Oltreconfine 11 – Psicotropia

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11 Se, per dirla con Wittgenstein, «quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», tanto vale fare un breve e silenzioso elenco dei contributi presenti qui dentro (riflessioni, interviste, racconti, confronti). Perché se è impossibile parlare di ciò che si è visto aldilà, figuriamoci quanto sia sensato scriverne qui. E se già hai preso in mano questo libro, fai così: aprilo a caso, punta il dito da qualche parte tra le pagine e leggi la tua personalissima quarta di copertina. Ti sarà quindi chiaro che questo numero di Oltreconfine è una vera e propria sostanza psicotropa.

ISBN 978-88-97864-30-1

9 788897 864301 euro 12,00

A psicotropia

Cronache dai mondi visibili e invisibili

A oltreconfine S Cronache dai mondi visibili e invisibili

Rick Strassman, Stanislav Grof, Aldous Huxley, Tom Robbins, Daniel Pinchbeck, John C. Lilly, Timothy Leary. Psicotropia, Psichedelia, Enteogeni, dmt, lsd, Peyote, Kambo, Iboga, Ayahuasca, Psilocibina, Amanita Muscaria, Aria, Vasca di restrizione sensoriale. E poi: interviste ad Antonio Bertoli, Simone Caltabellota, Yelitza Altamirano Valle; contributi di Enrica Perucchietti, Carlo Magaletti e Lidia Fassio; approfondimenti su Karen Blixen, Gustave Moreau, e altre occasioni di risveglio...

Quaderni di spiritualità arte e letteratura numero 11

psicotropia

Quando le porte della percezione si apriranno, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite.


Oltreconfine 11 Psicotropia © 2013 Spazio Interiore Tutti i diritti riservati L’editore ha soddisfatto tutti i crediti fotografici. Nel caso gli aventi diritto siano stati irreperibili, è a disposizione per eventuali spettanze.

Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli 46 • 00176 Roma Tel. 06.90160288 www.spaziointeriore.com info@spaziointeriore.com illustrazione in copertina Michela Filippini I edizione: settembre 2013 ISBN 88-97864-30-1


Essere illuminati significa essere consapevoli, sempre, della realtà totale nella sua immanente diversità , esserne consapevoli eppure rimanere in condizioni di sopravvivere come animale, di pensare e sentire come essere umano, di ricorrere in ogni caso al ragionamento sistematico. Il nostro obiettivo è di scoprire che siamo stati sempre dove dovremmo stare. Aldous Huxley Le porte della percezione


SommarioU Oltreconfine 11 • Psicotropia

speciale > psicotropia 8

Alice nel paese delle meraviglie

di Maura Gancitano

14 Ayahuasca. La liana degli spiriti

di Walter Menozzi

21 Ayahuasca. Sprofondare d’eternità

di Nicola Bonimelli

28 dmt, la molecola dello Spirito

di Simone Galeazzi

32 Intervista a Rick Strassman

a cura di Simone Galeazzi

34 Le mie avventure con i Wixaritari, il popolo del Peyote

di Luigi Picinni Leopardi

42 Le porte della percezione

di Aldous Huxley

44 La vasca di restrizione sensoriale e il suo inventore, J.C. Lilly

di Massimiliano Palmieri

48 Psicotropia, psichedelia, enteogeni Guida alla lettura 50 Lo psichiatra psichedelico Timothy Leary

di Giorgio Cerquetti

55 Kambo e Iboga Come queste medicine sacre

lavorano in sinergia di Giovanni Lattanzi

60 Iniziazione all’Iboga

di Daniel Pinchbeck

64 Il Fungo magico di Tom Robbins

68 Sulle tracce del Teonanácatl Viaggio a Huautla de Jiménez

di Giovanni Picozza

74 Psichedelia ed esoterismo tribale come tendenza naturale

di Eros Poeta

80 Lo Spirito in maschera Riflessioni sul movimento psichedelico

degli anni Settanta di Paolo Avanzo

84 Ilmatar L’aria cosmogonica

di Andrea Colamedici

riflessioni 90 L’alba di un nuovo paradigma

di Stanislav Grof

96 La dimensione del “sogno” dallo sciamanesimo alle abduction moderne

di Enrica Perucchietti

100 Causa-Effetto

I vantaggi della dimensione materiale di Carlo Magaletti

103 La luna astrologica e l’anima dell’uomo

di Lidia Fassio


confronti 108 Antonio Bertoli

Come una furia nella notte di Andrea Colamedici

116 La sacerdotessa del Colibrì

Intervista a Yelitza Altamirano Valle di Roberta Vian

122 Viaggio nella Sardegna sciamanica

Conversazione con Simone Caltabellota a cura di Maura Gancitano

126 il doppio L’astronave psichedelica

L’accorrente alternativa alla stampa Marcello Baraghini <> Manlio Raug

letteratura 136 Karen Blixen

Imparare a perdere di Mariavittoria Spina

144 Voli senza rete

di Marta Franceschini

148 Uno e tutto

di Johann Wolfgang Goethe

150 Viaggio in metropolitana

di Elisa Picozza

154 Amnesia

di Satvat

160 le porte della percezione libri_esperienze_suggestioni 162 luoghi simbolici La discesa agli Inferi

di Sebastiano B. Brocchi

arte 170 Il canto del cigno elettrico

L’anima dionisiaca dell’arte psichedelica di Satvat Sergio Della Puppa

178 luoghi dell’arte L’irresistibile vocazione di un genio

Il Museo Gustave Moreau di Silvia Tusi

184 vetrina

Odilon Redon

188 visioni di fuoco • Tra cinema e sogno Le suggestioni dell’Horror

di Tristano Vagnoni


Ramon Peregrino, En Cip贸

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speciale

PSICOTROPIA


Speciale > Psicotropia

ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE .........................................

di Maura Gancitano

Conosciuto il volo, camminerete a terra guardando il cielo, perché lassù siete stati e lassù desidererete tornare. Leonardo Da Vinci

