IN QUESTO NUMERO: Esteban intervista Fabio Rubini Raffaele Nobile: Suoni e parole della tradizione inizia una serie di articoli sulla musica popolare nella provincia di Pavia Alexandru Macedonski Adriana Lisandru Calin Samarghitan tre poeti rumeni presentati e tradotti da Danut Gradinaru Daniela D'Errico poetessa di Galatina Gruppo H5N1 Francesco Corbetta e poi ...
Ogni numero di Esteban è stato dedicato a scrittori, giornalisti, blogger perseguitati ovunque nel mondo perchè tacessero. Questo numero avrebbe dovuto essere dedicato a Tal AlMallouhi giovane poetessa e blogger siriana e a Taghi Rahmani, giornalista iraniano entrambi arrestati recentemente. In questi giorni migliaia di voci in Liibia ed in altri paesi del mondo arabo sono state messe a tacere per sempre, tra loro chissà quante avrebbero potuto scrivere e raccontare la propria storia. Esteban non può non ricordarsi di loro e pregare per la loro gente
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Numero 8 Marzo 2011
Esteban è la rivista dell'Associazione Culturale "Il Villaggio di Esteban" di Mortara www.ilvillaggiodiesteban.net info@ilvillaggiodiesteban.net
Hanno collaborato a questo numero: Adriano Arlenghi Franco Oisin Brasca Domenico Della Monica Daniela D'Errico Guido Giacomone Danut Gradinaru Gruppo H5N1 Lino Maia Raffaele Nobile Marisa Palombella Giacomo Utz Ringraziamo: Fabio Rubini e Salvatore Poleo Stampato presso il CSV Centro Servizi per il Volontariato di Vigevano nel mese di marzo 2011
o ha biso!gn Esteban te anche dci ontributo un , Vuoi daicreo, anche piccolo le a m econo è questo giorn perch tinui a vivere? izzo: ir co n uesto inbdan.net q a i c a tt Conta laggiodieste info@ilpvilpure al numero o 78 333 83511
il Museo Domestico di Giacomo Utz Le foto di questo numero:
Qualche nunero fa Esteban aveva proposto ai lettori di illustrare la rivista con le foto dei piccoli musei personali che ognuno si è organizzato in casa propria, per condividere con tutti gli spazi anche piccoli di bellezza con cui ci circondiamo Giacomo Utz ha voluto inviarci le foto della sua particolarissima collezione di ceramiche
“L'uomo non capisce che le città che crea non diventano parte integrante della natura... e che se vogliamo difendere la nostra cultura da lupi, tormente ed erbacce, non possiamo permetterci di lasciare il fucile, la vanga o la ramazza. Basta uno sbadiglio, bastano un paio d'anni di distrazione, e addio: i lupi escono dai boschi, i cardi avanzano, la città sparisce sotto una coltre di neve e di polvere...” (Vasilij Grossman, Vita e destino) Esteban prosegue in questo numero il discorso iniziato in quello scorso (qualche mese fa, in effetti, come avranno notato i pochi che attendono con ansia ogni tre mesi le sue uscite. Del resto, come dice il nome stesso, il Villaggio di Esteban non è situato in un cantone svizzero, e i tempi di Esteban si avvicinano certo di più a standard caraibici). Nel numero scorso, se qualcuno se ne fosse già dimenticato, Esteban ha voluto parlare del fare cultura in piccoli centri, lontano dalle grandi metropoli, quelle che dovrebbero dettare i costumi culturali, e spesso indipendentemente da queste, trovando vie autonome e originali. Allora Esteban aveva voluto incontrare alcune associazioni, dalla Lombardia alla Liguria e aveva fatto raccontare a loro la propria storia. In questo numero, invece a parlare saranno le istituzioni, necessario contraltare ed interlocutore di chi lavora e vive sul territorio. Esteban ha voluto così incontrare prima di tutto l'assessore alla cultura del comune di Mortara, Fabio Rubini, che gli ha concesso una lunga intervista in cui si è parlato del ruolo di un assessorato alla cultura, di che idea di cultura viene sostenuta, quali i criteri con cui l'Assessorato si muove e si pone di fronte alle esigenze e alle domande della città. E anche di progetti per il futuro. Con questo Esteban non intende chiudere il discorso; ternerà sull'argomento nei prossimi numeri, anche con le considerazioni che i lettori vorranno proporre. Intanto Esteban prende atto che l'offerta culturale a Mortara, ed in generale in Lomellina, è sicuramente cresciuta, rispetto al passato anche recente, anche se tanti anni di deserto hanno comunque lasciato un segno. Questa è sicuramente una cosa buona, anche se, spesso, quando si parla di cultura sembra che si intenda solo
fruizione di spettacoli, che finiscono oltretutto con il rivolgersi sempre allo stesso pubblico, che non comprende generalmente il pubblico più giovane. Mentre Esteban fa notare che, ad esempio, cultura è anche incontro, socializzazione, per dirla con una brutta parola, e l'idea di togliere non solo piante, ma anche panchine da una piazza non sembra esattamente favorire il contatto, lo scambio, l'interazione tra le persone, che poi sarebbe uno dei motivi per cui in una città si mettono le piazze. Ma in questo numero Esteban vi porta anche in altri luoghi e vi fa conoscere nuovi amici. Vi accompagna alla scoperta della musica e della cultura tradizionale popolare, con il primo di una serie di articoli proposti da Raffaele Nobile, violinista e compositore, che da anni si occupa di ricerca, riproposta ed elaborazione della musica etnica, in particolare dell'Oltrepo Pavese, attraverso spettacoli, concerti, iniziative editoriali e radio televisive. E poi vi farà incontrare tanti nuovi poeti. Dalla Romania, con tre poeti sconosciuti in Italia: un classico dell'ottocento e due giovani poeti contemporanei presentati e tradotti dal nostro Danut Gradinaru, al Salento con la voce intrigante di Daniela D'Errico, che speriamo vorrà venire a trovarci ancora su queste pagine in futuro. E ancora da Pavia con il Gruppo H5N1. Buona lettura. Esteban vi ricorda che questo numero della rivista, come tutti quelli precedenti, si possono trovare anche on line, sul nostro sito (www.ilvillaggiodiesteban.net) oppure cercate “esteban” su issuu.com.
COLTIVARE LA CITTÀ
Esteban ha incontrato Fabio Rubini, assessore alla cultura del Comune di Mortara: una lunga intervista dove si parla di vita culturale a Mortara, associazioni, progetti futuri e di come
l'Assessorato concepisce il proprio ruolo in tutto questo Esteban: Mortara non risponde molto alle sollecitazioni. Abbiamo preso atto di un cambiamento sia nella qualità e quantità della proposta culturale che nella intelligenza nel concedere strutture pubbliche alle associazioni. In inverno, però, a Mortara non c'è molta animazione culturale: qualche concerto all'Auditorium, qualche presentazione di libri, e poco altro non crede si possa fare di più per convincere i mortaresi ad uscire dalle braccia accoglienti, ma intriganti della TV? Rubini. in realtà la proposta è continua, forse quello che manca e che vorremmo cercare di realizzare, una volta che ci saremo allargati con la nuova biblioteca più che altro è a livello di orari. Nel senso che in realtà come Biblioteca , che poi è il vero ufficio cultura del comune di Mortara ormai tutto viene organizzato lì, viene organizzato almeno un incontro a settimana, tra presentazioni di libri, corsi vari; l'unico problema sono gli orari: per ovvi motivi di servizio quasi tutti gli incontri sono pomeridiani (17,30 – 18,00). Questo è uno degli obiettivi che abbiamo per la seconda metà del 2011, quando avremo aperto la
nuova sede: vorremmo cercare di recuperare anche altre fasce di utenza in altri orari. Di fatto abbiamo verificato che gli incontri alle 17,30 hanno un maggior riscontro che non quelli ad orari serali, probabilmente sono più adatti per il pubblico della biblioteca. E: Il problema degli orari è un problema più generale anche per la Biblioteca. Un soluzione potrebbe venire dall'utilizzo del volontariato, anche se è vero che è una soluzione controversa, non sempre può garantire la necessaria continuità e comunque non può gestire tutto da solo. Oppure anche il servizio civile potrebbe essere una risorsa. Avete comunque pensato ad una soluzione di questo tipo? R: ci stiamo lavorando, non solo noi, in realtà. Un po' dappertutto si sta cercando di capire come sfruttare il volontariato, che ha la bellezza e l'entusiasmo di chi fa qualcosa perché ci crede (e in biblioteca c'è già molta gente che fa volontariato) ma d'altra parte se uno ha un contrattempo la prima cosa che lascia indietro è il servizio di volontariato. Ad esempio la mostra di Laura Fiume è stata interamente coperta con volontari, ma questo a
comportato a volte di dover fare i salti mortali per sostituire chi all'ultimo momento non poteva venire. Abbiamo parlato di questa cosa, quando sono stato a Londra, anche con Sergio Dogliani, inventore degli “Ideastore”. Anche lì stanno cercando il modo di coinvolgere i volontari. Stiamo valutando anche l'utilizzo del servizio civile. Il fine è sempre quello di poter tenere aperto anche in orari diversi. Si potrebbe studiare una soluzione che preveda che la Biblioteca in sé come istituzione abbia orari precisi, anche per motivi organizzativi; tutto il resto del centro, non dovrebbe avere orari, d'estate il giardino dovrebbe essere aperto dalla domenica alla domenica. E così il piano di sopra con la caffeteria, la terrazza, la sala studio. Teniamo anche presente che a Mortara viviamo una situazione anomala: gli iscritti alla biblioteca risultano circa 5000, quasi un terzo degli abitanti, in netta controtendenza con i dati generali. Le fasce più numerose sono i ragazzi in età scolare ed i pensionati. Le persone che lavorano,anche per ovvi motivi sono quelle meno coinvolte.
