Bernardino Luini e i suoi figli
a cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa RASSEGNA STAMPA
«Sette» • 21 marzo 2014
«La Martinella» • 01 aprile 2014
P E R I O D I C O D I I N F O R M A Z I O N E E C U LT U R A
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La Martinella
Il Polittico di San Magno nel circuito della mostra Bernardino Luini e i suoi figli
ANNO XIX NUMERO 4 - APRILE 2014
LA NOSTRA COPERTINA Aprile 2014
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Il polittico di San Magno del Luini
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n legnanese doc non può non riconoscere l’immagine della copertina, parte centrale del polittico di Bernardino Luini in San Magno, con la Madonna e il Bambino, che qualifica l’intera opera su tavola dipinta nel 1523. Come si legge nel servizio nelle pagine centrali del mensile, riguardante la mostra “Bernardino Luini e i suoi figli” a Palazzo Reale di Milano, il capolavoro si colloca al culmine della parabola artistica del “Raffaello di Lombardia” e assume un’alta valenza all’interno del circuito territoriale delle opere inamovibili proposto dalla rassegna milanese. Pertanto, in questa breve nota ci limitiamo a descrivere il contenuto iconografico dell’ancona nella sua interezza, qui riprodotta secondo la fotografia dei fratelli Piermario e Roberto Nazari, autori di un coinvolgente dvd sul polittico edito nel 2011 dalla Società Arte e Storia di Legnano. Collocato nella cappella dell’altare maggiore della basilica, il polittico
LEGNANO
di 5 x 3 metri conta una struttura architettonica dorata che delimita otto scomparti, a partire da quello maggiore centrale con la Madonna in trono che sorregge il Cristo fanciullo, rappresentato con il globo sollevato nella mano sinistra, ovvero il Salvator mundi, rimando all’intitolazione della preesistente chiesa del Salvatore. Attorno, secondo una disposizione a mandorla, un cherubino
e sette deliziosi angeli, di cui cinque musicanti con flauti e liuti. Negli scomparti ai lati, in basso, San Magno, a sinistra, e Sant’Ambrogio, simboli della Chiesa legnanese e ambrosiana; in alto San Giovanni Battista e San Pietro raffigurati secondo una gestualità carica di significati. Nella cimasa il Padre Eterno a braccia aperte che tutto comprende. La predella è divisa in nove piccoli riquadri monocromi: al centro l’Imago pietatis, mentre i restanti riquadri alternano immagini in due diverse forme: in verticale i quattro Evangelisti, in orizzontale quattro scene della Passione di Cristo: Cristo in croce, la Deposizione, la Resurrezione e l’Incontro ad Emmaus. Negli spazi angolari sopra la cimasa sono stati aggiunti a guazzo più tardi due angeli che suonano la tromba. Si ricorda infine che l’ancona aveva due ante che la rinserravano per fini liturgici, andate perdute nell’800. (A cura dell’A.A.L. Associazione Artistica Legnanese)
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Il polittico di San Magno nel circuito della mostra
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Bernardino Luini, “Madonna con il Bambino” (Madonna del Roseto), tavola, cm 70 x 63 Milano, Pinacoteca di Brera ©
Dal 10 aprile a Palazzo Reale
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Bernardino Luini, “Madonna col Bambino”, 1512, Chiaravalle Milanese, Abbazia di Chiaravalle (particolare) ©
Bernardino Luini, “Ragazze al bagno”, affresco trasportato su tavola, cm 135 x 235 Milano, Pinacoteca di Brera, [Già Sesto San Giovanni, Villa Pelucca]©
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ernardino Luini e i suoi figli” è più di una rassegna milanese. È un progetto culturale volto a integrare mostra e territorio, nel quale entra anche Legnano con il polittico di San Magno. Le varie sezioni espositive a Palazzo Reale propongono visite ‘virtuali’ nei luoghi che ospitano le opere inamovibili del Luini, invogliando lo spettatore più interessato ad assaporarle de visu partendo da Milano e dintorni e andando su fino al Canton Ticino, naturalmente passando da Legnano. I video mostrano i cicli murali di San Giorgio al Palazzo e di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano, dell’abbazia di Chiaravalle e del santuario di Saronno; il polittico su tavola di San Magno a Legnano; e ancora gli affreschi della Certosa di Pavia e di Santa Maria degli Angeli a Lugano. Un elenco che indica l’eccezionalità della pala legnanese realizzata da un pittore soprattutto di affreschi. Questi furono condotti principalmente nelle chiese di Milano (dove l’artista risiede intorno al 1500 e dove verosimilmente muore nel 1532) e di altre località lombarde, per cui, osservano i curatori della mostra Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa “I numerosi dipinti di Luini hanno rappresentato per secoli una sorta di identità figurativa della Lombardia”. L’esposizione, ospitata nelle sale del piano nobile di Palazzo Reale e nella sala delle Cariatidi, racconta l’intero iter dell’artista, dalle ricer-
che giovanili ai quadri della maturità, con un’attenzione particolare, da un lato, al lavoro dei suoi contemporanei (Bramantino, Lorenzo Lotto, Andrea Solario, Giovanni Francesco Caroto, Cesare da Sesto e molti altri); dall’altro, alla traiettoria artistica dei figli di Luini, e in particolare del più piccolo Aurelio. Un intero secolo di arte lombarda attraverso tele, tavole, disegni, affreschi staccati, arazzi, sculture in legno e in marmo, codici miniati, volumi a stampa. Una selezione di duecento opere provenienti soprattutto dalle raccolte milanesi - dalla Madonna del roseto (fig. 1) della Pinacoteca di Brera al Gesù Bambino dell’Ambrosiana, dal Sant’Antonio del Poldi Pezzoli al ciclo con i ritratti sforzeschi del Castello - integrate da significativi prestiti di musei europei (di Parigi, Vienna, Budapest) e americani (di Houston e Washington). Il percorso espositivo Bernardino de Scapis, detto Bernardino Luini, nasce a Dumenza intorno al 1481-82, quando il padre Giovanni si era portato, da Milano, al paesino presso Luino per occuparsi dei poderi di famiglia, da cui ricavava i prodotti della terra venduti poi nel capoluogo del Du-
cato. Da qui la prima sezione della mostra di Bernardino: “Da ragazzo, a Milano”; ovvero il contesto in cui Luini si è formato in relazione all’evolversi dell’arte in quest’area, che ha visto il passaggio dal gotico internazionale ai nuovi linguaggi sotto impulsi fiorentini, padovani, ferraresi e nordici, a cominciare dalla lezione del più importante Vincenzo Foppa a quella dei successivi Zenale, Butinone e Bergognone. Una situazione che muta poi profondamente con l’arrivo di Bramante (1479) e di Leonardo (1482) a Milano, dove per circa un ventennio saranno i diffusori delle epocali innovazioni rinascimentali. Agli inizi del ’500 Luini lascia Milano e i suoi linguaggi figurativi (da Bergognone a Leonardo), per recarsi verso Est, e verificare altre scelte espressive, in parallelo al crescere di Lorenzo Lotto. Sono “Gli anni di vagabondaggio nel
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milanese Bernardino Luini e i suoi figli Veneto” e dei primi lavori a confronto con l’esperienza dei pittori veneti dell’entroterra, alla ricerca di nuove esperienze figurative. Il “Ritorno a Milano” avviene prima del 1512 negli anni del dominio francese, quando il linguaggio pittorico sarà caratterizzato dalle astrazioni di Bramantino e dalla sensibilità di Andrea Solario. Bartolomeo Suardi detto il Bramantino si era fortemente affermato a Milano tra il 1503 e il 1508, periodo in cui Leonardo risulta assente da questa città (a parte viaggi precedenti, il suo secondo soggiorno va dal 1508 al 1513). Forte fu l’influenza su Luini di Bramantino, che con lui condivideva la frequentazione di ambienti intellettuali, come quello riformista che ruotava intorno all’abbazia di Chiaravalle, dove il Nostro lascia la sua prima monumentale opera ad affresco nel 1512 (v. fig. 2 Madonna col Bam-
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avrà quattro figli: Tobia, Evangelista, Giovan Pietro e Aurelio. Il prototipo di una nuova decorazione di interni dai temi sacri e profani è visibile negli affreschi della villa di Gerolamo Rabia, “La Pelucca” (quarta sezione della mostra), eseguiti tra il 1521 e il 1523, conservati nella porzione più consistente nella Pinacoteca di
Bernardino Luini, “Presentazione di Gesù al Tempio”, affresco Saronno, Santuario della Beata Vergine dei Miracoli© della generazione precedente: Bernardo Zenale. Nuovi documenti fanno emergere i rapporti di amicizia e di consuetudine del Luini con il pittore trevigliese e gettano nuova luce sulle sue frequentazioni milanesi tra il primo e il secondo decennio del Cinquecento. La vicinanza a Zenale è attestate alla metà del secondo decennio dalle opere eseguite dal Luini in questi anni. “L’invenzione di una formula”, ovvero la messa a punto di uno stile “definitivo”: «Luini è stato il rappresentante di un classicismo moderato e comunicabile - osservano i curatori - alla ricerca di una nuova leggibilità e in sintonia con istanze di rinnovamento della continua a pag. 23
bino) e per i cui monaci lavora, di lì a due anni, anche il Bramantino. Con tale opera il Luini pone le premesse dello stile che sarà suo per l’intera esistenza. Sul piano degli affetti, Luini risulta sposato nel secondo decennio del ’500 con Margherita di Lomazzo dalla quale
Brera (fig. 3): scene bibliche dell’esodo degli ebrei e storie di Apollo e Dafne, allusive alla vita agreste della villa intesa come terra promessa. Tra “Le occasioni di Bernardino”, vi sono anche le relazioni personali e lavorative con un maestro
Bernardino Luini, “Crocifissione”, 1529, Lugano, Santa Maria degli Angeli, tramezzo©
Bernardino Luini, “Sante Agnese, Scolastica e Caterina d’Alessandria con una devota”, 1525-1530 circa, Milano, San Maurizio al Monastero Maggiore©
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Chiesa. In una manciata d’anni all’alba del Cinquecento, l’artista ha messo a punto, semplificando le inquietudini e le ambiguità sentimentali di Leonardo, una formula espressiva di enorme successo devozionale, che sarà tra l’altro graditissima al cardinale Federico Borromeo. Quante generazioni hanno pregato di fronte alle Madonne di Bernardino Luini; quanti santini sono stati tratti dalle sue creazioni». Nelle opere del “Raf-
faello di Lombardia” si coglie una vena narrativa sottile e suadente unita a un’espressività che, anche nei temi drammatici, si rivela contenuta e smorzata, ricondotta a un’intima contemplazione. Uno stile che si evidenzia pienamente nel polittico di San Magno, di elevata qualità e dai colori brillanti, restituiti all’opera grazie al restauro del 2001-2002. La storica dell’arte Paola Barbara Picconi Conti osserva in una recente presentazione della pala: «Bernardino Luini…, ormai quarantenne era il pittore più in vista del capoluogo lombardo. Poco prima della chiamata a Legnano, aveva dipinto a Milano la cappella Tonsi in Santa Maria di Brera (1521) e l’Incoronazione di spine per il Pio Luogo di Santa Corona (1521-1522); di lì a poco sarebbe stato chiamato a Saronno, nel santuario della Beata Vergine dei Miracoli (pagamenti 15211529) (fig. 4), a Lugano, in Santa Maria degli Angeli (1529) (fig. 5) e di nuovo a Milano, in San Maurizio, nella cappella della famiglia Besozzi (1530) (fig. 6). Stava attraversando un periodo denso di incarichi importanti, una fase matura, classica, che molti critici collocano dopo un viaggio a Roma, avvenuto forse tra il 1518 e il 1520. Lui che si era formato sui pittori lombardi del secondo Quattrocento, che aveva subito l’ineluttabile influenza di Leonardo da Vinci… ora rivela suggestioni tratte da Raffaello e da Michelangelo…». Un “Dopo Roma” che, tuttavia, nella mostra milanese significa andare nell’Urbe troppo tardi e scoprire che non ti cambia la vita. L’abilità di Luini ritrattista tra i
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suoi contemporanei si scopre nello spazio dedicato ai “Volti” (figg. 7 e 8). Le ultime tre sezioni del percorso espositivo riguardano i temi: “Invecchiare con successo”: le grandi commissioni pubbliche e la riproducibilità delle invenzioni leonardesche; la “Casa degli Atellani”, che viene ricostruita in una sala di Palazzo Reale da Piero Lissoni, in cui è esposta una rassegna di effigi dei duchi di Milano e delle loro consorti; infine “Una complicata eredità”: nella Sala delle Cariatidi, dove la mostra trova il suo epilogo nell’ultimo scorcio del
Bernardino Luini,“Ritratto di signora”, tavola, cm 77 x 57,5, Washington, National Gallery of Art, Andrew W. Mellon Collection©
Cinquecento, va in scena la carriera di Aurelio Luini, il figlio più dotato di Bernardino, esponente dell’ultimo manierismo lombardo, che operò tra gli stimoli e le resistenze della Milano precocemente spagnola (fig.9). Fabrizio Rovesti
Bernardino Luini, “Ritratto di un membro di casa Porro”, tavola, cm 70 x 53, Milano, coll. privata©
“Bernardino Luini e i suoi figli” a Palazzo Reale di Milano dal 10 aprile al 13 luglio. Orari: lunedì 14.30-19.30; da martedì a domenica 9.30-19.30 (giov. e sab. sino a 22.30). Biglietti+audioguida € 11/9,50/5,50. Cat. Off. Libraria e 24 OreCultura. Prenotaz.: Ad Artem 02 6597728.