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«Alice si stava veramente stufando di stare lì seduta sulla riva accanto a sua sorella senza niente da fare; aveva dato qualche sbirciatina al libro che sua sorella stava leggendo, ma non aveva trovato illustrazioni e nemmeno conversazioni e “A cosa potrà mai servire – pensò Alice – un libro senza figure e senza dialoghi?” E così stava soppesando tra sé e sé (per come poteva, perché la calura della giornata la rendeva sonnolenta e istupidita) se valesse la pena, per il piacere di intrecciare una coroncina di margherite, di tirarsi su e raccogliere i fiori, quand’ecco che improvvisamente le sfrecciò accanto un Coniglio Bianco dagli occhietti rosa».1 È l’inizio di Alice nel Paese delle Meraviglie2 (1865), il racconto ironico e visionario di Lewis Carroll assurto ormai a mito moderno. Alice è una bimba che pensa, ragiona, immagina, inventa e, soprattutto, si annoia. Uno dei suoi pomeriggi monotoni viene però interrotto dall’entrata in scena di un coniglio che corre in preda alla fregola e, mentre corre, dice continuamente tra sé: «Oh cielo! Oh cie-

lo! Arriverò troppo tardi!», estraendo un orologio dal taschino del panciotto per controllare l’ora. La bimba non può resistere, e decide di inseguirlo, arrivando persino a calarsi in un cunicolo scavato sotto una siepe. Qui Alice inizia a cadere come in un profondissimo pozzo («Probabilmente mi sto avvicinando al centro della Terra») e, quando finalmente arriva davanti alla porta d’ingresso che il Coniglio Bianco ha appena attraversato, la trova chiusa a chiave. L’unico modo per entrare è bere da una bottiglietta su cui è scritto bevimi. «Non c’era niente di male a dire “Bevimi”, ma la saggia piccola Alice non intendeva farlo con troppo slancio. “No, prima guardo – disse – e controllo se è descritto come veleno oppure no”, perché aveva letto parecchie storielline di bimbi che erano rimasti bruciati, divorati da una belva e altre vicende sgradevoli».3 Una volta che diventa della grandezza giusta per poter entrare dalla porta, però, Alice si accorge di aver dimenticato sul tavolo la chiave per aprire la serratura.

1. L. Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, Stampa Alternativa 2008, p. 17. 2. Il titolo originale era Alice’s Adventures Underground. 3. L. Carroll, Alice, cit., pp. 22-23.

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Davanti a lei compare allora un pasticcino su cui è scritto mangiami, e ne mangia uno, e diventa altissima. A quel punto, la bimba non sa più dire chi è. Usare la logica – tanto cara a Carroll – diventa sempre più difficile, e Alice dubita di essere ancora se stessa. Per tutto il racconto ripete a memoria le filastrocche e le poesie che in genere ricorda così bene, e ogni volta le storpia senza pietà. «“Mamma mia, mamma mia! Oggi tutto è così strano! E ieri era tutto come al solito. Mi chiedo se sono stata scambiata nella notte. Lasciatemi pensare: stamattina quando mi sono alzata ero proprio la stessa? Quasi quasi mi pare di ricordare di essermi sentita un po’ diversa. Ma se non sono la stessa, la domanda successiva è: ‘Chi cavolo sono? Ah, questo è il gran mistero!’” E inco-

minciò a passare mentalmente in rassegna tutte le bambine della sua età che conosceva per vedere se si fosse trasformata in una di loro».4 A quel punto inizia a piangere, e le sue lacrime pesano così tanto e sono così abbondanti che, quando riesce a rimpicciolirsi di nuovo, si ritrova in un mare in cui rischia di affogare. Riesce a salvarsi insieme ad altri animali (un Topo, un Dodo, un’Anatra, un Lori e un Aquilotto) e con loro raggiunge la riva. Qui capisce che il posto in cui si trova risponde a delle leggi totalmente diverse da quelle del “mondo di sopra”, e i personaggi che incontra – irascibili e decisamente matti – non riescono a fare niente di logico. Alice si ritrova in una foresta di simboli, un luogo fantastico in cui è lei a essere il

4. Ivi, pp. 28-29.

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LE MIE AVVENTURE CON I WIXARITARI, IL POPOLO DEL PEYOTE .........................................

di Luigi Picinni Leopardi

Sappiate che da nulla non si genera nulla e che il simile fa il simile. dalla Turba Philosophorum

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Incidents of Travel in Central America, Chiapas and Yucatán venne pubblicato nel 1844, contemporaneamente a Londra e a New York. Il libro consiste in una serie di originali resoconti aneddotici che descrivono le esperienze vissute da John Lloyd Stephens – avvocato statunitense nonché diplomatico, scrittore e studioso di Belle Arti alla Columbia University di New York – e dal suo compagno di viaggio Frederick Catherwood – disegnatore e artista inglese – in Messico, Guatemala e Honduras alla scoperta delle rovine dimenticate delle leggendarie città dei Maya classici. Enorme fu la risonanza scientifica e culturale di tale opera di divulgazione che rimetteva in discussione lo status quo delle conoscenze storiche e archeologiche dell’epoca, completamente stravolto dall’improvvisa irruzione sulla scena di questi autentici “greci d’America”, come vennero infatti definiti i Maya per l’altissimo livello delle realizzazioni artistiche e architettoniche e la straordinaria padronanza della matematica e dell’astronomia. Opere rese ancora più interessanti dall’insondabile mistero, tuttora irrisolto, sulla loro ori34

gine, che alcuni vedevano nelle perdute tribù di Israele, nella civiltà egizia, cinese o in quella atlantidea, e secondo altri addirittura di provenienza extraterrestre. Una civiltà mitica grazie anche all’enigma, altrettanto inesplicabile, della sua improvvisa scomparsa mille anni prima che venissero riportati alla luce, in luoghi alquanto isolati e inospitali, i grandiosi centri cerimoniali ricchi di palazzi e piramidi – un tempo sontuosamente colorati e decorati – completamente ricoperti dalla fitta e lussureggiante vegetazione tropicale, dei quali nemmeno più gli abitanti dei luoghi conoscevano alcunché. Fu così che, quando giunse dal Messico Settentrionale la portentosa notizia secondo la quale – incredibilmente – tra le scoscese e irraggiungibili montagne della Sierra Madre Occidentale, ancora in buona parte inesplorata, vivevano nel più completo isolamento gruppi di cacciatori, raccoglitori e agricoltori seminomadi che mantenevano vivi i rituali e le tradizioni proprie della Mesoamerica ancor prima dell’invasione spagnola (e in alcuni casi risalenti al periodo neolitico), il parallelo con la scomparsa della civiltà