Esteban, le pagine 4 e 5
E: sempre a proposito della nuova biblioteca pensavate di rimettere in funzione un comitato di gestione, come c'era tempo fa e che avete eliminato, che univa rappresentanti delle istituzioni, rappresentanti dell'utenza, era un istituto collegiale che riuniva anche punti di vista diversi? R: No. Il comitato è stata una delle prime cose che ho tolto, con mille polemiche, perchè secondo era un po' un filtro. Noi abbiamo la fortuna di avere due persone estremamente aperte che lavorano in biblioteca. Come assessore la mia filosofia è che, a meno che non vengano proposte cose contro ogni logica, una associazione che opera a Mortara deve avere il patrocinio e l'appoggio del comune, anche se io non sono d'accordo con quello che viene proposto. Mi sono accorto che da quando abbiamo tolto il comitato è stato come togliere un tappo, perchè all'interno si creano inevitabilmente personalismi, conflitti, mentre tutte deve essere più fluido. E: cioè, con questa impostazione, se un'associazione, un gruppo di lettori, ha un'idea, ne parla in biblioteca, e la proposta viene portata in assessorato? R: molte delle ultime iniziative, ad esempio i gruppi di lettura, molti corsi, nascono così, senza filtri io quel comitato l'ho vissuto da membro e non funzionava. In questi anni tutto sommato questo sistema ha funzionato, non c'è stata una associazione che si sia lamentata di non aver trovato ascolto e collaborazione, come invece succedeva prima. Comunque una volta che verrà aperta la nuova sede potremo anche valutare necessario avere nuovamente un organismo di questo tipo, non c'è una chiusura assoluta. In questo momento il giudizio è negativo, ma se poi vedremo che potrebbe funzionare, ci mancherebbe... E: la parola cultura è legata alla parola coltivazione: cultura come
quello che coltiva, fa crescere una comunità.. In questa prospettiva, cosa significa occuparsi di cultura in un piccolo comune?Quale ritiene sia il ruolo di un assessorato alla cultura? R: Per me il mio ruolo è, nel limite delle risorse che mi vengono date, quello di ascoltare le esigenze che mi vengono dal territorio. Ci sono iniziative che partono da me o che gestisce la biblioteca, ma ce ne sono tantissime altre che partono
dagli utenti o dal cittadino normale che viene qui e dice: perchè non facciamo questa cosa o quest'altra. La mostra su Coppi è nata in questo modo ed ha avuto un successo enorme. Un'altra cosa che sono contento di aver fatto è stato l'aver collegato tutte le scuole. Quando sono arrivato qui avevamo rapporti con le scuole elementari e le scuole medie che sono quelle di nostra competenza, però gli studenti delle altre scuole, Liceo, Pollini, Ragioneria per l'80 % sono ragazzi di Mortara, non potevamo non avere rapporti con loro. Con l'Asilo Nido siamo stati i primi in provincia ad aderire al
progetto “nati per leggere”. Adesso abbiamo un'offerta formativa e culturale che parte dagli 0 anni e arriva alla V superiore. Abbiamo visto che tutti abbiamo poche risorse per cui abbiamo messo insieme le esigenze e le proposte di tutte le scuole e organizziamo incontri, anche due o tre all'anno. Quest'anno per esempio abbiamo fatto incontri su Dante coinvolgendo anche la Società Dante Alighieri. La mia linea è di ascoltare il più possibile la gente, del resto non è che necessariamente la cultura che piace a me debba essere la cultura di tutti. Un'altra cosa sulla quale mi piace soffermarmi, è che non esiste una Cultura alta, la musica classica o che, e poi Cochi e Renato, come qualcosa di serie b. Non è vero, rappresentano uno spaccato di società anche loro. Poi sappiamo benissimo che una cosa fa il tutto esaurito un'altra meno. Per questo volutamente abbiamo differenziato così tanto la stagione di “Mortara on stage”. Non possiamo pensare di fare una stagione per 200 persone, dobbiamo fare una stagione per tutti, per questo si cerca di differenziare il più possibile, con i mezzi a nostra disposizione, purtroppo non abbiamo una fondazione alle spalle come altri comuni più grandi... E: A Mortara c'è un gran quantità di associazioni, culturali, di volontariato, che però sono tutte slegate tra di loro, ognuna ha i propri riferimenti, fa le proprie iniziative; non c'è una gran voglia di mettersi insieme, anche a livello di cose pratiche, per affrontare problemi comuni. Tanti anni fa si era tentato un coordinamento di associazioni di volontariato, che in tanti altri comuni funziona. Non varrebbe la pena di tentare qualcosa di simile anche a Mortara, pur rispettando ovviamente la specificità di ogni
associazione, la visione delle cose di ognuna, però tentando di rompere questo isolamento, di far dialogare tra di loro queste realtà che raccolgono tante persone che danno del tempo ed esprimono una gran voglia di fare? R: Si può far tutto. Sulle associazioni di volontariato non posso dire molto perchè non le gestisco io. In merito a quelle culturali abbiamo cercato di fare un minimo di calendario, anche se non sempre si è riusciti. Sarebbe sicuramente bello. Tra l'altro c'è da dire che a Mortara mi sembra che le associazioni si siano risvegliate abbastanza bene. Tutte propongono almeno una iniziativa ogni anno. Avevamo fatto un conto lo scorso anno ed all'Auditorium ci sono stati almeno una quarantina di spettacoli, quasi uno a settimana, di vario genere. L'Auditorium lo stiamo usando tantissimo e alle associazioni poi lo diamo pressoché gratuitamente, chiaramente se c'è un progetto interessante. E: un'altra cosa che abbiamo notato è una carenza nelle visibilità delle cose che avvengono. Il comune di Mortara ha un sito web: perchè non provare attraverso questo a mettere in rete tutto quello che viene proposto, non solo quello che parte dall'assessorato o dalla biblioteca, ma tutto quanto viene proposto in città? Oppure creando una mailing list, come ad esempio fanno alcune città del milanese, in modo che tutte le persone interessate, possano essere informate delle varie proposte. R: Sul sito web in realtà ci stiamo lavorando, stiamo cercando di sviluppare questa cosa. Mailing list ce ne sono due collegate alla biblioteca, che avvisano per tutte le iniziative patrocinate dalla
biblioteca o dal comune. Ora ce n'è un'altra che ci collega a tutti gli utenti del sistema bibliotecario dell'università di Pavia. Chiaramente tutto questo si può perfezionare. E: per cui, ad esempio per le nostre iniziative con il patrocinio del comune avremmo potuto comunicarlo in biblioteca e l'informazione avrebbe girato sulle mailing list? R: esatto E: Sul territorio ormai bisogna prendere atto che interagiscono anche culture diverse, ci troviamo di fronte a bisogni culturali, magari non sempre evidenti , provenienti da cittadini di altre culture e che devono avere la possibilità di esprimersi. Che ruolo può avere un assessorato alla cultura di fronte a questo? R: io penso che sia quello di fare iniziative in cui anche loro possano sentirsi partecipi della comunità. Io non dico ad esempio: c'è la comunità rumena allora organizziamo le serate rumene. Quelle le sanno organizzare sicuramente meglio loro. Io devo fare iniziative per spiegare a loro dove sono, per favorire l'integrazione. Il fatto di lavorare tanto per le scuole è anche per questo. Ad esempio quando sono arrivato per le scuole si comprava un certo numero di libri di favole e si regalavano ai bambini. Secondo me erano soldi buttati via. Abbiamo pensato invece, di scrivere un libretto con la storia di Mortara e lo abbiamo regalato ai bambini. Inizialmente è stata certo una spesa, ma secondo me questo è un modo per integrare gli stranieri, per permettergli di capire di più dove vivono, quali sono i nostri usi e costumi. Secondo me il ruolo nostro deve essere questo. E' fondamentale partire dai bambini, è qui dove
Abbiamo rivolto alcune domande anche a Salvatore Poleo ex assessore alla cultura del comune di Vigevano Assessorati alla cultura , biblioteche spesso, giustamente, fanno iniziative in proprio, diventano organizzatori di eventi, ma non sempre seguono un principio di sussidiarietà e cioè una politica di crescita, di coordinamento, di valorizzazione delle realtà associative del territorio. Cosa ne pensa? Uno dei compiti dell'Assessorato dovrebbe essere proprio quello di coordinare le varie iniziative i ed indirizzarle in una precisa direzione , senza forzature e sostenendo le idee valide anche non legate al progetto , evitando comunque di disperdere sforzi e risorse in mille rivoli è un cambiamento di prospettiva che necessita di tempo in quanto non è sempre facile scardinare inveterate abitudini e piccoli potentati ma ritengo sia necessario Sul territorio ormai bisogna prendere atto che interagiscono anche culture diverse, ci troviamo di fronte a bisogni culturali, magari non sempre evidenti , provenienti da cittadini di altre culture e che devono avere la possibilità di esprimersi. Che ruolo può avere un assessorato alla cultura di fronte a questo? “Se li conosci non li eviti" una dei progetti che avrei voluto realizzare e che non è stato possibile era quello di realizzare un festival di teatro e musica di Asia ed Africa la presenza di comunità di quei paesi va gestita anche attraverso la conoscenza dei mondi culturali non attraverso una emarginazione a prescindere Quali sono state le priorità e i criteri che hanno determinato la sua attività come assessore? La mia attività è durata pochi mesi e quindi si è trattato in gran parte di gestire decisioni prese da altri, ma la mia priorità è stata quella di impostare alcuni progetti che ritenevo "strategici" (la settimana del teatro amatoriale per esempio) anche se poi la nuova amministrazione ha operato scelte del tutto diverse.
