Claudio Naranjo - Ayahuasca. Il rampicante del fiume celeste

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Psichiatra, esperto di tossicodipendenze

Ricercatore, educatore, terapeuta, maestro spirituale, Claudio incarna la voce ispanica tra i grandi pionieri che hanno rivoluzionato la psicologia transpersonale, l’etnobotanica e l’etnofarmacologia. Dott. Luis Eduardo Luna, Antropologo ed etnobotanico

Dal laboratorio scientifico al mondo sciamanico, la profonda analisi di Claudio sulle esperienze con ayahuasca rappresenta un raccordo di incredibile estensione, un passaggio fino a oggi inedito dalle selve al cuore dell’occidente. Rick Doblin, Direttore del maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies)

ISBN 978-88-97864-51-6

9 788897 864516

25 €

claudio naranjo

Claudio Naranjo è il nesso tra la conoscenza ancestrale e il mondo scientifico. Il suo lavoro ci offre uno sguardo nuovo, al tempo stesso scientifico e umanista, intorno all’appassionante mondo dell’enteogenia. Dott. Josep Maria Fábregas,

Gli indigeni ashàninka chiamano l’ayahuasca hananeroca: “il rampicante del fiume celeste”, un nome che allude al fiume in cui le anime dei morti si bagnano per diventare eterne. Le culture sciamaniche hanno compreso che l’ayahuasca ci insegna – prima di ogni altra cosa – a trascendere la vita. Dall’Amazzonia colombiana alle aule dell’Istituto Esalen, dai laboratori della California ai rituali del Santo Daime, questo libro di Claudio Naranjo rappresenta il bilancio di un lavoro di ricerca sull’ayahuasca lungo oltre cinquant’anni, e offre un resoconto chiaro e coraggioso sui possibili usi delle piante sacre in psicoterapia. Un testo rivolto a tutte le persone interessate all’indagine della Coscienza e all’integrazione tra culti tradizionali e ricerca scientifica.

IL RAMPICANTE DEL FIUME CELESTE

www.claudionaranjo.net

dalla california degli anni ’60 al cuore dell’amazzonia, claudio naranjo racconta la sua rivoluzionaria esperienza psicoterapeutica con le piante maestre

Nel mondo di domani sarà di grande utilità la conoscenza del potenziale trasformatore di questa pianta magica, così apprezzata dagli sciamani delle culture autoctone sudamericane, che sicuramente ne sanno molto più di noi della trasformazione possibile della mente umana, e che ci considerano, nonostante la nostra arroganza tecnologica, i loro fratelli minori. Claudio Naranjo

AYAHUASCA

CLAUDIO NARANJO Nato in Cile nel 1932, Claudio Naranjo, medico psichiatra e antropologo, è uno dei principali esponenti della terapia della Gestalt e della Psicologia Transpersonale. Ricercatore della Coscienza, ha cercato di integrare tradizione e conoscenza scientifica, ricostruzione storica e analisi antropologica, psicologia e spiritualità. È stato uno dei primi ricercatori nell’ambito dell’Etnobotanica applicata alle piante psicoattive e ha sviluppato una teoria dei tipi psicologici basata sull’Enneagramma, un simbolo esoterico di origine oscura. Lungo il suo percorso spirituale, ha ricevuto insegnamenti di maestri come Swami Muktananda, Idries Shah, Oscar Ichazo, Suleyman Dede, S.S. El Karmapa xvi e Tarthang Tulku. Ha fondato l’Istituto sat, una scuola di integrazione psico-spirituale e di auto-conoscenza dedicata ai Cercatori della Verità. Autore di numerosi libri tradotti in tutto il mondo, Claudio Naranjo è membro del Club di Roma e Dottore honoris causa dell’Università di Udine. Recentemente, è stata creata a Barcellona la Fondazione Claudio Naranjo.

claudio naranjo

AYAHUASCA

IL RAMPICANTE DEL FIUME CELESTE Traduzione di Fiorenza Picozza

SPAZIOINTERIORE



Karnak - 6



Claudio Naranjo

AYAHUASCA IL RAMPICANTE DEL FIUME CELESTE Prefazione di Josep Maria FĂ bregas Traduzione di Fiorenza Picozza


Claudio Naranjo Ayahuasca - Il rampicante del fiume celeste titolo originale: Ayahuasca - La enredadera del río celestial traduzione: Fiorenza Picozza revisione: Giovanni Picozza, Elisa Picozza © Claudio Naranjo © 2012 Ediciones La Llave

Fundación Claudio Naranjo

© 2014 Spazio Interiore Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli 46 • 00176 Roma Tel. 06.90160288 www.spaziointeriore.com info@spaziointeriore.com illustrazione in copertina Pablo Amaringo, El encanto de las piedras www.ayahuascavisions.com I edizione: ottobre 2014 ISBN 88-97864-51-6 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o trasmessa in qualsiasi forma o attraverso qualunque mezzo, inclusi quelli elettronici, meccanici, di fotocopiatura o di registrazione, senza l’autorizzazione dell’editore.


