JEFFERSON E PALLADIO
Fondato nel 1958, il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio è un istituto di ricerca dedicato alla storia dell’architettura. La sua attività è indirizzata da un consiglio scientifico che riunisce specialisti europei e nordamericani: vengono realizzati corsi, seminari, pubblicazioni e mostre dedicati non solo a Palladio, ma alla storia dell’architettura dall’Antichità al Novecento.
Preferisco i sogni del futuro alla storia del passato. Quindi buona notte, ci dormirò sopra… Thomas Jefferson a John Adams, 1816
Il Palladio Museum è un museo-laboratorio, l’interfaccia con cui il Centro palladiano comunica al pubblico le proprie ricerche. Lavora su Palladio, ma senza attualizzarlo né proporlo come modello formale per l’oggi. Indaga il passato con gli strumenti della filologia e attenzione ai contesti, con la missione di leggere alla radice temi e concetti significativi anche nel nostro presente, e creare una piattaforma culturale per l’architettura di domani.
Guido Beltramini è direttore del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza. Fulvio Lenzo è docente di storia dell’architettura all’Università IUAV di Venezia.
Thomas Jefferson (1743-1826), figura cosmopolita e al tempo stesso saldamente ancorata alla sua terra, è stato un maestro del sapere del suo tempo e ha posto le basi di una nuova visione democratica del rapporto tra liberi cittadini e Stato repubblicano. È stato l’architetto della nuova America, non solo in senso politico, ma anche in senso letterale. L’architettura, infatti, ha avuto un ruolo importante nella sua ricerca personale e nel suo programma sociale. In questo Jefferson venne guidato dalla sua ammirazione per I quattro libri dell’architettura di Palladio, nei quali trovò idee e forme architettoniche. Da Palladio apprese come le tipologie architettoniche degli antichi romani potessero essere combinate con le innovazioni tecniche più aggiornate, adattandole così alle esigenze di comodità delle case del suo tempo. Una nuova architettura all’antica che forniva un quadro armonioso e razionale per la vita quotidiana e per la realizzazione di una società nuova. Questa mostra illustra come Jefferson non sia stato soltanto uno statista di spicco, ma anche un grande e influente architetto.
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Filippo Romano, fotografo, vive e lavora a Milano.
JEFFERSON E PALLADIO
come costruire un mondo nuovo
JEFFERSON E PALLADIO
CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI DI ARCHITETTURA ANDREA PALLADIO Fondazione
soci fondatori Regione del Veneto Provincia di Vicenza Comune di Vicenza Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Vicenza Accademia Olimpica soci partecipanti Fondazione Giuseppe Roi Fase SpA soci sostenitori Bovis Lend Lease Confindustria Vicenza, Sezione Costruttori Edili Dainese Fiera di Vicenza Gemmo Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro Marelli Motori Palladio Finanziaria Zambon Company sostengono progetti speciali Banca Popolare di Vicenza Fondazione Cariverona Investcorp Kanders & Company