Aurelio Luini, “Compianto su Cristo”, tela, cm 235 x 149 Milano, San Barnaba©
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«Il Giornale dell’Arte» • 01 aprile 2014
«Il Giorno» • 06 aprile 2014
«la Repubblica» • 09 aprile 2014
MILANO CULTURA
la Repubblica MERCOLEDÌ 9 APRILE 2014
Grandi mostre LE OPERE Due dipinti di Bernardino Luini: a destra San Sebastiano, olio su tavola, a sinistra Ragazze al bagno Sotto, la Testa di ragazza di Leonardo da Vinci e la Salomé di Luini
Luini e la sua bottega fabbricanti di dolcezza nella Milano del ‘500 A Palazzo Reale 200 opere rievocano la (s)fortuna del pittore molto amato nel Rinascimento, “malinteso” in epoca moderna CHIARA GATTI IPINGEVA come un ve-
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neto paesaggi lombardi punteggiati di architetture nordiche e popolati di figure toscane. Aveva una mano versatile Bernardino Luini (1481-1532 circa) e un talento sorgivo. Che gli permise, sin da ragazzo, di assorbire la lezione delle varie scuole italiane per mescolarla a un sentimento della terra tipico dei suoi luoghi d’origine. Il lago Maggiore e le valli del Varesotto, i boschi umidi del borgo natale di Dumenza e la sponda magra di Luino, da cui ereditò il soprannome, sostituito al nome vero Bernardino Scapi, figlio di ortolani che vendevano castagne sui banchi del mercato in piazza Duomo. Storia e gloria di un pittore di provincia diventato il maestro più in voga nella Milano cortese del Cinquecento. Palazzo Reale celebra con una mostra ricchissima (inaugurazione oggi alle 19.30) questo maestro del Rinascimento che proprio a due passi dal Duomo avviò una bottega stile factory moderna, frequentata da committenti illustri, dagli Sforza ai francesi, dalla Chiesa agli spagnoli, tutti inchinati al genio di un autore capace di uguagliare la grazia di Leonardo, ma liberata dalle sue inquietudini sinistre, i soggetti di Raffaello innestati però su fondali padani, e la tecnica perfetta del Bramantino, evitando le contorsioni dei suoi messaggi enigmatici. Bravo e furbo insomma. Comprese i gusti di un pubblico amante del classico senza troppe dietrologie e i meccanismi di un mercato che premiava la semplicità dei contenuti, il carattere devozionale di tavole che invitavano alla preghiera e lo stile commosso di scene sacre luminose, come quelle celebri dipinte a San Maurizio, in corso Magenta. Caratteri che emergono subito lungo il percorso che i curatori Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa hanno studiato con l’aiuto di trenta studenti della Statale e complice l’allestimento rispettoso dell’architetto Piero Lissoni (c’è, ma non prevale), ricostruendo la vicenda di Bernardino attraverso i suoi spostamenti fisici, dal lago al Veneto, da Milano a Roma, e quelli ideali, dal naturalismo verdeggiante dell’est
al realismo solido lombardo, punteggiato di accostamenti con i suoi padri nobili, Foppa e Bergognone, Lotto e Zenale, fino a Leonardo. Duecento opere per una mostra di studio che ricorda tanto quelle di una volta, alla Roberto
Longhi, filologiche, con belle schede a catalogo — in questo caso doppio, uno per la mostra l’altro per gli itinerari esterni, edito da Officina Libraria — ma che non sfianca il pubblico dei non addetti ai lavori, sedotto dai grandi polittici (ricostruiti) con santi
INCONTRO RAVVICINATO
Stessa posa, stessa grazia indovinate chi è Leonardo STESSA posa, stesso sguardo, stessa delicatezza. Il confronto in mostra fra la Salomè di Bernardino Luini (foto sotto) e la Testa di ragazza, detta La scapigliata, di Leonardo da Vinci (foto sopra), capolavoro su tavola prestato dalla Galleria Nazionale di Parma, dimostra il legame fra il genio toscano e il pittore lombardo. Luini incrociò l'eredità di Leonardo nella Milano sforzesca e ne rimase abbagliato. Tanto da ispirare il suo stile alla grazia del maestro e meritarsi l'etichetta di leonardesco. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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PER SAPERNE DI PIÙ www.mostraluini.it
eleganti, dai ritratti di dame e cavalieri, come la misteriosa Signora in arrivo da Washington con tanto di bestiola tipo ermellino, oppure dai putti con le carni burrose, memori di Raffaello, che stropicciano le orecchie agli agnellini, come il Gesù bambino dell’Ambrosiana. Tenerissimo. Fra immagini degli esordi, quando a caccia ancora di una identità si firmava Bernardino Mediolanensis, e capolavori della maturità come la Madonna del Roseto di Brera, si incontrano i cicli decorativi per le prime ville di delizia in Lombardia. Quella della Pelucca in testa, dimora di campagna, a due passi da Monza, di Gerolamo Rabia, che commissionò a Bernardino affreschi (poi staccati, ora a Brera) con scene profane, miti e bagnanti seminude, dagli umori languidi degni di William Morris o Gabriel Rossetti. Dolcezze lodate a suo tempo ma che, dopo l’avvento della maniera, della teatralità e del pathos, in scena nella sala delle Cariatidi con le grandiosità di figli e allievi, costarono al maestro la fama di accademico, relegandolo ai margini della storia. Fino a quando Longhi, negli anni Cinquanta, ne rilanciò il valore, salvando dall’oblio «il malinteso Bernardino».
Palazzo Reale inaugurazione oggi alle 19.30, fino al 13 luglio, 11-9,50 euro, info 0254914 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Mercoledì 9 Aprile 2014
INCONTRO
DAL VIVO
SAGGIO
SUL PALCO
Lezione di Donald Sassoon, ordinario di Storia europea comparata al Queen Mary College di Londra, sul tema «Il pane quotidiano nella storia». Nella Sala Buzzati del «Corriere» si parlerà di agricoltura, cibi e fame.
Al Teatro Dal Verme, ultimi posti disponibili per l’unica data italiana di The Piano Guys (foto). Il gruppo statunitense propone un’originale miscela di pop, rock e classica, che ha già registrato un grande successo su YouTube.
Mussolini, Hitler, Stalin, Franco e altri sono i protagonisti del libro di Stefano Giani «Dittatori al cinema» (Gremese) che viene presentato alla Mondadori. Settant’anni di film, di attori, di regimi autoritari e di crudeli storie vere.
«La causa delle cose» è il titolo della conferenza spettacolo (con mostra) dedicata a Nicolas De Staël, protagonista della pittura francese del Novecento, in scena al Teatro Libero sino al 13 aprile. Protagonisti Roberto Borghi e Mino Manni. A cura di Alberto Oliva.
V. Balzan 3, ore 18, pren. 02.87387707
Via S. G. sul Muro 2, h 21, e 42,55-36,80
Via Marghera 28, ore 18.30
Via Savona 10, ore 21 e19/15/11
Donald Sassoon The Piano Guys I dittatori «Corriere della Sera» • 09 aprile 2014 Storia del cibo tra pop e classica e la settima arte
La causa delle cose di Nicolas De Staël
Palazzo Reale Una grande mostra celebra la famiglia di artisti più importante del Cinquecento lombardo Appunt
La meravigliosa officina dei Luini
LA VIPERA E IL Alla Biblioteca S presentazione d Barnaba Frigoli « Diavolo» (Merav Via Sacco 14, ore
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LIBRI MESSI AL «Libri messi all’i libri per bambini stereotipi e luog tema dell’incont e genitori alla Lib Ragazzi. Cordina giornalista Zita D Via Tadino 53, or
Grazia, dolcezza e semplicità: la lezione di Bernardino il milanese uecento opere, fra le quali anche la seducente «Scapiliata» di Leonardo; le stanze nobili del Palazzo Reale, compreso il gran finale nella sala delle Cariatidi; una squadra di studenti, laureati, ricercatori e docenti dell’Università Statale di Milano, capitanata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa. Ecco gli ingredienti base con cui è costruita l’imperdibile mostra che da domani, fino al 13 luglio, Palazzo Reale dedica a Bernardino Luini e ai suoi figli, la bottega artistica più attiva nella Milano cinquecentesca in cui operava, ma per le sole élite del potere, anche Leonardo. Se quella del genio da Vinci è però la storia eccentrica di un artefice solitario, individualista, poco produttivo, incapace di mantenersi se non stipendiato da una corte, qui si racconta invece una saga famigliare, un modo di produrre, nella bottega, tipico degli artisti del Rinascimento, dal nord al sud Europa. La narrazione dell’«officina dei Luini», che si svolge cronologicamente in dodici sezioni ritmate da snodi teatrali, comincia nella Milano francese e termina nella Milano spagnola: a monte c’è la scoperta prospettica del Foppa, aggiornata sulle novità del centro Italia; a valle il manierismo di Simone Peterzano che sarà superato dall’energia del suo migliore allievo, il Caravaggio. Insomma cento anni della più vivace storia artistica di Milano che passano sotto i nostri occhi ma anche sotto quelli del Ragazzo ritratto da Lorenzo Lotto appeso in disparte, solitario su una parete, dal curatore dell’allestimento Piero Lissoni, come un testimone oculare di ciò che ai suoi esordi aveva sotto gli occhi anche Ber-
THANKS MR.FO Allo Spazio Teatr in scena «Thans Alberto Meomar partecipazione d Via Orcagna 2, or
I MISTERI DI AL Donata Schiann Massimiliano Aq Piccolo commen di Sergio Savian Alleghe» (Pilotto Giuseppe Redon Viale Monza 140
Curatori Jacopo Stoppa e Giovanni Agosti davanti a una Madonna col bambino di Luini. In alto, la «Scapiliata» di Leonardo da Vinci
nardino, il figlio di mercanti di frutta e verdura con un banco in piazza Duomo, che diventò il pittore più amato nelle case e nelle chiese di Milano. Altri due testimoni della parabola del giovane Bernardino
Contemporanei Mentre Leonardo, che operava per le sole élite del potere, era un genio solitario, questa è la storia di una bottega
furono da una parte il Bergognone, dall’altra il Bramantino. Fra i due, Luini capì subito che, per vivere, era meglio scegliere il primo e imboccare la strada di una pittura semplice, graziosa, adatta alla devozione popolare, non troppo forbita e intellettuale. Ci aggiunse poi, dopo aver osservato da vicino lo sconvolgente affresco in santa Maria delle Grazie, anche la dolcezza dello sfumato di Leonardo ed ecco costruita la formula del successo. Le simpatie iniziali verso la pittura veneta virarono definitivamente verso il dialetto lombardo, declinato però con colori accesi e seducenti, quasi di smalto. I suoi quadri per la devozione privata, sopra tutti Madonne col Bambino e San Gerolami, dall’aria domestica e accostante come la Madonna
del Roseto o gli affreschi per la villa della Pelucca con bionde fanciulle che si spogliano per il bagno nel fiume, piacciono così tanto da diventare una formula fissa di semplicità, classicità, dolcezza che, dopo l’ampio successo ottocentesco, nel Novecento cadrà in disgrazia fino alla sua riscoperta nella seconda metà del secolo. Insomma una mostra ricca di storie, leggibile su due livelli: quello del piacere visivo; e quello scientifico per l’enorme mole di ricerche che c’è dietro. «È un po’ come L’ultimo imperatore di Bertolucci», osa Giovanni Agosti, che dall’acribia scientifica della sua equipe di universitari ha visto uscire uno spettacolo affascinante di forme e colori.
