il gatto dello scrittore americano Jack Kerouac (1922-1969). Tweedledee e Tweedledum,

i «due bei fratelli, battezzati stupidamente» da Canon Henry Parry Liddon (1829-1890), studioso e devoto scrittore anglicano.

L’autore di Sulla Strada così lo ricorda in Big Sur (1962): «Amavo Tyke con tutto il cuore, era il mio bambino, che da piccolo dormiva proprio nel palmo della mia mano, con la sua testolina che ciondolava giù, oppure faceva le fusa per ore, fintanto che lo tenevo in quel modo, camminando o mentre stavo seduto. Era come una pelliccetta molle arrotolata sul mio polso, lo giravo attorno al polso o lo lasciavo penzolare e lui continuava a fare le fusa, e perfino quando diventò grande lo tenevo in quel modo, potevo addirittura sollevare quel grande gatto a braccia tese proprio sopra la testa e lui faceva le fusa, aveva completa fiducia in me».


come Tonkinese Selezionato in Canada da un incrocio tra Burmese e Siamese negli anni ’60, è stato riconosciuto nel 1979. Molto apprezzati gli occhi color acquamarina. Mantello: corto, tre varietĂ riconosciute: sepia (Burmese), pointed (Siamese) e visone (propria del Tonkinese). Carattere: estroverso e socievole, ha bisogno di molte attenzioni e compagnia.

T

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Tittums D

Mi volli assicurare che [Gustavus Adolphus, il cane] fosse andato in giardino, ma dieci minuti dopo, quando guardai in corridoio, lo vidi seduto in cima alle scale. Gli ordinai di scendere immediatamente, ma lui abbaiò e iniziò a saltare tutt’intorno e quindi corsi a vedere cos’era successo. Si trattava di Tittums che, seduto sull’ultimo gradino, si rifiutava di farlo passare. Tittums è il nostro gattino ed è circa delle dimensioni di un panino. La schiena inarcata, imprecava come uno scaricatore di porto. Lo sa fare in modo terribile. Anch’io a volte impreco ma in confronto a lui sono un dilettante. […] Imprecare allevia i sentimenti, ecco tutto. Una vola cercai di spiegarlo a mia zia, ma non la convinsi. Disse che non avevo motivo per provare tali sentimenti. Ed è quello che ripetei a Tittums. Gli dissi che doveva vergognarsi e che, per giunta, era stato allevato in una famiglia cristiana. Non mi disturba sentire un vecchio gatto che impreca, ma non tollero che un cucciolo ci dia dentro in questo modo. È triste vedere i giovani rovinarsi così. Misi Tittums nella mia tasca e ritornai alla scrivania. Me ne dimenticai per un attimo e quando andai a cercarlo vidi che era sgattaiolato sul tavolo e stava cercando d’ingoiare una penna; poi, quando infilò la zampetta nel calamaio la cosa lo seccò; iniziò a leccarsi la zampa, e poi imprecò di nuovo, e questa volta ce l’aveva con me. Jerome K. Jerome, Su cani e gatti, in I pensieri oziosi di un ozioso, 1886, cit. da Il Gatto con gli stivali e tante altre storie di gatti, traduzioni di Tita Gatti, Roma, Newton Compton, 2011, pp. 52-53.

D

L’irascibile e vivace micetto dell’autore satirico inglese Jerome K. Jerome (1859-1927), che non pago di terrorizzare l’enorme Gustavus Adolfus, graffierà anche il naso dell’incauto Tim, il giovane fox terrier che crede d’essere un collie scozzese.

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disegni originali di Gabriella testi di Paola

Gallerani Gli Alfagatti sono una razza speciale: sono, innanzitutto, i gatti di razza (e non) dipinti pelo per pelo dall’illustratrice naturalistica Gabriella Gallerani, in ordine alfabetico. A ciascuno la propria lettera per arrampicarsi, nascondersi, stiracchiarsi, giocare, sbadigliare o semplicemente stare in posa: e allora A come Angora, B come Bengala, C come Certosino, D come Devon Rex… G come gatto (e come cosa sennò?), e ancora M come Maine Coon, P come Persiano, S come Siamese… fino a Zzzz come le 18/20 ore che un gatto trascorre quotidianamente a dormire. Ma gli Alfagatti sono anche “i” gatti che hanno fatto la storia… e la letteratura, il cinema, i fumetti, la musica e, naturalmente, la felicità degli autori che hanno condiviso la vita con loro. Siano essi tigrati o pointed, rossi o neri, randagi o di razza, questi gatti hanno tutti una cosa in comune: hanno tutti un Nome. E allora ecco un alfabeto di oltre 600 gatti “alfa”, con altrettante piccole storie, “spulciate” da Paola Gallerani: senza Apollinaris, Bébert, Boise, Catarina, Giuseppe, Murr e Tyke, Twain, Celine, Hemingway, Poe, Morante, Hoffmann e Kerouac avrebbero scritto allo stesso modo? E se siamo certi che si debba a Pulcinella La Fuga del Gatto per clavicembalo composta da Domenico Scarlatti, senza Elvis (il gatto, altrimenti sarebbe una domanda retorica), John Lennon avrebbe composto quelle stesse canzoni? Se non ci fosse stato Spithead, Newton avrebbe inventato la gattaiola? E che dire del Fripouille di Klee, “dei” Sam di Warhol e della Polly di Kubrick? Gatti muse, nel senso più tradizionale, ma certo anche Micetto, che si nascondeva nelle sottane di papa Leone XII, Brilliant, l’angora prediletto di Luigi XV, Lucifer e Perruque, le eminenze pelose di Richelieu, Jock che assisteva Churchill nei consigli di guerra, e Socks il “First Cat” di Clinton alla Casa Bianca avranno contribuito a ispirare non poche decisioni. E se Mitsou e Marcus sono i gatti di famosi attori (Marilyn Monroe e James Dean), Orangey e Pyewacket sono attori famosi (Colazione da Tiffany e Una strega in Paradiso). CC, il primo gatto clonato, e Nadjem il primo gatto egizio ricordato “per nome” sono invece gatti da primato, mentre All Ball è il primo gatto di un primate, la gorilla Koko. Infine, che ne sarebbe di Alice senza il gatto del Cheshire, o di Titti senza Silvestro? Perché anche i nomi di gatti “inventati” hanno posto in questo libro che è insieme un ritratto inedito, per stile e bellezza delle illustrazioni, dell’aspetto di alcune delle più affascinanti “tigri in casa” e un’antologia delle caratteristiche memorabili e uniche che rendono ogni gatto degno di un Nome.

€ 19.00

www.officinalibraria.com

Gabriella & Paola

G

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