consiglio scientifico Howard Burns, presidente James S. Ackerman Nicholas Adams Franco Barbieri Donata Battilotti Amedeo Belluzzi Matteo Ceriana Giorgio Ciucci Jean-Louis Cohen Joseph Connors Caroline Elam Francesco Paolo Fiore Kurt W. Forster Christoph L. Frommel Luisa Giordano Pierre Gros Jean Guillaume Hubertus Günther Deborah Howard Elisabeth Kieven Douglas Lewis Fernando Marías Paola Marini Gülru Necipog˘lu Arnold Nesselrath Alessandro Nova Werner Oechslin Pier Nicola Pagliara Susanna Pasquali Mario Piana Fernando Rigon Giandomenico Romanelli Dmitry O. Shvidkovsky Christof Thoenes Vitale Zanchettin
presidente Lino Dainese
direttore Guido Beltramini
consiglieri di amministrazione Antonio Franzina, vicepresidente Roberto Ditri Corinna Gemmo Annalisa Lombardo Antonio Zaccaria Massimo Zancan
segreteria organizzativa Marco Riva
revisori dei conti Giorgio Baschirotto, presidente Marialuisa Capitanio Francesco Melendez
segreteria amministrativa Nicoletta Dalla Riva Sabrina Padrin segreteria culturale Ilaria Abbondandolo Elisabetta Michelato Daniela Tovo con Eleonora Tacchetto, Lidia Gallo sistemi informatici Simone Baldissini gestione tecnica del palazzo Simone Picco
Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio
in collaborazione con Fondazione Canova e Stiftung Bibliothek Werner Oechslin
JEFFERSON E PALLADIO. Come costruire un mondo nuovo mostra a cura di Guido Beltramini e Fulvio Lenzo
Vicenza, Palladio Museum | 19 settembre 2015 – 28 marzo 2016
promossa da Regione del Veneto Provincia di Vicenza Comune di Vicenza Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Vicenza Accademia Olimpica
con il sostegno di
main sponsor
comitato d’onore Gianni Zonin, Vicenza, presidente Paolo Biasi, Verona Alberto Bombassei, Bergamo Leslie Greene Bowman, Charlottesville, Virginia Federico Faggin, Los Altos Hills, California Antonio Foscari, Venezia Warren Kanders, Stamford, Connecticut Matteo Marzotto, Vicenza Andrea Meloni, Roma Federico Minoli, Boston John R. Phillips, Roma
comitato scientifico Howard Burns, Scuola Normale Superiore di Pisa, presidente James S. Ackerman, Harvard University Guido Beltramini, CISA Andrea Palladio Bruce Boucher, University of Virginia Art Museum Fulvio Lenzo, Università IUAV di Venezia Travis C. McDonald, Corporation for Jefferson’s Poplar Forest Damiana Lucia Paternò, Università IUAV di Venezia Mario Piana, Università IUAV di Venezia Craig Reynolds, Virginia Commonwealth University
albo dei prestatori Fondazione Canova, Museo e Gipsoteca Antonio Canova, Possagno Pinacoteca Civica, Vicenza Stiftung Bibliothek Werner Oechslin, Einsiedeln Università IUAV di Venezia, Sistema bibliotecario e documentale
ringraziamenti Nicholas Adams Amy Atticks Mariangela Bordin Cammy Brothers Anna J. Clutterbuck-Cook Alice Cutullè Loreto Domingo Escudé Heather Hummel Brenda Lawson Renato Luca Ann Lucas Silvia Mauri Elizabeth McKay Colonel Robert L. Menist Jr. Susanna Pasquali Ambassador Philip T. Reeker Madeleine Rhondeau Eleonora Tacchetto Anna Tonicello Nicole Zaccack Mauro Zocchetta Un ringraziamento speciale a Despar Nordest Maccom Srl Pozza Matteo & C. sas Costruzioni Edili Professionisti & Soluzioni per l’impresa Sell Out Srl
Questa mostra e il suo catalogo sono dedicati alla memoria del professor Mario Valmarana.