Francesca Bonazzoli © RIPRODUZIONE RISERVATA
MUSEI
MOSTRE
TRIENNALE, viale Alemagna 6, tel. 02.72.43.41. Orario: 10.30-20.30, giov. 10.30-23. Chiuso lun. Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione. Fino al 22 febbraio 2015. Ingresso: € 8/5,50. Triennale Design Week 2014. Fino al 13 aprile. Ingresso libero. Identità Milano. Fino al 2 giugno. Ingresso libero. LE SALE DEL RE, piazza Scala, ingr. Galleria Vittorio Emanuele II, tel. 02.79.41.81. Leonardo3. Il mondo di Leonardo. Fino al 31 ottobre 2015. Orario: tutti i giorni 10-23. Ingresso: € 12/9
In Lombardia
TEKA P Al Rock’n’Roll, per Luca Trambusti, i il loro album di tr Jannacci «Per fare Via Bruschetti 11
SCRITTORI IN CA All’Università Ca premiazione del letterario «Scritt promosso dall’at Trenord. Oltre tre pervenuti che ra legate al treno. Largo Gemelli 1, a 17.45, ingresso li
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A Milano PALAZZO REALE, piazza Duomo 12, tel. 02.88.44.51.81. Orario: lunedì 14.30-19.30; mart.-dom. 9.30-19.30; giov. e sab. 9.30-22.30. Vassily Kandinsky. Fino al 27 aprile.* Piero Manzoni 1933-1963. Fino al 2 giugno.* Klimt. Alle origini di un mito. Fino al 13 luglio.* *Ingresso: € 11/9,50/5,50, compresa audioguida.
INNESTI IN LIBR Alla Libreria 121 della mostra-ins «Innesti» di And accompagnerà l’ presentando l’om Via Savona 17, or
MUSEO POLDI PEZZOLI, via Manzoni 12, tel. 02.79.48.89. La casa morbida tra arte e design. Fino al 5 maggio. Orario: 10-18, martedì chiuso. Ingresso: € 9/6.
GALLERIA BOTTEGANTICA, via Manzoni, 45, tel. 02.62.69.54.89. Pompeo Mariani, impressionista italiano. Fino al 3 maggio. Orario: martedì-sabato 10-13 e 15-19. Ingr. lib.
MUSEO DEL NOVECENTO Piazza del Duomo 12, tel. 02.88.44.40.61. Orario: 9.30-19.30; lunedì 14.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30. Ingresso: € 5.
MUSEO DELLA PERMANENTE, via Turati 34, tel. 02.65.99.803. Nati nei ’30. Milano e la generazione di Piero Manzoni. Fino al 15 giugno. Orario: martedì-domenica 10-13 e 14.30-18.30. Ingresso: € 5/3.
VERNISSAGE PINACOTECA DI BRERA / Bellini. In via Brera 28, tel. 02.92.800.361, alle 18 apre Giovanni Bellini. Nascita della pittura devozionale umanistica. Fino al 13/7. Orario: mart.-dom. 8.30-19.15.
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PALAZZO ISIMBARDI / Russo. In corso Monforte 35, tel. 02.89.05.314, alle 19 si inaugura Riflessi d’interno opere di Stefano Russo. Fino al 13 aprile. Orario: 10-19, giovedì 10.30-23. Chiuso lunedì. FONDAZIONE STELLINE / Coco, Molino, Scanavino. In c.so Magenta, 61, t. 02.45462411, alle 18.30 si inaugurano Matita&Metropoli: Coco e Walter Molino e Emilio Scanavino. Nascenza. Fino all’8 giugno. Orario: martedì-domenica 10-20.
CASTELLO SFORZESCO Piazza Castello, tel. 02.88.46.37.03. Orario: 917.30, chiuso lunedì. Ingresso: € 3/1,5 (oreficeria, porcellane, mobili, sculture di legno, arte antica, pinacoteca, strumenti musicali, sezione archeologica, preistorica, egizia). Settore Cortile della Rocchetta, 1° e 2° piano, chiuso 13-14. MUSEO D’ARTE E SCIENZA via Quintino Sella 4, tel. 02.72.02.24.88. Orario: lunedì-venerdì 10-18. Ingresso € 8/4.
MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA LEONARDO DA VINCI Via San Vittore 21, tel. 02.48.55.51. Orario: martedì-venerdì 9.30-17, sabato e domenica 9.30-18.30. Ingresso: € 10/7/4 (over 65 anni e scuole). Visite guidate al sottomarino «E. Toti» € 10/8, infopren 02.48.555.330. MUSEO DI STORIA NATURALE Corso Venezia 55, tel. 02.88.46.33.37. Orario: 917.30 (chiuso lunedì). Ingr.: € 3, oltre i 65 anni € 1,50. Dalle 16.30 (il venerdì dalle 14), ingr. libero. ACQUARIO Viale Gadio 2, tel. 02.88.46.57.50. Orario: 9-13 e 14-17.30 (chiuso lunedì). Ingresso libero. PLANETARIO Corso Venezia 57, tel. 02.88.46.33.40. Orario: 912. Conferenze: martedì e giovedì ore 21; sabato e domenica ore 15 e 16.30. Ingresso: € 3/1,50.
CENTRO ( via Larga, 6
NORD (Bo Oggiaro, C Gioia): via 34; viale S via Monte
SUD (Ticin Gratosogli corso Lodi viale Tibald Missaglia)
EST (Vene Ortica, For Vittor Pisa 1); viale M Crescenza 37 (piazza
OVEST (Lo Gallarates Vercelli, No ang. via Bo 27; via Par (ang. via R Grosotto, 5
Corriere della Sera Domenica 13 Aprile 2014
«Corriere della Sera» • 13 aprile 2014
Cultura
&Tempo libero
Itinerari Sulle orme dei grandi pittori, oltre la mostra di Palazzo Reale
opo aver visitato la splendida mostra che Palazzo Reale dedica a Bernardino Luini e ai suoi figli (vedi box a fianco), i lavori della bottega artistica più richiesta della Milano cinquecentesca vi saranno diventati così famigliari e graditi che vi verrà voglia di andarli a scoprire anche nelle chiese cittadine. Se poi l’aria di primavera vi porterà fuori Milano,
Chitarre magiche
Vive a Milano, ma ha registrato l’ultimo album in una scuola abbandonata in mezzo alla campagna di Busseto, nel parmense, trascorrendo serate a tempo di «liscio» con gli anziani del paese. Il cantautore Dente (foto), stasera alle 21, arriva al Teatro Nazionale di piazza Piemonte 2 (biglietti 28,75-17,25) con i brani indie pop del suo repertorio e del nuovo disco «Almanacco del giorno prima», canzoni moderne ma dallo spirito rétro.
Ultima chiamata per partecipare all’happening del Fuorisalone «Touch a Noah and Shine» in zona Lambrate. Dalle 10 alle 19 sotto il glicine di Villa Busca Serbelloni (via Rombon 41, drink a cura della Sidreria Trentina) chiunque potrà mettere le mani sulle raffinatissime chitarre e i bassi costruiti dagli artigiani di Noah, che, per dirne uno, conquistarono anche Lou Reed. Attacca, attacca, attacca, attacca, attaccami la spina!
al Teatro Nazionale
al Fuorisalone di Lambrate
Capolavoro Il «Compianto sul Cristo morto» nella cappella di San Giorgio al Palazzo
La mostra «Bernardino Luini e i suoi figli» a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa a Palazzo Reale (piazzetta Reale, orario da martedì a domenica 9.3019.30, giovedì e sabato 9.30-22.30, lunedì 14.3019.30, biglietti 11/9,50/5,50 euro, fino al 13 luglio) raccoglie 200 opere della più importante famiglia di artisti del Cinquecento lombardo. Accanto ai quadri della bottega, è esposta anche la seducente «Scapiliata» di Leonardo da Vinci, contemporaneo dei Luini, dedito però alla sola committenza delle élite del potere.
Luini
troverete i Luini anche a Saronno, Chiaravalle, Pavia, Trezzo sull’Adda, Legnano, Cairate e su su verso nord fino a Como, Verbania, Lugano, Lecco e in provincia di Sondrio. Insomma, dai Luini non si scappa e non a caso per molti secoli la loro pittura ha rappresentato l’identità figurativa della Lombardia con il marchio di fabbrica di un classicismo semplice e intriso di dolcezza, che pur assorbendo lo sfumato leonardesco evitava le inquietudini e le ambiguità del genio da Vinci. Ecco perché questo linguaggio piacque molto al cardinale Federico Borromeo e raggiungerà il culmine del successo nell’Ottocento romantico trovando celebri estimatori in Stendhal, Balzac e Ruskin. Usciti dal Palazzo Reale, dunque, la prima tappa è già a due passi, in via Torino, nella chiesa di San
MI
L’«Almanacco» di Dente
Fino al 13 luglio
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Fuori dal museo
S. Maria degli angeli a Lugano
Il Santuario di Saronno (Va)
Giorgio al Palazzo, così detta perché costruita vicino al palazzo imperiale dove Costantino, nel 313, firmò l’Editto di Tolleranza, ricordato dentro la chiesa da una lapide che fa venire i brividi. Sulla navata destra della basilica fondata nel 751, la cappella dedicata al Corpus Domini fu interamente dipinta da
Se la cappella è certamente un gioiello, è però nella chiesa di San Maurizio, in corso Magenta, che la gloria dei Luini rifulge in tutto il suo splendore: qui la bottega ha affrescato quasi tutti i muri, da terra al soffitto, poiché l’edificio apparteneva a un ricco convento benedettino dove si monacavano le figlie dell’aristocrazia milanese. Molti lettori lo conosceranno già bene, ma la visita suscita sempre una rinnovata meraviglia. Altre chiese milanesi conservano tracce dei Luini, ma per ammirare un’impresa di valore simile alle due sopra citate bisogna spostarsi a Saronno, nel santuario della beata Vergine dei miracoli, la cui origine è legata al sogno di un infermo il quale, verso il 1460, vide l’apparizione della Madonna che gli annunciava la guarigione: una delizia di grazia, colori luminosi e armonia, insomma la quintessenza dell’arte rinascimentale. Da non perdere nemmeno gli spettacolari affreschi con le Storie della Passione di Cristo a Santa Maria degli angeli, a Lugano, «il più gran teatro del suo ingegno», come li definì frate Tommaso Mornatti, guardiano del convento tra il 1837 e il 1839. A Como, invece, nel Duomo si possono ammirare la Pala Trivulzio e l’Ancona di Sant’Abbondio; a Legnano il Polittico di San Magno nell’omonima chiesa e a Pavia non può mancare una tappa alla Certosa. Tutte le descrizioni delle opere delle trenta località lombarde, piemontesi e San Maurizio Maggiore ticinesi dove hanno operato i Luini si possofetto prospettico d’insieme cercato no trovare nel secondo volume del da Luini sullo stimolo della vicina catalogo della mostra pubblicato chiesa di Santa Maria presso San da Officina Libraria e anche nelSatiro (all’inizio della via) del Bra- l’ottimo sito www.mostraluini.it, mante, dovete osservare la cappel- dove ci sono anche le informazioni la dall’intercolumnio antistante in sui giorni e gli orari di apertura dei modo che tutto l’impianto scenico diversi siti. Francesca Bonazzoli si allinei visivamente. Così la me© RIPRODUZIONE RISERVATA raviglia è compiuta.