INDICE

prefazione di Josep Maria Fàbregas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 le mie esplorazioni nel mondo dell’ayahuasca e dei suoi alcaloidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 (Un’introduzione cinquant’anni dopo) di Claudio Naranjo

libro primo ayahuasca. il rampicante dei morti (1968) Capitolo 1 yoposé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Capitolo 2 distribuzione, botanica, chimica e farmacologia . . . . . . . . . 55 Capitolo 3 usi ed effetti dell’ayahuasca tra gli indigeni del sudamerica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Riti della pubertà • Celebrazioni • Malattie • Guerra e Caccia • Effetti dell’ayahuasca • Carattere dell’intossicazione • Intossicazione o rappresentazione? • Costanti nel contenuto Capitolo 4 varietà e unitarietà delle esperienze con armalina . . . 137


Capitolo 5 disquisizioni sull’essenza del mondo dello yagé . . . . . . . . 165 Capitolo 6 verso una mitologia sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 Capitolo 7 l’armalina in psicoterapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213

libro secondo nuove esplorazioni dopo una lunga interruzione (2012) introduzione alla seconda parte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267 Capitolo 1 un censimento e alcuni resoconti retrospettivi . . . . . . . . 273 Capitolo 2 un altro incontro retrospettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 Capitolo 3 le visioni e il loro contesto esperienziale

. . . . . . . . . . . . . . . . 303

Capitolo 4 le visioni di animali nel loro contesto esperienziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315 Capitolo 5 suggerimenti per l’elaborazione posteriore delle esperienze con l’ayahuasca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 327 Capitolo 6 un po’ di teoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331


Capitolo 7 energia corporea, psichedelici e kundalini . . . . . . . . . . . . . . . 339 (Un complemento teorico a proposito dell’integrazione del cervello rettiliano) Capitolo 8 corollari terapeutici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 349 Capitolo 9 lo sguardo longitudinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355 (Gli effetti dell’ayahuasca nel tempo) Capitolo 10 un’appendice sulle religioni ayahuasqueras urbane del brasile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383 I. La storia del Santo Daime e dei suoi miti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384 di José Murilo II. La storia dell’Unione del Vegetale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 395 di un membro anonimo conclusione: considerazioni sul futuro dell’ayahuasca . . . . . . . . . . . . . . . . 401 ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407 note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 409 bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 421



PREFAZIONE

di Josep Maria Fàbregas

Quando qualcuno dell’importanza di Claudio Naranjo ti offre l’onore di scrivere la prefazione a uno dei suoi libri più importanti, per prima cosa pensi a tutto quello che un uomo come lui significa per il mondo della ricerca scientifica, per la psichiatria e la psicoterapia; pensi alla sua passione per la conoscenza e al modo in cui il suo lavoro è in grado di darci speranza. Claudio è il punto d’incontro tra la conoscenza ancestrale e il mondo scientifico. In lui si uniscono il passato e il futuro, lo scienziato e il filosofo, l’osservatore spassionato e l’uomo in grado di contagiare speranza. Grande conoscitore delle tradizioni sciamaniche e religiose, ha reso possibile con il suo lavoro un nuovo sguardo scientifico, rigoroso ma allo stesso tempo umanistico, sull’appassionante mondo dell’enteogenia e delle tecniche visionarie. Quanto a me, permettetemi di presentarmi. Sono uno psichiatra spagnolo specializzato nel trattamento delle dipendenze. Coordino un centro specializzato in tossicodipendenza da più di trent’anni. Ho partecipato a varie ricerche sull’ayahuasca con l’autorizzazione del governo del Brasile, sono ricercatore autorizzato dal senad (la Segreteria Nazionale Antidroga del Governo del Brasile) e coordino inoltre l’Istituto di Etnopsicologia Amazzonica Applicata, in cui facciamo ricerca sugli effetti, le proprietà e gli usi clinici dell’ayahuasca. Negli ultimi anni, sono apparsi vari articoli scientifici a seguito delle ricerche realizzate dall’equipe di cui faccio parte insieme a José Carlos Bouso, Débora González, Sabela Fontdevila, Marta Cutchet, Xavier Fernández, Paulo César Ribeiro Barbosa, Miguel Ángel Alcázar-Córcoles, Wladimyr Sena Araujo, Manel J. Barbanoj y Jordi Riba.

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Parlerò ora di queste ricerche, pubblicate con i titoli di Evaluación de la severidad de la adicción entre usuarios rituales de ayahuasca1 e Personality, Psychopathology, Life Attitudes and Neuropsychological Performance among Ritual Users of Ayahuasca: Longitudinal Study.2 Questi studi si basano sul confronto tra due gruppi di consumatori rituali di ayahuasca di lunga data, uno in un contesto urbano e l’altro in un contesto di isolamento, in zone della foresta senza contatti con la civiltà. Entrambi i gruppi sono stati messi a confronto con altrettanti gruppi di controllo con le stesse caratteristiche sociodemografiche, sia nel contesto urbano che nella foresta. Tutti i partecipanti sono stati valutati da un gruppo di ricercatori sparpagliati in ogni zona, con una batteria di test per misurare tutta una serie di possibili alterazioni derivanti dall’uso continuativo della sostanza.3 Questi test sono stati ripetuti dopo un anno, con l’intenzione di verificare se i risultati fossero stabili nel tempo. La nostra principale scoperta è stata che, in generale, l’uso rituale di ayahuasca non provoca le alterazioni psicosociali tipicamente causate dall’abuso di altre sostanze. Ma c’è dell’altro: tutti i consumatori di ayahuasca avevano un punteggio migliore nelle prove di capacità di risoluzione dei problemi e, inoltre, non presentavano un maggior indice né di problemi psicopatologici né di deterioramento cognitivo. Tuttavia, queste ricerche realizzate su gruppi di consumatori a lungo termine presentano alcuni limiti metodologici. Uno è il fenomeno di autoselezione, ossia il fatto che ignoriamo quanti individui possano aver abbandonato il consumo a causa di effetti nocivi. In secondo luogo, ci siamo scontrati anche con l’assenza di valutazioni preliminari e misurazioni precedenti al consumo di ayahuasca, e pertanto qualcuno potrebbe supporre che questo gruppo ottenesse un miglior punteggio già prima di iniziare a farne uso. Nonostante questi limiti, a mio avviso, la constatazione più importante di queste ricerche è stata scoprire che i consumatori a lungo termine di ayahuasca ottenevano punteggi molto superiori nelle questioni collegate al senso della vita, alla soddisfazione personale, all’umanità, alla vita intrapsichica, alla capacità di empatia, ecc. I consumatori di ayahuasca non hanno mostrato disturbi della personalità, hanno ottenuto degli indici di psicopatologia inferiori a quelli dei non consumatori, e il loro rendimento cognitivo nelle prove neuropsicologiche è risultato migliore di quello dei non consumatori. Lo

