Esteban n. 4

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questo numero di Esteban è dedicato ai 13.771 viaggiatori migranti morti nel Mediteraneo dal 1988 ad oggi nel tentativo di raggiungere l'Europa. (il numero si riferisce solo alle vittime documentate)

ESTEBAN NUMERO QUATTRO ESTATE 2009

VIAGGIARE insieme a CLAUDIA MOSSI MERCEDES MAS FRANCO BRASCA MAURIZIO DAVOLIO DOMENICO DELLA MONICA MARISA PALOMBELLA FRANCESCA GROSSO DANIELE CAMANA MONICA MASINI FRANCO RATTI

Intervista a

LUCIANO VALLE Dulcis in fundo L’ANGOLO DI ANNA MARA


Strabilianti viaggiatori! Quali nobili storie leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare! Charles Baudelaire, Il viaggio I viandanti vanno in cerca di ospitalità Nei villaggi assolati E nei bassi fondi dell'immensità E si addormentano sopra i guanciali della terra Juri Camisasca, Nomadi Non invidiavo le automobili. Sapevo che in automobile si attraversa, ma non si conosce una terra. “A piedi” avrei detto a Pieretto, “vai veramente in campagna, prendi i sentieri e costeggi le vigne, vedi tutto. C'è la stessa differenza che guardare un'acqua e saltarci dentro.” Cesare Pavese, La bella estate Al ragazzo di mappe, di carte appassionato l’universo sembra vasto quanto è vasta la brama. Ah, come è grande il mondo al lume di una lampada! Agli occhi del ricordo, come è piccolo il mondo! (dedica scritta dal padre di Jorge Luis Borges sulla copia di Pêcheur d'Islande, di Pierre Loti, regalata al figlio) Il viaggio, viaggio come movimento interiore, spostamento dei propri riferimenti visivi e culturali, come simbolo e metafora della vita e della ricerca inesausta dell'uomo, viaggi immobili e per questo ancora più profondi: se veramente vi interessa questa roba non leggete questo numero di Esteban. Potete trovare centinaia di libri sull'argomento, e questa non è una rivista culturale. Esteban è interessato solo alle storie, piccole o grandi che siano, e in questo numero aveva voglia di sentirsi raccontare esperienze di viaggio, voleva sentire odori, colori, emozioni, le fatiche e le scoperte. Viaggi in altri continenti o viaggi vicino a casa, quello che importa ad Esteban è la disponibilità ad incontrare e a farsi sorprendere, la disponibilità a varcare confini, quelli reali, ma anche quelli costruiti da noi in cui pensiamo di esserci messi al sicuro. E ovviamente non basta partire per superare questi confini; nell'epoca del turismo di massa dove tutto è già pronto e confezionato per il consumo, abbiamo privilegiato altre forme di viaggio e altri modi di viaggiare. E già le citazioni che ha scelto ci avvertono delle preferenze di Esteban: i viaggiatori e i pellegrini piuttosto che i turisti, il Cammino l'andare a piedi, dove ogni passo è una esperienza, l'avventura, anche nel senso

semplice di essere aperti e disponibili a ciò che accade, piuttosto che il tutto compreso. E così abbiamo amici che ci raccontano dell'Africa che hanno incontrato per seguire progetti di cooperazione. Ci sono le storie dei pellegrini che ancora percorrono i sentieri d'Europa e quelle di chi li accoglie, li ospita, tiene in ordine i sentieri per far sì che i loro passi possano continuare a cucire insieme i pezzi di questo vecchio continente. E ci sono alcuni incontri a cui teniamo molto. C'è il filosofo Luciano Valle che ci insegna a riscoprire e a preservare la bellezza intorno a noi. C'è Maurizio Davolio, che ringraziamo di cuore, Presidente dell'Associazione Italiana Turismo Responsabile, che in un suo contributo ci racconta cosa è il turismo responsabile, come e da che esigenze è nato questo modo di viaggiare che non vuole partecipare al consumo e alla rapina di bellezze e ricchezze altrui. Consigliamo di visitare anche il sito dell'AITR a questo indirizzo: www.aitr.org Poi, tra i tanti scrittori che si possono associare al viaggio, Domenico Della Monica ha scelto di parlarci di Joseph Conrad. Con lui ha fatto anche una intervista “impossibile”, da cui risulta un ritratto duro e impietoso dello scrittore. Ci avrà detto tutta la verità? O forse tutta la verità l'ha messa, e chiede che la scopriamo, nei suoi libri, nelle sue storie di sconfitte, tradimenti, viltà, ma anche di coraggio e fedeltà fino all'estremo, spinti da un impulso a resistere e a combattere che non può comunque fermarsi? E infine qualche racconto; ritornano le storie di Francesco Ratti e continuano gli appuntamenti con Anna Mara. Come sempre, Esteban non vuole fare discorsi esaustivi, ma semplicemente suggerire spunti e suggestioni, e, visto che per molti inizia il periodo di ferie e viaggi, vi aspetta al ritorno per riempire un prossimo numero con le vostre storie. L'importante è non partire mai senza un taccuino. È vero che le Moleskine non sono più quelle di una volta, ma basta un semplice quaderno e poi non importa dove andate, anche a casa della nonna ci sono sempre cose nuove da scoprire. E dopo averle scoperte, raccontarle, perchè comunque alla fine resta solo quello che viene scritto o detto, che accetta di attraversare quest'altro confine del dover usare parole per uscire nel mondo e farsi esperienza. Le foto che illustrano questo numero sono di Francesco Fiore, Giovanni Fiore e Franco Brasca e si riferiscono al pellegrinaggio a Santiago de Compostela compiuto nel 2004 con altri amici, e di cui ci ha parlato in questo numero Daniele Camana, condividendo con noi una pagina del suo diario.


LA ROTTA DELLE STELLE di Daniele Camana Pubblichiamo il capitolo finale del diario tenuto dall'autore durante un pellegrinaggio a Santiago de Compostela nell'agosto 2004.

Dico a Mariella che questo, forse, può accadere se ci si mette nel Cammino nello spirito giusto, che è quello dell’apertura del cuore all’accadere stesso, con coraggio ma soprattutto fiducia che male che vada puoi incontrare te stesso, che non è cosa da poco, visto che solo se incontri te stesso, e ti vuoi bene e impari ad accettarti puoi essere pronto per l’incontro con gli altri. Così, forse, è accaduto a loro. Mi vengono in mente le parole di Gesù, di sconfinata sapienza psicologica oltre che spirituale: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Poco si fa caso a quel “come te stesso”… Si è fatto silenzio nel camper. Si sente solo il girare di un motore affaticato, il sibilare del vento che litiga col bocchettone dell’aria sul tetto, le auto che sfrecciano veloci. Ognuno pensa a quello che è stato o a quel che sarà di questo viaggio, della propria esistenza, forse con un po’ di fiducia in più anche per via di quelle curiose coincidenze, che con tanto supponente ‘ragionevole buon senso’ normalmente liquidiamo come del tutto casuali. Per la brama di stabilità, peraltro umanissima esigenza di equilibrio, rischiamo però di appiattirci in una sorta di disincanto, ci chiudiamo all’epifania del sacro nel mondo. Francesco, il giovane figlio di Giovanni, dorme col volto sereno di un Buddha: lui la vita ce l’ha tutta davanti. Il trillo di un cellulare interrompe, improvviso, quel digiuno di parole. In quei giorni c’è un fitto scambio di notizie tra noi e gli innumerevoli amici e parenti, sparsi per ogni dove a farsi le proprie ferie, oppure a casa in attesa di rivederci. E’ bello risentirli, sapere che esistono. Tra non molto saremo di nuovo ad abbracciarci. Ma il ritorno al quotidiano, sebbene rassicurante, e persino bello se ci ritrovi chi ami, reca anche un senso di irriducibile fastidio. E’ come dover indossare un abito troppo stretto, col quale si cammina (si vive) impacciati. Ce lo confessiamo un po’ mesti

Il giorno dopo via per il Finis Terrae. I paesaggi che si susseguono sono molto belli, collinari e pieni di verde e l’occhio non fa in tempo ad annoiarsi, scorgendo di tanto in tanto l’oceano profilarsi sempre più vicino. Il tempo è al bello, finalmente, ma con quel tanto di nubi che rendono ‘mosso’ il cielo, non quella limpida campana azzurra, che è bella sì ma troppo uniforme per i miei gusti. Arrivati a Fisterra (così si chiama in gallego), immaginiamo i pellegrini antichi guardare quello che si credeva il limite occidentale della terra (e che così venne chiamato prima che Colombo ne spostasse i confini), l’impressione sconvolgente che dovevano trarne: quel blu immenso era la fine del mondo, di là da quello l’ignoto immenso… Staremo tutto il giorno in questa cittadina piena di vita, tanto da avere il tempo di scrivere le cartoline acquistate, insieme a ricordini vari, a Santiago il giorno prima. Vicino al faro un suonatore di gaita col tipico costume locale, tanti turisti e alcuni pellegrini dall’incedere stanco, appena giunti a piedi fin qui con tutto il loro carico di zaini e sacchi a pelo, ma dai volti sorridenti e gli occhi felici. In questa terra di antiche tradizioni celtiche (Galizia è il nome che le diedero i romani, in cui è evidente il riferimento a quelli che chiamavano Galli, cioè le popolazioni celtiche che abitavano il territorio in parte corrispondente all’attuale Francia) le ballate sono molto simili a quelle delle altre aree celtiche dell’Europa, come l’Irlanda, la Bretagna, la Scozia. Santo Domingo de la Calzada, Avremo modo di constatarlo la un pellegrino con il suo asinello sera, nel corso di un concerto all’aperto di un gruppo di musica celtico-galiziana, nell’ambito dei festeggiamenti regionali per l’anno jacobeo. Gabbiani fendevano la notte illuminata dalle luci del palco e nei silenzi lo sciabordare possente dell’Atlantico. Il concerto, bello e magico, dalle ventidue e trenta finirà all’una passata. Ritornati al campeggio ci ritroveremo chiusi fuori (erano le due) ma abbiamo il camper e ci aggiusteremo. Lasciarsi l’oceano alle spalle vuole dire aver concluso l’itinerario compostelano e iniziare il ritorno a casa. Mariella, un po’ malinconica si lascia andare al romanticismo. E ricorda di quanto la vita possa essere paradossale, sorprendente. Sta ripensando a quella ragazza e quel ragazzo italiani conosciuti vicino al faro di Fisterra. Si erano lasciati da un paio d’anni, ognuno poco prima di arrivare. Tuttavia la scommessa è di restare aveva fatto altri incontri ed esperienze, ma ad ognuno, sotto camminanti anche sotto le vesti di chi ha patria e dimora mentre sotto, l’altro mancava. Si sono rincontrati nel corso di quel dentro si sente cittadino del mondo. Nomadi nell’anima, umili Cammino che ognuno aveva intrapreso senza sapere dell’altro e ribelli, curiosi di tutto e di tutte le rotte, di cui quella delle stelle nello stesso, preciso, lasso di tempo. Era ormai evidente ad è il paradigma amato che credo resterà nei nostri cuori per entrambi che il loro ‘cammino insieme’ doveva continuare, lì e sempre. nella vita.


MATANY UN FILO DI SPERANZA IN KARAMOJA di Claudia Mossi Uganda, novembre 2008 Dieci anni di esperienze in America Latina non mi hanno comunque preparata a sufficienza per un altro spettacolo di miseria e povertà: quello dell’Africa. Sono arrivata come in una fiaba nel regno dell’Uganda: il paesaggio è diverso, il clima è diverso, la gente è diversa; le povertà si somigliano tutte, mi ero sempre detta, ma gli occhi smarriti della gente, i sorrisi, i modi di dire, il saper affrontare le difficoltà e le sofferenze e, più di ogni altra cosa, il saper affrontare la morte, sono cose di un popolo e della sua cultura. Lontano, lontano da Kampala, la capitale ugandese, abbandonando completamente l’asfalto per una terra rossa difficile ed impervia, specialmente durante la stagione delle piogge, si arriva nella regione della Karamoja, la più povera di questo stato africano. MATANY? Un villaggio disordinato, un mercato di rottami e cianfrusaglie, gente sulla strada per vendere di tutto. E’ qui che i seguaci di padre Daniele Comboni hanno costruito un isola felice; il St.Kizyto Matany Hospital. Se ti chiudi il grande cancello bianco alle spalle davvero sembra di essere da un’altra parte. Qui i malati, le giovani partorienti, i bambini ricevono attenzioni e cure: si fa ciò che è possibile e per quello che non si riesce, ci si consola sapendo di avere tentato di tutto. Ma nonostante l’isola, è triste vedere attorno a te morire giovani e bambini, è triste rimanere impotenti di fronte allo sterminio provocato dall’Aids, dalla tubercolosi, dalla sifilide, dalla malaria. E nello stesso tempo ti rendi conto che nulla puoi fare perchè le persone arrivano a curarsi quando già la malattia è in stadio avanzato. A Matany ci sono medici italiani e medici africani che hanno creduto possibile fare qualcosa e l’hanno fatto anche semplicemente con la loro presenza e spendono la maggior parte della loro vita al servizio di questo. Carlo Alberto Bonini è un chirurgo paziente e generoso che non si arrende facilmente; non diversa da lui, la moglie Emanuela non si risparmia nel difficile ambiente della medicina generale. Il ginecologo, Eric, si prepara a ricevere le nuove vite. A volte mi domando che Astorga

futuro aspetta le nuove vite e se ha un senso dannarsi l’anima per salvarli. Eppure è certo che deve essere cosi. Gli infermieri locali sono presenti di giorno e di notte; per le donne ci sono cinture di vari colori a sottolineare il grado di professionalità, ma colori a parte è importante che ci siano e stabiliscano un contatto con i pazienti che, difficilmente, se non in casi sporadici parlano l’inglese. Comboniani, salesiani, carmelitani, francescani, missionari e laici di ogni mondo e nazione si adoperano da sempre: mi domando cosa ne sarebbe del mondo senza di loro! Affrontano e hanno affrontato le asperità e le battaglie di oggi e di domani, sono arrivati in Africa quando si sparava all’uomo bianco invasore per nulla, e lo hanno affrontato con un sogno, un sogno che si leverà in piedi e andrà fino in fondo al senso delle proprie convinzioni e cioè che tutti gli uomini sono uguali. Anch'io, dopo tanti anni, ho un sogno: che un giorno ogni collina e ogni montagna ospiterà la vita e non semplici croci a ricordare suore e preti caduti per sbaglio nelle loro giuste convinzioni. Con questa fede saremo in grado, noi volontari e tutti quelli che credono che un altro mondo è possibile, di strappare le colline e le montagne dalla disperazione gettandovi sopra una pietra di speranza. Con questa fede che ci porta in giro per il mondo saremo in grado di trasformare le stridenti discordie in una sinfonia di fratellanza. Dobbiamo pregare e lavorare insieme, perchè Matany dimostra che qualcosa è possibile. I progetti non si inventano, si fanno. Sono le esigenze quotidiane di donne e uomini e le precarietà delle risorse naturali che esigono processi di cooperazione. Cooperazione, parola difficile in un terreno sempre più difficile. E quest’anno si celebra un anniversario della carta dei diritti umani, parole al vento disperse. Come si fa a dimenticare i volti di chi ha fame e ti chiede cibo e acqua, i volti degli abbandonati…. A Matany, in pediatria, ne ho visti tanti di bambini andarsene in silenzio nella notte quando la luna alta in cielo sembra dirti che nessuna risposta è possibile. E invece lo è, deve essere possibile. Eppure una madre teneva in braccio un bambino scheletrico e consegnandolo a noi chiedeva: salvatelo! Le madri argentine di Plaza de Mayo, le vedove dei desaparecidos in Guatemala, il centro dei diritti umani di Mons.Romero in Salvador esistono e sono esistiti. Il diritto a una vita degna non può essere negato o dimenticato come spesso accade. La gente che arriva a Matany vive in villaggi con capanne di paglia. Ti capita di viaggiare per chilometri infiniti senza vederne uno di questi villaggi, ma ti capita di vedere infinite mandrie di mucche e pecore guidate da un pastore di nemmeno otto anni. I padri sono guerrieri e fanno la guerra per razzia e per fame. Quanti ne abbiamo visti in sala operatoria trapassati da un proiettile e con tanta rabbia in corpo. Dove finiremo, mi domando? Non so, mi viene in mente che Madre Teresa di Calcutta ha stretto mani di dittatori perchè per lei la carità non conosceva censo: ma almeno lei si è curvata a soccorrere i poveri; i governi pensano solo ad arricchirsi producendo milioni di morti. Possiamo solo sperare che si creino tante isole felici, che noi cittadini di questo mondo occidentale civilizzato ci facciamo un po' più carico di chi non può, per consentire uno spiraglio di salvezza e che tutti quelli che si adoperano, sia nel mondo religioso che in quello laico, ci diano la speranza che i dolori di oggi non siano di morte, ma di una nuova nascita. E’ la vita che deve trionfare.