Dalle chiese milanesi di San Giorgio e San Maurizio, fino a Saronno e alla Svizzera
Bernardino nel 1516: al centro, sopra l’altare, c’è un magnifico e affollato Compianto sul Cristo morto accompagnato ai lati da altre due tavole con l’Ecce homo e il Cristo flagellato e sormontato da una lunetta con il Cristo schernito. Sulla volta a botte, invece, l’affresco della Crocifissione. Per ottenere l’ef-
Iniziativa Da giovedì quattro appuntamenti gratuiti. Tra gli ospiti Popolizio e Laura Curino
razio sosteneva «ut pictura poësis», cioè che un dipinto fosse come una poesia per forza espressiva e fruizione. Un concetto che le Gallerie d’Italia di Milano (www.gallerieditalia.com), polo museale che raccoglie parte del patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo, applica nel progetto «I Sensi del Bello». Da giovedì 17 aprile sale e saloni del complesso ospitano infatti quattro «happening teatrali» coordinati dal Piccolo Teatro, percorsi inediti per scoprire le collezioni (ingresso gratuito, previa prenotazione a comunicazione@piccoloteatromilano.it, in oggetto Gallerie d’Italia indicando nome, data e numero ingressi). «Le Gallerie d’Italia di Milano sono costituite da Palazzo Anguissola, Palazzo Brentani e l’ex Palazzo Comit progettato da Luca Beltrami», spiega Giovanni
Voce Massimo Popolizio inaugura la rassegna giovedì nella Sala dei gessi del Canova (sopra)
Morale, coordinatore delle Gallerie d’Italia di Milano, «luoghi naturalmente teatrali che diventano palcoscenico per due eventi presso la collezione ottocentesca “Da Canova a Boccioni” e due al “Cantiere del Novecento”». È il peculiare rapporto attore/pubblico a suggerire — attraverso reading di poesie, teatro e letteratura — una prospettiva nuova di visita al museo. «Il 17 aprile (ore
17 e 18.30) i visitatori/spettatori troveranno Massimo Popolizio nella Sala dei gessi di Canova impegnato in pagine di Parini, Platone e Omero che echeggiano la bellezza dei bassorilievi», prosegue Morale. «Un’unione fra testo e arte che si rinnova: è noto che Canova amasse farsi leggere l’Odissea per trovare ispirazione». Dopo «Alba e tramonto di una civiltà» con Popolizio, Anna Della Rosa (8/5) darà voce agli «Anni rivoluzionari» di metà ‘900 abbinando arti figurative e innovazioni del linguaggio teatrale, Flavio Albanese e Fausto Russo Alesi (5/6) in «Milano, 1947» collegheranno Strehler con Astrattismo e Spazialismo, infine Laura Curino (3/7) in «Storie di signore e signorine» si dedicherà a Scapigliatura e Decadentismo.
Daniela Zacconi © RIPRODUZIONE RISERVATA
reclam.com
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ph. uezzo.com
Arte e teatro dialogano alle Gallerie d’Italia
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«Il Sole 24 Ore» • 13 aprile 2014
«L’Eco di Bergamo» • 16 aprile 2014
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«Avvenire» • 18 aprile 2014
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Dir. Resp.: Marco Tarquinio 18-APR-2014 pagina 14 foglio 1 / 2
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«la Repubblica» • 04 maggio 2014
Cultura Letti per voi Giuseppe Marchetti
N«Gazzetta di ella famosa Abbazia di Praglia nell'ottobre del 2012 si tenne un convegno di studi dedicato a «Il sacro e altro nella poesia di Andrea Zanzotto»; convegno del quale ora escono gli Atti nelle Edizioni ETS di Pisa a cura di Mario Richter e Maria Luisa Daniele Toffanin. Ottima occasione per riparlare non solo della poesia di Zanzotto ma di quel suo timbro umano e sacrale che ai valori religiosi si rivolge come ad un tempio di antiche memorie non guastate dai caratteri improvvisati e fragili della modernità. Al convegno parteciparono, oltre ai due curatori, l'abate Norberto Villa,
POESIA, IL SACRO NELLE LIRICHE Parma» • 08 DI ZANZOTTO: IN UN VOLUME GLI ATTI DEL CONVEGNO
Antonio Daniele, Silvio Ramat, Francesco Carbognin, Espedito D'Agstini e Marisa Nichieli Zanzotto. Presentando il volume, Mario Richter scrive che «Al di là degli inevitabili rapporti che da sempre la poesia intrattiene col sacro e con l'eterno, il convegno ha messo in chiara evidenza la specificità dell'incidenza dei più autentici valori religiosi presenti nella vita e nell'opera di un grande poeta ritenuto “laico”come Zanzotto». Giusta e utile indicazione, questa, per orientare le letture e gli studi intorno ad una poesia che col passare degli anni e col volgere delle occasioni ha mutato prospettive
maggio 2014
timbriche, parole o respiro, strofe e stili, imitazioni naturali e voci, sino ad isolarsi quasi, alla fine, in un balbettamento angoscioso che riduceva i componimenti a veri e proprie «tentativi» di pronuncia, con aspetti descrittivi ardui e tortuosi, mistici e religiosi davvero, come ci illustra chiaramente D'Agostini nel suo intervento. Questa opera varia e unica, forse, nella storia della nostra poesia novecentesca, durante il convegno di Praglia ha ricevuto una dettagliata e criticamente assai provveduta analisi che in larga misura ha contemplato da un lato le origini petrarchesco-leopardiane della
Mostra Milano, opere a Palazzo Reale fino al 13 luglio
poesia zanzot ne del poeta a metica, secon Carbognin, o p ligioso per le c l'amorosa dev condo la testim li Zanzotto: un «di matrice ce rò sfugge alla dogma della C
® Il sacro e a
Zanzotto Edizioni ET
L'eredi
Il «te di Hi al mu Bernardino Luini, un protagonista del Rinascimento che ora viene celebrato in tutta la sua grandezza di Be Notevole anche la produzione pittorica del figlio Aurelio e degli artisti che ne svilupparono la lezione
Splendori del '500 lombardo di Pier Paolo Mendogni
B
ernardino Luini, uno dei maggiori protagonisti del Rinascimento lombardo, trova finalmente la meritata visibilità con una grande mostra allestita a Milano a Palazzo Reale (fino al 13 luglio), intitolata «Bernardino Luini e i suoi figli» e che spazia su vari momenti del Cinquecento milanese; l’hanno curata Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, cui si deve pure il vasto catalogo in più volumi dell’Officina Libraria. Circa duecento sono le opere della rassegna che è stata preceduta da una puntigliosa ricerca sull’artista e i suoi figli – Tobia, Evangelista, Giovanni Pietro e Aurelio – sul cognato Battista Balduini «ancora imprendibile» e il cugino della moglie Giovanni Lomazzo, tutti pittori. Di Bernardino non si conoscono né il luogo né la data di nascita, che si fa risalire intorno al 1480. Il suo cognome è Scapi trasformato per il luogo d’origine in Luini da «Bernardinus de Luyno». Anche la sua formazione resta avvolta nell’oscurità. La luce s’accende nel 1501 con un documento che lo cita a Milano e con la «Madonna» di Esztergom in cui la Vergine prega mentre il bimbo è addormentato: qui si avverte l’eco lontana del Foppa – che apre la rassegna in quanto autore del mutamento del corso della pittura lombarda - e del Bergognone, col quale si confronta nel paesaggio architettonico: sono quadri per la devozione privata il cui soggetto è sempre la Madonna col Bambino. Dopo la morte del padre Giovanni, Bernardino lascia Milano per recarsi nel Veneto: documenti non ne sono stati ritrovati ma le caratteristiche del suo linguaggio portano gli studiosi a ipotizzare un soggiorno a Treviso, dove erano attivi vari artisti tra cui il Lotto – di cui è esposto un bel ritratto di giovane trasognato – Pier
In esposizione Bernardino Luini, «Madonna del roseto».