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studio conclude che «non si trovano evidenze di scompenso psicologico, deterioramento della salute mentale o alterazioni cognitive nel gruppo di coloro che fanno uso di ayahuasca». Questi risultati coincidono con quelli riscontrati precedentemente da altri gruppi di ricerca che avevano studiato campioni più ridotti di consumatori. Inoltre, è il primo studio a contemplare un campione così grande di consumatori a lungo termine di ayahuasca. A partire dalla conoscenza, attraverso questi studi, dell’apparente non compromissione delle capacità, sarebbe possibile migliorare i trattamenti psicologici grazie all’ayahuasca e si darebbe inizio a una sfida per la psichiatria: adottare queste sostanze come elemento di possibile utilizzo. Una riflessione: le differenti branche della medicina negli ultimi cinquant’anni hanno fatto enormi progressi in tutti i loro campi. Nell’ultimo mezzo secolo, la medicina, la genetica, la biologia e la farmacologia sono avanzate tantissimo. In oftalmologia, fino a mezzo secolo fa, si potevano prescrivere solo due paia di occhiali: uno per vedere da lontano e l’altro per vedere da vicino. In seguito sono arrivate le lenti multifocali. Ora, in tre minuti, l’oftalmologo è in grado di eliminare la miopia con un laser. L’ematologia, la chirurgia, l’ortopedia, la cardiologia sono estremamente progredite. Esistono oggi defibrillatori negli aeroporti, tecnologie 3d, trapianti... Ci sono trattamenti di ultima generazione per moltissime malattie che fino all’altro ieri erano mortali, così come cure geniche e trattamenti efficaci per tipi di cancro molto aggressivi e perfino la ricerca sull’aids è entrata in una fase incoraggiante. Ma... la psichiatria? La farmacologia psichiatrica soffre di un ristagno atroce. Sono decenni che continuiamo a utilizzare gli stessi antipsicotici. Alcuni degli ansiolitici e degli antidepressivi attualmente più diffusi hanno subito appena qualche variazione negli ultimi cinquant’anni. L’Haloperidol ha più di quattro decenni; il Valium sessant’anni. Il famoso Prozac già ha compiuto i trentacinque... Ma non è tutto: mentre la medicina si è evoluta enormemente, la psichiatria si è arenata trattando solo i sintomi. Non si affronta il problema psichiatrico alla radice: il disturbo, la malattia mentale, vengono corretti con prodotti che modulano solo la risposta immediata ma che non operano sulla coscienza profonda. Nel caso di persone che soffrono di disturbo post-traumatico da stress, che hanno sofferto situazioni di violenza estrema, abusi sessuali, trattamenti degradanti o torture, le medicine non hanno la capacità di risolvere

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questi conflitti e le loro conseguenze. Non si fa altro che somministrare sostanze che provano a modificare i sintomi, senza poter entrare nel fulcro del problema e risolverlo. Per cui la psichiatria accompagna ma non risolve. La teoria psicoanalitica è stata proposta cento anni fa e, per quanto i gestaltici e i transpersonali le abbiano apportato trasformazioni notevoli, la psicoterapia continua a manifestarsi come opzione lunga, imprecisa e cara. È invece qui che gli enteogeni, sostanze visionarie o piante sacre, offrono un’opportunità di utilizzo all’interno di un contesto rituale come supporto per risolvere conflitti intrapsichici. E anche qualora non si riesca a risolverli, almeno si possono ottenere da queste sostanze informazioni, conoscenza, coscienza e accettazione degli accadimenti traumatici. Queste tecniche visionarie aprono nuove opportunità per la salute e, nelle mani di persone qualificate come Claudio, possono servire come strumento di autoconoscenza e soluzione dei conflitti psicologici, specialmente se combinate con aspetti rituali e/o psicoterapeutici. Che cosa permette una sostanza visionaria che non si ottenga con un farmaco psichiatrico? Mentre i farmaci di solito si limitano a correggere il sintomo, queste sostanze ci offrono l’occasione di poter vedere e identificare quello che è accaduto nella genesi della nostra storia personale. La maggior parte delle volte quest’atto di coscienza e autoconoscenza offre l’opportunità di illuminare le ombre delle nostre paure più irrazionali e profonde. Potremmo definire le sostanze visionarie come scorciatoie che permettono al materiale dell’inconscio di affiorare. Alcune delle persone che fanno uso di queste sostanze chiamano l’ayahuasca lo «sciroppo da psicoterapia». L’ayahuasca può far sì che una persona riviva in modo molto sentito un’esperienza traumatica accaduta nel passato. La possibilità di risentire il dolore, la paura o l’ansia generate da questa situazione, rivivendola in un ambiente sicuro e a partire da un’altra struttura psicologica, permette di ricollocare e riordinare quei ricordi, sbloccando alcune delle situazioni di conflitto che si sono venute a creare. Perché questo sia possibile non è necessaria solamente la sostanza, bensì un ambiente e una guida adeguati che permettano questa rievocazione. A partire da lì, ci si può permettere di assumere, accettare e comprendere in modo diverso quella situazione. Ma questa è solo una possibilità: l’ayahuasca è uno strumento che, applicato da mani sagge, può arrivare a offrire esperienze bellissime. Il