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Maya venne utilizzato al fine di penetrare il mistero e l’enigma di quest’ultima, come di quella Tolteca, mediante lo studio etno-antropologico di questi irriducibili sopravvissuti. Karl Lumholtz, norvegese, Leon Diguet, francese, e Konrad Theodor Preuss, tedesco, che per primi si addentrarono tra la fine del xix e l’inizio del xx secolo nella Sierra Misteriosa, costretti quali autentici pionieri a raggiungere a dorso di mulo l’antico e remoto enclave tradizionale, seguendo un itinerario che comportava diversi giorni di ardue peripezie, ebbero la fortuna di conoscere la segreta realtà del mondo wixarika nella sua forma più intatta e originale, e subito rilevarono con enorme sorpresa l’inverosimile sopravvivenza del culto enteogenico del Peyote (Lophophora Williamsii), ritenuto estinto da secoli a causa dell’immane e subitaneo collasso provocato dalla Conquista alle strutture sociali, politiche e religiose degli sconfitti. L’interesse per la magica Pianta di Potere, dalle proprietà mistiche e soprannaturali, appare evidente nella loro opera, mentre in Europa la mescalina veniva sperimentata da emblematiche figure di studiosi e letterati come Havelock Ellis. Allo stesso tempo, anche i sopravvissuti delle tribù native nordamericane – oramai allo sbando – sradicati dai loro territori aviti e rinchiusi nelle riserve, vittime dell’alcolismo e del genocidio culturale, dopo il fallimento dell’ultima ribellione in nome della “danza degli spiriti” abbracciarono il culto del Peyote, propagatosi dal Messico attraverso il contatto con le tribù di frontiera, come quella degli Apache. Da allora, e ancor di più adesso, passando per l’opera di Antonin Artaud, la Beat Generation, le Porte della Percezione e il fenomeno Carlos Castaneda, tale com-

plesso culturale è assurto al ruolo di icona dell’uso rituale, misterico, esoterico, magico e regale delle Piante Maestre di Potere, cardine ed essenza dell’insegnamento iniziatico proprio della Grande Tradizione Primordiale. In molti si chiederanno il perché di un così singolare interesse per l’arte e l’originale visione del mondo dei Huicholes o Wixaritari del Messico. La ragione risiede nel fatto unico e portentoso che ancora, nel corso degli ultimi cinquecento anni, essi sono riusciti a conservare integro e vitale l’arcaico Culto Solare della Natura, proprio delle civilizzazioni planetarie dell’Età Aurea. Solo da una manciata di generazioni in poi, essi sono passati dall’anonimato alla notorietà, proprio in virtù di tale mistero antropologico. La ragione è più che ovvia: nell’immaginario collettivo contemporaneo, essi rappresentano, con la loro esemplare resistenza, una delle possibili alternative all’attuale stato di emergenza planetaria. Nella Sierra de los Huicholes, governata da sempre secondo le regole del Diritto Ancestrale, il credo è che la Natura e le sue Potenze esigono rispetto e venerazione, di contro allo scempio irreparabile

Cactus Peyote Lophophora williamsii

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KAMBO E IBOGA Come queste medicine sacre lavorano in sinergia .........................................

di Giovanni Lattanzi

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Quando decisi di fare il mio primo incontro con l’Iboga iniziò in me immediatamente, già sei mesi prima della cerimonia stessa, un processo profondo. Ebbi l’intuizione che la mia vita sarebbe cambiata radicalmente, ed ebbi paura. Dopo aver assunto l’Iboga per la prima volta, la mia vita effettivamente cambiò molto: mi liberai da uno spirito cattivo ereditato dai miei antenati che viveva dentro di me, divenni più tranquillo, cominciai a fare i trattamenti di Kambo, le mie doti di guaritore iniziarono a esprimersi per essere condivise. Qualche mese fa ho partecipato alla mia quarta cerimonia. Il mio processo sta ancora andando avanti, ma in un modo più sottile, e mi permette ogni volta di disporre di maggiore libertà dai miei vecchi schemi (la paura di essere ingannato, la tendenza ad avere le cose eccessivamente sotto controllo) e favorisce l’incremento della mia capacità di concentrazione, la manifestazione delle mie doti e dei miei talenti nella vita quotidiana e nell’ambiente di lavoro. Quando ho ricevuto la chiamata da parte dell’Iboga, mi sono preparato con molta cura alla mia prima cerimonia. In quel periodo facevo regolarmente trattamenti di Kambo. Seguendo la mia intuizione,

confermata dalle esperienze vissute con questa medicina, la migliore preparazione per la cerimonia di Iboga sarebbe stata quella di aumentare il dosaggio del Kambo per alcuni mesi. Quindi raddoppiai i trattamenti chiedendo a Cesar, il mio curandero, di somministrarmi il dosaggio normale su entrambi i lati del mio corpo. Ogni mese, cioè ogni volta che ricevevo un nuovo trattamento, aumentavo il numero delle bruciature su cui si applica la medicina. Abbiamo iniziato da sette punti su entrambi i lati per finire con dodici punti. Malgrado le resistenze e i timori, la mia prima cerimonia di Iboga fu tranquilla, almeno dal punto di vista fisico: niente nausea, né vomito. A un certo punto, dopo aver ingerito una notevole quantità di Iboga, uscii dal tipi dove stavo, e sentii un’energia dalla forma di uovo che mi avvolgeva totalmente. Per la prima volta nella mia vita provai nel mio corpo e intorno a esso un’energia nella forma di una torcia di fuoco: era l’Iboga, ma era anche me. Dopo quell’esperienza, ho deciso di seguire sempre una preparazione di questo tipo, aumentando il dosaggio del Kambo in prossimità della cerimonia. Sembra che l’energia del Kambo e dell’Iboga si piacciano a vicenda. Nel 2010, in Finlandia, ho iniziato a dare 55