NIGER

Estrella

VIAGGIO AI CONFINI DEL MONDO di Mercedes Mas Sono appena tornata dal Niger, dove sono andata per fare la supervisione di un progetto di cooperazione internazionale che riguardava la formazione di donne tuareg nomadi e non (molti tuareg sono ormai sedentari), e voglio raccontarvi alcune cose che ho visto. Il Niger è il secondo paese più povero del mondo. Una grande parte del paese è desertica o semidesertica (il deserto avanza ogni anno) e i tuareg sono una delle popolazioni che continuano a vivere come pastori, facendo le transumanze, in condizioni difficilissime. Quest’anno ,ad esempio, ha piovuto meno di altri anni, laddove la siccità è già endemica; l’Harmattàn, il vento del deserto, ha coperto i pochi prati rimasti con una coperta di sabbia ; per finire sono arrivate le cavallette, a milioni, che in 24 ore non hanno lasciato una foglia su un arbusto. I pastori, a parte il problema gravissimo dell’acqua, non sanno più cosa dare da mangiare alle capre, ai cammelli. Li ho visti dare la stessa pappa di sorgo o miglio che mangiano loro ogni giorno, per non vederli morire. Se gli animali muoiono è un disastro, poiché latte e carne vengono meno, e di conseguenza le persone sono più deboli, si ammalano facilmente e muoiono. Le donne che ho conosciuto non erano anziane, ma lo sembravano, con solo 30 e 40 anni. La speranza di vita in Niger è di circa 50 anni. Dal pullman con i sedili di plastica appiccicosi che mi portava da Agadez a Abalak guardavo il paesaggio semidesertico, con gli alberi mangiati dalle cavallette. Ogni tanto vedevo pastori con le capre o i cammelli, con asini. Spesso accadeva di vedere una persona o due persone che camminavano . Ma prima, né dopo, non c’era niente, per almeno 50 chilometri! E mi chiedevo: dove vanno? Da dove vengono? E cosa ci fanno qui in mezzo al deserto, senza acqua? Torno dal Niger con la certezza che le persone che ho conosciuto siano veramente forti e coraggiose. Che vivano in condizioni per noi inimmaginabili, che lavorino moltissimo, costantemente al limite della sopravvivenza. Le donne passano la giornata a raccogliere legna per fare da mangiare, ad andare a prendere acqua a molti chilometri, a pestare il miglio per la famiglia,… Mi pareva di venire veramente da un altro mondo, ricordando che noi dobbiamo solo schiacciare un pulsante perché ci venga erogata a prezzi accessibilissimi la luce, il gas, il riscaldamento, l’aria condizionata, l’ascensore, l’acqua, il telefono, la televisione… (E comunque abbiamo sempre di che lamentarci). Una di queste donne ha partorito mentre andava a prendere l’acqua. Quando rimane a queste donne un po’ di tempo libero fanno dei cesti, delle stuoie, delle borse di cuoio con la pelle di capra… che i loro mariti poi portano ai mercati per vendere. Davanti alla forza di queste persone pensavo a come l’essere umano si aggrappa alla vita, a come sia capace di sopravvivere e di adattarsi. Anche alle comodità (e poi non poterne fare a meno!). Queste persone mi sembravano di un’altra specie, non umana. Dei “superman”. I bambini aiutano a pestare il miglio, a trasportare legna, a portare le capre a pascolare. Giocano con poche cose, mettendoci un bel po’ di inventiva. Sono tanti e molto vivaci. Non hanno mai visto una scuola e questo ha alcune conseguenze gravi. Una di queste è che essendo il tamaschek la loro lingua , e non conoscendo il francese (lingua della colonizzazione e quella che si impara a scuola), quando è passato un dottore per vaccinare contro la polio, non potendo comunicare, questi è andato via senza aver vaccinato nessuno.

Siamo assuefatti a vedere questi bimbi in televisione. La differenza la fa conoscere i loro nomi, le loro facce. Gli uomini tuareg nomadi (con i bei turbanti da film) vanno ai mercati a fare gli scambi, piuttosto che a scovare terreni dove potersi trasferire con l’accampamento quando sarà finita l’acqua piovana della pozzanghera dove si sono accampati. Mi faceva no ridere tutti i convenevoli che dovevano scambiarsi con ogni persona che incontravano per strada: come va? Bene, bene. E la moglie? Bene,bene. E i figli? Bene, bene. E il clima? E’ molto importante per loro. Ma spesso lo fanno senza neanche guardarsi, e quando è finita la filastrocca, allora comincia la vera conversazione: dov’è che state andando? Durante i giorni che ho trascorso lì, ci siamo nutriti con quello che per loro era il loro solito mangiare: pappa di sorgo o miglio, riso e fagioli secchi. Nella zona non c’e’ ne verdura né frutta. E loro mangiano ogni giorno, mattino e sera la stessa cosa. A noi sembra impossibile una cosa simile. Io posso comprare le fragole a gennaio, caffè e banane che vengono da altri continenti? A prezzi accessibili poi… Per noi tutto è possibile.


La famiglia che abita presso la sede dell’associazione locale che ci ha ospitato si è costruita una capanna con alcuni mattoni di fango (grande lusso) e sopra rami secchi e paglia. Mentre le famiglie più povere hanno soltanto una piccola struttura rettangolare coperta con stuoie. Lui, il papà, intreccia corde, costruisce letti, fa cesti: è molto capace. Ma, con i nostri occhi, fai fatica a capire come mai viva in quella povertà. Diremmo noi “mancanza di imprenditorialità”. Lui vende alcune corde al mercato, hanno abbastanza per mangiare oggi. E allora si sdraia tranquillamente a sonnecchiare o a giocare con i suoi bambini. Domani si vedrà… Un altro mondo per noi. Un altro mondo anche quando ho visto la notte. Il buio più totale. Non credo di aver mai visto il mondo così buio, senza elettricità! Soltanto lungo la strada principale c’era qualche lampadina, e poi alcune nella città (parlo di Agadez) ma soltanto nel centro. Altrimenti tutto è buio. La gente cammina per strada al buio, e si orienta benissimo senza urtare, senza paura che ti facciano qualcosa… Ogni tanto qualcuno con la pila…. Ho dormito quasi sempre fuori, e mi sembrava che le stelle mi cadessero addosso, tante ce n’erano! E non smettevo di guardare questo cielo, senza un orizzonte, tutt’uno con la terra. Non volevo addormentarmi!. Sembrava che il continente fosse spento. Per la gioia degli astrofili! Solo verso le 12 o più tardi compariva la luna, maestosa, e si vedeva quasi come di giorno. Ma un altro vantaggio della notte è che non si vede la spazzatura. In Africa nessuno raccoglie le immondizie. Per cui tutto viene buttato fuori dalla porta e rimane lì. Le cose che mi hanno impressionato di più sono le batterie in giro. E poi i sacchetti di plastica neri, che volano dappertutto. Tanto che il vento li attacca ai pochi alberi che ci sono. E sembrano uccellaci! Poi c’è il fenomeno telefoni satellitari. Siccome non esiste rete telefonica, anche per telefonare alla casa di fianco devi passare dal satellite. Certo non costa poco, ma ha risolto alcuni problemi. E soprattutto, adesso tutti vogliono un telefono! Una sera dopocena siamo andati a trovare la famiglia dell’Amenokal (il capo del paese). Era tutto buio e sotto la tenda di stracci cuciti abbiamo trovato tutta la famiglia seduta sopra coperte e cuscini (come nei film) e con la sola luce di una lampada di petrolio. Erano lì, al buio, in silenzio, a vedere passare le ore, le stelle. Abbiamo trascorso una bella serata chiacchierando, guardando le foto che avevamo fatto. Il padre una persona molto istruita e saggia. Ma mentre ero lì seduta mi immaginavo il formicaio che sono le nostre città, piene di luci, di macchine, di casino… e noi che dopo cena dobbiamo sempre trovare qualcosa di stimolante da fare, dopo aver lavorato tutto il giorno, davanti alla tv o altrove. Mi sembrava tanto lontano questo silenzio, tanto irraggiungibile e poco apprezzato nel nostro mondo (soltanto nelle chiese e nelle biblioteche, dice mia madre, se ne trova ancora). Anzi. Avevo

la sensazione di essere davanti a qualcosa di prezioso e di raro, che solo chi non è entrato nella voragine dell’usa e getta riesce ad apprezzare fino in fondo. Mi sono goduta quel momento, ma mi rendo conto che non so se avrei retto per tutta la vita tutte le sere in quel modo. Mi chiedevo se erano felici. E degli adulti non ho dubbi. Me lo chiedo dei giovani. Anche se non hanno la tele e non vedono mondi assurdi che esistono da un’altra parte. Mi viene un brivido solo a pensare uno di loro in mezzo al nostro casino. Credo che sarebbe tanto spiazzato e perplesso come me in mezzo al deserto e davanti alla pappa giornaliera di sorgo. Ritorno in Italia con molte domande, poche risposte. Con una scomoda sensazione che i nostri due mondi non si incontreranno mai. Con un certo pessimismo, non me ne abbiate, sulle nostre capacità di rinunciare alla parte di eredità che non ci toccherebbe spendere, ma che siccome la nostra ce la siamo già mangiata e siamo abituati a mangiare tutti i giorni e di tutto…

I CUSTODI DELLA VIA FRANCIGENA la storia di Francesca Grosso e Gian Mario Ruzzoli a Nicorvo. In un altro posto e in un altro tempo, forse questa intervista non avrebbe avuto senso, perché parla solo di accoglienza, di ospitalità, di disponibilità verso il viandante, cose che sarebbero state così normali da non doverci neanche pensare troppo su. Invece oggi quello che dovrebbe essere cosa normale diventa eccezionale. Normale è invece la diffidenza verso qualunque cosa o chiunque sia diverso, e la sufficienza o il sarcasmo con cui a volte guardiamo quelle strane persone con lo zaino in spalla che vediamo camminare sulle nostre strade. Francesca Grosso e Gianmario Ruzzoli sono “Custodi della Via Francigena”, ovvero si occupano di questa via di pellegrinaggio che congiunge Roma a Santiago de Compostela e dei tanti pellegrini che ancora la percorrono a piedi. Esteban ha voluto incontrarli per farsi raccontare cosa significa essere Custodi e perché lo fanno.

Pamplona

Io non sono lomellina - dice Francesca – sono venuta a lavorare a Mortara nel 1996 e per me la Via Francigena era una cosa sconosciuta; vedevo i cartelli, ma anche le persone a cui chiedevo, mi dicevano, mah è la via del sale… e non me ne sono mai interessata più di tanto. Poi tre anni fa per caso un signore ci dice che i pellegrini camminano regolarmente lungo la ferrovia per raggiungere la Madonna del Campo e ci porta una fotocopia della guida utilizzata da loro dove viene indicato questo passaggio.


Da qui siamo risaliti agli autori della guida (Monica D'atti e Franco Cinti) e ci siamo messi in contatto con loro. Inizialmente il contatto era solo per avvisare che camminare così lungo la ferrovia era pericoloso. Così abbiamo cominciato a parlare, e da qui è partito un interesse. Abbiamo cominciato a chiedere a loro perchè si sono occupati di questa cosa. Sono marito e moglie con una loro attività lavorativa. Capi scout entrambi, nel 1994 percorrendo il cammino di Santiago di Compostela, camminando insieme a tanti stranieri tutti diretti a Santiago, gli veniva spesso chiesto quale era la strada da percorrere per raggiungere Roma. Da qui hanno cominciato a chiedersi qual’era l’antica strada e come mai non fosse segnalata in Italia come invece era per Santiago. Hanno cominciato a darsi da fare ed in sette anni di lavoro fatto solo per passione, con i loro mezzi, lei andando in bici, lui con il camper, seguendo la falsariga delle tappe che l'arcivescovo Sigerico segnalò nel suo viaggio di ritorno da Roma a Canterbury nel 990, sono riusciti a preparare una guida completa (pubblicata dalle Edizioni Terre di Mezzo). Compreso il motivo per il quale i pellegrini percorressero un tratto lungo la ferrovia, cercammo di interessare anche la stessa ferrovia per tentare di farle ripristinare l’antico sentiero fiancheggiante i binari, ancora esistente nelle vecchie carte, un sentiero che da Cascina Cannobiana si allaccia allo sterrato che arriva alla Madonna del Campo. Anche il sig. Gardinali di Robbio che si interessa di cose locali ha scritto un libro dove indica questa strada. Nel frattempo Monica e Franco hanno trovato un percorso alternativo, che passa da Nicorvo verso Albonese, seguendo poi per cascina Afficiati fino alla Madonna del Campo. Tramite Monica e Franco, Francesca e Gian Mario sono entrati in contatto con la Confraternita di S. Jacopo, nata con la finalità di promuovere la pratica e la cultura del pellegrinaggio verso Santiago de Compostela, ma non solo, in particolare anche quello sulla via Francigena, e di dare assistenza ai pellegrini. La Confraternita rilascia anche la Credenziale, il documento essenziale per ogni pellegrino in quanto attesta che quello che sta compiendo è un pellegrinaggio, non una semplice camminata, e gli consente l'accesso alle strutture di accoglienza. Ma qual'è il lavoro dei Custodi, come è organizzato e come ci siete arrivati? Ad un certo punto quando si siamo resi conto di come funzionava tutto il meccanismo del pellegrinaggio abbiamo detto a Monica cosa potevamo fare noi per i pellegrini. Ci venne risposto di segnalare il tracciato per evitare che i pellegrini si perdano. Così è iniziato il nostro compito di Custodi della Via, segnando la strada. Con la vernice si disegna il simbolo del pellegrino e poi le frecce gialla per indicare la direzione verso Santiago e bianca verso Roma. Siamo persone che aiutano i pellegrini quando possiamo e quando riusciamo, diamo loro le indicazioni necessarie, gli offriamo ospitalità e se è necessario mangiano a casa con noi la sera. Non è che facciamo chissà che. Noi purtroppo non siamo sempre qua perchè siamo tutti e due fuori a lavorare. A volte ci avvisano che è arrivato un pellegrino che cerca ospitalità, quando torniamo lo accompagniamo in casa parrocchiale dove può fermarsi a dormire. Per la cena la sera, abbiamo anche fatto un accordo con la trattoria del paese : se viene un pellegrino può mangiare con 10 euro. Diamo accoglienza quando ci è chiesto di farlo. Il custode deve esserci teoricamente 24 ore su 24 per 365 giorni all'anno, se ci fossero molti più custodi tutto sarebbe più facile, ci si potrebbe alternare. Ci aiuta anche una signora che abita presso il comune. Lei tiene aperto il santuario della Madonna del Patrocinio, ex Madonna del Rosario; abbiamo voluto che questo luogo di culto nel centro del paese fosse sempre aperto, per consentire ai pellegrini di fermarsi. Qui è possibile anche mettere il timbro sulla credenziale che per loro è importante perché ne testimonia il passaggio. Nella chiesa c'è la possibilità di firmare su un grande quaderno, che a volte viene utilizzato dagli stessi pellegrini per scambiarsi messaggi tra di loro. Nella chiesa c'è anche una piastrella fatta a mano da un confratello e che è unica in tutt’Italia. Sul sito (www.confraternitadisanjacopo.it) se cercate i custodi della via e cercate Nicorvo trovate foto e informazioni sul paese.