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che non significa che tutti quelli che abbiano vissuto un trauma si curino bevendone due o tre volte l’infuso. Non credo che queste sostanze siano la panacea né la soluzione a molte delle sfide psichiatriche. Semplicemente, abbiamo davanti a noi una nuova possibilità che merita di essere esplorata. E il compito della ricerca scientifica è proprio aprire strade ed esplorare possibilità, non assicurare risultati né garantire efficacia. In questo senso, è estremamente importante continuare a reclamare il diritto alla ricerca sulle sostanze psicoattive, poiché il loro utilizzo, a fronte dei problemi derivanti dal loro abuso nella nostra società, è stato quasi sradicato dai governi a causa di pregiudizi e ignoranza. Studiare una sostanza come l’ayahuasca pone seri problemi e ostacoli metodologici, dato che gli attuali sistemi di valutazione delle nuove medicine presentano grandi inconvenienti per le sostanze con queste caratteristiche. Per legalizzare una sostanza medicinale bisogna portare a termine un complicato processo di ricerca e di supervisione che ne dimostri l’efficacia farmacologica, l’assenza di rischi, il controllo delle interazioni, ecc. L’altro problema metodologico risiede nel fatto che è quasi impossibile conoscere il numero di persone che abbandonano il consumo per via di problemi psicologici eventualmente causati da esso. In questo contesto, figure come quella di Claudio sono in testa a una corrente di comprensione e rispetto dell’utilizzo di questo tipo di sostanze. Claudio Naranjo è un referente indispensabile per lo studio e il riconoscimento delle possibilità dell’ayahuasca. Depositario delle tradizioni religiose orientali e della psicoterapia occidentale, che da sempre si impegna a integrare, e grande conoscitore del buddhismo e del sufismo, possiede inoltre un riconoscimento specifico come officiante dei riti della chiesa del Santo Daime e come curatore tradizionale da parte di varie correnti dell’ayahuasca del Sudamerica; è anche un conoscitore di prima mano e come pochi dell’universo sciamanico del continente americano. Claudio realizza da vent’anni percorsi terapeutici e spirituali con l’ayahuasca, in Brasile e in altri luoghi in cui l’uso della bevanda sacra è tollerato dalle autorità. Precedentemente, prima del divieto che ha implicato la “guerra alle droghe” del governo americano, si è dedicato a lungo alla ricerca medica sulle sostanze psicoattive e alla terapia con enteogeni, che tanti buoni risultati terapeutici ha implicato nei decenni tra gli anni ’60 e ’70. Il suo lavoro attuale come facilitatore nelle esperienze con ayahuasca combina la sua amplissima esperienza psichiatrica con la passione per i

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grandi compositori e le meditazioni buddhiste tibetane, in un conglomerato perfettamente combinato che è uno strumento di indiscutibile valore per la trasformazione psicologica delle persone e che gli permette di strutturare un ambiente altamente favorevole e valido per la trasformazione. Nel presente volume, Claudio racconta i passaggi di questo processo, nel quale ha reinventato la tradizione per farla confluire nelle moderne tecniche terapeutiche. I risultati dovrebbero richiamare l’attenzione della comunità scientifica e se ciò ancora non è accaduto, non può essere altro che per la paura e il tabù che, a causa dei pregiudizi che genera l’uso di certe sostanze, invita a fare di tutti gli psicoattivi un solo fascio. Attualmente c’è una certa confusione sullo status legale dell’ayahuasca, giacché in alcuni paesi se ne accetta l’uso religioso, in altri quello tradizionale e in alcuni già si fa ricerca in modo serio e controllato sulle possibili applicazioni terapeutiche, mentre nella maggior parte il suo uso è vietato. L’uso religioso dell’ayahuasca è esplicitamente protetto in Brasile, Stati Uniti, Olanda e Canada. In più, l’ayahuasca è in via di essere considerata Patrimonio Culturale del Perù, della Colombia, dell’Ecuador e della Bolivia. Giuridicamente, l’ayahuasca non è fiscalizzata internazionalmente, in accordo con la relazione del 2010 dell’Organo Internazionale per il Controllo degli Stupefacenti (incb) dell’onu, nonostante contenga un alcaloide controllato, la dimetiltriptamina (dmt), che è il responsabile principale degli effetti psicoattivi. In questo documento, l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda il rispetto e la non persecuzione penale degli usi tradizionali dei decotti di Banisteriopsis caapi, ma lascia che ogni paese interpreti questa raccomandazione in modo sovrano. La Convenzione di Vienna del 1968 ha stabilito i criteri di legalizzazione o proibizione delle sostanze psicoattive come un processo totalmente capriccioso, sottoposto a convenzioni sociali o politiche che non obbediscono per nulla a ragioni scientifiche. Ogni anno si riuniscono i rappresentanti del controllo degli psicotropi e tolgono o inseriscono elementi nella loro lista. Magari tra qualche anno l’alcol e il tabacco appariranno nella famosa lista della Convenzione di Vienna. Tale convenzione ha specificato qualche anno fa che la dmt debba occupare un posto nella lista i, vicino all’eroina, alla cocaina e ad altre sostanze, e debba essere catalogata come un prodotto senza interesse medico, rendendo difficile la ricerca su di essa.