Speciale > Psicotropia

io stesso cerimonie di Iboga, aiutando le persone a prepararsi nel modo che avevo sperimentato. La maggior parte di loro ha avuto già, come me, una certa esperienza con il Santo Daime, l’Ayahuasca. In questi casi, riduco la preparazione alla cerimonia a tre trattamenti Matsés, i trattamenti di Kambo che ho sviluppato io stesso. Quando, invece, le persone non hanno mai assunto sostanze psicotrope, mi assicuro che siano in grado fisicamente ed emotivamente di gestire questa energia. Secondo la mia esperienza, il corpo deve diventare abbastanza sano e forte per poter attraversare un processo relativamente tranquillo con l’Iboga. Seguendo la mia preparazione, è possibile vivere la cerimonia senza dover sostenere un peso eccessivo a livello fisico, ma facendo esperienza di un cambiamento interiore molto profondo. La mente deve essere allenata a concentrarsi sull’attimo presente, sul respiro. Grazie al Kambo, le persone ricevono dapprima una guarigione profonda del loro corpo, dopodiché – rimuovendo gli ostacoli emotivi che stanno affrontando e facendo chiarezza sul proprio intento – sperimentano una progressiva manifestazione nella vita quotidiana delle loro potenzialità interiori. Durante la cerimonia, l’Iboga può quindi guarire problemi fisici e le malattie – spesso legate a blocchi emotivi – in un modo più profondo rispetto al Kambo. Quello che avviene è un risettaggio totale di ogni cellula del corpo e del dna stesso. È bene fare domande allo Spirito dell’Iboga per sapere, ad esempio, da dove provengono una certa malattia o un atteggiamento disfunzionale verso la vita e come si sono originati. Se la domanda è chiara, la risposta sarà altrettanto limpida. L’Iboga risponde sempre e con molta precisione. 56

Quando si comincia a lavorare con quest’energia la prima sfida – anche se non ce ne accorgiamo subito – consiste nell’affrontare il nostro ego: ciò che Eckhart Tolle chiama il corpo di dolore. Questo Spirito lavora su molti piani: fisico, emotivo e spirituale. A livello spirituale dà la possibilità di riconoscere i blocchi e gli schemi emotivo-mentali che regolano la nostra vita. Lavorando sull’ego, abbiamo bisogno di una volontà ben chiara e di molta energia. Se ci scoraggiamo facilmente o abbiamo idee contraddittorie su quello che vogliamo raggiungere non andremo lontano e i risultati non arriveranno. Di solito sprechiamo la nostra energia con pensieri negativi e abitudini malsane, emozioni negative, idee preconcette su noi stessi, e limitiamo in questo modo le nostre potenzialità. Nel linguaggio dell’informatica, si potrebbe dire che ci sono stati installati dei programmi da cui non vogliamo – né sappiamo – come liberarci. Tutti possono rendersi conto della ripetizione continua di pensieri, emozioni e comportamenti, a volte ossessivi, che riempiono la mente, come se ci fosse un nastro che continua a girare. Più ci identifichiamo con questo nastro, più rafforziamo la gabbia in cui viviamo. L’ego è costituito essenzialmente dall’identificazione della mente con il corpo di dolore, e questa combinazione ha un potere enorme sulla nostra vita. Quando decidiamo di sfidarlo, allora diventiamo come Ercole, l’eroe della mitologia greca che deve affrontare numerose sfide per diventare una persona libera. L’ego, un drago dalle mille teste, non ci lascerà però andare via così facilmente. Per questa ragione, quando lavoriamo con il potente Spirito dell’Iboga, è necessario avere un intento chiaro, una notevole quantità di energia e un


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PSICHEDELIA ED ESOTERISMO TRIBALE COME TENDENZA NATURALE .........................................

di Eros Poeta

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L’argomento è molto interessante; parlo da curioso indagatore della natura umana, da scienziato, e anche sotto il punto di vista dell’ispirazione spirituale.
Per ambientarmi, trovo utile usare l’immaginazione per ricordare un passato per me prenatale, ma ciononostante non troppo lontano da questo principio di terzo millennio. Mi riferisco a un paio di secoli fa. In quell’epoca, l’esperienza sociale era molto diversa dall’attualità, tanto differente da rendere alquanto fanciullesche le attuali ricostruzioni cinematografiche, emozionanti ma costituite da una trasposizione goffa della nostra quotidiana forma mentale in un contesto sociale differente solo in apparenza. Lungi dall’essere verosimili, tali film obbediscono evidentemente alle esigenze di pubblico, il quale per essere intensamente “intrattenuto” desidera sperimentare una più completa possibile identificazione psicologica, la quale richiede appunto una elevata coincidenza di elementi psicologici salienti come base per attuare il transfert

coscientivo... Ma questa è un’altra storia. In altre parole, e non solo nel recente passato, l’essere umano è sempre stato interessato alle esperienze inebrianti. Nelle valli montane, è frequente sentir parlare dei funghi matti (solitamente Psilocybe, ma anche Amanita Muscaria). Gli anziani montanari, durante le loro passeggiate, ne raccoglievano in quantità, per poi macerarli nel vino o nella grappa, e trascorrere la serata nell’ebrezza psichedelica. Esiste una quantità infinita di sostanze naturali che producono stati di coscienza alterati. In Messico nel passato era comune raccogliere e cibarsi di piccole lumache che sono solite ammassarsi all’ombra dei cacti chiamati San Pedro; la loro carne era fortemente impregnata del principio attivo enteogeno1 tipico di questa specie di cactus. Il perché l’essere umano sia sempre stato attratto da esperienze psichedeliche appare candidamente connesso con il desiderio di esplorazione, la sete di conoscenza, l’amore per il nuovo. La teosofa

1. Neologismo derivato dal greco antico e formato da ἔνθεος (entheos) e γενέσθαι (genesthai), interpretabile con “che ha Dio al suo interno” o “generante Dio interiormente”.