Una volta risolto il problema della ferrovia, poteva finire tutto lì, perchè siete andati avanti? Che cosa vi ha fatto fare tutto questo? Intanto le cose che si fanno per il piacere di farlo sono sempre le più belle. Io sono abituata a dare quando posso, è una cosa che mi viene natural,e se posso fare un piacere lo faccio. I pellegrini sono persone di qualsiasi età, di ogni nazionalità, spesso mangiano a casa nostra, quando la trattoria è chiusa, e ogni persona ci racconta un pezzo della sua vita e io tutte le volte imparo qualcosa di nuovo. È un continuo scambio di emozioni e di cultura, ma soprattutto è un rapporto umano puro e disinteressato. Ma oggi chi sono i pellegrini che incontrate? I pellegrini sono indifferentemente uomini e donne; ci sono molte persone di una certa età, forse anche perché spesso questo interesse nasce con la maturità più che in un ragazzo adolescente. La motivazione non è sempre religiosa : il pellegrinaggio nasce sicuramente come fatto religioso, ma oggi molti sono legati al contesto storico e al semplice atto del camminare. Molti cercano la solitudine, la pace, vogliono entrare in luoghi di culto per vedere tracce del passato. Tra i pellegrini non c'è un ceto sociale determinato. Spesso il pellegrinaggio diventa come un impresa, forse per alcuni è una sfida come uno sport estremo, andare a piedi oggi non è più così normale come potrebbe sembrare. Attualmente in realtà i pellegrini fanno spesso in senso contrario, da Roma a Santiago. Tra l'altro, la tappa lomellina è molto apprezzata dai pellegrini per la bellezza della campagna. Forse non tutti lo sanno ma a Mortara nella chiesa della Madonna del Campo c'è un affresco di San Giacomo, che secondo Monica D’atti è il più bello in tutti i 900 km del tracciato. in Galizia


Hai parlato del problema delle guide, non sempre precise. Come mai in Italia non si riesce ancora ad avere dei sentieri ben segnalati, come avviene per il cammino di Santiago? Spesso in Italia si tende a voler demandare ad altri, istituzioni statali o religiose, l’onere di occuparsi di tutto, dimenticandoci che ognuno di noi potrebbe fare qualcosa per la comunità. Così si finisce con il cedere iniziative come questa ad altri, che potrebbero non conoscere bene e personalmente le varie problematiche, ma avere solo fini speculativi e/o personali. Se una guida è fatto con il solo scopo di essere venduta, non è utile a nessuno, tanto meno ad un pellegrino a piedi che girovaga in mezzo alle campagne lomelline, tanto per fare un esempio. Franco e Monica, quelli della Confraternita, ci hanno ben spiegato che per ciò che concerne la Via Francigena, seguendola con amore, non c’è da fare politica o economia, ma basta solo darsi da fare con lo scopo di migliorare il cammino. Posso testimoniare personalmente quanto lavoro e passione loro abbiano impiegato ed impieghino tutt’ora in quest’avventura!! Gli stessi cartelli con lo sfondo marrone che recentemente sono stati posizionati nelle nostre città sono certamente un’ottima idea, ma non completamente utile: ad esempio ci si è dimenticati di indicare il senso contrario verso Santiago. Addirittura in qualche caso i cartelli che citavo prima in alcune tratte allungano di alcuni chilometri la strada e ad un certo punto scompaiono, con il rischio di far smarrire la strada ai pellegrini. Un esempio pratico relativo alla tratta Mortara – Tromello è la differenza tra il percorso indicato nella guida creata da Franco e Monica edita da Terre di Mezzo, e quella recentemente segnalata dalla Provincia. La guida consiglia di percorrere la strada dietro l’ospedale di Mortara, mentre le segnaletiche indicano un percorso che parte da dietro Sant’Albino : nel primo caso il percorso è più breve, nel secondo viene allungato di circa 7 Km (lo abbiamo provato personalmente). Un altro punto che andrebbe tenuto in considerazione è la segnalazione dei posti dove riempire le borracce : questa dovrebbe essere una delle integrazioni che si vorrebbero apportare alle nuove edizioni della guida. È importante sapere dove si può bere, per evitare di caricare troppo lo zaino. Tutti questi problemi nascono dal fatto che i sentieri dovrebbero essere segnalati per chi cammina, tenendo conto di alcuni criteri fondamentali :ad esempio come il camminare fuori da strade asfaltate, il più possibile in mezzo alla campagna, e senza allungare inutilmente il percorso. A Nicorvo c'è una segnalazione che eiste l'Ospitale? No, apparentemente non c'è nessuna segnalazione, in realtà qualcuno chiede arrivando direttamente in paese. Chi ha la credenziale della Confraternita o controlla sul sito della Confraternita, viene messo al corrente della possibilità. Attualmente utilizziamo per gentile concessione del parroco la casa parrocchiale poiché non è abitata. Poi Nicorvo è quasi a fine tappa, per cui chi cammina preferisce arrivare a Mortara dove c'è l'Ostello di sant'Albino. A Nicorvo si fermano quelli che magari si sono persi durante il giorno, sono in ritardo sulla tabella di marcia prefissata, non si sono sentiti bene durante la

giornata, hanno incontrato la pioggia, ecc.,ecc.. Le tappe sono decise in base ai chilometri che ogni pellegrino pensa di poter fare in una giornata ( questo fattore è spesso legato all’età di chi cammina); solitamente sono circa 20 -25 chilometri al giorno, per cui Mortara, arrivando da Vercelli è più comoda per proseguire poi il giorno dopo in direzione Pavia. Ovviamente la stessa cosa vale anche nel senso contrario. Arrivare a Pavia non è facile, occorrerebbe una tappa intermedia a Garlasco : purtroppo a Garlasco non c’è nulla per il pellegrino, spesso non trova neanche alberghi! Chi percorre la strada contraria è decisamente più facilitato : Robbio si è già attivata da tempo sia sotto il profilo amministrativo che privato. A Palestro ci sono parecchi Amici della Via, anche lì non ci sono problemi ad ospitare qualcuno! Anche Vercelli è ormai attrezzata, ma Pavia no, non ha Ospitali!!! Per finire, se qualcuno è interessato a Mortara, cosa può fare, cosa serve, c'è una rete di famiglie che offre ospitalità? Beh, intanto creare una rete di persone interessate a collaborare. Chiunque, oltre a segnalare la strada e a controllare periodicamente che i cartelli siano efficenti, potrebbe diventare Ospitaliere : una stanza, una tavernetta, anche una parrocchia aiutata da volontari e parrocchiani potrebbe avere dei locali da dedicare, può farlo anche una parrocchia. Ultimamente a Mortara, nonostante ci sia lo splendido Ospitale di sant’Albino, i pellegrini incontrano qualche difficoltà nel trovare ospitalità. Per segnare i sentieri non occorre molto, solo un po' di buona volontà, un po' di vernice, pennelli e solvente, in qualche punto piantare dei paletti di legno, chiedendo al Comune il benestare. La nostra intenzione iniziale era di coinvolgere le Pro Loco dei paesi interessati o le associazioni già presenti in loco. A Mortara avevamo già preso accordi con il CAI, ma poi per una serie di motivi non abbiamo proseguito la collaborazione. Quello che vorremmo e per cui ci battiamo è che questo lavoro resti legato comunque al volontariato, al no profit. Persone interessate in giro ce sono parecchie, ma non sanno a chi rivolgersi o come affrontare e gestire la situazione. Un'altra bella cosa che andrebbe fatta è di avere tutte le chiese che si trovano sul tracciato aperte durante le ore diurne. A Nicorvo la Madonnina è sempre aperta, anche per chi non è pellegrino e volesse visitarla durante l’anno. Poche ore dopo che abbiamo lasciato Francesca ci è arrivato un suo messaggio che ci avvisava che era appena arrivato un pellegrino francese che aveva bisogno di essere ospitato. La strada non si ferma veramente mai. Chi fosse interessato a dare una mano può mettersi in contatto con noi. Intanto per maggiori informazioni sulla Via Francigena e i suoi custodi: www.confraternitadisanjacopo.it oppure www.guidafrancigena.it nelle foto gentilmente forniteci da Francesca Grosso la chiesetta della Madonnina a Nicorvo e la piastrella celebrativa della Via Francigena che è custodita nella chiesa.


MARCELLONA di Franco Brasca

Quell'estate si era in giro con un po' di gente, ci si spostava spesso in autostop. L'autostop per qualcuno di noi era una cosa seria, non era un ripiego. Ci si preparava bene: capelli tagliati corti, barba ben fatta, vestiti puliti. Così capitava che arrivavi al casello di una autostrada, e lì c'erano già un paio di rasta ad aspettare da ore, con i loro bei dreadlocks e i vestiti colorati, le canne e tutto quanto e ti dicevano che era un posto veramente di merda, nessuno si fermava. Poi la prima macchina che passava, noi ci caricava subito anche se eravamo in tre, e loro magari sono ancora lì adesso a chiedersi come mai. Per spostarsi in autostop in genere ci si divideva in coppie, così era più facile trovare un passaggio e ci si dava appuntamento in qualche posto. Quel giorno era Orvieto e io ero con Marcellona. In quel periodo era Marcellona, perché la sua particolarità era che poteva gonfiarsi a dismisura, e poi dimagrire con rapidità incredibile (e allora era Marcellina). L'altra particolarità era che comunque i vestiti che indossava erano gli stessi, per cui nei periodi Marcellona la salopette creava partizioni nelle fasce adipose che le davano un aspetto che ricordava quelle dee votive di terracotta dalle mille tette. Quello era anche il suo periodo dark, trucco trucido e pesante anche per andare a dormire, capello ritto in testa, unghie laccate di nero. Anche quella mattina sotto il sole bruciante era così, le zeppe di legno altissime, totalmente inadatte a qualunque movimento, in particolare con lo zaino enorme che si trascinava dietro e che infatti ho finito con il trascinare io. Già era seccata che l'avessi fatta camminare fino all'uscita della città prima di cercare passaggi, in più proprio non andava, non ci caricava nessuno. Passano le ore e il sole è sempre più implacabile e comincia a scioglierle il trucco intorno agli occhi. Memore dei filmetti di serie b dove si vede la ragazza carina e discinta fare l'autostop e poi, quando l'auto si ferma salta fuori anche il ragazzo, decido di provare; nascondo Marcellona dietro un albero e sulla strada mi ci metto io, che non si sa mai, qualcuno interessato si può sempre trovare. Ma niente. Dopo ore si ferma un panettiere, con la macchina piena di pane fresco e profumato da portare in un negozio. È quasi mezzogiorno, fame boia, ma non si commuove e non ci da un panino neanche a pagarlo. Supplizio. Ci lascia giù dopo pochi chilometri. Poi si ferma un tipo sulla quarantina, barbetta rada, bionda; lei sale dietro e si spalma distrutta sul sedile, io davanti, cerco di parlare un po', ma sono stanchissimo, fa caldo e dopo poco sono bello che addormentato. Arriviamo a destinazione: lui si ferma per farci scendere, non siamo stati di molta compagnia. Mi deve svegliare perché sono secco. Mi scrolla la spalla leggermente, apro gli occhi, vedo che si gira a guardare la Marcellona furente, terribile nella sua immensità sfatta, e poi si gira di nuovo verso di me. Ed in effetti da raccontare forse non c'è più nulla. C'è solamente che lui mi ha guardato; meglio, è che mi sono sentito guardato; forse un po' perchè mi ha visto proprio messo male, e in qualche maniera voleva farmi sentire una sua solidarietà, forse si chiedeva quale molla segreta, quale impulso potesse spingere un ragazzino dall'aria apparentemente angelica a stare con una dall'aria apparentemente così trucida, forse insieme a me prendeva dentro in questa domanda anche gli altri, anche Marcellona, i rasta rimasti al casello, gli amici, tutti noi in fondo più o meno sbandati, e nello stesso tempo tutto quello che mi poteva dare in quel momento era uno sguardo di simpatia, se si capisce bene il senso di questa parola.

E a me è sembrato di essere guardato con una tenerezza, che io dopo ho sempre cercato solo di trovare un'altro sguardo così, ho sempre sperato di riuscire a guardarmi così, prima o poi, ma forse non l'ho mai saputo fare. È stato un secondo solo; alla fine so che quasi lo avrei baciato. Ma scendiamo e adesso non so perchè, ma mi pesa meno caricarmi Marcellona e il suo zaino. horreo in Galizia

IL VIAGGIATORE CONSAPEVOLE UN INVITO AL TURISMO RESPONSABILE di Maurizio Davolio

(presidente Associazione Italiana Turismo Responsabile) Nel corso degli anni Novanta in Italia, come nel resto d’Europa e in altri paesi, si intensificarono la riflessione e il dibattito sul turismo, cioè sulla reale capacità di questo grande fenomeno economico e sociale di contribuire allo sviluppo dei paesi del Sud del Mondo cui veniva presentato come una grande opportunità. In tanti paesi asiatici, africani e dell’America Latina i flussi turistici aumentano costantemente grazie alla netta riduzione dei costi dei voli, alla crescita della domanda, agli investimenti compiuti da imprese turistiche multinazionali o comunque appartenenti al Nord del mondo, che realizzano villaggi ed alberghi, mentre le autorità nazionali costruiscono aeroporti, porti, strade e altre infrastrutture. Ma il turismo porta davvero sviluppo? Sì e no. Certo, offre opportunità di lavoro e anche di avvio di attività complementari, ma il business resta saldamente nelle mani degli investitori esteri. E parallelamente, anche se non sempre e non ovunque, si assiste ad altri fenomeni preoccupanti, quali l’abbandono delle attività tradizionali; lo scempio ambientale; lo svilimento delle culture locali; l’insorgere di tensioni fra abitanti e turisti; il diffondersi della droga, della microcriminalità, della prostituzione anche minorile. Fatto cento il costo di un viaggio, al territorio di destinazione resta attorno al 20%, il resto è distribuito fra l’agenzia di viaggio dettagliante, il tour operator, il vettore aereo, la società proprietaria del resort, l’assicurazione, il servizio di accompagnamento, a volte persino il trasporto locale (per i transfer) e l’acquisto dei generi alimentari. Si tratta del fenomeno chiamato leakage, cioè la perdita di ricavo, che torna al Nord. Dunque studiosi del turismo, ONG, sociologi, economisti, qualche giornalista incominciarono a discutere di turismo e ad elaborare ipotesi e modelli alternativi rispetto alla realtà che si è affermata e consolidata negli anni.