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La dmt è un alcaloide presente in alcune delle piante dalle quali si ottiene l’ayahuasca, come la Psychotria viridis o la Diplopteys cabrerana. Le betacarboline presenti nella Banisteriopsis caapi (un’altra delle piante che servono come ingredienti dell’ayahuasca) agiscono come inibitori delle monoammino ossidasi (imao) e permettono la potente azione psicoattiva per via orale della dmt, che in caso contrario verrebbe disattivata dalle mao. Da sole, né il rampicante Banisteriopsis, né la pianta Psychotria fanno alcun effetto se somministrate per via orale (benché Claudio presenti in questo libro una teoria diversa da quella attualmente vigente). Tuttavia, la loro combinazione nel decotto chiamato ayahuasca o yagé rende possibile il suo potente effetto visionario. Nel mondo stanno accadendo cose assurde e tragiche in relazione con le droghe. Negli ultimi decenni c’è stata un’esplosione delle problematiche connesse al suo uso. Le droghe però sono sempre esistite: il problema lo abbiamo creato nella nostra società malata. Il consumo di sostanze psicoattive è sempre stato accompagnato, nel corso della storia, da un rituale che permetteva di strutturare l’esperienza che esse generano. Oggigiorno il significato del rituale si è perso, così come le persone hanno perso, per la maggior parte, la capacità di seguirlo, di partecipare e di rispettarlo. Come esperto nel trattamento di tossicodipendenze, conosco le esperienze curative che si portano a termine nel mondo con ayahuasca, ibogaina e altre sostanze e piante maestre. Il suo potenziale curativo e disintossicante ha cominciato recentemente a richiamare l’attenzione della scienza medica e dei dipartimenti di salute di vari Stati. In questo senso esistono esperienze interessantissime e vincenti per il trattamento delle tossicodipendenze recidive, come quella realizzata in Perù dal Centro di Riabilitazione delle Dipendenze e di Ricerca di Medicina Tradizionale Takiwasi, o in Brasile dall’Istituto di Etnopsicologia Amazzonica Applicata. Attualmente si stanno sviluppando delle ricerche – appoggiate dal personale medico di alcuni ospedali militari – sull’uso di sostanze visionarie e mdma come risorsa per trattare il problema dei militari delle zone in conflitto con un alto grado di stress post-traumatico, che la psichiatria classica non è capace di affrontare. Un altro problema che preoccupa i detrattori dell’uso di psicoattivi è il loro abuso, così come i potenziali pericoli per la salute fisica e psicologica dei consumatori, possibili fin dalla prima assunzione. Come ab-

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biamo già spiegato, l’ayahuasca non presenta evidenze oggettivabili sulla capacità di produrre dipendenza. Tuttavia il suo uso non è indicato a tutti, e la persona che assiste per la prima volta a una sessione rituale o a un lavoro terapeutico con ayahuasca deve sapere chiaramente quali sono le sue controindicazioni. In questo senso è necessario investigare molto di più: per esempio, oggi si sa che l’ayahuasca, sebbene presenti alcuni tipi di incompatibilità psicologiche e farmacologiche, sembra comunque essere una sostanza sicura, almeno finché quell’indice di urgenze psichiatriche derivate dal suo uso è relativamente basso, soprattutto nei contesti adeguati. Queste controindicazioni devono essere rigorosamente considerate: il suo uso non è raccomandabile qualora sussista qualunque tipo di disturbo psicologico grave. Fattori come la mancanza di una personalità strutturata, l’esistenza o il sospetto di un disturbo della personalità, ecc., indicano che è meglio astenersi dall’uso di ayahuasca, giacché essa è un potente amplificatore del bene e del male. Al di là di questo, durante l’assunzione si possono vivere vere e proprie esperienze paradisiache o, come giustamente dice Claudio Naranjo, visitare purgatori e inferni. Nel caso di un “brutto viaggio” sarà importante essere accompagnati da persone con esperienza che sappiano come comportarsi. I “brutti viaggi” solitamente si risolvono positivamente in poche ore, a condizione che si permetta al soggetto la soluzione del suo vissuto in modo affettuoso, offrendogli un ambiente sicuro, calore umano e accompagnamento terapeutico. La sostanza risulterà più o meno innocua se ci si affida alle mani giuste, dato che contare su una persona esperta risulta fondamentale per il viaggio e, nel mondo dell’ayahuasca, è potenzialmente meno pericoloso un truffatore con esperienza che un benintenzionato che si creda capace di impartire l’illuminazione per via orale. L’esperienza e la buona strutturazione di un facilitatore è una garanzia contro gli effetti indesiderati. Se si rispettano queste precauzioni, c’è un detto tra i consumatori di ayahuasca che recita che i “brutti viaggi” non esistono: esistono solo buoni viaggi, dai quali si impara. Questo libro è prezioso proprio perché stabilisce un percorso terapeutico e spirituale nell’uso rituale dell’ayahuasca e delle piante maestre. Claudio scrisse la prima parte di questo volume negli anni ’60, quando ancora non era apparsa nessuna opera su questo argomento. Perché si pubblica solo ora? L’autore ha aspettato quasi cinquant’anni per completare il libro e portarlo alla luce. Sembra che il mondo che abbiamo creato non sia più sostenibile. Se l’ayahuasca ci aiuta a curarci a livello