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Speciale > Psicotropia

Amanita Muscaria

conosciuta nell’occultismo con l’acronimo di Maestra hpb affermava che le popolazioni tribali avvezze alla trasmissione orale di lignaggi, e sostanzialmente immobili dal punto di vista del progresso sociale, tecnologico e culturale, erano costituite da individui la cui scintilla divina era “ritardataria”. Sotto un certo aspetto, queste popolazioni sono custodi del tempo.2
La nostra società è invece costituita, secondo hpb, da essenze spirituali “pioniere”, il cui impulso porta a continui cambiamenti, progressi, ma anche errori e guerre.
Interessante il fatto che le più incredibili forme rituali, ricette e conoscenze legate all’utilizzo di misteriose miscele psicotrope, costituiscano parte integrante dell’esperienza

di vita di quei “ritardatari”... Quasi che queste popolazioni cercassero la loro propria esperienza di vita in altri mondi, sfogando in questi la naturale esigenza di novità dell’Anima umana, e conservando immutata la loro quotidianità. In fondo, per ritirarsi a compiere un viaggio sciamanico, non vi è alcuna differenza tra un loft milanese e una capanna di paglia immersa nella giungla. Per contro, non ritengo neppure strano che molti possano pensare che quest’ultima sia più appropriata: difatti, escludendo le più becere visioni della scienza materialistica, è oramai sufficientemente riconosciuto il collegamento tra i nostri equilibri vitali e l’ambiente naturale, come anche è nota in tal senso la rilevanza negativa dell’urbanizzazione a base di cemento e asfalto sul piano dell’umore e del benessere psicofisico. Oggi trovo curioso osservare da un lato il borbottante bigottismo nei confronti di qualunque stato alterato prodotto da sostanze naturali, e dall’altro l’aumento costante nell’utilizzo di farmaci3, integratori4 e nella ricerca di esperienze sociali roboanti, quali discoteche, film esplosivi, orge, sport estremi, tifoseria, videogame e realtà virtuale... A tal riguardo, ritengo utile notare che nell’essere umano le esperienze psichedeliche risultano connaturate. Ogni sostanza psichedelica naturale produce i suoi effetti in ragione di specifiche molecole, e ciascuna di queste

2. È certamente rilevante, quanto allarmante, che proprio tali popolazioni siano oggetto di persecuzioni e stermini di massa da decenni, operati generalmente per motivazioni lucrative da grandi corporazioni, tanto da essere a ragione considerate in via di estinzione. Questa situazione si mantiene purtroppo sempre lontana dagli onori della cronaca, al probabile scopo di salvaguardare i medesimi interessi economici. 3. È noto che la maggioranza dei farmaci devono i loro effetti alla presenza di elementi chimici di sintesi derivati da corrispondenti elementi naturali, individuati proprio nelle droghe. Primo tra tutti, il Papavero da Oppio. 4. In questo periodo di crisi economica globale, il mercato degli integratori sta avendo un enorme successo, principalmente a causa di alcuni principi attivi potenziatori sessuali maschili e sensibilizzanti femminili. Non a caso, nel mondo dei farmaci i venditori di Viagra fatturano ancora miliardi di euro l’anno.

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Riflessioni

L’ALBA DI UN NUOVO PARADIGMA .........................................

di Stanislav Grof * www.stanislavgrof.com

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Nel 1962 Thomas Kuhn, uno dei filosofi più influenti del ventesimo secolo, pubblicò La struttura delle Rivoluzioni Scientifiche. Dimostrò, sulla base di quindici anni di studio intensivo di storia della scienza, che lo sviluppo di conoscenze sull’Universo in varie discipline scientifiche non è un processo di graduale accumulo di dati e di formulazioni teoriche sempre più accurate, come di solito si crede. Piuttosto, mostra un carattere chiaramente ciclico, con fasi specifiche e dinamiche caratteristiche, che possono essere comprese e perfino predette. Il concetto centrale della teoria di Kuhn, che rende tutto ciò possibile, è quello di paradigma. Un paradigma può essere definito come una costellazione di credenze, valori e tecniche, condivisi dai membri della comunità in un determinato periodo storico. Disciplina le attività di pensiero e di ricerca degli scienziati, finché alcuni dei suoi assunti di base non vengono seriamente minacciati da nuove osservazioni. Ciò porta a una crisi e all’emergere di suggerimenti per modi radicalmente nuovi di vedere e interpretare i fenomeni che il vecchio paradigma non è in grado di spiegare. Alla fine, una di queste alternative soddisfa i requisiti necessari per

diventare il nuovo paradigma, dominando così il pensiero nel periodo successivo della storia della scienza. I più famosi esempi storici di cambiamenti di paradigma sono stati la sostituzione del sistema geocentrico tolemaico operato del sistema eliocentrico di Copernico, Keplero e Galileo; il rovesciamento della teoria del flogisto di Becher in chimica, praticato da Lavoisier e Dalton; e i cataclismi concettuali in fisica nei primi tre decenni del xx secolo, che hanno minato l’egemonia della fisica newtoniana e dato vita alle teorie della relatività e della fisica quantistica. I cambiamenti di paradigma tendono a manifestarsi come una grande sorpresa per la comunità accademica tradizionale, in quanto i suoi membri tendono a confondere i paradigmi principali per una descrizione accurata e definitiva della realtà. Così nel 1900, poco prima dell’avvento della fisica quantistica relativistica, Lord Kelvin dichiarò: «Non c’è nulla di nuovo da scoprire in fisica, ora. Non restano che misurazioni sempre più precise». Negli ultimi cinque decenni, varie strade della moderna ricerca sulla coscienza hanno rivelato una ricca gamma di fenomeni “anomali”; esperienze e os-

* Brano tratto da S. Grof, La nuova psicologia, Spazio Interiore 2013.

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Riflessioni

Davide Calandrini, Stanislav Grof

Stanislav Grof è uno psichiatra con più di cinquant’anni di esperienza nella ricerca di stati non ordinari di coscienza indotti da sostanze psichedeliche e vari metodi non farmacologici. Attualmente è professore di Psicologia presso il California Institute of Integral Studies (ciis) a San Francisco e conduce in tutto il mondo programmi di formazione professionale in Respirazione Olotropica e psicologia transpersonale, in grado di aprire le porte in modo del tutto naturale alle dimensioni più profonde della psiche e al proprio poten-

ziale di guarigione e di autoconoscenza. È uno dei fondatori e principali teorici della psicologia transpersonale e il presidente e fondatore dell’Associazione Transpersonale Internazionale (ita). Tra le sue pubblicazioni ci sono oltre centocinquanta articoli in riviste professionali e oltre venti libri, tra cui La Nuova Psicologia, Psicologia del Futuro, Quando accade l’impossibile, L’ultimo viaggio, Guarire le ferite più profonde, La tempestosa ricerca di se stessi e Respirazione Olotropica (gli ultimi due scritti con Christina Grof ).