Profilo Duecento dipinti in esposizione. Prevalenti i soggetti sacri
Maria Pennacchi e quel Francesco da Milano che ha lasciato importanti affreschi anche a Conegliano. Di Bernardino è rimasta la pala della «Madonna col Bambino, santi e angeli» in cui si firma «Bernardinus mediolanensis» ed è data 1507. Poco dopo l’artista torna a Milano e nel «San Sebastiano» cambiano la firma (Bernardin. Luini) e anche il modo di esprimersi che risente ancora del colore veneto ma rivela l’influenza del Bramantino (qui con la «Sacra Famiglia») nella plasticità e nell’architettura. Altri punti di riferimento per lui sono il Bergognone, Andrea Solario, l’anziano Ber-
nardo Zenale e Agostino da Lodi la cui «Cena di Emmaus» contiene elementi giorgioneschi e leonardeschi. La seconda presenza di Leonardo a Milano (1508 – 1511) ha lasciato un segno profondo in tanti artisti per la sua sensibilità nel far emergere i moti dell’anima, per l’uso dello sfumato che ammorbidisce i contorni e unisce le forme avvolgendole nell’atmosfera: una lezione che Bernardino ha colto coniugandola con la serenità della pittura di Raffaello, conosciuta in un viaggio a Roma. Dal 1514 Luini ha iniziato ad eseguire importanti opere tra cui gli affreschi nella villa detta la Pelucca tra Monza e Milano di cui sono rimasti vari brani staccati nell’Ottocento con temi mitologici come il Sacrificio a Pan, la Fucina di Vulcano e lo straordinario «Ragazze al bagno», la scena più celebre ed enigmatica del complesso dove ragazze di una delicatezza renoiriana si immergono nelle acque di un fiume, togliendosi le bianche camicie, nella quieta dolcezza di un sereno paesaggio. Un altro famoso brano è quello di Santa Caterina portata in cielo da tre angeli. E’ un periodo particolarmente felice per Bernardino. La «Susanna e i vecchioni» è una figura «bellissima per sentimento» in cui si avverte una radice leonardesca ricollegabile alla «Scapiliata» della Galleria Nazionale di Parma come la «Salomè» che riceve la testa di San Giovanni Battista» che ha incantato Stendhal per la leonardesca espressione soave e malinconica e lo sguardo divino delle Madonne del Correggio. Un altro splendido capolavoro in cui emerge lo sfumato è la «Madonna del roseto» che guarda con assorta tenerezza il bimbo che con una manina afferra l’aquilegia che spunta da un vaso richiamando i doni dello Spirito Santo;
alle sacre immagini fa da sfondo un graticcio con rose bianche e rosa. Un’altra «Madonna con Bambino» esce da un’oscurità «leonardesca» ma il volto esprime una serenità raffaellesca. Oltre a dipingere quadri per la devozione privata, Bernadino ha lavorato per le comunità religiose tra cui il monastero di Santa Marta delle agostiniane dove la mistica Panigarola ha finanziato un ciclo d’affreschi, staccati nell’Ottocento: qui vediamo alcuni imponenti santi monocromi e una scena con la Vergine, santi e Arcangela Panigarola. Non sono molti i suoi ritratti noti, tra questi il «Ritratto di signora» (1520) che porta il balzo come la «Schiava turca» e tiene una martora con l’«Antea» del Parmigianino. Negli anni Venti Luini è diventato il pittore milanese più richiesto e si dedica a grandi cicli di affreschi anche a Saronno, Lugano, Como insieme alla sua bottega. Si cimenta pure nella pittura mitologica con la «Donna nuda distesa», che Venturi ha indicato come Venere, dall’espressione incerta e dalle forme un po’ rigide.Alla morte dell’artista (1532) i figli sono ancora giovani. Forse la bottega viene gestita da Giovanni Lomazzo nel segno della tradizione leonardesca come dimostra la «Sacra famiglia con S. Anna e S. Giovanni» che copia l’opera vinciana con l’aggiunta di San Giuseppe. Tra i figli emerge Aurelio, il più giovane (1530-1593), autore di grandi pale esposte alla fine del lungo percorso e confrontate con quelle di Camillo Procaccini, Simone Peterzano e Antonio Campi. Aurelio è molto distante dal padre in quanto vive nel clima dell’artificiosità manieristica. Nell’ultima opera, però, «Il martirio di Santa Tecla» pare anticipare un certo patetismo controriformistico.u
II Ha lasciato seo dell’arte litt, il collezio tre giorni fa condo inform sche Zeitung lontà espress litt. Sugli oltre sciuti le auto tavia aperto certarne la p Il sospetto ziata dai nazi a 81 anni, è st se fa in posse trimonio art inestimabile ro di Hitler» provento de nazisti. Figlio di un colse questo primi anni tr potrebbe ave vecchio Grul re di Matisse Otto Dix, M vori sconosci Un patrim tedesche han per verificar raggiungere dell’ottuagen damente tra vicenda. Il decesso esattamente inquirenti a tuirgli i capo patto di pot che. L’anziano malato: dopo al cuore e u durata settim siderio di tor curato e acc mane e negli
Anticipazione Giuseppe Massari della Diabasis parla del volume «Il coraggio di scrivere», che raccoglie gli editoriali dello storico direttore
«Baldassarre Molossi? Un pensatore politico» Il libro uscirà nelle prossime settimane. Quasi tutti gli articoli selezionati apparvero tra il '70 e l'80 Lisa Oppici II «Il coraggio di scrivere»: dice già molto, il titolo del volume (di prossima uscita) con cui Diabasis rende omaggio a Baldassarre Molossi, storico direttore della Gazzetta di Parma. Una raccolta scelta di editoriali di Molossi, dalla quale esce un ritratto assolutamente composito: del giornalista e dell’uomo. «È stato un grande direttore, certo, ma io sono fermamente convinto che sia stato molto di più: un intellettuale, un intellettuale vero». Il curatore del libro, Giuseppe Massari, lo dice e lo ribadisce, ricostruendo l’iter di genesi e poi di co-
struzione dell’opera. «Com’è nato il libro? Qualche anno fa se n’era parlato, si era lanciata l’idea di pubblicare un’antologia degli editoriali di Baldassarre. Quell’idea ha cominciato a lavorare dentro di me – racconta Massari - e due anni
fa con Diabasis s’è deciso di partire». Prima scelta, quella di circoscrivere l’ambito di indagine: «Baldassarre Molossi è stato direttore per 35 anni, e non ha mai scritto editoriali in senso stretto: scegliere uno o due pezzi l’anno sarebbe stato per me assurdo. Da lì l’idea di concentrarmi su un certo periodo: ho pensato che il più interessante per tante ragioni, per lui e per le cose intorno, fosse quello dal Settanta all’Ottanta, perché c’è stato di tutto. Poi, certo, c’è anche qualcosa di precedente e di successivo, ad esempio un pezzo sulla morte di Pietro Barilla, ma il grosso del volume riguarda quel periodo: che è, sì, il periodo del terrorismo, e di Moro, e di altre cose che tutti conoscono e su cui tanti hanno scritto, ma che è anche quello della virata di Berlinguer. Virata epocale, storica, che lascia un segno profondo in quegli anni», spiega Massari, che di Molossi è stato amico («l’ho co-
Opinionista Baldassare Molossi (1927 - 2003). A sinistra, Giuseppe Massari.
nosciuto e frequentato molto, soprattutto prima e dopo la sua esperienza da direttore») e che ne ricorda la passione, l’anticonformismo, la combattività e anche «le forti contraddizioni: era liberale, non c’è dubbio, ma le sue simpatie per il socialismo democratico non sono mai state smentite: cercava di conciliare il tutto». Per 35 anni direttore di un quotidiano che ha saputo rendere vincente in anni difficili, Molossi per Massari non può essere considerato «solo» un giornalista, per quanto grande: «È stato molto più
che un grande giornalista e un grande direttore, quello che ha portato la Gazzetta da diecimila a più di cinquantamila copie facendola leggere veramente a tutti: Molossi era un pensatore, un intellettuale. È passato accanto a Parma e i parmigiani non se ne sono accorti, l’hanno considerato solo un grande direttore. Lui ha usato il quotidiano per sostenere delle tesi, e mi ha fatto venire in mente la visione di Heidegger, che sostiene che l’essere si trasforma e diventa evento: ecco, lui era l’essere trasferito nell’evento. Solo che aveva a che fare con uno
strumento sp facile alla con va bene il risc Giornale c da giovane. «B tinua Massar una sorta di m veva fare il d ruolo che, a m ma cui non p Baldassarre “è zetta, e ha “te me, soffrendo quando non è teralmente es nato a fare po 1994 si è cand con uno deg bensì con la ramente perd gusto dell’ant dei suoi tratti Già. Antico déraciné raffi livello, se poss E un comba dassarre Molo zetta” un gio qualche volta cupandosi di a necessario. An Giuseppe Ma molto rimpian
«Alias», supplemento domenicale de «Il Manifesto» • 15 maggio 2014
ALIAS DOMENICA 18 MAGGIO 2014
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A MILANO, PALAZZO REALE, FINO AL 14 LUGLIO
LUINI
CINQUECENTO ■ «BERNARDINO LUINI E I SUOI FIGLI», A CURA DI AGOSTI E STOPPA
Una calma Lombardia nell’officina dell’università statale di CLAUDIO GULLI MILANO
●●●La Milano di Strehler, di Testori, di Arbasino, come linea di stile. Una pedagogia manzoniana, che educhi con le grandi narrazioni popolari. Una filologia piana, chiara, che agisca sui documenti non meno che sui testi figurativi, secondo un metodo messo a punto sulla scia di maestri come Paola Barocchi, Dante Isella e Gianni Romano. Questi gli ingredienti di base di una mostra – che raccontiamo da dietro le quinte – dove si prova a dire tanto di nuovo su Bernardino Luini e i suoi figli, a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa (Palazzo Reale, fino al 14 luglio, catalogo Officina Libraria). Questa mostra non è che un capitolo di una saga che consiste nella riscrittura di pagine centrali della vicenda artistica lombarda. Da ricordare almeno la monografica su Foppa organizzata dal Comune di Brescia (2003), il Mantegna del Louvre (2008), l’esplorazione del Rinascimento nelle terre ticinesi a Rancate (2010), la scommessa del Bramantino di appena un anno fa. In un decennio in cui le mostre piacevano se c’erano le code alla biglietteria, non se insegnavano qualcosa a qualcuno. Qui invece il cuore è la didattica e la ricerca: i collaboratori sono studenti universitari che lavorano in squadra e capiscono come funzionano schede, bibliografie, fotografie, allestimento, e tutto quel che significa curare una mostra. Al visitatore presentiamo quel che emerge dallo studio, incertezze incluse. Un modello che viene dalla Siena di Giovanni Previtali e Luciano Bellosi, dove, fra anni ottanta e novanta, una serie di mostre ha consentito di capire meglio il ciclo di quella storia dell’arte, dal gotico a Beccafumi, grazie a un forte legame fra università e comune. E oggi che musei e soprintendenze sono
sempre più sotto attacco, la partita delle mostre appare ancora più decisiva. Non come rifugio, ma come ariete: per rientrare dalla porta maggiore. La speranza è insomma che la generazione di storici dell’arte che ora si va formando – all’università di Milano e non solo – riesca a fare tesoro di esperienze di questo genere. E faccia capire, al pubblico e al potere, qual è il senso reale del proprio mestiere. La Madonna con Bambino del Castello Sforzesco di Vincenzo Foppa (1475), dipinta quando Luini è ancora bambino, sta a indicare che è lunga la gittata che si vuole percorrere: in funzione di prologo, è l’opera di un patriarca prospettico e scheggiato. Come la Crocifissione della Sabauda di Gaudenzio Ferrari, posta all’apertura del Seicento lombardo da Testori nel 1973, sempre a Palazzo Reale. Ancora tre Madonne, prima di scoprire il primo Luini: segnalano inversioni di rotta verso Leonardo (il Maestro della Pala Sforzesca) o fedeltà a una chiarezza lattea di paese (il Bergognone della Carrara). Dell’attività giovanile di Luini, su cui si è tanto discusso, si ipotizza di rintracciare le mosse in Veneto: si fa capo a una pala d’altare, oggi al Jacquemart-André, firmata e datata 1507, di cui è ignota la provenienza – nel 1794 era in una collezione privata di Venezia. L’aria che tira richiama Treviso: e in sala, su tutto, svetta quel Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto (1503-1505 circa, anche lui dalla Carrara) che sta fra il genio e l’idiozia. Anche di due polittici smembrati non è chiara la provenienza: per il primo, cinque Santi in collezione Borromeo
(1510), si propone una divisione di mani: di Bernardino (si è trovata la firma) sarebbe solo il fulgido San Sebastiano, dal corpo tutto in luce, e di altri due pittori, Bernardino Ferrari e il Maestro di York, le restanti quattro. Per il secondo polittico (1510-1512), gli indizi convergono verso la pista luganese, in forza del ritrovamento di copie seicentesche in una parrocchiale del luogo. Silenziosamente, Luini trova la sua cifra, quasi che avvicinare ai fedeli madonne e santi fosse una vocazione istintiva. Normalizza le sperimentazioni intellettualistiche di Bramantino, dove ogni geometria era mutata in mistero. Un altro rapporto forte di Luini è con Bernardo Zenale: i due si legano in compagnia e condividono una stessa posizione cultura-
In alto a sinistra, Bernardino Luini, «Compianto su Cristo» (part.), 1515-’16, Milano, San Giorgio al Palazzo; a destra, Bernardino Luini, «San Sebastiano», 1510, Isola Bella, collezione Borromeo
