Valentin de Boulogne a cura di Annick Lemoine, Keith Christiansen, Sébastien Allard RASSEGNA STAMPA
«Corriere delle sera» • 12 febbario 2017
34 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
DOMENICA 12 FEBBRAIO 2017
Sguardi Le mostre Maestri Chiusa a New York, arriva con qualche novità a Parigi un’antologica dedicata a un pittore tanto bravo quanto trascurato, energico e appassionato seguace del Merisi. Il suo nero inconfondibile ritrae un’umanità indimenticabile
i L’appuntamento Valentin de Boulogne. Réinventer Caravage, a cura di Keith Christiansen e Annick Lemoine; commissario generale Sébastien Allard. Dal 22 febbraio al 22 maggio, Hall Napoléon, sotto la Piramide del Louvre. Ingresso e 15. Catalogo Coedizione Louvre/Officina Libraria Le illustrazioni Qui a fianco: Valentin de Boulogne (1591-1632), Le reniement de saint Pierre (Il tradimento di san Pietro), Fondazione di Studi di Storia dell’arte Roberto Longhi, Firenze; a sinistra, in alto: David et Goliath (particolare), Museo ThyssenBornemisza, Madrid; in basso: Les Quatre âges de l’homme (Le quattro età dell’uomo, particolare), Grand Palais, Parigi
Caravaggio in francese si dice Valentin di GIOVANNA POLETTI
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ome abbiamo fatto a trascurare fino a oggi Valentin de Boulogne? Già Roberto Longhi nel 1935 lamentava la mancanza di ricerche adeguate sul più energico e appassionato seguace di Caravaggio. Negli anni a seguire mostre e pubblicazioni hanno effettivamente contribuito a eleggerlo tra i maggiori artisti francesi, ma è solo grazie alla superba mostra organizzata dal Metropolitan di New York (ora terminata) in collaborazione con il Louvre (dove apre il 22 febbraio con alcune differenze nella scelta dei dipinti), che la statura della sua pittura ci appare in tutta la sua grandezza. Valentin è un artista unico e intenso. Se il cono d’ombra generato dal genio del Merisi ha contribuito sinora a tenerlo in secondo piano, la visione pressoché completa del suo lavoro consente oggi di cogliere aspetti che vanno ben oltre il realismo drammatico condiviso da altri artisti presenti a Roma nei primi decenni del Seicento. Comune denominatore delle 37 opere autografe presentate è, oltre all’indiscutibile qualità della pittura, l’emozio-
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Il ritratto del popolo Personaggi comuni, della strada, spesso gli stessi nonostante il trascorrere degli anni, sono colti con uno sguardo mesto, arreso
nante aura decadente e malinconica che avvolge i suoi soggetti. Il chiaroscuro, gli inattesi colori veneti e soprattutto il nero inconfondibile che trasuda dalla pelle, dagli occhi cerchiati di donne, vecchi e bambini, ci consegnano immagini di vita vera, vissuta e sofferta tra i bassifondi di una città potente, cosmopolita. Personaggi comuni, della strada, sovente gli stessi nonostante il passare degli anni, sono colti nella loro semplice esistenza con uno sguardo come perso, arreso, a volte mesto. Un campionario umano straordinario, fotografato nell’azione, come ormai facevano tutti dopo la folgorazione della Cappella Contarelli, ma piazzato senza pietà sulla scena, costretto a recitare per sempre il ruolo della vita sulla tela. La qua-
lità della sua pittura, senza cedere mai il passo alla scuola o alla maniera, rende tutte le sue opere veri capolavori. Dopo tre anni di studi, affidati a Keith Christiansen e Annick Lemoine e con la supervisione di Sébastien Allard, a capo del Dipartimento di pittura del Louvre, è nata dunque una mostra memorabile, con opere eccezionali, come le immense tele dei Musei Vaticani e dell’Istituto Finlandese di Roma, e i due grandi Evangelisti usciti per la prima volta dalla camera da letto di Luigi XIV e restaurati per l’occasione. Valentin de Boulogne, figlio di un modesto vetraio francese di Coulommiers, lascia presto la Francia per seguire la sua vocazione artistica. Un recente studio di Patrizia Cavazzini lo documenta a Roma nel 1614, negli stessi