Esteban, le pagine 6 e 7
dobbiamo lavorare per l'integrazione, sulle generazioni precedenti è un lavoro più difficile e ci vuole la volontà da parte di entrambi. E: Cosa pensa dell'ipotesi di un distretto culturale Lomellino, con gli altri comuni e con tutte le altre realtà pubbliche e private, sia associative che singoli presenti sul territorio; sia per ottimizzare risorse che sappiamo sono e saranno prevedibilmente scarse, ma anche come possibilità concreta di valorizzazione di quanto nasce e viene espresso sul territorio? R: Intanto è nato l'anno scorso l'ecomuseo, che di fatto, seppur in modo ancora embrionale si rifà a questo tipo di progetto. In questo ecomuseo ci sono tutti i comuni della Lomellina, vengono preparati degli itinerari comuni, come ad esempio l'itinerario degli affreschi. Bisogna poi allargare questo discorso, stiamo parlando anche con Vigevano per poter fare un discorso comune; questa valorizzazione del territorio, che dovrebbe avere secondo me come primo traguardo l'Expo 2015, avrà sicuramente un significato maggiore se non limitata ai comuni della Lomellina. Mortara poi è in una situazione particolare: non è la grande città come può essere Vigevano, ma non è neanche il paese, siamo in questa via di mezzo per cui a volte si fa fatica a dialogare con i paesi intorno perchè chiaramente hanno delle esigenze completamente diverse. L'ecomuseo è già una bozza in questa direzione, per cercare di fare cose insieme, iniziative comuni. Vigevano stessa riesce ad intercettare un turismo limitato alla mezza giornata. Se si riesce a fare massa critica, unire Vigevano, Mortara col salame d'oca, i castelli della Lomelllina e altro, è già una offerta più completa, il turista può fermarsi anche più giorni. E: ad esempio anche il GAL, che ora sta partendo potrebbe avere un ruolo importante in questo senso R: sicuramente sono andato all'ultima riunione ed effettivamente interessante E: Una domanda tecnica: se una associazione ha un progetto, una proposta culturale interessante, come fa a proporlo al Comune e ad essere finanziata, magari anche solo quei due
o trecento euro che servono per pagare le spese? Qual'è il budget a cui si può attingere? R: basta chiedere, si presenta un progetto, non ci sono particolari obblighi formali. Poi la possibilità e l'entità dei finanziamenti certamente è molto variabile, dipende dalla situazione generale di bilancio. Comunque la disponibilità ad ascoltare e a venire incontro c'è, ovviamente se il progetto è interessante e credibile.. E: Dopo questi anni di assessore a Mortara è cambiata e come la sua immagine della città? R: Certamente è cambiata. Anch'io sono arrivato qui pensando: Mortara è chiusa, non risponde a niente, non si può far niente... invece Mortara è sicuramente una città difficile, qualunque cosa fai c'è sempre chi critica, però l'ho trovata sinceramente molto più aperta di come pensassi. Mi arrabbio tantissimo quando sento politici locali definire Mortara cittadina, paese, paesone, perché Mortara è una città. Piccolina, però è una città, dobbiamo avere uno scatto superiore. Guardiamo solo tutti gli artisti che ci sono in città e che vanno in giro per l'Italia ad esporre e io qui non li avevo mai visti esporre. Abbiamo un sacco di risorse, il problema è che bisogna essere abbastanza aperti, ed io spero almeno in parte di esserlo, in modo da potere ascoltare e valorizzare quello che c'è. Senza problemi di tessere di partito. Comunque quando alzi il tiro Mortara risponde, ad esempio la mostra di Laura Fiume è stata una di quelle più visitate. Oppure quella su Coppi. Poi nell'ambito della cultura ci sta tutto, anche la mostra di chi dipinge la domenica. Basta certamente trovare la cornice e lo spazio adatto per ogni cosa. È importante cercare anche quando fai le cose locali di realizzarle con un minimo di qualità.
CONTRO IL LOGORIO DELLA TV MODERNA di Marisa Palombella
Definizione di cultura dal vocabolario: “Il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali = sintesi armonica delle cognizioni di una persona, con la sua sensibilità e le sue esperienza, dottrina e istruzione = è la risposta creativa alla sfida che proviene dalla situazione e provocazione dell'ambiente.” Dunque vediamo: uno arriva, teschio in mano e “essere o non essere, questo è il problema”. Ti sbatte sul piatto nientemeno che le problematiche filosofiche dell'esistere... è cultura. Arriva al Milva e interpreta Brecht, Strehler... è cultura. Arriva una ballerina di flamenco che balla... è folclore, quindi cultura. Formare un pullman per portare la gente in giro per mostre o teatri... bello! Ingaggiare una compagnia che ci allieta una sera con uno spettacolo teatrale .. entusiasmante! Far suonare un gruppo più o meno famoso in piazza... divino! Ci reputiamo fortunati a vivere in un mondo che ci offre tante possibilità: televisione, cinema, teatro, mostre e poi biblioteche, circoli culturali dove attori, studiosi, esperti di ... ci “illuminano” del loro sapere. La nostra epoca ci riempie di proposte culturali, ce n'è per tutti i gusti: ma è sempre una proposta culturale quella che viene spacciata per tale? Parliamo di spettacoli teatrali o
televisivi, senza idee e scadenti a livello professionale uno ha successo a dire due scemenze in TV e mette su uno spettacolo in teatro per dire le stesse scemenze; gli fanno fare films e dice le stessa scemenze. La cosa che lascia allibiti è che la gente fa la fila nei teatri, nei cinema per vederli. La stessa fila che c'è al cinema, nei teatri c'è anche nei musei: basta il battage pubblicitario fatto in radio e TV perché si formino file mostruose fuori dal luogo: poter dire “c'ero anch'io” è molto in. Non so se ci avete fatto caso ma siamo diventati tutti intenditori di tutto. Pensare che un'opera d'arte va guardata da ogni parte, non un ma tante volte; non hai idea di quante cose scopri ogni volta che non avevi visto prima. Invece la fila ti sospinge, il cicerone ti sollecita sciorinando veloce tutta una serie di notizie e ti dà il tempo massimo di fermata: sembra di essere alla stazione in agosto, dove tutti spingono e guardano l'ora. Si sta massificando tutto anche l'evento culturale. Le proposte vengono sfornate, pompate ad arte e date in pasto al pubblico. Una proposta è valida solo è vista da tanti, altrimenti non vale niente. Vediamo programmi televisivi volgari e beceri prosperare per l'audience ed altri, intelligenti, sospesi per mancanza di audience. Conclusione: audience= bello no audience = brutto Io ho assistito a spettacoli teatrali brutti, con il pienone di pubblico, perché lavorava l'attore visto in TV, pubblico che alla fine omaggiava con lunghi applausi e
bis: è cultura tutto ciò? Sia chiaro, non si vuole dire che solo gli illuminati devono andare per mostre o altro, si vuole solo rilevare che non si fa cultura mettendosi in fila per una mostra o uno spettacolo per dire “io c'ero”; la cultura è qualcosa di più. Hai mai riletto un libro o rivisto un film.? Ci sono libri che mi sono riletta sette, otto volte e ad ogni rilettura ho trovato cose che mi erano sfuggite rima. Un film, la prima volta lo vedi, la seconda senti meglio la colonna sonora, la terza, pensando di conoscere tutto, ti concentri su particolari che ti erano sfuggiti ... e così via. Per concludere: a furia di propinarci porcheria, ci siamo abituati alla porcheria, abbiamo abbassato il nostro gusto e non riusciamo più ad individuare il bello, l'intelligente, il culturalmente valido. Sarebbe bello poter commentare con altri tutto ciò, sviluppare le sensazioni, gli umori, gli stati d'animo che per ognuno sono diversi, rapportati al proprio vissuto. Dovremmo essere più sensibili alle sollecitazioni che ci vengono dall'esterno, anche se non le condividiamo, per discuterle e valutarle con altri, per allargare le nostre conoscenze, non accettando passivamente il lento, logorante credo televisivo, ma, come da vocabolario: “cercare una risposta creativa alla sfida che proviene dalla situazione e provocazione dell'ambiente”.