le: fare i conti col passato (Foppa, Bergognone) ma esplorare, per quanto possibile, il nuovo senso bramantiniano e leonardesco delle cose. Ma ci sarebbe voluta in mostra la Pala Busti di Zenale (1515), prestito sciaguratamente non concesso da Brera. In campagna, nella villa detta la Pelucca – ma si tratta di un’azienda agricola –, a Sesto San Giovanni, Luini dipinge per Gerolamo Rabia un ciclo di affreschi (1513-1514 circa), sala per sala, e di una, ora, si è precisata l’iconografia: sono storie tratte dal Driadeo d’Amore di Luca Pulci, poemetto fiorentino del 1465. Staccati fra 1821 e ’22 da Stefano Barezzi, in un’operazione che Alessandro Conti definiva «di pura speculazione», gli affreschi poi viaggiano fra Brera e il collezionismo privato: alcuni finiscono nei musei di Washington, Parigi e Londra. Ma il tazebao braidense con le Donne al bagno, scarnificato dallo stacco, si impone nella percezione collettiva: oltre a Puvis de Chavannes, vengono in mente Balthus e Hopper. E infatti l’origine di queste squadrature di volumi va ricercata in Bramantino. L’opera-simbolo di questo nostro Luini è la Madonna del roseto di Brera (1516-1517 circa): copertina coraggiosa del catalogo è il graticcio, da cui spuntano fogliame, steli spinosi e due rose bianche, ma altre stanno per sbocciare. Stessa scelta per il manifesto della mostra, ma nel dettaglio si include il Bambino meditabondo: è una dimensione più umana. Luini pittore calmo, non piatto; dolce e naturale, privo di malizia, non di malinconia – guardiamo anche i ritratti. Nel 1516 dipinge per Santa Marta, dove superiora del convento è una nobile milanese, Arcangela Panigarola, che crede in una riforma della Chiesa e ha delle visioni. E allora le Sante a monocromo di Luini (ma c’è anche un Lazzaro) – affreschi staccati normalmente nei depositi di Brera, qui riuniti in una sala – ti sembrano colonne di un Vangelo in cui si legge una verità povera. Di un viaggio a Roma di Luini parla Cesare Cesariano, nel commento alla prima traduzione italiana del De Architectura di Vitruvio (1521), ma non ci sono i presupposti per uno choc stilistico. La pittura di Leonardo e di Raffaello irretisce Luini, che nei due trova nuovi registri emotivi. Del primo è in mostra la Scapiliata della Galleria Nazionale di Parma (1505-1506), accanto, due Salomè: una, da brivido, è di Solario (dalla Sabauda, 1505-1510), la seconda, di Luini, è un’opera che consacra la fama ottocentesca del pittore, anche per la sua collocazione in Tribuna agli Uffizi (1525 circa). È questo il Luini che si è «malinteso», che Longhi distingueva dalla schiera dei leonardeschi e accostava invece a Solario e Boltraffio: pittori di una sensualità eterodossa, da non appiattire sul vinciano. Una parte per niente secondaria del lavoro per questa mostra ha riguardato Aurelio (1530-1592), figlio minore di Bernardino, ospitato nella Sala delle Cariatidi, insieme a una scelta di pittori di confronto. Non può essere
I Luini, dal classicismo dolce del padre Bernardino al manierismo del figlio Aurelio: una mostra esemplare che lega l’attività di studio alla programmazione civica
lui, ma una personalità sfuggente che eredita la bottega alla morte di Bernardino, a dipingere la Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Giovannino dell’Ambrosiana (1535-1540 circa), opera che dipende dal cartone della Sant’Anna di Leonardo, ora alla National Gallery. Ma in quel momento a Milano il vinciano è più venerato che capito. Bernardino muore troppo presto per consegnare ad Aurelio un qualche mandato di stile e la giovinezza di questi è letta dai curatori in senso veneto. A Milano, in Santa Maria delle Grazie, non mancava un Tiziano: la Coronazione di spine del 1543 oggi al Louvre. È poi GLI ITINERARI LUINESCHI, CON VADEMECUM centrale la presenza di Aurelio nel 1557 nella chiesa di San Vittore a Meda: qui dipingono Antonio Campi, ●●●Una mostra, in Italia, se vuole essere politica, per i cittadini, non può che uno degli invasori della famiglia creintrodurti a ribattere strade antiche, a ritrovare opere dentro chiese, un tempo monese che irrompe nella scena milanei borghi o nei campi, e ora magari sommerse da industrie e speculazione. Per nese, e Giovanni da Monte, pittore questo il nostro Luini – pittore eletto dal gusto di un secolo, l’Ottocento, ad vertiginoso e poco noto – e in mostra alfiere della civiltà lombarda – parla a un pubblico disposto a ragionare su trovi le ante d’organo della chiesa di un’identità: cittadina, regionale, su una rete di scambi fra centri e territorio. Il San Nazaro (1568-1570 circa): un volume di trenta Itinerari (a cura di Giovanni Agosti, Rossana Sacchi e Jacopo trionfo di venetismo, in senso tizianeStoppa, con fotografie di Mauro Magliani, Officina Libraria) ti conduce davanti alle sco e manierista. Aurelio si gioca tutte opere di Bernardino e Aurelio, sparse fra Milano e i laghi. Passeggia in corso le sue carte su toni spettacolari: è una Torino e incontrerai a un certo punto una chiesa, San Giorgio al Palazzo: lì c’è il pittura di colpi di scena. Una prova Luini su tavola più bello che puoi vedere a Milano. Un Compianto lucido, analitico, grandiosa è il Compianto su Cristo delfitto di dolore e compassione per quel che è successo, brillante se passi dai verdi la chiesa dei Santi Paolo e Barnaba agli azzurri ai rossi potenti. Facce commosse che guardano in sù, ragazzi puliti (1575-1580 circa): la contrazione degli che guardano te, donne che baciano mani a occhi chiusi, vecchi che si asciugano spazi produce una congestione di lule lacrime dagli occhi. Bellissimo. Se torni a Palazzo Reale trovi il contesto di quel ci, colori e azioni. Dopo un secolo di dipinto: il disegno preparatorio – dal Louvre – e un altro Compianto del veronese pittura – e dopo l’ultimo dipinto di AuCaroto, che non capiamo se, rispetto a Luini, dia o riceva illuminazioni (ma il relio, un Martirio di Santa Tecla strapCaroto è ancora scioccato di come può essere il mondo dopo Mantegna). Una palacrime (1592), dalla sacrestia del mostra insomma che gioca ifra dentro e fuori. E ai nostri lettori consigliamo di Duomo –, il sipario si chiude con andare a Saronno o a Lugano, perché Luini, ad affresco, lì, è in forma smagliante: un’Ultima Cena di Camillo Procaccidonne e uomini sembrano tutti fratelli di un’età dorata dove conta solo la ni (San Simpliciano, 1587): un’altra dolcezza dei modi e del carattere. O a Legnano, o a Como. A Pallanza, se vuoi storia, quella dei bolognesi migrati a vedere il capolavoro di Aurelio. (cl. gu.) Milano, tutta da raccontare.
«Lombardia oggi» • 30 maggio 2014
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Un evento che coinvolge la pr ovincia
Bernard ino Luini: il Raffaello d i Lo mb ard ia nato a Dumenza di Ser ena Colombo
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Di Ber n ar din o Luin i «Madon n a con il Bam bin o (Madon n a del r oseto)» (1516-1517 cir ca) e, qui accan to, «Sch er n o di Cam »(1514-1515 cir ca), en tr am be oper e della Pin acoteca di Br er a; n ell’altr a pagin a, «San ta Bar bar a»(1510-1512 cir ca), con ser vata al Museo Soum aya di Città del Messico, e n ella foto piccola pubblicata an ch e in coper tin a «Susan n a e i vecch ion i»(1515-1516 cir ca), appar ten en te alla Collezion e Bor r om eo all’Isola Bella
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al borgo natale di Dumenza, sulla sponda magra del lago Maggiore, tra i monti alle spalle di Luino - da cui il soprannome Luini - Bernardino Scapi (1481-1532 circa) scese a Milano in giovanissima età, al seguito dei genitori che vendevano ortaggi e castagne nel mercato di piazza Duomo. Ha così inizio la fortuna di un pittore di provincia divenuto uno dei maestri più amati e richiesti nella Milano del Cinquecento, per i suoi modi gentili e la pittura commovente, le Madonne dalla pelle di porcellana e i bambini teneri. Ammiratissimo anche dopo la morte, quando la sua bottega e i figli, in particolare il minore Aurelio, si preoccupano di portare avanti una formula di successo, aggiornandola secondo nuove sensibilità. Queste vicende, che coprono un secolo di storia lombarda, sono messe a fuoco dalla mostra che Palazzo Reale dedica a questo maestro: dodici tappe ne ripercorrono gli anni giovanili, sperimentali e vagabondi, l’escursione in Veneto alla base della peculiare maniera luinesca, quando, lontano da casa, Bernardino si firma «milanese» nella «Madonna e Santi»del Musée Jacquemart André di Parigi, datata 1507, piena di umori delle terre venete. Tornato a Milano, ormai in mano francese, Bernardino abita con il fratello in porta Cumana, dove stanno gli immigrati di Dumenza. Negli anni della maturità, dopo un probabile viaggio a Roma per cercare ispirazione tra i resti dell’antichità, Luini segue una strada che gli garantisce celebrità e commissioni illustri ma ne allenta inevitabilmente lo sperimentalismo creativo: un classicismo moderato e comunicabile, un linguaggio attento a esigenze narrative devozionali che fa proprie la grazia di Leonardo, privata però delle inquietudini del maestro toscano, soggetti raffaelleschi innestati su 20 Apr ile 2014
L’artista p iù Vip d el 1500 milanese, o rig inario d el lag o M ag g io re, arrivò nel cap o luo g o al seg uito d ei suo i g enito ri che vend evano o rtag g i e castag ne in p iazza Duo mo . Una mo stra curata d a G io vanni Ag o sti e Jaco p o Sto p p a lo racco nta a Palazzo Reale
paesaggi padani e la tecnica innovativa del Bramantino evitandone asprezze e oscurità. Questo è il percorso del maestro di Dumenza e dei suoi contemporanei, attraverso duecento opere (40 restaurate in occasione della mostra), molte provenienti da musei e collezioni milanesi integrate da significativi prestiti europei e americani. Dipinti selezionati e studiati da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, coadiuvati da un nutrito gruppo di studenti e dottorandi della Statale (che nella settimana dal 5 all’11 maggio saranno, gratuitamente, guide d’eccezione alla mostra) e presentati secondo un criterio cronologico favorito dall’allestimento sobrio dell’architetto Piero Lissoni. Costante è il confronto con i contemporanei, Bergognone, Andrea Solario, Zenale, Cesare da Sesto, Bramantino. Tra la prima opera nota, la «Madonna con il bambino»da Esztergom, e la più tarda «Madonna del Roseto» di Brera, in cui Gesù afferra un’aquilegia, fiore simbolo del suo martirio, sfilano pale d’altare ricostruite per l’occasione (con un importante prestito dalle collezioni dell’Isola Bella), ritratti e affreschi staccati. Tra questi, le lunette che decoravano la volta a ombrello di un ambiente della Casa degli Atellani, di fronte a Santa Maria delle Grazie (ora al Castello sforzesco), una sequenza di ritratti con la genealogia allargata della famiglia Sforza; e quelli, ora a Brera, provenienti dal monastero agostiniano di Santa Marta, eseguiti su commissione della superiora, la mistica Angela Panigarola. Sempre da Brera vengono gli affreschi che decoravano, secondo un complesso programma iconografico sacro e profano, la villa di delizie di Gerolamo Rabia, detta la Pelucca, nelle campagne tra Monza e Milano. È questa una delle grandi imprese decorative che vedono a lungo impegnato Luini a Milano e fuori città, e che la mostra invita a 20 Apr ile 2014
riscoprire. A pochi passi da Palazzo Reale, nella chiesa di San Giorgio al Palazzo, gioiello uscito dalle mani di Bernardino è la cappella del Corpus Domini (1516): dipinti su muro e su tavola danno vita a una macchina scenografica molto illusionistica, consapevole delle invenzioni prospettiche di Bramante nella vicina Santa Maria a san Satiro. Ma la vera gloria milanese di Luini, figli e bottega è San Maurizio al Monastero Maggiore: sia lo spazio pubblico che quello claustrale sono interamente dipinti, dal pavimento al soffitto, grazie alla disponibilità economica del convento benedettino dove si monacavano le fanciulle dell’aristocrazia milanese. Gli itinerari fuori città si diramano tra Chiaravalle Milanese e la certosa di Pavia, per poi salire verso Saronno fino a Como, Mendrisio e Lugano. Tappe di cui danno conto alcuni itinerari pensati come inscindibili dalla mostra stessa. Luoghi visitabili avvalendosi del secondo volume del corposo catalogo pubblicato da Officina Libraria, con schede che aiutano all’esplorazione e offrono spesso documentazione inedita. Il percorso espositivo si chiude invece nella monumentale Sala delle Cariatidi: il netto cambiamento d’ambiente bene si presta a ospitare la complicata eredità di Luini, riproposta dapprima in maniera abbastanza fedele dalla bottega e poi dai quattro figli; solo il minore Aurelio, ha il coraggio di un cambio di rotta rispetto al linguaggio paterno, rassicurante ma ormai ripetitivo, avvicinandosi alla pittura lagunare e ai virtuosismi della maniera. Alla sua morte, nel 1593, ha inizio un’altra saga familiare, quella dei bolognesi Procaccini, destinati a diventare gli artisti di fiducia di San Carlo. «Bernardino Luini ei suoi figli»Milano, Palazzo Reale, fino al 13 luglio, ore 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30, giovedì esabato 9.30-22.30, info 02.54914.