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Confronti

ANTONIO BERTOLI Come una furia nella notte .........................................

di Andrea Colamedici

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Ricordo ancora un gioco che da bambino mi sconvolse, la cui domanda iniziale era: dove hai perso la chiave? Su un foglio veniva disegnata una piazza con una fontana al centro, ossia un cerchio con all’interno un cerchietto più piccolo. Una strada collegava quella piazza a un castello: due linee che conducevano verso due piccole torri. In quel tragitto – stando alle parole di chi mi sottoponeva il gioco, a cui sarò sempre grato – io avevo perso la chiave, che ora potevo finalmente ritrovare. Ancora oggi sorrido ripensando allo stupore che mi pervase quando scoprii che era il disegno stesso a essere la chiave. Era lì, formata dall’unione della piazza, della strada e del castello. Ecco, credo di aver intravisto qualcosa di simile nel lavoro di Antonio Bertoli, fondatore della libreria e casa editrice City Lights, scrittore e artista a cavallo tra Hamer e Ferlinghetti, i Tarocchi e l’Albero Genealogico, l’Arte e la Psicomagia. «Le cose ci scoprono nello stesso tempo in cui noi scopriamo loro», scriveva il filosofo francese Jean Baudrillard. Allo stesso modo, mettersi in cammino verso la scoperta delle nostre radici permette ai frutti dell’albero genealogico di giungere a maturazione, offrendosi amorevolmente a noi. La bellezza della ricerca accade quando non si distingue più il confine tra arte e scienza; quando poesia e medici108

Tutto cambia e niente cambia Finiscono secoli e tutto continua come nulla finisse Come le nubi ancora s’arrestano a mezzovolo come dirigibili presi tra venti contrari E la febbre dell’efferata vita di città ancora strozza le strade Lawrence Ferlinghetti

na viaggiano in coppia nella mongolfiera della verità. Affinché questo accada è necessario risalire il fiume della propria famiglia: tra gorghi profondi e moti impetuosi, tra rocce appuntite e cascate impreviste, Antonio Bertoli gioca seriamente a far recuperare ai viaggiatori il dono segreto degli antenati, curando così le relazioni con se stessi e con gli altri. La mongolfiera, insieme strumento e meta, è l’atto poetico: archetipo frattale che, a uno sguardo attento, divertito e lontano, appare come la chiave stessa del gioco. Come nacque la tua libreria e casa editrice City Lights Italia? Eravamo già molto amici quando un giorno Lawrence Ferlinghetti mi disse che ero l’unico a cui avrebbe affidato la creazione di un’altra City Lights, oltre alla storica casa editrice da lui fondata nel 1953. Non ci pensai due volte e andai a San Francisco, da lui e da Nancy Peters, a racimo-


Confronti

lare un po’ di contratti. Tornato in Italia trovai con un socio un posto a Firenze, a San Niccolò. Prima ancora di stampare i libri partimmo con la campagna abbonamenti con sei titoli già predisposti, tra cui due di Ferlinghetti e un libro di Claudio Lolli, ricevendo in breve moltissime adesioni. La grande inaugurazione della libreria coincise con l’apertura della casa editrice: cominciammo così, facendo reading e piccole esposizioni tutti i giorni nella nostra piccola libreria – composta quasi esclusivamente di libri di poesia – aperta dalle 5 del pomeriggio alle 3 della mattina. Avevamo appena aperto, nel ‘95, quando capitò per caso Alejandro Jodorowsky, che fino ad allora non aveva mai pubblicato poesia. Passarono poi Ferlinghetti, Arrabal, John Giorno, Anne Waldman, Ed Sanders e molti altri. E al Teatro Puccini organizzammo anche I miei primi vent’anni, una serie di incontri in cui grandi autori, tra cui Guccini e Gaber, raccontarono il primo ventennio della loro vita. Avevo già il pallino della psicogenealogia! Cosa ricordi dei tuoi primi vent’anni? Sono nato in una famiglia di modeste condizioni, mio padre magazziniere e mia madre una dolcissima bambina, mai cresciuta, una brava donna. Avevo dei grossi problemi da ragazzo, essendo cresciuto in un paesino della bassa Padania, in provincia di Rovigo. Oggi che ho recuperato pienamente le mie origini la chiamo con affetto la mia piccola Mesopotamia, quel lembo di terra tra il Po, l’Adige e il mare. Allora non sapevo neanche dove fossi, perché quel posto praticamente non esiste. D’inverno e in autunno c’è una nebbia talmente fitta che non si vede a un metro. Credo che questo abbia contribuito molto alla mia imma-

Antonio Bertoli

ginazione, perché dovetti immaginare anche gli alberi. A tredici anni e mezzo formai quasi per disperazione il mio primo gruppo, chiamandolo – guarda caso – Il Risveglio. Avevo però un insegnante di atletica leggera, con cui saltavo in alto con ottimi risultati. Faceva parte di un gruppo gurdjieffiano e per allenarmi a saltare mi faceva esercitare con la spada, ottenendo benefici impensabili. Mi spiegò che quel tipo di allenamento era legato ai concetti di macchina biologica e di lavoro. Entrai nel suo gruppo a quattordici anni e ci rimasi fino ai diciotto, mentre a diciassette andai via di casa. Studiai poi al Dams di Bologna, quello di Umberto Eco e Paolo Fabbri. Era il ‘76 e occupammo quasi subito. Per me non fu affatto un periodo turbolento, quanto piuttosto una fase fortemente creativa. Avevamo un collettivo che si chiamava Notre Dams e AmsterDams, con cui facevamo scambi culturali molto forti, bellissimi murales, lezioni auto-organizzate. Nulla a che fare con gli Indiani Metropolitani o i gruppi dell’autonomia. Eravamo anarchici, cani sciolti. Fu bello perché praticammo un vero scambio con gli abitanti della città, organizzando perfino cene in piazza a soggetto. Ricevetti molto da tutta l’autogestione, dalle lezioni di altissimo livello 109


Letteratura

KAREN BLIXEN

Imparare a perdere .........................................