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individuale, come può aiutare a curare la nostra civiltà? A livello sociale l’ayahuasca è un potente elemento di coesione della collettività. Un effetto del suo potere visionario è la percezione della totalità, lo sviluppo di una coscienza mistica più acuta e, soprattutto, l’immersione nella spiritualità nel senso più ampio e laico del termine. Tutto ciò significa sviluppare rispetto per i nostri simili, tornare a sacralizzare la natura, prendere coscienza della connessione tra l’uomo e l’ambiente, che troppo spesso, nella nostra cultura urbana, si perde. Il che permetterà di sviluppare il nostro atrofizzato senso della philia: sentire amore, umiltà e riconoscimento davanti a ciò che è più grande di noi; qualcosa che già di per sé è una forma di saggezza. Tutto questo è in contrasto con la realtà di una società anti-intraccettiva come la nostra, piena di progetti egoisti che ci condannano a enormi sofferenze individuali e collettive. In questo libro dunque, Claudio fa convergere varie delle linee più importanti del suo periplo vitale e professionale: l’investigazione e l’uso terapeutico di enteogeni, la meditazione, la musica classica dei grandi compositori – che considera esseri spiritualmente realizzati nella nostra cultura occidentale – ma anche la necessità di un cambiamento nell’educazione, l’urgenza di dare un colpo di timone alla nostra cultura patriarcale perché cambi rotta prima del suo imminente affondamento, la necessità di curare la civiltà e di capire che i mali del mondo sono i mali dell’anima... E soprattutto, nell’avere il coraggio di mostrare per la prima volta al mondo il suo lavoro terapeutico con l’ayahuasca, Claudio diventa il portabandiera di un movimento discreto ma sempre più esteso e armato di ragione per la depenalizzazione di questa bevanda ancestrale e per la rivendicazione del diritto a fare ricerca sulle proprietà delle sostanze psicoattive. Per inciso, queste pagine suggeriscono implicitamente che, invece di reprimere o minacciare, forse è ora che i governi del mondo portino avanti una pedagogia intelligente su come consumare droghe e utilizzarle in modo saggio e cosciente. Il coraggio di alcuni pochi pionieri, come lo è stato Claudio per tante cose, può essere decisivo per la nostra evoluzione nel sempre più incerto giorno di domani. Senza dubbio, tutte le persone coscienti un giorno o l’altro ringrazieranno Claudio per aver scritto questo libro. Josep Maria Fàbregas Dosrius, Barcelona, agosto 2012

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LE MIE ESPLORAZIONI NEL MONDO DELL’AYAHUASCA E DEI SUOI ALCALOIDI (Un’introduzione cinquant’anni dopo)

Negli anni ’60 scrissi un libro sull’ayahuasca che ora si pubblica nella prima parte di questo volume. A quell’epoca, sebbene non fosse uscito alcun altro libro su questo tema, non riuscii comunque a pubblicarlo: mi preparavo a intraprendere un pellegrinaggio spirituale al di là del quale non volevo fare alcun programma, per cui mi affrettai a terminare altri libri in sospeso, con uno spirito paragonabile a quello di qualcuno che prepara il suo testamento. Affinché il mio libro si potesse offrire a un editore, bisognava soltanto inserire le referenze bibliografiche, ma il compito di portare a termine un dettaglio così estraneo alle mie attività degli intensi anni che seguirono fece sì che non me ne preoccupassi più. Essendo apparse tante opere in materia da allora, la sua pubblicazione non mi sembrò più importante e archiviai quel vecchio scritto, pensando di recuperarlo solo se si fosse presentata l’opportunità di affiancargli una seconda parte che rispecchiasse le mie esplorazioni successive. Quel giorno è arrivato, grazie allo stimolo di David Barba delle Ediciones La Llave, che mi ha spronato a pubblicare il mio vecchio libro insieme a un nuovo testo che comprendesse le mie esperienze di lavoro terapeutico con l’ayahuasca degli ultimi venti anni in Brasile. Mi scuso con il lettore per non aver prestato nemmeno adesso troppa attenzione agli aspetti botanici, farmacologici e antropologici della questione, lasciando i vecchi capitoli senza l’aggiornamento che sarebbe stato necessario (a eccezione della mia risposta a Jonathan Ott e altri, alla fine del capitolo 2 della i parte); tuttavia queste informazioni non sono altro che un quadro di riferimento rispetto a ciò che voglio condividere delle mie osservazioni sperimentali e cliniche, e delle mie interpretazioni delle esperienze con l’ayahuasca.

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Ho intitolato l’insieme del libro degli anni ’60 con il suo più recente annesso come Ayahuasca – Il rampicante del fiume celeste. È un implicito riferimento al nome che gli ashaninka danno alla Banisteriopsis caapi: hananeroca, che si traduce come “liana del fiume celeste”. Questo termine si riferisce al fiume in cui le anime dei morti si bagnano per cambiare pelle e diventare eterne. In esso si giustappongono in più le due traduzioni di aya nella parola ayahuasca: “anima” e “morte”. Allude anche al destino finale del processo che le culture sciamaniche comprendono come l’obiettivo del “cammino dell’ayahuasca”, al di là della cura di certe malattie o dell’apprendistato di vita. La Banisteriopsis caapi (ingrediente principale dello yagé, ayahuasca, hananeroca, pinde, ecc.) viene chiamata con frequenza “pianta magica”, e tale è stata nella mia vita; non solo per i suoi effetti – che in due occasioni sono andati più in là di un’esperienza passeggera – ma perché mi ha portato fortuna... Nel 1963 realizzai una breve spedizione in Colombia alla ricerca di piante e informazioni sull’uso dello yagé nell’Alto Putumayo e, al ritorno in Cile, svolsi una ricerca comparativa sugli effetti dell’armalina e della mescalina, i cui risultati apparvero più tardi nel volume Ethnopharmacological Search for Psychoactive Drugs, pubblicato dal Dipartimento di Salute, Educazione e Benessere degli Stati Uniti.4 Nel cominciare quella ricerca mi ero proposto di essere un mero osservatore imparziale degli effetti dei farmaci oggetto di studio, ma presto lasciai da parte questo proposito poiché, già dalla prima sessione, il ruolo puramente scientifico mi sembrò terribilmente artificioso. Mi dissi allora che avrei partecipato spontaneamente alle sessioni, talvolta aiutando come mi fosse possibile, talvolta permettendomi di seguire l’impulso a celebrare implicitamente il mistero con il quale i miei soggetti sperimentali si stavano incontrando. Questo coinvolgimento si tramutò in un apprendistato attraverso il quale tornai a essere terapeuta dopo un periodo di ritiro dalla professione; periodo nel quale, per rispetto verso i miei pazienti, ma anche perché ero cosciente della mia limitata capacità d’aiuto in quel momento, mi ero rifugiato nella ricerca scientifica. Ora, per la prima volta, sentivo che cominciavo a posare i piedi sul mio cammino, nel modo in cui lo avevo intuito durante la mia prima sessione terapeutica con l’lsd nella mia visita iniziale a Berkeley, proprio prima di partire per Bogotà, come trampolino di lancio per viaggiare verso le terre dei cofán e dei sibundoy. In più, per la prima volta, avevo