anni in cui arrivano in città i suoi compatrioti Simon Vouet e Nicolas Tournier. Nel primo periodo coabita in via di Ripetta con artisti nordici e vive modestamente alla giornata dipingendo per commesse saltuarie. Tra i suoi soggetti preferiti troviamo scene di vita quotidiana, in particolare ambientate nelle taverne: giocatori di carte, chiromanti, bari e concerti improvvisati con sfavillanti strumenti musicali davanti a miseri deschi. I volti dei bambini, presenza assidua nelle scene di genere, sono magistrali esempi d’innocenza e rassegnazione e documentano la continua introspezione psicologica ricercata dall’artista. Di questi anni è anche uno dei suoi massimi capolavori, il David con la testa di Golia della Thyssen. Mai un David era stato immortalato stringendo al petto l’immane testa recisa. Lo sguardo del giovane androgino e imberbe, corrucciato da due profonde rughe tra i sopraccigli, è fiero e sfuggente al tempo stesso e, come sconvolto dalla violenza del gesto, sembra non rendersi nemmeno conto di quanto fatto e travalica chi guarda con una sorta di attonita assenza. Valentin gli mette al fianco due personaggi in costume contemporaneo: la parte centrale della composizione, totalmente pietrificata, diviene così narrativa grazie a un’inaspettata immissione di movimento e colore. A partire dagli anni Venti, le sue composizioni si amplificano e si arricchiscono di personaggi, di concitata gestualità e forse di simbologie. Sono a volte scene monumentali e collettive, audacemente teatrali. Non mancano i riferimenti all’antico, con inserzioni di rilievi romani, pedissequa-
Napoli
A Capodimonte i van Gogh rubati e ritrovati dopo 14 anni
mente ripresi dagli originali, e rappresentazioni tratte dalla Bibbia. La cacciata dei mercanti dal Tempio della Barberini è l’opera più ardita e straordinaria di questo genere. La composizione asimmetrica, che schiaccia tutti gli undici personaggi nella parte bassa e sinistra della tela, travolti dall’ira di Cristo che impugna la frusta, imprime un dinamismo stupefacente. La drammaticità dei gesti, favorita dalle espressioni di puro terrore nei volti e nell’amputazione delle figure ai margini della tela, è affogata in un chiaroscuro violento, alternato a vivaci momenti di colore. Gli anni dal 1627 al 1630 sono quelli del successo. Le commissioni da parte della famiglia Barberini si moltiplicano. Tra queste la più prestigiosa che un artista potesse ricevere a Roma: una pala per la basilica di San Pietro, il Martirio dei santi Processo e Martiniano. Certamente singolare è poi l’Allegoria dell’Italia, dipinta sempre per i Barberini. La maestosa tela, un vero unicum nella storia della pittura, dominata dalla figura dell’Italia come giovane donna con il capo cinto da una corona turrita, è di assai complicata interpretazione
SSS
Il racconto biblico Mai un David era stato immortalato mentre stringe al petto la testa del gigante Golia. Il giovane è fiero e sfuggente al tempo stesso
da Napoli FULVIO BUFI
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rano nella cassaforte di un narcotrafficante napoletano legato alla camorra; ora sono esposti al Museo di Capodimonte e vi rimarranno fino al 26 febbraio. Si ferma un po’ a Napoli il viaggio lungo 14 anni dei dipinti di Vincent van Gogh Spiaggia di Scheveningen prima di una tempesta (1882) e Una congregazione lascia la chiesta riformata di Nuenen (1884, nella foto). Poi torneranno a casa, ad Amsterdam, dove il 7 dicembre 2002 furono rubati (la storia è stata raccontata da Mara Gergolet su «la Lettura» #266 del 31 dicembre). Sembravano inghiottite da chissà quale giro di collezionisti, queste due opere risalenti alla prima — e nel caso della Spiaggia alla primissima — produzione dell’artista, quando, nel settembre scorso, nel corso di un’indagine della Procura antimafia di Napoli e della Guardia di finanza, furono ritrovate durante una perquisizione. Sorprendentemente ben conservate. © RIPRODUZIONE RISERVATA