Una pr esenza viva un modello imitato per secoli di Andr ea Spir iti* Nato a Dumenza sul Lago Maggiore, Bernardino Scapi detto Luini (per la possibile provenienze luinese della famiglia?) è sicuramente uno dei grandi protagonisti della pittura lombarda del Cinquecento, sia per la sua prontezza nel dialogo fra lʼalta tradizione di cui si faceva portatore e gli influssi innovativi di cui era ricca la Milano di Ludovico il Moro; sia per lʼampia diffusione dei suoi modelli, inclusa la nascita di un vero e proprio "mito Luini" che portò per secoli ad attribuirgli molte opere delle pittura lombarda cinquecentesca. Cresciuto a contatto con personalità artistiche del calibro di Leonardo, Bramante, Bramantino, Bergognone, Zenale, gli inizi di Luini sono enigmatici: data 1507 la pala oggi al Musée Jacquemart André di Parigi forse di provenienza (e certo di cultura) veneta; ma bisogna arrivare al 1512 per il riferimento sicuro della Madonna col Bambino affrescata nellʼabbazia di Chiaravalle Milanese. Forse di poco anteriori sono gli interventi per un personaggio complesso come Gerolamo Rabia: gli affreschi per la sua villa della Pelucca a Sesto San Giovanni (oggi a Brera) e quelli per il suo palazzo milanese (oggi a Washington). Verso il 1513 dovrebbe datarsi lʼaffresco di palazzo Landriani (oggi al Castello di Milano); nel 1516 gli viene commissionato il ciclo di dipinti per la cappella del Sacramento in San Giorgio al Palazzo di Milano, modello importante per la pittura sacra successiva. Verso questa data si collocano il perduto polittico di Gravedona e le grandi committenze per i francescani riformati di Milano: gli affreschi di Santa Marta e di Santa Maria della Pace (entrambi a Brera), che pongono Luini al centro di quella inquieta spiritualità viva nella Milano di primo Cinquecento. Nel 1517 la commissione da parte del cardinale Scaramuzza Trivulzio della pala nel duomo di Como dà inizio ad una serie di operazioni lariane, mentre nel 1521 il viaggio a Roma lo pone a contatto con le grandi novità di Michelangelo e Raffaello, ben avvertibili in opere milanesi come lʼIncoronazione di Spine a Santa Corona di Milan (Ambrosiana) e il tramezzo di San Maurizio al Monastero Maggiore; ma anche il polittico di Bobbio, quello di Legnano e le ante dʼorgano milanesi di SantʼEustorgio (deposito di Brera a Paderno Dugnano). Nel 1525-1531 il grande ciclo nel santuario di Saronno costituisce per molti versi il culmine dellʼartista, in parallelo (1529) impegnato per il tramezzo di Santa Maria degli Angeli a Lugano. Datano 1530 gli affreschi nella cappella Besozzi in San Maurizio al Monastero Maggiore, ultima fatica milanese del pittore che muore nel 1532. Diversi suoi figli proseguirono le imprese paterne: il caso più importante è quello di Aurelio (1530 ca. - 1592), del quale non si possono dimenticare opere milanesi come gli affreschi al Monastero Maggiore e le cantorie di San Simpliciano, ma anche lʼattività varesina (gli affreschi di Cairate Olona) e verbanese (la partecipazione al ciclo di Santa Maria in Campagna a Pallanza). Bernardino Luini è dunque una presenza viva: un grande pittore, un protagonista del Rinascimento lombardo, un personaggio di forti radici ma in dialogo con le sconvolgenti novità romane, un modello imitato per secoli.
* professore di storia dellʼarte dellʼUniversità degli Studi dellʼInsubria
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A Sar onno, Cair ate, Legnano e Lugano
In g iro p er il territo rio sulle tracce d i Luini
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ernardino Luini, «il Raffaello di Lombardia»non si apprezza pienamente se non aprendosi al territorio, dove il pittore nato a Dumenza e la sua bottega familiare si sono affaticati sui muri di chiese e cappelle, lasciando capolavori di grande impatto emotivo che valgono una visita. TRA IL LAGO E IL TICINO Si può cominciare dalla sponda magra del lago Maggiore, dal luogo d’origine di Luini. Nella chiesa cimiteriale di San Pietro a Luin o (città che nel 1975 ha ospitato una grande mostra dedicata al maestro) è stata a lungo attribuita a Luini un’«Adorazione dei Magi»opera in realtà di un anonimo frescante di modi luineschi. Spostandosi più a Nord, poco dopo il confine, nella chiesa parrocchiale di San Carlo a Magadin o si conservano due tavole (ora in mostra) dedicate a Santa Caterina d’Alessandria e San Bernardino da Siena, parti di un polittico smembrato. Per rimanere in Ticino, la chiesa di San Nazario a Din o (Son vico) conserva un affresco staccato proveniente da Lugano. Si tratta di una «Crocifissione»raccontata con un linguaggio accessibile e di pacata partecipazione, databile negli anni venti del Cinquecento, quando Luini opera presso Santa Maria degli Angeli a Lugano. Qui, per separare lo spazio liturgico dei frati da quello dei laici, realizza uno strepitoso tramezzo («il più gran teatro del suo ingegno», fu definito nell’Ottocento) con «storie della Passione di Cristo»: 110 metri quadrati di racconto garbato, che dimostra debiti nei confronti della «pittura di storie»di Leonardo, della statuaria classica e di Raffaello. Nel vicino convento, l’«Ultima Cena»è una libera interpretazione del Cenacolo leonardesco; è stata staccata nel
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Di Ber n ar din o Luin i: «La Cr ocifission e»n ella ch iesa di San ta Mar ia degli An geli a Lugan o e, n ella foto gr an de, «Cr isto tr a i dottor i»(1525-1527 cir ca) n el San tuar io di Sar on n o; sotto, il Polittico di San Magn o (1525 cir ca) a Legn an o. Sotto a destr a, «Assuzion e della Ver gin e»di Aur elio Luin i, figlio di Ber n ar din o, n el Mon aster o di Cair ate (1560). Foto di Maur o Maglian i
1815 la lunetta con la «Madonna tra Gesù Bambino e San Giovannino»caratterizzata da delicatezza dei moti, dalla rotondità delle carni e dall’affettuosità dei gesti all’origine della fortuna di Luini , dal cardinale Federico Borromeo fino alla critica romantica. Con il maestro di Dumenza lavora a Lugano un artista, oggi noto come
Bartolomeo da Ponte Tresa, che ha lasciato numerosi affreschi nelle chiese tra la Valtravaglia e il Ticino, che potrebbero costituire un itinerario a sé. TRA IL SEPRIO E L’ALTOMILANESE Scendendo verso il Seprio, nella chiesa di San Michele a Ven egon o In fer ior e l’eredità di Luini è palesata nel linguaggio
dell’autore di alcuni affreschi votivi e di una «Natività»; nella vicina Cair ate, nella chiesa benedettina di Santa Maria Assunta, un immenso affresco sulla parete di fondo (staccato per motivi conservativi negli anni Settanta del secolo scorso e poi ricollocato nell’originaria posizione) è dedicato alla Vergine, con al centro l’Assunzione. È opera del del figlio minore di Bernardino, Aurelio, che la completò nel 1560. Con la sua bella mano da manierista delicato Aurelio, che guardava ai modelli paterni, parla un linguaggio quotidiano, prestando attenzione ai particolari domestici, come il cibo per rifocillare sant’Anna: minestra, uova, pane e vino. Ha rischiato di volare in Inghilterra il grande polittico con la «Madonna in trono»circondata da angeli musicanti e santi negli scomparti laterali, eseguito per l’altare di San Magno a Legn an o. Fiutando l’affare nel 1859 Charles Eastlake, pittore e scrittore d’arte, cercò infatti di aggiudicarselo per conto della regina d’Inghilterra, per la considerevole cifra di 420 mila svanziche, pari circa a 800mila lire. Fortuna la questura di Busto Arsizio si oppose alla Fabbriceria, pronta a cedere di fronte alla «somma esorbitante» proposta. La grande tavola di Legnano, piena di suggestioni bramanti-
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G io vanni Ag o sti a Varese sp ieg a il p itto re d i Dumenza
niane e leonardesche, apre a Luini le porte del Santuario di Sar on n o nel 1525, in un momento in cui, probabilmente, l’artista stava lavorando alla grande decorazione ad affresco della chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano. L’impresa suscitò l’ammirazione di Vasari, che lo definì «delicatissimo, vago et onesto», per la vena di illustratore felice e raffinato. Nell’antipresbiterio e nel presbiterio Luini
inscena una macchina narrativa complessa, tra ampi fondali lombardi e giochi prospettici. Il presunto ritratto nell’«Adorazione dei magi», tra dromedari, cammelli e una giraffa al guinzaglio, è quasi un saluto al pubblico. Dopo i numerosi interventi nel santuario «splendore dell’arte italiana», caro a Stendhal, Balzac e Ruskin, il testimone passa ai due figli, eredi della fortuna paterna. Ser ena Colombo
Prendendo spunto dalla mostra «Bernardino Luini e i suoi figli» in corso a Palazzo Reale a Milano, i Musei Civici di Varese raccontano gli splendori del Rinascimento locale in 4 appuntamenti al Castello di Masnago e due visite guidate. Si parte il 29 aprile (ore 18.30) al Castello con Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, curatori della mostra e docenti dellʼUniversità degli Studi di Milano, che illustrano la figura di Bernardino Luini e la rassegna milanese. Il 6 maggio (ore 18.30) si passa ai cicli a fresco lasciati da Luini tra Lugano, Saronno e Milano, con Roberto Cara. Il 17, 18 e 31 maggio visite guidate alla mostra su Bernardino Luini a Milano. Il 29 maggio (ore 18.30) al Castello Francesca Ricardi parla di poesia e pittura alla corte sforzesca. Il 21 giugno (ore 17.30) visita al Museo Baroffio e al Santuario del Sacro Monte di Varese, con la conservatrice Laura Marazzi che illustra alcuni capolavori rinascimentali lì conservati, tra cui i corali miniati (nella foto «San Martino dona il mantello al povero» di Cristoforo de Predis, 1476). Infine il 25 giugno (ore 21), di nuovo al Castello di Masnago, appuntamento cinematografico a cura di Matteo Angaroni, dedicato al Medioevo e al Rinascimento raccontati dal cinema, un percorso che prende le mosse da «Il Mestiere delle Armi» di Ermanno Olmi (2001). Per partecipare alle 4 conferenze è richiesto un contributo unico di 10 euro, 15 euro con la visita al Museo Baroffio e 25 euro aggiungendo la visita guidata alla rassegna di Milano. Le visite guidate sono a prenotazione obbligatoria: didattica.masnago@comune.varese.it, 0332.255473-820409, info www.varesecultura.it.