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fiducia che a ogni passo avrei saputo come fare il successivo. E così fu durante gli anni seguenti, nell’accompagnamento di ciò che avevo concepito originariamente come una situazione sperimentale, e che finì per essere qualcosa di più complesso e indeterminato. Tutto ciò avrebbe costituito un fattore importante perché, poco più tardi, potessi assorbire rapidamente e profondamente l’influenza di Fritz Perls, che fece sì che fossi reclutato dall’Istituto Esalen come parte della sua prima équipe dal 1966 in poi. E questo permise a sua volta che fossi scelto, anni dopo, come uno dei tre successori di Fritz a Esalen, in seguito alla sua partenza per il Canada. Mi stimolò inoltre la curiosità per il mondo dello yagé, a partire dall’incontro con Michael Harner, con il quale mi mise in contatto la segretaria del Dipartimento di Antropologia dell’Università della California a Berkeley, in risposta al mio desiderio di consultare qualcuno con esperienza nel lavoro sul campo nella foresta colombiana. Fu lui che mi presentò Carlos Castaneda quando ci propose di realizzare un seminario congiunto sullo sciamanismo in «quel piccolo luogo così interessante che è sorto a qualche ora da qui verso Sud, a Big Sur». Questo invito mi portò per la prima volta a Esalen, e anche da Fritz Perls, che stava uscendo dalla Casa Grande di Esalen proprio nel momento in cui Carlos e io arrivammo alla sua porta con l’intenzione di conoscerlo. È chiaro che devo molto a Esalen e al mio incontro con Fritz Perls e con la sua terapia gestalt, ma non finisce qui la fortuna che mi ha portato lo yagé... Nel 1966 provai – prima di offrirla ad altri (come per esempio a Leo Zeff, che introdusse il suo uso in California) – una combinazione di armalina e lsd, un’esperienza notevolmente differente da quella indotta dal solo lsd, che avrebbe significato un gradino in più nel mio viaggio dell’anima, più che una semplice alterazione passeggera della coscienza. Questa esperienza fu un’ascensione, giacché costituì un progresso nel mio risveglio spirituale; ma anche una discesa, in quanto tale progresso avvenne attraverso uno spostamento della mia attenzione verso il corpo, la terra, la morte, l’istintivo e, a quanto sembra, le particelle costitutive stesse del mondo materiale. Infatti, questa sessione implicò non solo un viaggio attraverso la morte, ma un cambio di identità nel quale, per un certo periodo, mi vissi come una nuvola di particelle subatomiche alle quali poco importava formare un corpo o piuttosto passare, un giorno o l’altro, a far parte degli elementi della natura. All’uscita da questa transi-

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toria e mai prima immaginata esperienza di immortalità, mi sentii per la prima volta un animale sano; e così come devo allo yagé questo grande salto nel mio lungo processo di guarigione, gli devo anche il poter esser servito tanto più da allora alla guarigione di altri. Alcuni anni dopo, nel 1970, quando volli compiere un salto nel vuoto nell’avventura della mia vita, lasciandomi alle spalle i progetti passati e presenti per aprirmi all’ignoto, mi apprestai a pubblicare sei libri che avevo scritto a modo di testamento intellettuale. Pensai di intitolarne uno Ayahuasca, il rampicante dei morti poiché, sebbene sarebbe stato più naturale chiamare la bevanda yagé, in vista della mia ricerca in Colombia, mi sembrava che la parola quechua ayahuasca avesse il vantaggio di alludere non solo all’anima ma anche all’esperienza di una separazione del corpo e alla morte. Tuttavia, non è del tutto esatta la storia che terminai i sei libri... Da quella tappa interrotta bruscamente nel 1970, poco a poco ho pubblicato tutto il primo raccolto della mia vita: La única búsqueda, La Terapia Gestalt: actitud y práctica de un experiencialismo ateórico,5 La psicología de la meditación, El viaje sanador ed El niño divino y el héroe. Ma il mio libro sullo yagé era ancora senza i riferimenti bibliografici che una buona edizione avrebbe richiesto. E quando tornai negli Stati Uniti dopo all’incirca un anno di pellegrinaggio, ero così concentrato in altre faccende che non mi sentivo disponibile per quelle visite alla biblioteca di Berkeley, nemmeno per la revisione dei materiali fotocopiati che avevo accumulato in casa. In seguito, all’epoca in cui l’ayahuasca incominciava a essere scoperta dalla nostra cultura, arrivai a pensare che, dato il suo interesse, si sarebbe potuta scusare la pubblicazione grezza di quel vecchio libro, ma alla fine mi sembrò preferibile aspettare che il tempo mi permettesse il suo aggiornamento. Sebbene non arrivassi a concretizzare le mie intenzioni, in un altro momento della mia vita questo aggiornamento assunse un nuovo significato, giacché dopo una lunga interruzione mi ritrovai con il mondo della bevanda magica, in un altro paese e sotto un altro nome. Lo spiegherò nell’introduzione alla seconda parte di quest’opera. Accettando l’invito del mio editore a pubblicare questo libro, spero che la paura e il pregiudizio verso “le droghe” non finiscano per danneggiare il mio impegno degli ultimi anni, che è quello di promuovere una trasformazione dell’educazione, e spero che possa favorire un cambiamento più ampio della coscienza della nostra società ed essere utile per