Sarria

Il movimento del turismo responsabile, come può essere chiamato e che assume denominazioni diverse in altri paesi (solidale, equo, etico, giusto ecc.) nasce dunque con l’obiettivo di avanzare proposte nuove, orientate all’obiettivo di favorire uno sviluppo diverso, in cui la comunità locale acquisisca un ruolo protagonistico, le venga riconosciuta cioè la sovranità nell’assumere le decisioni e possa beneficiare il più possibile delle ricadute economiche, sociali, imprenditoriali ed occupazionali generate dal fenomeno turistico. Il rispetto dell’ambiente naturale e del patrimonio storico monumentale, il rispetto delle culture locali, l’incontro in un quadro di pari dignità fra i turisti e i residenti, la valorizzazione degli aspetti identitari e dell’autenticità contro la banalizzazione e folclorizzazione, il costante ricorso a servizi offerti dalle piccole imprese locali (per alloggio, ristorazione, trasporto, acquisti, guida ecc.), spesso il raccordo con progetti di sviluppo gestiti dalle ONG, diventano le linee guide per programmare i viaggi e per effettuarli. Gli interessi della comunità locali diventano centrali rispetto anche agli interessi propri del viaggiatore. Il leakage si riduce, al territorio resta oltre il 40%, cioè oltre il doppio di quanto avviene nei viaggi concepiti in modo convenzionale. I viaggi sono programmati per piccoli gruppi, in genere una riunione prima della partenza prepara al viaggio, vengono fornite indicazioni sul comportamento corretto da tenere nei vari paesi e nelle varie località in merito all’abbigliamento, le fotografie alle persone, le mance, la contrattazione negli acquisti, il rispetto delle piante e degli animali, l’avvicinamento alla cucina locale, le credenze e le tradizioni. Pensato avendo al centro l’interesse della popolazione locale, il viaggio di turismo responsabile in realtà diventa una esperienza indimenticabile anche per il turista, che conosce in profondità la realtà locale in tutti i suoi aspetti anche critici, si viene a trovare in un contesto amichevole e conviviale, percepisce il valore del viaggio che sta compiendo, sente di fare una cosa giusta e utile. AITR è nata nel 1998, costituita dai protagonisti della discussione critica sul turismo; all’epoca eravamo 11, oggi siamo 91, tutti rappresentanti di persone giuridiche o collettive: associazioni, ONG, cooperative, alcune grandi organizzazioni nazionali come Legacoop, ARCI, WWF,

Legambiente, CTS, Borghi Autentici d’Italia. AITR opera in vari campi, il denominatore comune delle sue azioni è l’impegno a migliorare gli standard etici del turismo, ognuno in AITR porta il proprio contributo a seconda della sua natura e delle sue attività. In AITR si sono organizzati tutti i piccoli tour operator specializzati nei viaggi ispirati al turismo responsabile e AITR svolge per loro l’azione di rappresentanza e coordinamento e organizza le cooperative e le piccole imprese che propongono forme di turismo responsabile in Italia. Ad AITR aderiscono le ONG che gestiscono abitualmente progetti orientati al turismo e anche in questo caso AITR svolge per loro attività di rappresentanza e coordinamento rispetto al Ministero degli Esteri, alla Commissione Europea e all’Organizzazione Mondiale del Turismo; AITR dialoga con l’industria turistica tradizionale cercando di “contaminarla”, in senso positivo; collabora con le Università e con il mondo della scuola; collabora con gli enti locali interessati (dato che il turismo responsabile si fa anche in Italia); svolge attività di educazione al viaggio rivolgendosi direttamente ai turisti con pubblicazioni e attraverso la stampa. Dunque una attività molto vasta e complessa, basata sull’impegno volontario dei soci e sulle risorse che provengono dalle quote sociali e da qualche sponsor. Oggi AITR è la più vecchia e grande organizzazione del genere a livello internazionale, e per questo si è assunta l’onere di avviare la costituzione della rete europea, nata nell’ottobre dello scorso anno sotto forma di associazione internazionale senza scopo di lucro di diritto belga. Si chiama EARTH (in inglese, terra), acronimo che sta per European Alliance for Responsible Tourism and Hospitality, ne fanno parte soci italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, belgi, britannici e irlandesi. I numeri dei viaggi di turismo responsabile sono ancora molto piccoli, poche migliaia all’anno, ma l’interesse dei viaggiatori italiani è in forte crescita, una crescita che sta riguardando tutte le forme di economia solidale e di consumo critico, dal commercio equo e solidale, alla finanza etica, alle forme di risparmio nel trasporto (car sharing, car pooling), alla bioedilizia, ai GAS, gruppi di acquisto solidale. Una recentissima ricerca condotta da Isnart, società di Unioncamere, indica nel 15% gli italiani che ritengono di aver già compiuto nel corso della vita esperienze di turismo responsabile; si tratta probabilmente di persone che nei loro viaggi e nelle loro vacanze hanno adottato comportamenti coerenti con il rispetto ambientale, il risparmio energetico, la sobrietà, la ricerca di località alternative, l’approfondimento della conoscenza dei luoghi prima della partenza, non si può davvero pensare che abbiano rispettato in modo integrale i principi e le regole del turismo responsabile come sono state elaborate da AITR; eppure la ricerca mette in luce l’attenzione e la sensibilità di tante persone verso le tematiche di natura etica, solidale, responsabile e ciò fa ben sperare per il futuro ed è motivo di incoraggiamento anche per AITR e per i suoi obiettivi.

www.aitr.org


JOSEPH CONRAD Il cavaliere del mare di Domenico Della Monica “La verità è che la mia facoltà di scrivere in inglese è naturale quanto ogni altra mia attitudine. Nutro la strana e irresistibile sensazione che essa sia sempre stata una parte inerente di me sesso.” Così, ancora nel 1919, più che sessantenne e ormai celebre, reagiva alle ripetute polemiche sulla sua tardiva ”adozione” linguistica. All'Inghilterra e alla letteratura inglese, infatti, egli era pervenuto dalla periferia slava dell'Europa, irrompendo nel mondo vittoriano dopo aver lasciato l'irredente terra natale, la Polonia, e aver deluso l'impegno patriottico della sua famiglia con un gesto di fuga: compiendo un salto nel vuoto simile a quello che, spinto dal seme della viltà che avvelena il cuore, compie lord Jim abbandonando la nave in pericolo con il suo carico di uomini. Queste due circostanze hanno contribuito enormemente a fare di Joseph Conrad uno dei più grandi scrittori della letterature europea fra l'800 e il '900. L'abbandono della patria di origine ha alimentato in lui quel sentimento di colpa, quella impietosa lucidità nello scandaglio degli uomini e del loro cuore, che è alla base della sua vocazione narrativa. La diversa estrazione etnica, la diversa tradizione gli hanno permesso di non lasciarsi avvincere dal 'lacci' vittoriani della partecipazione e del consenso. Conrad entra nella letteratura inglese nel momento un cui è più acuta, in essa, la propensione alla psicologia, allo studio delle friabili piaghe dell'anima, delle sue maschere mobili e segrete; in un momento, dunque, favorevole alla sua attitudine. Ma la distanza, la diversità che resiste in lui rispetto alla terra adottiva fa da schermo e felice ostacolo a un'identificazione troppo immediata, a una complicità troppo profonda. Conrad è, sì, uno scrittore di lingua inglese, ma è anche e soprattutto uno scrittore cosmopolita, un senza patria, i suoi eroi sono privi di ogni sorta di sentimento nazionale, sono anch'essi eroi senza patria. Il mare, il teatro della sua effettiva esperienza e dei suoi maggiori romanzi, ha in Conrad un'anima ambivalente. Orlato di porti e di terre esotiche, solcato da navigli di ogni tipo, il mare accoglie nei suoi equipaggi, nelle sue taverne, nelle sue isole, il genio dell'avventura e una umanità multiforme, dai tratti decisi, descrivibile solo con la tavolozza ruvida e smagliante del realismo. Ma, nello stesso tempo, il mare è anche luogo metafisico: spazio isolato, senza storia, di pienezze e di solitudine, in cui gli uomini vengono a trovarsi, drammaticamente, alle prese con l'Assoluto. La grandezza di Conrad consiste forse proprio in questo: nel saper dare ai fantasmi dello spirito le fattezze del realismo. Teodor Jozef Konrad Korzeniowski, che nel 1895, nove anni dopo aver ottenuto la cittadinanza inglese, userà il nome anglicizzato di Joseph Conrad, nasce il 3 dicembre 1857 a Berdicev, nella regione polacca della Volinia, che dalla fine del XVIII secolo è soggetta alla dominazione russa ed è amministrativamente unita all'Ucraina. Il padre, Apollo, è

membro della piccola nobiltà polacca di educazione cattolica. Intellettuale irrequieto, poeta, traduttore di Hugo, Shakespeare e Dickens, Apollo è animatore delle cospirazioni patriottiche contro il dominio moscovita ed è, per questo, sorvegliato dalla polizia zarista. Arrestato a Varsavia nel 1861, trascorre alcuni mesi nella prigione della città, per poi essere avviato all'esilio insieme alla moglie Eva e al figlioletto: dapprima a Vologda, nella Russia settentrionale e successivamente a Cernikov, presso Kiev. L'infanzia di Conrad, dunque, è segnata dai grandi e dolorosi eventi dell'insurrezione polacca e dalla repressione che fa seguito al suo fallimento, ma anche all'intima influenza paterna, dalle letture che, negli anni dell'esilio, Apollo gli suggerisce e che lo zio Taddeo Sobrowski, fratello di sua madre, alimenta inviando libri. NICHOLAS NICKLEBY, i romanzi avventurosi di Fenimore Cooper, I LAVORATORI DEL MARE di Victor Hugo, sono i testi che più sollecitano il suo immaginario, insieme alle opere di Frederick Marryat, ufficiale della marina inglese che aveva gloriosamente combattuto nelle guerre napoleoniche e in oriente e aveva utilizzato, in romanzi con IL GUARDIAMARINA EASY e altri di grande successo, la sua esperienza del mare e dei viaggi. Il piccolo Conrad ha già perduto la madre, morta di tubercolosi nel 1865 ad appena trentadue anni quando, nel 1868, viene concesso ad Apollo, in seguito al peggioramento improvviso delle sue condizioni di salute, di risiedere per un po' a Leopoli e quindi a Cracovia. Ma nel maggio 1869 il poeta esiliato muore, ricevendo un caldo, postumo tributo d'affetto dai suoi compatrioti e lasciando orfano il figlioletto di dodici anni. A partire da questo momento è lo zio Taddeo che si occupa della sua educazione, allevandolo in casa e provvedendo ai suoi studi che egli, tuttavia, non porterà a termine. La passione per il mare, alimentata dalle letture frequenti e voraci, è forse tutt'uno, in Conrad adolescente, con il desiderio di fuggire lontano da una patria e da un'infanzia che sono, per lui, piene di lutti e di dolore. L'espresso desiderio di farsi marinaio (reso più acuto dal breve viaggio che egli compie in mare da Venezia a Trieste, durante una vacanza estiva) urta dapprima la sensibilità dello zio Taddeo, che vede nel progetto una sorta di tradimento verso quegli ideali patriottici che sono costati la vita ai suoi genitori. Ma esso è destinato a repentina e inattesa realizzazione: si fa concreto ora, per il giovane diciassettenne, il pericolo di una gravosa e indesiderata coscrizione nell'esercito. Per sfuggirvi, Conrad lascia la sua patria con una lettera di presentazione per un nobile polacco esule in Francia, e raggiunge Marsiglia. È il 13 ottobre 1874. Il secondo periodo della vita di Conrad, il periodo della vita marinara durante la quale egli mette a punto tutte le esperienze che confluiranno nella sua attività letteraria, ha inizio sul brigantino francese Mont Blanc, a bordo del quale compie due viaggi nella Martinica tra la fine del 1874 e il maggio 1875. La prima traversata lo vede apprendista pagante, ma la seconda egli la compie come mozzo, iniziando così a potersi considerare un marinaio di professione.


Il buon assegno annuo che lo zio Taddeo gli fa pervenire, gli consente di incrementare i guadagni derivanti dal suo mestiere e di dedicarsi, negli intervalli tra un viaggio e l'altro, ad una vita tutto sommato allegra e dispendiosa, nella quale hanno parte sia la passione per la lirica che quella meno nobile per il gioco d'azzardo. Spesso Conrad (che a bordo svolge ruoli sempre più importanti) naviga su battelli che, come il Saint Antoine sulla rotta per il Sud America, svolgono contrabbando di armi e riforniscono illegalmente la guerra carlista nella vicina Spagna. Conseguente ad uno di questi viaggi è forse la sua decisione, nel 1878, di lasciare la Francia per l’Inghilterra; ma la ragione più probabile sta nel fatto che gli imbarchi sulle navi francesi sarebbero stati impossibili se il giovane marinaio non avesse assolto ai suoi obblighi militari in Francia oppure nella sua nazione di provenienza. L'Inghilterra, invece, non pone ostacoli di questo tipo, perciò Conrad (che nel febbraio di quel 1878 ha inscenato un dubbio tentativo di suicidio per un rovescio di fortuna al gioco e ha ricevuto dallo zio Taddeo il denaro necessario a saldare i suoi debiti) trova un incarico sul mercantile britannico Mavis diretto a Costantinopoli e, al ritorno, nel giugno, sbarca sul suolo inglese. Marinaio scelto di navi che finalmente battono le rotte dell'oriente, come ha sempre sognato, Conrad conosce le grandi e pericolose distese oceaniche, i porti della Malesia, dell'Australia, dell'India, i luoghi densi di umori avventurosi dove la natura e i drammi umani possono scatenarsi all'improvviso e dove, a volte, il lungo indugio delle soste forzate sollecita il piacere dei libri. Conrad legge, in questi anni, come ha sempre fatto, con disordine ma anche con dovizia, classici e contemporanei inglesi e francesi, nutrendo e unendo allo stesso tempo in una sintesi interiore che darà i suoi frutti tra breve, l'esaltante esperienza di vita e quella della letteratura. Nel 1880 è terzo ufficiale a bordo di un trealberi diretto a Sydney; nel 1885 consegue la patente di primo ufficiale e, nel 1886, l'anno stesso in cui diventa cittadino inglese, la patente di “Capitano di lungo corso” che lo abilita al comando. Il 1886 è anche l'anno del suo esordio narrativo con il racconto THE BLACK MATE (perduto e riscritto dall'autore più tardi), inviato al concorso letterario su un tema marinaro indetto da una rivista. Nel 1888 ottiene finalmente il comando di un brigantino: è l'OTAGO, con il quale viaggia in oriente per un anno e che improvvisamente abbandona con un'altra delle decisioni radicali tipiche del suo temperamento e che caratterizzano la sua vita, per far ritorno in patria. Quasi certamente è in una delusione amorosa subita alle isole Mauritius la ragione di questa improvvisa rinuncia, dopo che un vero comando navale aveva colmato la sua massima aspirazione di quegli anni. Tuttavia nel gesto si annida anche l'istinto di quel cambio di vocazione che entro pochi anni trasformerà Conrad da marinaio in scrittore; ne è segno la stesura, iniziata proprio in quel periodo, de LA FOLLIA DI ALMAYER, il suo primo romanzo al quale egli dedicherà cure assidue anche durante gli altri pochi viaggi che lo aspettano. La difficoltà di trovare imbarchi convenienti in Inghilterra e il desiderio di mutare scenario, di immergersi, ora, nel mondo primitivo dell'Africa nera, inducono il capitano Conrad ad accettare il comando di un battello, il Roi des Belges, che naviga sul fiume Congo. Nel gennaio 1891 lascia anche questo incarico, per disaccordi con il responsabile della linea fluviale sul trattamento degli indigeni. I mesi africani fanno maturare in Conrad quell'avversione al colonialismo e ai metodi di governo “bianchi”, che avrà un ruolo importante in qualche sua opera successiva, come CUORE DI TENEBRA. Tra il 1891 e il 1893 compie i suoi ultimi viaggi per mare come primo ufficiale sul moderno