Esteban, le pagine 8 e 9
Parallelamente alla vita e allo sviluppo della grande musica colta e della letteratura si è formata in Europa fin dal Medioevo una cultura espressiva delle classi popolari che in una lunghissima stagione durata fino al secolo scorso ha prodotto canti musiche rituali e di danza ballate epiche e narrative, poesie d’amore e quant’altro, un materiale interessante, artisticamente stimolante e spesso improntato ad un intenso processo di scambio con la cultura “dotta”. Questo materiale musicale esprime un’altrettanto lunga stagione di vita sociale, intensi e controversi sentimenti, celebrazioni di eventi fondamentali per la vita delle comunità e molto altro, il tutto manifestato con canti, musiche strumentali e rappresentazioni di ritualità collettiva. Nella storia del mondo popolare e contadino la Lombardia ci presenta una miriade di momenti musicali molto vari e diversificati facenti capo ad alcuni filoni espressivi vocali e strumentali che andremo brevemente ad esaminare e di cui forniremo alcuni esempi in coda a questa presentazione. Nella tradizione popolare lombarda convivono quindi ballate narrative antichissime comuni ad una vasta area europea che affondano le radici fino alle storie dei cicli carolingio e bretone con canti più “recenti” che parlano di vita comunitaria, di amore, di fatica del lavoro. Le musiche, che spesso fanno riferimento a moduli e strutture arcaiche e modali, esprimono un livello artistico/strutturale molto interessante e durante i secoli abituato a scambiare stilemi espressivi, melodie, parole con il bagaglio musicale e culturale colto cosicché assistiamo alla permanenza nel mondo popolare di soggetti narrativi, canti, strumenti e forme musicali
SUONI E PAROLE DELLA TRADIZIONE di Raffaele Nobile
appartenuti alla “grande cultura” dei quali quest’ultimo si è appropriato in processo di rielaborazione creativa. L’importanza di questo bagaglio culturale sta a nostro avviso nell’autenticità del linguaggio e dei sentimenti espressi che testimoniano sempre una fotografia credibile della realtà in cui sono nati e si sono sviluppati, arrivando a creare anche una lingua di comunicazione riconosciuta e utilizzata in vaste aree geografiche. La musiche e i testi ricevono anche una graduale rielaborazione creativa nel tempo e nello spazio, e questo spiega le diverse versioni dei brani più conosciuti, ma non viene tradita l’integrità iniziale che rimane la testimonianza di un’opera che vive di vita propria e non è fatta per “piacere” a qualcuno o per inseguire mode o tendenze del momento. Questo fa si che il nostro materiale non abbia nulla a che vedere con prodotti successivi anche dialettali, artificialmente considerati “popolari” ma contigui per nascita e utilizzazione a modelli canzonettistici di consumo. I testi di questo abbondante repertorio come vedremo non sono tutti in dialetto, anzi, la maggior parte utilizza linguaggi diversi che vanno
Parte 1a
dall’italiano aulico antico a forme di lingue d’uso miste a idiomi dialettali comuni ad aree geografiche vaste che non parlano lo stesso dialetto nella vita quotidiana. Il dialetto quindi altro non è che uno dei “vestiti” della cultura popolare che essa utilizza per arricchire al massimo le proprie qualità di espressione ma non è di per sé la “cultura del popolo”. È inoltre opportuno sottolineare un altro grande problema connesso alla ricerca scientifica della tradizione, e che entra anch’esso in gioco nel discorso delle diversità non dipendenti soltanto da differenziazioni etniche o geografiche: l’immagine attuale della tradizione musicale è l’ultimo tassello di un mosaico che ha visto il succedersi di trasformazioni socioeconomiche (ancora in atto) le quali hanno portato progressivamente alla scomparsa della civiltà contadina, che rappresentava il maggiore supporto di tali manifestazioni espressive, smembrandone con l’emigrazione verso la città della pianura e del triangolo industriale quel tessuto sociale che era allo stesso tempo ambito propositivo e giustificazionale di tutte le manifestazioni. Il materiale musicale di cui parleremo, almeno nei suoi aspetti più
significativi, non rappresenta quindi lo svolgersi della tradizione o un suo integrale censimento (peraltro impossibile) ma è la testimonianza attuale di una grande tradizione orale presente nel passato e praticata intensamente nella regione, dalla quale gli informatori che con spirito di collaborazione ci hanno messo a disposizione le proprie conoscenze sono stati protagonisti o spettatori o eredi diretti. La musica strumentale Anche in Lombardia come del resto in tutta la cultura popolare europea la musica strumentale è in diretto riferimento alla danza, facendone elemento di supporto fino all’identificazione stessa con tale funzione. Questo tipo di produzione musicale segue gli schemi metrici imposti dalle esigenze coreutiche e rituali, che si sono spesso intersecate con l’evoluzione e le trasformazioni strutturalimusicali alla base dell’essenza stessa dei singoli brani. Abbiamo così forme musicali diverse che hanno come titolo i nomi stessi delle danze («monferrina», «giga», «curenta», «perigurdino» ecc.), contenenti però linguaggi strutturali molto spesso differenti per ritmo, frammenti melodici, economia intervallare, successione di microstrutture e regioni armoniche. Alcune presentano una struttura musicale di tipo arcaico, che si richiama direttamente al mondo della modalità esistente e funzionante nella civiltà colta fin dai tempi più antichi, dove i punti di riferimento e di attrazione del
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successivo discorso tonale non esistevano o erano diversamente distribuiti. In altri casi, assistiamo a una commistione tra un discorso ritmicomelodico arcaico e una struttura più moderna, che riporta a una distribuzione più regolare delle successioni già menzionate. In altri casi ancora, ci troviamo di fronte a forme musicali entrate a far parte del bagaglio della tradizione popolare in epoche relativamente recenti, come il walzer, la polka, la mazurka forme tardoottocentesche di importazione mitteleuropea, che si sono progressivamente affermate e radicate in un’area continentale molto ampia. È da notare che i balli appena citati, pur avendo le stesse denominazioni, non hanno molto a che vedere con i walzer, le mazurke e simili che vengono tuttora eseguiti con successo da piccole e grandi orchestre nel circuito del «ballo liscio»: al di là di una comune base ritmica le differenze soprattutto nella struttura sono evidenti. È un processo di scambio che caratterizzerà molti successivi andamenti, come vedremo meglio nella canzone: da un lato, la tradizione assimila nuove forme a contatto con le mode e i tempi che cambiano; dall’altro, i musicisti popolari operano un nuovo lavoro creativo su tutto questo, producendo nuove musiche sulle forme già menzionate, utilizzando gli stilemi e i moduli espressivi propri di un certo ambiente. In certi brani, come le curente e alcune monferrine, è chiara la derivazione da balli cantati soprattutto del genere del curentun piemontese,
aspetto questo molto diffuso nella tradizione di tutta l’Italia, ove i balli popolari venivano rivestiti di un testo letterario che via via poteva essere modificato a seconda delle funzioni che gli venivano assegnate di volta in volta. Dal punto di vista dell’analisi musicale e storica, come già si è accennato, i balli più vecchi monferrine, gighe e altri affondano le radici in un mondo musicale colto che parte dal Rinascimento, e fors’anche prima, proseguendo per il secolo XVII e il Barocco fino alla grande dicotomia romantica tra musica colta e musica popolare, ove alcune forme e materiali appartenenti alla prima sono rimasti ad arricchire il patrimonio culturale delle classi subalterne. Ci riportano alle epoche in questione gli stessi nomi delle danze, e anche molte strutture musicali sono assai simili se non identiche a forme e opere appartenenti alla grande letteratura colta antica e barocca. (1 continua sul prossimo numero)
Esteban, le pagine 10 e 11
I borghi solitari della Lomellina dell'800 con le loro dimore isolate sono l'ambientazione ideale per storie che il tempo ha arricchito di particolari misteriosi. Il buio, appena attenuato dalla luce di una bottega o di una taverna, nasconde infinite suggestioni che rendono di tenue e fluttuante il Domenico rapporto tra realtà e apparenza.Creature Della misteriose si muovono Monica come sagome indistinte e danno inquietanti appuntamenti con la morte. E quando il verosimile fa capolino nella sfera del soprannaturale, lo investe di un inquietante realismo. Desidero narrare una storia di quel genere nella speranza di suscitare qualche emozione se la si legge seduti in poltrona accanto al fuoco scoppiettante di un caminetto in una fredda e pungente sera d'inverno.
RACCON TO PER UNA SERA D'INVER NO
C'era un uomo che abitava vicino al cimitero di Zinasco. La sua era una casa in pietra al piano di sotto e di legno al piano superiore. Le finestre della facciata davano sulla strada, quelle del retro sul cimitero. Un tempo era di proprietà di una coppia di anziani, soli. Il loro unico figlio si era trasferito da tempo a Novara dove aveva messo su famiglia. La moglie, ormai vicino agli ottanta, da qualche tempo non riusciva più a sopportare la vista del cimitero, soprattutto di notte, dalla finestra della camera da letto. Diceva di vedere... ma lasciamo perdere quello che diceva. Sta di fatto che da un po' di tempo non dava tregua al marito. Il povero vecchio, messo alle strette, acconsentì a traslocare in una abitazione nel centro del paese. La vecchia casa venne affittata ad un certo Ambrogio Polenta, un vedovo, che ci viveva da solo. Era un uomo non più giovane, non frequentava nessuno e in giro si diceva che era un avaraccio, e anche un po' “ strano”. Allora (erano i tempi di re Carlo Alberto) c'era l'usanza di seppellire i morti di notte,alla luce delle fiaccole: e così gli abitanti di Zinasco notarono che ogni qualvolta passava un funerale l'Ambrogio era sempre alla finestra, al pianterreno o di sopra.