direzione della mostra Guido Beltramini progetto di allestimento e grafica in mostra Scandurra Studio: Alessandro Scandurra con Elena Pollastrini, Francesca Depalma campagna fotografica alle opere di thomas Jefferson Filippo Romano modelli architettonici a cura di Simone Baldissini e Mauro Zocchetta realizzati da Ivan Simonato modelli costruttivi a cura di Damiana Lucia Paternò e Mario Piana realizzati da Antonella Attinasi, Serena Bragato, Giorgia Magrì progetti didattici Ilaria Abbondandolo, Dominique Raptis
catalogo coordinamento editoriale Marco Jellinek progetto grafico e impaginazione Paola Gallerani traduzioni Ilaria Abbondandolo Alice Cutullè Eleonora Tacchetto redazione Paola Gallerani, Marco Jellinek ufficio stampa Luana Solla segreteria di redazione Serena Solla fotolito Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio (Milano)
interprete del dialogo fra jefferson e palladio Roberto Rustioni
stampa Grafiche Corrà, Arcole (Verona)
traduzioni David Kerr, Stefano Pastorello
Prima edizione: settembre 2015
ufficio stampa Studio Esseci di Sergio Campagnolo, Padova multimedia e sito web Simone Baldissini social media U10: Michele Aquila, Valeria Di Rosa
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. isbn: 978-88-97737-77-3 © 2015 by Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio © 2015 by Officina Libraria Officina Libraria via Carlo Romussi 4 20125 Milano, Italia www.officinalibraria.com Printed in Italy
Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio
JEFFERSON E PALLADIO
come costruire un mondo nuovo
a cura di Guido Beltramini e Fulvio Lenzo fotografie di Filippo Romano
PREFAZIONE
Perché fare una mostra su Thomas Jefferson (1743-1826) e Andrea Palladio (1508-1580), e perché farla a Vicenza? Lo stretto legame fra i due è ormai assodato da quando, un secolo fa, Fiske Kimball pubblicò la sua monumentale monografia sull’architetto americano. Fu poi James Ackerman, a partire dal suo intervento nel «Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio» del 1964, a mettere a fuoco elementi decisivi, non ultima l’origine palladiana del nome Monticello che il giovane Jefferson aveva imposto alla sua residenza. Ma cosa voleva dire essere palladiano nell’America di fine Settecento? Certo era diverso da quello che poteva significare negli stessi anni in Veneto o in Europa, o ancora nell’Inghilterra del secolo precedente. L’albero genealogico dei palladiani si apre con Vincenzo Scamozzi (1548-1616) e Inigo Jones (1573-1652), i due «Palladio’s children» che continuarono la ricerca del maestro di cui avevano assorbito metodo e conoscenza dell’antico. A margine, ma di grande importanza, non un progettista ma un teorico, Henry Wotton (1568-1639), ambasciatore inglese a Venezia e
precoce collezionista di disegni di Palladio, che con i suoi Elements of Architecture (1624) definì una nuova cultura architettonica «italiofila» in Inghilterra e in Olanda. Constantijn Huygens (1596-1687), un altro intellettuale cosmopolita, questa volta olandese, che aveva visitato le opere di Palladio e di Jones, insieme all’architetto Jacob van Campen (1596-1657) è all’origine di una rivoluzione architettonica che guarda soprattutto a Scamozzi. In Gran Bretagna è John Webb (16111672), cui Jones aveva affidato i propri disegni di Palladio, a collegare la generazione dei figli naturali e adottivi a quella dei nipoti, dominata da Lord Burlington, che ritrova in Italia nuovi disegni di Palladio, sostiene architetti come William Kent (1685-1748) e patrocina pubblicazioni, fra cui la traduzione inglese integrale dei Quattro libri. Dalla seconda metà del Settecento Palladio diventa un prodotto principalmente inglese, anche quando viene richiesto dalla Russia di Caterina II, con Charles Cameron (1745-1812) e con Giacomo Quarenghi (1744-1817). Intanto dall’Italia giungono i primi volumi di rilievi degli edifici pubblicati da Francesco Muttoni (1669-