trealberi Torrens, adibito al trasporto passeggeri in Australia; poi tra il dicembre 1893 e il gennaio 1894 attende invano, alla fonda, che il piroscafo Adona completi il suo carico di passeggeri per il Nord America: il piroscafo partirà e Conrad scenderà a terra, questa volta definitivamente. Conrad ha quasi trentotto anni quando, nell'aprile del 1895, esce LA FOLLIA DI ALMAYER presso la casa editrice Unwin. È giunto alla letteratura tardi, dunque, ma al termine di un lungo periodo avventuroso nel quale ha fissato si direbbe, tutti gli elementi fondamentali della sua scena interiore e ha accumulato tutti i colori, tutti i fantasmi della sua scena romanzesca. Gli anni tra il 1895 e il 1900 vedono Conrad impegnato in una produzione intensa e nell'organizzazione della sua nuova vita di letterato. Nel 1896, mentre esce IL REIETTO DELLE ISOLE, sposa Jessie George, una dattilografa conosciuta tre anni prima e dalla quale avrà due figli: Borys nel 1898 e John nel 1906. Intanto stringe relazioni importanti, soprattutto con Henry James, con il quale resterà sempre legato da stima profonda e in rapida successione pubblica su riviste una serie di racconti fra i quali GLI IDIOTI e UN AVAMPOSTO DEL PROGRESSO, che nel 1989 confluiranno nel volume RACCONTI INQUIETI, mentre nel 1897 esce IL NEGRO DEL NARCISO e, fra il '98 e il '99, sulla Blackwood's Magazine, GIOVENTÙ e CUORE DI TENEBRA, che si riallaccia alla sua esperienza africana ed è mosso da un forte sentimento di sdegno per l'ingiustizia e la brutalità dell'amministrazione coloniale. Poi, nel 1900, LORD JIM, una delle opere più conosciute di Conrad e certamente una delle maggiori di tutta la sua vasta produzione. Con LORD JIM ha inizio il periodo migliore di Conrad. Nel 1902 escono TIFONE e, in volume dopo la pubblicazione su riviste, GIOVENTÙ e CUORE DI TENEBRA, nel 1903 FALK e, nel 1904 NOSTROMO, straordinario romanzo tragico ambientato in America del Sud, nel quale molti critici riconoscono il suo capolavoro assoluto. Intanto, nel 1906, esce in volume LO SPECCHIO DEL MARE, l'anno successivo l'AGENTE SEGRETO, e nel 1911, CON GLI OCCHI DELL'OCCIDENTE. È solo nel 1913, però, con la pubblicazione in volume di CHANCE, che era già apparso a puntate nel New York Erald, che gli giunge l'atteso successo. Muore il 3 agosto 1924, per il sopraggiungere di una improvvisa crisi cardiaca, nella sua casa di Bishopsbourne, nel Kent. Viene sepolto a Canterbury.

INTERVISTA A JOSEPH CONRAD di Domenico Della Monica

Le domande sono volontariamente banali, le citazioni sono tutte originali, neanche una virgola è stata inventata. Una discreta conoscenza dello scrittore e delle sue opere mi ha consentito una certa naturalezza. Conrad, cos'è l'uomo? Un animale malvagio. La sua malvagità deve essere organizzata. La società è essenzialmente criminale, se no non esisterebbe. Come mai? È l'egoismo che salva tutto, tutto ciò che detestiamo, tutto ciò che amiamo... cosa pensa della vita? La vita non ci conosce e noi non conosciamo la vita. La vita è lunga e l'arte così breve.... e della solitudine? Noi viviamo come sogniamo, soli. Qual'è la sua massima? Diffidare di tutti, di tetto e soprattutto di noi stessi.


Rimpiange qualcosa? In questa prospettiva l'intelligenza non conta molto. Non rimpiango nulla, non spero in nulla. Esercito su me stesso L'intelligenza mi sembra una cosa non molto importante, se non un egoismo razionale e feroce. per torturarsi. Come ha vissuto? Qual'è il senso dell'arte? Non ho mai cercato di fare carriera, ma probabilmente senza Tutta la verità sta nella presentazione, quindi bisognerebbe rendermene conto andavo in cerca di sensazioni. curare la forma nell'interesse della veracità. Questa è l'unica Si sente un democratico? moralità dell'arte. Io non sono un pacifista né un democratico – non so cosa Pensa al futuro? significhi veramente questa parola. Guardo l'avvenire dal fondo di un passato nerissimo, e trovo Non le interessano le grandi masse? che non mi è permesso nulla, tranne la fedeltà ad una causa Non ho mai aspirato a scrivere per l'onnipotente plebaglia. assolutamente persa. Quindi scrive per le elites? Qual'è il bilancio della sua vita? Sono abbastanza democratico da detestare l'idea di essere lo Pur essendo senza relazioni o amici influenti, posso guardare scrittore di un qualsiasi gruppetto di qualche piccola aristocrazia con soddisfazione al passato. In qualche modo me la sono autonominatasi nel vasto regno dell'arte. cavata. Come mai lei cambia continuamente casa? Le case sono naturalmente ribelli e ostili all'uomo. Qual'è il suo ritmo di lavoro? NEBBIA E CANZONI Non credo di scrivere molto, ma fumo religiosamente ogni di Franco Ratti mattina per più di tre ore con un foglio di carta davanti e una stilografica americana in mano. Non riesco ad immaginare cosa Incolonnato nel traffico, vado adagio. ci si possa aspettare di più da uno scrittore coscienzioso. Quanto lunga è la colonna? Vedo solo i fanalini rossi della Come mai? macchina davanti e i fari bianchi che incrociano nella nebbia La mia operosità sembra dipendere da qualcosa di misterioso. fitta. Produco con uno sforzo immenso un tenue rigagnolo di parole. La coda di automobili ogni mattina entra nella città, si sparpaglia Cosa consiglia ad un giovane scrittore? e riempie le strade. Metti a nudo il tuo cuore, e la gente starà ad ascoltarti per Si rischia la pelle per andare a lavorare. quello, e solo quello è interessante. Dentro, in macchina, fa caldino. Fuori è sottozero. Come bisognerebbe comportarsi? Bella macchina. Ognuno deve camminare alla luce del vangelo del suo cuore. La La mia macchina. luce di un uomo non va bene per nessun'altro. Ho appena finito di pagarla. Mi è costata sacrificio, ma mi da un Questo è il mio credo, questa è la mia concezione della vita – bel feeling. una concezione che respinge tutte le formule, i dogmi e i Dentro, c’è musica. principi fabbricati dagli altri. Le canzoni colorano questo tempo grigio che, mattina e sera, Per quale motivo? stanca più del lavoro. Sono solo una rete di illusioni. Noi siamo troppo diversi gli unì In ufficio, è un bel lavoro, ben pagato. Peccato che la ditta sia dagli altri. La verità di un altro per me è solo una spaventosa così lontana. bugia. Per migliorare… È sensibile al dolore degli altri? La coda si è fermata. In realtà non mi importa di chi soffre. Ho abbastanza Porca…! Vedrai che arrivo in ritardo anche stamattina. sofferenze per conto mio. Non si vede niente. Non passa nessuno neanche nell’altra Cos'è la morte? direzione. Ci sarà stato il solito incidente. La morte non è nulla e io sono abituato alla sua rapacità. Aspetto. Qual'è il perno della sua vita? Mi incazzo. Una segreta, inflessibile fedeltà a ideali dissociati dalle speranze. Aspetto. Come si può vivere serenamente? Adesso la macchina davanti si muove, adagio. Una volta afferrata la verità, la conquista della serenità non è Si va. Sì, era un incidente. molto lontana. E ci sarà nebbia anche stasera. Ma qual'è la verità? Che la nostra personalità è solo una ridicola e inutile mascherata di qualcosa di irrimediabilmente il Cammino sconosciuto. E quindi? Allora non rimane altro che lasciarsi andare ai propri impulsi e attaccarsi alle emozioni fuggevoli. E forse è il modo di avvicinarsi di più alla verità di qualsiasi altra filosofia di vita. Se le cose stanno così, la morale non ha senso. Non esiste morale, conoscenza o speranza: abbiamo solo la coscienza di noi stessi a guidarci in un mondo che resta sempre una apparenza fluttuante. E le idee? Al diavolo le idee! Sono vagabonde che bussano alla porta posteriore della mente, e ognuna ti ruba un po' di sostanza, ti porta via una briciola di quella fiducia in poche, semplici nozioni, cui devi restare legato, se vuoi vivere e morire tranquillo.


Andata e ritorno. Si rischia la pelle Vita da pendolare. Ma dentro ogni automobile c’è musica. Benedetti quelli che inventano le canzoni. Adesso siamo all’incrocio più pericoloso. Non si vede niente, una roulette russa. Spengo la musica. Abbasso i finestrini: rumori dei motori, poi, all’ultimo, due fari gialli e una sagoma scura che mi passa quasi addosso. Adesso c’è silenzio totale. Attraverso. E’ andata bene. Portomarin

Brr, che freddo! Tiro su i finestrini. Riaccendo la musica. Da qui in poi non ci sono più incroci pericolosi fino alla città. Alla sera un venticello ha spazzato la nebbia. Davanti ho tutta la processione di lucine rosse che vanno e di luci bianche che vengono. Ai lati lampioni, case, insegne colorate. Il chiarore della città sale in alto e la luna fatica ad essere la bianca signora del cielo. Però è sempre bella la luna, anche per noi che viviamo ai margini della città. Dentro, in macchina, al caldo, fra sedili e cruscotto, girano le canzoni. Squilla il telefono. “Sì, tutto bene. Neanche un filo di nebbia. Fra poco sarò a casa. Saluta i bambini” Bisogna stare attenti lo stesso. C’è sempre qualche pirla che fa l’incidente… Fra qualche anno mi godrò la pensione, su in montagna, vicino alla Svizzera, nella casetta del nonno Attilio in Vallunga… Albeggiava in Vallunga Un’alba grigia. Aveva piovuto per una settimana. Adesso la nebbia stava scendendo dalle cime del Pizz Curnacc. Riempiva la Vallunga, scendeva ancora. “Fra un po’ sarà qui. Teresa, prepara il caffè e il pane!” “Attilio sei sicuro? Con questo tempo!” “E’ il tempo che ci vuole.” Arrivò un ragazzetto: “Il maresciallo è in paese, la pattuglia è arrivata adesso adesso per il cambio.” Ombre nella nebbia strisciarono fra i muri, entrarono nel bosco dietro al paese, sopra la caserma. Nella caserma Salvatore e Antonio si asciugavano vicino alla stufa, di ritorno dalla pattuglia di confine. Due altri ragazzotti in divisa erano pronti a dare il cambio.

“Meno male che non piove più!” “Con questa nebbia è peggio che con la pioggia. Si rischia di perdersi, di cadere o di prendersi una pallottola senza sapere chi spara”. I capelli di Salvatore si stavano facendo grigi. Fra un anno sarebbe andato in pensione e sarebbe tornato al suo paese bruciato dal sole. “Ragazzi, non fate imprudenze.” “Salvatò, ce li abbiamo in pugno. Ho avuto la soffiata giusta. Fanno il verso del gufo e rispondono con la civetta.” “E da chi l’hai avuta?” “Dalla moglie del Berto.” “E perché te l’avrebbe data?” “Gelosia. Le è arrivata la voce che il Berto in Svizzera ce n’ha un'altra”. “Sta attento il Berto non è tipo da farsi prendere.” “Questa volta è lui che rischia. Sono sicuro che è lui che ha sparato a Vincenzo e lo ha spedito al creatore. “Andate! Quelli non stanno ad aspettare.” Le due guardie giovani sparirono nella nebbia. Nella nebbia, più avanti, l’Attilio, e il Berto guidavano una fila di ragazzi con le bricolle da cinquanta chili in spalla. Salivano zitti per non farsi sentire e risparmiare il fiato. Passare il confine con la nebbia era uno scherzo. Su quei canaloni erano cresciuti, conoscevano i sassi uno per uno e sapevano dove mettere i piedi. Le guardie di frontiera non li avrebbero presi mai. Fino al confine era facile. Dopo c’erano le guardie svizzere che avevano il grilletto più facile delle nostre. Su per il canalone fino in cima, senza fare rotolare i sassi... Di là del confine non trovarono nessuno. La morosa svizzera del Berto, come stabilito, aveva fatto l’occhiolino ai soldati e tutto filò via liscio. “Se siamo fortunati ci sarà nebbia anche al ritorno.” Al ritorno la nebbia se n’era andata. Aspettarono la notte. Notte di luna. Nelle notti di luna i contrabbandieri passavano per la val Storta. In val Storta anche i gendarmi svizzeri non si arrischiavano. Troppo pericolo, fra quelle rocce. Scivolarono in fila nel buio. Silenziosi, attenti a dove mettevan i piedi: “E’ qui che el Jacum ci ha lasciato la pelle. Là è caduto el Burtul…” Su una cengia, a picco sul torrente, Attilio si fermò. Silenzio totale. Berto e Attilio guardarono con cura la valle. Ad un cenno uno per uno sparirono in una fenditura. Ultimi entrarono Berto e Attilio. I diavoli entravano e uscivano dalla roccia, diceva la leggenda. Leggenda vera. La miniera, scavata nella preistoria dagli antichi abitanti dei monti, era servita per sfuggire ai Romani che volevano domarli e, mille anni dopo, per sfuggire alle guardie di San Bernardo che uccideva tutti i montanari che non si convertivano… Diavoli che entravano e uscivano dalla roccia…


Poi i diavoli erano scomparsi. Croci e chiesette erano state innalzate sui luoghi delle loro tane. Ma i pronipoti dei diavoli, con bricolle da contrabbandiere, sapevano ancora entrare e uscire dalla roccia… Attilio e gli altri traversarono la montagna tastando le pareti del cunicolo. Lo sbocco usciva in Italia fra enormi massi di una pietraia. Ci batteva il primo sole. Uomini sulla pietraia bianca… mosche nel latte… Pazienza. Nella galleria della miniera non faceva freddo anche se l’umido entrava nelle ossa. Si poteva persino parlare. Passò un giorno. I giovani fremevano. Attilio e Berto si riposavano. Cinquanta chili di bricolla pesano a cinquant’anni. Un anno ancora, di quella vita di merda e si sarebbero pagati la casa. Pagata la casa, avrebbero cercato un mestiere onesto. I loro figli e i loro nipoti non avrebbero più rischiato la vita per portare a casa il pane… Notte. I giovani volevano tentare. “No, se ci vedono, siamo finiti e scoprono la miniera…” Un altro giorno, al buio. Attilio e Berto cantavano. I giovani cantavano anche loro. Non c’era altro da fare. Canzoni di montagna. Le canzoni di montagna parlavano di freddo, fame, morose lontane… guerra, feriti che chiamano la mamma … Meglio una canzone triste che il silenzio, al buio… Benedetti quelli che hanno inventato le canzoni. Fuori ancora sole, maledizione! Finalmente cominciò ad annuvolarsi. Un acquazzone. Cantarono ancora. Tutta la notte. Allegri. Dopo la pioggia scese la nebbia. Fuori era ancora buio. Tre ore all’alba. “Via, ragazzi, è il momento. Si torna a casa.” A casa i bambini dormivano. Le donne avevano la corona del rosario in mano.