Una notte si dovette seppellire una vecchia. Era sempre vissuta da sola, abbastanza agiata, non era amata dalla gente. In paese si diceva che non fosse cristiana e che nella notte di Ognissanti non si trovava in casa. Aveva sempre gli occhi rossi, febbricitanti e faceva paura guardarla. I mendicanti non bussavano mai alla sua porta.Tuttavia, alla sua morte, aveva lasciato una borsa con del denaro per la chiesa.La notte del suo funerale fu una notte tranquilla, limpida, il cielo gremito di stelle. Ma ci fu qualche difficoltà nel reperire i portatori, sia della salma che delle fiaccole, nonostante avesse lasciato dei compensi piu' alti della norma per coloro che avrebbero eseguito il lavoro. Fu sepolta avvolta in un panno di lana, senza bara. Nessuno era presente tranne le persone incaricate delle esequie...e Ambrogio, affacciato alla finestra. Un attimo prima che la fossa venisse ricoperta, il parroco si abbassò e gettò qualcosa sul cadavere, qualcosa che tintinnava, e disse a bassa voce qualche parola che suonava come: “ con te perisca anche il tuo denaro”. Subito dopo lasciò in tutta fretta il cimitero, seguito da tutti gli altri, lasciando solo un porta fiaccola ad illuminare il lavoro di copertura del becchino e del suo aiutante. In verità non è che avessero fatto proprio un buon lavoro e il giorno dopo, domenica, la gente del paese se la prese col becchino, lamentando che era la tomba più malmessa del cimitero. E a dire il vero, quando questi tornò a controllarla, gli parve in condizioni ben peggiori di come l'aveva lasciata. Nel frattempo Ambrogio andava in giro con un'aria strana: un po' esultante, un po' inquieta. Trascorse più di una sera alla locanda, cosa del tutto contraria alle sue abitudini, e quando gli capitava di scambiare due parole accennava al fatto di essere venuto in possesso di una piccola somma di denaro, senza spiegare come, e di essere alla ricerca di una migliore sistemazione. “La cosa non mi stupisce affatto – disse una sera Pietro il fabbro – a me non andrebbe proprio di abitare nella casa di Ambrogio. Resterei sveglio tutta la notte ad immaginare chissà quali cose “. L'oste gli chiese che razza di cose. “Ma che ne so, magari qualcuno si intrufola dalla finestra, o qualcosa del genere rispose il fabbro magari la vecchia Carolina, seppellita proprio da poco”. “ Ma va la',
dovresti avere un po' di considerazione anche per gli altri – disse l'oste non e' bello nei confronti dell'Ambrogio, non ti pare ?”“ Ma io non volevo offendere l'Ambrogio.....dico solo che una casa del genere non fa per me. E poi quelle torce, quando c'e' una sepoltura, e tutte quelle tombe, così silenziose quando non c'e' piu' nessuno in giro, e c'e' qualcuno che parla di piccole luci vaganti nel cimitero... a proposito, Ambrogio, voi ne avete mai viste ?” “ No, io non ho mai visto luci “ rispose Ambrogio in tono cupo, e ordino' un altro bicchiere di vino. Quella sera Ambrogio tornò a casa tardi. La notte, disteso nel suo letto al piano di sopra, con il vento che si lamentava tutt'intorno, non riusciva a prendere sonno. Si alzò e andò dall'altra parte della camera dove c'era un armadietto a muro, ne tirò fuori qualcosa che tintinnava e la nascose in seno alla camicia da notte. Poi andò alla finestra e gettò un'occhiata al cimitero. Dopo alcuni istanti vide qualcosa che spuntava dalla terra in un punto del cimitero che lui conosceva molto bene. Provò un brivido lungo la schiena, il suo corpo tremava. Terrorizzato, corse ad infilarsi sotto le coperte, dove rimase immobile. D'un tratto qualcosa urtò sommessamente contro l'intelaiatura della finestra. Riluttante, Ambrogio diede uno sguardo atterrito in quella direzione: fra lui e la luce della luna si era frapposta una sagoma nera dalla testa stranamente fasciata, la stessa sagoma che aveva visto elevarsi dal terriccio poco prima. Ora, sul pavimento, udiva il sinistro risuonare di terra secca, e una bassa voce stridula che diceva – Dov'è ? mentre dei passi andavano sue giù per la camera, passi esitanti, di qualcuno che cammina con difficoltà. Gli occhi terrorizzati, Ambrogio seguiva la sagoma scrutare negli angoli, chinarsi per guardare sotto le sedie....alla fine la udì armeggiare agli sportelli dell'armadietto a muro. Seguì poi lo stridio di lunghe unghie sui ripiani vuoti . Poi la figura si girò bruscamente, rimase un istante ferma accanto al letto, sollevò le braccia al rauco grido di ce l'hai tu! Il giorno dopo Ambrogio fu trovato, stecchito, nel suo letto, gli occhi sbarrati, la gola solcata da impronte.
UN CAPOLAVORO DIMENTICATO
modesto ma sentito omaggio a Mario Monicelli Lino Maia Ammazzarsi non è da tutti; buttarsi dal quinto piano, poi, è roba da Thelma e Louise, però quello era un film e il salto nel vuoto di Mario Monicelli no. Per l'ennesima volta Monicelli ci ha fregati tutti. Aveva novantacinque anni e nessuno poteva trattarlo da vecchio; adesso che è morto nessuno potrà dipingerlo come una vittima della rea sorte che tutti ci accomuna. Ha fatto del suo destino quello che gli è parso giusto e ci ha dato una tremenda dimostrazione di coraggio. Monicelli ha diretto una lunga serie di film grandi e grandissimi, dal Marchese del Grillo ad Amici Miei, dall'Armata Brancaleone ai Soliti Ignoti, opere che dopo decenni il grande pubblico ancora conosce ed ama. Il suo film più sorprendente, invece, lo conoscono in pochi, ed è un peccato, perchè Renzo e Luciana questo è il suo titolo mette in risalto un Monicelli che non è soltanto il grandissimo uomo di spettacolo che tutti sanno, ma anche uno straordinario artista visuale, aspetto che forse non è mai stato apprezzato come meritava. Il film è poco noto perchè se ne sta per così dire nascosto all'interno di un'opera collettiva celeberrima ma in effetti poco vista. Si tratta di Boccaccio 70, affidato dal produttore Carlo Ponti a quattro registi affermatissimi che realizzarono non il solito film ad episodi ma un megafilm tutto in technicolor composto di quattro mediometraggi di quasi un'ora ciacuno. Apparso nel 1962, Boccaccio 70 fu un successone, ma non appena il film uscì dalle sale per entrare nella storia del cinema, per Renzo e Luciana (l'episodio di Monicelli) cominciarono i guai. Il primo
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guaio era che a Monicelli erano stati affiancati tre pezzi da novanta Fellini, De Sica e Visconti che meritatamente o meno godevano più di lui dei favori della critica, tant'è che dell'episodio diretto da Visconti si scrive ancora oggi che era un capolavoro, quando a dirla tutta era una palla assolutamente indigeribile. Quello di De Sica, con la Sofia Loren che alla fiera di Lugo faceva da premio vivente per una lotteria ovviamente non autorizzata da alcun ministero, era una commediola licenziosa che si fa guardare ancora con piacere, mentre l'episodio di Fellini è rimasto nell'immaginario popolare per il micidiale coretto Bevete Più Latte che introduceva all'impari scontro tra Anita Ekberg diavolessa gigante e il moralista piccolo piccolo Peppino De Filippo che vanamente tentava di opporsi al mutamento dei costumi. A ben vedere, era poco più che una barzelletta ben raccontata, ma il tema allora molto sentito e l'indiscutibile abilità di un Fellini che finalmente riusciva a non prendersi troppo sul serio fecero sì che il suo episodio mettesse in ombra gli altri tre, e a farne le spese fu soprattutto quello di Monicelli che malauguratamente aveva il pregio di una narrazione molto sobria ed iniziò ad essere messo tra parentesi anche fisicamente, giacchè il film nel suo complesso era davvero troppo lungo e la televisione sovente lo ripropose a pezzi, programmando questo o quell'episodio e sacrificando di preferenza proprio il piccolo film di Monicelli. Come tutti i lavori migliori del regista, Renzo e Luciana è un'opera che si fa apprezzare a molti livelli, tutti ugualmente curatissimi. C'è, per cominciare, un valido soggetto che parafrasa molto alla lontana i Promessi Sposi: nella Milano del Boom, Renzo e Luciana si sposano ma non possono farlo sapere in giro per non essere licenziati dalla ditta in cui lavorano entrambi, lei come impiegata e lui come fattorino. Lo sviluppo narrativo (a cui contribuirono anche Giovanni Arpino e Italo
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Calvino) fila via che è un piacere, senza intoppi e tempi morti, tanto che il film (pregio rarissimo) pare fin più breve di quel che sia effettivamente, e una colonna sonora di tutto rispetto fa la sua parte con uno struggente tema principale di Piero Umiliani, in realtà copiato molto abilmente da Earl Bostic. Ma il film, come dicevo, è soprattutto una festa per gli occhi: la fotografia è di qualità altissima, i colori sono molto belli, e le ambientazioni tutte reali e non ricostruite in studio sono geniali, insolite e fascinose ed esaltate da una macchina da presa governata superbamente. L'elemento scenografico più sorprendente è però l'umanità che affolla tutta la pellicola, perchè siamo a Milano ma sembra di stare in Giappone, la gente brulica e la storia dei due sposini è anche quella del loro affrancarsi dalla miriade di persone che stanno loro addosso, dappertutto: negli appartamenti, in fabbrica, negli uffici, nelle sale da ballo, nei cinema, in piscina... Tutto questo formicaio, però, non ha niente di angoscioso o di ossessionante, anzi: la città è bellissima e mette la voglia di progredire e di impegnarsi per cambiare. l film finisce con i due che si danno il cambio nel letto: lui arriva dal turno di notte e lei si alza per andare a prendere l'autobus che la porta al lavoro. Però finalmente sono davvero marito e moglie ed hanno un appartamento tutto loro. E' in momenti come questo che si riconosce la mano di un maestro; bastava un nonnulla e la faccenda poteva assumere toni retorici o patetici, oppure grotteschi. E invece, niente: il dialogo è minimalista (lui è un
bel ragazzo ma tutt'altro che passionale, lei è tanto carina ma da buona milanese pensa prima di tutto alle economie) e se c'è dell'emotività sta tutta nella bellezza delle immagini, dei colori e della musica. Si capisce che i due sono convinti delle loro scelte e non viene suggerito o sollecitato alcun ulteriore commento: questa è la loro vita, punto e basta. Immagino che se una persona che abbia meno di quarant'anni veda per la prima volta Renzo e Luciana possa avere l'impressione di trovarsi davanti ad una specie di film di fantascienza ambientato in un qualche curioso passato parallelo, il che in un certo senso è vero, anche se la pellicola di Monicelli è di un realismo totale, tanto che fra i moltissimi film che hanno raccontato il cosiddetto Miracolo Italiano è forse quello che sa rendere con maggiore intensità e fedeltà l'atmosfera di quegli anni. Nel 1962 io ero un bambino abbastanza sveglio per rendermi conto dell'enormità dei cambiamenti che erano avvenuti nei pochi anni da che ero al mondo e che ovviamente come tutti, del resto trovavo assolutamente euforizzanti. Si viveva nel futuro, o perlomeno così ci si sentiva. E quando rivedo Renzo e Luciana mi pare di respirare ancora quell'aria che ci faceva schizzare un po' tutti. Come si sa, però, il futuro quello vero è stato qualcosa di completamente diverso, e molto meno esaltante. Per dire, è stato un po' come quando Celentano da ragazzo del juke box che era si è trasformato nella caricatura di Fernandel che interpretava Don Camillo.