1747) e Ottavio Bertotti Scamozzi (1719-1790), che mettono in circolo nuovi edifici e disegni non presenti nei Quattro libri. A fine Settecento il nome di Palladio è ormai un brand, sinonimo di una tradizione internazionale che, nel mentre viene recepita, si aggiorna ai tempi, alle latitudini, ai climi e agli usi di paesi molto lontani e diversi fra loro, modificandosi anche pesantemente man mano che al testo originario si affiancano quelli apocrifi. In questa lunga storia, composta di molteplici storie individuali, quando si arriva a Thomas Jefferson si scopre che, a dispetto della distanza dall’epicentro, Palladio torna protagonista. Certamente deve convivere con gli esiti dei più recenti studi archeologici, con le novità architettoniche francesi e inglesi e con la ricerca di un maggiore comfort nell’abitare, ma il testo dei Quattro libri rimane un interlocutore costante per tutta la vita di Jefferson. Dai primi incerti inizi della sua carriera architettonica negli anni Settanta del Settecento, sino a Ottocento inoltrato. Quando, a oltre settant’anni, si accinge a progettare il suo capolavoro, l’Università della Virginia, ha già
ceduto al patrimonio nazionale i suoi esemplari dei Quattro libri e si rivolge all’amico James Madison per averne una copia in prestito. Questa mostra è la prima mai dedicata a Thomas Jefferson architetto in Europa, anche se la cultura specialistica italiana lo conosce bene grazie alle brevi ma acute riflessioni che Manfredo Tafuri affidò a Progetto e utopia già nel 1973, e poi agli studi pionieristici di Margherita Azzi Visentini e Maria Cristina Loi. Il nostro obiettivo è stato quello di parlare a un pubblico ampio, pur nel rigore della proposta scientifica. La spina dorsale della mostra è costituita dalle immagini della campagna fotografica realizzata nella primavera del 2014 da Filippo Romano e dalle parallele ricognizioni nei principali archivi che custodiscono i disegni di Jefferson, la Massachussetts Historical Society di Boston e la biblioteca della University of Virginia di Charlottesville. Le stagioni della relazione fra Jefferson e Palladio sono ripercorse privilegiando il filo delle affinità di visione nel loro progetto di costruire un mondo nuovo basato sull’esempio degli antichi. Come si ritrova nei progetti di Jefferson per architetture pubbliche a scala diversa, dal Campidoglio di Richmond alla fondazione della città di Washington, sino alle proposte per la rigorosa griglia a maglie quadrate della Land Ordinance, da utilizzare come base per l’avvio di una sistematica ricognizione e mappatura degli inesplorati territori dell’Ovest e per la formazione di un catasto nazionale finalizzato all’assegnazione delle terre. Una mostra su Jefferson nel Veneto risente della lontananza dai suoi edifici, in Virginia, ma ha il vantaggio di avere intorno quelli di Palladio, da potere usare come «metro» per misurare il
carattere innovativo dell’architettura jeffersoniana. Per capire dunque non solo cosa egli prenda da Palladio, ma al contrario in cosa il suo modo di guardare a Palladio sia stato diverso dagli altri, e quale sia stato il suo apporto alla tradizione di lunga durata, multiforme e talvolta persino contradditoria al suo interno, che va sotto il nome – comodo ma impreciso – di palladianesimo. È un modo di capire Jefferson e, al contempo, di riflettere, e quindi di meglio comprendere lo stesso Palladio. La peculiare forma politica dello Stato veneto, sino al 1797 una delle poche repubbliche in un’Europa di monarchie, opponeva alla figura del cortigiano quella di un’élite di governo costituita da gentiluomini che costruivano i propri palazzi di città senza lo sfarzo dei principi e risiedevano lungamente in campagna per curare i propri interessi, vivere sani e coltivare lo spirito con la lettura dei classici. Palladio era il loro architetto. Le sue ville disegnavano una cornice al loro modello di vita, evidentemente di origine romana, che non sarebbe passata inosservata agli occhi degli aristocratici liberali inglesi di primo Settecento, ammiratori della costituzione veneziana, o a quelli di Jefferson, alla ricerca di un’architettura repubblicana da prendere a modello per i nuovi Stati Uniti. Questo progetto di «design sociale» è forse una delle più longeve fra le eredità palladiane, senza dubbio accanto a elementi del suo linguaggio come il pronao su colonne sul fronte della casa. È commovente osservare il palladianesimo inconsapevole degli ex schiavi che, liberati e rimandati in Africa a metà dell’Ottocento, posero sulla facciata delle loro baracche il pronao su colonne tipico delle plantation houses dei loro antichi padroni.