«L’Indice dei libri del mese» • 1 giugno 2014
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N. 6
Il più richiesto pittore lombardo di Edoardo Villata BERNARDINO LUINI E I SUOI FIGLI a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa
2 voll, pp. 720, € 59, Officina Libraria, Milano 2014 er il catalogo della mostra milanese Bernardino Luini e P i suoi figli, i curatori Giovanni
Agosti e Jacopo Stoppa riprendono la soluzione del doppio volume, già esplorata nell’esposizione dedicata al Rinascimento in Canton Ticino svoltasi a Rancate nel 2010. Il vero e proprio catalogo è pertanto affiancato da un volume di Itinerari che, con schede puntuali, guida il visitatore a vedere le opere che, per scelta o per impossibilità, non sono fisicamente presenti in mostra. Il sottotitolo della rassegna ticinese suonava Da Bramantino a Bernardino Luini e l’aver fatto seguire, con implacabile cadenza biennale, le due mostre milanesi su Bramantino (2012) e ora su Bernardino Luini conferma la coerenza del progetto. Rispetto alle prime due mostre, di taglio territoriale la prima, monografico la seconda, questo terzo appuntamento si presenta in realtà molto diverso, nonostante in teoria si possa pensare gemello del precedente bramantiniano. La differenza, prima ancora che nella mostra vera e propria, è evidente nella costruzione del catalogo. I curatori, che come loro consueto si avvalgono ampiamente dell’opera di giovani studiosi e persino di studenti universitari (in tempi in cui si raccomanda dall’alto che le tesi triennali siano il più possibile brevi e insignificanti, questa pratica può rappresentare un’interessante contromisura), rinunciano qui all’ampio saggio introduttivo presente nelle precedenti occasioni, a favore di un’asciutta introduzione in cui si forniscono le linee guida del progetto. Poi si entra subito nel vivo, con il materiale organizzato in dodici sezioni, ciascuna aperta da una breve introduzione, seguita dalle schede delle opere (solo quelle di Luini; quelle di confronto – in più casi, non me ne vogliano gli entusiasti del nostro Bernardino, più belle dei dipinti del protagonista, e in qualche caso vertici assoluti – non vengono schedate). Grande attenzione è posta, come sempre dai curatori, alle vicende materiali delle opere, alla loro fortuna critica (benvenuto sarebbe stato anche un accenno all’Italiano di Henry James e agli Italian Backgrounds di Edith Wharton, che su Luini si soffermano a lungo), alle vicende conservative, alla cronologia delle copie e delle riproduzioni fotografiche. Differenziandosi anche in questo dal precedente catalogo dedicato a Bramantino, meno presenti appaiono invece le discussioni relative allo stile;
talvolta anzi le datazioni, specie quando si discostano da quelle più comunemente accettate, avrebbero beneficiato di argomentazioni più estese. Del resto, è lo stile stesso di scrittura a essere profondamente mutato: non più una prosa ricca, quasi barocca, a tratti aspramente polemica, ma al contrario uno stile piano, misurato, improntato a una programmatica medietas. Bernardino Luini, il pittore lombardo forse più amato dell’Ottocento, poi precipitato nel gusto novecentesco e oggetto invece di rinnovato interesse negli ultimi quarant’anni (per questo stesso anno si annuncia su di lui, del tutto indipendentemente da questa mostra, una monografia sistematica), viene seguito nel percorso della mostra e del catalogo secondo una griglia prevalentemente cronologica. Gli inizi veri e propri, che secondo un passo nient’affatto chiaro di Giovan Paolo Lomazzo potrebbero essere avvenuti nella stessa bottega in cui avvenne la formazione del di lui più grande Gaudenzio Ferrari, si sviluppano attraverso un’importante e prolungata esperienza nell’entroterra veneto, tra Verona e soprattutto Treviso (con la Sacra Conversazione di Padova che deve sicuramente stare al di qua di quella del Museo Jacquemart-André di Parigi, firmata e datata 1507, e del Compianto di Budapest, dove già iniziano a far capolino alcune sigle formali che caratterizzeranno la futura attività del pittore). Il ritorno a Milano (dove è documentato nel 1508) coincide con l’ineludibile confronto con l’ultima maturità di Leonardo e col Bramantino al rientro da Roma, quello della Madonna del Broletto nuovo. Questi elementi entrano prepotentemente nella Madonna della buonanotte affrescata nell’abbazia di Chiaravalle Milanese nel 1512, e ancor più negli affreschi (ora dispersi per il mondo, e in parte radunati in mostra) della villa suburbana di Gerolamo Rabia: la data 1514 del matrimonio tra Rabia e Ippolita Pagnani, ritrovata da Silvio Leydi, rappresenta sicuramente uno dei punti di maggior forza e novità di questa mostra. Da quel momento Bernardino ha il vento in poppa e, grazie anche alla scomparsa, repentina o meno, dei maggiori pittori lombardi
Arte suoi contemporanei, si assicura il primato, che attraversa indenne i passaggi dalla dominazione francese alla restaurazione sforzesca: affreschi, polittici, ritratti (pochi, per ora), quadretti per la devozione privata che originano una fortunata produzione seriale. Da Milano a Saronno, da Maggianico a Lugano, da Como a Legnano, alla Certosa di Pavia: il Ducato di Milano non sfugge alla sua sfera di influenza, con l’eccezione del novarese, saldamente controllato da Gaudenzio, che però, al di là delle sortite comasche e valtellinesi, dovrà attendere la morte di Luini per diventare a sua volta il più richiesto pittore lombardo. Quando Gaudenzio muore nel 1546, la bottega di Luini, guidata da Giovanni Lomazzo, cugino della moglie di Bernardino, continua a sfornare dipinti nello stile del maestro: sarà l’ultimo e più dotato dei suoi figli, Aurelio, ad abbandonare “l’editoriale luinesca” a favore di una svolta senza ripensamenti nel mare aperto del manierismo. Gli accertamenti, le novità e le proposte rendono questi due volumi uno strumento importante per chi studia il Cinquecento lombardo. Alcune tesi si presteranno a essere discusse (la cronologia della Susanna in Collezione Borromeo, collocata al 1515-1516 circa, pare troppo alta, mentre penso che non appartengano alla fase ultima del pittore le tele del Duomo di Como e gli affreschi del tramezzo esterno di San Maurizio a Milano; come dire che l’intero percorso dell’artista può essere disegnato diversamente), ma ciò apparterrà alla normale dialettica degli studi o, per usare le parole dei curatori, alle “regole del gioco”, e porterà, si auspica, a ulteriori avanzamenti di conoscenza. Una menzione, infine, va fatta alla qualità editoriale dei volumi: eleganti nell’impaginato e ottimi nella resa delle fotografie, in buona parte appositamente realizzate da Mauro Magliani. n edoardo.villata@unicatt.it E. Villata insegna storia dell’arte all’Università Cattolica di Milano
Quadri moderni appesi a rovescio di Michele Dantini ARTE MOLTIPLICATA
l’immagine del ’900 iTaliano nello sPeCChio dei roToCalChi
a cura di Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi, Maria Grazia Messina e Antonello Negri pp. 389, € 32, Mondadori, Milano 2013
giudicare da questa dotta raccolta di saggi, la relazione A tra arte contemporanea e società
civile nel nostro paese non è mai stata particolarmente intima o avvincente. La storia europea del dibattito modernista, tra Otto e Novecento, è intessuta di radicate convinzioni politiche e propositi di trasformazione sociale: poco tuttavia, se qualcosa resta di tale disegno nell’informazione italiana da rotocalco. “Un altro simbolo di prestigio”, scriveva Camilla Cederna sull’“Espresso” nel 1961 con affilato disappunto, “è il quadro moderno, considerato ormai anche uno dei migliori investimenti. Sono state così le più importanti aste di questi ultimi tempi a rivelare, accanto ai meno recenti, anche i nuovissimi miliardari”. Appagamento della vanità o titolo speculativo. Negli anni del boom, i rotocalchi raccontano la saga (o controsaga) sociale di un’arte contemporanea che è diventata di moda, potentemente sospinta dall’incomprensione diffusa e dall’equivoco. Con buona pace di critica e storiografia, che si sforzano di agganciare la creatività alla politica o di procurare alle immagini una dignitosa genealogia, l’opera esposta in sala o vicino al letto interpreta il desiderio di affermazione sociale e predispone a nuovi conformismi. Gli artisti sono oggetto di una curiosità che lambisce il voyeurismo. Se la Costituzione, all’articolo 9, aveva progettualmente conferito rilievo civile alle arti e alla ricerca, il giornalismo popolare (delle riviste “Tempo” o “Epoca”, poniamo) attinge invece a piene mani alle retoriche della bohème e fa turismo nei luoghi del suo mito (il bar Jamaica di Milano tra tutti). Per il lettore medio gli artisti abitano il remoto regno della bizzarria faceta: certo non il paese reale. Stucchevoli serie fotografiche ci mostrano l’anziano maestro intento al compito quotidiano, perduto tra i rituali di un rassicurante umanesimo o colpito invece (è il caso di De Pisis ritratto a letto, vecchio e malato)
da oscuri processi degenerativi. La grande popolarità di Picasso è determinata dal mito domestico e familiare che aleggia attorno all’artista, colto a più riprese mentre gioca con i nipoti su spiagge provenzali, alla corrida o in compagnia delle fidanzate. Quasi tutto nei periodici di largo consumo, quantomeno fino alla seconda metà degli anni settanta, diviene aneddoto edificante o bizzarro. Fanno eccezione alcune inchieste sul mercato dell’arte contemporanea apparse sull’“Europeo” e l’“Espresso” negli anni sessanta e settanta, tali da promuovere punti di vista meno svagati e un corroborante e ironico cinismo. I collezionisti raziocinanti sono rari. Sembra prevalere una sorta di febbre acquisitiva che accumula tesori senza mostrare discernimento né controllo. Le riviste di arredamento rendono omaggio ai nuovi interni italiani, disegnati dagli architetti e modellati in plastica e metallo in conformità al nuovo culto dell’oggetto industriale. “Non è autentica questa nuova e dilagante passione per le arti figurative fra quanti non hanno ereditato la ricchezza, ma se la sono fatta da soli e da poco”. Cederna ci appare sin troppo pugnace nel difendere il “buon gusto antico” (quale?), ma certo l’osservazione che i nuovi collezionisti, incolti, rischiano “di appendere a rovescio i quadri moderni”, è efficace. Colpiscono, nei servizi fotografici dedicati da “Casa Vogue” o “Bolaffi Arte” alle case di collezionisti, incongruenze e casualità da autodidatti poco educati a riconoscere cesure storiche o a situarsi con competenza nella cornice di processi sociali e culturali in corso. Così nella casa di Carlo Ponti e Sofia Loren la vecchia veduta veneziana fa bella mostra di sé accanto ai tre Bacon: quasi potesse darsi un dialogo tra opere così distanti. La casa milanese di Gianni e Marella Agnelli, disegnata da Gae Aulenti, spicca invece per sfoggio di gusto internazionale e, per così dire, fantasiosa intimidazione del visitatore. Arredata in omaggio all’arte americana contemporanea e a sue propaggini locali, la casa accoglie opere di Noland, Lichtenstein, Wesselmann, Judd, Warhol, Segal, Pistoletto. La collezione appare una sorta di manifesto modernista filoatlantico: corrisponde a ben precise istanze di rottura politica e antropologica e abroga, non a caso, le culture storico-artistiche continentali. È sontuosa, prescrittiva e subalterna al tempo stesso. Lo sfoggio di aggiornamento sul mainstream newyorkese non lascia vie di fuga in termini di gusto; e il sottotesto di mobilità, ricchezza e capriccio che la attraversa trasforma il luogo, per l’ospite che vi s’intrattiene, in uno spinoso test sociale e n finanziario. michele.dantini@lett.unipmn.it M. Dantini insegna storia dell’arte contemporanea all’Università del Piemonte Orientale
«la Repubblica» • 28 dicembre 2014