Vi sarà senz’altro capitato, e probabilmente più di una volta, che nel consultare una carta geografica il vostro sguardo sia caduto su di un nutrito gruppo di nomi accomunati da qualche buffa desinenza e concentrati fitti fitti in un’area molto circoscritta, e probabilmente vi sarete detti che da quelle parti si deve parlare un dialetto ben strano. O forse avrete addirittura immaginato che quei nomi debbano risalire ad epoche lontanissime e rappresentino la sola testimonianza rimastaci di un idioma dimenticato da millenni. Difficilmente avrete pensato all’ipotesi più verosimile (che tra l’altro è anche la più simpatica) e cioè che lo scrivano del monastero o del vescovo che mille anni fa era il proprietario terriero più importante di quella zona, dovendo trascrivere in una lingua che assomigliasse il più possibile al latino i nomi di tutte quelle località preferisse storpiarli in quel dato modo anzichè in un altro (e in un caso del genere l’opinione di uno psicologo sarebbe senz’altro più illuminante di quella di un linguista). Il problema grosso della toponomastica (che è comune del resto ad altre discipline per così dire accessorie, come la decifrazione della topografia o lo studio dei cognomi) sta nel fatto che in genere ci accostiamo ad essa cercandovi delle risposte che ci siamo già dati, quando invece – come in tutte le cose della vita – la realtà supera di gran lunga le nostre fantasie limitate e monocordi. In più, a complicare le cose ci si mettono certi autori privi di scrupoli che si servono della toponomastica in maniera a dir poco disinvolta per cercare di dimostrare le cose più inverosimili. Insomma, per ridicolo che possa sembrare, se la si tratta senza le dovute cautele la toponomastica è una materia abbastanza pericolosa, e purtroppo può far danni anche quando a metterci mano sono persone serie e in assoluta buona fede, perchè è fertile terreno di coltura e veicolo di trasmissione di un gran numero di luoghi comuni quantomeno fuorvianti. Il più diffuso, lo si è appena detto, è che i toponimi si siano generalmente formati in epoche remotissime e che abbiano sempre uno spiccato carattere etnico, ma le cose stanno diversamente. Quando sul declinare dell’alto medioevo iniziò a prendere forma l’attuale organizzazione del territorio, anche la toponomastica fu sostanzialmente rivoluzionata. In quei secoli non solo nacque un gran numero di nuovi toponimi legati al graduale allargamento delle aree coltivate, ma anche quelli più antichi subirono sovente significative metamorfosi. In questo processo il ruolo delle chiese e dei monasteri, in quanto grandi e grandissimi proprietari terrieri, fu determinante. Inventariati in un latino approssimativo che ogni soggetto in grado di scrivere reinventava a suo piacimento, i toponimi assunsero forti caratterizzazioni locali che però in larga misura occultarono quelle preesistenti. Ben di rado un toponimo antico è stato adottato dalla parlata locale senza essere prima passato attraverso il filtro di una scritturazione più o meno fedele alla sua fisionomia originaria, e questo appare abbastanza logico se solo si pensa alla maggiore longevità delle istituzioni che governavano e amministravano il territorio rispetto a quelle delle persone che lo popolavano. Detto in soldoni, a garantire la continuità del nome di un luogo non era tanto la memoria storica dei suoi abitanti (molto più labile di quel che si ama favoleggiare) quanto piuttosto il registro dei tributi, che lo tramandava nella forma stabilita da chi comandava, ed è innegabile che esista una sorta di araldica toponomatica, giacchè attraverso le differenti formattazioni scritturali ogni Autorità assegnava di fatto una particolare coloritura ai nomi dei luoghi che le erano sottoposti.
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di Guido Giacomone
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Il gruppo H5N1 nasce dall’idea di due studenti universitari nel settembre di Adriano Arlenghi 2005, di diffondere in forma anonima la poesia nelle città e costituire cosi , uno stile ed una forma di poesia, con la quale descrivere le persone e i tempi della vita, adattandoli alla diversità degli spazi cittadini. H5n1 hanno cominciato a Pavia, ma poi le poesie del loro gruppo si sono diffuse ovunque. Il web racconta dei loro ritrovamenti a Milano, Piacenza, Brescia, Pisa, Bologna, Oslo, Dublino, Barcellona e Lisbona. Il loro nome? E’ la metafora di una pandemia di rime che si diffonde ovunque, rime abbandonate nei cortili oppure nei luoghi abbandonati oppure incollate su muri ricchi di storia e di incontri. Un giornalista del Corriere della sera, Maurizio Cucchi, aveva parlato di loro, e di loro aveva detto: «Vogliono comunicare con la parola che realmente parla, una parola che cerca una verità nella forma della poesia.» Se gli chiedi di raccontarti perchè creare poesia che parla dai muri della città ti rispondono così: e forse questo è anche il loro manifesto artistico: “Certi muri sono poetici e degni di poesia. Alcuni, in particolare, non hanno bisogno di nessuna parola e sembrerebbero fare per conto proprio: quelli di mattoni rossi, per esempio, oppure quelli morbidi appena intonacati che ti ci vorresti rotolare, quelli che hanno visto passare Napoleone e poi tutti i muri di pietra e di marmo, e di edera. Può la parola distinguere una goccia di
SPARGERE POESIA
pioggia da una lacrima, da uno schizzo di sudore o di rugiada, o da un semplice riflesso della luce che scherza con il cristallino? Il chimico dovrebbe misurarne la componente salina, il filosofo la schiaccerebbe imponendole il peso dell’universo, il pittore forse preferirebbe ingabbiarla in un puntino bianco, tornando a dedicarsi alla sua eterna lotta con la luce. E il poeta? Comprendere la natura della goccia senza distruggerla. O crearle una nuova natura, instillargliela di nascosto. Tradurre la goccia in linguaggio. Questo è poesia. Non esistono versi facili o difficili perché più o meno comprensibili. La poesia è una lingua totalmente “altra”, aliena, che tutti possediamo, nascosta nelle profondità del lobo limbico. È fatta da suoni che scivolano nella coclea pizzicando le frequenze a cui vibrano le fibre di quelle profondità.” Ma noi del Villaggio volevamo saperne di più, per questo li abbiamo scovati nelle profondità del Web e li abbiamo interrogati. Un giorno abbiamo visto a Pavia alcune vostre poesie appiccicate sui muri e, allora, abbiamo pensato che anche nella nostre piccole città di provincia, dove il consumo la fa da padrone e le proposte culturali sono sempre rare, sarebbe stato bello fare qualcosa di analogo. Per dare nuova vita e complicità alle strade, alle piazze. Ma come avete iniziato e come vi è venuta questa idea? “Non si tratta di una idea nuova, non si tratta neppure di una idea. Continuiamo a non capire come le persone possano arrivare a stupirsi: sui muri è possibile trovare di tutto. Pubblicità, sesso, politica, religione, informazione. Non dovrebbe essere insolito incontrare anche letteratura. Sono molti gli esempi del passato in cui proprio la letteratura trova posto sui muri. Piuttosto, diventa sempre meno tollerabile per noi l'essere
considerati quasi esclusivamente per il gesto, per la trovata, per l'aspetto romantico/ribelle/anticonformista dell'appicicare poesie sui muri di notte, piuttosto che per i testi che scriviamo: questa intervista ne è l'ennesima dimostrazione. Qualcuno dice che non siete più attivi "sulla piazza" che il sistema vi ha "uccisi". Oppure in realtà esistente e lavorate ancora e allora quale narrazione creativa state inseguendo? Nell'ultimo anno si sono sovrapposti, a tutto il resto, il lavoro quotidiano in ospedale e la ricerca scientifica, che lasciano meno spazio alle uscite notturne. Prosegue invece l'attività intellettuale di ricerca (questa volta, umanistica) e studio su cui si basano la produzione poetica e i progetti del gruppo. Per cui, l'aspetto formativo (letture, viaggi, teatro, cinema, incontri,…) prosegue senza tentennamenti e parte di questo daffare è rivolto alla poesia d'amuro. Prosegue anche la scrittura di testi. Riguardo all'appiccicare di notte, abbiamo deciso in via definitiva di evitare di farlo a Pavia e stiamo cercando nuove città per un nuovo inizio. Ci raccontate, per il nostro giornalino, una storia divertente che vi è accaduta spargendo poesie per il mondo, ovvero ci regalate un poesia vostra che parla della vostra voglia di raccontare e raccontarsi? La notte, alle due, in periodo pre elettorale, trovarsi a discutere di poesia e politica con un poliziotto sospettoso e incazzato in Strada Nuova. Una poesia di un metro per uno aperta sul cofano della volante. Queste notti, queste notti insonni che non riusciranno più a essere così pienamente vive quando lunghi occhi aperti nella notte, e resse di pensieri e prostate e funghi velenosi, e figli e messe
per noi che si muore, ci faranno ugualmente insonni, come si stesse aspettando qualcosa da un quotidiano capodanno. Queste notti, quelle notti di poesia d'amuro così piene di umano e lanciate nel buio e sfrecciate per le strade piene di nessuno: tutte queste notti, come l'attuale di cui ho un malinconico ricordo. Alle due e uno del quattordici maggio duemiladieci qualcosa è passato ed era così bello: quando la poesia si mette a far le veci della vita e c'è tutto quanto serva: il castello, la regina, i versi, i fuochi d'artificio e gli artificieri, i pompieri, il monello che spacca i vetri, e una interminabile lontanissima mattina.