La mostra e questo suo catalogo non sarebbero stati possibili senza l’impegno generoso di molti amici, che desideriamo ringraziare, ben sapendo che il debito di riconoscenza non potrà esaurirsi in queste parole. Innanzitutto il collega Craig Reynolds e con lui Ilaria Abbondandolo, Nicholas Adams, Bruce Boucher, Cammy Brothers, Ann Lucas, Paola Marini, Travis McDonald, Fernando Mazzocca, Susanna Pasquali e Fernando Rigon, che sono stati generosi in sostegno, consigli, suggerimenti e punti di osservazione. Il lavoro scientifico di Simone Baldissini e di Mauro Zocchetta nella lettura e interpretazione dei disegni di Jefferson è stato uno strumento indispensabile alla creazione degli splendidi modelli realizzati da Ivan Simonato. Lo stesso può dirsi dell’impegno di Damiana Paternò e Mario Piana per i modelli costruttivi realizzati da Antonella Attinasi, Serena Bragato e Giorgia Magrì. La campagna fotografica di Filippo Romano in Virginia è stata uno snodo fondamentale nella preparazione della mostra ed è parte di un progetto comune costruito con il Canadian Centre for Architecture di Montreal, che nell’ottobre 2014 ha ospitato il progetto fotografico «Found in Translation: Palladio-Jefferson. A narrative by Filippo Romano». Il ruolo di Alessandro Scandurra, come sempre nelle mostre del Palladio Museum, è andato ben oltre il disegno dell’allestimento: il lavoro è stato un’occasione di riflessione, di ricerca e di scambio, e spesso gli occhi acuti del progettista hanno visto lontano quanto quelli degli storici. Un ringraziamento particolare a Werner Oechslin, per la sua scienza e per la generosità con cui ha messo a disposizione i tesori della biblioteca da lui costruita a Einsiedeln, un’impresa in cui risuona uno spirito jeffersoniano. Guido Beltramini e Fulvio Lenzo
