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SAL SCARPITTA: AMERICA E ITALIA, CON LA PASSIONE PER LE SPRINT CAR...

Foto GAM, Archivio Salvatore Scarpitta presso Luigi Sansone, www.okfoto.it/ Enzo ed Edoardo Nicolino

Auto e arte: un connubio dato dalle forme di alcuni modelli, capolavori di carrozzieri e designer di chiara fama, ma anche da quadri, tele, sculture, realizzati da artisti di epoche diverse. Il caso di Salvatore Scarpitta (Brooklyn, 1919-NY, 2007) è uno dei più eclatanti. “Lanciato” nel 1959 da Leo (Krauss) Castelli, che sarà poi lo scopritore di Andy Warhol. Lo scorso anno gli è stata dedicata una retrospettiva presso la GAM di Torino, a cura di Luigi Sansone, Germano Celant, Fabrizio D’Amico, Danilo Eccher e Riccardo Passoni. Scarpitta è figlio d’arte: il padre italiano era uno scultore quotato, mentre la madre polacca, un’attrice. La sua genuina passione per le auto da corsa nasce negli anni Trenta: “Sal” fu un assiduo frequentatore del circuito Legion Ascot Speedway presso Boyle Heights, Los Angeles (ora El Sereno). Quell’impianto rimase aperto dal ’24 al ’36, poi un incidente mortale e un incendio ne decretarono la chiusura. La passione è viva e tra il 1964 e il 1969, a New York, Scarpitta costruisce con materiali di recupero e pezzi fatti da lui, alcune bolidi come la Rajo Jack, ispirata fin dal nome a quella di uno dei primi piloti di colore in USA. Nell’estate del 1985, nel suo studio-garage di Baltimora, nello stato del Maryland, corona uno dei suoi sogni: la costruzione di una macchina funzionante da dirt track, da oltre 700 CV, per le competizioni oggi inquadrate nella Outlaw Sprint Car Series. Decide di correre come pilota e formare il suo team con sede a New Chester, in Pennsylvania. Le sue auto portarono sempre il n. 59, dall’anno della prima mostra con Castelli, che lo sponsorizzò assieme alla Galleria Niccoli di Parma. Scarpitta era un habitué del Williams Grove di Mechanicsburg, dove aveva una casa, ma anche del Lincoln Speedway, luoghi dove il nome di “Sal” ora è leggenda. Affidò i suoi “puledri” a diversi drivers di categoria, incluso Jimmy Siegel, che poi rilevò la sua squadra e che ancor’oggi usa il n. 59. “… il track racing è della gente dell’America delle province, la sua sostanza è la terra, non è uno sport ma vita, morte, le salsicce con senape, mangiare il sapore della terra”, ebbe a dichiarare Scarpitta. E’ sepolto a Santa Fè, nel New Mexico, nella terra degli indiani, che amava e frequentava. Torneremo ad occuparci di lui, la sua storia lo merita davvero!

Nella foto a lato, Scarpitta dopo una corsa sulla pista di Hagerstown, Maryland, 23 agosto 1987, Courtesy Archivio Salvatore Scarpitta presso Luigi Sansone, Milano

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