Când toate trec şimbătrânesc
Che significato ha la poesia e la vostra poesia murale in particolare nella società liquida di oggi, quella che sostiene il sociologo Baumann? E' una delle forme di lentissima ribellione. Nella speranza che una poesia letta da qualcuno oggi possa contribuire (minimamente) a formare una consapevolezza maggiore domani. E che questo crearsi acquisisca carattere di fiumana, come diceva Pelizza da Volpedo: “La mia aspirazione all’equità mi ha fatto ideare una massa di popolo, di lavoratori della terra i quali intelligenti, forti, robusti uniti, s’avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo…” Ricontestualizzando, proprio la nostra poesia acquisisce caratteri di estrema equità. Inoltre, la battaglia nei confronti della società dei consumi e della società dello spettacolo va fatta. E' una battaglia perduta, ma va fatta, a partire da ogni proprio singolo comportamento, che dovrebbe essere mai lasciato al caso o a un istinto comandato. Anche qui, di nuovo, la poesia assume un significato di estrema, totale libertà sia nei contenuti sia nell'utilizzo multiforme del linguaggio. Che dire ancora? Buona fortuna H5n1, continueremo idealmente anche noi a spargere sui muri del nostre grigie città pensieri. Che la poesia, la bellezza, la tenerezza, il sogno, l’attesa abbiano lunga esistenza!
Quando tutto nel mondo passa ed invecchia.
TRE POETI RUMENI ...
(presentati e tradotti da Danut Gradinaru)
O! poezie, pe când toate în lume trec şimbătrânesc, Când nu mai sunt nici eu băiatul cu inimă nevinovată, Când zilele copilăriei sunt o ghirlandă scuturată, În mine iar te regăsesc, O! Poezie. Te regăsesc şi tot aceeaşi: cu tinereţe coronată; Tot călătoare printre stele, sau din nălţimea înstelată Tot coborând şi printre oameni şi rencepând să răscoleşti, O! Poezie, Tu singură numbătrâneşti.
O! poesia, quando tutto nel mondo passa ed invecchia, Quando non ci sono neanche io ragazzo con il cuore innocente, Quando i giorni dell'infanzia sono una ghirlanda spolverata, Dentro di me ti ritrovo ancora, O! Poesia. Ti ritrovo e sempre la stessa: con gioventù coronata; Sempre viaggiatrice tra le stelle, o nell'altezza stellata Sempre a discendere tra gli uomini, a ricominciare a mescolare, O! Poesia, Tu da sola non invecchi. Alexandru Macedonski ( 18541920) è stato un poeta e romanziere,commediografo, direttore di club letterari e pubblicista rumeno. La sua poesia è eclettica ed ha elementi di parnasianismo, simbolismo e romanticismo.
Esteban, le pagine 16 e 17
Singura piele de atâtea ori ar fi trebuit să vorbim astăzi plutesc în tăcerea aceasta ca un galion cu echipajul decimat de holeră. nu vreau pânze noi nici o altă busolă mai degrabă aruncămăn aer sparge ferestrele am nevoie de tine ca de singura piele în care mai pot sămi întorc dimineaţa spre nord.
L'unica pelle molte volte avremmo dovuto parlare oggi galleggio su questo silenzio come un galeone con l'equipaggio decimato dal colera non voglio nuove vele né un'altra bussola piuttosto gettami nell'aria spaccare le finestre ho bisogno di te come l'unica pelle in cui riesco a ritornare il mattino verso nord
Dispersie
Dispersione
suntem copiii nisipului spuse ea întro zi despletinduşi cuvintele peste rănile lui curgeau fluturi scrum păsări scrum aerul foşnea pârjolit era una din acele secunde când şarpele îşi înghite coada în somn
siamo bambini di sabbia disse lei in un giorno scarmigliandosi le parole sulle ferite scorrevano farfalle cenere uccelli cenere l'aria frusciava bruciata era uno di quei secondi quando il serpente si mangia la coda nel sonno
apoi sa prelins dintro tăcere în alta alcătuind cercuri largi tot mai largi
poi ha gocciolato da un silenzio ad altro formando cerchi larghi ancora più ampi
Adriana Lisandru: nata il 5 settembre 1971. Debutto editoriale nel 2007 presso la Casa Editrice Arania Braşov con il volume "Dea Baba Oarba". Ha pubblicato poesie in diverse riviste: Agerro (Stoccarda), Singur(Târgovişte), FeedBack( Iaşi), Astra (Braşov), Verso (ClujNapoca), Caiete Silvane (Zalău). Apparsa nelle antologie "Freamăt de Dor"(Casa Editrice: 3D, 2008) e Virtualia 2008 (Iaşi) Ha in preparazione un nuovo volume, "Scara de păpădie".
Citadela
Cu ţipăt de şoim vor trece unele zile, se vor adânci alene în păduri imerse de vareci, sub luciul apei mierii surde stradele de umbre vor desena harta unei cetăţi de necucerit. Porţile ei le vor păzi străjeri în haine de lupi veghetori ai argintului lunii.
Vom număra zile de sare şi vom număra căzuţii eroi din tranşeele harfei, de pe fronturile lepădate de glorii. Va rămâne un cântec neauzit, va rămâne un văl de purtat când va fi iarnă în cer.
Îmblânzire
În partea stângă mia răsărit un arbore, o fântână mi sa săpat în palmă, în ochi mia crescut o pasăre ce nu mai conteneşte din zbor, ce nu mai conteneşte din cântec. În gestul tău era o toamnă ce întârzíe în frunze căderea cerului din copaci.
Trupul zilei era îmblânzit, uitasem demult întrebarea al cărei răspuns îl mai caut. Oglinda
Tăcute ape îţi întindeau aşteptarea cu aripi prelungi, desen spiralat pe o rază izbită de marmuri, ochii tăi fântâni de gânduri se dezbrăcau de pământ dincolo de lucruri, labirint spre oceane de suflet, oglinda răbdării tale străvezii.
La cittadella Con il grido del falco passeranno alcuni giorni, sprofonderanno lentamente nelle foreste immerse di alghe, sotto la luminosità dell'acqua blu sorde le strade d'ombra disegneranno la mappa di una città inespugnabile. Le sue porte saranno protette da guardiani in abiti di lupi custodi all'argento della luna. Conteremo i giorni di sale e conteremo gli eroi caduti in trincee di arpe dai fronti negati di glorie. Rimarrà una canzone inaudita, rimarrà un velo da indossare quando ci sarà inverno nel cielo. Addomesticare
Nella parte sinistra mi ha germogliato un albero, mi ha scavato un pozzo in palmo, negli occhi mi è cresciuto un uccello che non cessa "al volo", che non cessa dal canto. Nel tuo gesto c'era un autunno che ritardava nelle foglie la caduta del cielo dagli alberi. Il corpo del giorno era addomesticato, avevo dimenticato da tanto tempo la domanda la cui risposta continuo a cercare. Lo specchio
Silenziose acque ti estendevano l'attesa con ali prolungate, disegno di spirali su un raggio colpito di marmi, i tuoi occhi fontane di pensieri si spogliavano di terra al di là delle cose, labirinto verso gli oceani dell'anima, lo specchio della tua pazienza trasparente.