di Mariavittoria Spina

A

in memoria di un’assenza

Di tutti i doni della Creazione, la risata sembra uno dei pochi riservati esclusivamente al genere umano e può intendere varietà diversissime di stati d’animo, dalla pura allegria alla malizia sarcastica. Karen Blixen esplorò questo dono e molti altri in tutte le sfumature, faceva del saper ridere un tratto distintivo nell’atteggiamento verso la vita: «Quelli della tua tribù» scrisse, riferendo con orgoglio le osservazioni dei suoi lavoranti africani, «non si arrabbiano mai, voi ridete».1 Ridere in faccia al destino può sembrare una scelta irriverente, ma diventa un traguardo della coscienza se sancisce la consapevolezza di essere né vittime né carnefici, bensì semplicemente protagonisti, nella propria vita, anche di ciò che gli altri non esiterebbero a definire un dramma. In questo senso, la risata da motivo di scherno diventa un segnale di accettazione dell’inesorabile esattezza dell’esistenza, l’equilibrio tra fato e destino, una precisione retta dalla legge di causa ed effetto, il karma, e dal suo agente divino, nemesi, di cui trattano tutti i racconti di Karen Blixen: «Ora, pensandoci, capì che aveva cercato

per tutta la vita l’unità delle cose, il segreto che collega tutti i fenomeni dell’esistenza. [...] Come gli amanti diventano una cosa sola nel loro amplesso, così l’uomo è una cosa sola col proprio destino, e deve amarlo come ama se stesso».2 In modo analogo, Karen Blixen considerava Je responderay, il motto del casato dell’amato Denys Finch Hatton, che attribuisce grande valore al rispondere assumendosi le proprie responsabilità: «Nelle lunghe valli degli altopiani africani sono stata circondata e seguita da echi soavi come quelli di una cassa armonica. Laggiù la mia vita quotidiana era piena di voci che rispondevano, non parlavo mai senza ottenere risposta, parlavo liberamente e senza soggezione, anche quando tacevo. [...] In secondo luogo amavo il motto dei Finch Hatton per il suo contenuto etico. Io risponderò di quello che dico o faccio; corrisponderò all’impressione che do. Sarò responsabile».3 Karen Blixen amava avvalersi di pseudonimi, i suoi conoscenti la chiamavano in modi diversi a seconda del grado di confidenza che potevano permettersi e del ruolo che ella soleva interpretare per loro: in famiglia era Tanne, per l’amato

1. “Negri e bianchi in Africa”, in K. Blixen, Dagherrotipi, Adelphi 1995, trad. it. di B. Berni, pp. 11-12. 2. Dal racconto “Il campo del dolore”, in K. Blixen, Racconti d’inverno, Adelphi 1989, trad. it. di A. Motti, p. 72. 3. “I motti della mia vita”, in K. Blixen, Dagherrotipi, cit., pp. 317-319.

136


Letteratura

Denys divenne Titania, la regina shakespeariana delle fate, decisione profetica dal momento che il loro idillio non durò più dello spazio di un sogno. Altrettanto numinosa fu la scelta di Isak Dinesen, lo pseudonimo con cui si affermò nel mondo della letteratura: mentre Dinesen corrisponde al suo cognome da ragazza, il nome ebraico Isak significa “colui che ride”, a indicare il suo tentativo di riconciliare l’unicità della risposta alla vita da parte dell’individuo con i fini della collettività dalla quale trae origine, in altre parole le aspirazioni destiniche dell’essere umano e il karma familiare. Karen Christentze Dinesen nacque il 17 aprile del 1885 nella tenuta di famiglia a Rungsted, sulla strada tra Elsinore e Copenhagen. Detestando il monotono clima di egualitarismo che si respirava nella casa, dominata dalla moralità delle austere donne della famiglia materna, trovava unica consolazione nel suo rapporto di elezione con il padre: «Era Wilhelm Dinesen, mio padre, che a diciassette anni aveva combattuto come luogotenente a Danevirke e a Dybbøl e più tardi, come ufficiale dell’esercito francese, aveva partecipato alla guerra franco-prussiana, e durante la Comune di Parigi aveva visto costruire le barricate e il sangue francese scorrere sulle strade della Francia. Aveva abbandonato l’Europa e la civiltà e per tre anni aveva vissuto fra gli Indiani del Nordamerica senza mai incontrare altri bianchi. Era stato un abile e fortunato cacciatore di pelli, ma i soldi che guadagnava li spendeva per i suoi amici indiani. Gli Indiani lo chiamavano “Boganis”. E sotto questo nome scrisse qui a Rugnstedlund le sue Lettere di caccia, il diario di un cacciatore, pieno di amore

Davide Calandrini, Karen Blixen

per la natura, le stagioni, gli animali, gli uccelli, la lotta, la solitudine e la donna. Si sposò con mia madre, la graziosa e giovane Ingeborg Westenholz della tenuta Matrup presso Horsens, e la mamma mi ha raccontato che un giorno, tornati dal viaggio di nozze, s’incamminarono per il prato sotto gli alberi e lui le disse: “Comunque vada in futuro, ti ricorderai che siamo venuti qui l’ultimo giorno di maggio, e che era bello e tu eri felice?” Avevo dieci anni quando mio padre morì. La sua morte fu per me un dolore di quelli che forse provano solo i bambini. Credo di essere stata la sua figliola prediletta, e che fosse convinto che gli somigliavo».4 Precisamente, il capitano Dinesen si tolse la vita, scegliendo il metodo di esecuzione che l’esercito riservava ai traditori: l’impiccagione. Il motivo rimane un mistero: le sue sorelle lo attribuirono al dolore mai superato per la perdita della contessa Agnes Frijs, cugina e compagna d’infan-

4. “Rungstedlund, un discorso radiofonico”, in K. Blixen, Dagherrotipi, cit., pp. 294-295.