Galizia

VIAGGIARE di Marisa Palombella Viaggiare... Prepari i bagagli, ti vesti casual, saluti, baci e abbracci e parti. Per dove? Safari in Africa, bagni alle Maldive, escursioni in montagna, visite in città preziose di monumenti, file chilometriche per entrare in musei, vedere quadri, staue, ecc. ecc. ecc... Viaggiare... Non tutti amano viaggiare in quel senso. C’è chi ama viaggi brevi ma intensi che spaziano nei luoghi più disparati. Viaggiare... Un libro: prendere un libro tra le mani, incominciare a leggere e immaginare; lasciarti trasportare all’interno di un mondo

sconosciuto, conoscere luoghi, persone, vivere situazioni dove i tuoi sensi vengono stimolati e incominciare un viaggio fantastico, imprevisto... Viaggiare... Nel mio giardino ogni giorno scopro qualcosa di nuovo : una violetta che si è fatta largo tra le crepe del cemento un filo tenue, con qualche foglia che ancora non riesco a capire cosa sia una lucertola che prende il sole in un vaso di gerani i primi frutti che occhieggiano tra le foglie una piccolissima, lucida, verde rana che si confonde su di una foglia una sfumatura rossiccia su un cespuglio creduto secco che mi fa sobbalzare di gioia: sono minutissimi getti che cercano di farsi strada un merlo che sfreccia basso e silenzioso nel suo viaggio monotono e costante un pettirosso che saltella ormai da tempo nelle vicinanze di una porta a vetri...


Ponferrada

UN DESERTO PER EREDITA’ CONVERSAZIONE CON LUCIANO VALLE di Adriano Arlenghi Ogni tanto anche in Lomellina accadono cose che ti sorprendono. Come per esempio quel viaggio attraverso la natura dell’uomo e dell’ambiente che il professore Luciano Valle, docente di etica all’università di Pavia, ha fatto poco tempo fa in una conferenza a Mede con il suggestivo titolo “Un deserto per eredità”.

Viaggiare... Una serata come tante, a parlare con tuo figlio: è un’emozione che ogni volta si rinnova, sublime. Sono due viaggi che si incrociano, si staccano, si riuniscono come dei binari che scorrono per un po’ paralleli, poi prendono strade diverse ma si ritrovano a convergere negli scambi per poi continuare a correre paralleli verso le stazioni. Ci sono momenti in cui lui salta sul mio treno, facciamo un percorso insieme, poi scende e io mi ritrovo a saltare sul suo treno in uno scambio di esperienze che arricchisce entrambi... Viaggiare... Ti è mai capitato di sedere in un angolo insolito della casa? Cambia completamente la visuale e tu ti ritrovi in un altro posto, guardi cose diverse, vedi i quadri con una luce diversa, insomma hai cambiato luogo. Io ho già visitato tanti luoghi stando seduta in casa... Viaggiare... “è uno di quei giorni in cui mi coglie la malinconia” recita una bellissima canzone cantata dalla Vanoni e allora ti metti tranquilla a pensare. Il tempo va a ritroso e incominci a viaggiare tra i ricordi belli, brutti, dolci, amari... è un viaggio dove sei tu che decidi le fermate. Puoi anche tirare il freno a mano quando un ricordo si fa impellente, un ricordo che ti prende così, alla sprovvista, che anche a pensarci difficilmente avrebbe superato le barriere che noi mettiamo al nostro inconscio per confinare giù in fondo ciò che non vogliamo ricordare ma basta una cosa insignificante, una parola sentita, un fiore, un profumo perchè il ricordo incominci a viaggiare, prima lentamente, poi, acquistando sempre più velocità, supera tutti gli ostacoli posti e si presenta netto, chiaro, per dirci che lui è sempre stato lì, magari su un binario morto, ma c’era e ora riempie la nostra testa, il nostro cuore... Viaggiare... Sulle ali dell’amore: chiudi gli occhi e spariscono le rughe, gli acciacchi, ti ritrovi tra le braccia il ragazzo che ti è sempre piaciuto, che ti continua a piacere malgrado gli anni e i capelli bianchi; è sempre lui, dolce, amorevolmente caro e tu ritorni la ragazzina da sempre innamorata, col cuore in gola e le gambe tremanti... Viaggiare...

“La storia cristiana del mondo doveva creare un paradiso e invece oggi si trova di fronte, nuovo peccato originale, ad un deserto. Anche non parlando delle grandi cose, del clima che cambia, dell’effetto serra, sono tante le cose che parlano del deserto che è attorno a noi. Io avevo nel mio frutteto a Guazzora centinaia di farfalle. Ora sono quasi tutte sparite. E anche le lucciole che una volta erano numerose, ora sono scomparse. Io penso che una civiltà che non e’ più capace di comunicare con i bambini, con i fiori e con le farfalle, che non è più in grado di guardare le stelle, ha bisogno di un nuovo umanesimo. Non voglio essere profeta di sventura, ho fiducia nell’intelligenza dell’uomo, e tuttavia penso che questo nuovo umanesimo che deve nascere deve fare oggi un salto radicale, ed è colpa nostra se i bambini non dialogano più con le stelle e con l’erba nei prati. C’è un impoverimento generale dell’etica. Io credo che sia la bellezza a salvare il mondo, la bellezza dell’arte, della natura, dello spirito. Di qui il bisogno di un nuovo umanesimo planetario. Ogni giorno settanta specie viventi si estinguono. È una perdita a cui non possiamo più rimediare, dobbiamo ripensare il senso della nostra presenza nel mondo, migliorare gli ecosistemi, inventare un nuovo modo di pensare, permettere ai bambini di aprirsi al mistero della vita con stupore, rispetto, verso ogni cosa. Dobbiamo anche produrre un concetto diverso del tempo: ci siamo fatti coinvolgere nel tempo della fretta, nella modernità non c’è più distacco dalle cose, non c’è più contemplazione, non siamo più in grado di sorridere ogni giorno come se vedessimo il mondo per la prima volta. Dobbiamo ricreare un nuovo tempo che deve essere il tempo dell’incanto, della preghiera, della meditazione, e ricordarci che esistono anche le nuvole e questo deve far nascere in noi un’etica nuova capace di dare un senso alla vita”. Sono moltissime le persone a cui Luciano Valle ha trasmesso in decine di incontri il suo appassionato messaggio. Un messaggio che passa non solo attraverso le parole. Quando lo incontri è tutto il suo essere che ti lascia una sensazione di leggerezza, una sorta di riappacificazione con il mondo a dispetto delle sue durezze e delle sue paure. Tutto quello che è attorno a lui di animato o di inanimato attira la sua attenzione, ogni cosa, lui sostiene, è indispensabile per l’equilibrio spirituale degli uomini di oggi. Ed è incredibile come si intristisce quando parla delle prepotenze dell’uomo e della sua responsabilità nella devastazione del pianeta, della sua sfiducia verso la scienza che doveva dare un senso alla modernità.


Spesso cita i grandi filosofi del passato e del presente e in particolare Einstein quando dice “la modernità è finita e ha fallito ed è per questo che dobbiamo tornare ad imparare a dialogare coi i fiori, con le erbe e le farfalle e per riuscirci dobbiamo diventare piccoli come loro perchè il logos non parla solo attraverso l’intelligenza, la bocca e il cuore degli esseri umani ma attraverso il linguaggio della creazione: molte volte alberi e rocce insegnano molto di più degli uomini”. Il suo invito è a tutto campo: agli insegnanti e agli agricoltori, agli ingegneri e ai politici. Per capire ad esempio che l’agricoltura deve diventare luogo di bellezza, che non basta dare ospedali efficienti ai malati, ma che bisogna rifare gli ospedali perchè se il malato sente cantare un cardellino si sente meno solo. E su questo punto Valle ricorda molto Tiziano Terzani lo scrittore che metteva gli occhi agli alberi perchè anch’essi potessero vedere e che alla ricerca di una cura per guarire dalla sua malattia, era capitato in un ospedale indiano dove aveva visto un elefante nel cortile. L’elefante, la sua grandezza, la sua sensazione di forza facevano parte della cura. Ottimista, Valle rivendica il bisogno di un passaggio dallo star bene personale allo star bene collettivo, perchè “non siamo noi a dovere entrare nelle foreste ma sono le foreste che devono entrare nella città. Un invito a quello che lui chiama un nuovo umanesimo o, come ha scritto in una poesia Sara Conn, un nuovo modo di sentire la terra che parla attraverso il nostro disagio e il nostro dolore e che ci invita a guardare noi stessi come se stessimo ascoltando un messaggio dall’universo.

piaceva molto a Don Tonino Bello. Una volta, dopo avere ascoltato in una scuola un concerto di flauti, aveva detto agli allievi parole di grande suggestione : “Amate la vita, amate la bellezza! Coltivate la vostra bellezza! Curate la vostra persona; curate la dolcezza del vostro sguardo e perfino la vostra stretta di mano abbia uno spessore di tenerezza”. Ci può aiutare a capire di più questa parola?” - Non solo lo stupore, ma anche la bellezza e’ necessaria per venire in soccorso del progetto della ragione umana oltre i limiti del razionalismo e dell’antropocentrismo che questa ha manifestato nella modernità. Bellezza della mente, dello spirito, della Creazione. Bellezza nella magnificenza delle forme, come anche nel più umile filo d’erba. Bellezza contro l’utile: non per avere il possesso o l’uso strumentale di una creatura ma all’apposto vedendone lo splendore (filo d’erba, passero, albero, cervo…) se ne ha godimento. In questo ci si acquieta. ”Una volta durante una conferenza lei riportava il messaggio dell’allora Presidente della Repubblica Ciampi. Quest’ultimo, in un discorso di fine anno, invitava tutti a”fare l’esperienza dell’alba”. Che significato attribuire a queste parole? - “Stupore” e “bellezza” predispongono ad arricchire le forme di vita accanto e nella prassi, nell’operare nel mondo della tecnica. Nel momento del “labora” diventa fondamentale, in Platone ma anche nella psicanalisi, il concetto di eros in Freud e di anima in Jung: rivitalizzare le nostre esperienze, reinserirle nella terra perchè poi possano slanciarsi verso il cielo. Ovvero, fare esperienza dell’alba, esperienza delle stelle, esperienza della pioggia, esperienza del vento. -

“Professor Valle- ci siamo sentiti di chiedergli, - lei parla spesso di stupore in un mondo in cui tutto è disincanto, è razionalità, in particolare pensiamo ai giovani e al nichilismo che li divora, quello che il filosofo Galimberti ha raccontato Santo Domingo de la Calzada molto bene in un suo recente libro: uno stato che corrode i concetti di identità, di libertà, di senso ma anche quelli di natura, di etica, di religione, di storia che erano tutti validi fino a ieri. Non le sembra di chiedere l’impossibile?” - Per i greci senza stupore non c’e’ autentica filosofia; per Einstein, senza stupore non c’e’ autentica scienza, per Gesù, “se non si diventa come fanciulli non si entra nel regno dei cieli”. Lo stupore quindi e’ il motore di quella rivoluzione spirituale, morale e culturale che fonda il nuovo umanesimo. Esso ci apre ad un rapporto non di dominio ma di contemplazione e di amore verso il mondo, verso le creature. Come ha ricordato Giovanni Paolo II: “ Possiamo sentire la nostra fraternità verso la natura in quanto la contempliamo ed ammiriamo la sua bellezza. “La bellezza, concetto che affiora spesso nei suoi incontri e’ una parola che

“La nostra città e la Lomellina in generale sono sempre più degradate dal punto di vista ambientale. Discariche, inceneritori, termocentrali la stringono d’assedio. In queste condizioni come è possibile progettare un altro modo di “abitare la terra”, di riscoprire una mentalità meno arida?” - La crisi dell’abitare in Lomellina appare, in modo indiscutibile, come una cifra della più ampia e profonda crisi dell’abitare nazionale e globale. Crisi di civiltà, quindi di pensiero e di etica. La risposta è il progetto di “rifare l’umanesimo”, secondo il contesto dei nuovi valori che abbiamo delineato, che coinvolga le classi dirigenti come anche il sentire comune. Per usare dei rimandi della storia del nostro Paese, si tratta di riprendere e fare sintesi della linea di strategia di pedagogia culturale che scorre tra Cavour, Gioberti, Gramsci, Olivetti. Siamo appena all’inizio.


C’E’ VITA NEL VILLAGGIO ! SOSTENETE IL VILLAGGIO : CAMPAGNA TESSERAMENTO 2009 Sono ormai quattro anni che esistiamo, cerchiamo il nostro spazio tra i problemi che di volta in volta si presentano sul nostro territorio siano essi di carattere sociale o culturale. Siamo persone con caratteristiche e interessi diversi che hanno volontà di lavorare assieme pur nelle divergenze che sorgono naturalmente, cercando di capire le esitazioni dell'altro e smussando gli Burgos spigoli che si pongono sul cammino per la comprensione reciproca. È importante questa volontà altrimenti al primo ostacolo ci si divide mandando a monte i bei progetti messi su carta. Questo giornaletto, per esempio, è l'esigenza sorta nel “villaggio” per poter comunicare con più persone, poter trasmettere in modo più dettagliato le idee, i pensieri, gli scritti nostri e di altri, per potersi confrontare con umiltà, in modo ampio e colloquiale con le varie problematiche della vita. Il bilancio delle iniziative fatte finora è positivo, iniziative che hanno contribuito alle finalità che ci siamo prefissati. Quello che riusciamo a fare è una piccola goccia in quanto le risorse sono poche: viviamo grazie alla tessera che ha il costo di € 10,00 (c'è anche la tessera simpatizzanti di € 5) valida per un anno e le offerte che provengono dalle varie manifestazioni. Quest'anno il comune ci ha finanziato con € 300,00 e ringraziamo vivamente. Noi pensiamo che chi condivide e apprezza il nostro operato non abbia difficoltà a prendere la tessera dandoci così una mano a proseguire e a rendere sempre più incisivo il nostro lavoro. M.P..