Calin Samarghitan, nato nel 1969 a Sibiu in Romania, laurea in Teologia presso la Facoltà di Teologia a Sibiu nel 1996, titolo di Dottore in Teologia all'Università "Babeş Bolyai" di Cluj Napoca nel 2000. Laurea della Facolta di Lettere a Sibiu nel 2001. E' stato redattore capo della rivista letterare “Gândirea” ( I pensieri ) nel 1994 2004. Ha pubblicato oltre cinquanta articoli e studi di specialità inter e transdisciplinari, critica letteraria, critica della critica e cronaca del libro nelle riviste e giornali di Sibiu. Dal 2010 è redattore al giornale "Telegraful român" di Sibiu. Membro fondatore del "Club Argotico" a Sibiu, è organizzatore delle serate poetiche "Le Serate Argotiche" a partire dal 2005. Tra i libri pubblicati: "Così com'è, non è" (poesie, 2002) "Fardad" (poesie, 2009). Le sue parole vibrano in ogni verso. Sono delle scintille che si accendono ed illuminano la sua poesia.
Esteban, le pagine 18 e 19
Daniela D'Errico
... E UNA POETESSA SALENTINA
8/6/1984 Piazza della Vittoria n. 1
Campagna salentina
Gallipoli n. 1
Quando riprendo a scrivere, vuol dire che non vivo? E su chi vomitarla quest'angoscia (se non su un foglio bianco), visto che ormai il mio stomaco non vuol più saperne e, se gli infilo in fretta dolci,panini e frutta, si incazza, si dilata, urla più dell'angoscia e minaccia di scoppiare?
Guarda: mi muovo bene sulle ginocchia piegata quasi feto in perfetto slalom dove ogni porta s'apre sopra un ricordo e dietro un desiderio.
Onde barocco suoni scie gabbiani infanzie vite curve barbute dentro al vento. Nell'ora dolce (mare cielo rosso) innamorata abbraccio quanto posso.
Piacciono più le magre o quelle dimagrite? Le grasse o quelle da far ingrassare? Le oche le inchiodano nei piedi e le ingozzzano per ottenere un dolcissimo fegato steatosico francamente perfetto per un patè squisito e favoloso. 6784 Certe balene vogliono ridurle all'osso per farne amuleti e “pettinesse”. Funzionasse davvero a dar fortuna e a pettinarespettinare anche i pensieri sotto una chioma bruna. Tempi Passato prossimo sferza. Sfuma imperfetto nel ricordo. Ed incontrarsi non ha più presente nel nostro coniugar roseo e distratto. ... anche il futuro è solo ragnatela.
24 maggio 1978 (a casa ...) Sento ... Tocco profumi che sono solo miei Gallopoli sempre lì: sugli scogli (la coda nell'acqua) ho atteso Ulisse senza cantare. Una fragola in bocca (dolcissima); poi un volto è entrato dal passato. Il cuore non volevo lo ha guardato... Presagiosintomo Il trenta di gennaio ottantaquattro alle ore quattordici e quaranta, un orologio slavo (adolescenzaliceo di un caro amore) dopo un anno di vita sul mio polso bloccando le lancette ha chiesto: “Posso? Fermermi un momento a riposare? O dovrei sempre in questo modo andare?” E il polso, liberato, gli ha risposto: “Sgranato è l'ingranaggio? Finalmente! Non ti rimetto a posto neanche un dente. Domani dormirai dentro un cassetto. Ormai hai finito di tenermi stretto.”
Punti di domanda Che siano i sogni prepostammonitori? La svegliacatapulta del mattino? Le attese e le prese della sera? Il poco sonno assai poco voluto? Smagnetizzato il nastro di Vecchioni? I quid i plus? Gli aggiornottamenti? Il tempo pieno definito infinito indefinito (forse solo) finito? Qualcuno lo sa bene quanto vale la confusione e il vuoto mio mentale? O che si tratti in fondo, poi, solo di ... quello?! Allucinare (come donna) è bello.
Ad Antonio (11 anni) figlio di emigranti Se ti penso riesco solo a piangere – incazzata! Invece, dovrei essere come tuo padre a tremila chilometri su di un impalcatura intorno ad una casa tedesca. Forse, poteva esserci lui a giocare, a sculacciarti, a evitarti quelle ruote sul corpo. Se Natale non viene ogni giorno è colpa di tutti; e quel giorno non era Natale. Se in bici pedali ad occhi chiusi forse, lo vedi, con le mani grandi, brune, incallite, piene di cioccolata sulla soglia di casa; ma non vedi il rosso al semaforo nuovo. Prima delle elezioni la D.C. riempie Galatina di asfalto, di luci, di semafori; di manifesti con le strisce nere. Per te l'8011998 E ancora cerco versi per animare fogli. La vena è inaridita?! Forse la mia poesia vuole restare vita lasciandomi di stucco con la matita in mano nel tentativo vano di rivoltare in versi il verde dei tuoi occhi. Daniela D'Errico è nata a Gallippoli. Vive a Galatina dove esercita la professione di medico. Ha vissuto diversi anni a Pavia. Le poesie sono tratte dal volume "Allucinare è bello". Da poco è uscito un nuovo volume di poesie: "Echi caldi di azzurro"
Domenica 12/12/2010:
CAMMIN FACENDO
Camminare lungo le strade sterrate della Lomellina, ed è quello che fanno i lunatici, strani essere generati dalla'associazione culturale Il Villaggio di Esteban di Mortara,ogni mese, è certo utile per scoprire la lentezza, le radici, le sfumature, la bellezza del silenzio, il respiro di chi ti sta accanto, i suoni della natura, i ritmi del tempo naturale che non conosciamo più in questo mondo invaso da computer e luci sempre accese. Dominate dalle merci e dalla scarsità di altri beni, quelli relazionali ad esempio. Poi però viene dicembre, il freddo ci tiene in casa, con il piumone addosso e la stufa carica di legna scintillante. Dicembre tuttavia è per noi del villaggio anche il tempo dell'evento dell'Avvento, iniziativa che ogni anno vuole raccontare una associazione che in un mondo sempre più di esclusione e di competizione lavora per gli altri, magari gratis in un tempo in cui tutto ha un prezzo.Quest'anno è stata scelta la 3A (Associazione Amici Anziani) Così abbiamo inventato una serata per parlare del cammino, in questo caso di un cammino che si svolge dentro la nostra anima più profonda, mettendoci dentro i nostri sogni, le nostre esperienze e la ricerche di una narrazione diversa dell'esistente. Il “lomellino” Prof. Francesco Corbetta, già ordinario di Botanica all’Università dell’Aquila non potendo partecipare direttamente è intervenuto con uno scritto che vi proponiamo. Lo ringraziamo di cuore:
Voglio partecipare alla iniziativa di dicembre della vostra associazione, ma causa problemi di salute, lo posso fare solo scrivendo. Un amico, vecchio come me e assai saggio, sostiene che nella orrenda vecchiaia, si soffre tanto più laddove maggiormente si è goduto nella vita. Io nella vita ho apprezzato soprattutto due cose: la buona tavola, e in questo campo, denti a parte, me la cavo ancora abbastanza bene, e il cammino. Quanti cammini ho fatto! Da bambini, qui a Mortara, il pomeriggio della domenica era dedicato, con un compagno di scuola e i rispettivi padri ad una lunga passeggiata dalla città a Sant’Albino e da li nelle ampie distese sabbiose, sino all’Asilo Vittoria e ancora fino al tiro a segno dove poi recuperavamo energia nel terrapieno, raccogliendo le pallottole che vendevamo poi allo “strasè”. Numerose poi e lunghe le passeggiate e le escursioni botaniche in vari luoghi del nostro Paese, spesso privi di strade, per cui le camminate risultavano particolarmente lunghe e, allora, si cercava di farle..in discesa. In quali luoghi? Infiniti i posti. A Capraia, ad esempio, o ancora sopra la città di Amalfi, nello stupendo vallone delle Ferriere alla ricerca della bellissima felce Woodwardia radicans. O ancora sempre a proposito di felci rare sulla vena del gesso romagnolo alla ricerca della Cheilanthes persica. Non era del tutto sparita e io la ritrovai. Oppure nei dintorni dell’Aquila, alla ricerca dell’endemico Goniolimon italicum, con la gioia suppletiva, magari ritornando in città di incontrare un plotone di alpini. Assai suggestivo invece il Golfo di Oristano con i suoi innumerevoli stagni costieri. Una volta nell’attraversare uno stagno, il Sale Porcus, completamente secco, percepii nettamente la sensazione del film Deserto Rosso di Antonioni. A Mistrao invece di acqua ce n’era ancora e in mezzo, intenti nel loro certosino lavoro di filtraggio delle acque “pascolavano” folti stormi di fenicotteri. Innumerevoli poi le puntate in Basilicata sul monte Volturino e nella terra di Calvello o nelle campagne aretine. O nell’aspro ambiente della valle di Benevento, nei dintorni di Pisticci e di Ferrandina per studiare le piantine di Ligeum Spartum, una graminacea nordafricana che si spinge fin qui! La notte. La notte nella mia intensa attività onirica ho due temi ricorrenti: il primo è il ritorno all’insegnamento all’Aquila dove mi perdo nei lunghi corridoi del mio dipartimento. Il secondo è che cammino, e cammino speditamente lungo le strade d’Italia . Ma la realtà è ben diversa! Francesco Corbetta
Esteban, finito.