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Arte

IL CANTO DEL CIGNO ELETTRICO L’anima dionisiaca dell’arte psichedelica .........................................

di Satvat Sergio Della Puppa www.satvat.it

A

Dopo gli anni Cinquanta, lo spirito dell’Arte Moderna appariva fiacco e calcificato. C’era stato il periodo buio della guerra, ma soprattutto serpeggiava la sensazione che fin troppo era stato tentato e sperimentato, e in gran parte non aveva soddisfatto le promesse. Il grande progetto di un rinnovamento della coscienza tramite l’arte, che era stato il pungolo della sua sfida operativa, si era arenato in uno sterile intellettualismo minimalista: l’intuizione viscerale del flusso creativo si era spiaggiata nella mente. A ciò aveva reagito il furore catartico dell’espressionismo astratto e dell’action-painting, ma l’incapacità di alchemizzare il caos aveva costretto l’anima degli artisti e la loro espressione in un labirinto ripetitivo e insensato. Con arrogante sfiducia, la pop-art di Andy Warhol celebrava la manipolazione mediatica dell’apparenza negando la dimensione della profondità, comportandosi come la volpe di Esopo con l’uva. In generale, il panorama artistico – impoverito da questi fattori che ancora non sono stati compresi e superati – non era più delineato dalla forza propulsiva degli artisti, bensì assoggettato ai progetti ambiziosi dell’art-system e proiettato sul palcoscenico delle manifestazioni ufficiali. 170

Ritengo utile questa premessa per comprendere come si sia vivificata l’arte psichedelica. L’Anima ha sempre prediletto l’arte per rivelarsi all’essere umano, nelle diverse maschere che si sono intonate all’evoluzione della cultura: il mito, la religione, e infine la facoltà medianica che può scaturire dal processo di individuazione degli artisti. Non trovando più nell’arte e nell’uomo delle aperture da cui riversarsi, l’Anima ha giocato la carta allucinata ma prorompente della ribellione giovanile degli anni Sessanta e Settanta. Dalla metà degli anni Sessanta, un forte vento di scirocco animico ha preso a soffiare dagli Stati Uniti all’Europa, carico di fermentazioni dionisiache che si sono rapidamente affermate in modo underground ma inarrestabile. Rifiutando i compromessi, i giovani manifestavano liberamente il loro dissenso verso la programmazione sociale che intendeva irreggimentarli esistenzialmente e moralisticamente, assoggettandoli alla logica verticistica del profitto che castra l’autodeterminazione, impoverisce la qualità della vita e porta alla guerra. Si proclamarono sensualmente e psichicamente sovversivi, non economicamente ricattabili e pacifisti. Non si ribellavano solo a un sistema economico e sociale ri-


Arte

tenuto oppressivo, ma più radicalmente alla mente conformista che generava quel sistema; in definitiva volevano riscattarsi dalla schiavitù rassegnata dei padri, divenendo artefici di se stessi e perciò arditamente creativi. Intuivano che, per giungere a questo, dovevano espandere la coscienza oltre i limiti ordinari, attraversando quelle che Aldous Huxley ha chiamato le porte della percezione, per acquisire una visione allargata e profondamente animica della realtà. Questo è stato il presupposto fondativo della cosiddetta rivoluzione psichedelica che, mediante l’assunzione di sostanze psicotrope usate tradizionalmente dallo sciamanesimo per il viaggio della visione (mescalina, peyote, psilocibina) insieme al nuovo l’lsd (dietelamide dell’acido lisergico) sintetizzato nel 1938 da Albert Hofmann, ha acceso, con vari effetti, visioni immaginifiche e ipercolorate nelle menti di una generazione che ha cercato di superare nel corpo e nella psiche il senso del limite. Questo tema è stato affrontato da varie prospettive che hanno interessato l’antropologia, la sociologia e la psicologia, a mio parere spesso senza trarne delle valide indicazioni; noi proveremo a verificarlo sotto il profilo artistico cosicché, essendo l’arte lo specchio dell’anima, possano emergere dei chiarimenti efficaci tanto sul percorso dell’arte che su quello della consapevolezza umana. Le avanguardie artistiche del Novecento avevano evidenziato la funzione profetica dell’artista che, sostenendo un percorso di individuazione personale e creativa, poteva maturare esotericamente le proprie visioni e offrirle al mondo per risvegliare le coscienze. Da ciò l’importanza primaria della pittura. Invece l’arte psichedelica si è generata in seno a un movimento generazionale dove l’Io artistico

abdicava a favore di una condivisione emotiva e sensoriale che era intrinsecamente dionisiaca e che veniva catalizzata collettivamente dai grandi raduni musicali, dei quali è restato soprattutto il ricordo di Woodstock e dell’Isola di White. L’evento dello Human Be-In, che si tenne al Golden Gate Park di San Francisco il 14 gennaio 1967, dichiarò musicalmente e per voce dei profeti della controcultura, tra i quali il mistico lisergico Timothy Leary e il poeta beat Allen Ginsberg, i principi di una rivoluzione pacifista e libertaria fondata sull’espansione della coscienza, su nuovi modelli di vita comunitari, sul rifiuto dell’etica soggiogante del lavoro e sull’ecologia. A differenza del passato, si intendeva che l’elevazione spirituale della psiche poteva scaturire dall’accresciuta sensitività estatica del corpo, mediante la liberazione sessuale, le alterazioni chimiche indotte dalle droghe e il totale coinvolgimento procurato dalla musica. Infatti il motore artistico della psichedelia è stato un nuovo tipo di 171


11 Se, per dirla con Wittgenstein, «quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», tanto vale fare un breve e silenzioso elenco dei contributi presenti qui dentro (riflessioni, interviste, racconti, confronti). Perché se è impossibile parlare di ciò che si è visto aldilà, figuriamoci quanto sia sensato scriverne qui. E se già hai preso in mano questo libro, fai così: aprilo a caso, punta il dito da qualche parte tra le pagine e leggi la tua personalissima quarta di copertina. Ti sarà quindi chiaro che questo numero di Oltreconfine è una vera e propria sostanza psicotropa.

isbn 978-88-97864-30-1

9 788897 864301 euro 12,00

A psicotropia

Cronache dai mondi visibili e invisibili

A oltreconfine S Cronache dai mondi visibili e invisibili

Rick Strassman, Stanislav Grof, Aldous Huxley, Tom Robbins, Daniel Pinchbeck, John C. Lilly, Timothy Leary. Psicotropia, Psichedelia, Enteogeni, dmt, lsd, Peyote, Kambo, Iboga, Ayahuasca, Psilocibina, Amanita Muscaria, Aria, Vasca di restrizione sensoriale. E poi: interviste ad Antonio Bertoli, Simone Caltabellota, Yelitza Altamirano Valle; contributi di Enrica Perucchietti, Carlo Magaletti e Lidia Fassio; approfondimenti su Karen Blixen, Gustave Moreau, e altre occasioni di risveglio...

Quaderni di spiritualità arte e letteratura numero 11

psicotropia

Quando le porte della percezione si apriranno, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite.


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