SOMMARIO
17
Palladio in America James S. Ackerman
21
Jefferson e Palladio Guido Beltramini
39
Jefferson: architettura e democrazia
52
FOTOGRAFARE JEFFERSON Filippo Romano
83
Il palladianesimo in America prima di Jefferson
Bruce Boucher
95
La griglia del National Survey e la democrazia americana
Catherine Maumi
107
Jefferson e la creazione dell’architettura classicista americana
Richard Guy Wilson
117
Jefferson e la prima stagione della statuaria pubblica negli Stati Uniti
Giovanna Capitelli
123
Canova e il monumento a George Washington
Mario Guderzo
131
Palladio, materiali e tecniche costruttive
Damiana Lucia Paternò
137
Jefferson costruttore Travis McDonald
149
SCHEDE
150
Monticello
156
Virginia State Capitol
158
President’s House
160
Poplar Forest
162
Bremo
164
Barboursville
166
University of Virginia
170
Bibliografia citata
172
Elenco delle opere in mostra
176
Crediti fotografici
Fulvio Lenzo
72
20. University of Virginia, Charlottesville, Virginia.
21. University of Virginia, Charlottesville, Virginia.
73
BREMO Fluvanna County, Virginia I disegni esecutivi della villa di Bremo, costruita dal generale John Hartwell Cocke fra il 1817 e il 1820, si devono al carpentiere John Nelson, discepolo e collaboratore assiduo di Thomas Jefferson. Il progetto era però stato redatto dallo stesso proprietario, che si era consultato con diversi architetti professionisti. La scelta di Nelson quale direttore del cantiere, così come in parte la concezione generale del complesso e numerosi elementi di dettaglio risentono comunque del coinvolgimento di Jefferson, più volte consultato in merito al progetto e al cantiere. Secondo quanto scritto da Isaac Cole in una sua missiva a Cocke, era stato proprio durante uno di questi colloqui informali che nel 1816 Jefferson avrebbe dichiarato che in architettura Palladio «era la Bibbia»; nella stessa lettera Cole spiegava la predilezione di Jefferson per gli ottagoni perché «sono attraenti» e «danno un semicerchio di aria e di luce» (Kimball F. 1949b, pp. 7-8). Il corpo principale della villa si erge come un volume compatto movimentato da portici sui quattro lati. La facciata è preceduta da un pronao tuscanico tetrastilo coronato da timpano, cui corrisponde, sul retro, una loggia leggermente rientrante a due colonne. La residenza è collegata a un sistema di barchesse che, come avviene anche a Monticello e a Poplar Forest, si sviluppano su un piano inferiore rispetto a quello della casa, risultando interrate verso il fronte principale ed elevate fuori terra sul retro. Analogo a Monticello è anche il sistema di distribuzione interna, imperniato su due corridoi che si dipartono 162
ai lati dell’atrio e sui quali si aprono due scale simmetriche posizionate in maniera tale da non interrompere l’enfilade di porte e finestre che, dal cuore della casa, consentono di spaziare con la vista su tutta la campagna circostante. Piante del piano terra e del piano nobile.
Bibliografia Lambeth, Manning 1913, pp. 25-30; Kimball F. (1916) 1968, p. 74; Kimball F. 1922, pp. 185-190; Frary 1931, pp. 89-90; Moore 1933; Hamlin 1944, pp. 17-18; Kimball F. 1949b; Gaines 1956; Nichols 1961, p. 8; The Eye 1976, pp. 282-283; Azzi Visentini 1976, pp. 212-215; Cellauro, Richaud 2005; Zechmeister 2012.
Prospetto sud.
163
JEFFERSON E PALLADIO
Fondato nel 1958, il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio è un istituto di ricerca dedicato alla storia dell’architettura. La sua attività è indirizzata da un consiglio scientifico che riunisce specialisti europei e nordamericani: vengono realizzati corsi, seminari, pubblicazioni e mostre dedicati non solo a Palladio, ma alla storia dell’architettura dall’Antichità al Novecento.
Preferisco i sogni del futuro alla storia del passato. Quindi buona notte, ci dormirò sopra… Thomas Jefferson a John Adams, 1816
Il Palladio Museum è un museo-laboratorio, l’interfaccia con cui il Centro palladiano comunica al pubblico le proprie ricerche. Lavora su Palladio, ma senza attualizzarlo né proporlo come modello formale per l’oggi. Indaga il passato con gli strumenti della filologia e attenzione ai contesti, con la missione di leggere alla radice temi e concetti significativi anche nel nostro presente, e creare una piattaforma culturale per l’architettura di domani.
Guido Beltramini è direttore del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza. Fulvio Lenzo è docente di storia dell’architettura all’Università IUAV di Venezia.
Thomas Jefferson (1743-1826), figura cosmopolita e al tempo stesso saldamente ancorata alla sua terra, è stato un maestro del sapere del suo tempo e ha posto le basi di una nuova visione democratica del rapporto tra liberi cittadini e Stato repubblicano. È stato l’architetto della nuova America, non solo in senso politico, ma anche in senso letterale. L’architettura, infatti, ha avuto un ruolo importante nella sua ricerca personale e nel suo programma sociale. In questo Jefferson venne guidato dalla sua ammirazione per I quattro libri dell’architettura di Palladio, nei quali trovò idee e forme architettoniche. Da Palladio apprese come le tipologie architettoniche degli antichi romani potessero essere combinate con le innovazioni tecniche più aggiornate, adattandole così alle esigenze di comodità delle case del suo tempo. Una nuova architettura all’antica che forniva un quadro armonioso e razionale per la vita quotidiana e per la realizzazione di una società nuova. Questa mostra illustra come Jefferson non sia stato soltanto uno statista di spicco, ma anche un grande e influente architetto.
www.officinalibraria.com € 24.90
Filippo Romano, fotografo, vive e lavora a Milano.
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