I DIARI DELLE PIANZOLINE: UN TESORO FRA LE PAGINE di Monica Masini Forse è capitato a molti bambini di sognare a occhi aperti di scoprire tesori preziosi o di trovare antichi documenti che dessero indicazioni per trovarli. Io sono un ex-bambina molto fortunata: da adulta ho trovato un tesoro “dentro” una pila di manoscritti del secolo scorso. Nella loro bella biblioteca le suore Pianzoline di Mortara conservano, infatti, alcune decine di quaderni che, redatti a partire dalla loro fondazione (avvenuta nel 1919) coprono un arco di tempo che arriva fino ai primi anni Settanta. Questi manoscritti mi sono stati mostrati da

Sr.Tiziana Conterbia (postulatrice della Causa di Beatificazione di padre Francesco Pianzola) mentre studiavo all’università ed era ormai tempo di decidere un argomento di tesi. Sostenuta anche dall’entusiasmo della prof. Cremonini ho accettato la sfida e, dopo essermi ritagliata un periodo da analizzare, ho iniziato questo viaggio a ritroso nel tempo. Il periodo scelto va dal 1919, anno di fondazione delle suore e inizio di un periodo di grandi lotte interne allo stato italiano (cioè il Biennio Rosso e il Biennio Nero) confluite nel Fascismo, e si conclude nel 1929, alla vigilia dei Patti lateranensi (e quindi di un nuovo rapporto Stato-Chiesa) e agli albori della più grande prova che il Pianzola e le sue suore dovettero affrontare (la cosiddetta “prova del fuoco”). L’argomento è abbastanza inusuale ma di grande interesse, soprattutto nella nostra zona, per definizione terra di riso: si tratta infatti dell’assistenza che le suore diedero alle

mondariso “foreste” (che cioè arrivavano da fuori paese, spesso addirittura da un’altra regione) apprezzate dai padroni per la capacità lavorativa ma spesso invise alle colleghe locali, considerate con disprezzo e sospetto soprattutto dalla parte femminile della popolazione “ospitante” perché troppo propense agli straordinari (non avendo una famiglia da accudire) e per la presunta eccessiva libertà di costumi. Per moltissimo tempo queste donne avevano vissuto per quaranta giorni all’anno senza che nessuno (famiglia, parroci, enti locali, associazioni laiche, ecc. ) si occupasse di loro. Trattandosi spesso di ragazze giovani e giovanissime i rischi relativi alla salute, allo sfruttamento lavorativo, alla mancanza di controllo nel tempo libero, erano concreti. Forte della sua convinzione, che bisognasse cioè “salvare la donna con la donna”, il Pianzola scelse il meglio delle sue “Giovani guardie” (giovanissime ragazze mandate “in missione” nei cascinali) e con sei di loro dà il via a quello che verrà poi definito SMIRP cioè suore missionarie dell’Immacolata Regina Pacis. Trovò una casa in Mortara e affidò loro l’oratorio femminile e soprattutto la cura delle mondine foreste.


Le suore andarono nei cascinali, consigliarono, esortarono al bene, curarono corpo e anima di queste donne; con il passare degli anni e aumentando di numero le andarono ad accoglierle in stazione, a volte le ospitarono di notte, le informarono sui loro diritti e doveri di lavoratrici, organizzarono il loro tempo libero, curarono i rapporti epistolari con le famiglie e con i parroci, le accompagnarono alle funzioni religiose e nella preghiera. Tutto quello che le suore facevano, vedevano, osservavano, auspicavano, lo riportavano nei loro quaderni per riferire al fondatore e al vescovo e poi, con il consolidarsi del fascismo, agli enti che erano stati creati per seguire le donne lavoratrici e che avevano creato un rapporto di collaborazione con le suore, già in azione in modo assai capillare. Per loro questi quaderni non furono altro che uno strumento di lavoro, di comunicazione e di verifica, per noi oggi sono invece una testimonianza preziosa di un mondo ormai, da noi, scomparso. Nei diari troviamo riportata la situazione iniziale (accoglienza) il quadro della situazione preesistente, l’azione di assistenza fisica o morale, la verifica (se cambiava qualcosa nelle visite successive alla prima), il commiato (spesso alla stazione). Ora sappiamo un po’ di più di come venivano alloggiate, nutrite, curate le mondine foreste, come si divertivano, si abbigliavano e si comportavano e tutto questo con un importante spartiacque: la missione delle suore. Mi è piaciuto davvero molto compiere questa ricerca che per essere accurata ha dovuto essere molto circoscritta. Per chi fosse interessato, una copia della mia tesi, intitolata “Il mondo delle risaiole attraverso i diari delle Suore Pianzoline. (1919-1929)” si può consultare presso la biblioteca comunale “F. Pezza” di Mortara. Meglio ancora sarebbe se qualcuno volesse portare avanti la ricerca direttamente sui testi; le suore accolgono sempre con la massima disponibilità gli studiosi volenterosi. Infine un ringraziamento all'associazione Il Villaggio di Esteban, per aver aver organizzato la presentazione pubblica di questa tesi.

INNAMORATI DEL CHIARO DI LUNA Sebbene sia assolutamente alla portata di tutti, il chiaro di luna rappresenta un piacere raro ed esclusivo, ed è per godere di questo piacere che si è formata la Compagnia dei LUNATICI, inarrestabili

Galizia

camminatori notturni. Ad un anno dalle prime timide uscite, dopo numerose scarpinate di prova e dopo i due APPUNTAMENTI CON LA LUNA del 20 settembre 2008 e del 6 giugno scorso, che hanno avuto un esito lusinghiero a dispetto dei capricci del clima, i Lunatici propongono ai loro ormai numerosi amici un programma di passeggiate più frequenti e cadenzate con regolarità (anche se si tratta di una regolarità molto lunatica); una formula un tantino più agile studiata per garantire continuità ad un’iniziativa che indubbiamente piace ma la cui riuscita fino ad ora è dipesa ogni volta da una somma di fattori in larga misura imprevedibili. Salvo condizioni climatiche proibitive, le prossime uscite

dei Lunatici coincideranno coi sabato sera che ricadono tra Primo Quarto e Luna Piena, che è il periodo migliore per le passeggiate notturne, giacchè prima di esso la Luna tramonta troppo presto, e dopo di esso si leva troppo tardi. Il calendario delle camminate, che diamo qui di seguito e che per ora è puramente indicativo, è pubblicato sul sito di Esteban ed è stato comunicato ai giornali locali; le singole date verranno confermate con ragionevole anticipo sul sito ed attraverso comunicato stampa e volantini. I Lunatici, che del chiaro di luna ormai non possono più fare a meno, ci saranno immancabilmente (sempre che non piova), e chi vorrà unirsi a loro sarà graditissimo come sempre.


GLI APPUNTAMENTI CON LA LUNA (E CON I LUNATICI) PER IL 2009

ESTEBAN NUMERO QUATTRO ESTATE 2009

Galizia

Sabato 6 giugno alla Madonna del Campo Sabato 4 luglio all’Abbazia di S. Albino Sabato 1 agosto alla frazione Medaglia

il giornale dell’Associazione Culturale IL VILLAGGIO DI ESTEBAN. Stampato con la collaborazione di CSV PAVIA E PROVINCIA via Taramelli 7 Pavia \ via Da Vinci 15 Vigevano.

Il giorno previsto per l’appuntamento con la luna è generalmente il sabato, ma siccome siamo lunatici non è poi così sicuro. Le date certe saranno comunque comunicate con ragionevole anticipo. Potrete trovare i nostri volantini alla Biblioteca Civica di Mortara oppure controllate sul sito di Esteban; in tutti i casi ecco le date indicative per i prossimi appuntamenti :

Hanno collaborato : Arlenghi, Brasca, Camana, Davolio, Della Monica, Giacomone, Grosso, Invernizzi, Livraga, Maia, Mas, Masini, Mossi, Oisin, Palombella, Ratti, Valle. Per comunicare con ESTEBAN scrivi a nfo@ilvillaggiodiesteban.net

oppure invia un fax o un messaggio vocale al numero 1782785900 o chiama il numero 3338351178.

29 agosto oppure 5 settembre 26 settembre oppure 3 ottobre 31 ottobre 28 novembre 26 dicembre oppure 31 dicembre

Devolvi il cinque per mille a favore de IL VILLAGGIO DI ESTEBAN : codice 92008840180

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MALEDETTA THOMAS COOK & SON La morte di File di Pierre Loti un contributo di Oisin Nei libri, in ogni libro, ci trovi effettivamente dentro di tutto, ci puoi tentare infiniti approcci diversi e leggerlo per i motivi più disparati e poi alla fine, dopo averlo letto, ti resta in mente per particolari strani, forse trascurabili. Questo mi piace ricordarlo per un aspetto, probabilmente marginale, ma forse nemmeno tanto, viste le tante volte in cui ritorna nel testo, e che comunque non è certo il motivo per cui è stato scritto. Però è un aspetto che ci consente di fare incontri interessanti. Il fatto è che “La morte di File” di Pierre Loti contiene una delle più complete, e forse una delle prime, gallerie di insulti ai turismo di

abitanti del deserto che continuavano la loro dura vita con gli stessi gesti uguali da migliaia di anni. Turisti che non si sarebbero mai accorti dell'Egitto copto, residuo del cristianesimo più antico a cui lui, invece, dedica un commosso capitolo. Certo Loti non se la prende solo con i turisti, ma anche con la nascente industrializzazione, con la “plutocrazia mondiale” che iniziava a prendere possesso delle ricchezze dell'Egitto ed a snaturare la sua cultura e la sua vera essenza. Ma con i turisti veniamo al secondo incontro, quello con il signor Thomas Cook, nome che ci piace ricordare, come divagazione personale, per gli orari di tutte le linee ferroviarie del mondo, che bastava aprire per permetterci di sognare per ore. Il signor Cook, (1808 – 1892) era un ministro battista e in realtà pensava principalmente a tenere lontana la gente dall'alcool e dal vizio, e forse per questo, con la Società della Temperanza, a cui apparteneva, aveva cominciato a portarla in giro, inizialmente in treno e per la prima volta nel 1841. Da qui, anche se è un po' strano pensarlo, da questi scopi filantropici si è poi sviluppato tutto: le agenzie di viaggio moderne, l'industria del turismo e tutto quanto. Cosa direbbe oggi di come si è evoluta la creatura che ha contribuito a far nascere? Cosa direbbe del cosiddetto turismo sessuale? Ma senza arrivare a questo, cosa direbbe dell'attempata e rispettabile signora inglese

Santiago massa allora nascente, rappresentato dalle prime comitive irreggimentate dalla Thomas Cook & Son, prima agenzia di viaggi della storia, colpevole, nel testo di Loti, della profanazione senza rispetto alcuno delle vestigia dell'antica civiltà egiziana, a cui il libro è dedicato. Andiamo con ordine. Il primo incontro interessante che facciamo, grazie a questo libro, è con lo stesso autore, Pierre Loti, che in realtà si chiamava Louis Marie Julien Viaud (nato nel 1850 e morto nel 1923 per cui contemporaneo di Conrad e come lui ufficiale di marina) autore di molti romanzi e libri di viaggio. Condivideva la tendenza all'esotismo di tanta cultura dell'epoca, ma certo in modo molto più snob e dandy di tanti altri. Nella sua casa aveva aveva sale bretoni e saloni turchi, in cui amava anche travestirsi secondo i costumi dei rispettivi paesi e aveva un sacco di altre manie e vezzi. Certo lui girava accompagnato dai suoi amici appartenenti al nascente nazionalismo egiziano e accudito da schiere di servitori: come poteva sopportare le schiere di rumorosi e maleducati turisti inglesi che, secondo lui almeno, non sapevano certo commuoversi di fronte a quello che restava non solo dell'antico Egitto dei faraoni, ma anche di quello dei contadini, degli

descritta da Loti che, da come viene sorretta sull'asino dal suo accompagnatore locale, lascia intuire chiaramente di essere interessata più alle sedute di “beduinoterapia” che alle bellezze archeologiche. Un consiglio per finire: se andate in Egitto, dimenticate pure le certo utilissime guide moderne, ma non dimenticate questo libro. E questo vale per ogni destinazione. Guardare le cose come sono oggi con gli occhi di uno che le ha viste cent'anni fa forse non aiuta a trovare un buon ristorante, ma ci aiuta a capire un po' di più dove sta andando il mondo.

VIAGGI NON SCONTATI un contributo di Lino Maia Come è noto, tra i protagonisti della storia di Roma antica non ci sono soltanto esseri umani ma anche numerosi animali, e tra questi sono particolarmente famosi gli elefanti di Annibale. Il ruolo di questi pachidermi è stato largamente mitizzato ma sappiamo dagli storici latini che essi si rivelarono più un impaccio che una risorsa e che fecero tutti una brutta fine ben prima che la spedizione cartaginese in Italia si concludesse.

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Al drammatico viaggio di queste povere bestie, narrato da uno dei loro guardiani, fu dedicato agli inizi degli anni 60 un volume della popolare serie francese J’y etais (io c’ero), scritto da Benoit Barka (sicuramente uno pseudonimo). Era un buon libro d’avventure come si usava a quei tempi : niente sesso, niente parolacce, niente violenza gratuita e in Italia fu pubblicato dall’editore Masuzzi in una collana per ragazzi col titolo STORIA DI CAMPIONE, UN ELEFANTE TRA I GHIACCI. Il pezzo forte del romanzo era ovviamente la traversata delle Alpi, trattata con una notevole cura dei dettagli che giovava parecchio alla complessità dell’intreccio. Veniva dato, ad esempio, il giusto rilievo ai difficili rapporti con le guide locali che caratterizzarono tutta la spedizione : prima di affrontare il valico che avrebbe spalancato loro le porte dell’Italia, i Cartaginesi si erano infilati praticamente alla cieca nel labirinto di valli del versante francese e vi avevano perso il lume della ragione. La voce narrante appartiene ad uno schiavo nordafricano; lungo il tragitto incontra rappresentanti di tanti popoli differenti ma se la intende meglio con gli animali che con le persone, e quando anche Campione, l’ultimo dei suoi amici elefanti, parte per le savane del cielo, lo schiavo fugge per selve e per montagne, dove ha la ventura di incontrare un cucciolo d’orso rimasto orfano. Alla fine si guadagnerà di che vivere come addestratore di animali in quella Roma di cui era nemico. Cambiamo totalmente registro con VIAGGIO ATTORNO AL GRANDE VULCANO, di Stefano Allodio (editore Muro). Allodio ci tiene a precisare che pur essendosi avvalso della consulenza di alcuni geologi non possiede alcuna competenza scientifica e si assume tutta la responsabilità dell’impostazione fin troppo suggestiva che ha dato al suo lavoro. L’Italia, ci dice, è come una zattera che spinta dalla deriva dei continenti transita piuttosto velocemente sopra alla grande massa magmatica che ribolle sotto il Mediterraneo centrale. Se all’estremità meridionale della penisola (che sta proprio sopra al calderone) le manifestazioni vulcaniche sono dirette e violentissime, in quelle parti del paese che si sono gradatamente spostate verso l’Europa continentale esse si fanno sempre meno esplicite man mano che ci si avvicina alla scogliera delle Alpi ma non per questo sono meno significative. Dai laghi craterici alle sorgenti di acqua bollente, dalle sputacchiere di fango ai soffioni di borace, Allodio ci accompagna alla scoperta di un’Italia che egli ci presenta come un unico gigantesco vulcano. Le descrizioni sono piacevoli ma anche molto precise e c’è da credere che l’autore abbia visto tutto quanto di persona. Rimarchevole l’apertura del libro che ci trasporta indietro nei secoli sino allo sbarco ad Ischia dei primi coloni greci, affascinati dalle sorgenti termali ma quasi sicuramente incapaci di riconoscere un vulcano ed ignari dei rischi che a questo erano collegati. Libro di viaggi quanto mai singolare ma indiscutibilmente libro di viaggi è, infine, LE FIGLIE DI MARIA ED ALTRE PEREGRINAZIONI di Franco Bussi (Edizioni Robur). Bussi, ex professore di scienze in un liceo e botanico molto preparato, ha seguito per una quindicina d’anni le migrazioni di diverse specie erbacee partendo dal cortile di casa sua e allargando il suo campo d’osservazione man mano che le piantine protagoniste si diffondevano attraverso il quartiere, sino alla periferia della città ed oltre, sfruttando ogni possibile opportunità di affermazione e rivelando la presenza di insospettabili corridoi di sopravvivenza. Chiunque si sia fatta l’idea che il pianeta globalizzato è diventato piccolino dovrebbe leggere questo libro : in modo accattivante e con un linguaggio