iconografica. Non sfuggono però particolari di estremo naturalismo, come la rappresentazione del vecchio che impersona il Tevere. L’idea di servirsi di modelli dal vero è mutuata da Caravaggio ma, in questo caso, il crudo realismo del torace villoso e cadente, gli stinchi esausti e le mani nodose del modello, arrivano a conferire al Tevere una dimensione immortale, antica e moderna al tempo stesso. Valentin muore improvvisamente per una febbre violenta, appena quarantenne e senza famiglia. Un destino simile a quello di Caravaggio, con la differenza che i Barberini cercarono fino all’ultimo di salvarlo e che Cassiano dal Pozzo volle pagare di tasca sua i sontuosi funerali. © RIPRODUZIONE RISERVATA
«Antiquariato» • aprile 2017
Mostre Seicento
LA CHIAVE LIRICA DELLA REALTÀ Al Louvre sfilano le opere di Valentin de Boulogne, il più originale interprete del caravaggismo, che incantò il papa e il Re Sole. Di Marina Mojana
I
l Louvre, che possiede la più ricca collezione al mondo di opere di Valentin de Boulogne (1591/941632), propone la prima retrospettiva dell’artista, senza dubbio il più originale interprete del caravaggismo europeo. Organizzata in collaborazione con il Metropolitan di New York (che ha ospitato la mostra da ottobre 2016 allo scorso gennaio), la rassegna porta finalmente all’attenzione del grande pubblico un pittore sublime, fino a pochi
mesi fa noto soltanto agli addetti ai lavori. Nato alle porte di Parigi da una famiglia di pittori e vetrai, Valentin arriva a Roma pochi anni dopo la morte del Caravaggio (1610): dipingere alla maniera nera e “al naturale” è la moda del momento. Il ragazzo trova alloggio in via Margutta, nel quartiere periferico di nuova costruzione di Santa Maria del Popolo, dove si inurbano artigiani, pittori e scultori stranieri, mendicanti e prostitute. La città è violenta:
guarnigioni spagnole, truppe francesi, milizie del papa Paolo V o al servizio delle più potenti famiglie romane si sfidano per le strade, men-
SOPRA: “Giuditta con la testa di Oloferne”, olio su tela di Valentin de Boulogne. SOTTO: “La chiromante”, olio su tela del 1626-28.
tre quasi diecimila donne (un decimo della popolazione di allora) esercitano la professione di cortigiana. In questo scenario di miseria e nobiltà matura la parabola artistica di Valentin, che frequenta i bassifondi e le stanze dei cardinali, mettendo sulla tela soldati e musici, santi e profeti, zingare e giocatori. Li ritrae dal vero, riuniti in concerto su antiche are romane o in tornei clandestini, nel buio di fumose stamberghe. Eleganza ed emozione.
Valentin reinventa Caravaggio; lo supera in intensità emotiva ed eleganza.
SOPRA: “La negazione di San Pietro”, olio su tela di Valentin de Boulogne. A DESTRA: “Martirio dei santi Processo e Martiniano”, olio su tela del 1629-1630.
Le sue taverne sono luoghi silenziosi, i madrigali sono cantati da cavalieri tristi e da vecchi rassegnati, mentre i suoi fanciulli hanno sguardi sognanti, ben diversi da quelli astuti e lampeggianti degli scugnizzi di Merisi. Oggetto della sua ricerca non sono le azioni, ma i pensieri; non più la vita còlta nel suo drammatico divenire, ma quella in essere delle intenzioni e dei sentimenti. Valentin va oltre Caravaggio perché esalta l’aspetto lirico della realtà, sfumandone invece quello tragico. Protetto dalla famiglia Barberini, nel 1929 – sotto papa Urbano
VIII – Valentin ottiene la prestigiosa commissione del “Martirio dei santi Processo e Martiniano” per un altare di San Pietro, ma il successo non cambia la natura introversa dell’artista, né il suo vivere ai margini. Soltanto dopo la morte prematura e improvvisa – per congestione – i suoi quadri andranno a ruba: non se ne trovano in circolazione e quei pochi vengono pagati quattro volte tanto. Entreranno nelle collezioni del cardinale Mazzarino e perfino nella Reggia di Versailles e nella camera da letto di Luigi XIV.
DOVE & QUANDO “Valentin de Boulogne. Reinventare Caravaggio”, Parigi, Louvre, sala Napoleone; www.louvre.fr Fino al 22 maggio.