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il mondo in un tempo in cui la civiltà stessa è entrata in una fase di crisi. Non so se i miei sforzi basteranno per superare le potenti difese che si oppongono al cambiamento di un sistema che investe quasi tutte le sue energie nel mantenimento dello status quo, ma non posso non sperare che, anche qualora fallisca la rivoluzione educativa, nel mondo futuro possa essere utile la conoscenza del potenziale di trasformazione di questa “pianta magica”, tanto apprezzata dagli sciamani delle culture autoctone sudamericane, che ne sanno sicuramente più di noi sulla possibile trasformazione della mente umana e che ci considerano, malgrado la nostra arroganza tecnologica, i loro “fratelli minori”. Claudio Naranjo Berkeley-Barcelona, estate 2012

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Psichiatra, esperto di tossicodipendenze

Ricercatore, educatore, terapeuta, maestro spirituale, Claudio incarna la voce ispanica tra i grandi pionieri che hanno rivoluzionato la psicologia transpersonale, l’etnobotanica e l’etnofarmacologia. Dott. Luis Eduardo Luna, Antropologo ed etnobotanico

Dal laboratorio scientifico al mondo sciamanico, la profonda analisi di Claudio sulle esperienze con ayahuasca rappresenta un raccordo di incredibile estensione, un passaggio fino a oggi inedito dalle selve al cuore dell’occidente. Rick Doblin, Direttore del maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies)

ISBN 978-88-97864-51-6

9 788897 864516

25 €

claudio naranjo

Claudio Naranjo è il nesso tra la conoscenza ancestrale e il mondo scientifico. Il suo lavoro ci offre uno sguardo nuovo, al tempo stesso scientifico e umanista, intorno all’appassionante mondo dell’enteogenia. Dott. Josep Maria Fábregas,

Gli indigeni ashàninka chiamano l’ayahuasca hananeroca: “il rampicante del fiume celeste”, un nome che allude al fiume in cui le anime dei morti si bagnano per diventare eterne. Le culture sciamaniche hanno compreso che l’ayahuasca ci insegna – prima di ogni altra cosa – a trascendere la vita. Dall’Amazzonia colombiana alle aule dell’Istituto Esalen, dai laboratori della California ai rituali del Santo Daime, questo libro di Claudio Naranjo rappresenta il bilancio di un lavoro di ricerca sull’ayahuasca lungo oltre cinquant’anni, e offre un resoconto chiaro e coraggioso sui possibili usi delle piante sacre in psicoterapia. Un testo rivolto a tutte le persone interessate all’indagine della Coscienza e all’integrazione tra culti tradizionali e ricerca scientifica.

IL RAMPICANTE DEL FIUME CELESTE

www.claudionaranjo.net

dalla california degli anni ’60 al cuore dell’amazzonia, claudio naranjo racconta la sua rivoluzionaria esperienza psicoterapeutica con le piante maestre

Nel mondo di domani sarà di grande utilità la conoscenza del potenziale trasformatore di questa pianta magica, così apprezzata dagli sciamani delle culture autoctone sudamericane, che sicuramente ne sanno molto più di noi della trasformazione possibile della mente umana, e che ci considerano, nonostante la nostra arroganza tecnologica, i loro fratelli minori. Claudio Naranjo

AYAHUASCA

CLAUDIO NARANJO Nato in Cile nel 1932, Claudio Naranjo, medico psichiatra e antropologo, è uno dei principali esponenti della terapia della Gestalt e della Psicologia Transpersonale. Ricercatore della Coscienza, ha cercato di integrare tradizione e conoscenza scientifica, ricostruzione storica e analisi antropologica, psicologia e spiritualità. È stato uno dei primi ricercatori nell’ambito dell’Etnobotanica applicata alle piante psicoattive e ha sviluppato una teoria dei tipi psicologici basata sull’Enneagramma, un simbolo esoterico di origine oscura. Lungo il suo percorso spirituale, ha ricevuto insegnamenti di maestri come Swami Muktananda, Idries Shah, Oscar Ichazo, Suleyman Dede, S.S. El Karmapa xvi e Tarthang Tulku. Ha fondato l’Istituto sat, una scuola di integrazione psico-spirituale e di auto-conoscenza dedicata ai Cercatori della Verità. Autore di numerosi libri tradotti in tutto il mondo, Claudio Naranjo è membro del Club di Roma e Dottore honoris causa dell’Università di Udine. Recentemente, è stata creata a Barcellona la Fondazione Claudio Naranjo.

claudio naranjo

AYAHUASCA

IL RAMPICANTE DEL FIUME CELESTE Traduzione di Fiorenza Picozza

SPAZIOINTERIORE


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