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accessibile a tutti Bussi ci introduce ad un intero universo che si stende sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgiamo e nel quale un gran numero di bizzarre culture aliene – dalle edere ai fiordalisi, dalle bignonie ai villucchi – esplorano mondi diversissimi tra loro anche se distanti pochi metri, ingaggiano guerre spietate anche se assolutamente non violente e stringono improbabili alleanze con creature di ogni regno della Natura e in particolare con quella più imprevedibile di tutte – l’uomo – che può rivelarsi il loro peggior nemico o, all’opposto, il loro più fedele servitore. Ad un aspetto particolare del rapporto tra umani ed erba è dedicato l’ultimo capitolo, che dà il titolo al libro : basandosi sulle confidenze dei suoi ex allievi Bussi ci racconta le vicissitudini della numerosa discendenza di una pianta di canapa indiana che alcuni ragazzotti scoprono ai margini di un’area dismessa occupata dagli orti di una squadra malassortita di pensionati. Bravo divulgatore ma anche brillante narratore, Bussi conclude tra il serio e il faceto rimarcando il valore formativo della coltivazione di mariuana, che incentiva l’amore per la vegetazione, abitua al lavoro manuale e stimola l’intraprendenza commerciale. Santiago

VIAGGIARE VICINO un contributo di Lino Maia Conosco Pierino Colombo da una ventina d’anni; ai tempi collaboravamo entrambi ad un mensile che usciva a Novara e che non sopravvisse al quarto al quinto numero. Colombo vi teneva una rubrica veramente pionieristica che si chiamava Viaggiare Vicino e proponeva itinerari attraverso cittadine e paesetti che solo in tempi molto più recenti sono stati oggetto di un’effettiva valorizzazione turistica. Ricordo ad esempio un articolo in cui si spiegava perchè sia così facile perdersi in Vigevano e che trovai molto illuminante. Ultimamente Colombo collabora ai Quaderni dell’Appennino, rivista pubblicata un paio di volte all’anno da un’associazione culturale di Sesta Godano, in provincia di Spezia, e per l’occasione ha riesumato un espediente narrativo dei tempi andati, fingendo che alla tavola di una locanda alcuni ospiti tirino tardi raccontandosi le proprie esperienze di viaggio attraverso le montagne che legano la valle del Po alla penisola. Nel primo episodio della serie un anziano commensale parla dei tanti valichi che per una ragione o per l’altra gli è capitato di superare e fa interessanti considerazioni su quei caratteri che un tempo distinguevano le varie aree messe in comunicazione dai passi e che adesso si stanno inesorabilmente perdendo.


A dire la sua nel numero successivo è un viaggiatore più avventuroso e molto meno riflessivo, ma è ovvio che a parlare è sempre Colombo, che col tempo si è fatto scrittore scafato e riesce a simulare in modo credibile una pluralità di voci differenti. Questo secondo personaggio racconta della sua doppia traversata della galleria del Vestito nelle Alpi Apuane e credo valga la pena di farne almeno un sunto perchè la storia rende bene l’idea di che tipo sia Pierino, che quando si mette in viaggio non va mai molto lontano però viaggia per davvero. Dice dunque questo signore che quando era ragazzo girava per l’Italia un po’ a piedi e un po’ con l’autostop. Un pomeriggio, mentre sta camminando sullo stradone che collega la Garfagnana con la Versilia vede sul fianco della montagna un villaggio abbandonato e pensa bene di passarci la notte, imbocca un sentiero, arriva al paesetto e stende il sacco a pelo sul sagrato della chiesa. Il posto è bellino ma all’imbrunire assume un aspetto un po’ sinistro e in più arriva una mandria di mucche che pascolano incustodite, e il nostro, che sotto sotto è un fifone, trova la scusa che non vuole finire coperto di cacca di mucca e se la svigna. Di dormire nel bosco non se ne parla proprio, perchè il terreno è tutto un tappeto di ricci di castagna e bisogna tornare sullo stradone; qui il giovanotto trova un passaggio su di un camion a rimorchio che sale verso la montagna a passo doi lumaca e che lo scarica al bivio da cui si diparte la strada per le cave di Arni. Ormai è notte fonda e l’unico edificio tutt’intorno è un baretto piazzato a lato della strada e ovviamente chiuso data l’ora; il nostro sistema il sacco a pelo a fianco della casetta, ci si caccia dentro e proprio in quel momento succedono due cose : la luna piena spunta da dietro una montagna rischiarando a giorno il paesaggio circostante e dentro il bar si scatena un casino infernale, come se ci fosse un branco di cinghiali infuriati che si rincorrono. Convinto che nella casetta ci sia un lupo mannaro, ma troppo stanco per scappare di nuovo, il ragazzo prova a dormire con un occhio aperto e quando finalmente viene giorno e il bar tira su la saracinesca, si prende un caffè, evita di fare domande e piglia in tutta fretta la strada che va ad Arni. Gli dà un passaggio una squadra di cavatori; sono degli allegroni, peccato che la macchina sia un rottame e che bisogna tenere stretta la maniglia della portiera perchè non si spalanchi ad ogni sobbalzo, cioè in continuazione. Finalmente si ritrova tutto solo all’imbocco della galleria del Vestito; il tunnel è lungo ma non lunghissimo ed è perfettamente rettilineo : al fondo si scorge un puntolino di luce e il nostro eroe si addentra nel cuore della montagna sentendosi piccolo piccolo e parecchio intimorito. Poi, man mano che lo spiraglio di luce si fa più grande si sente più sollevato e quando, come dio vuole, esce dall’altra parte e vede il mare laggiù in fondo gli si apre il cuore. Come viaggio iniziatico non sarebbe male, ma c’è anche un seguito. Passa una quindicina d’anni, il ragazzo è cresciuto, si è sposato e parte per le ferie con la moglie, la Vespa e la tenda. Si fermano a campeggiare vicino a Carrara e decidono di andare a vedere quella famosa galleria che ha lasciato in lui tanti ricordi : saltano sulla Vespa e pigliano la strada della montagna. Sul mare c’era il sole ma lassù si sta addensando il temporale e quando arrivano a mezza costa sono avvolti dalle nubi. L’asfalto lascia il posto ad uno sterrato in discrete condizioni e tirano dritto, arrivano alla galleria e ci si infillano dentro ma non hanno fatto i conti col fondo stradale che si rivela terribilmente dissestato. Il problema è che la moto è un ferrovecchio col fanale alimentato da una dinamo : se si va forte c’è da spaccare tutto ma se si rallenta più di tanto la luce si spegne. E in più dentro la galleria piove peggio che sotto una cascata : la nuvolaglia si condensa e precipita e dalla roccia del soffitto scaturiscono veri e propri ruscelli. Dopo un’eternità tracorsa a trascinarsi nel buio boccheggiando, gli sventurati si riaffacciano al mondo conciati da far pietà e a questo punto interviene un terzo ospite della

locanda a sentenziare che non si deve sfidare impunemente il destino più di una volta. Nel prossimo numero, che uscirà tra un paio di mesi, si scoprirà che questo nuovo personaggio è un simpatico beone che intrattiene i compagni di tavolata chiacchierando di osterie e di vini... Estrella, San Pedro de la Rua

Finisterre

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l’angolo di Anna Mara

TEATRO

di Anna Livraga

Per molti andare a teatro è una cosa normale, ma per alcuni di noi dell’Ipergruppo è un evento eccezionale. Eccezionale in vari sensi, sia perché ci si va così di rado da non ricordarsi da una volta all’altra cosa sia assistere ad uno spettacolo teatrale, sia perché è un evento nell’evento, visto che non avendo a disposizione un teatro nella nostra cittadina ci si deve recare nella metropoli e così si aggiunge il viaggio “in città”, il raggiungere “coi mezzi” il luogo (Dio!!! Ma che macello di confusione!), il problema di coordinarsi con gli orari esatti e un sacco di altre difficoltà che può tradursi in notti insonni e in uno stress bestiale che si trangugia tutto quanto il divertimento. Come sempre, i rappresentanti dell’IperG sono estremamente variegati: amici soliti (anni e anni di conoscenza), amici degli amici e (UAUH!!) amici degli amici degli amici. Per fortuna che poi troveremo dei perfetti sconosciuti, altrimenti si perde il filo di ‘ste amicizie allungate, allargate e chi più ne ha, più ne metta. Ok, partenza!!! Per questioni logistiche ci si muove circa quattro ore prima dell’inizio dello spettacolo (bellissimo, così ci sarà tempo di sorbirsi anche le performances di un certo tipo che ho visto solo adesso). Accidenti, temevo che Paolo fosse uno degli invitati, ma arrivando all’appuntamento non lo avevo visto e avevo sperato in una miracolosa fortuna: la GRAZIA della sua mancanza! Invece no!!! Si era solo messo di spalle e un po’ defilato, così mi ha fregata, porca miseria. Va bè cercherò di stargli distante e possibilmente di non rivolgergli parola, al massimo penserò in corsivo. ANDIAMO! Paolo il simpaticissimo inizia subito a dare sfoggio di erudizione: “è uno spettacolo derivato da una tragedia greca, stamattina mi sono letto il testo originale (In greco? Madonna che strafigo! Ma c’hai proprio tutto ‘sto tempo libero? Oltre che così tanta cultura, OVVIAMENTE), e poi l’ho già visto almeno 20 volte in tante e tante versioni!” Anna Mara, dopo aver pensato in corsivo, comincia a divagare con il pensiero e intanto osserva gli altri cinque disperati della compagnia. Ehi! Ma non ce n’è uno che lo stia davvero ascoltando! Ma tu guarda, solo Gianni fa l’aria dell’interessato e intanto cerca una via d’uscita o almeno di allontanarsi un po’ dall’implacabile! Però che roba! Paolo in versione carro armato continua imperturbabile (oh ma che fiato che ha!); una cantilena che non riesco più a seguire (meglio così, perché mi sta indisponendo). Ma, aspetta adesso che dice? Ha chiesto “che cosa stiamo andando a vedere?” Senti un po’ Gianni ma questo dove l’hai comprato? Gianni mi lancia un’occhiataccia!!! Ma come, mi ha sentita? Oddio!!! Non era in corsivo!! Gesù, stavolta invece di pensare ho parlato!!!! Bè poco male, Paolo è così indaffarato nelle sue chiacchiere che neanche se ne è accorto! E intanto Gianni continua a fare il Buon Samaritano con Paolo, ma si gira un po’, si mette a ridere e mi sibila un apprezzamento poco carino per il mio pensiero a volume alto (più che poco carino è irripetibile, ma me lo sono cercato). Però lo vedi che anche tu non sei così convinto dalle ciance dell’intellettuale? Ridi! Eh questo non vale! Se Dio vuole finalmente siamo arrivati: pronti, in fila, distribuzione biglietti… io cerco di capire come fare a trovare un biglietto con posto strategico distante da chi so io, ma niente da fare, li hanno prenotati con Internet e ci danno il pacco già pronto. SIGH!!! FORTUNA SFACCIATA! Ho avuto posto ad inizio fila verso il corridoio almeno ho solo un lato scoperto!! UAUH! Ed ora cosa vedo? Paolo si avvia al fondo della fila è proprio al mio opposto (GRANDIOSO) e la sorte gli manda accanto proprio Gianni! Poveretto, che faccia sconsolata che ha! Il sipario non si è ancora alzato, ma la tragedia per lui è già cominciata!!!! E allora, non aspettiamo oltre, abbassate le luci e che inizi lo spettacolo!!!!

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territorio

I VIAGGI di Guido Giacomone Partimmo per Amsterdam, e vi giuro che il nostro unico intento era quello di trascorrere una settimana fumando dalla mattina sino a notte inoltrata tutto quello che fosse umanamente possibile fumare. Poi, però, visitando il Museo Reale mi capitò di notare che un posto d’onore era riservato ad una tela del Seicento che raffigurava un palmipede che si inalberava, e per la prima volta nella mia vita mi resi conto che a questo mondo c’è una quantità inimmaginabile di cose da capire. Eravamo in ottobre, faceva buio presto e il tempo era quello che era. Avete presente i marciapiedi di Amsterdam ? Sono fatti di mattoni; a destra e a sinistra ci sono due gobbette e in mezzo c’è come una cunetta, e questa cunetta ti sembra che sia lunga milioni di chilometri, ce l’hai sempre davanti agli occhi dappertutto dove vai. E infatti noi camminavamo e camminavamo, veniva buio e noi camminavamo, e ci lavava la faccia un qualcosa di umido e gelido che sembrava pioggia ma mica lo era; la pioggia viene giù dall’alto e quella roba invece galleggiava a mezz’aria, e arrivava ad ondate a schiaffeggiarci, ed è stato lì che ho capito che un punto preciso dove la terra finisce e comincia il mare, e dove finisce il mare e comincia l’atmosfera, quel punto lì, insomma, proprio non esiste. Dopodichè ce ne andammo a Siena; la piazza tanto celebre che chiamano il Campo, dove un paio di volte all’anno corrono i cavalli montati a pelo, è tutta in discesa e di forma somiglia ad un lavabo, e questo lo si sa in tutto il mondo, poiché da tutto il mondo vengono a frotte a veder la piazza. Noi, per fortuna nostra, ci capitammo nella brutta stagione e di turisti, se ce n’erano, non se ne vedevano. La mattina c’era un po’ di nebbia ma si dissolveva al primo chiaccherìo che si udiva nelle strade. Dalla piazza una via sale in direzione del punto più alto della città; in prossimità della cima si incontra il Battistero, che è una chiesa a tre navate, e quindi piuttosto grossa, incassata come una lavastoviglie sotto un’ala del Duomo, il quale sorge sulla spianata in cima alla collina, una dozzina di metri più su. Il Duomo è incompiuto; si sono fatte una navata laterale e la facciata, ma c’è solo la muratura, senza rifiniture. Di completo, per il momento, c’è soltanto il transetto, che visto in pianta sarebbe il braccio più corto della croce. In effetti il transetto è già di suo una chiesa fatta e finita, e per giunta enorme, e la si usa come Cattedrale fintantochè non sia terminata la costruzione del Duomo. Quando questo potrà avvenire, però,on si sa, dato che i lavori sono interrotti da qualche secolo e non pare che al momento ci sia l’intenzione di riprenderli...

Finisterre


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